1 L’hegelismo dopo Hegel: tra conservatori e innovatori€¦ · Ludwig Feuerbach e gli altri...

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1 1 L’hegelismo dopo Hegel: tra conservatori e innovatori Hegel lascia ai suoi discepoli il compito di confrontarsi con una filosofia che si propone come il vertice del pensiero occidentale: alcuni di essi la interpreteranno in senso conservatore, altri rivoluzionario Hegel ha posto la sua filosofia come punto di arrivo del pensiero occidentale, il momento in cui lo Spirito matura la piena autocoscienza e la Ragione si realizza pienamente nella Storia: essendo il cammino dello Spirito ormai compiuto, la filosofia ha espletato il suo compito e cede il passo alla storia della filosofia. Sul modo di intendere l’eredità del maestro, i suoi discepoli si dividono in due correnti, quella dei “vecchi” e quella dei “giovani”. Vecchi hegeliani sono coloro che, accogliendo l’idea che la filosofia hegeliana sia l’orizzonte insuperabile del pensiero filosofico, si propongono di conservare e diffondere l’hegelismo in veste di epigoni (Die Epigonen era appunto il titolo di una delle riviste pubblicate dal gruppo); al contrario i giovani hegeliani negano che la filosofia si sia esaurita con Hegel e assumono l’hegelismo come un punto di partenza. Da queste due correnti prende spunto la più nota distinzione tra “destra” e “sinistra” hegeliana introdotta da David Friedrich Strauss: in una raccolta di scritti polemici in difesa della sua Vita di Gesù, mutuando la divisione del parlamento francese in destra e sinistra, Strauss indica Karl Friedrich Göschel, Andreas Gabler e Bruno Bauer come esponenti della destra hegeliana, mentre a sinistra colloca se stesso. Tra queste due posizioni Strauss inserisce un “centro” rappresentato da Karl Rosenkranz (definito «il più libero tra i vecchi hegeliani»). Questa tripartizione si affianca alla distinzione tra hegeliani “vecchi” (destra e centro) e “giovani” (sinistra). Nelle intenzioni di Strauss il paragone con il parlamento francese non è che una metafora, una battuta inserita in un contesto polemico, ma presto la distinzione si diffonde tra gli intellettuali del tempo, che cominciano a prendere posizione secondo questo schema. Inoltre l’utilità della divisione straussiana è dovuta al fatto che introduce una terza via, il centro, che permette di comprendere meglio la vivacità del dibattito filosofico e la molteplicità delle opinioni. Del resto, lungi dal decretare la fine della filosofia, il pensiero hegeliano si rivelerà foriero di sviluppi inaspettati: tra gli altri prenderà le mosse dall’hegelismo Karl Marx, uno dei filosofi più rivoluzionari della storia del pensiero occidentale. Il metodo dialettico è l’aspetto chiave per capire l’evoluzione rivoluzionaria della filosofia hegeliana Ma come è possibile che a partire da Hegel, il conservatore, il filosofo dello Stato prussiano, si sia sviluppato un pensiero progressista e critico nei confronti delle istituzioni? Ci sono nel pensiero hegeliano aspetti senz’altro innovativi: uno su tutti il metodo dialettico che, con il suo dinamismo, si oppone a interpretazioni univoche e rigide categorizzazioni. La cerniera tra Hegel e il pensiero rivoluzionario è costituita dall’hegelismo di sinistra (di cui anche Marx ed Engels furono esponenti) che, allontanandosi dall’ortodossia accademica della scuola, portò alla luce il potenziale “sovversivo” latente nell’hegelismo: è nell’ambito della sinistra che prendono forma i motivi della critica religiosa e dell’opposizione politica che Marx porterà alle estreme conseguenze. Occorre comunque tenere presente che in questo contesto il termine “sinistra” riferito alla scuola hegeliana non va inteso nella accezione politica cui siamo soliti pensare: non tutti gli esponenti della sinistra hegeliana abbracciano l’ideologia socialista; al contrario alcuni di essi, come vedremo, si mantengono su posizioni liberali o conservatrici. Alla morte di Hegel, l’egemonia culturale della sua filosofia è indiscussa: per comprendere l’evoluzione della scuola, è utile ricordare la politica culturale che Hegel perseguì Hegel muore nel 1831 all’apice della sua carriera accademica: riconosciuto come filosofo ufficiale dello Stato prussiano, negli ultimi anni esercitava un’influenza pressoché incontrastata nella cultura dell’epoca. I motivi dell’affermazione del pensiero hegeliano si possono ricondurre a tre fattori:

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1 L’hegelismo dopo Hegel: tra conservatori e

innovatori Hegel lascia ai suoi discepoli il compito di confrontarsi con una filosofia che si propone come il

vertice del pensiero occidentale: alcuni di essi la interpreteranno in senso conservatore, altri

rivoluzionario

Hegel ha posto la sua filosofia come punto di arrivo del pensiero occidentale, il momento in cui lo

Spirito matura la piena autocoscienza e la Ragione si realizza pienamente nella Storia: essendo il

cammino dello Spirito ormai compiuto, la filosofia ha espletato il suo compito e cede il passo alla

storia della filosofia. Sul modo di intendere l’eredità del maestro, i suoi discepoli si dividono in due

correnti, quella dei “vecchi” e quella dei “giovani”. Vecchi hegeliani sono coloro che, accogliendo

l’idea che la filosofia hegeliana sia l’orizzonte insuperabile del pensiero filosofico, si propongono di

conservare e diffondere l’hegelismo in veste di epigoni (Die Epigonen era appunto il titolo di una

delle riviste pubblicate dal gruppo); al contrario i giovani hegeliani negano che la filosofia si sia

esaurita con Hegel e assumono l’hegelismo come un punto di partenza. Da queste due correnti

prende spunto la più nota distinzione tra “destra” e “sinistra” hegeliana introdotta da David

Friedrich Strauss: in una raccolta di scritti polemici in difesa della sua Vita di Gesù, mutuando la

divisione del parlamento francese in destra e sinistra, Strauss indica Karl Friedrich Göschel,

Andreas Gabler e Bruno Bauer come esponenti della destra hegeliana, mentre a sinistra colloca se

stesso. Tra queste due posizioni Strauss inserisce un “centro” rappresentato da Karl Rosenkranz

(definito «il più libero tra i vecchi hegeliani»). Questa tripartizione si affianca alla distinzione tra

hegeliani “vecchi” (destra e centro) e “giovani” (sinistra). Nelle intenzioni di Strauss il paragone

con il parlamento francese non è che una metafora, una battuta inserita in un contesto polemico, ma

presto la distinzione si diffonde tra gli intellettuali del tempo, che cominciano a prendere posizione

secondo questo schema. Inoltre l’utilità della divisione straussiana è dovuta al fatto che introduce

una terza via, il centro, che permette di comprendere meglio la vivacità del dibattito filosofico e la

molteplicità delle opinioni. Del resto, lungi dal decretare la fine della filosofia, il pensiero hegeliano

si rivelerà foriero di sviluppi inaspettati: tra gli altri prenderà le mosse dall’hegelismo Karl Marx,

uno dei filosofi più rivoluzionari della storia del pensiero occidentale.

Il metodo dialettico è l’aspetto chiave per capire l’evoluzione rivoluzionaria della filosofia

hegeliana

Ma come è possibile che a partire da Hegel, il conservatore, il filosofo dello Stato prussiano, si sia

sviluppato un pensiero progressista e critico nei confronti delle istituzioni? Ci sono nel pensiero

hegeliano aspetti senz’altro innovativi: uno su tutti il metodo dialettico che, con il suo dinamismo,

si oppone a interpretazioni univoche e rigide categorizzazioni. La cerniera tra Hegel e il pensiero

rivoluzionario è costituita dall’hegelismo di sinistra (di cui anche Marx ed Engels furono esponenti)

che, allontanandosi dall’ortodossia accademica della scuola, portò alla luce il potenziale

“sovversivo” latente nell’hegelismo: è nell’ambito della sinistra che prendono forma i motivi della

critica religiosa e dell’opposizione politica che Marx porterà alle estreme conseguenze. Occorre

comunque tenere presente che in questo contesto il termine “sinistra” riferito alla scuola hegeliana

non va inteso nella accezione politica cui siamo soliti pensare: non tutti gli esponenti della sinistra

hegeliana abbracciano l’ideologia socialista; al contrario alcuni di essi, come vedremo, si

mantengono su posizioni liberali o conservatrici.

Alla morte di Hegel, l’egemonia culturale della sua filosofia è indiscussa: per comprendere

l’evoluzione della scuola, è utile ricordare la politica culturale che Hegel perseguì

Hegel muore nel 1831 all’apice della sua carriera accademica: riconosciuto come filosofo ufficiale

dello Stato prussiano, negli ultimi anni esercitava un’influenza pressoché incontrastata nella cultura

dell’epoca. I motivi dell’affermazione del pensiero hegeliano si possono ricondurre a tre fattori:

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• l’abilità nel coltivare i rapporti con il potere politico - Sostenendo l’assoluta razionalità delle

istituzioni politiche del suo tempo, la filosofia hegeliana forniva la giustificazione ideologica alla

politica reazionaria prussiana. Inoltre, grazie all’appoggio di Altenstein - il ministro dell’istruzione

dello Stato prussiano - Hegel esercitava un’autorità pressoché indiscussa nella facoltà di Filosofia

(della quale fu anche rettore tra il 1829 e il 1830) e, tramite l’insediamento di suoi seguaci su

cattedre di particolare rilievo, estendeva la sua influenza anche sulle facoltà di Teologia e Diritto.

• L’autorevolezza con cui Hegel ha saputo conferire alla scuola un indirizzo unitario - I

numerosissimi discepoli di Hegel avevano formato una vera e propria scuola, dotata di una rivista

che dava voce al dibattito filosofico hegeliano, gli Annali berlinesi per la critica scientifica. Hegel

teneva saldamente le redini della sua scuola dettandone la linea con i suoi interventi, rispondendo

agli attacchi di altre scuole e ridimensionando le voci fuori dal coro.

• Il carattere totalizzante del sistema filosofico - Hegel fonda un edificio concettuale molto organico

e compatto in cui ogni problema trova una sua collocazione. La forza della filosofia hegeliana è che

pretende di fornire la chiave per dare ordine al reale: questa chiave è il metodo dialettico, a cui

Hegel conferisce un vero e proprio valore scientifico.

La parabola della scuola hegeliana si svolge tra il 1830 e il 1848: in questo periodo sono in atto

profonde trasformazioni politiche e culturali che lanciano all’hegelismo nuove sfide Nel 1830 Hegel condanna la rivoluzione di luglio e la congeda definendola una «brama di novità

senza scopo»: ma già allora qualcuno tra le file degli hegeliani non condivideva questa opinione. Il

poeta Heinrich Heine ad esempio - che ritroveremo tra gli esponenti della sinistra hegeliana - da

sempre sostenitore dei principi della rivoluzione del 1789 e nemico della Restaurazione, mosso

dall’entusiasmo per la rivoluzione del 1830, decide di trasferirsi a Parigi. Nel periodo che va dalla

morte di Hegel (1831) al 1848, l’hegelismo, oltre ad affrontare le scissioni al suo interno, si

confronta con profonde trasformazioni politiche e intellettuali. Le principali sfide al sistema

filosofico di Hegel avvengono su due piani:

• sul piano storico politico, l’hegelismo deve ridefinire il suo rapporto con le forze della

Restaurazione e comprendere gli eventi del suo tempo (come il divampare di moti rivoluzionari e la

comparsa delle prime istanze di rivendicazione sociale). Come abbiamo già visto, la destra cerca di

mantenersi su una linea di compromesso con il potere politico, mentre la sinistra passa

all’opposizione aperta;

• sul piano concettuale, l’hegelismo deve invece confrontarsi con altre correnti filosofiche,

principalmente l’idealismo di Schelling, il kantismo, l’herbartismo e il positivismo. È in questo

periodo che discipline come la psicologia e la sociologia si affrancano dalla filosofia rivendicando

un loro statuto autonomo. Oltre alla serrata critica della metafisica, il positivismo impone alla

filosofia il compito di rivedere i suoi limiti e il suo ruolo all’interno del sapere dell’uomo. Sotto

l’influsso di queste forze centrifughe, alla morte del maestro le voci dissidenti all’interno della

scuola cominciano a farsi sentire.

Inoltre alcuni cambiamenti negli equilibri di potere determinano un mutamento della politica

culturale. Con la morte del ministro Altestein nel 1840 viene a mancare il principale sostegno

politico della filosofia hegeliana. Nello stesso anno a Federico Guglielmo III succede Federico

Guglielmo IV: questi, cultore del Romanticismo, pietista, conciliante nei confronti dei cattolici,

nomina un ministro della cultura che favorisce l’ascesa di filosofi antihegeliani e di coloro che in

campo religioso sostengono la prevalenza del sentimento sulla ragione. Schelling viene chiamato a

occupare la cattedra di Hegel e, nel giro di pochi anni, agli hegeliani sono precluse le cattedre di

maggiore prestigio. La scuola hegeliana, nata in ambito accademico con un indirizzo fortemente

unitario, nel giro di pochi anni si divide. I giovani, avendo compreso l’impossibilità di stabilire un

compromesso con le autorità politiche e accademiche, radicalizzano le loro posizioni fino a

giungere a un’aperta critica del potere costituito. I vecchi hegeliani, invece, cercano di mantenersi

in sella annullando gli aspetti potenzialmente rivoluzionari del pensiero hegeliano e cercando una

conciliazione con il potere.

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Razionalità del reale e rapporto tra filosofia e religione: la scuola hegeliana si divide su questi

due punti chiave della filosofia del maestro

Ma quali sono gli aspetti teorici del sistema hegeliano che hanno portato alla scissione tra destra e

sinistra? Come è stato possibile che un modello filosofico organico e compatto come quello

elaborato da Hegel abbia condotto a posizioni radicalmente differenti? (STORIOGRAFIA Il

rapporto tra metodo e sistema) I motivi della scissione all’interno della scuola hegeliana possono

essere ricondotti a due temi di rilievo:

• il rapporto tra religione e filosofia;

• l’equazione tra reale e razionale. Hegel sosteneva che religione e filosofia condividono lo stesso

contenuto, espresso dalla religione nella forma della rappresentazione e dalla filosofia nella forma

del concetto.

Per questo, la filosofia rappresenta un superamento della religione, sebbene quest’ultima mantenga

una sua validità nell’ambito della forma che le è propria: la religione ha, infatti, un contenuto di

verità in quanto rappresentazione immaginifica della verità filosofica. Questo vale per ogni

religione, ma in particolare per quella cristiana, che è il prodotto di una superiore fase di sviluppo

dello Spirito. Ma allora il cristianesimo come religione positiva è compatibile con la filosofia

oppure rappresenta un momento inferiore e imperfetto destinato a essere superato? Di fatto il

pensiero di Hegel lascia aperte entrambe le interpretazioni:

• gli hegeliani di destra, sottolineando l’identità del contenuto di religione e filosofia, professano la

perfetta coerenza tra le due: in quest’ottica elaborano quella che è stata definita una “scolastica

dell’hegelismo”, che impiega la filosofia hegeliana per giustificare i dogmi del cristianesimo, come

già avevano fatto gli scolastici con la filosofia aristotelica;

• al contrario, gli hegeliani di sinistra, sottolineando la superiorità del momento filosofico, negano

alla religione ogni trascendenza e la riconducono a fattori antropologici e psicologici nei quali si

esprime una determinata fase dello sviluppo dello Spirito nel suo percorso verso l’autocoscienza.

Relativamente al secondo tema, Hegel aveva espresso in un famoso aforisma la sua posizione: “Ciò

che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale”. Nella sostanza, secondo Hegel, la realtà è per

sua natura razionale e quegli aspetti che sembrano irrazionali non sono che residui destinati a essere

superati. In un primo momento questa impostazione rimase un dato condiviso tra gli hegeliani.

Tuttavia quando la politica dello Stato prussiano, invece di identificarsi con la causa della ragione,

si spostò su posizioni sempre più reazionarie, gli hegeliani di sinistra si rifiutarono di credere che la

realtà storico-politica della loro epoca fosse la compiuta realizzazione della ragione e passarono

all’opposizione politica. Cominciarono a intendere la razionalità come qualcosa che ancora doveva

realizzarsi nella vita reale, un compito da perseguire tramite lo strumento della critica del presente.

Al contrario gli hegeliani di destra continuarono a sostenere acriticamente la concordanza tra reale e

razionale usando la filosofia hegeliana come strumento di legittimazione dello status quo.

3 La sinistra hegeliana

Ludwig Feuerbach e gli altri pensatori della sinistra hegeliana forniscono spunti destinati ad

avere grande peso sul dibattito filosofico successivo

I principali esponenti della sinistra hegeliana, oltre a Feuerbach, sono Heinrich Heine (1797-1856),

David Friedrich Strauss (1808-1874), Arnold Ruge (1802-1880) e Bruno Bauer (1809-1882). Come

la vecchia scuola hegeliana, anche la sinistra si dota di una rivista intorno alla quale si raccolgono i

suoi maggiori esponenti, gli Annali di Halle, fondata da Ruge nel 1838.

Nella storia della sinistra hegeliana possiamo riconoscere tre fasi:

1. La polemica religiosa - la prima fase ha inizio nel 1835 con la pubblicazione della Vita di Gesù di

Strauss, opera nella quale si avanza un’interpretazione storica del cristianesimo svincolata dal

dogmatismo.

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2. L’ateismo e l’opposizione politica - L’essenza del cristianesimo (1841) di Feuerbach segna il

passaggio dalla critica religiosa all’ateismo. Bauer passa alla sinistra e Ruge, attraverso un’intensa

attività pubblicistica, trasforma la critica religiosa in opposizione politica.

3. Il dissolvimento dell’hegelismo - Feuerbach pone al centro della sua riflessione non lo spirito o la

storia, ma l’uomo concreto: l’umanesimo di Feuerbach si traduce in un’antropologia

antispeculativa, ispirata da istanze realistiche. Prendendo le mosse da questi presupposti Marx

porterà a termine il capovolgimento dell’hegelismo iniziato da Feuerbach.

Precursore delle idee radicali di Marx ed Engels, Heine fu un attento critico di Hegel oltre che

uno dei massimi poeti in lingua tedesca del suo tempo

Heinrich Heine nasce nel 1797 a Düsseldorf da un’agiata famiglia ebraica, compie studi di diritto,

filosofia e letteratura. A Berlino conosce la filosofia hegeliana recependola in maniera critica,

anticipando atteggiamenti e temi della sinistra hegeliana come la critica religiosa, l’opposizione

politica, l’emancipazione politica e sociale dell’uomo. Durante un viaggio in Inghilterra rimane

colpito dalle misere condizioni dei lavoratori del West End londinese rispetto all’eleganza dei

quartieri ricchi: questa sensibilità per i temi sociali avvicina Heine ai saintsimoniani e agli hegeliani

più radicali come Marx ed Engels. Fedele ai principi della rivoluzione francese, Heine non ha vita

facile nella Prussia della Santa Alleanza. Considerato tra i più grandi poeti tedeschi, la sua opera

rappresenta una delle massime espressioni della cultura tedesca e il principale punto di contatto tra

questa e la cultura francese. Heine è stato tra i primi a riconoscere la possibilità di una duplice

lettura della filosofia hegeliana: secondo Heine, i giovani ergono la ragione a strumento di critica

del presente, mentre i vecchi, Hegel in testa, la piegano a una apologia dello status quo. A Parigi

scrive la sua opera più rilevante dal punto di vista filosofico, Sulla storia della religione e della

filosofia in Germania (1834), in cui confronta la prassi politica e sociale della rivoluzione francese

con la tradizione speculativa tedesca. In quest’opera istituisce un’analogia tra i fucili della

rivoluzione francese e i tranquilli sogni della filosofia tedesca: la tesi è che mentre i francesi hanno

fatto la rivoluzione nel mondo della realtà, i tedeschi hanno avuto la loro rivoluzione solo in campo

filosofico. I principi della rivoluzione francese hanno il loro equivalente nel pensiero di Kant e

Fichte, definiti rispettivamente il Robespierre e il Napoleone della filosofia. L’idealismo di

Schelling coincide con la Restaurazione, mentre Hegel è definito l’Orléans della filosofia, fondatore

di un nuovo regime nel quale tutto ha una collocazione precisa. Il primo atto della rivoluzione

filosofica tedesca è stata, per Heine, la rivoluzione religiosa di Lutero che, rivendicando il libero

esame delle Scritture, inaugura il moderno concetto di libertà fondato sull’emancipazione della

ragione. Da qui prende le mosse il razionalismo che, attraverso Cartesio, Leibniz e Spinoza,

conduce fino alla tradizione speculativa tedesca. Con Hegel si conclude il ciclo della rivoluzione

filosofica tedesca, ma non il cammino della storia. Al di là degli atteggiamenti compromissori che

Kant e Hegel esibirono in veste di professori prussiani, l’essenza del loro pensiero ha sviluppato

energie rivoluzionarie che attendono solo il momento opportuno per esplodere. Solo

apparentemente quindi la filosofia hegeliana legittima lo Stato prussiano e il cristianesimo; in realtà

negando l’esistenza di un dio personale, apre la via all’ateismo e, sottoponendo la realtà alla

ghigliottina della ragione, coltiva i germi della rivoluzione politica che, secondo Heine, presto

esploderà in Germania (TESTO La rivoluzione tedesca). Protagonisti della rivoluzione a venire

saranno proletari e comunisti: a guidarli saranno gli eredi della tradizione filosofica tedesca che

avranno il compito di tradurre il pensiero nella prassi rivoluzionaria.

LESSICO: Orléans L’appellativo “Orléans” fa riferimento a Luigi Filippo di Borbone-Orléans, re

dei francesi dal 1830 al 1845 con il nome di Luigi Filippo I. Inizialmente favorevole nei confronti

della rivoluzione francese, Luigi Filippo decise poi di abbandonare la Francia nel 1793 divenendo

duca d’Orléans. Con l’avvento della Restaurazione rientrò a Parigi dove, in seguito

all’insurrezione parigina di luglio 1830 che rovesciò il regime di Carlo X, riuscì a salire al trono.

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La sua politica, fondata sul principio di ordine interno e pace nei rapporti esteri, favorì lo sviluppo

della classe borghese composta da finanzieri e industriali. A seguito dei moti rivoluzionari del 1848

venne destituito e costretto a rifugiarsi in Inghilterra. Hegel viene considerato l’Orléans della

filosofia per il suo sistema che assegna a tutto una collocazione precisa e conforme alla

costituzione, richiamando in ciò la natura della monarchia di Luigi Filippo I.

La Vita di Gesù di Strauss rappresenta il punto di rottura per i giovani hegeliani: inaugura

un atteggiamento conoscitivo laico, una ricerca svincolata dal dogmatismo

David Friedrich Strauss nasce a Ludwisburg nel 1808 da una famiglia di modeste condizioni.

Grazie alle sue capacità riesce a portare avanti gli studi fino a essere ammesso nel prestigioso

seminario protestante di Tubinga - lo Stift - dove hanno studiato anche Hegel e Schelling. Qui

riceve una solida preparazione storica e filologica che sarà preziosa nella stesura della sua opera

principale, la Vita di Gesù. L’insoddisfazione per la filosofia di Schelling e di Schleiermacher lo

spinge a intraprendere autonomamente lo studio della Fenomenologia dello spirito. Nel 1831 si reca

a Berlino appena in tempo per conoscere Hegel e ascoltare le sue lezioni prima che muoia. La

filosofia hegeliana ha su Strauss un effetto dirompente: a Berlino entra in contatto con gli esponenti

della sinistra hegeliana e legge avidamente gli scritti dei filosofi illuministi sulla critica alle religioni

positive. A questo punto Strauss rinuncia all’attività pastorale. Tra la sua coscienza filosofica e il

suo ufficio si è aperto un dissidio insanabile e non è affatto interessato alla carriera ecclesiastica; la

sua vera aspirazione è quella di poter proseguire i suoi studi storici e filologici in ambito filosofico.

Tornato a Tubinga, comincia la stesura della sua opera principale, la Vita di Gesù: la tesi centrale è

che i Vangeli non siano un resoconto storico attendibile, ma la rappresentazione in chiave mitica

delle credenze e delle aspettative delle prime comunità cristiane. Strauss riprende la critica

illuministica alla verità storica dei Vangeli ma, facendo propria la lezione hegeliana, riconosce in

essi un contenuto veritativo che va al di là del loro senso storico letterale. Già Hegel aveva

sostenuto che religione e filosofia enunciano una stessa verità: Strauss esplicita quest’idea

affermando che il mito evangelico è l’espressione di un’idea nella forma di un racconto

immaginifico. Strauss indica la verità dei Vangeli nella figura di Gesù come unione di finito e

infinito: «Gesù - scrive - è colui nel quale la coscienza dell’unità del divino e dell’umano è sorta per

la prima volta». L’incarnazione non è una verità storica, ma una costruzione mitologica che da un

lato esprime l’esigenza che l’unione di umano e divino si realizzi concretamente in un individuo,

dall’altro rappresenta il modo in cui l’idea dell’unità di finito e infinito fu concepita in una

determinata epoca. Anche Hegel aveva dato un’interpretazione simile dell’incarnazione, ma senza

arrivare a sostenere che Gesù fosse semplicemente un personaggio storico. Strauss lavora sui

Vangeli distinguendo tra senso storico letterale e rappresentazione mitica: ad esempio, storicamente

è vero che sotto l’impero di Augusto visse un uomo di nome Gesù che si presentò al popolo ebraico

come il messia e predicò un messaggio di rinnovamento religioso. Tuttavia, la vita di quell’uomo,

così come è narrata dagli evangelisti, non può essere verosimile (studi storico-filologici lo provano),

ma fa riferimento alla tradizione ebraica della profezia messianica: le vicende narrate nei Vangeli,

infatti, non sono che l’adempimento delle profezie contenute nell’Antico Testamento. La Vita di

Gesù suscita immediatamente scalpore e conosce grande notorietà con diverse ristampe nel giro di

pochi anni. Tuttavia a dispetto del successo, o forse proprio a causa di questo, l’opera segna la fine

della carriera accademica di Strauss, nonostante le sue lezioni fossero molto frequentate. Le autorità

dello Stift considerano le tesi contenute nella Vita di Gesù come una minaccia per la fede e non

permettono che il suo autore continui a insegnare nel prestigioso seminario protestante di Tubinga.

Ma perché questo libro viene ritenuto tanto pericoloso? Ovviamente il modo in cui Strauss riduce il

contenuto della fede religiosa a semplice mito non poteva trovare il favore di coloro che affilavano

le armi speculative per difendere la verità dei dogmi religiosi. Ma c’è di più: la Vita di Gesù offre il

pretesto per accusare l’hegelismo di essere una filosofia atea e blasfema perché Strauss ha tratto le

sue conclusioni applicando il concetto hegeliano di religione alla critica dei testi biblici; le stesse

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autorità prussiane hanno ora un motivo in più per guardare all’hegelismo con sospetto. Questa

situazione impone agli hegeliani una presa di posizione e il dibattito intorno alla Vita di Gesù apre

la frattura nella scuola. Tuttavia Strauss non giunge - come faranno Feuerbach e Bauer -

all’ateismo: nelle opere successive, La fede cristiana nel suo sviluppo e nella lotta con la scienza

moderna (1841-42) e L’antica e la nuova fede (1872), il suo credo religioso si delinea come una

forma di panteismo: alla credenza in un Dio personale (teismo), Strauss oppone un Dio che è

totalità assoluta, pensiero che pensa in tutti, spirito infinito ed eterno nel quale si specchiano gli

spiriti finiti.

LESSICO: Teismo La radice del termine deriva dal greco theos, che significa Dio. È considerato

teista ogni atteggiamento che afferma l’esistenza di Dio opponendosi così all’ateismo, che invece

nega radicalmente l’esistenza di una qualche divinità. La divinità teista è unica, personale e

autonoma, presenta dunque caratteri comuni alla divinità del monoteismo. Il teismo si allontana

dal panteismo per la distinzione tra Dio e mondo/natura, e dal deismo che è caratterizzato invece

da una concezione razionalista e impersonale della divinità.

Lo “Strauss Affair” di Zurigo nel 1839: in questa caricatura il sindaco Melchior Hirzel offre dei

soldi al teologo Strauss (raffigurato come uno struzzo, con il diavolo sulla schiena, mentre calpesta

la Bibbia). Lo scandalo suscitato dalla Vita di Gesù influì pesantemente sulla carriera di Strauss

tanto che l’ateneo di Zurigo, che gli aveva offerto una cattedra, decise di pensionarlo, prima ancora

che iniziasse i corsi.

L’importanza di Arnold Ruge nelle vicende della scuola hegeliana risiede nel contributo

determinante che diede alla politicizzazione dell’hegelismo di sinistra

Come abbiamo già visto, è fuorviante intendere il “sinistrismo” dei giovani hegeliani come un

indirizzo politico, principalmente per due motivi:

• la scissione nella scuola si apre innanzitutto per motivi filosofici e teologici;

• la sinistra hegeliana non è caratterizzata da un’ideologia unitaria: vi si trovano conservatori come

Strauss, liberali come Ruge e rivoluzionari come Marx.

Con Arnold Ruge emergono però chiaramente quei motivi politici che in un primo momento erano

passati in secondo piano, celati da questioni apparentemente di carattere teologico e filosofico: con

Ruge la polemica filosofica si trasforma in opposizione politica. L’interpretazione della razionalità

del reale, come abbiamo già sottolineato, non era una disputa tra accademici ma comportava un

atteggiamento conservatore di apologia dello status quo o uno progressista di critica del presente.

Allo stesso modo le questioni di carattere teologico s’intrecciavano con i conflitti religiosi

dell’epoca guglielmina, un momento storico molto delicato per la nascente nazione tedesca, divisa

tra cattolici e protestanti: i primi erano reazionari, legati alla Chiesa cattolica romana e fautori di

un’unificazione sotto il regno di Baviera; i secondi erano tendenzialmente più liberali, auspicavano

la concessione di una costituzione da parte del re e l’unificazione sotto il regno di Prussia. In un

clima del genere difendere o attaccare l’ortodossia protestante assumeva sfumature politiche ed è in

tale contesto che Ruge intraprese la sua attività polemica e politica. Arnold Ruge (1802-1880) si

forma nelle università di Jena, Halle e Heidelberg: già negli anni universitari il suo spirito indomito

gli costa la condanna a quattordici anni di prigione per aver aderito a un’associazione segreta. In

carcere studia e scrive molto, si avvicina all’hegelismo e instaura contatti con alcuni funzionari

hegeliani del regno di Prussia. Forse grazie a questi contatti, nel 1830 ottiene la grazia e nel 1832

inizia la carriera accademica all’università di Halle come libero docente di filosofia. Come abbiamo

visto però, dopo la morte di Hegel gli hegeliani non hanno vita facile nelle università: in un clima di

aspre polemiche, Ruge decide di dar vita insieme a Ernst Theodor Echtermeyer (1805-1844) agli

Annali di Halle, la rivista intorno alla quale si raccoglieranno tutti gli hegeliani di sinistra e che

diventerà il loro organo ufficiale. L’orientamento politico della rivista è evidente fin dal primo

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numero del gennaio 1838: difesa del protestantesimo, del liberalismo, del progressismo riformista.

Con gli Annali di Halle, Ruge vuole creare una terza forza che si oppone tanto ai monarchici

reazionari (le forze della Santa Alleanza) quanto ai progressisti rivoluzionari (socialisti, comunisti,

anarchici): Ruge auspica che il popolo tedesco si unifichi sotto un governo liberale guidato dalla

Prussia protestante attraverso un pacifico processo di riforme. La filosofia della storia hegeliana

concepisce il progresso come il cammino “naturale” e “inevitabile” della ragione nella storia,

pertanto la via maestra del progresso passa per il dialogo e le riforme. Per questo Ruge intende la

rivoluzione violenta come qualcosa di irrazionale che ostacola il progresso anziché favorirlo (come

è accaduto in Francia con la fase del Terrore Giacobino). Ruge rigetta tuttavia l’immagine hegeliana

della filosofia come nottola di Minerva, che spicca il suo volo a cose fatte: la filosofia, infatti, non

deve limitare il suo compito alla comprensione del mondo ma deve costituire un impulso all’azione.

Il processo di emancipazione iniziato con il protestantesimo luterano deve proseguire sul piano

concreto della storia attraverso l’azione politica. L’hegelismo ha mostrato il percorso della ragione

nella storia, ma ha mantenuto un’attitudine aristocratica, elitaria: ora questo atteggiamento va

corretto alla luce dell’eredità illuministica, solo allora «il mondo ripeterà in forma più alta il

miracolo dell’illuminismo: penserà nelle masse». La convinzione che il passaggio dalla teoria alla

prassi, dal pensiero all’azione politica possa e debba compiersi per opera delle masse anticipa in un

certo senso la moderna idea di partito politico. Ruge non è un rivoluzionario ma, constatando che

nessuna classe ha mai ceduto il potere volontariamente, arriva ad ammettere la rivoluzione come un

male necessario e temporaneo: «Nei popoli civili, la rivoluzione è l’affermazione forzata di una

libertà che spiritualmente è già presente e interiormente è già conquistata».

Singolare è il percorso di Bruno Bauer che dalla teologia hegeliana passa all’ateismo di

estrema sinistra

Allievo di Marheineke e destinato a esserne il successore, Bruno Bauer (1809-1882) muove i primi

passi nel mondo accademico berlinese arroccandosi sulle posizioni della destra hegeliana

ultraconservatrice: collabora con gli «Annali per la ricerca scientifica», organo ufficiale della scuola

hegeliana, e successivamente fonda la «Rivista di teologia speculativa». Attacca l’opera di Strauss

confutandone il metodo con l’arma dialettica della destra hegeliana, ovvero il deduzionismo a

priori. Tuttavia, quando nel 1838 si apre la polemica tra Ruge e i pietisti romantici, Bauer,

schierandosi contro questi ultimi, comincia ad avvicinarsi alle idee della sinistra hegeliana. Secondo

Bauer, infatti, gli hegeliani non possono avallare il conservatorismo reazionario dei pietisti perché

questo è contrario a tutti i principi della filosofia del maestro, che insegna il dominio assoluto della

Ragione e la supremazia dello Stato su tutte le altre istituzioni. Occorre difendere la tradizione

protestante e razionalista radicata in Prussia e contrastare le pericolose tendenze reazionarie e

oscurantiste insite nel pietismo. Decisivo per lo spostamento a sinistra di Bauer fu il contatto con il

cosiddetto “Club dei dottori”, un gruppo di filosofi tra i quali compariva anche il giovane Karl

Marx. Come Strauss, Bauer comincia a indagare la genesi delle credenze religiose. Nella Critica

della storia evangelica dei sinottici (1841) anche Bauer afferma che i Vangeli sono frutto della

rielaborazione letteraria del concetto filosofico dell’unione di finito e infinito. Al centro della

filosofia di Bauer c’è l’autocoscienza, intesa come puro spirito, soggettività capace di

autoproduzione e libertà assoluta. Tale soggettività si manifesta negli spiriti finiti e in ogni

momento storico si esprime come spirito del tempo. Il cristianesimo quindi non è che una tappa nel

percorso della soggettività verso l’autocoscienza, un percorso che è proseguito con la riforma

luterana, e che attraverso l’Illuminismo e la rivoluzione francese approderà all’ateismo. Nel 1841

Bauer pubblica in forma anonima La tromba del giudizio universale contro Hegel ateo e anticristo

uno scritto nel quale fingendo di essere un pietista convinto, attacca la filosofia hegeliana e sostiene

che in realtà Hegel era un rivoluzionario che non aveva mai accettato la Restaurazione (TESTO I

“veri” hegeliani). Nel 1842 Bauer viene espulso dall’università di Bonn a causa della non ortodossia

dei suoi scritti sul Nuovo Testamento. Il proseguimento degli studi critici sulla Bibbia lo porta alla

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pubblicazione del Cristianesimo svelato (1843) in cui interpreta la religione cristiana come una

reazione alla fine del mondo antico: l’esaltazione cristiana della sofferenza scaturisce dal dolore

provato per la fine del mondo antico. Il cristianesimo esprime dunque il lutto per la fine di un

mondo, una condizione in cui l’uomo vive estraniato da se stesso, proiettato in un chimerico aldilà:

solo l’eliminazione del cristianesimo e l’ateismo permetteranno all’uomo di riappropriarsi della sua

essenza.

4 Ludwig Feuerbach e L’essenza del cristianesimo

Un pensatore originale e indipendente, che decide di condurre un’esistenza ritirata

dedicandosi allo studio e alla ricerca

Figlio di un eminente giurista, Ludwig Feuerbach nasce nel 1804 a Landshut, nella cattolica

Baviera. Studia Teologia a Heidelberg sotto la guida di Gottlob Paulus e Karl Daub, ma senza

grande entusiasmo. Insoddisfatto dell’insegnamento, si trasferisce a Berlino dove ascolta le lezioni

di Hegel che lo entusiasmano al punto di spingerlo a passare alla facoltà di Filosofia. Da Berlino si

trasferisce a Erlangen, una piccola università protestante della Baviera, dove si laurea con una

dissertazione sulla filosofia hegeliana e ottiene l’abilitazione all’insegnamento (1828). Comincia la

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carriera accademica, ma i suoi corsi hanno poco seguito anche perché a Erlangen c’è molta

diffidenza nei confronti della filosofia hegeliana. Isolato nel mondo accademico, Feuerbach esprime

il suo pensiero senza reticenze e ben presto anche per lui svanisce ogni speranza di proseguire la

carriera come docente universitario: a decretare la sua morte accademica sono i Pensieri sulla morte

e l’immortalità (1830), un’opera molto provocatoria che viene messa al bando dalle autorità

prussiane. Negli anni successivi tenta inutilmente di ottenere una cattedra. Nel 1837 così decide di

ritirarsi a vita privata: si stabilisce a Bruckberg e vive dei proventi di una fabbrica di porcellane di

proprietà della moglie. Feuerbach conduce un’esistenza appartata ma mantiene i contatti con il

mondo culturale principalmente per via epistolare e attraverso la collaborazione con alcune riviste

tra cui gli Annali di Halle. Sono questi gli anni in cui pubblica le sue opere più famose: L’essenza

del cristianesimo (1841), Principi per una filosofia dell’avvenire (1843) e L’essenza della religione

(1845). Le burrascose vicende del 1848 lo spingono a uscire dal suo isolamento: partecipa al

Congresso democratico di Francoforte e su invito degli studenti dell’università di Heidelberg tiene

nel Palazzo comunale di Francoforte un ciclo di lezioni sull’essenza della religione. Tornato a

Bruckberg, Feuerbach prosegue la sua attività di studio e ricerca, ma nel 1861 il fallimento della

fabbrica di porcellane lo costringe a vivere in condizioni di povertà fino alla morte (1872). Wilhelm

Bolin (1835-1924), suo amico, allievo e primo biografo, ricorda che per i funerali di Feuerbach

vennero a Norimberga migliaia di operai che diedero così vita alla più grande manifestazione

socialista che si fosse mai vista in città.

Feuerbach è senza dubbio l’esponente di spicco della scuola hegeliana di sinistra, non solo per

la notorietà e il seguito delle sue opere, ma anche per l’originalità del suo pensiero

Diversamente dagli altri hegeliani, che rimangono in qualche modo legati all’impostazione

filosofica del maestro, Feuerbach parte dall’hegelismo ma lo supera, lo capovolge, con toni che in

un certo senso anticipano il percorso di Marx. Per semplificare l’esposizione della filosofia di

Feuerbach, possiamo suddividere il suo pensiero in tre momenti:

• la prima fase, quella hegeliana, comprende gli anni della sua formazione filosofica e si conclude

con la Critica della filosofia di Hegel (1839), che segna una rottura con l’hegelismo;

• nella seconda fase emerge il cosiddetto umanesimo di Feuerbach, che si esprime soprattutto in

opere come L’essenza del cristianesimo (1841) e Principi per una filosofia dell’avvenire (1843);

• nella terza fase il percorso filosofico di Feuerbach sfocia nel materialismo e nel naturalismo:

emblematica è L’essenza della religione (1845).

Gli esordi del pensiero di Feuerbach risentono dunque dell’influenza della filosofia hegeliana: in

questo periodo egli pone la Ragione, il pensiero a fondamento della realtà. Tuttavia il pensiero

giovanile di Feuerbach non può essere ridotto al solo hegelismo. Infatti vi si ritrovano gli echi della

tradizione luterana, della filosofia classica tedesca fusa con il razionalismo sei e settecentesco,

dell’Illuminismo francese e del materialismo settecentesco.

La filosofia deve criticare la realtà non giustificarla come fa l’hegelismo che, saldandosi col

cristianesimo, conferisce un fondamento metafisico al dispotismo

La prima opera significativa di Feuerbach è la dissertazione di laurea, dal titolo De ratione, una,

universalis, infinita (1828) nella quale esamina il rapporto tra individuo e ragione universale.

Hegelianamente, Feuerbach pone il pensiero a fondamento della realtà: riallacciandosi alla

tradizione razionalistica che si sviluppa da Cartesio a Kant, concepisce la realtà come il prodotto

dell’attività costitutiva del soggetto, tuttavia Feuerbach sottolinea che tale processo soggettivo non è

puramente individuale, ma trova il fondamento ultimo nella ratio universalis. Dunque la ragione

individuale non è che un momento della ragione universale che tutto permea. In questa concezione

vediamo fondersi l’idealismo hegeliano con una istanza di tipo realistico, che pone l’oggettività del

reale a fondamento del pensiero. L’opera riecheggia la Logica e la Fenomenologia dello spirito, ma

mentre Hegel si era sforzato di mantenere un equilibrio tra pensiero individuale e ragione

universale, Feuerbach sposta tutto il peso in favore di quest’ultima. L’esito di questa concezione è

duplice, da un lato un realismo più forte, dall’altro una visione immanentistica di Dio che permea

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tutto il reale. Nel 1830 pubblica anonimi i Pensieri sulla morte e l’immortalità, tuttavia il contenuto

dell’opera vale come un autografo e presto ne viene riconosciuto come l’autore. Riprendendo le sue

concezioni universalistiche, dimostra la mortalità dell’anima individuale: immortale è solo la

ragione universale, i singoli spiriti finiti si spengono con il corpo. A queste considerazioni, già di

per sé provocatorie, Feuerbach aggiunge un aperto attacco al regime della Restaurazione e alle sue

connivenze con l’ortodossia religiosa nell’instaurare un clima liberticida. Dal 1838 Feuerbach

comincia a collaborare con gli Annali di Halle da dove attacca Schelling, accusandolo di fornire una

visione mistificata della realtà: dal suo punto di vista, la filosofia positiva non è altro che un

rocambolesco tentativo di legittimare lo status quo con vertiginosi voli speculativi. Al contrario, la

filosofia deve comprendere la realtà, non accettarla, criticarla, non giustificarla, deve essere la guida

e lo stimolo per cambiare il mondo. Nel 1839 si determina la rottura con l’hegelismo: sugli Annali

di Halle pubblica un saggio intitolato Sulla filosofia ed il cristianesimo nel quale sostiene che solo

ai giovani hegeliani spetta il titolo di filosofi, mentre i vecchi hegeliani non sono filosofi ma solo

storici, pigri dogmatici che continuano a “ruminare” Hegel. Questa frattura diventa palese nella

Critica della filosofia di Hegel (1839), opera che segna il primo passo verso il superamento della

filosofia del maestro: dell’hegelismo Feuerbach critica la pretesa di conciliare finito e infinito, una

conciliazione artefatta che instaura un assolutismo della Ragione. Questa conciliazione, unita alla

credenza nel Dio personale cristiano, va a braccetto con la sottomissione a un regime dispotico.

Detto altrimenti, l’assolutismo filosofico hegeliano giustifica l’assolutismo politico della

Restaurazione conferendogli un fondamento metafisico religioso. Per questo motivo occorre

superare l’hegelismo con una nuova filosofia: la filosofia dell’avvenire deve mettere al centro della

sua riflessione non un astratto idealismo, ma l’uomo concreto, anzi gli uomini, l’umanità, con i suoi

bisogni e problemi reali. Questa svolta si concretizzò a partire dalla pubblicazione de L’essenza del

cristianesimo (1841) che non a caso suscitò un diffuso entusiasmo nei giovani della sinistra

hegeliana. Lo testimonia Friedrich Engels che in Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della

filosofia classica tedesca scrive: «Bisogna avere vissuto l’effetto liberatorio di questo libro per

farsene un’idea. L’entusiasmo era generale: per un attimo fummo tutti feuerbachiani».

Ne L’essenza del cristianesimo Feuerbach si propone non solo di criticare la religione, ma di

comprenderla come fenomeno tipicamente umano

Feuerbach parte dalla constatazione che la religione è un universale antropologico e che l’uomo è

l’unico tra tutti gli animali a nutrire un sentimento religioso. Perché? L’uomo si distingue dagli altri

animali per il fatto di avere una coscienza, intesa come consapevolezza di appartenere a un genere,

quello umano appunto. Anche gli animali riconoscono i propri simili, ma non hanno la coscienza di

appartenere a un genere perché, diversamente dall’uomo, non sono in grado di problematizzare la

propria essenza, di farne un oggetto di riflessione. L’uomo, invece, riconoscendo che certe qualità

non sono strettamente sue ma che le condivide con tutti gli altri membri della sua specie, elabora la

consapevolezza di appartenere a un genere. Per Feuerbach queste qualità o attributi fondamentali si

riducono a ragione, volontà e sentimento. L’uomo come individuo percepisce se stesso come essere

limitato, ha coscienza della propria finitezza perché riconosce che le potenzialità del genere umano

sono infinite:

[La natura umana] è infinitamente ricca di qualità diverse, appunto perché è infinitamente ricca di

differenti individui. Ogni nuovo uomo è per così dire un nuovo attributo, un nuovo talento

dell’umanità. Quanti sono gli uomini tante sono le forze, tante le facoltà che la specie umana

possiede. […] Quindi il mistero dell’inesauribile pienezza degli attributi divini null’altro è che il

mistero dell’essenza dell’uomo. (L’essenza del cristianesimo)

L’errore che l’uomo compie è quello di considerare i suoi limiti individuali come limiti della specie

e in questo modo l’uomo aliena in Dio gli attributi propri della sua natura: se le mie capacità

conoscitive sono limitate, la mia moralità volubile, i miei sentimenti contrastanti è perché questi

sono limiti intrinseci alla mia natura di essere umano. Dovrà allora esistere un essere onnisciente,

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buono, giusto e amorevole, un essere perfetto che possiede questi attributi in sommo grado. La

religione è quindi un modo illusorio per conciliare finito e infinito, individuo e genere.

L’essere divino non è altro che l’essere dell’uomo liberato dai limiti dell’individuo, cioè dai limiti

della corporeità e della realtà, e oggettivato, ossia contemplato e adorato come un altro essere da lui

distinto. Tutte le qualificazioni dell’essere divino sono perciò qualificazioni dell’essere umano.

(L’essenza del cristianesimo)

Gli attributi del Dio cristiano sono in realtà attributi dell’uomo: Dio è ragione perché la ragione è la

facoltà più alta dell’uomo, Dio è amore perché l’amore è la cosa più importante che unisce gli

uomini; Dio è vita eterna perché per i mortali la vita è il bene supremo (TESTO Dio è una

proiezione dell’uomo). Nella religione l’uomo contempla la propria essenza ma lo fa come se fosse

un altro essere, distinto da sé. In questo modo quanto più aliena i suoi attributi a Dio tanto più

impoverisce se stesso:

A ogni mancanza nell’uomo è contrapposta una pienezza in Dio: Dio è e ha precisamente ciò che

l’uomo non è né ha. Quanto è attribuito a Dio è tolto all’uomo e, viceversa, quanto è dato all’uomo

è sottratto a Dio. (L’essenza del cristianesimo)

Ma se Dio è un’oggettivazione dell’essenza dell’uomo, allora la religione non è che un’antropologia

capovolta: lo dimostra il fatto che ciascuna religione rappresenta un modello dell’umanità che l’ha

concepita. Per spiegare i misteri della religione cristiana occorre quindi compiere una riduzione

antropologica, ovvero ricondurre all’uomo gli attributi divini per restituire all’umanità la piena

consapevolezza della propria natura. La religione nasce dalla miseria della condizione umana, è un

modo per superare con la fantasia i limiti dell’individuo nella realtà; è l’infanzia dell’umanità, una

fase in cui l’autocoscienza (intesa come consapevolezza della propria essenza) si trova in un certo

senso scissa, proiettata fuori di sé, oggettivata in un altro ente: alienata in Dio appunto. Questa

illusione è destinata a essere smascherata dal progresso dell’umanità: la scienza, ad esempio, come

sapere cumulativo e prassi intersoggettiva, ha dimostrato che quello che il singolo non può

realizzare potrà essere compiuto dall’umanità come impresa collettiva. L’uomo assurgerà a

un’autentica consapevolezza della propria natura solo quando comprenderà che il superamento dei

limitati individuali si compie non in Dio ma nel genere umano.

LESSICO: Riduzione antropologica La riduzione antropologica è il meccanismo attraverso il

quale l’uomo si riappropria delle qualità alienate in Dio. Poiché la religione è una forma di

antropologia rovesciata nella quale soggetto e predicato sono invertiti, la riduzione antropologica

passa attraverso il rovesciamento dei rapporti di predicazione delle proposizioni teologiche. Così

la proposizione “Dio è amore” dovrà essere rovesciata in “l’amore è divino”, ovvero l’amore è il

sentimento più alto dell’uomo. L’emancipazione umana passa obbligatoriamente dalla riduzione

antropologica perché quanto più l’uomo si aliena in Dio tanto più la sua esistenza reale è povera.

Scrive Feuerbach: «La speculazione religiosa […] fa del derivato l’originario e dell’originario il

derivato. Dio è la prima cosa, l’uomo la seconda. In questo modo essa rovescia l’ordine naturale

delle cose. La prima cosa è proprio l’uomo, la seconda è l’essenza dell’uomo oggettivata a sé:

Dio». Il risultato della riduzione antropologica deve condurre a un’autentica religione

dell’umanità nella quale i rapporti tra gli uomini assurgano alla sacralità dei rapporti religiosi.

La filosofia di Feuerbach si risolve in un umanesimo fondato sul completo rovesciamento della

religione e dell’idealismo hegeliano

Nelle Tesi provvisorie per una riforma della filosofia (1842) Feuerbach sottolinea il distacco

dall’idealismo hegeliano che ormai considera come una razionalizzazione della teologia: filosofia

hegeliana e teologia condividono la stessa fallacia, entrambe invertono primario e secondario,

privilegiano l’ideale al reale, l’astratto al concreto. Teologia e idealismo hegeliano sono due facce

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della stessa mistificazione: entrambe rappresentano l’essenza umana alienata, la prima nella

religione, la seconda nello Spirito assoluto. Condividono infatti gli stessi errori: entrambe

rovesciano i rapporti di predicazione, invertendo soggetto e predicato, cioè mettono l’esistenza

individuale in secondo piano rispetto all’essenza generale. Nella filosofia hegeliana l’uomo è

estraniato rispetto a se stesso perché il finito è ridotto a predicato dell’infinito, la materia a predicato

dello spirito: l’uomo reale viene così sacrificato a un ideale astratto di umanità. La proposta di

Feuerbach si configura come una sorta di “ideal-empirismo” che da un lato assume come punto di

partenza il concreto, l’individuale, il molteplice, dall’altro cerca di ricondurlo a una idealità

generalizzata. Per Feuerbach, infatti, l’essenza dell’uomo è composta da individualità concrete, ed è

dalla moltitudine degli uomini in carne e ossa che ricava il suo ideale di umanità. Come la religione,

anche l’idealismo hegeliano deve essere sottoposto a una riduzione antropologica che riconduca

all’uomo ciò che ha alienato nello Spirito. La filosofia dell’avvenire dovrà essere dunque un

completo rovesciamento della religione e dell’idealismo hegeliano: suo oggetto non sarà Dio o

l’Assoluto bensì l’uomo reale, concreto.

Hegel si pone da un punto di vista che costruisce il mondo, io da un punto di vista che presuppone il

mondo come esistente, e che vuole presupporlo come esistente; egli discende, io salgo. Hegel pone

l’uomo sulla testa, io lo pongo sui suoi propri piedi, riposanti sulla geologia. (Principi per una

filosofia dell’avvenire)

La nuova filosofia è un umanesimo che ha come unico oggetto l’uomo e non lo riduce a puro

pensiero, ma lo considera per intero, anima e corpo, “dalla testa al calcagno” (TESTO La filosofia

dell’avvenire). Ma l’uomo reale è innanzitutto un animale sociale, dunque la vera dialettica è un

dialogo tra l’io e il tu, fondato sull’intersoggettività, sul riconoscimento dell’altro e sull’amore

come sentimento supremo in grado di creare legami tra gli uomini. Per questo lo scopo finale della

filosofia dell’avvenire sarà trasformare la teofilia in filantropia, l’amore per Dio in amore per

l’uomo, gli uomini «da candidati dell’aldilà in studenti dell’aldiquà». Il riconoscimento dell’altro, il

dialogo, l’intersoggettivismo sono il veicolo del progresso e dell’emancipazione dell’uomo.

Teologia e idealismo sono forme di conoscenza che testimoniano l’impotenza dell’uomo davanti

alla natura. Per evadere dall’angustia speculativa occorre rinnovare il legame tra filosofia e scienza.

Il progresso scientifico, infatti, si basa sul completamento delle conoscenze del singolo nel sapere

del genere:

Ciò che non sa e non può il singolo, ciò sanno e possono gli uomini insieme. Così il sapere divino

che sa contemporaneamente ogni singola cosa ha la propria realtà nel sapere del genere. (Principi

per una filosofia dell’avvenire)

La filosofia dell’avvenire è un’antropologia che scaturisce dal progresso. Esprime il fatto che gli

uomini non hanno più bisogno di preghiere e miracoli perché agiscono praticamente per cambiare il

mondo mediante la politica, il lavoro, la scienza e l’arte: l’uomo moderno lavora per scacciare il

bisogno e l’ignoranza, per fare della terra il proprio paradiso.

A partire da L’essenza della religione (1845) Feuerbach si sposta sempre più verso un

materialismo vitalistico e un sensualismo che troverà piena voce nelle ultime opere

L’essenza della religione (1845) estende al fenomeno religioso in generale la riflessione iniziata con

L’essenza del cristianesimo sviluppandola però in senso materialistico e naturalistico. Secondo

Feuerbach, alla base di ogni religione vi è il sentimento di dipendenza dell’uomo nei confronti della

natura, che si manifesta soprattutto nel bisogno. L’uomo è «un ente che non esiste senza luce, senza

aria, senza acqua, senza terra, senza cibo, un ente dipendente dalla natura». Nella religione l’uomo

celebra questa sua dipendenza e l’essenza divina non è altro che la natura stessa che si manifesta

all’uomo come qualcosa di divino. Originariamente il sentimento religioso si rivolge verso una

natura ostile e misteriosa che sfugge al controllo: in questa fase l’uomo divinizza le forze della

natura che ritiene importanti per la sua sopravvivenza. Man mano che estende il suo dominio su di

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essa, l’uomo comincia ad antropomorfizzare la natura e pone al suo vertice Dio come principio

ordinatore. Dio in quanto essere che esercita un dominio assoluto sulla natura e sui suoi elementi,

diventa così l’immagine plenaria della realizzazione dei desideri umani (TESTO Il fondamento

della religione). Ancora una volta Feuerbach dimostra l’idea fondamentale già enunciata ne

L’essenza del cristianesimo, ovvero che Dio non è altro che una proiezione umana.

L’annichilimento dell’uomo di fronte alla forza della natura produce il culto di un Dio onnipotente e

l’ignoranza delle leggi che governano l’universo genera la fede in una misteriosa provvidenza

divina. Ma più la scienza progredisce e i misteri della natura vengono svelati, meno c’è bisogno

della volontà di Dio per mettere in moto la macchina del mondo. Nell’idea di una natura che si

organizza autonomamente è chiara l’impostazione materialista che risulta particolarmente evidente

in uno scritto del 1862 Il mistero del sacrificio o l’uomo è ciò che mangia. In quest’opera ispirata

dalla lettura della Dottrina dell’alimentazione per il popolo di Jacob Moleschott, Feuerbach intende

superare il dualismo tra anima e corpo riconducendo l’attività spirituale a un fondamento materiale:

il pensiero è una funzione del cervello che come tutte le altre funzioni organiche è condizionata

dall’alimentazione. L’idea di Feuerbach è che l’alimentazione sia la base del pensiero e quindi della

cultura, pertanto il progresso dell’uomo passa anche attraverso un miglioramento della sua dieta:

La teoria degli alimenti è di grande importanza etica e politica. I cibi si trasformano in sangue, il

sangue in cuore e cervello; in materia di pensieri e di sentimenti. L’alimento umano è il fondamento

della cultura e del sentimento. Se volete far migliore il popolo, in luogo di declamazioni contro il

peccato dategli un’alimentazione migliore. (L’uomo è ciò che mangia)

Feuerbach si sarebbe poi pentito di questa frase a effetto, constatando che era ciò che rimaneva di

tutta la sua opera «nell’orecchio di certa gente» che lo accusava di rozzo materialismo.

Ciò era doppiamente ingiusto:

• in realtà, la dottrina dell’alimentazione è stata in parte rivalutata dai recenti studi nel campo della

nutrigenomica, un ramo della biomedica che studia il rapporto tra genetica e alimentazione, e che ha

portato alla luce l’esistenza di un legame tra l’alimentazione e la regolazione delle funzioni vitali

della cellula;

• ma soprattutto perché il materialismo di Feuerbach era tutt’altro che rozzo e, come abbiamo visto,

non ignorava affatto la dimensione spirituale o sociale dell’uomo. Quest’ultimo punto fu

particolarmente evidente negli ultimi scritti.

In Spiritualismo e materialismo (1866) Feuerbach sottolinea la natura sensibile dell’uomo e approda

a una concezione vitalistica: lo spirito non è che un’espressione, la più alta, della materia. In base a

questi presupposti confuta la dottrina del libero arbitrio: la volontà non è libera ma è condizionata in

primo luogo dal fatto che l’uomo è un essere sensibile caratterizzato da bisogni e desideri. Infine, in

uno scritto postumo intitolato Eudemonismo Feuerbach sottolinea la natura sociale dell’uomo:

l’uomo non è un essere isolato, al contrario la sua esistenza è strettamente connessa a quella degli

altri uomini. Il primario impulso verso il quale tende la volontà di tutti gli uomini è la felicità, una

felicità che non può realizzarsi in un’esistenza solitaria ma solo attraverso la cooperazione, il

dialogo, il rispetto dell’altro. Una nuova religione deve soppiantare quelle passate, la religione

dell’uomo, che abbia come unico oggetto di culto l’umanità e come unico scopo la felicità.