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R ELAZIONE TRA FEDE E MATRIMONIO SACRAMENTALE
S.E.R. Mons. Giuseppe Sciacca
Segretario Aggiunto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica
1. Introduzione
L’argomento di cui tratterò nella presente relazione non è certamente astratto e
non manca, di dimensioni e conseguenze che coinvolgono la vita, i comportamenti
pratici, le scelte esistenziali dei credenti, anche se trattasi di questione che taluno
potrebbe considerare come di scuola, per essere essa paradigmatica e per le molteplicirifrazioni che da essa si proiettano, di natura canonistico-teologica e, quindi,
pastorale.
È la vexata quaestio del rapporto che intercorre tra il consenso coniugale, da
cui germina il matrimonio, sacramento e patto, e la dignità sacramentale che eo ipso
sorge dal matrimonio celebrato tra battezzati, come avverte lapidariamente il can.
1055 § 2 CIC; tema, questo, che ha acquistato vivace attualità in occasione delrecente Sinodo Straordinario dei Vescovi come ci è dato leggere nella Relatio Synodi:
«Secondo altre proposte, andrebbe poi considerata la possibilità di dare rilevanza al
ruolo della fede dei nubendi in ordine alla validità del sacramento del matrimonio,
tenendo fermo che tra battezzati tutti i matrimoni validi sono sacramento» (n. 48).
E, in verità, il tema del ruolo della fede non è per niente astratto poiché, oltre
alla questione della preparazione al matrimonio e dell’ammissione ad esso delle persone che non hanno fede, vi è quello del fallimento del matrimonio dei battezzati
che avevano celebrato il matrimonio fuori dalla Chiesa cattolica perché ad Essa non
appartenenti, come è il caso dei protestanti o dei membri di altre confessioni che pur
amministrano un battesimo riconosciuto siccome valido dalla Chiesa cattolica, o
quello dei cattolici che, allorquando contrassero le loro nozze, erano lontani dalla
pratica religiosa.
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Benedetto XVI non ha mancato di porre in evidenza questo problema nel noto
incontro con il Clero della Valle d’Aosta, avvenuto nell’estate del 2005. Alla
domanda di uno dei sacerdoti, così il Papa rispondeva: «Direi che particolarmente
dolorosa è la situazione di quanti erano sposati in Chiesa, ma non erano veramente
credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non
valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal Sacramento
[dell’Eucaristia]. Questa è realmente una sofferenza grande e quando sono stato
Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ho invitato diverse
Conferenze episcopali e specialisti a studiare questo problema: un sacramento
celebrato senza fede. Se realmente si possa trovare qui un momento di invalidità
perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale non oso dire. Io personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il
problema è molto difficile e deve essere ancora approfondito. Ma data la situazione di
sofferenza di queste persone, è da approfondire»1. Non trattavasi di questione teorica,
ma si esprimeva plasticamente la sensibilità del Pastore dinanzi a tante situazioni
difficili, sollecitando un approfondimento dell’argomento, fino al punto di concludere
che quel che in un primo tempo considerava non troppo complicato ora gli sievidenziava più difficile da definire. In altri termini: si può affermare che la
mancanza di fede può intaccare, o possa intaccare, la validità del matrimonio tra i
battezzati?
Va doverosamente avvertito che tale domanda riguarda in realtà due questioni
diverse. Da una parte, possiamo chiederci fino a che punto la mancanza di fede possa
influire sulla comprensione della stessa realtà naturale del matrimonio, vale a dire, sela mancanza di fede può incidere indirettamente sulla validità del matrimonio, nella
misura, cioè, in cui renderebbe difficile o talora persino impossibile la comprensione
di che cosa sia il matrimonio e la volontà di contrarre un vero matrimonio2. D’altra
1 BENEDETTO XVI, Al clero della Valle d’Aosta, 25 luglio 2005, in Supplemento a L’Osservatore Romano del 25 luglio 2005, Città del Vaticano 2005, p. 21.
2
Cfr. SAN GIOVANNI PAOLO II, Enc. Fides et Ratio, n. 18: «Quando s’allontana da questeregole, l’uomo s’espone al rischio del fallimento e finisce per trovarsi nella condizione dello“stolto”. Per la Bibbia, in questa stoltezza è insita una minaccia per la vita. Lo stolto infatti si illudedi conoscere molte cose, ma in realtà non è capace di fissare lo sguardo su quelle essenziali. Ciò gli
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matrimonio4, per cui nei casi nei quali, allorquando, si contrassero le nozze, mancava
la fede, risulti più probabile che al momento della formazione del consenso, esso
consenso sia sostanzialmente difettoso proprio sul piano naturale medesimo, quel
piano che costituisce peraltro l'unica misura pratica in grado di dirci se c'è stato o
meno vero matrimonio.
Utili suggestioni per ulteriori approfondimenti in materia – peraltro già
auspicati da Benedetto XVI – provengono senz’altro dall’ultimo discorso rivolto da
Papa Francesco alla Rota Romana in occasione dell’apertura dell’Anno Giudiziario
20155.
Giustamente Papa Francesco ribadisce che “l’abbandono di una prospettiva di
fede sfocia inesorabilmente in una falsa conoscenza del matrimonio”.E, in effetti, continua l’attuale Pontefice, mentre la “non conoscenza dei
contenuti della fede potrebbe portare a quello che il Codice chiama errore
determinante la volontà (cfr can. 1099)”, l’assenza d’una visione di fede priva d’un
preziosissimo supporto la volontà coniugale in ordine ai tria bona augustiniana e –
tale assenza – può spingere i nubenti alla riserva mentale e così divenire “causa
simulandi remota”.Viceversa, esigere un determinato grado di fede, a prescindere dalle
conseguenze della mancanza di fede sulla comprensione della natura del matrimonio
nel caso concreto, a mio avviso, finirebbe col rendere pressoché impossibile il
raggiungimento della certezza sulla validità o meno di ogni matrimonio. Chi potrebbe
mai stabilire a priori quale sia il grado di fede necessario, se non lo si fa ponendo a
confronto la concezione di che cosa è il matrimonio con la concezione o con lavolontà positiva dei nubendi al momento della sua celebrazione? Ammettendo la
necessità di un qualche grado di fede, a mio avviso, verrebbe meno la certezza del
diritto e persino il favor matrimonii tutelato dal can. 1060 CIC.
4 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Enc. Fides et Ratio, n. 56: «È la fede che provoca la ragione auscire da ogni isolamento e a rischiare volentieri per tutto ciò che è bello, buono e vero. La fede si
fa così avvocato convinto e convincente della ragione».
5 FRANCESCO, Discorso alla Rota Romana, 23 gennaio 2015.
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Per quanto invece concerne il secondo punto, ritengo che il ruolo della fede nel
sacramento del matrimonio non si può chiarire tentando di determinare quale sia la
fede necessaria per celebrare il sacramento del matrimonio6, perché esso è un
sacramento che ha una sua propria irriducibile e irrinunciabile specificità, quella cioè
di essere, come plasticamente afferma San Giovanni Paolo II nell’Esortazione
Apostolica Familiaris Consortio, «il sacramento di una realtà già esistente
nell’ordine della creazione» (n. 68).
Pertanto, per offrire una risposta adeguata alle molteplici problematiche
giuridiche e pastorali si deve determinare proprio che cosa significhi che il
matrimonio è sacramento e quale è la sua specificità e, conseguentemente,
determinare le esigenze di giustizia e di verità che ne derivano7. Nel caso del sacramento del matrimonio, la realtà che per istituzione divina
diventa essa stessa sacramento della Nuova Alleanza, è costituita dal patto coniugale
medesimo e dal vincolo matrimoniale inteso come la stessa unione coniugale, non già
come realtà estrinseca che unisce, bensì come l’unione stessa in quanto tale8. Bisogna
accuratamente evitare quella visione del sacramento del matrimonio come realtà
meramente transeunte, che si identifica con la cerimonia liturgica, che conferirebbe inquel momento la grazia per vivere fedelmente il matrimonio, poichè il matrimonio è
sacramento in quanto unione permanente e indissolubile, come è l'unione tra Cristo e
la sua Chiesa, che è, appunto, permanente e indissolubile.
6 Sulla problematica generale relativa alla determinazione della materia e della forma delsacramento del matrimonio e il superamento di prospettiva effettuato dopo il Concilio Vaticano II si
veda C. R OCCHETTA, Il matrimonio come sacramento. «Status quaestionis». Prospettive teologiche,in «Ricerche Teologiche», 1 (1993), p. 14-21. Con carattere più storico e critico cfr. R. GERARDI, I
problemi della determinazione della struttura ilemorfica e del ministro nel sacramento delmatrimonio, in «Lateranum», 54 (1988), p. 288-368.
7 Sulla relazione tra matrimonio naturale e matrimonio sacramentale, nonché sull’apportoche la teologia sul matrimonio può dare alla comprensione del matrimonio come realtà appartenenteall’ordine della natura, che mediante la grazia viene “elevato” e “sanato”, ma non trasformato nellasua essenza, cfr. A. MIRALLES, La consistenza del matrimonio come realtà umana ed altriargomenti antropologici. Contributo a un dialogo teologico, in «Annales Theologici» 19 (2005), p.239-248.
8 Sulla nozione di sacramento applicata al matrimonio, cfr. C.J. ERRÁZURIZ M., Contratto e sacramento: il matrimonio, un sacramento che è un contratto. Riflessioni attorno ad alcuni testi diSan Tommaso d’Aquino, in AA. VV., Matrimonio e sacramento, Città del Vaticano 2004, p. 43-56.
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2. Una risposta alla luce della Giurisprudenza Rotale, del Magistero e
della dottrina canonica
In questo mio contributo, che vuol essere un tentativo di approfondimento sul
significato della sacramentalità del matrimonio, come ci chiedeva Benedetto XVI
nell’incontro della Valle d’Aosta poc’anzi citato e come ha anche prospettato il
Sinodo Straordinario, per spiegare il significato dell’affermazione che il matrimonio
dei battezzati è uno dei sacramenti della Nuova Alleanza, terrò conto del Magistero
del Concilio Vaticano II, della lucidissima analisi presentata da Giovanni Paolo II
nella Es. Ap. Familiaris Consortio, n. 68, nonché dei suoi discorsi agli Uditori della
Rota Romana del 2001 e 2003.Occorre da subito rilevare che, senza nulla sottrarre al valore di quanto alcuni
Padri hanno proposto, il sottoscritto sarebbe indotto a ritenere conclusa la questione,
e cioè che sacramento e contratto, per il battezzato, fan tutt’uno, secondo
l’espressione sancita nella celeberrima sentenza Rotale, risalente ai primordi della
ricostituzione del Tribunale Apostolico, coram Monsignor Persiani, del 27 agosto
1910, che definisce “proximum fidei” il principio dell’inseparabilità tra contratto esacramento. A mio avviso, questa inseparabilità, direi meglio “identità”, è in rapporto
diretto con la questione del ruolo della fede nella celebrazione del matrimonio dei
battezzati.
E siffatta conclusione si fonda sul Magistero Pontificio più recente, laddove
San Giovanni Paolo II, facendosi eco consapevole dell’insegnamento costante dei
Predecessori, rivolgendosi ai Prelati Uditori nell’Udienza del 30 gennaio 2003, cosìebbe inequivocabilmente ad esprimersi: «È decisivo tener presente che un
atteggiamento dei nubendi che non tenga conto della dimensione soprannaturale del
matrimonio, può renderlo nullo solo se ne intacca la validità sul piano naturale nel
quale è posto lo stesso segno sacramentale», ribadendo quanto Egli stesso aveva
affermato nell’udienza del 1° febbraio 2001: «A partire dal Concilio Vaticano II è
stato frequente il tentativo di rivitalizzare l’aspetto soprannaturale del matrimonio
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anche mediante proposte teologiche, pastorali e canonistiche estranee alla
tradizione, come quella di richiedere la fede quale requisito per sposarsi» .
Dallo studio sia dei documenti del Magistero, sia del lungo lavoro di revisione
del Codice latino e in quello di redazione del Codice orientale, nonché dalla dottrina,
vengono alla luce diverse proposte di configurazioni del rapporto tra intenzione
soggettiva, sostanza naturale e sacramentalità del vincolo, attraverso il quale è colta
un’evoluzione che, muovendo da talune istanze pastoraliste degli anni ’70 – che non
mancarono, talora, di affiorare anche in qualche orientamento giurisprudenziale,
fattosi subalterno ad un mal filosofato esistenzialismo – tendevano a scardinare i
fondamenti della tradizionale teoria dell’inseparabilità, nel matrimonio, tra contratto e
sacramento, e prospettavano, quale capo autonomo di nullità, la positiva esclusionedella dignità sacramentale dal consenso matrimoniale.
A mio avviso — e in questo concordo pienamente con il Bertolini9 — esistono
soluzioni pratiche, quali il ricorso ad istituti come quello della simulazione totale o
dell’error iuris. Talune posizioni danno per scontato che l’assenza di fede
necessariamente si riverberi a livello intenzionale sulla dignità sacramentale e sulla
capacità di celebrare o ricevere il sacramento, così dimenticando che lasacramentalità del matrimonio non dipende dall’intenzione soggettiva, non ricade
nella disponibilità dei nubenti e non può pertanto esser fatta oggetto di volontà
escludente, ulteriore a quella necessaria e sufficiente per costituire un vincolo valido
secondo il diritto naturale.
L’analisi della Giurisprudenza circa l’esclusione o l’errore relativi alla
sacramentalità, se condotta attentamente, ci consente di rilevare come in talunerecenti decisioni i Turni Rotali, superando una tendenza peraltro minoritaria, han
rimesso in discussione l’autonomia dei citati capi di nullità, ribadendo l’irrilevanza
della fede nella formazione di una retta intenzione coniugale, così statuendo la
parificazione tra l’intenzione naturale e quella sacramentale, ed aderendo infine ad
una interpretazione coerente del principio di identità contratto-sacramento. In questo
9 Cfr. G. BERTOLINI, Intenzione coniugale e sacramentalità del Matrimonio, vol. I, CEDAM,Padova 2008, p. 157-166.
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senso, è paradigmatica la sentenza coram Stankiewicz, del 27 febbraio 2004, che non
ha mancato di orientare la successiva giurisprudenza rotale successiva
sull’argomento10.
Lo studio della giurisprudenza rotale ci permette di altresì cogliere alcuni punti
bisognosi di un chiarimento dottrinale, e cioè: cosa la struttura essenzialmente
relazionale del matrimonio giuridicamente imponga come contenuto suo proprio;
quale sia l’oggetto del consenso in quanto res iusta dovuta nel rapporto di giustizia
che insorge tra i nubendi; se detto contenuto sia sufficiente anche in ragione della
dignità sacramentale; se nello scambio dell’oggetto del consenso abbiano un ruolo
l’atto di fede e l’intenzione sacramentale interna e/o esterna; se, infine, la Chiesa
possegga la facoltà di dichiarare nulli tali matrimoni rettamente posti quanto alla lorosostanza naturale, ma con avversione alla dimensione esclusivamente sacra, ammesso
– e, diciamo noi, non concesso – che questa possa essere esclusa dai contraenti.
Dallo studio storico-giuridico-teologico condotto dal Bertolini, nel quale si
riflette sul momento peculiarissimo e provvidenziale in cui le enunciate tematiche si
appalesarono nella loro complessità, vale a dire il Concilio di Trento, si arriva alla
conclusione che fu proprio in quella sede che emerse funditus il problemadell’inseparabilità contratto-sacramento, della intenzione, della ministerialità, ed
anche dei limiti del potere della Chiesa di irritare ex ante, o dichiarare nulli ex post ,
matrimoni che possiedono l’essenza minimale, così restringendo, di fatto, lo ius
connubii, che è – ribadiamo - di diritto naturale11.
Tale analisi ha consentito al Bertolini di rinvenire in quei dibattiti chiara traccia
di quella distinzione teologica tra natura e sopranatura del matrimonio; verascissione concettuale che – avverte l’Autore – originatasi già in epoca tardo
scolastica, divenuta poi doctrina recepta almeno sino alla sua messa in discussione
nel XX secolo, è risultata essere gravida di negative conseguenze giuridiche,
profondamente incidenti sia sul dibattito creatosi nella canonistica contemporanea
relativamente alla dignità sacramentale del matrimonio, sia derivatamente sulla
10
Un ampio ed acuto commento di questa sentenza lo si trova in A.P. TAVANI, Fede econsenso matrimoniale, Giappichelli, Torino 2013, p. 173-180.11 Cfr. IDEM, vol. II., p. 1-37.
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infatti, permetterebbe di applicare alla dimensione esclusivamente sacra le medesime
categorie che si applicano ai bona augustiniana (fedeltà, indissolubilità, prole).
Affermava al riguardo il Card. Mario Francesco Pompedda, rivolgendosi
all’Arcisodalizio della Curia Romana nel 2003, nella piena maturità della sua lunga e
prestigiosa riflessione canonistica, che era «più corretto parlare non già di intenzione
sacramentale , bensì, semplicemente, di intenzione matrimoniale tout court… Se infatti
fosse possibile distinguere l’intenzione matrimoniale naturale da quella
matrimoniale sacramentale – e sovente si preme perché ciò avvenga – si finirebbe
con l’operare un’ultima frattura, irreversibile questa e gravissima e sarebbe
conferita all’uomo la facoltà di scardinare e riformare lo statuto ontologico dato da
Dio alle realtà create e redente»14.Pertanto, «l’esclusione della sacramentalis dignitas – concludeva
autorevolmente il compianto Porporato – non potrà essere considerata capo
autonomo di nullità, essendone completamente assenti i presupposti. E l’indagine
medesima circa l’intenzione dei nubenti ammetterà un’inquisizione limitata alla mera
realtà naturale, costituendo quest’ultima l’unico oggetto intenzionale, recte
ponendus , così come voluto dall’arcano disegno creatore di Dio»15
.Quanto alla necessità della fede dei nubenti, il discorso muta se si procede alla
doverosa distinzione fra validità del matrimonio e sua fruttuosità, donde l’urgenza, da
parte di tutti gli operatori pastorali, di uno strenuo impegno per una adeguata
preparazione dei nubenti, che faccia pure tesoro, per la ratio dialectica oppositorum,
anche di quanto può emergere da quella cartina di tornasole che sono le cause di
nullità, per evitare che errori si ripetano. E d’altra parte, ciò era già stato avvertito proprio dalla Commissione Teologica Internazionale nel 1977: «Fides est
praesuppositum et causa dispositiva effectus fructuosi, sed validitas non necessario
implicat fructuositatem matrimonii».
14
M. F. POMPEDDA, Intenzionalità sacramentale, in AA.VV., Matrimonio e sacramento,Città del Vaticano 2004, pp. 31-42.15 IDEM.
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Lo ius connubii non si può negare, infatti, a quei battezzati cattolici che, pur
avendo perso il dono della fede, tuttavia hanno la capacità naturale di volere e di
contrarre un matrimonio legittimo, unico, fecondo, indissolubile.
Ed infine, è proprio per ribadire «la necessità di mostrare con coerenza
l’identità ‘matrimonio-sacramento’ »16, che, con il M.P. Omnium in mentem del 26
ottobre 2009, il Santo Padre Benedetto XVI ha deciso la soppressione dai cann. 1086
§1, 1117, e 1124 CIC, della clausola “actus formalis defectionis ab Ecclesia
Catholica”, per cui, anche chi avesse operato – e spesso ciò avviene per concrete
contingenze e scelte che poco hanno a che fare con autentici problemi di fede e nobli
travagli spirituali – chi avesse operato siffatta defezione, è tenuto, ad validitatem, alla
forma canonica, e pertanto contrae valido matrimonio quando la fa osservando laforma canonica, malgrado abbia abbandonato la Chiesa o manchi totalmente di una
fede viva.
Tale disposizione si rivela coerente con le inequivocabili parole rivolte dal
Santo Padre Benedetto XVI alla Rota, nell’Allocuzione del 29 gennaio 2009
«Occorre anzitutto riscoprire in positivo la capacità che in principio ogni persona
umana ha di sposarsi in virtù della sua stessa natura di uomo o di donna. (…) Anzi,la riaffermazione della innata capacità umana al matrimonio è proprio il punto di
partenza per aiutare le coppie a scoprire la realtà naturale del matrimonio e il
rilievo che ha sul piano della salvezza. Ciò che in definitiva è in gioco è la stessa
verità sul matrimonio e sulla sua intrinseca natura giuridica».
3. Conseguenze concrete dell’identità tra matrimonio e sacramentoTentando in qualche modo di tirare le somme alla fine di questo mio
intervento, seguendo quanto scrive il prof. Franceschi17, proverò a tradurre in
conseguenze concrete cosa significhi che il matrimonio è sacramento, che la dignità
16 F. COCCOPALMERIO, Le ragioni di due modifiche, in L’Osservatore Romano, 16 novembre2009.
17 H. FRANCESCHI, Il matrimonio, sacramento della nuova alleanza: la relazione trabattesimo, fede e sacramento del matrimonio, in Villa Avila J., Gnazi C. (a cura di), Matrimoniumet Ius, LEV, Città del Vaticano 2006, p. 369-388.
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sacramentale è inseparabile dal matrimonio come realtà naturale quando è contratto
tra battezzati e, quindi, quale sia la volontà necessaria perché, tra battezzati, esista il
matrimonio valido che è, e non può non esserlo, sacramento della Nuova Alleanza.
Perché tra i battezzati ci sia vero matrimonio e, di conseguenza, il
sacramento, è necessario dunque:
1. che ci sia una volontà veramente matrimoniale.
Ciò si desume da quanto affermato nella Familiaris Consortio: «La decisione
dunque dell’uomo e della donna di sposarsi secondo questo disegno divino, la
decisione cioè di impegnare nel loro irrevocabile consenso coniugale tutta la loro vita
in un amore indissolubile ed in una fedeltà incondizionata, implica realmente, anche
se non in modo pienamente consapevole, un atteggiamento di profonda obbedienzaalla volontà di Dio che non può darsi senza la sua grazia. Essi sono già, pertanto,
inseriti in un vero e proprio cammino di salvezza, che la celebrazione del sacramento
e l’immediata preparazione alla medesima possono completare e portare a termine,
data la rettitudine della loro intenzione»18.
Come sostiene il prof. Miras, questa identificazione tra consenso e sacramento
è conseguenza del fatto che proprio il “mistero” del matrimonio è ciò che vieneassunto da Cristo: «Da questa peculiarità sacramentale, che assume la stessa realtà
naturale come segno sacramentale del matrimonio, risulta che l’azione sacra è la
stessa azione naturale, realizzata dagli stessi protagonisti; e che l’intenzione di
ottenere i fini soprannaturali si realizza necessariamente attraverso quella di ottenere
gli stessi fini naturali, dandosi, pertanto, una coincidenza sostanziale tra intenzione
matrimoniale e intenzione sacramentale»
19
. È comunque chiaro che la vera volontàmatrimoniale si presume, perché è nella natura di essa che quando due persone
decidono di sposarsi la loro volontà implichi, quantunque talora inconsapevolmente,
gli elementi identificatori del patto coniugale, cioè, il suo carattere di unione
indissolubile, fedele e aperta alla fecondità e alla procreazione della vita.
18 SAN GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apos. Familiaris Consortio, n. 68.
19 J. MIRAS, Consentimiento y sacramentalidad. Reflejos de la sacramentalidad delmatrimonio en la regulación jurídica del consentimiento en el CIC y en el CCEO, in «Fidelium
Iura» 14 (2004), p. 143 (la traduzione è mia).
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2. il battesimo valido di entrambi i contraenti. Nella stessa Familiaris
Consortio si legge: «Mediante il battesimo, l’uomo e la donna sono definitivamente
inseriti nella Nuova ed Eterna Alleanza, nell’Alleanza sponsale di Cristo con la
Chiesa. Ed è in ragione di questo indistruttibile inserimento che l’intima comunità di
vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore, viene elevata e assunta alla carità
sponsale di Cristo, sostenuta ed arricchita dalla sua forza redentrice»20.
Viceversa, come abbiamo detto sopra, data l’identità tra matrimonio e
sacramento, quando esso viene celebrato tra due battezzati, non si richiede
invece:
a) uno speciale grado di fede nei nubendi. Occorre però ribadire che per
“volontà matrimoniale” si deve intendere la retta intenzione per la quale ciascuno deinubendi dona se stesso e accoglie l’altro come coniuge, cioè, nella loro coniugalità21.
Questa volontà «implica realmente, anche se non in modo pienamente consapevole,
un atteggiamento di profonda obbedienza alla volontà di Dio, che non può darsi senza
la sua grazia»22. Ma tale obbedienza, di cui quale parla la Familiaris Consortio, non
va confusa con la fede teologale, poiché l’Esortazione la qualifica come sufficiente,
perchè i nubendi cattolici non vengano respinti e non si rifiuti loro la celebrazionedelle nozze. Al riguardo risuonano inequivocabili le parole di Familiaris Consortio,
68: «Non si deve dimenticare che questi fidanzati, in forza del loro battesimo, sono
realmente già inseriti nell’Alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa e che, per la loro
retta intenzione, hanno accolto il progetto di Dio sul matrimonio e, quindi, almeno
implicitamente acconsentono a ciò che la Chiesa intende fare quando celebra il
matrimonio»
23
.
20 SAN GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apos. Familiaris Consortio, n. 13. Cfr. C.J. ERRÁZURIZM., Il battesimo degli adulti come diritto e come causa di effetti giuridico-canonici, in «IusEcclesiae» 2 (1990), p. 16-21.
21 Cfr. J. MIRAS, Consentimiento y sacramentalidad , cit., pp. 147-151; T. R INCÓN-PÉREZ, Laliturgia y los sacramentos en el derecho de la Iglesia , Pamplona 1998, pp. 300 ss.
22 SAN GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apos. Familiaris Consortio, n. 68.
23
SAN GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apos. Familiaris Consortio, n. 68. La volontà dei nubendideve intendere la realizzazione del «segno» in cui consiste il sacramento, ma questo «segno» non sideve confondere con la forma liturgica, come ha ben precisato M.A. ORTIZ, Sacramento y forma delmatrimonio, Eunsa, Pamplona 1995, pp. 33-34: «Occorre tener presente, infatti, che l’intenzione
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Inoltre, insegna ancora la Familiaris Consortio, «voler stabilire ulteriori criteri
di ammissione alla celebrazione ecclesiale del matrimonio, che dovrebbero riguardare
il grado di fede dei nubendi, comporta oltre tutto gravi rischi. Quello, anzitutto, di
pronunciare giudizi infondati e discriminatori; il rischio, poi, di sollevare dubbi sulla
validità di matrimoni già celebrati, con grave danno per le comunità cristiane, e di
nuove ingiustificate inquietudini per la coscienza degli sposi; si cadrebbe nel pericolo
di contestare o di mettere in dubbio la sacramentalità di molti matrimoni di fratelli
separati dalla piena comunione con la Chiesa cattolica, contraddicendo così la
tradizione ecclesiale» (n. 68).
Ancora.
b) non si richiede neanche una volontà esplicita nei confronti della
sacramentalità. Per contrarre il matrimonio non è necessario un diverso atto di
volontà che abbia come oggetto la sacramentalità del matrimonio che si sta
contraendo, distinto da quello che costituisce il vincolo. È sufficiente che i contraenti,
essendo battezzati, abbiano “volontà matrimoniale”, cioè, decidano di costituire la
relazione coniugale che fa loro diventare coniugi, marito e moglie, affinché il vincoloda loro costituito sia necessariamente “segno dell’unione di Cristo e la Chiesa”.
A taluno appare ingiustificato che gli sposi possano produrre l’efficacia
sacramentale propria del matrimonio anche quando essi conducano uno stile di vita
indegno di un cristiano o non intendano minimamente produrre tali effetti. Si
tratterebbe di residui di una concezione “magica” della sacramentalità, di un voler
considerare l’efficacia ex opere operato fino al parossismo. A questa obiezione sideve rispondere che talvolta siffatti atteggiamenti potrebbero certamente integrare
qualcuno dei capi di nullità del matrimonio; altre volte tali comportamenti non
intaccheranno forse la validità del matrimonio, ma costituiranno una offesa – magari
inconsapevole o incolpevole – alla propria unione coniugale e allo stesso Creatore.
sacramentale deve fare riferimento a ciò che la Chiesa intende come sacramento del matrimonio: seintende che esso è ogni matrimonio valido tra battezzati, basterà allora l’intenzione di celebrare un
matrimonio valido. In questo senso, l’intenzione matrimoniale che tende ad unire due battezzati èsempre specificamente sacramentale, se si tiene conto che il consenso matrimoniale costituisce ilnocciolo essenziale del segno sacramentale» (la traduzione è mia).
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Comunque sia, ciò che realizza il segno sacramentale non è la vita né la
testimonianza degli sposi, ma il vincolo valido. Questo dobbiamo onestamentamente
concludere alla luce della Familiaris Consortio (n. 68) e nei Discorsi alla Rota
Romana degli anni 2001 e 2003, poc’anzi richiamati.
Data, infatti, l'identità tra matrimonio e sacramento, sarebbe sbagliato esigere
dai contraenti una speciale volontà, diversa da quella di volere veramente sposarsi,
cioè donarsi nella loro coniugalità con ciò che essenzialmente essa significa. Lo ha
ribadito San Giovanni Paolo II nel suo Discorso alla Rota del 2003 con le seguenti
parole: «L’importanza della sacramentalità del matrimonio, e la necessità della fede
per conoscere e vivere pienamente tale dimensione, potrebbe anche dar luogo ad
alcuni equivoci, sia in sede di ammissione alle nozze che di giudizio sulla lorovalidità. La Chiesa non rifiuta la celebrazione delle nozze a chi è bene dispositus,
anche se imperfettamente preparato dal punto di vista soprannaturale, purché abbia la
retta intenzione di sposarsi secondo la realtà naturale della coniugalità. Non si può
infatti configurare, accanto al matrimonio naturale, un altro modello di matrimonio
cristiano con specifici requisiti soprannaturali»24.
Siccome il segno del sacramento del matrimonio è lo stesso patto coniugalecome momento genetico e il vincolo coniugale che da esso si origina25 — quale
relazione familiare che unisce l’uomo e la donna — si realizza infatti una coincidenza
radicale tra l’oggetto del consenso e il segno sacramentale: ciò che vogliono i
nubendi è costituire la coniugalità, ed essa, in quanto vincolo indissolubile, cioè in
quanto parte della loro co-identità personale, è il segno della mutua appartenenza —
non solo significata ma anche efficace — e della loro co-identità con Cristo-Sposo. Ilsegno sacramentale non è né la vita coniugale, né la testimonianza cristiana dei
coniugi, né la comunione di vita e di amore, ma la relazione coniugale, che è alla base
24 SAN GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Rota Romana, 30 gennaio 2003, n. 8. Cfr. T. R INCÓN-PÉREZ, La peculiaridad sacramental del matrimonio y sus consecuencias canónicas(Comentario a las Alocuciones del Papa a la Rota Romana de 2001 y 2003), in «Ius Canonicum»44 (2004), p. 282-307.
25 La sacramentalità del vincolo coniugale è analizzata con grande spessore in J. HERVADA,
Una Caro. Escritos sobre el matrimonio, Pamplona 2000, p. 117-146 e C.J. ERRÁZURIZ M., Larilevanza canonica della sacramentalità del matrimonio e della sua dimensione familiare, in «IusEcclesiae» 7 (1995), p. 561-572.
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della comunione di persone e sulla quale si costituisce la loro identità di sposi
assunta da Cristo stesso, che diventa loro Sposo per un nuovo titolo26.
In questo senso, come dicevo nell’introduzione di questa relazione, il rapporto
tra fede e sacramento del matrimonio — tenuto conto della peculiarità di questo
sacramento — lo si dovrà cercare nella comprensione e accettazione della realtà
naturale dello stesso matrimonio. Quantunque, però, non si possa stabilire un
determinato grado di fede per essere ammesso alla celebrazione del matrimonio, non
vi sono dubbi che la mancanza di fede, in determinati casi, potrà oscurare la realtà
stessa di che cosa effettivamente siano la persona umana e la coniugalità e, in questo
senso, l’assenza di fede potrebbe favorire la formazione di una volontà contraria alla
verità stessa del matrimonio così come istituito da Dio. È quello che si deduce daquanto afferma Giovanni Paolo II nel suo Discorso alla Rota del 2003: «è decisivo
tener presente che un atteggiamento dei nubendi che non tenga conto della
dimensione soprannaturale nel matrimonio, può renderlo nullo solo se ne intacca la
validità sul piano naturale nel quale è posto lo stesso segno sacramentale»27 (n. 8). Il
che è riaffermato nel citato discorso di Papa Francesco alla Rota del 2015.
Se i nubendi volessero ad ogni modo una vera unione coniugale, ma sprovvistadella sua dimensione sacramentale — cosa che ritengo veramente difficile — sarebbe
necessario discernere con maggiore precisione il processo di formazione della
volontà matrimoniale. In linea di principio si deve presumere che in questi casi si
tratta di ipotesi che non intaccano la validità del matrimonio. Tentando di precisare
ancora di più, dovremmo dire che una volontà contraria alla sacramentalità non può
far sì che il matrimonio diventi una realtà diversa da quella che ha disegnato ilCreatore e che è quello che la Chiesa intende fare quando si celebra il sacramento; se
tale volontà contraria alla sacramentalità fosse molto radicata, il risultato non sarebbe
una situazione matrimoniale non sacramentale, ma un matrimonio nullo per difetto di
26Una buona analisi dell’amore coniugale e del consorzio di vita può trovarsi in G. L OCASTRO, Tre studi sul matrimonio, Milano 1992, p. 34. Per una critica alla dottrina che pone il
segno sacramentale nella comunità di vita, intesa come realtà dinamica ed esistenziale, cfr. M.A.ORTIZ, Sacramento..., cit., pp. 34-35, 37-38.27 SAN GIOVANNI PAOLO II, Allocutio ad Romanae Rotae Auditores, 30 gennaio 2003, n. 8.
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consenso se, come dice Giovanni Paolo II nel suo Discorso alla Rota Romana
dell’anno 2003, questa volontà intacca la validità sul piano naturale sul quale è posto
lo stesso segno sacramentale: «Questa verità non deve essere dimenticata al momento
di delimitare l’esclusione della sacramentalità (cfr. can. 1101 § 2) e l’errore
determinante circa la dignità sacramentale (cfr. can. 1099) come eventuali capi di
nullità. Per le due figure è decisivo tener presente che un atteggiamento dei nubendi
che non tenga conto della dimensione soprannaturale nel matrimonio, può renderlo
nullo solo se ne intacca la validità sul piano naturale nel quale è posto lo stesso segno
sacramentale. La Chiesa cattolica ha sempre riconosciuto i matrimoni tra i non
battezzati, che diventano sacramento cristiano mediante il Battesimo dei coniugi, e
non ha dubbi sulla validità del matrimonio di un cattolico con una persona non battezzata se si celebra con la dovuta dispensa»28.
4. Conclusione
Avviandomi alla conclusione, vorrei affermare che, a mio avviso, qualunque
prassi riguardo al matrimonio dei non appartenenti alla Chiesa cattolica, o di coloro
che si sono allontanati dalla Chiesa o dalla pratica religiosa, ma sono validamente
battezzati, non può non tener conto del dato certo della sacramentalità del matrimonio
dei battezzati, la quale non dipende da una non ben precisata volontà di celebrare il
sacramento, ma è conseguenza della volontà salvifica di Cristo, il quale ha voluto
elevare alla dignità sacramentale ogni vero matrimonio celebrato tra due battezzati.
Perciò, nelle discussioni sulla necessità o meno di una volontà che accetti la
sacramentalità del matrimonio, ci dobbiamo necessariamente confrontare con quanto
ha detto Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio e ha poi ribadito nel suo
Discorso alla Rota del 2003: «la sacramentalità del matrimonio costituisce una via
feconda per penetrare nel mistero dei rapporti tra la natura umana e la grazia»29.
Quindi, sono da evitare tutte quelle prassi e soluzioni pastorali che, poggiando
proprio sulla distinzione tra matrimonio naturale e matrimonio sacramentale, più che
28 IDEM.29 IDEM., n. 5.
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aiutare a penetrare nel mistero dei rapporti tra natura e grazia, come prospettato da
Giovanni Paolo II nel testo appena citato, finiscono per oscurare un’esigenza della
natura, perfezionata dal sacramento del matrimonio nel caso dei battezzati, quale è la
proprietà essenziale dell'indissolubilità del vincolo coniugale30.
Ma non vorrei finire senza fare un riferimento all’ultimo Discorso di Benedetto
XVI alla Rota Romana, nel quale, proprio nell’ Anno della Fede, il Pontefice dedicava
buona parte della sua allocuzione al ruolo della fede nel matrimonio. Taluno ha inteso
vedere il quel discorso quasi una rottura con la giurisprudenza pressoché uniforme
della Rota Romana e con lo stesso Magistero di Giovanni Paolo II abbondantemente
citato lungo questo intervento. Nulla di più lontano dalla realtà. Un’accurata lettura di
questo discorso conferma quanto dicevo già dall’inizio di questo mio intervento.Tuttavia, nessuno mette in dubbio la centralità della fede nei matrimoni dei cristiani,
soprattutto per il loro buon esito.
Ma una cosa è, come abbiamo detto, affermare questo, e tutt’altro è dire e, cosa
ancora più difficile — se non impossibile — tentare di stabilire, un determinato grado
di fede per la validità del matrimonio dei battezzati. Lo ribadisce lo stesso Pontefice
Benedetto XVI, il quale non mette in dubbio l’importanza della fede, ma allo stessotempo mette in guardia contro un’interpretazione errata di tale importanza della fede,
e lo fa citando proprio il discorso del 2003 del suo Predecessore alla Rota Romana:
«Il patto indissolubile tra uomo e donna, non richiede, ai fini della sacramentalità, la
fede personale dei nubendi; ciò che si richiede, come condizione minima necessaria,
è l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa. Ma se è importante non confondere il
problema dell’intenzione con quello della fede personale dei contraenti, non è tuttavia possibile separarli totalmente. Come faceva notare la Commissione Teologica
Internazionale in un Documento del 1977, “nel caso in cui non si avverta alcuna
traccia della fede in quanto tale (nel senso del termine ‘credenza’, disposizione a
credere), né alcun desiderio della grazia e della salvezza, si pone il problema di
30 Sulla continuità del pensiero di Giovanni Paolo II e sui diversi momentinell’approfondimento del magistero circa la relazione tra fede e sacramento del matrimonio, cfr. M.
R IVELLA, Gli sviluppi magisteriali e dottrinali sull’esclusione della dignità sacramentale delmatrimonio, in H. FRANCESCHI, J. LLOBELL, M.A. ORTIZ (a cura di), La nullità del matrimonio: temi
processuali e sostantivi in occasione della «Dignitas Connubii», Roma 2005, p. 299-315.
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sapere, in realtà, se l’intenzione generale e veramente sacramentale di cui abbiamo
parlato, è presente o no, e se il matrimonio è contratto validamente o no” (La dottrina
cattolica sul sacramento del matrimonio [1977], 2.3: Documenti 1969-2004, vol. 13,
Bologna 2006, p. 145). Il beato Giovanni Paolo II, rivolgendosi a codesto Tribunale,
dieci anni fa, precisò, tuttavia, che “un atteggiamento dei nubendi che non tenga
conto della dimensione soprannaturale nel matrimonio può renderlo nullo solo se ne
intacca la validità sul piano naturale nel quale è posto lo stesso segno
sacramentale”»31.
Concludo affermando che, alla luce da quanto finora è stato detto, non vedo in
quale modo, si possano ipotizzare delle nullità del matrimonio per mancanza di fede,
se non nelle fattispecie già enunciate lungo questa disertazione, vale a dire, quei casiin cui la mancanza di fede ha portato ad un rifiuto del matrimonio in alcuni dei suoi
elementi o proprietà essenziale, o un rifiuto del matrimonio stesso (Can 1101, par. 2).
Ciò tuttavia non vieta che in questo periodo inter-sinodale la Chiesa si debba
interrogare sul cosa fare affinché i contraenti, quando si accostano alla celebrazione
del matrimonio, siano adeguatamente preparati non solo dal punto di vista naturale
ma anche sul piano della grazia per celebrare un matrimonio non solo giuridicamentevalido ma fruttuoso e fonte di evangelizzazione, per i membri della famiglia e per la
società intera, così offrendo un esempio di autentica testimonianza cristiana.
Spero, infine, che siamo riusciti a sgombrare il campo da una duplice, estrema
– e quindi banalizzante – esemplificazione, generatrice di equivoci, secondo la quale
da una parte la fede dei nubendi sia intesa come qualcosa di assolutamente estrinseco,
ultroneo, aggiuntivo, totalmente irrilevante rispetto a quello che stanno per compiere,cioè al consenso matrimoniale, e dall’altra la posizione di chi non esita ad affermare
con convinzione, se non addirittura con enfasi, che è impensabile e impossibile
l’emissione di un valido consenso – dal quale prende vita un sacramento – se chi tale
consenso formula dovesse esser privo della luce e del dono di una fede piena e
matura.
31 BENEDETTO XVI, Discorso alla Rota Romana, 26 gennaio 2013.
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