Una Preghiera Rituale Saggio sull’Alterità nel pensiero di Emmanuel Lèvinas
Guido Tana, II anno Classe di Laurea L-5
N°Matricola: 385827
Tra i numerosi pensatori contemporanei inscrivibili nell’alveo
della Fenomenologia, discepoli e non, epigoni fedeli o meno alla
lettera del maestro Husserl, che si sono dedicati al tema
dell’Alterità, Emmanuel Lèvinas può facilmente esser considerato
colui che più ha contribuito al suo sviluppo e approfondimento,
spingendo nei suoi la dimensione teoretica del concetto dapprima
toccato dal filosofo di Proßnitz nella quinta Meditazione Cartesiana,
ai limiti stessi della possibilità filosofica e speculativa del pensiero
del ventesimo secolo. Il pensiero stesso di Lèvinas, frutto di un
continuo dialogo, confronto e conflitto coi suoi maestri di
Friburgo Husserl e Heidegger, è stato difatti considerato capace
di fornire uno degli sforzi più sentiti e meno stupidi1 alla filosofia
pratica, all’etica contemporanea, proprio attraverso la riflessione
sul tema della Alterità come veicolo più fecondo e determinante.
Lèvinas nelle sue opere, abbraccia i concetti fondamentali della
filosofia occidentale, spesso andando a toccare i temi più sensibili
e fondamentali, su cui si basa il nostro stesso linguaggio
metafisico e cognitivo. Le nozioni di soggetto, ontologia,
razionalità e logos, e i loro adiacenti enigmi, vengono riconfigurati
da Lèvinas attraverso l’influenza della Fenomenologia, ed
utilizzati essi stessi, pilastri della riflessione occidentale, come
mezzi per infrangere il primato della conoscenza teorica e
1 P. Lacoue-Labarthe, La Finzione del Politico, Il Nuovo Melangolo 2011, p.47
speculativa2 investendo l’Alterità di un primato attraverso cui
“pensare in modo inedito l’enigma del soggetto, la sua opacità e non
trasparenza”3, arrivando a colpire quello che è per il filosofo il
grande errore del pensiero occidentale, ovvero il non dubitare mai
della struttura gnoseologica e in ultima istanza ontologica, del
pensiero, della significazione, del senso4. Obiettivo dichiarato di
Lèvinas è “l’idea dell’oltrepassamento del pensiero oggettivante
attraverso un’esperienza dimenticata di cui esso vive”5;
l’esperienza dimenticata altro non è che la relazione con l’altro,
assolutamente altro, nel senso di ciò che eccede il pensiero, che
non si dona alla riduzione al sé, polo della cognizione e dei vissuti
di coscienza, relazione con l’Infinito6, con ciò che non si chiude
nel cerchio della totalità delle filosofie dell’immanenza, che trova
suo compimento nel pensiero hegeliano e heiddegeriano, ove la
metafisica, la filosofia prima, si struttura unicamente come al
servizio della logica dell’essere, della sua oggettività, immanenza
ontologica7. L’Alterità è il viatico per indebolire e spezzare l’ideale
dell’intelligibilità integrale, che per l’appunto vuol dire totalità8,
conoscenza legata ad una determinata concezione della ragione e
della verità, gnoseologia che minaccia continuamente la caduta
nel solipsismo, solitudine della ragione ma al contempo sua stessa
struttura9.
La breve riflessione che qui tenterò di condurre è strutturata in
tre passaggi, muovendomi dal piano più prettamente teoretico
2 F. Salvarezza, Emmanuel Lèvinas, Mondadori 2003, p.25 3 Ivi, p.79 4 G. Ferretti, La Filosofia di Lèvinas, Rosenberg&Sellier, p.244 5 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.26 6 Ivi, p.23 7 G. Ferretti, La Filosofia di Lèvinas, Rosenberg&Sellier 1996, p.287 8 E. Lèvinas, Alterità e Trascendenza, Il Nuovo Melangolo 2008, p.49 9 E. Lèvinas, Il Tempo e L’altro, il Nuovo Melangolo 2005, p.33
della analisi, a quello riguardante il significato etico dell’Alterità
nel pensiero di Lèvinas, sua naturale conclusione, sviluppando il
concetto del pensiero sull’Altro attraverso gli strumenti salienti
utilizzati dal filosofo stesso, come le nozioni di Infinito, di Volto,
attraverso il ruolo del Linguaggio e della Parola. Fulcro della
analisi rimane ovviamente quello che è considerato come il suo
lavoro principale sulla questione, ovvero Totalità ed Infinito,
cercando di non tralasciare gli sviluppi della questione nelle altre
opere del filosofo lituano, in particolar modo la sua opera
considerata conclusiva sull’argomento, Altrimenti che Essere. I titoli
forniti alle sezioni che comprendono il saggio non vogliono
essere altro che una semplice e sommaria indicazione dei temi su
cui cercherò di marcare più la mia argomentazione e analisi in
ogni rispettiva parte del testo, ben conscio di come non possano
essere in alcun modo esaustivi dell’andamento dello scritto, dati i
continui rimandi e anticipazioni che nel pensiero di Lèvinas, ogni
termine, ogni concetto e ogni asserzione portano con sé.
Un ringraziamento a mio padre per il suo indispensabile aiuto nel
lungo e tedioso lavoro di catalogazione dei passi e delle citazioni
dalle opere necessarie alla stesura di questo testo.
Alterità/Metafisica/Infinito
L’altro è la pietra di scandalo del pensiero di Lèvinas; in primo
luogo perché è basandosi sulla riflessione riguardo all’Altro Io,
Alter-Ego delle riflessioni husserliane, che il pensatore può tradire
i propri padri Husserl e Heidegger, proprio colpendo il cuore
della riflessione filosofica loro, e per estensione di tutto il
pensiero occidentale a partire da Cartesio in avanti. Più
precisamente a essere colpita è la concezione della Metafisica
come Ontologia, come conoscenza del reale e dell’intelligibile,
come riempimento dello scarto fra ragione e verità. L’Alterità è la
chiave per poter sovvertire questi concetti, andando a intaccare la
possibilità dell’Io di poter conoscere l’Altro come Oggetto. In
Husserl, la dimensione dell’alterità non smette mai di essere legata
a doppio filo ad una dimensione prettamente gnoseologica; la
sfera di appartentività dei vissuti è sì solcata da qualcosa che la
eccede, vi è cioè una trascendenza nell’ordine della costituzione di
un mondo estraneo all’Io10, qualcosa di non originale, che non è
manifestazione dello stesso Io o di una sua proprietà11, ma l’Alter-
ego è riferito sempre all’ego implicito, sé stesso, costituito entro la
propria dimensione primordiale12. L’estraneo è sempre percepito,
momento essenziale per la successiva percezione del mondo
oggettivo13, identificazione sintetica che non mostra particolari
enigmi rispetto agli altri casi in cui una unità oggettiva in generale
non acquisti senso e significato14. Altro è l’aspetto del proprio
10 E. Husserl, Meditazioni Cartesiane, Bompiani 2002, p.127 11 Ivi, p.134 12 Ivi, p.130 13 Ivi, p.143 14 Ivi, p.145
polo di esperienza, se fosse là15, appercepito in base di quei
fenomeni che la propria dimensione appartentiva originale
avrebbe avuto e posseduto identicamente in se stessi se si fosse
recata ove è percepito l’Altro16. Il metro di giudizio è sempre il
Cogito o meglio “com’è possibile l’esperienza dell’altro se sin dall’inizio
eccede dal cogitatum e quindi dalla correlazione con il cogito? La risposta di
Husserl in brevissima sintesi è la seguente: solo procedendo verso se stessi, nel
cuore della vita interiore potrà ritrovarsi la possibilità della stessa esperienza
dell’estraneo”17. L’altro è sempre in un’ottica di potere dell’io
conoscente, dell’io come polo di Erlebnisse, continuo ritorno a sé;
la mira intenzionale e la sua struttura riportano e riducono
l’alterità al medesimo18. La domanda che si pone Lèvinas, e il
compito della sua riflessione, diventa dunque quale sia la
possibilità di pensare l’altro senza ridurlo a mera sfaccettatura del
pensiero dell’Io, configurando la relazione dell’Alterità in modo
inedito per poter ripensare al Soggetto conoscente stesso, nei
termini del suo enigma, della sua opacità e della propria non
trasparenza19. È necessario a questo punto chiedersi
primariamente da quale posizione Lèvinas tenda a contrapporre
all’immanentismo intenzionale della fenomenologia un senso
diverso del fenomeno dell’altro. Per Lèvinas l’Altro è ciò che
pone concretamente sotto scacco la nozione classica, o cartesiana
del soggetto; l’altro comporta infatti la rottura dell’io-totalità20,
impedendo ad esso di costituirsi in privato, creando una rete di
15 Ivi, p.137 16 Ibidem 17 C. Meazza, Il Testimone del Circolo, Franco Angeli 1996, p.141 18 F. Polidori, L’altro Infinito, in Scenari dell’Alterità, a cura di P.A.Rovatti., Bompiani 2004, p.45 19 F. Salvarezza, Emmanuel Lèvinas, Mondadori 2003, p.79 20 A. Ponzio, Soggetto e Alterità, Adriatica 1986, p.15
rapporti intersoggettivi legati alla stessa appartenenza del soggetto
al mondo che precede ogni movimento intenzionale21. Rompendo
il solipsismo dell’Io, l’Altro lo costringe ad un rapporto di
irriducibilità gnoseologica, si struttura come una trascendenza
infinita, irriducibile ad un solo essere per me22. L’ontologia come
Metafisica richiede un soggetto che rinunci a questo tipo di
relazione, dimostrando la sua insufficienza fondamentale nel
momento in cui questo tipo di impostazione puramente
gnoseologica comporta inevitabilmente una soluzione del Cogito
solipsistica23. Non è possibile trasformare l’Altro come proprio
attraverso il processo di percezione, identificazione e sintesi con il
quale le unità oggettive vengono ridotte alla Ichheit24. Il pensiero
rischia qui di pensare esclusivamente come una appropriazione e
investimento dell’Alterità, chiudendo tutto nella totalità di una
unità, di un risultato, identità propria del’idealismo e del realismo
filosofici25. La vera esperienza, esperienza per eccellenza, è invece
la relazione con quell’Infinito che si mostra nella Trascendenza
dell’alterità, relazione con l’assolutamente altro che non si riduce
all’identità26. Per usare le parole stesse dell’autore: ”Il potere dell’Io
non supererà la distanza indicata dall’alterità dell’Altro […] L’altro
metafisico è altro secondo una alterità che non è formale, secondo una alterità
fatta di resistenza al medesimo, ma secondo un’alterità anteriore ad ogni
iniziativa, all’Imperialismo del Medesimo”27. L’essere al servizio
dell’ontologia, che si esplica come ontologia, lavora invece nella
21 Ivi, p.14 22 Ivi, p.27 23 Ivi, p.52 24 Ivi, p.74 25 E. Lèvinas, Alterità e Trascendenza, il Nuovo Melangolo 2008, p.30 26 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.23 27 Ivi, p.36-37
direzione opposta a quella qui indicata, riduzione dell’Altro al
Medesimo28, attraverso la forma del possesso, dominio imperialista
e tirannia dell’ontologia come conclusione dell’obbedienza
all’essere come appropriazione, cioè come conoscenza totale,
completa29. La stessa ontologia di Martin Heidegger, nonostante il
distacco dai risultati del maestro Husserl e l’influenza sul giovane
Lèvinas nell’indicare e illuminare una via che dalla fenomenologia
possa estendere l’orizzonte dell’indagine metafisica al-di-là della
mera interrogazione dell’ente come conoscenza30, è incapace di
andare oltre questa concezione imperialistica dell’io cogito. Dove
egli annuncia un Miteinandersein come costruzione di un Esserci
essenzialmente in vista degli altri31, come modi possibili di
quell’avere cura che è alla base del Dasein32, questo è “aperto
all’Esserci intramondano e con ciò anche agli Esserci che esistono con esso
solo perché l’Esserci è in se stesso essenzialmente con-essere”33. Trovo
necessario porre in risalto come questo con-Esserci del mondo
intramondano è così strutturato solo per la dimensione stessa
dell’Esserci. Heidegger dipinge una intersoggettività neutra,
coesistenza che si perde nell’anonimato dell’essere34, e proprio
uno dei rimproveri più penetranti di Lèvinas all’ontologia
Heideggeriana è il fatto di interessarsi all’altro, all’intersoggettività,
solo in nome dell’interesse all’essere in generale35, dissolvendone
l’Altro, il suo essere singolo e volto, e in ultima istanza la sua
28 Ivi, p.43 29 Ivi, p.44 30 F. Polidori, Heidegger e Lèvinas, in Intorno a Lèvinas, a cura di P.A.Rovatti, Unicopli 1985, p.180 31 M. Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi 2009, p.154-155 32 Ivi, p.152 33 Ivi, p.151 34 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.66 35 Cfr. S. Petrosino, La Verità Nomade, Jaca Book, 1980, p.162
dignità36; Heidegger assoggetta l’uomo all’epopea dell’Essere non
facendone altro che un modo di manifestarsi di questo.37 È
doveroso segnalare come lo stesso Heidegger avesse però
affermato nella celebre Humanismusbrief, che in Essere e Tempo
l’obiettivo era un abbandono dell’antropocentrismo e della
soggettività rimasto incompreso a causa di un linguaggio
inadatto38; per riprendere una frase di Semerari, solipsismo espresso
come automanifestatività dell’essere necessario39. Lèvinas contrasta
esplicitamente a questa ontologia che subordina l’Alterità, in
quanto l’alto non è ciò che si deve superare, inglobare e
dominare, ma ne riconosce l’intima indipendenza dal soggetto40,
la sua distanza. Il rapporto con l’Alterità non può per sua natura
farsi luce nella gnoseologia, perché il soggetto si rapporta a
qualcosa che in nessun modo viene da lui, qualcosa che esce dalla
chiusa circolarità del soggetto oggettivante e conoscente, l’Altro si
oppone a questo tipo di conoscenza41, si oppone a questa logica
predatoria e natura violenta. L’alterità non può più essere indagata
grazie una luce, , che illumini la presenza dell’altro in quanto
oggetto. Lo stesso concetto di luce implica anche il potere e la
possibilità dell’Io di mantenere una separazione volontaria e
oggettivante rispetto agli oggetti che conosce42, apertura di un
orizzonte capace di privare l’essere della sua resistenza43.
L’alterità, nella separazione rimanda a qualcosa che invece si
sottrae manifestandosi, dandosi a-simmetricamente rispetto al
36 Ivi, p.163 37 E. Bonan, Soggetto e Essere, Venezia 2000, p.58 38Cfr. ivi, p.53 39 G. Semerari, Da Schelling a Merleau-Ponty, Bologna 1962, p.328 40 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.88 41 E. Bonan, Soggetto e Essere, Venezia 2000, p.236 42 G. Ferretti, La Filosofia di Lèvinas, Rosenberg&Sellier, p.69 43 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.42
soggetto, un disordine interno alla strutturazione dei fenomeni44,
una resistenza all’Io.
In questa irraggiungibilità dell’Altro, in questa sua impossibilità ad
essere compreso nel circolo della metafisica come totalità e
ontologia, si annida “la pretesa che, oltre l’estremo solipsismo e fuori dalla
diluizione in una struttura anonima, il soggetto possa essere definito come
essenzialmente aperto in una prossimità.”45. Se, come abbiamo già detto
la relazione con l’Altro si struttura come relazione con un
Infinito, cioè con ciò che è già oltre la nostra dimensione
originale e puramente privata, filosoficamente contrapposto alla
Totalità, allora il soggetto trova in sé un impensabile46, nel suo
stesso pensiero, nella sfera stessa delle proprie cogitationes; Alterità
impensabile e Trascendentale attraverso cui il Soggetto
levinassiano si lascia descrivere, in termini di una passività al
fondo della dimensione soggettiva ove il soggetto nel rapporto
con l’alterità viene meno alla luce, cancellandosi da un rapporto di
esperienza ontologizzante47, cioè quello stesso tipo di esperienza
tanto familiare alle filosofie della totalità, dell’attività predatoria del
soggetto, passività nella rinuncia al dominio sull’altro. In questa
separazione possiamo dunque parlare di come si delinei il
soggetto stesso48, soggetto detronizzato dal potere conferitogli
dalla storia del pensiero occidentale, soggetto capovolto e
sconvolto da questa Alterità sempre oltre qualunque possibile
determinazione epistemologica, soggetto del tutto spossessato.
Questa irriducibilità è approfondita e analizzata da Lèvinas
esattamente nel cuore del discorso filosofico, il luogo cartesiano
44 F. Salvarezza, Emmanuel Lèvinas, Mondadori 2003, p.84 45 C. Meazza, Il Testimone del Circolo, Franco Angeli 1996, p.148 46 S. Petrosino, La Verità Nomade, Jaca Book, 1980, p.80 47 F. Salvarezza, Emmanuel Lèvinas, Mondadori 2003, p.86-117 48 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.53-54, cfr. Bonan p.130
del sé, soggetto del sapere, appiglio fondante per la certezza stessa
del sapere49. Nella separazione, esso si struttura in questo
rapporto con l’Infinito, in un Infinito irriducibile alle proporzioni
dello sguardo che lo pensa, che consente di pensare l’Alterità non
come definibile secondo proprie caratteristiche, concetti generali
o modi gnoseologici propri della metafisica come ontologia, bensì
solo in rapporto a sé stessa, come contenuto50, dove si profila una
cifra dell’enigma e dell’inassumbilità fondamentale, a-simmetria,
rottura dello schema gnoseologico di assunzione dei fenomeni.
Ancora una volta, di contro al pensiero occidentale, nel cui
contesto di conoscenza, l’Infinito è invece capace di assorbire il
Finito come il Medesimo che annette l’Altro, pensiero che
sarebbe omnitudo realitatis51. La dimensione del senso stesso del
rapporto con l’Alterità si inserisce nello scarto fra Soggetto ed
Altro, rompendo la dualità soggetto-oggetto che renderebbe la
distanza del rapporto semplicemente incolmabile, rendendolo
bensì un Evento, donatività di un significato che ha come primo
risultato lo sconvolgimento del soggetto stesso52. Sconvolgimento
nel senso di una prossimità all’Altro nella infinità di questo stesso
rapporto; infatti la separazione non potrebbe essere
semplicemente anti-tetica, col mero risultato di un richiamarsi fra
le due parti in causa che nulla ha di diverso dalla totalizzazione
dialettica del Soggetto Conoscente, la separazione, l’infinità della
separazione è inintegrabile, carattere proprio di un essere
49 F. Polidori, L’altro Infinito, in Scenari dell’Alterità, a cura di P.A.Rovatti., Bompiani 2004, p.44 50 E. Bonan, Soggetto e Essere, Venezia 2000, p.173 51 E. Lèvinas, Alterità e Trascendenza, il Nuovo Melangolo 2008, p.70 52 G. Berto, La Macchia Cieca, in Intorno a Lèvinas, a cura di P. A.Rovatti, Unicopli 1985, pp.131-2
trascendente in quanto trascendente, cioè l’Altro53. In questa
Trascendenza l’Io può aprirsi all’Altro attraverso modalità
assolutamente inedite per una prospettiva occidentale di rapporto
con un ente diverso dal soggetto. Ma è lo stesso Lèvinas ad
avvertirci come l’altro di cui posso fare metafisicamente
esperienza, non è altro come gli oggetti a mia disposizione, come
il pane che mangiamo, o il paesaggio da contemplare54.
Innanzitutto il rapporto si struttura come un rapporto di
profonda incertezza, senza possibilità di fondamento ma avente
in sé un rischio, rischio costantemente connaturato alla quel
bisogno di verità che si crea nella Metafisica55. Difatti questo
bisogno si traduce nei termini dell’Infinito come desiderio, l’Altro è
metafisicamente desiderato, desiderio per il quale questa alterità
inassumibile, inadeguata all’idea della ragione, acquista senso56.
Desiderio dell’invisibile, aprente la stessa dimensione della
trascendenza, aprente all’alterità che sconvolge e sovverte il
soggetto; quest’ultimo è in istanza conclusiva nient’altro che
desiderio57. Ma cosa vuol dire che l’Infinito che si mostra
nell’alterità che solca il soggetto, ormai alle soglie dell’impotenza,
porti con sé un desiderio metafisico verso l’assolutamente altro,
capace di delineare il soggetto stesso? Lèvinas spiega che la
caratterizzazione del soggetto è ontologicamente un egoismo58,
jouissance, godimento di qualcosa che è la stessa matrice genetica
alla base della pulsione oggettivante dell’io, l’essere assolutamente
per-sé, quello stesso solipsismo che si traccia come conclusione
53 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.51 54 Ivi, p.31 55 Ivi, p.58 56 Ivi, p.33 57 F. Salvarezza, Emmanuel Lèvinas, Mondadori 2003, p.117, cfr. Ferretti, p.121 58 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.179
del percorso dell’ontologia, produzione stessa di un essere che
nasce59, e il bisogno è la modalità di questo godimento, si è
individuati dal possesso dei propri bisogni, possesso di ciò che
manca. “Il godimento sembra riguardare un altro nella misura in cui in
avvenire si annuncia nell’elemento e lo minaccia di insicurezza. […]la
sensibilità non intenziona un oggetto sia pur rudimentale. Essa riguarda
anche le forme elaborate dalla coscienza, ma la sua opera consiste nel
godimento attraverso il quale ogni oggetto si dissolve in elemento in cui il
godimento si immerge.”60 Il godimento, psichismo e sensibilità dell’Io
e sua modalità per il rapporto con gli oggetti della sua conoscenza
si trova intimamente mancante, incapace di appetizione, quando
si trova d’innanzi quell’essere che non si dà alla sua stessa
modalità, ossia l’Altro nel suo darsi da sé, senza luce che lo
nasconda sotto una forma61, cioè sotto le categorie concettuali
con le quali investiamo gli oggetti e con cui tentiamo anche, come
soggetti desideranti di investire l’altro da noi. La sensibilità quale
modo del godimento basta a sé stessa, egoismo che non ha alcun
bisogno di rimandare ad altro, accontentandosi del dato senza
domandarsi un perché, esattamente la posizione dell’ontologia e
dell’epistemologia di derivazione Cartesiana, fino alla
Fenomenologia; “Il godimento si esaurisce ogni volta nell’istante presente
della soddisfazione immediata, senza alcuna garanzia per il suo domani”62.
Ma l’irruzione dell’Altro in noi ci pone come desideranti, soggetti
passivi, privati dell’autoctonia del proprio mondo, e se ci
ostinassimo a rapportarci all’Altro nei termini dell’ontologia, del
modo del godimento, sfruttamento dell’Altro, la metafisica
59 S. Petrosino, La Verità Nomade, Jaca Book, 1980, p.27 60 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.138 61 Ivi, p.196 62 E. Bonan, Soggetto e Essere, Venezia 2000, p.51
occidentale è condannata ad essere un’Odissea, nella inquietudine
e nella nostalgia di un luogo ove non si è mai stati; lo stesso
bisogno di dominazione sull’Altro attesta niente altro che una
mancanza, una dipendenza nei confronti di ciò che a noi è
esterno63. Manca un terzo termine capace di abbracciare l’Io e
l’Altro, termine che sarebbe invece necessario ad una metafisica
della Totalità; il mito di Gige, dell’Io che vede non visto, io e
interiorità non riconosciuti, vedere l’occhio che ci sostiene nel
proprio sguardo64, presuppongono tutti una tematizzazione non
applicabile alla natura stessa dell’Alterità. Il soggetto può solo
vivere nel fermento di un Altro, e non distaccarsene per
tematizzarlo, secondo la migliore tradizione fenomenologica.
L’Altro è nella propria pelle, nella pelle del medesimo, è nel
medesimo già prima della sua apparizione ad una coscienza, senza
esser correlativa ad un tema65. L’Alterità non appare come ente
plastico, immagine intatta tematizzabile con parole proporzionate;
essa appare solo come disordine66, ancora una volta sguardo
dell’Altro sulla passività del soggetto, passività di un trauma
assordante che de-struttura la coscienza, messa in questione di
ogni affermazione di sé, di ogni egoismo67. Il soggetto è in ritardo
rispetto all’altro, ritardo che tocca la sua stessa identità, in quanto
impossibile da formarsi nel solipsismo68; il soggetto è toccato
dalla traccia dell’altro, inscritta nella distanza assoluta e infinita di
questo. Lo sguardo dell’Altro richiede una risposta diversa a
quella oggettivante del pensiero della modernità, richiede un
63 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.103 64 Ivi, p.59, cfr. Meazza, p.195 65 E. Lèvinas, Altrimenti che Essere, Jaca Book 1983, p.31 66 Ivi, p.111 67 Ivi, p.139 68 Ivi, p.111
Eccomi, risposta ad una convocazione, una responsabilità al-di-là
dell’essenza che risponda di un debito contratto prima di ogni
azione o libertà, prima di qualsiasi pensiero, coscienza o
appercezione, colpa e trauma69; risposta che porta all’arresto delle
attività di tematizzazione, di giudizio e di teoria e richiede una
donazione all’altro, un farsi segno e significato che sia pura
espressione di sé, rendendo chiaro come dunque sia impossibile
continuare a poter pensare l’Alterità e la sua esperienza come un
semplice disvelamento, bensì come rivelazione. Invocazione rituale
e quasi religiosa sottesa alla risposta dell’eccomi, separazione
abissale che solo così può contenere la possibilità dell’errore e
della verità70.
69 Ivi, p.16 70 C. Meazza, Il Testimone del Circolo, Franco Angeli 1996, p.189
Alterità/Parola/Linguaggio
Se all’avvenimento e al trauma dell’Altro in noi, l’unico modo
possibile per donare un senso a questa dimensione riguarda una
risposta pre-originale ad un vocativo, la modalità dell’Eccomi, è
possibile, come del resto fa Lèvinas nel suo pensiero, intendere la
relazione trascendentale con l’altro come inerente alla sfera di un
incontro tra l’Io e l’Altro, che si fa Linguaggio e Parola,
invocazione enigmatica verso l’Altro. Non esiste probabilmente
punto nel pensiero filosofico continentale più lontano di questo
dalla reificazione e logicizzazione della comunicazione e del
dialogo avvenuta nel panorama della filosofia analitica71. La stessa
relazione dell’Alterità che abbiamo fin’ora delineato non rientra in
nessuno schema concettuale o categoriale classicamente
epistemologico, e possiamo dunque aspettarci che gli aspetti del
discorso, della parola, del linguaggio, traccino il loro solco
anch’essi su terreni filosoficamente impegnativi. L’alterità,
nonostante la sua distanza, la sua assoluta trascendenza che la
rende del tutto nascosta dallo sguardo del soggetto oggettivante,
si delinea in ogni caso in un rapporto, in una relazione che
Lèvinas chiama metafisica, che avviene prima di dello stabilirsi di
una proposizione conoscitiva o della sua negazione, bensì è il
nucleo stesso dell’instaurazione del Linguaggio senza il quale non
possono nemmeno darsi le più semplici asserzioni denotative
proprie del pensiero72. La parola dell’altro è infatti ciò che
permette la condizione che vi sia verità, errore, menzogna73. Non
71 Faccio ovviamente riferimento alle critiche della scuola Oxoniense del Linguaggio ai pensatori di stampo fenomenologico ed ermeneutico 72 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.40 73 Ivi, p.49
presentandosi più come tema, la distanza metafisica dell’Altro
non gli impedisce di presentarsi al soggetto come Interlocutore74;
il volto dell’altro introduce un tempo diacronico, non vi è più il
livello sincronico e solipsistico del soggetto con le sue asserzioni,
probabilmente non vi è mai stato, “L’epifania del volto è completamente
linguaggio”75. L’eccomi che si configura come risposta alla prossimità
dell’Altro, è accoglienza dell’evento dell’Altro-da-sè nella parola,
movimento riflesso e di reazione, che viviamo nella nostra stessa
pelle;”Prossimità come dire, contatto, sincerità dell’esposizione”76. La
Rivelazione dell’Altro attende di essere Accolta77. Rivelazione che
si comporta come una estraneità che ci urta, che non risponde
alla nostra interrogazione, eppure che interloquisce col soggetto,
ma non nel senso di una interlocuzione sull’essere, disorientando
le categorie del nostro linguaggio, sradicandolo dai suoi
riferimenti abituali, dalla sonnolenza propria della certezza dell’Io,
gli presenta un ignoto, ignoto incomprensibile prima che ad un
già tardo tentativo di oggettivazione alle stesse categorie del
linguaggio78. La presentazione dell’Altro è infatti significante,
l’altro parla, produce senso, senso che non ha nulla in comune
con un’essenza ideale, in altre parole inspiegabile a partire da una
pre-comprensione dell’essere come nell’ontologia heiddegeriana,
bensì una interpellanza immediata, che chiama, pretende, obbliga
al linguaggio79. L’importanza di questo obbligo, il suo ruolo che ci
lega ineluttabilmente a questo relazionarsi che tanto ha il sapore
74 F. Polidori, Heidegger e Lèvinas, in Intorno a Lèvinas, a cura di P.A.Rovatti, Unicopli 1985, p.186 75 E. Lèvinas, La Traccia Dell’Altro, Pironti 1979, p.16 76 E. Lèvinas, Altrimenti che Essere, Jaca Book 1983, p.20 77 S. Petrosino, La Scena Umana, Jaca Book 2010, p.153 78 F. Salvarezza, Emmanuel Lèvinas, Mondadori 2003, p.193, p.60-61 79 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.64
dell’impossibilità e dell’assurdità, è il donarsi del mondo attraverso
il linguaggio d’altri, altri come principio del fenomeno80, di ciò
che costituisce originariamente gli stessi strumenti con i quali,
inutilmente ed hegelianamente, tentiamo causa l’imperialismo del
Soggetto di prenderne possesso, di farne oggetto. La separazione
assoluta tra l’Altro e lo Stesso è componente indispensabile e
necessaria alla possibilità stessa del linguaggio, perché senza
separazione mancherebbe la dimensione di un’interpellanza; non
potrebbe esservi domanda e nemmeno risposta, giacchè solo una
separazione insopprimibile consente uno scarto fra l’Io e l’Altro,
scarto che permette di porre il dialogo, di porre la dizione della
parola, atto di trascendenza verso ciò che non si è e non si potrà
mai essere, l’Altro. Senza separazione vi sarebbe in ultima istanza
esclusivamente il monologo dell’Io, che tutto comprenderebbe e
direbbe, fino alla sua stessa riduzione al silenzio. Nella
separazione nasce la matrice del linguaggio e della
comunicazione81, separazione del fra-tempo dell’alterità che
introducendo la diacronia temporale di questa relazione,
introduce nello stesso atto la diacronia necessaria alla
comunicazione, quel salto incolmabile che si rifiuta ad una
qualsivoglia fusione di soggetti, appunto perché non vi è
eguaglianza in questa relazione. Fusione di orizzonti propria delle
filosofie della totalità come la dialettica hegeliana82 e l’ermeneutica
gadameriana83. Semerari ha parlato di un residuo ineliminabile
capace di mantenere i comunicanti sempre ad una certa distanza
80 Ivi, p.91 81 C. Meazza, Il Testimone del Circolo, Franco Angeli 1996, p.135-136 82 G. Ferretti, La Filosofia di Lèvinas, Rosenberg&Sellier, p.198 83 Il rifiuto di Jacques Derrida alla prospettiva ermeneutica del dialogo ha, secondo l’autore, molti punti in comune con la caratterizzazione del linguaggio nella filosofia di Lèvinas. Non è questo purtroppo il luogo per un tale approfondimento.
l’uno dall’altro84, rimane un segreto, un enigma nella relazione
dell’Alterità, che permette così all’Altro di esserlo radicalmente e
concretamente, impedendo all’Io un possesso inalienabile e
privato del mondo che si dona con il linguaggio, pena la tirannica
e sterile imposizione tautologica del solipsismo85. L’altro nella sua
radicalità è irrappresentabile formalmente, dialoghiamo con
qualcuno che non è un nostro compagno di servitù, non un
nostro pari al quale dobbiamo la stessa misura che ci deve lui; “il
linguaggio, infatti, può essere parlato solo se l’interlocutore è il principio del
suo discorso, se resta, quindi, al di là del sistema, se non è sul mio stesso
piano. L’interlocutore non è un tu, è un Lei”86. Dobbiamo dunque
pensare alla parola in Lèvinas come luogo di donazione del senso
e del significato, che nella presentazione stessa di questi svela la
propria essenza originaria87. La parola viene da altri, viene dallo
stesso infinito dal quale viene l’invocazione che spetta al soggetto
accogliere e caricarsi, alla quale rispondere l’eccomi, il significato è
l’infinito, e il linguaggio diventa, oltre che luogo dell’ontologia,
prossimità, responsabilità, contatto, qualcosa che va oltre la sua
propria possibilità come ente, oggetto, bensì essenza stessa della
significazione, traccia88dell’altro, in quanto nella parola, nel parlare,
avviene un contatto89 con l’altro, l’infinito, che col suo enigma ha
solcato sin dalla sua apparizione il mio cogito, il mio pensiero. La
traccia non è semplicemente segno, non si inscrive in un insieme
di strutture concettuali che ne possono regolare l’utilizzo.90 Con
84 G. Semerari, La Lotta per La Scienza, di prossima pubblicazione, p.187 85 A. Ponzio, Soggetto e Alterità, Adriatica 1986, pp. 51, 107 86 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.100 87 Ivi, p.211-12 88 A. Ponzio, Soggetto e Alterità, Adriatica 1986, pp. 138 89 Ivi, p.159 90 S. Petrosino, La Verità Nomade, Jaca Book, 1980, p.91
la parola, suo appello, l’altro prosegue nella sua opera di rottura
della fissità dei concetti, sempre inadeguati quando ci si trova al
cospetto di tale distanza, tale infinità, che si trova al di là del
dicibile e del detto, ma è a contatto con il soggetto nell’offerta del
mondo tramite il linguaggio91, il senso che determina l’ontologia e
non il contrario. Nel linguaggio l’incontrare altri diventa ospitalità
nella propria casa, responsabilità verso l’altro, prossimità sull’orlo
del sacrale e offerta del proprio mondo92. Il faccia-a-faccia
immediato e originario con Altri permette l’intelligibilità del
linguaggio, nella cornice di un’offerta, un dono oltre le barriere
dell’Io, facendo così cadere ogni realtà possibile, ma mai
concretizzabile, di linguaggio privato; si forma un diverso tipo di
oggettività, una oggettività caratterizzata dall’offerta delle cose in
proprio possesso, disponibili all’Altro, a tutti93, dono di sé ad Altri
nella sua più intima natura e corporeità, dono della significanza94.
Questo è un incontro fra mondi, fra possibilità del Dire che non
riescono a ridursi nel Detto, diacronia degli interlocutori, la stessa
sovrabbondanza che caratterizzava l’infinito della relazione
Alterità-Cogito e che si mostra anche nel linguaggio quando
questo è investito del solo compito della tematizzazione
oggettivante e ontologica. Il dire è la luce che fa vedere i
fenomeni, ma non può illuminare sé stessa, non può dispiegarsi e
svelarsi tramite se stesso, perché sarebbe richiesta una
enunciazione pre-ontologica, pre-illuminazione, inattingibile coi
mezzi del linguaggio immanente delle filosofie dell’Io.
Nell’opposizione del discorso, opposizione fra il Soggetto e
91 G. Ferretti, La Filosofia di Lèvinas, Rosenberg&Sellier, pp.118, 92 Ivi, p.157 93 Ivi, p.166 94 E. Bonan, Soggetto e Essere, Venezia 2000, p.247-8
l’Altro è prodotta la stessa idea dell’Infinito, salto eccessivo da
compiere nel vano tentativo di costruire una totalità senza residui;
l’unico modo per stabilire un ordine comune agli interlocutori è
quell’atto positivo che si traduce nell’apologia95, nell’entrare in
rapporto con una nudità che ha senso per se stessa, quel
significato che viene prima che la luce dell’intelligibilità si possa
posare su di essa96; interpellanza, vocativo, che lascia indietro la
pretesa di sapere e raggiungere l’altro, che conferma l’irriducibile
eterogeneità non appena gli si rivolga parola, non appena gli si
intravvedono gli occhi. La parola instaura un rapporto con l’Altro
che non tende alla semplice esteriorizzazione di una visione in
me97, tratto invece caratteristico della totalità, tratto predatorio e
imperialistico del medesimo; nel mettere a disposizione le proprie
parole per un mondo comune, nella distanza e nella trascendenza
d’Altri, vi è un fatto etico, l’intenzione profonda del linguaggio98. L’Io
è eletto in questo rapporto con la parola dell’Altro, elezione come
conseguenza della chiamata a cui il soggetto ha già risposto
Eccomi99. La domanda del discorso è qualcosa di più di una
semplice separazione fra comunicanti, non vi è principio di
cooperazione o massime conversazionali che possano giustificare
la logica di una domanda, della mancanza che si esprime nella
domanda, essa è innanzitutto preghiera, appello al soccorso, aiuto
rivolto ad altri100, il linguaggio dice innanzitutto un contatto e un
coinvolgimento, un rischio, rapportarsi agli altri e “giustificare di
fronte agli altri le proprie scelte e i propri atteggiamenti, comportarsi in modo
95 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.258 96 Ivi, p.72 97 Ivi, p.177 98 ibidem 99 C. Meazza, Il Testimone del Circolo, Franco Angeli 1996, p.154 100 Ivi, p.37
responsabile”101, responsabilità nei termini di verità e sincerità per
l’Altro, sincerità che è ancora fondata in quella passività della
passività del soggetto, sincerità del dire, apologia, soggetto
svuotato dalla sua tronfia pienezza di sè102, il piano del discorso
diventa un piano Etico, rispondente della disparità pre-originaria
della relazione con l’Altro, col suo volto. Il linguaggio è
esattamente ciò che ci permette di riconoscere la distanza
incolmabile dalla quale ci viene l’alterità con la sua significazione,
ma soprattutto di lasciarla inviolata103, gesto etico, responsabilità
an-archica del soggetto, che non ha modo di spiegare il peso che
poggia sulle sue spalle. Il dialogo può rischiararsi solo in questa
rettitudine del soggetto, Dio e etica invisibili, cioè non positivi,
non posti nel mondo dell’ontologia, di un Io che si offre
all’invocazione invece che alla oggettivazione, all’esperienza della
sensibilità e dell’egoismo104. Se la comunicazione è pensata
esclusivamente come appetizione dell’estraneo, appropriazione e
violenza riducente tutto al Sé, la comunicazione sembra
abbandonata ad uno scacco, dal quale l’unica via di fuga per
Lèvinas consiste nel far ricoprire alla parola del linguaggio il ruolo
di preghiera, di una relazione etica in cui troviamo la libertà
costitutiva stessa105, significato come infinito cioè Altri. Il
linguaggio risponde ad una responsabilità la cui gravità va oltre la
tematizzazione in una ontologia106; il dire pre-originale, che si
struttura come prossimità, contatto, e una responsabilità
101 A. Ponzio, Soggetto e Alterità, Adriatica 1986, pp. 121 102 E. Bonan, Soggetto e Essere, Venezia 2000, p.135 103 F. Polidori, Heidegger e Lèvinas, in Intorno a Lèvinas, a cura di P.A.Rovatti, Unicopli 1985, p.188 104 E. Lèvinas, Alterità e Trascendenza, il Nuovo Melangolo 2008, p.85 105 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.212 106 E. Lèvinas, Altrimenti che Essere, Jaca Book 1983, p.9
ineluttabile e permette la tematizzazione del significabile, pesa e
giudica in giustizia107, è cioè una fondazione intimamente etica, un
etica come passività senza fondo, sincerità verso l’enigma, la
traccia e la assoluta trascendenza dell’Altro. Levinàs suppone alla
trascendenza del linguaggio una relazione che è responsabilità
non empiricamente riscontrabile, rischio di una mancanza e di un
fallimento della comunicazione, bel rischio da correre108, diacronia
latente nel rapporto con l’Altro capace di renderne la giustizia,
l’eterogeneità, il suo essere unicamente come fine e non come
mezzo; il linguaggio è la porta verso la relazione dell’alterità, che
può solo strutturarsi eticamente.
107 Ivi, p.201 108 Ivi, p.151
Alterità/Volto/Etica
Nel corso di questo saggio abbiamo ripetutamente fatto cenno a
termini quali responsabilità per l’Altro, asimmetria di questa
stessa relazione, apologia, volto, preghiera, esperienza morale,
etica. La filosofia di Lèvinas infatti conclude, per quanto poco
appropriato e poco esaustivo sia questo termine, il suo percorso
partito nel segno del rifiuto delle filosofie della Totalità e
dell’ontologia occidentali, trovando sbocco nella sovversione
stessa di quella che consideriamo metafisica, cioè
aristotelicamente filosofia prima. Non più è questa infatti per
Lèvinas domanda sull’essere, o indagine delle strutture
primordinali dell’esperienza e dell’esperibile; coerentemente con
un anelito di resistenza contro il pensiero cartesiano, contro il
pensiero costituito di proposizioni denotative e oggettivanti, la
metafisica deve smettere i panni consueti e abbracciare un altro
ordine fondante. Etico. Etica come filosofia prima, ma filosofia
priva delle virtù oggettivanti e sinottiche proprie della visione
totalizzante dell’ontologia, l’etica è visione senza immagine109.
L’alterità si configura come una relazione che sconfessa il potere
dell’Io sull’Altro, il dominio frutto di quell’egoismo che
ontologicamente struttura il Soggetto. Caratteristiche proprie del
pensiero oggettivante che nonostante siano del tutto insufficienti
nello stabilire una relazione con l’Altro, vengono ciò nonostante
impiegate dal soggetto, intrappolato nella dimensione auto
fondante dell’ego cogito, che nulla necessiterebbe se non sé
stesso. Un ordine etico è dunque contrapposto ad un ordine di
conoscenza, il primo rappresentante un livello superiore di
109 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.22
comprensione e intelligibilità110. Il pensiero di Lèvinas è quindi
impegnato a configurare una diversa modalità di approccio
all’Altro, alla luce della oscurità che si trova nella trascendenza
assoluta, lo scarto ineliminabile che mantiene l’Altro nel suo
enigma, e che il Linguaggio può solo avvicinare come differenza,
attraverso una interlocuzione e comunicazione che non potrà mai
obbedire a regole formalizzate capaci di svelare l’Altro nella
propria razionalità e interezza. Il senso della relazione ad un
infinito, come prossimità e responsabilità, accoglienza e apertura
all’Altro, Altro che è sempre con me e per me, assume i caratteri
di una possibilità morale, una elezione e chiamata al soggetto da
parte della stessa essenza dell’Altro perché solo questa relazione
permette di rispettare la singolarità e la eterogeneità dell’Altro,
senza ridurlo al Sé. C’è una impossibilità di totalizzazione nella
modalità dell’incontro con l’Alterità,il faccia a faccia, sull’altro non
posso potere, sfugge alla mia presa111. La relazione di lotta, la
relazione di guerra con la quale comincia Totalità ed Infinito non
rappresenta la vera relazione dell’Alterità; in essa infatti vi è solo
volontà di potenza del Soggetto, nella lotta lo stesso io perde la
propria identità112. La ragione totalitaria e totalizzante agisce nella
stessa storia universale, usando la guerra come strumento
risolutivo per l’operato politico, hegelianamente facendo in modo
concreto della storia il banco di un macellaio113
La stessa relazione intersoggettiva invece richiede, pretende,
rispetto della propria Alterità, senza la quale la stessa relazione
intersoggettiva perderebbe di senso alcuno114, è relazione
110 E. Bonan, Soggetto e Essere, Venezia 2000, p.138 111 Ivi, p.37 112 A. Ponzio, Soggetto e Alterità, Adriatica 1986, pp. 45-46 113 G. Ferretti, La Filosofia di Lèvinas, Rosenberg&Sellier, pp.111 114 A. Ponzio, Soggetto e Alterità, Adriatica 1986, p.83
originaria; il volto dell’altro, cioè l’altro che mi parla, mi comunica,
mi dona, è al di là di ogni possibile oggettivazione, ed è il modo
concreto con cui l’infinitamente altro mi si presenta, rende
possibile con me quella relazione metafisica ai limiti dell’assurdo
che l’idea dell’infinito traccia. Il volto dell’altro mi mette in crisi,
non sono io, esteriorità radicale che riconduce all’origine ultima del
significato possibile, con l’Etica come unica via, filosofia prima115.
Per usare le stesse importantissime parole di Lèvinas, di fronte ad
un volto ho la possibilità di perdere l’avidità dello sguardo, il suo
egoismo e il solipsismo, mutandosi in generosità116; sono Io ad
andare incontro all’Altro, che di contro si rifiuta a me, nel senso
che è costantemente trascendenza assoluta e ineguagliabile. La
prospettiva morale verso l’Altro prende dunque forme
particolarissime, rinuncia a qualunque posizione di eguaglianza,
positività e reciprocità del rapporto; il soggetto è sempre in
ritardo, c’è una asimmetria metafisica117, l’altro si rivela
assolutamente a me, sollecitandomi, pungolo vivo nella carne,
quello che Lèvinas in una famosa metafora che ripeterà più volte
nei suoi lavori definisce come “la miseria nel volto dello straniero, della
vedova e dell’orfano”118. L’entrata di Altri in me, nella mia pelle, è la
premessa per mettere in questione la mia libertà, il mio agire
verso l’altro, inizio della coscienza morale data dalla accoglienza
di altri nel mio privato, nella mia casa, irruzione imprevista e
imprevedibile che mi strappa le vesti dell’innocente spontaneità
propria di un Io privato e mi dipinge come usurpatore e
omicida119, cioè scatena la mia possibilità nel mondo degli altri di
115 G. Ferretti, La Filosofia di Lèvinas, Rosenberg&Sellier, pp.130-1 116 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.48 117 Ivi, p.51 118 Ivi, p.76 119 Ivi, p.83
commettere il male verso gli Altri. L’uccisione diventa quindi la
rinuncia totale ad ogni tipo di comprensione verso l’enigma del
volto e della traccia d’Altri, Altri che il solo che posso desiderare
(o decidere) di uccidere120. Nell’etica come Filosofia Prima, si può
dunque narrare la storia di un soggetto forte e virile, come
d’altronde è tracciato da Lèvinas stesso, in termini maschili, che
compie la scelta di abdicare alla sua potenza di fronte alla signoria
del volto d’altri121. Il soggetto in questa relazione è
strutturalmente investito da una passività fondamentale, è accolto
in una esistenza nella quale non è più e mai più il signore, e al
contempo resta capace di avere esperienza dell’altro nella sua
inassumibile verticalità, è capace in questa passività nella propria
pelle122:”Nella deposizione da parte dell’io della sovranità dell’io, nella
forma di io detestabile, significa l’etica, ma probabilmente anche la
spiritualità stessa dell’anima, e certamente la questione del senso dell’essere,
vale a dire il suo appello alla giustificazione”123. L’incontro con l’Altro è
responsabilità per lui, per il prossimo, carità, amore senza
interessamento o concupiscenza; assumere le responsabilità verso
l’altro mostra l’anteriorità della giustizia in questo tipo di rapporto
etico124. L’istanza etica richiama e fa appello al soggetto, gli fa
rispondere all’altro uomo, gli fa pronunciare la parola Eccomi, ne
benedice l’umanità125. Il volto chiede una interpellanza, una
risposta che possa mettere in moto il movimento della
significazione, del rispondere dell’apparire, attraverso l’apertura
120 Ivi, p.203-4 121 E. Bonan, Soggetto e Essere, Venezia 2000, p.172 122 S. Petrosino, La Scena Umana, Jaca Book 2010, p.154 123 E. Lèvinas, Alterità e Trascendenza, il Nuovo Melangolo 2008, p.38 124 F. Polidori, L’altro Infinito, in Scenari dell’Alterità, a cura di P.A.Rovatti., Bompiani 2004, p.58 125 Iolanda Poma “Le eresie della fenomenologia”, ESI 2003, p.71
dell’eccomi, apertura che lascia penetrare nel soggetto il desiderio
metafisico per l’altro, che si produce attraverso l’entrata
dell’Infinito nel finito del soggetto. L’infinito apre l’ordine del
bene, al di là dell’oggettivazione o della logica formale e
determina l’accoglienza dell’Altro in termini di pace, producentesi
originariamente nella dolcezza del volto femminile126, di contro alle
connotazioni maschili e virili del Soggetto. Infinito che nella
risposta all’appello e nel riconoscimento del volto d’autrui si
declina come disinteressamento, spossessamento definitivo
dall’egoismo e dall’egoità del cogito solipsistico e produce un
desiderio perfettamente disinteressato, bontà.127 Lèvinas pensa
dunque la soggezione all’altro, l’asimmetria metafisica come
elezione attraverso l’altro, bontà che mi chiama in anticipo su
tutto, sfugge alla mia responsabilità nel senso che è responsabilità
verso l’altro di un passato im-memoriale, passato etico128. Il
trascendente il cogito sporge dalla sensibilità e permette l’entrata
di Altri nel mio Io, esso si rivela come rivelazione e come parola,
rivelazione la cui accettazione ci permette di pensare e praticare
“un rapporto totalmente diverso dall’esperienza nel senso sensibile del
termine, relativa ed egoista”129. Io sono dominato dall’Altro nella sua
trascendenza, ho obblighi che non posso spiegare come spiego
l’essere di un ente, il volto dell’Altro impedisce la totalizzazione,
annuncia una esteriorità inviolabile con la parola, la cui essenza è
etica in ultima istanza130. Nella prossimità, io sono responsabile
per l’Altro come lui non sarà mai per me. Io sono per l’altro,
definendo la prossimità stessa come responsabilità e la
126 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.153 127 Ivi, p.48 128 E. Bonan, Soggetto e Essere, Venezia 2000, p.349 129 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.197 130 Ivi, p.221
responsabilità attraverso il concetto di sostituzione131,
coinvolgimento non scelto, non voluto; l’Altro mi è di fronte
prima ed indipendentemente da una qualsiasi mia decisione di
esservi accanto. Una delle tesi fondamentali di Lèvinas in
Altrimenti che Essere è per l’appunto la dimensione dell’Altro come
Altro-nella-propria-Pelle, dove la passività per altri non esprime
alcun senso o riferimento ad una volontà di questo esser-per-altri,
asimmetria nella responsabilità; il soggetto etico si traccia come
vulnerabile132, perché la responsabilità per gli altri non potrebbe
scaturire da un libero impegno deciso dal soggetto. L’egoismo che
ha strutturato ontologicamente il soggetto è ciò che permette in
ultima analisi la bontà etica verso l’altro, perché è necessario il
preliminare godimento di ciò che bisogna poi strapparsi dalla
propria bocca per entrare nella relazione Etica, donarsi
donando133 nella responsabilità. Soggetto come ostaggio, che non
ha fatto niente ed eppure è sempre perseguitato, sempre chiamato
in causa134, costretto quindi alla risposta all’appello, quell’Eccomi
che calca una elezione, l’elezione dell’Altri che mi riguarda. È in
questo senso ancora una volta il trauma dell’Altro, capace non
solo di urtare il soggetto, ma di elevarlo, esaltarlo135, renderlo
capace di andare oltre la sua matrice genetica corredata
dall’imperialismo del Medesimo. L’azione etica chiama in causa
un terzo, il prossimo del prossimo, fraternità degli Altri che di
colpo mi riguarda e che capovolge l’Io comandandolo a prendersi
cura e preoccuparsi degli altri136, riconoscendo nell’Altro la sua
131 A. Ponzio, Soggetto e Alterità, Adriatica 1986, p.132 132 E. Lèvinas, Altrimenti che Essere, Jaca Book 1983, p.65 133 Ivi, p.90 134 Ivi, pp.140, 143 135 Ivi, p.157 136 Ivi, p.201
primaria umanità, attraverso la quale l’Altro è considerabile solo
come fine e mai come mezzo137. La responsabilità verso di lui,
verso il terzo, verso l’umanità, non trova un limite, è un obbligo
non proporzionato alla semplice fenomenalità dell’uomo altro da
me, il suo volto dispiega un ordine interamente non
fenomenale.138 In ultima istanza l’etica levinassiana mostra la
possibilità di una escatologia, al di là del senso storico della
morale, o al di là della sua fondazione sulla politica, la cui apertura
è alla guerra139; è una fondazione sulla pace, sulla possibilità di un
irruzione del volto dell’Altro a misura di chi lo accoglie,
possibilità stessa di un pensiero che sappia muoversi su
fondamenta etiche, prima che teoretiche140, senza lasciarsi andare
a semplici inviti moralistici. Lèvinas è impegnato a riscrivere una
grammatica etica141, per poter parlare del volto, dell’Altro,
dell’umanità in termini del tutto inediti, forse insuperabili. La sua
nudità, povertà e indigenza impediscono un tranquillo possesso
del mondo142 da parte del soggetto, riuscendo però a rendere
questo stesso soggetto come insostituibile dal punto di vista etico,
irrecusabilmente chiamato alla responsabilità, ipostatizzandolo in
termini etici, la responsabilità diventa principium individuationis. La
verità non è più qui caratteristica dell’essere che si mostra senza
riserve, bensì del soggetto etico che si espone senza riserve143. In
tutto questo, c’è una dimensione di verticalità della trascendenza;
noi non sappiamo da dove venga tutto questo, c’è un paradosso
137 A. Ponzio, Soggetto e Alterità, Adriatica 1986, p.113 138 E. Lèvinas, Altrimenti che Essere, Jaca Book 1983, p.111 139 A. Ponzio, Soggetto e Alterità, Adriatica 1986, p.184 140 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.208 141 G. Ferretti, La Filosofia di Lèvinas, Rosenberg&Sellier, p.209 142 Ivi, p.154 143 Ivi, p.288
nella significazione etica che non discerne nulla su tale ordine
esteriore e autorevole e al quale partecipo essendone
contemporaneamente autore144; non vi è certezza nella relazione
con Altri, rimane solo il rischio, una scelta di passività e
spossessamento, decostruzione del soggetto classicamente inteso.
L’etica fa riferimento ad un soggetto femminile, esprimentesi
come fuga, inconoscibilità, nascondimento dalla luce145. La
soddisfazione piena del soggetto, basata come abbiamo visto
prima sull’egoismo capace di far gustare il pane che verrà
strappato dalla propria bocca, è preparazione all’insoddisfazione
etica, che si ritrova nella verticalità inassumibile della
Trascendenza divina146, che rimane l’enigma di quel volto, che ora
ha assunto i tratti della significazione etica dell’uno per l’altro
della bontà e della responsabilità. “Al posto di un soggetto omni-
potente, Lèvinas pone quindi un soggetto omni-responsabile e omni-
colpevole”147, responsabilità ipertrofica, elezione non spiegabile,
paradossale, attraverso il terzo che scombinando il rapporto
semplicemente diadico tra io e autrui entra in gioco come l’alterità
assoluta del Divino148, alterità all’ennesima potenza, non
appellabile attraverso il tu, ma rivelantesi attraverso la traccia nel
volto d’altri. L’etica di Lèvinas diventa dunque risposta al
comandamento della Trascendenza divina, quel non uccidere che
appella direttamente il Soggetto, rendendolo impotente e
originariamente aperto all’altro149. Il racconto biblico indica il
segno della particolarità e dell’eccellenza umana, cioè, secondo le
144 Ivi, p.302 145 E. Bonan, Soggetto e Essere, Venezia 2000, p.117 146 Ivi, p.172 147 Ivi, p.334 148 Ivi, p.347 149 Ivi, pp.350, 352
parole di Petrosino “quel vivente che, come più volte si è sottolineato, non
solo vive, come ogni altro vivente, con l’altro, vive in relazione con l’altro, ma
anche e soprattutto lo esperisce proprio come altro, cioè come eccedente questa
stessa relazione”150. L’infinita alterità del Divino, eleva il soggetto, e
quindi l’umanità tutta, chiamata alla dimensione etica,
trasfigurando la metafisica stessa, il modo di guardare al
linguaggio e alla conoscenza, non più praticabili in termini di
tirannia del Soggetto, ma instaurando un mondo, una filosofia,
pensata come apertura all’Altro, alla sua umanità e sacralità.
L’andare verso l’altro è duro lavoro su di sé, contro l’odio che
scaturisce naturalmente secondo logica151, verso l’amore per il
prossimo. Il piano che può trascendere e presupporre l’irruzione
del volto d’Altri e la sua portata Etica è infatti “quello dell’amore e
della fecondità, in cui la soggettività si pone in funzione di questi
movimenti.”152, amore disinteressato, senza concupiscenza e senza
eros, ove la passionalità e eticamente dominata153. È una relazione
etica e mistica, elezione a partire dalla trascendenza divina,
elezione e appello nel raccoglimento e nell’impotenza del
soggetto, invocazione verso l’altro che diventa liturgia, preghiera
rituale e sacrale dove gli interlocutori prendono parte ad un
dramma non rintracciabile nel loro passato154, un terreno che
precede l’uomo e l’umanità e li porta ad un faccia a faccia
assolutamente loro trascendente.
150 S. Petrosino, La Scena Umana, Jaca Book 2010, p.154 151 E. Lèvinas, Alterità e Trascendenza, il Nuovo Melangolo 2008, p.81 152 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.259 153 F. Polidori, L’altro Infinito, in Scenari dell’Alterità, a cura di P.A.Rovatti., Bompiani 2004, p.58 154 E. Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990, p.208
Bibliografia
Egle Bonan, Soggetto ed Essere, Venezia 2000
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Carmelino Meazza, Il Testimone del Circolo, Franco Angeli 1996
Emmanuel Lèvinas, Altrimenti che Essere, Jaca Book 1983
Emmanuel Lèvinas, Totalità ed Infinito, Jaca Book 1990
Emmanuel Lèvinas, Alterità e Trascendenza, Melangolo 2008
Emmanuel Lèvinas, Il Tempo e L’altro, Melangolo 2005
Silvano Petrosino, La Scena Umana, Jaca Book 2010
Silvano Petrosino, La Verità Nomade, Jaca Book 1980
Iolanda Poma, Le Eresie della Fenomenologia, ESI 2003
Augusto Ponzio, Soggetto e Alterità, Adriatica Editrice, 1989
P.A. Rovatti (a cura di), Scenari dell’Alterità, Bompiani 2004
P.A. Rovatti (a cura di), Intorno a Lèvinas, Unicopli 1985
Franscesca Salvarezza, Emmanuel Lèvinas, Mondadori 2003
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