Università degli studi di MilanoFacoltà di Lettere e Filosofia
Corso di laurea in filosofia
LA GENESI DELLA FORMA
LE ORIGINI DEL CONVENZIONALISMO GEOMETRICO NEGLI SCRITTIDI JULES HENRI POINCARE
tesi di laurea di: Davide CRIPPAmatr. n. 616874
Relatore prof: Miriam FRANCHELLACorrelatore: dott.ssa Simonetta DI SIENO
anno accademico 2005/2006
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INTRODUZIONE
Qual è il set di assiomi più adatto a caratterizzare i movimenti rigidi nel piano euclideo?
Nel tentativo di rispondere a questa domanda il matematico e filosofo Jules Henri Poincaré
approda, a partire dal suo lavoro del 1887 (Sur les hypothèses fondamentales de la
géométrie), ad una questione che investe lo statuto ontologico degli assiomi stessi: sono fatti
sperimentali, giudizi analitici oppure giudizi sintetici a priori? Si tratta, in verità, di un trilemma che affonda le sue radici nella storia della filosofia
moderna, dove i tentativi per trovare una soluzione sono andati principalmente in due
direzioni:da un lato, la tradizione empirista che mette capo alla linea Newton – Gauss, incline
a considerare la geometria un capitolo della meccanica e i suoi assiomi enunciati di fatti
sperimentali; dall'altro Kant, secondo cui: «lo spazio non è affatto un concetto empirico, che
sia stato tratto da esperienze esterne», ma: « è piuttosto un’intuizione pura», su cui poggia «la
certezza apodittica di tutte le proposizioni fondamentali geometriche, e la possibilità delle loro
costruzioni a priori»1.
Messo in scacco dallo sviluppo delle geometrie non euclidee, l'apriorismo kantiano ebbe
comunque i suoi fautori durante il secolo XIX, forse grazie alla plurisecolare fiducia
nell'edificio della geometria euclidea, che l'estetica trascendentale sembra confortare. D'altro
canto, la pubblicazione, in un breve torno di tempo, del saggio di Riemann Sulle ipotesi che
stanno alla base della geometria, del lavoro di Helmholtz I fatti che stanno alla base della
geometria e dell'opera di Beltrami Saggio di interpretazione della geometria non euclidea
orientarono in un senso preciso il dibattito intorno ai fondamenti della geometria, che da
allora dovette considerare, pena la mancanza di chiarezza e di onestà intellettuale, il
significato filosofico della rivoluzione non euclidea. È con l'impatto di tale rivoluzione che
Poincaré si confronta, sia nelle opere epistemologiche, sia nei lavori di carattere strettamente
tecnico.
In breve, due questioni affascinarono lo scienziato. In primo luogo, strettamente
collegata al problema intorno alla natura degli assiomi geometrici è la domanda se un'indagine
empirica sulla struttura dello spazio sia effettivamente realizzabile, come preconizzato da
Gauss e da Lobatchevskij, o anche solo possibile. La seconda questione riguarda il “fatto”
dell'intertraducibilità delle geometrie attraverso i modelli, dalla quale deriva l'idea stessa che
gli assiomi geometrici possano essere considerati alla stregua di “convenzioni”. 1cfr. Bottazzini, (1999), p. 9.
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A parere dello scrivente, il “convenzionalismo geometrico” non nasce né da un
interesse dilettantesco per la speculazione filosofica, né da osservazioni cursorie su questo o
quell'aspetto della scoperta scientifica. Esso, al contrario, è radicato tanto nell'attività stricto
sensu matematica dell'autore, a cominciare dai lavori sulle funzioni fuchsiane che risalgono al
decennio 1880-1890; quanto nel contesto delle ricerche della seconda metà del secolo, spesso
condotte da autori coi quali Poincaré intrecciò una fruttuosa corrispondenza, comeFelix
Klein, Sophus Lie o Lazarus Fuchs,.
Il presente lavoro si proporrà di esplorare alcuni “momenti” della genesi del
convenzionalismo Poincareano, indagandone le connessioni con le principali acquisizioni
della geometria nel corso del XIX secolo (tra quelle accennate, la nascita della geometria
euclidea e della geometria proiettiva) e soprattutto, mettendo in rilievo l’intimo legame tra la
riflessione filosofica e la pratica matematica dell’autore. A questo proposito, il confronto
diretto con l’opera di Sophus Lie e con parte degli studi dedicati da Poincaré alle funzioni
automorfe diventa necessario, e contribuisce a ribaltare la concezione secondo cui siano
sopravvissute in Poincaré due “anime”, l'una rivolta alla pratica scientifica, l'altra alla
speculazione filosofica. Al contrario, verrà fornito un esempio evidente di come la ricerca
matematica, in particolare nell'ambito della teoria dei gruppi di trasformazioni, abbia
esercitato una suggestione profonda su idee di natura filosofica, a cominciare dalla distinzione
tra “proprietà formali” e “proprietà materiali” di un ente.
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CAPITOLO I
La lezione di abilitazione di Riemann: Sulle ipotesi che stanno a fondamento della
geometria (1854)2, e l’articolo redatto da Helmholtz: Sui fatti che stanno a fondamento della
geometria (1868)3 rappresentano il primo tentativo di riflessione sui fondamenti della
geometria consapevole del profondo impatto esercitato, a livello storico ed epistemologico,
dallo sviluppo impresso alla matematica del primo Ottocento da un’intera gamma di nuove
scoperte, a cominciare dalle geometrie non-euclidee e dalla geometria differenziale. Del pari,
a partire dal 1867-1868, anno della pubblicazione di entrambi i lavori, essi hanno
rappresentato tanto una ricchissima fonte di suggestioni per matematici e filosofi impegnati
nel problema dei fondamenti e nell’epistemologia della geometria (basti pensare a Klein, Lie,
Poincaré, Einstein, Weyl), quanto un documento prezioso per gli storici della matematica.
Se la dissertazione di Riemann del 1854 rappresenta il punto di passaggio dalla
concezione euclidea, in cui lo spazio «può essere paragonato a un cristallo costituito da atomi
uniformi e immutabili nella disposizione regolare, rigida e immutabile del reticolo», ad una
2 «Con i miei lavori va ora discretamente: all’inizio di dicembre ho consegnato lo scritto di abilitazione e insiemea quello dovevo proporre tre temi per la lezione di abilitazione, tra i quali la facoltà ne sceglie uno. I primi due liavevo pronti e speravo che si sarebbe preso uno di quelli: Gauss però aveva scelto il terzo, e così ora sono dinuovo un po’ alle strette, perché questo devo ancora prepararlo». Così Berhard Riemann, nel dicembre del 1853,esprimeva la propria preoccupazione al fratello Wilhelm circa la lezione di abilitazione (Habilitationsvortrag)che avrebbe effettivamente tenuto nel giugno dell’anno seguente, di fronte alla consiglio di facoltà dell’universitàdi Gottinga. Malgrado la scelta di C. F. Gauss, allora presidente, fosse la meno auspicata, la prolusione “Uber dieHypothesen, welche der Geometrie zu Grunde liegen” offerta dal giovane matematico a un uditorio composto perla maggior parte da filosofi, suscitò una profonda impressione, tanto da indurre lo stesso Gauss, poco incline aglielogi (soprattutto nei confronti dei colleghi) a manifestare la propria ammirazione nel corso di un colloquioprivato con Wilhelm Weber. (Tazzioli, 2000, p. 66).
L’effetto che la lezione ebbe sul princeps mathematicorum è senza dubbio rivelativo della fortuna cuiessa andò incontro nei decenni successivi; fortuna che rese ampiamente giustizia al ritardo con cui l’opera vide lestampe, nel 1868, a quattordici anni dalla sua prima redazione e a due dalla morte del suo autore, avvenutaprematuramente nel 1866.3 le vicende delle due opere sono profondamente connesse. Il lavoro di Helmholtz uscì nel giugno del 1868 sulle“Nachrichten” della Società delle Scienze di Gottinga. Qualche mese prima Helmholtz scriveva a Schering:«nelle notizie biografiche sul Riemann leggo che egli avrebbe tenuto una lezione sulle ipotesi della geometria.Negli ultimi due anni anch’io mi sono occupato di questo argomento in relazione alle mie ricerche sull’otticafisiologica (…) vorrei chiederVi di farmi sapere se il lavoro del Riemann è stato già pubblicato o se lo saràpresto (…) ed eventualmente se Riemann ha preso le mosse da considerazioni uguali alle mie: in tal caso il miolavoro sarebbe inutile, ed io non vorrei dedicarvi più tempo e lavoro di quanto non ne abbia già spesi ». Scheringmandò ad Helmholtz una copia della memoria di Riemann, ed ottenne la seguente risposta (18 maggio 1868): «Viringrazio di avermi inviato copia del lavoro di Riemann (…). Accludo a questa mia una breve notizia sulla partedel mio lavoro, che non trova corripsondenza nella memoria del Riemann sul medesimo argomento, con lapreghiera di consegnarla ai resoconti della Società di Gottinga». La sua richiesta fu accolta, e la memoria fupubblicata nel giugno 1868 con il titolo: Sui fatti che stanno a fondamento della geometria. (Cfr. Cappelletti, inHelmholtz (1967, p. 416).
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concezione che vede lo spazio come «un liquido consistente di atomi parimenti immutabili e
indiscernibili, la cui dipossizione e orientazione, però, sono mutevoli dipendendo dalle forze
che agiscono su di essi»4, l’articolo di Helmholtz viene considerato il punto di partenza dei
tentativi di fondare la geometria su considerazioni gruppali, che ebbero seguito con Klein, Lie,
e soprattutto con la riflessione svolta da Poincaré. Nello stesso tempo, attraverso
l’elaborazione del concetto di “varietà”, in queste due opere affiora una concezione dello
spazio come nozione astratta, svincolata dalla restrizione all’intuizione o al comportamento
dei corpi fisici, destinata a imporsi nel corso del secolo XIX grazie tanto agli sviluppi della
geometria proiettiva e differenziale, quanto alla fondazione della geometria sul concetto
algebrico di gruppo.
Occorre nondimeno osservare che tali considerazioni, sebbene ragionevoli dal nostro
punto di vista, dovettero risultare parzialmente estranee sia a Riemann sia ad Helmholtz, i
quali condivisero, con buona parte del milieu scientifico-filosofico europeo nel corso del
primo ottocento l’idea, di chiaro orientamento empirista, che l’oggetto della geometria fosse
lo «spazio» inteso come «luogo dei corpi fisici» e dei «movimenti»5, e non una nozione più
generale, come quella di “varietà a n dimensioni”. In questo senso è possibile leggere
l’affermazione con cui Helmholtz attribuisce alla propria indagine il compito di specificare
quali:
... caratteri dello spazio appartengano ad ogni aggregato (...) e quali invece siano peculiari dello spazio...6
Lo “spazio” (der Raum), nel quale si muovono i corpi e si diffondono i raggi di luce è
ritenuto un’istanza particolare di quelle “grandezze pluridimensionali, misurabili e
continue...”, che Helmholtz chiama “aggregati”, riprendendo la lezione di Riemann. Proprio
quest’ultimo accoglie, da parte sua, la tesi seguente: «lo spazio costituisce soltanto un caso
particolare di grandezza pluriestesa», di cui l’indagine empirica deve specificare «quelle
proprietà grazie alle quali lo spazio si distingue da altre grandezze triestese pensabili»7.
A questo riguardo, tanto Riemann quanto Helmholtz paiono dare credito alla tesi,
sostentuta nelle prime decadi del secolo XIX da brillanti geometri come Gauss8 o lo stesso
4 H. Weyl, ( 1967, p.108).5 CFr. Torretti (1978, p. 83). 6 Helmholtz (1967, p.424).7 Riemann (1994, p.3).8 Afferma ad esempio Gauss: «dovremo porre la geometria non nella stessa classe dell’aritmetica, che èpuramente a priori, ma in quella della meccanica.» (Bottazzini, 2003, p. 171). E Lobatchevskij, a suavolta «aderiva quindi ad una concezione filosofica radicalmente antitetica al soggettivismo kantiano eassai più vicina a quella di Gauss (…) mentre il filosofo di Konigsberg proclamava la “certezzaapodittica di tutti i principi della geometria” (euclidea), Lobatchevskij non vedeva nessuna
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Lobathcevskij, in base alla quale la geometria doveva essere annoverata nel rango delle
scienze naturali fino a costituirsi branca della fisica. Questo rinnovato empirismo discendeva
sia dalla scoperta, maturata nel corso della prima metà del secolo, di sistemi geometrici
alternativi a quello euclideo ma altrettanto coerenti, sia dalla possibilità realizzata dalla
geometria differenziale (a cui Gauss diede fondamentali contributi) di studiare le proprietà
geometriche e topologiche di superfici immerse nello spazio tridimensionale; fattori che
misero in dubbio la pretesa, avanzata da sostenitori pervicaci della geometria euclidea e dai
seguaci di una certa vulgata kantiana, di descrivere in modo univoco ed esatto la struttura
dello spazio fisico. In merito alla quale, concludeva Karl Friedrich Gauss in una lettera del
1824 indirizzata a F. Taurinus: «se prescindiamo dalla sapienza verbale dei metafisici, vuota
di qualsiasi significato – leggiamo in una lettera che – sappiamo poco o addirittura nulla»9.
Da pari consapevolezza muove Riemann nel contestare alla geometria tradizionale, di
cui fanno parte ad eguale titolo Euclide e Legendre, l’errore di non aver diradato l’oscurità
intorno ai presupposti della geometria:
E’ noto che la geometria presuppone, come qualcosa di dato, sia il concetto di spazio, sia i primi concetti
fondamentali per le costruzioni nello spazio. Di essi dà soltanto definizioni nominali, mentre le determinazioni
essenziali compaiono soltanto sotto forma di assiomi. La relazione tra questi presupposti resta dunque in ombra,
non si vede né se la loro connessione è necessaria e in che misura, né se è a priori possibile10.
Di conseguenza, se le relazioni tra grandezze pluriestese possono essere chiarificate per
via analitica, Riemann, raccogliendo l’approvazione dello stesso Helmholtz, ritiene che solo
all’esperienza spetti il compito di specificare, attraverso un sistema di “fatti”, queste
«determinazioni essenziali» dello spazio. Riemann precisa che l’indagine intorno alle
proprietà dello spazio implica appunto la ricerca dei «fatti più semplici a partire dai quali si
possono determinare le relazioni metriche», ed Helmholtz, d’altro canto, afferma recisamente
che lo studio dei fondamenti della geometria deve muovere dalla separazione tra proposizioni
dotate di contenuto «oggetivamente valido» e semplici «definizioni o conseguenze di
definizioni»11.
Il riferimento al “fatto” accomuna e insieme oppone l’empirismo geometrico dei due
matematici, a partire dal modo quasi polemico con cui l’articolo di Helmholtz richiama, sin
dal titolo (Sui fatti (Tatasachen) che stanno a fondamento della geometria…), le ipotesi
contraddizione per la nostra mente nel supporre che «talune forze della natura seguano una geometria,altre un’altra loro particolare geometria» (Bottazzini, 2003, p. 178). 9 Cfr. Bottazzini (2003, p. 172).10 Riemann (1994, p. 3).11 Helmholtz (1967, p.423).
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(Hypothesen) che invece, secondo Riemann, fondano la geometria. Questa dicotomia
fatti/ipotesi non solo non trova seguito nella lezione di Riemann, che utilizza in modo quasi
paritetico i due termini, ma cade nella misura in cui, nell’uno e nell’altro articolo viene
riconosciuto ai fatti stessi uno statuto congetturale. Scrive Riemann, a proposito del
fondamento fattuale della geometria: “questi fatti, come tutti i fatti, non sono necessari, ma
hanno soltanto certezza empirica, sono solo ipotesi”12. Ed Helmholtz: «nella geometria
abbiamo sempre a che fare con strutture ideali, il cui equivalente fisico costituisce solo
un’approssimazione alle esigenze del concetto».
Storici della matematica come Roberto Bonola e filosofi quali Louis Rougier hanno
ravvisato, soprattutto in riferimento ai successivi sviluppi dell’assiomatica, un’ulteriore
materia di opposizione tra il pensiero di Bernhard Riemann e quello di Hermann Von
Helmholtz. Osserva infatti Louis Rougier, nel suo La philosophie géométrique de Henri
Poincaré:
Pour fonder la géométrie métrique, on peut partir indifféremment des deux concepts fondamenentaux de
distance ou de mouvement ; à chacun de ces deux concepts correspond un ordre particulier de recherches.
Riemann s’est proposé de caractériser la géométrie métrique par l’expression de la distance élémentaire entre
deux points infiniment voisins (...) ce premier ordre de recherches devait céder le pas dans la suite à celui où
l’on caractérise la géométrie métrique par les propriétés des mouvements des figures indéformables, envisagés
comme étant des transformations ponctuelles des figures dans une région de l’éspace.13
Se Riemann assume a priori l’espressione della distanza infinitesima tra due punti di
una varietà, Helmholtz, approfondendo alcune osservazioni di Ueberweg, può ricavarla da
«premesse molto meno ristrette» a partire dall’assunto della sovrapponibilità delle figure,
conformemente al movimento dei corpi rigidi14:
io presi le mosse dal concetto che ogni misura primitiva dello spazio dipende da un’osservazione di
congruenza (...) tuttavia non si può parlare di congruenza se non si possono muovere gli uni verso gli altri corpi
rigidi o sistemi di punti i forma immutabile, e se la congruenza di due grandezze spaziali non sussiste a
prescindere da qualsiasi movimento15.
12 Riemann (1994, p. 4).13 Rougier (1920, p. 55).14 Cfr. Bonola (1906, p. 144).. Scrive in proposito Helmholtz: «Le mie ricerche si distinguono dalle ricerche diRiemann per il fatto che io ho esaminato più da presso l’importanza della condizione restrittiva su detta – onde lospazio reale si differenzia da altri agregati pluridimensionali …» e prosegue: «si può dimostrare che ammettendosin dall’inizio un’illimitata mobilità di figure per sé rigide in tutte le parti dello spazio senza modificazioni diforma, l’ipotesi originaria di Riemann può essere ricavata come conseguenza di premesse molto meno ristrette».(Helmholtz, 1969, pp. 425-426). 15 Helmholtz (1967, p.426).
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Anche su questo terreno, tuttavia, le posizioni dei due autori intrecciano una dialettica
complessa: basterà confrontare con il brano di Helmholtz la breve digressione, lumeggiata nel
seguito, con cui Riemann giustifica l’attribuzione di un metrica ad una varietà n-dimensionale,
per rilevare, al di là della contrapposizione schematica delineata dalla critica, come
l’operazione di misura si fondi per entrambi sull’identico principio della “sovrapponibilità”.
Alla radice dell’oscurità intorno ai fondamenti della geometria, Riemann rileva la
mancata elaborazione del concetto di «grandezza pluriestesa» (mehrfacht ausgedehnte
Grosse). Quest’ultima può essere derivata dalla più generale nozione di “varietà”
(Mannigfaltigkeit16) come sua istanza particolare:
Concetti di grandezza sono possibili solo là dove esiste già un concetto generale che consente diversi
modi di determinazione. A seconda che tra questi modi determinazione vi sia o no un passaggio continuo
dall’uno all’altro, essi formano una varietà (“mannigfaltigkeit”) continua o discreta …17
Mentre i «concetti i cui modi di determinazione formano una varietà discreta sono
frequenti», tra i soli esempi di varietà continue sperimentabili nella vita di tutti i giorni
Riemann segnala i «luoghi degli oggetti sensibili» e il sistema dei colori (Riemann, 1994, p.5).
Ad un risultato analogo giunge Helmholtz, che, sulla base di precedenti ricerche nel campo
dell’ottica fisiologica enumera, oltre al «sistema dei colori, citato anche da Riemann (…) le
misurazioni ad occhio del campo visivo». È probabile però che Riemann abbia tratto
ispirazione da un brano di F. Herbart, il quale annovera «posizione degli oggetti sensibili» e
«successione dei colori» tra gli esempi di «successione seriale nell’esperienza»18.
Il pensiero di Herbart costituisce, del pari, un riferimento ineliminabile per comprendere
la genesi del concetto di “varietà pluriestesa”.19 Beninteso, il ruolo di Herbart in relazione alla
16 V. Cappelletti suggerisce (in Helmholtz, 1967, p. 424) di utilizzare, per un maggiore fedeltà alla «genesistorica del linguaggio scientifico» il termine “aggregato”. Il vocabolo tedesco “aggregat”, peraltro, ritorna, comesinonimo di “mannigfaltigkeit”, nel lessico scientifico di Helmholtz. Nel suo lavoro Philosohpy of geometry fromRiemann to Poincaré, invece, Roberto Torretti propende per l’uso del termine inglese: “Manifold”.17 Riemann (1994, p.4). Una tale nozione valica, in sostanza, sia la semplice generalizzzazione a n dimensionidella geometria elementare del piano o dello spazio, che troviamo nei lavori di Cayley o del conterraneo G.Salmon, sia il progetto grassmanniano di una “teoria dell’estensione” che, in termini moderni, potremmo definireuna teoria degli spazi vettoriali n –dimensionali: «Grassmann’s theory of extension is not a general theory ofmanifolds, but only a theory of n-dimensional vector spaces with the usual euclidean norm» Cfr. Torretti (1978,p.109). Un esame più attento dei contesti in cui Riemann impiega il concetto di varietà ci autorizza perlatro adassimilarlo ex post alla moderna nozione di varietà differenziale n-dimensionale. Con questo termine si intende lacoppia formata dall’insieme astratto M e dall’insieme delle carte che fanno corrispondere iniettivamente regionidi M con regioni di Rn (Cfr. Torretti, 1978, p. 86 e sgg.). 18 Cfr, Pettoello, Introduzione, in Riemann (1994, p.XXI).19 L’impostazione filosofico di Riemann è debitrice alla metafisica di Herbart, come dichiara lo stessomatematico, in materia di teoria della conoscenza e metodologia. L’idea riemanniana, secondo cui il progrediredella conoscenza è assimilabile ad una «dialettica razionale» in grado di condurre alla conosceza di una realtà al
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filosofia della geometria di Riemann e, più in generale, all’intera riflessione sui fondamenti
nel corso del XIX secolo è cruciale: critico nei confronti della dottrina kantiana dello spazio,
diede un valido fondamento filosofico ad una concezione della geometria svincolata dal
dogma della necessità dell’euclidismo20, di cui la lezione di Riemann fornisce eloquente
testimonianza.
L’idea herbartiana di spazio assoluto, rappresentando il fondamento logico –
intelligibile dello spazio sensibile, ed essendo «una mera “finzione” (…) un “concetto
supplementare”, ancorché necessario, di un simbolo per relazioni metafisiche»21 mostra
analogie evidenti con la nozione di “varietà”. Infatti, lo “spazio assoluto” herbartiano si
costituisce, al pari delle “grandezze n – estese” come «possibilità, giacché esso non contiene
altro che immagini dell’essere e lo spazio assoluto altro non è che la possibilità generale di tali
costruzioni, facendo astrazione da una costruzione compiuta».
di sotto dei fenomeni, costituisce una rielaborazione della concezione herbartiana della filosofia come «arte dellacostruzione». Secondo quest’ultimo, infatti, la metafisica è «ars experientiam recte intelligendi», arte della“comprensibilità dell’esperienza”, mediante un processo di integrazione dei dati entro un sistema concettualesuscettibile di continue modifiche per assorbire le contraddizioni che di volta in volta presenta l’esperienzastessa. In modo analogo, secondo Riemann la scienza della natura si costituisce nella sua dimensione storicacome processo graduale di integrazione e rielaborazione concettuale, grazie al quale «la nostra comprensionediventa sempre più completa e giusta, me nello stesso tempo si spinge sempre più indietro, oltre la superficie deifenomeni» Riemann (1994, p. 86) pur senza mai raggiungere la rappresentazione completa ed esaustiva dellarealtà.
L’herbartiano “metodo delle relazioni”, ispirato ai procedimenti del calcolo differenziale e integrale, èall’origine del rifiuto, da parte di Riemann, di un’epistemologia di tipo fenomenistico, allora diffusa tra i fisicimatematici grazie all’influsso di Fourier, e, in seguito, di Dirichlet (Smadjia, (2004), p. 61 sgg.). Così scriveRiemann nel frammento teoria della conoscenza: «Quando allora è vera la nostra concezione del mondo?Quando la connessione delle nostre rappresentazioni corrisponde alla connessione delle cose» -In Riemann(1994, p.88) – sottolineando che tale accordo dipende solo dalla “connessione” degli elementi delle nostrerappresentazioni, e non dalla precisione con cui il reale è rappresentato. Tra i primi e il secondo, infatti, vi ètotale alterità: alle cose, ad esempio, vengono attribuite qualità che dipendono in larga parte da disposizionisoggettive (è il caso delle «qualità note delle cose sensibili, colore, suono, tono, odore, gusto, caldo o freddo»).Ciò non toglie che i rapporti quantitativi, ossia i rapporti spaziali e temporali e «i rapporti d’intensità delle note edelle loro differenze qualitative», abbiano un fondamento ontologico: a differenza delle “qualità” delle cosesensibili la loro rappresentazione «viene trovata o viene data». Affiora, in queste osservazioni, la lettera diHerbart: proprio perché noi «siamo chiusi completamente nei nostri concetti (…) per questo i concetti decidonodella natura delle nostre cose»; ma le forme della nostra esperienza sono d’altro canto indicative di un essere«che da qualche parte deve essere presupposto, perché l’apparenza è: quanta è l’apparenza, tanto è il riferimentoall’essere» (Ibid, p. XV). 20 «La necessità della rappresentazione dello spazio – aggiunge Herbart – non avrebbe mai dovuto giocare unruolo nella filosofia» (ibid.). È probabile che l’eredità del pensiero di Herbart abbia costituito un riferimentocomune per l’intera comunità matematica e scientifica tedesca, tanto da contribuire in maniera decisiva adiffondere una concezione della geometria come “scienza empirica”. Ancora Russell, nel suo I fondamenti dellageometria annovera Herbart (insieme a Kant, Riemann, Helmholtz, Lotze, Erdmann, Delboeuf) tra i filosofi chesi impegnarono nella riflessione sui fondamenti della geometria nel corso dell’Ottocento. Di lui scrive: «Neifilosofi che seguirono Kant, la metafisica per la maggior parte predominò talmente sull’epistemologia, che venneaggiunto poco alla teoria della geometria. Ciò che venne aggiunto proveniva indirettamente dall’unico filosofoche si tenne lontano dalle speculazioni puramente ontologiche del suo tempo, cioè Herbart (…) la sua teoriapsicologica dello spazio, la costruzione dell’estensione dalle serie di punti, il confronto dello spazio con la seriedei toni e dei colori, la sua preferenza in generale per il discontinuo rispetto al continuo, e infine la sua fiducianella grande importanza della classificaizone dello spazio con altre forme di serie (Reihenformen), diederoorigine a molte delle speculazioni di Riemann che fecero epoca, ed incoraggiarono il tentativo di spiegare lanatura dello spazio secondo il suo aspetto analitico e quantitativo soltanto». 21 Cfr. introduzione di R. Pettoello, segnatamente Riemann (1994, p. XXV).
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Scrive Riemann in un Frammento relativo al saggio: «[il concetto di varietà] sussiste
indipendentemente dalle nostre intuizioni nello spazio. Lo spazio, la superficie, la linea sono
soltanto l’esempio più intuitivo di una varietà a tre, due o una dimensione. Senza avere la
benchè minima intuizione spaziale, potremmo tuttavia costruire l’intera geometria» (Riemann,
1994, p.118). Una geometria siffatta – prosegue Riemann nello stesso Frammento relativo al
Saggio –, potrebbe contemplare solo quegli assiomi del tutto indipendenti dalla
«rappresentazione dello spazio», e tali da valere «per grandezze in generale», quale la
proprietà commutativa rispetto alla somma di n addendi.
È tuttavia opinione del matematico tedesco che una geometria astratta dalla
«rappresentazione dello spazio» risulterebbe nel complesso «estremamente infruttuosa», dal
momento che non porterebbe alla scoperta di nuovi principi, rendendo insieme «complicato e
difficile» ciò che «nella rappresentazione dello spazio appare semplice e chiaro»22. Il ricorso
all’intuizione spaziale, che integra e insieme agevola la trattazione delle grandezze a più
dimensioni o delle grandezze immaginarie23, esige che nel contempo venga verificata la sua
origine e attendibilità, attraverso la ricerca, afferma Riemann nelle Ipotesi, dei «fatti più
semplici a partire dai quali si possono determinare le relazioni metriche dello spazio»24.
L’idea che l’indagine empirica possa far conoscere la struttura dello spazio fisico trova
cittadinanza, come accennato in apertura, anche nelle riflessioni di Gauss:
mi sto convincendo – scrive nel 1817 all’amico H. Olbers – che la necessità fisica della nostra
geometria [euclidea] non può essere dimostrata, almeno non dalla ragione umana né per ragioni
umane. Forse in un’altra vita penetreremo la natura dello spazio, che è per ora irraggiungibile. Fino ad
allora dovremo porre la geometria non nella stessa classe dell’aritmetica, che è puramente a priori, ma
in quella della meccanica. (in Bottazzini Il flauto di Hilbert, 2003, p.171 ).
Almeno a partire dal 1813, egli aveva preso in seria considerazione la possibilità di una
geometria senza il V postulato, studiando i lavori di matematici coevi (dilettanti come
Schweikart e Taurinus, oppure professionisti quali Lobatchevskij e Bolyai), e approfondendo
poi lo studio di questa geometria “antieuclidea” con una serie di considerazioni affidate per
prudenza alla corrispondenza privata piuttosto che alla pubblicazione.
Negli stessi anni in cui conduceva con successo le proprie ricerche su questi temi,
l’interesse per la geodesia teorica e le proprietà infinitesimali delle superfici, culminate nelle
22 Riemann (1994, p.119).23 ibid.24 Riemann (1994, p.3).
10
Disquisitiones generales circa superficies curvas (1827)25, portarono il princeps
mathematicorum ad inaugurare un nuovo campo di ricerche, denso di implicazioni in merito
al problema dei fondamenti della geometria, che va oggi sotto il nome di “geometria
differenziale”. Alla radice di questa disciplina c’è l’idea, introdotta nelle Disquisitiones, di
studiare le superfici da un punto di vista intrinseco, cioè «non come contorni di corpi, ma
come corpi di cui una dimensione è infinitamente piccola», come fosse una specie di «velo
flessibile ma inestensibile»26. In conseguenza di questo tipo d’indagini l’opinione affidata alla
lettera del 1817 dovette rafforzarsi ulteriormente.
È significativo che Riemann riconosca, tra le opere cui maggiormente si è ispirato,
accanto ad «alcune ricerche filosofiche di Herbart», proprio le Disquisitiones generales circa
superficies curvas. Anche dal punto di vista strettamente tecnico, le idee introdotte nelle
Disquisitiones costituiscono un riferimento ineliminabile per la comprensione del programma
di ricerca delineato nella lezione del 1854, che, non senza ragioni, M. Jammer ha interpretato
come una generalizzazione della geometria differenziale sviluppata da Gauss:
these papers, and especially his “Disquisitiones circa superficies curvas” published in 1827, broke new
ground and became through the work of Riemann the foundation of modern mathematical investigations into the
structure of space27.
Senza gli strumenti elaborati da Gauss, infatti, Riemann non avrebbe potuto definire
concetti basilari come quello di “elemento lineare” o “geodetica” su una varietà, né avrebbe
potuto estendere a questa la nozione di curvatura.
Lo studio delle varietà continue da un punto di vista analitico coinvolge due momenti
fondamentali: in primo luogo, la costruzione del concetta di “varietà pluriestesa” e la
riconduzione delle “determinazioni di luogo” a “determinazioni di grandezza” attraverso
l’assegnazione di un sistema di coordinate; in secondo luogo, lo studio delle relazioni
metriche di cui è suscettibile una varietà n–dimensionale. A partire dal concetto di “varietà
monoestesa”, che si suppone una varietà percorribile in due sole direzioni28, l’autore mostra
25In una memoria pubblicata nel 1825 nelle Astronomische Abhandlungen, che gli valse un premio banditodall’Accademia delle Scienze di Copenhagen, Gauss affrontò con successo il problema della “rappresentazioneconforme”, cioè il problema della rappresentazione di una superficie su un’altra, in modo da conservare lasimilitudine tra le parti infinitesime. I risultati di questa memoria, insieme ad idee che Gauss andava meditandoda una decina d’anni, vennero rifusi nell’articolo del 1827 che rappresenta, nelle parole di U. Bottazzini, unavera e propria “pietra miliare” della moderna geometria differenziale (Cfr. Bottazzini, 2003, p.172 e sgg).26 Bottazzini (2003, p. 173). Da questo punto di vista, non è errato considerare la geometria piana come unaforma elementare di geometria intrinseca: in questo caso, il piano potrà essere riguardato come un «velo flessibilema inestensibile», le cui proprietà possono essere studiate senza riferimenti allo spazio in cui è immerso.27 M. Jammer (19692), p. 15228 una varietà – leggiamo nei frammenti relativi al saggio – nella quale una successione continua a partire da ognimodo di determinazione è possibile soltanto in due direzioni» (Riemann, 1994, p.112).
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come una varietà ad n+1 dimensioni sia generabile a partire da una varietà monodimensionale
e da una n-dimensionale29 e, successivamente, come una varietà n – dimensionale possa essere
scomposta in una sottovarietà di dimensione 1 e in una di dimensione n– 1. Questo
procedimento, osserva Riemann, permette di ricondurre «la determinazione di luogo ad una
determinazione di grandezza e a una determinazione di luogo in una varietà a meno
dimensioni»30.
Le relazioni metriche di una varietà, prosegue il nostro:
si possono studiare solo in riferimento a concetti astratti di grandezza ed esprimere in modo coerente
soltanto mediante formule; in base a certi presupposti è tuttavia possibile dividerli in relazioni che, prese
singolarmente, sono suscettibili di una rappresentazione geometrica; in questo modo, diventa possibile esprimere
geometricamente i risultati del calcolo.31
Ogni misurazione non è altro che un’operazione attraverso cui viene effettuato il
confronto di parti determinate32 di una varietà continua33; essa «consiste nella sovrapposizione
delle grandezze da confrontare; per misurare – precisa Riemann muovendo da chiare premesse
operazionistiche – è necessario dunque un mezzo atto ad isolare una grandezza come scala di
misura per un’altra»34. Benché sia lecito domandarsi fino a che punto questa definizione sia
applicabile allo studio di una varietà molteplicemente estesa, o, più generalmente, corrisponda
a ciò che la fisica intende per “misurazione” (difficilmente, osserva Torretti, in fisica una
grandezza viene misurata per sovrapposizione di un’unità standard), è nondimeno
condivisibile il parere di Torretti, secondo cui l’osservazione di Riemann «has weighed
heavily on the minds of philosophers of geometry for over a century» (Torretti, 1978, p. 90). É
sufficiente considerare la memoria helmholtziana per comprendere come l’esplicito
riferimento al contesto operazionale della geometria pratica ne abbia orientato in maniera
decisiva l’impostazione di fondo, secondo uno schema che, malgrado le dichiarazioni dello
stesso autore, ricalca nelle sue linee essenziali una struttura di pensiero non estranea a
Riemann. La libera mobilità dei corpi rigidi, condizione di possibilità di qualsiasi misurazione
“pratica”, richiede l’ «indipendenza delle grandezze dal luogo». Quest’ultima può realizzarsi
in diversi modi, dai quali Riemann trae «l’ipotesi che probabilmente si presenta per prima (…)
che la lunghezza delle linee sia indipendente dalla posizione e quindi che ogni linea sia
29 Torretti, (1978 p. 87).30 Riemann (1994, p.7).31 ibid.32 Con questo termine, Riemann intende «parti distinte da una nota o da una demarcazione» (Riemann, 1994,p.5). 33 Nel caso delle grandezze discrete si deve parlare piuttosto parlare di “numerazione”. (ibid.).34 ibid.
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misurabile per mezzo di ogni altra». Tale ipotesi, peraltro, può essere riformulata con
l’esigenza più vicina al lessico di Gauss di esprimere la lunghezza di un arco nella varietà da
un punto di vista “intrinseco”35. Poiché la lunghezza di un arco di curva piana può essere
calcolata come somma delle lunghezze degli archi in cui può immaginarsi suddiviso, essa sarà
nota una volta determinata la lunghezza di un elemento d’arco infinitesimo. Se questa ipotesi
viene generalizzata ad una varietà ad n dimensioni, ad ogni punto della quale sono state
assegnate n coordinate x1, x2…. xn, determinare la lunghezza di un “arco n-dimensionale”
equivarrà a stabilire una corrispondenza tra gli incrementi delle grandezze x e gli incrementi
di una variabile s, il cui differenziale “ds”, definito “elemento lineare”, esprime la misura
dell’elemento d’arco infinitesimo. Diviene in tal modo possibile elaborare, suggerisce
Riemann: «un’espressione generale per l’elemento lineare ds (…) che dunque conterrà le
grandezze x e le grandezze dx»36.
Le Disquisitiones offrono un contributo importante in questa direzione, almeno per
quanto riguarda spazi bidimensionali, laddove Gauss, una volta introdotta la nozione di
coordinate curvilinee sulla superficie, definisce l’espressione della «prima forma
fondamentale»37 attraverso la formula:
ds2= g11dx12 + g12dx1dx2 + g22dx2 (1)
che specifica la lunghezza di un arco infinitesimo di linea sulla superficie come
funzione delle coordinate x1 e x2 e del parametro gij a sua volta esprimibile mediante funzioni
di x1, x2 e delle loro derivate prime e seconde38. Si osservi che nell’espressione del ds2 non
compare alcun riferimento alla geometria dello spazio in cui la superficie è immersa.
Il procedimento seguito da Riemann generalizza i risultati di Gauss muovendo dalle
premesse secondo cui i dx variano con continuità (i) e l’elemento lineare ds è invariante per
spostamenti infintesimi39 (ii). In tal modo: «l’elemento lineare potrà essere una qualsiasi
funzione omogenea di primo grado delle grandezze dx». Inoltre, prosegue l’autore, rispetto ad
un punto qualsivoglia fissato sulla varietà «questa funzione dovrà descrescere o aumentare in
qualsiasi direzione ci si sposti, rispetto al punto iniziale»40. Sia infatti P un punto di coordinate
(x1, x2, …, xn): preso un qualsiasi altro punto P’ nell’intorno di P, avremo: x(P’) = (x1 + dx1, x2
35Scrive Torretti: «as a property belonging to the arc as a one-dimensional submanifold». Torretti (1978, p. 91).36Riemann (1994, p. 9).37cioè la lunghezza di un arco infinitesimo di linea sulla superficie. È lo stesso matematico a riconoscerel’importanza di questa espressione, tanto da ritenerla «il vero punto di partenza per l’espressione generale di unasuperficie». Cfr. Bottazzini (2003, p.173).38 ibid.39 La grandezza dell’elemento lineare, trascurando le grandezze di secondo ordine, rimanga invariata quando tuttii suoi punti subiscono la medesima variazione infinitesima di luogo» (ibid.).
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+ dx2, …, xn + dxn). Il valore ds dell’elemento di linea PP’ corrisponde perciò, in accordo con
l’osservazione di Riemann, ad una funzione degli incrementi dxi.
A tale funzione vengono imposte, nel seguito, due ulteriori condizioni. In primo luogo
viene richiesto che l’elemento lineare ds rimanga invariato «quando tutte le grandezze dx
cambiano di segno», il che equivale a porre l’uguaglianza41:
||α v|| = |α| || v || (2)
per ogni vettore infinitesimo v e per ogni scalare α. Questa prescrizione suggerisce che
l’espressione dell’elemento lineare possa corrispondere ad una radice positiva della funzione
omogenea degli incrementi dx1, dx2,…, dxn.
La seconda condizione viene specificata assumendo che l’elemento lineare ds sia
posto «uguale alla radice quadrata di una funzione intera, omogenea, di secondo grado delle
grandezze dx, i cui coefficienti sono funzioni continue delle grandezze dx»42. Dobbiamo
rilevare che Riemann si limita a postulare questa condizione in modo arbitrario43, asserendo
che formule differenti per la grandezza ds, a partire dal «caso successivo», in cui l’elemento
lineare «si può esprimere mediante la radice quadrata di un’espressione differenziale di quarto
grado», pur concepibili senza richiedere un ulteriore affinamento dei principi, presentano il
duplice inconveniente di arrecare una notevole perdita di tempo e, in aggiunta, di non portare
a risultati rilevanti44 né interpretabili in chiave geometrica. Va tuttavia rimarcato che proprio
questa terza condizione consente di assegnare una struttura metrica alle varietà.
Da queste premesse, Riemann ricava come espressione dell’elemento lineare in uno
spazio n-dimensionale di coordinate x1, …, xn, la seguente formula:
ds2 = Σgij dxidxj, (3)
40Riemann suppone che, nell’intorno di un punto dato, la funzione ds aumenti in qualsiasi direzione vengacalcolata, in modo da avere un minimo nel punto iniziale. Questa condizione si traduce immediatamente nellaseguente: «il differenziale di primo ordine deve annullarsi e quello di secondo ordine non può mai esserenegativo» (Riemann, 1994, p.9).41 Cfr. Torretti (1978, p. 92).42 Riemann (1994, p. 9). 43 Come ricorda M. Jammer: «He was fully aware of the arbitrariness in his determination of the lenght of the lineelement and emphasized the possibility of othewr expressions, as, for instance, the fourth power of ds as abiquadratic form of the coordinate differentials» (Jammer, 19692, p. 155).44 «Lo studio di questa classe più generale non richiederebbe certamente principi sostanzialmente diversi, maporterebbe via parecchio tempo, e getterebbe relativamente poca luce sulla teoria dello spazio, soprattutto perchéi risultati non si possono esprimere in termini geometrici». Riemann (1994, p. 9).
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che rappresenta l’immediata generalizzazione a n dimensioni della prima forma
fondamentale di Gauss.
Non solo la (3) rende possibile il calcolo della distanza tra due punti infinitamente
vicini, ma potrebbe anche essere impiegata per calcolare, dati due punti P e Q di una varietà,
la lunghezza di qualsiasi arco n-dimensionale aventi questi punti per estremi, in accordo con
quanto osservato riguardo alla lunghezza di un arco sopra una superficie.
Tuttavia l’espressione dell’elemento lineare definita in (3) non vale per varietà qualsiasi.
Il discorso di Riemann, infatti, muove dall’assunto implicito che in ogni varietà si possa
definire una “funzione distanza”: questa ipotesi però implica che sia sempre specificabile una
norma μp, sulla cui base assegnare una metrica alla varietà stessa. Un’operazione di questo
tipo non è eseguibile in generale, ma sussiste solo per quegli spazi, detti varietà riemanniane,
dotati di una particolare struttura.
Per chiarire questa conclusione, che se accolta renderebbe il programma di Riemann
applicabile ad un’unica “classe” di grandezze, può essere utile considerare il concetto di
“distanza euclidea”. È noto infatti che uno spazio vettoriale E su R si dice euclideo se è
considerato congiuntamente con una forma bilineare simmetrica definita positiva:
φ (x, y) = x ∙ y, (4)
chiamata prodotto scalare dei vettori x e y.
In uno spazio vettoriale euclideo è possibile associare, ad ogni x ∈R una norma:
|| x || = (x ∙ x)1/ 2 (5)
E, in seguito, definire l’applicazione d: ExE→R data da:
∀x, y ∈ E, d(x, y) = || x – y || (6)
che chiameremo distanza euclidea.
Solo su uno spazio vettoriale normato, in conclusione, possiamo definire una funzione
distanza; analogamente, solo l’assegnazione di una norma ad una varietà consente di stabilire
su di essa una metrica45.45 Se indichiamo con la scrittura T2(TpM) lo spazio vettoriale delle funzioni bilineari il cui dominio èrappresentato dal prodotto cartesiano TpM x TpM, e con T2(M) l’unione di tutti gli spazi vettoriali T2(TpM)
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In questo caso, per una varietà Riemanniana M, la funzione distanza si definisce nel
modo seguente:
dati P, Q∈M, sia l’insieme L(P, Q) = {λ|λ è la lunghezza di un arco in M che unisce P a
Q},
La funzione distanza richiesta può soddisfare la seguente eguaglianza:
d(P ; Q) = inf L(P; Q) (7)
Il percorso minimo tra due punti P e Q, che nel caso del piano si riduce al segmento di
estremi P, Q, è detto geodetica.
Su queste basi, Riemann può estendere la nozione di curvatura, definita inizialmente da
Gauss per le superfici, a varietà qualsiasi:
per dare un significato concreto alla misura di curvatura di una varietà n-estesa, in un punto dato e in una
direzione della superficie data che passi in quel punto, è necessario partire dal principio che una linea di minimo
percorso, originantesi da un punto, è pienamente determinata quando è data la sua direzione iniziale. Di
conseguenza si otterrà una superficie determinata prolungando in linee di minimo percorso tutte le direzioni
iniziali che partono da un punto dato e che si trovano nell’elemento di superficie dato, e questa superficie ha, nel
punto dato, una misura di curvatura determinata, che è contemporaneamente la misura di curvatura della varietà
n-estesa, nel punto dato e nella direzione di superficie data.46
In altri termini, il fascio di geodetiche aventi origine in un punto della varietà, che può
essere espresso come combinazione lineare di due vettori infinitesimi del fascio dxμ e dxν
linearmente indipendenti, forma47 una superficie bidimensionale σμν. Sia N la normale alla
superficie: il suo orientamento determina la misura KN della curvatura «nel punto dato e nella
direzione di superficie data»48. Si ottengono con questa tecnica n misure di curvatura per ogni
definiti da ogni spazio tangente al punto P ∈ M, una varietà riemanniana è caratterizzata da una coppia [M; μ],nella quale M costituisce una varietà differenziabile, mentre μ rappresenta una corrispondenza (μ: M→T2M) cheassocia ad ogni P∈M la funzione bilineare μp: TpM × TpM→R. La possibilità di definire una metrica sulla varietànormata <M; μ> richiede di porre alla funzione μ le seguenti condizioni: (i) μ è simmetrica: per ogni P∈M, e perogni v, w ∈TpM, μp(v,w) = μp(w,v); (ii) μ non è degenere: per ogni P∈M, per ogni w∈TpM, se v∈TpM, μp(v,w) =0 sse v = 0; (iii) per ogni P∈M, e per ogni v ∈TpM, μp(v,v) ≥ 0. Dai punti (i) – (iii), deriva che alla varietà M puòessere assegnata la norma:
|μp(v,v)|1/2,
con v ∈TpM. Inoltre, perché ad M possa essere attribuire una metrica, occorre semplicemente che vengadefinita una funzione distanza d: M x M→R. (Cfr. Torretti, 1978, pp. 92-94).46 Riemann (1994, p. 14).47 Cfe. Jammer (Jammer, 19692, pp.159-160).48 Ibid.
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punto, tante quante sono le direzioni di superficie; nondimeno Riemann ritiene che le
relazioni metriche di una varietà si possono determinare se: «la misura di curvatura viene data
in ogni punto in n(n –1)2 direzioni di superficie»49.
In formule, la curvatura generale KN di una varietà viene descritta dall’espressione:
( ) γδαβγδαβ
γδαβαβγδ43
gg σσσσ
−=
RK N
Il simbolo R(α β γ δ), definito tensore di Riemann – Christoffel, determina il grado di
allontanamento dalla planeità in ogni punto della varietà n-dimensionale50. Infatti, nel caso di
varietà piane, ponendo: Rα β γ δ = 0, anche il valore di curvatura si annulla. Poiché la formula:
Rα β γ δ = 0
esprime analiticamente la struttura euclidea dello spazio, si può inferire che lo spazio
euclideo è caratterizzato da una curvatura pari a zero51.
Se invece si assume l’indipendenza della curvatura dall’orientamento di N rispetto alla
superficie geodetica, ricaviamo l’equazione:
K(gα γgβ δ – gα δ gβ γ ) = Rα β γ δ, (10)
dalla quale si può ottenere52:
∂K / ∂xn = 0. (11)
49 Riemann (1994, p.12).50 Jammer (19692, p. 160).51Ibid.52 Ibid.
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Osserviamo dalle equazioni (10) e (11) che la possibilità di definire le stesse relazioni
metriche lungo qualsiasi direzione (isotropia) implica un valore di curvatura costante53. A
varietà di questo tipo viene attribuita «una caratteristica comune che si può esprimere dicendo
che le figure che si trovano su di esse possono essere mosse senza deformarsi». Ammettendo
questa proprietà, che può essere anche rinominata “principio della sovrapponiblità delle
figure”, il ds, mediante un opportuno cambiamento del sistema di coordinate, assume la
forma:
ds2 = (Σ (dxi)2)1/2 / (1 + K/4 Σ xi2),
nella quale, per estensione del concetto gaussiano54, chiameremo “curvatura” la costante
K.
Sono ammissibili, a seconda che K sia minore, maggiore o uguale a zero spazi a
curvatura costante positiva, negativa o nulla: in quest’ultimo caso, si ricava facilmente che
l’espressione dell’elemento lineare deve essere55:
ds2 = (Σ (dxi)2)1/2.
Nello studio delle varietà curvatura costante, cui viene dedicata la parte terza delle
Ipotesi che stanno alla base della geometria, Riemann si sofferma sulle relazioni che si
possono instaurare tra superfici sviluppando alcuni fondamentali contributi provenienti dalle
riflessioni di Gauss.
Il Theorema Egregium, uno dei cardini della geometria differenziale formulato nelle
Disquisitiones circa superficies curvas, stabilisce una relazione di equivalenza tra superfici
trasformabili l’una nell’altra mediante “flessione”, ma senza strappi o deformazioni:
53Un teorema provato per la prima volta da F. Schur afferma inoltre che l’isotropia implica l’omogeneità: èsufficiente, in altri termini, che le stesse relazioni metriche valgano lungo qualsiasi direzione di una varietàperché si possano ritenere valide anche per qualsiasi punto. (ibid.)54 La curvatura di una superficie in un suo punto M può definirsi secondo Gauss in questo modo: si conduca lanormale n alla superficie per M, e si consideri l’insieme di curve che il fascio di piani passante per n sega sullasuperficie. Fra queste curve piane due, ortogonali tra loro, godono delle proprietà di massimo e di minimo: ilprodotto di tali curvature dà la curvatura della superficie in M. 55 «per lo spazio – scrive Riemann – se si esprime la posizione dei punti mediante coordinate ortogonali, si ha cheds è uguale a √Σ(dx)2; lo spazio è quindi compreso in questo caso semplicissimo» (Riemann, 1994, p. 9).
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Se una superficie curva è sviluppata in una qualunque altra superficie la misura della curvatura nei singoli
punti rimane invariata. Manifestamente poi, qualunque parte finita della superficie curva, dopo essere stata
sviluppata in un’altra superficie, manterrà la stessa curvatura.56
Per superfici sviluppabili l’una nell’altra, chiosa Riemann: «le relazioni metriche
intrinseche (…) e tutti i teoremi che le riguardano – in altri termini, tutta la “planimetria” –
conservano la loro validità»57.
In particolare, «superfici cilindriche o coniche58 qualsivoglia sono equivalenti a un
piano, dal momento che si possono formare a partire da esso mediante una semplice flessione,
mentre rimangono invariate le relazioni metriche intrinseche». Inoltre, tutte le superfici a
curvatura positiva possono essere trasformate in una superficie sferica o in parti di essa59: se la
loro curvatura è maggiore di quella della sfera «si potrebbero adattare su zone di sfere di
raggio minore», mentre «le superfici con misura di curvatura minore si ottengono ritagliando
da superfici sferiche con raggio maggiore una porzione limitata da due semicirconferenze
massime e facendo combaciare i margini». Per quanto riguarda la classificazione delle varietà
piane a curvatura negativa, Riemann offre l’esempio di una superficie tangente esternamente a
un cilindro, avente «la forma della parte interna, rivolta verso l’asse, della superficie di un
anello». In generale, però, superfici o parti di superfici a curvatura costante negativa si
56In Bottazzini (2003, p. 174). Questo risultato può essere ulteriormente formalizzato: date due superfici Ψ(η) eΨ(ζ), in cui Ψ va interpretata come una funzione che manda rispettivamente η, ζ ⊂ R2 in una regione dello spazio,si definisca una funzione
f: R2→R2, tale che f(η) ⊂ ζ.
Si suppone inoltre che per ogni x∈R2, x= f(x): con questa scrittura intendiamo esprimere una caratteristicasignificativa della funzione f, cioè che essa preserva le distanze. Allora la funzione composta:
Θ = Φ ○ f ○ Ψ-1
è un’isometria di Ψ(η) in Φ(ζ) sse per ogni arco λ in Ψ(η), λ e Θ(λ) hanno la stessa lunghezza. Una volta definitoil concetto di isometria, è possibile esporre il contenuto del teorema in questi termini:
«Se due superifici S1 e S2 sono isometriche, e G1, G2 le loro rispettive curvature, allora, definita l’isometriatramite la funzione f: S1→ S2 affermiamo che tra le curvature G1 e G2 sussiste la seguente relazione: G2 = f○G1».Cfr. Torretti (1978, p. 78).57
Riemann (1994, p. 13). Torretti riporta, in proposito, un esempio suggestivo. Si immagini che una classedecida di illustrare alcuni teoremi di geometria elementare su un cartellone da incollare ad una parete: fin qui,rileva Torretti, gli alunni non troverebbero differenza tra questo modo di fare geometria e la classica geometriasulla lavagna, tanto da comprendere con uguale facilità il contenuto delle illustrazioni. Ma una volta che ilcartellone fosse stato staccato e arrotolato, le illustrazioni su di esso cesserebbero di descrivere teoremi digeometria elementare sulla cui validità non c’erano dubbi nel caso precedente?58 Nel caso di superfici coniche, queste sono sempre trasformabili in un piano con l’eccezione del vertice, chenon ha curvatura nulla.59 «superfici la cui misura di curvatura è positiva si potranno sempre adattare a una sfera il cui raggio è 1,diviso per la radice della misura di curvatura » (Riemann, 1994, p. 13).
19
possono sempre sviluppare sulla superficie generata dalla rotazione di una trattrice attorno al
suo asse, nota come pseudosfera60.
Nell’economia della trattazione, lo studio delle varietà a curvatura costante rappresenta,
osserva E. Scholz, «una connessione tra la generale geometria differenziale e la teoria dello
spazio fisico»61, in virtù del principio della sovrapponibilità di regioni di spazio, che traduce
nel linguaggio della geometria il dato empirico, comunemente ammesso fino alla metà del
XIX secolo, della libera mobilità dei corpi rigidi. Che la curvatura dello spazio fisico potesse
essere calcolata attraverso un’indagine sperimentale era opinione condivisa dallo stesso
Gauss, il quale dedicò «l’ultima parte del suo lavoro a un dettagliato e minuzioso confronto
tra gli angoli di un triangolo geodetico su una superficie e gli angoli di un triangolo piano
aventi la stessa lunghezza»62, forte dell’applicazione di un teorema riportato nel lavoro del
1827. Secondo questo risultato, infatti, la curvatura di una superficie S è uguale all’eccesso (o
al difetto) rispetto a π della somma degli angoli di un triangolo formato dalle geodetiche di S:
∫∫ KdA = (α + β + γ – π).
Sarebbe pertanto sufficiente conoscere la somma delle misure degli angoli di un
triangolo sulla superficie terrestre per dedurne la curvatura63.
Pur attribuendo, in apertura del suo discorso, all’ indagine sperimentale il compito
cruciale di rilevare «i fatti semplici a partire dai quali si possono determinare le relazioni
metriche dello spazio», Riemann rileva la natura ipotetica dei fatti, anche di quelli meglio
corroborati dall’ esperienza:
questi fatti, come tutti i fatti, non sono necessari, ma hanno soltanto certezza empirica, sono ipotesi, si può
dunque valutarne la probabilità, che, comunque, entro i limiti dell’osservazione è molto elevata, e giudicare poi
60F. Minding prima, e poi D. Codazzi studiarono per primi questa superficie a curvatura costante negativa.Codazzi, che nutriva un profondo interesse per la geometria differenziale, aveva persino «trovato le relazioni tra icoefficienti delle forme fondamentali di Gauss che determinano una superficie a meno di movimenti nellospazio» (Bottazzini, 2003, p.186), sebbene condividesse il merito della scoperta con il collega G. Mainardi. Inseguito Eugenio Beltrami, anch’egli, come i precedenti, professore a Pavia, utilizzò la pseudosfera come modelloeuclideo della geometria non euclidea di Lobatchevski.61 In Tazzioli (1999, p. 69).62 Non solo, ma il geometra tedesco aveva effettivamente eseguito una misura sperimentale considerando untriangolo i cui vertici erano rappresentati dalle cime dei monti Brocken, Hohehagen e Iselberg. Il risultato diqueste misurazioni dettò a Gauss la conclusione che la differenza della somma degli angoli da π: «poteva sempreessere considerata trascurabile» (in Bottazzini, 2003, p.174).63 Dal nostro punto di vista sembra naturale che, una volta rilevato un legame generale tra curvatura e metrica e,ancor più, una precisa relazione tra il valore della curvatura di una superficie e il difetto (o l’eccesso) angolare diun triangolo su di essa, la possibilità di trattare superfici a curvatura costante positiva o negativa come modellipossibili di geometrie non euclidee avrebbe dovuto affacciarsi alla considerazione del geometra. Tuttavia, Gauss,che pure ebbe un ruolo di rilievo tanto nella storia delle geometrie non euclidee quanto nella geometriadifferenziale, non comprese fino a che punto le due discipline si compenetrassero.
20
se è lecito estenderli oltre i limiti dell’osservazione, sia nella direzione dell’incommensurabilmente grande, sia
nella direzione dell’incommensurabilmente piccolo.64
Vanno tuttavia distinte, in merito alla loro verificabilità empirica, le “relazioni di
estensione” dalle “relazioni metriche”:
a questo punto si ha una differenza essenziale tra semplici relazioni di estensione e relazioni metriche, in
quanto nelle prime, dove i casi possibili formano una varietà discreta, le risultanze dell’esperienza, benché non
possano mai essere totalmente certe, non sono tuttavia imprecise: mentre nella seconda, dove i casi possibili
formano una varietà continua, ogni determinazione, basata sull’esperienza, resta sempre imprecisa, per quanto
grande possa essere la probabilità che si avvicini alla certezza.65
Se dunque proprietà topologiche dello spazio che, come il numero delle dimensioni,
formano una varietà discreta possono essere conosciute con precisione, la conoscenza del
continuum delle proprietà metriche è invece costitutivamente inadeguata66. Nondimeno la
distinzione tra metrica ed estensione è di grado, non di genere, dal momento che ogni forma di
conoscenza empirica è, per il modo in cui viene acquisita, ipotetica.
Riemann elenca cinque “ipotesi” necessarie e sufficienti a determinare le «relazioni
metriche dello spazio» e derivare tutti i teoremi ad esse relativi:
(i) lo spazio è una varietà differenziale. La prima metà di questo enunciato
non condivide il carattere ipotetico che l’autore riconosce alle altre
asserzioni, dato che discende analiticamente dal concetto generale di
“grandezza n volte estesa”. La seconda parte si fonda sulla continuità
dello spazio fisico67;
(ii) La curvatura dello spazio è costante. Pertanto: «la somma degli angoli
di un triangolo e determinata, in qualsiasi triangolo, quando è
determinata anche in un solo triangolo»68;
64 Riemann (1994, p.4).65 Riemann (1994, p.17).66 Il termine è impiegato da Leibniz per indicare quella specie di conocenza in cui l’individuazione dellecomponenti del contenuto percepito non arriva all’enumerazione degli elementi semplici, non ulteriormentesconmponibili: è il caso della successione dei numeri reali, o delle relazioni metriche dello spazio. 67 «la ragione più forte a favore della seconda concezione si trova nell’esigenza di tener fermo, per quanto èpossibile, il concetto già verificato del persistere per sé delle cose» (Riemann, 1994, p. 88).68 Riemann (1994, p. 16). Si osservi che l’ipotesi (ii) e (iii) sono intercambiabili, poiché la prima vale se e solose vale la seconda.
21
(iii) l’elemento di lunghezza deve essere dato dalla radice quadrata di
un’espressione differenziale quadratica, nella forma: ds2 = (Σ (dxi)2)1/2 /
(1 + K/4 Σ xi2);
(iv) La curvatura dello spazio è poi uguale a zero69;
(v) lo spazio ha tre dimensioni. Questa proprietà, in particolare, «trova
applicazione in ogni concezione del mondo esterno»70.
Se il set di assiomi (i) – (v) fosse verificato esattamente, lo spazio fisico risulterebbe con
ciò euclideo, poiché il V postulato può essere dedotto dal punto (iv), dove si assume, rileva
Riemann, «un’esistenza indipendente dalla posizione, non soltanto per le linee, ma anche per i
corpi; di conseguenza le relazioni metriche dello spazio sono determinate, quando la somma
degli angoli di un triangolo è ovunque uguale a due retti»71. Tuttavia, benché all’ interno delle
ipotesi postulate da Riemann vi siano effettivamente proposizioni verificabili esattamente
(come la (v), che descrive una relazione di estensione) gli assiomi che caratterizzano la
geometria euclidea a fronte di altri possibili sistemi (cioè i “fatti” (i) – (iv)) possono sussistere
solo entro un certo intervallo di “errore sperimentale”72. Non è di conseguenza misurabile con
precisione una curvatura spaziale uguale a zero, le risultanze dell’esperienza registreranno
piuttosto valori compresi in un intervallo reale (– ε; ε), con ε>073. Con questo, viene a cadere
tanto l’evidenza empirica immediata riguardo alla struttura euclidea dello spazio fisico,
quanto la speranza di conoscerne l’essenza attraverso una pretesa “interrogazione sistematica
della natura”74.
Per contro, Riemann non esclude che la geometria euclidea debba esser ritenuta, entro i
limiti dell’osservazione, se non vera, almeno altamente probabile: lo prova il comportamento,
in accordo con le leggi della geometria classica, dei “corpi solidi” o dei “raggi luminosi”. La
restrizione alla realtà “osservabile” permette all’autore di trattare separatamente il problema
della geometria nell’infinitamente grande e nell’infinitamente piccolo, dove i “concetti
empirici” finora impiegati di “corpo” e “raggio di luce” perdono la loro validità.
69 «Queste condizioni si possono esprimere, in primo luogo, in modo tale che la misura di curvatura sia in ognipunto eguale a zero, in tre direzioni di superficie» (ibid.).70 sulla base della tridimensionalità e dell’illimitatezza dello spazio, scrive Riemann: «viene integrato l’ambitodelle percezioni reali e vengono costruiti i possibili luoghi di un oggetto cercato». Il presupposto dellatridimensionalità viene inoltre «continuamente confermato in queste applicazioni» (Riemann, 1994, p.18).71 Riemann (1994, p.16).72 «Empirically verifiable hypotheses concerning the metric relations of space are necessarily imprecise, and theycan hold only within a certain range of experimental error» (Torretti, 1978, p. 104).73 «Thus, the statement that space is euclidean (...) that its curvature is everywhere exactly zero, is not admissableas a scientific conjecture: we can hypothesize at best that the curvature of space lies within the interval (– ε; ε ),for some real number ε >0». Torretti (1978, p.104-105).74 Nelle parole di N. I. Lobatchevskij, richiamate da U. Bottazzini (Bottazzini, 2003, p.179).
22
Nel complesso, anche laddove l’esperienza empirica soccorre con sufficiente
approssimazione le costruzioni teoriche, i “fatti” enunciati da Riemann possiedono quel
“tratto sconvolgente”, condiviso, secondo R. Torretti, dalle ipotesi della fisica del tempo: essi
coinvolgono costruzioni concettuali di elevata complessità, che possono essere confrontate
con l’esperienza solo “indirettamente”, “attraverso la verifica empirica di conseguenze
remote”.75
Questa conclusione, che incrinava il ruolo fondativo nei confronti della fisica e delle
altre scienze naturali che la geometria rivestiva ancora nei secoli XVIII e XIX76, concorre
probabilmente a spiegare le ragioni che indussero H. Von Helmholtz, pur incline ad accettare
la caratterizzazione della geometria euclidea proposta dal collega, a rivedere il ruolo delle
“ipotesi”, e segnatamente dell’ipotesi (iii), nel contesto dei fondamenti della geometria. Come
è stato osservato in apertura (pp. 1-2), l’espressione dell’elemento lineare, nel caso di varietà a
curvatura costante, si può ricavare per Helmholtz dalla “libera mobilità dei corpi rigidi”77,
verità fattuale altrettanto indiscutibile della tridimensionalità dello spazio. Come viene
mostrato nell’opera del 1868, da questo assunto è possibile dedurre sia l’ipotesi (iv) di
Riemann sia la (iii). Per quanto riguarda la (iv), Helmholtz ripropone una tesi già accolta (ma
non provata) da Riemann, il quale afferma: «Se (..) si postula un’esistenza indipendente dalla
posizione (…) anche per i corpi, allora ne consegue che la misura di curvatura è ovunque
costante»78. Nella parte centrale e più significativa del suo articolo Helmholtz si sforza di
ricavare anche l’assioma (iii) dall’esistenza della libera mobilità dei corpi rigidi, così da
fondare su quest’unica condizione l’intera geometria fisica. Si tratta, in verità, di una
conclusione molto rilevante dal punto di vista epistemologico, in primo luogo perché
contrappone, ad una geometria fondata su considerazioni di tipo infinitesimale79 una
geometria più aderente al comportamento macroscopico degli oggetti fisici, e in secondo
luogo perché delimita la portata delle riflessioni di Riemann escludendo dal novero delle
possibili geometrie tutte le varietà a curvatura variabile. Secondo l’impostazione
helmholtziana, infatti, in esse non è definibile alcuna metrica, a causa dell’impossibilità del
movimento rigido di una regione di uno spazio a curvatura variabile.
75 «they share with the newest hypotheses of mid – 19th century physics one rather disquieting trait: they involvehighly complex and seemingly abstruse conceptual constructions, the adequacy of which can only be determinedindirectly, through the empirical test of particular, often remote consequences» (Torretti, 1978, p.156).76 Cfr. Torretti (1978, p.157).77 “ the very fact that the movement of rigid figures is possible in our space, with the degree of freedom that weknow” (ibid).78 Riemann (1994, p.16).79 come scrive M. Jammer: «The principle of gaining knowledge of the external world from the behaviour of itsinfinitesimal parts is the mainspring of the theory of knowledge» (Jammer, 19692, p.160).
23
La geometria di uno spazio tridimensionale, come Helmholtz ritiene essere lo spazio
fisico, può essere caratterizzata da cinque principi, che lo scienziato tedesco decide di
chiamare “fatti”. Tra questi il primo, analogo all’assioma (i) di Riemann, riferisce che «lo
spazio a n-dimensioni è un aggregato n-dimensionale, ossia l’entità singola, il punto, può
essere determinata in esso misurando alcune grandezze (coordinate), continue e variabili
indipendentemente l’una dall’altra, in numero di n.»80.
In secondo luogo, allo scopo di caratterizzare mediante la nozione di movimento i
concetti di distanza euclidea tra due punti e di congruenza tra coppie di punti, viene postulata
l’esistenza di sistemi di punti mobili tali che:
tra le 2n coordinate di ogni coppia di punti appartenente a un corpo per sé rigido esiste un’equazione che
non dipende dal moto del corpo, ed è la stessa per tutte le coppie di punti tra loro congruenti81.
Per evitare di cadere in un circolo vizioso, questo assioma definisce in termini analitici
la condizione dell’esistenza dei corpi rigidi. Se definiamo K un sistema di punti che
rappresenta un corpo k nello spazio S, e indichiamo con f una funzione iniettiva che conservi
la congruenza, allora l’immagine f(K) rispetto alla funzione:
f: K→ S (1)
rappresenta il corpo k dopo il movimento f. La corrispondenza definita in (1) è un
movimento sse f preserva la funzione g su S×S, tale che per ogni P, Q ∈ K:
g(P,Q) = g( f(P), f(Q)).
Sia f1: K→S e f2 : f1(K) →S,
se f1 e f2 preservano g, anche il loro prodotto è un movimento.
Sia t una trasformazione di S in sè stesso: se t preserva g, la restrizione di t a K (t|K) è
un movimento di k da K. Poiché K è stato scelto arbitrariamente, possiamo considerare la
trasformazione t rappresentativa di ogni movimento del corpo k da qualsiasi posizione K alla
posizione t(K). Un corpo rigido può in tal modo essere definito come un insieme K di punti
80 Helmholtz (1967, p.426-427).81 Ibid.
24
dello spazio S su cui è definibile una funzione g invariante rispetto alla classe di automorfismi
t82. Si tratta di un’importante suggestione nella direzione di una “defisicalizzazione”
(necessaria per una trattazione rigorosa della geometria) dei concetti di “movimento” e “corpo
rigido”, poco affine al fisicalismo di Helmholtz, che quasi ricusa l’ «indeterminatezza» della
seconda ipotesi83.
Benché «indeterminata», questa «nozione di corpo rigido» è, secondo l’autore,
«altamente ricca di conseguenze». Essa permette infatti di stabilire che «tra le coordinate di
due punti rigidi (…) le equazioni devono avere proprietà particolari»; in altri termini, tra m
punti di una varietà n-dimensionale devono sussistere m(m – 1)/2 equazioni in nm incognite,
delle quali n(n +1)/2 devono essere lasciate libere per il movimento. Si possono perciò
vincolare in totale mn – n(n +1)/2 = n(2m – n – 1) incognite. Avremo di conseguenza un
numero di equazioni superiore alle incognite pari a:
m(m – 1)/2 – n(2m – n – 1) = (m – n) (m – n – 1)/2.84
Con il terzo “postulato” Helmholtz presuppone «una mobilità assolutamente libera dei
corpi rigidi»85. Da questo assunto e da quello relativo all’esistenza dei corpi rigidi, Helmholtz
fa seguire che:
due sistemi distinti di punti A e B, in sé rigidi, i quali, in una prima posizione di A, potevano essere fatti
congruire con punti corrispondenti, devono poter congruire con tutti quei punti con cui prima congruivano, quale
che sia la nuova posizione di A. in altre parole, la congruenza di due strutture spaziali non dipende dalla loro
posizione, ovvero tutte le parti dello spazio, a prescindere dai loro limiti, sono reciprocamente congruenti, come
tutti i frammenti d’una stessa superficie sferica, a prescindere dai loro limiti, congruiscono quanto alla curvatura
superficiale.86
Si considerino quattro punti P0, P1, P2, P3 nello spazio tridimensionale, aventi
coordinate x(P0) = (0, 0, 0), x(P1) = (1, 0, 0), x(P2) = (0, 1, 0), x(P3) = (0, 0, 1), e si costruisca
una figura P0’, P1’, P2’, P3’ ottenuta applicando al tetraedro di vertici P0, P1, P2, P3 uno
82 Cfr. Torretti (1978, p.160).83 «We might not be too far off the mark – scrive Torretti – if we say that Helmholtz did not expect his movablerigid point – system to be altogheter immaterial, but that he conceived them as entities of an unspecifiedmateriality, like the mass-points mentioned in mechanical treatises» (Torretti, 1978, p. 160). 84 Helmholtz (1967, p.428).85 ibid.86 ibid., p.429. Tuttavia la seconda condizione non è una semplice conseguenza della prima, come mostrerà S.Lie, affrontando con l’ausilio della teoria dei gruppi continui di trasformazione il problema dei fondamenti dellageometria.
25
spostamento rigido. Il punto P0’ potrà essere scelto arbitrariamente nello spazio87, ma non gli
altri punti, che devono giacere su una superficie determinata: precisamente sulla sfera di
centro P0’ e di raggio unitario. Una volta note le coordinate di P0’, la posizione di P1’
dipenderà da due parametri, definiti dai due angoli che la congiungente di P0’ e P1’ forma con
i piani {P| x1(P) = 0} e {P| x2(P) = 0}. Se fissiamo sia P0’, sia P1’, allora P2’ e P3’ dovranno
giacere ad angoli retti, sul cerchio unitario di centro P0’ e appartenente al piano perpendicolare
alla congiungente P0’P1’. La posizione di P2’ può invece essere fissata, noti P0’ e P1’
conoscendo un solo parametro reale. Infine, dati i tre punti P0’, P1’, P2’, il punto P3’ è
univocamente determinato ad una condizione. Infatti P3’ può cadere in uno dei due punti
equidistanti da P0’ sulla perpendicolare al piano in cui giacciono i restanti P0’, P1’, P2’.
Tuttavia, solo una delle due posizioni è conforme al movimento di un corpo rigido come
specificato da Helmholtz; all’altra corrisponde un tetraedro speculare al primo, ma non
ottenibile da esso attraverso un movimento nello spazio tridimensionale. Si tratta di un
risultato di grande valore, poiché dimostra che un movimento rigido è determinabile
attraverso sei parametri reali (nell’esempio, le tre coordinate del punto P0’ e i tre valori definiti
dalla misura degli angoli necessari e sufficienti a stabilire la posizione di P1’ e P2’). Più in
generale, il numero di parametri (o gradi di libertà) caratterizza, nella teoria dei gruppi
continui di trasformazione, ogni gruppo di trasformazioni dello spazio, dal gruppo ∞6 delle
isometrie a quello ∞∞ delle trasformazioni topologiche.
La «mobilità assolutamente libera dei corpi rigidi» che, al contrario di Riemann,
Helmholtz postula apertamente consente, insieme al principio della monodromia, di risolvere
il problema della dipendenza dell’elemento lineare lineare ds dagli incrementi lineari dx1…
dxn.
Il concetto di monodromia, in particolare, estende alla geometria una proprietà delle
funzioni complesse, e si riassume nella seguente condizione:
se un corpo rigido gira intorno a n – 1 dei suoi punti, e questi sono scelti in modo tale che la posizione del
corpo dipenda soltanto da una variabile indipendente, il moto rotatorio pur senza conversione finisce con il
ricondurre il corpo nel posto da esso inizialmente occupato.88
Ricaviamo dalle parole dell’autore l’idea che la congruenza tra due grandezze sia
invariante rispetto a rotazioni di qualsiasi ampiezza intorno ad ogni asse di rotazione, oppure
87 Questo risultato, che corrisponde alla proprietà nota come transitività del gruppo dei movimenti euclidei, vieneper ora assunto senza dimostrazione.88 ibid.
26
che ruotando un corpo rigido n-dimensionale intorno ad n–1 punti fissi, ogni punto del corpo,
dopo un tempo sufficientemente lungo ritornerà nella posizione di partenza.89
Dai quattro principi sopra enunciati, applicati ad elementi dello spazio infinitamente
piccoli, Helmholtz deduce l’esistenza di una grandezza infinitesima ds, invariante rispetto a
«tutti i movimenti rotatori del sistema» (monodromia) e funzione degli incrementi lineari di
un qualsiasi sistema di punti:
Ne segue che dS è una grandezza che rimane invariata in tutti i movimenti rotatori del sistema intorno al
punto dr = ds = dt = 0, e che ha le stesse dimensioni di piccole grandezze come dr, ds, e finanche dt.
Questa grandezza può, dunque, essere utilizzata come una misura della differenza spaziale tra i punti (r, s,
t) e (r+ dr, s+ds, t+dt). 90
Helmholtz arriva in questo modo al «punto di partenza delle ricerche di Riemann»,
dimostrando l’esistenza di «un’espressione omogenea di secondo grado nei differenziali, che
in ogni moto di due punti connessi rigidamente tra loro rimane invariata»91.
Se in aggiunta a questi principi vengono postulate l’estensione infinita dello spazio e la
costanza della curvatura, «le ricerche di Riemann e mie» – conclude Helmholtz –« offrono un
fondamento sufficiente allo sviluppo della dottrina dello spazio»92.
Con ciò Helmholtz dovette concludere, almeno nella prima versione del suo articolo,
che, delle due geometrie possibili, segnatamente la geometria in uno spazio a curvatura nulla
(euclidea) e in uno spazio a curvatura costante positiva (ellittica), la sola geometria euclidea
descrivesse giocoforza la struttura dello spazio fisico 93. Questo risultato, che non teneva conto
della geometria di Bolyai-Lobatchevskij, fu criticato da Eugenio Beltrami, il quale informò lo
stesso Helmholtz con una lettera datata all’aprile del 1869. Accortosi del refuso, l’autore
provvide ad emendarlo con una nota pubblicata nello stesso anno, in cui riconosceva
89 Torretti (1978, p. 161).90 Helmholtz (1967, p.442).91 ibid.92Scrive infatti Helmholtz:«Il più generale sistema della geometria è quello che risulterebbe dalel regole della comune geometria analiticaove tali regole fossero applicate a una struttura sferica di tre dimensioni, la cui equazione, espressa in quattrocoordinate ortogonali X, Y, Z, S, sarebbe:
X 2 + Y 2 + Z 2 + (S+R)2 = R 2
In essa X, Y, Z non possono diventare infiniti se non si dà il caso che R = ∞. Quest’utimo caso specialecorrispponde alla geometria reale secondo gli assiomi di Euclide. X, Y, Z possono avere valori finiti solo quandosia S =0.» (Ibid. p.444).93 «if we postulate the infinite extension of space, no geometry is possible except the one Euclid taught» (Torretti,1978, p.162).
27
esplicitamente che la geometria di Bolyai- Lobatchevskij rappresentava, insieme alla
geometria euclidea, un caso passibile di significato reale.94
Non è necessario però richiamare l’attenzione su questa omissione per mettere in dubbio
le conclusioni di Helmholtz, che pure dovettero sembrare, ad un pubblico non esperto, una
prova eloquente dell’evidenza della geometria euclidea (va ricordato chel’infinità dello spazio
era comunemente riconosciuta dall’astronomia del tempo). Assumendo che lo spazio abbia
“estensione infinita”, Helmholtz non sembra contemplare la trattazione, affrontata da
Riemann, delle «costruzioni dello spazio» nell’infinitamente grande95. In questa circostanza,
leggiamo nelle Ipotesi che stanno alla base della geometria, la «differenza tra rapporti metrici
e di estensione» risulta decisiva, poiché bisogna distinguere l’ “illimitato”, che appartiene ai
rapporti di estensione, dall’ “infinito”, che appartiene invece alle relazioni metriche. Pertanto,
mentre l’illimitatezza dello spazio «possiede una certezza empirica maggiore di qualsiasi
esperienza esterna»96, il problema della sua infinitezza è più sottile. Se «si presuppone
l’indipendenza dei corpi dal luogo e gli si ascrive così una misura di curvatura costante –
scrive acutamente Riemann – lo spazio sarebbe necessariamente finito, non appena questa
misura di curvatura avesse sia pure il più piccolo valore di curvatura positivo»97. Se
ammettiamo, con Helmholtz, la possibilità di uno spazio dotato di curvatura positiva, non
sarebbe contraddittorio immaginarlo illimitato e contemporaneamente finito. Non ci sono
ragioni, da questo punto di vista, per accogliere come oggettivamente valido il postulato
intorno all’ “estensione infinita” dello spazio, a meno di riformularlo distinguendo
nettamente, come suggerisce la lettura di Riemann, le proprietà metriche da quelle
topologiche.
94ibid.95 «si trattava di una distinzione di fondamentale importanza, con la quale si affacciava la possibilità,completamente sfuggita ai geometri precedenti ed esplorata poi da Klein in diversi lavori a partire dal 1871, diuna geometria non euclidea cosiddetta ellittica» per la quale vengono meno sia il V postulato sia il II (infinitàdella retta). Cfr. Bottazzini (2003, p.182).96 Riemann (1994, p. 18).
97 Ibid. È interessante paragonare la proposizione appena enunciata (che chiameremo R’, in sintesi: “seK è maggiore di zero, allora lo spazio è finito”) con il procedimento seguito da Helmholtz, che postulal’infinitezza dello spazio per dedurne la struttura euclidea. Possiamo osservare anzitutto che l’opinione diHelmholtz circa l’impossibilità di ricavare l’infinitezza dello spazio dai cinque postulati di Riemann èsostanzialmente corretta: questa deduzione sarebbe possibile solo una volta dimostrata la contraria di R’, etrascurando il caso in cui K<0 (come storicamente fece Helmholtz nel suo lavoro del 1866, prima di essereinformato da Beltrami). In secondo luogo, rileviamo che assumendo l’infinitezza dello spazio, Helmholtz deducela controfattuale di R’, cioè (“se lo spazio è infinito, allora la sua curvatura è nulla”) sempre trascurando il casodi una varietà a curvatura costante negativa. L’assioma che stabilisce l’infinitezza dello spazio sarebbe sufficientea caratterizzare la geometria euclidea, in congiunzione con i restanti assiomi (i), (ii), (iii), (v), qualora vi fosserosolamente due tipi di varietà a curvatura costante (rispettivamente K=0 e K>0); altrimenti, gli assiomi elencatiammetterebbero come modello sia la geometria euclidea sia la geometria “iperbolica”.
28
Differenti nei contenuti e nel metodo, le proposte di Riemann e di Helmholtz
convergono su altri punti. L’ opposizione, evidente sin dai titoli, tra “fatti” e “ipotesi”,
nasconde infatti il comune riconoscimento di una “natura ipotetica” ai fondamenti che
strutturano il discorso geometrico, dal momento che «concetti empirici» come quelli di «corpo
solido» e «raggio di luce», che entrano nella nostra esperienza anzitutto come oggetti della
percezione, offrono una verifica solo più o meno probabile degli enunciati geometrici:
nella geometria abbiamo sempre a che fare con strutture ideali, il cui equivalente fisico costituisce solo
un’approssimazione alle esigenze del concetto. Noi decidiamo se un corpo sia solido, se le sue superfici siano
piane, se i suoi margini siano rettilinei per mezzo di quegli stessi principi la cui validità empirica dovrebb’essere
dimostrata attraverso tale ricognizione98.
Come in Riemann dunque, troviamo qui rilevata l’ulteriorità irriducibile del modello al
dato sperimentale, senza che venga automaticamente insidiata la possibilità della geometria:
«il sistema delle nostre misure spaziali dipende tutto, quanto alla sua possibilità dall’esistenza
di corpi naturali, che corrispondono abbastanza bene al concetto di corpo rigido, da noi
formulato»99. Ad Helmholtz non sfugge che ai corpi naturali vengono comunque attribuite
proprietà geometriche “ideali”, come se queste fossero presupposte dall’esperienza e non
fosse viceversa quest’ultima a garantire coi “fatti” la validità e l’applicabilità della geometria.
Il punto è decisivo, in primo luogo perché appare contrastare nettamente con l’empirismo che
sostanzia la ricerca scientifica di Helmholtz. Il quale ritiene, a differenza di Kant, che anche la
conoscenza della geometria, cioè della struttura spaziale entro cui si dispongono gli oggetti
delle nostre percezioni, non si fondi su un’intuizione immediata, ma venga acquisita
attraverso un processo di osservazione e manipolazione guidato dall’esperienza100. Questa
concezione (e lo stesso Helmholtz ne è consapevole) ha il difetto di ricadere nel circolo
vizioso che parte dell’epistemologia contemporanea ha messo in evidenza: se da un lato la
possibilità di effettuare misure e, con essa, la nozione di congruenza si fondano sull’esistenza
dei corpi rigidi, dall’altro l’esistenza dei corpi rigidi non può essere stabilita che attraverso
una misura o un insieme di misure, cioè mediante un giudizio in merito alla congruenza tra
corpi o parti di corpi. Si impone dunque ad Helmholtz la duplice necessità di salvare l’idealità
degli enti geometrici e insieme l’oggettività di questi costrutti, tra cui il concetto di corpo
98 Helmholtz (1967, p.421).99 ibid., p. 444.100 Torretti (1978, p. 163-164). Helmholtz accoglie dalla tradizione empirista la tesi che le sensazioni siano ildato ultimo ed elementare della conoscenza, ma nega agli elementi sensoriali carattere rappresentativo, perconsiderarli semplici segni degli oggetti che ci circondano. Esse acquisiscono significato, diventando dunqueveicoli di conoscenza, solo in virtù di un processo associativo tra “segno” e “denotatum” che accompagnal’essere umano sin dalla sua infanzia.
29
rigido. In questa circostanza, la decisione dell’autore di ritenere la nozione di “corpo rigido”
costitutiva dell’esperienza fisica, sottraendola alla presa dell’esperienza, rispecchia sì
un’istanza trascendentale, ma configura, più che un semplice ritorno a Kant, un “apriorismo
produttivo” à la Dingler, nel quale il ruolo del concetto di “corpo rigido nella costituzione
dell’esperienza scientifica non consiste nel presidiare, come una categoria kantiana, un
processo puramente mentale di organizzazione dei dati sensibili, ma nel regolare la
costruzione e l’uso di strumenti materiali di misura”101. Vengono salvati, in tal modo, tanto il
carattere ideale della conoscenza, quanto l’oggettività dell’esperienza scientifica.
Beninteso, è Riemann, e non Helmholtz, a dedicare un’esplorazione di più ampio
respiro al nesso tra geometria e fisica tanto da prefigurare, pur nell’essenzialità della
trattazione, alcuni elementi di quella scissione tra “macrofisica” e “microfisica” che verrà
introdotta dalla meccanica statistica solo alla fine del secolo. «Sembra che i concetti empirici
sui quali si fondano le determinazioni metriche spaziali (…) cessino di avere validità
nell’infinitamente piccolo; è dunque certamente pensabile che nell’infinitamente piccolo le
relazioni metriche dello spazio non si accordino con i postulati della geometria»102. Accanto
all’incommensurabilmente grande, Riemann delinea un secondo campo di conoscenze che
richiede una revisione dei sistemi concettuali a cui abitualmente accordiamo fiducia. Ma a
differenza del primo caso, che pone problemi «oziosi per la comprensione della natura»,
l’infinitamente piccolo costituisce un territorio di analisi imprescindibile in relazione al
problema, proprio della teoria dello spazio, del nesso tra la « validità dei postulati della
geometria» e il «fondamento interno delle relazioni metriche»103. Poiché in una varietà
continua «il principio delle relazioni metriche» non è «implicito nel concetto di questa
varietà», la soluzione, indicata da Riemann con una “visione profetica”104, consiste nel cercare
«il fondamento delle relazioni metriche» in «forze coesive che agiscono su di esso»105.
Il concetto di «campo», che prese corpo attraverso le scoperte di Faraday, Maxwell,
Hertz, e infine dello stesso Einstein, costituisce uno dei referenti privilegiati a cui paragonare
l’idea, delineata da Riemann nelle pagine conclusive della sua memoria, di uno spazio la cui
struttura metrica è determinata dalla distribuzione della materia.106
101 “the role of the concept of a rigid body in the constitution of scientific experience does not consist inpresiding, like a kantian category, a purely mental process of organization of sense data, but in regulating themanufacture and use of material instruments of measurement” (Torretti, p.168).102 Riemann (1994, p.19).103 ibid.104 L’espressione è di M. Jammer: With prophetic vision Riemann wrote... Jammer (1967, p. 161.)105 Riemann (1994, p. 19).106 In Max Jammer (19692, p. 161).
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In verità, non si tratta solo di un’analogia formale, dal momento che ricerca geometrica,
speculazione filosofica e indagine fisica costituiscono tre aspetti del più ampio progetto,
intrapreso dall’autore, di elaborare una teoria in grado di rivelare le connessioni tra luce,
calore, elettricità, magnetismo e gravità Scrive infatti l’autore al fratello Whilhelm:
Ho nuovamente ripreso dopo lo scritto di abilitazione l’altra mia ricerca sulla connessione tra elettricità,
galvanismo, luce e gravità e sono giunto al punto in cui posso pubblicarla senza esitazioni in questa forma. Ma
nello stesso tempo mi è stato detto che Gauss già da molti anni lavora su queste cose, e che ha messo alcuni
amici, tra cui Weber, al corrente della cosa sotto il vincolo della segretezza107.
I risultati più significativi di questa ricerca, peraltro mai pubblicati, conducono
all’elaborazione di un modello matematico di “etere”, le cui proprietà dinamiche sono in
grado di spiegare la propagazione delle forze fisiche. Nel presentare questo disegno, Riemann
tiene in grande considerazione sia la lezione di Newton, secondo cui:
è inconcepibile che materia bruta e inanimata possa, senza la mediazione di qualcos’altro che non è
materiale, operare e influire su altra materia senza recirpoco contatto […] che la gravità possa essere innata,
intrinseca ed essenziale alla materia […] è per me una tale assurdità che io credo che nessun uomo capace di
pensare in modo coerente in materia di filosofia possa accettarla108.
Ma egli ha altrettanto a cuore la psicologia herbartiana, come ricaviamo dal seguente
passo, appartenente a un frammento del 1853 dal titolo Nuovi principi matematici della
filosofia della natura:
il fondamento delle leggi generali del moto per i corpi ponderabili, che si trovano all’inizio dei Principia
di Newton, si trova nel loro stato interno. Tentiamo di argomentare su di essi, ricorrendo, per analogia, alla
nostra percezione interna. Entrano in noi sempre nuove masse rappresentative che molto rapidamente
scompaiono dalla nostra coscienza (…) entra dunque continuamente qualcosa di duraturo nella nostra anima, che
tuttavia non esercita un influsso durevole sul mondo dei fenomeni (…)
Guidato da questo fatto, avanzo l’ipotesi che lo spazio universale sia riempito da una materia che scorre
continuamente negli atomi ponderabili e lì scompare dal mondo fenomenico.
È persino plausibile, come ha dimostrato Ivan Smadjia, che il programma riemmaniano
possa essere considerato un’elaborazione originale della psicologia delle “masse spirituali”,
alla luce delle possibilità offerte dalla teoria delle equazioni differenziali parziali109. L’intima107 In tazzioli (2000, p.66).108 In Tazzioli (2000, p. 80).109 Cfr. I. Smadjia, in Valore (2004, p. 92): «l’originalité de la position de Riemann consiste en une élaborationde la psychologie des masses spirituelles à la lumière des possibilités conceptuelles qu’offre la théorie des
31
connessione tra psicologia, fisica e geometria ha dunque la sua radice ultima nella matematica
dell’ “infinitamente vicino”: sul versante della fisica, l’ausilio delle equazioni differenziali
parziali consente a Riemann di applicare alla materia (stoff) di cui è denso lo spazio la teoria
del potenziale di Gauss110, e di ridurre conseguentemente la nozione di “azione a distanza” a
quella di “azione a contatto”. Se infatti supponiamo che l’etere consista in un fluido
«incomprimibile» e «omogeneo», qualsiasi interazione tra due punti a distanza finita, come,
per esempio, la gravità, può essere ricondotta ad una peturbazione propagantesi da un atomo
di etere agli atomi infinitamente vicini.
Riemann propone un modello meccanico di etere, come emerge dall’uso frequente dei
concetti dell’idrodinamica e dell’idrostatica, tanto che sembrerebbe a prima vista azzardato
leggere nei Frammenti una prima formulazione dell’idea di “campo” (contro questa lettura
pesa del resto la volontà – affermata in più occasioni dall’autore – di richiamarsi al
paradigma newtoniano che la stessa teoria del campo contribuirà ad incrinare).
Nondimeno, il matematico anticipa alcuni aspetti salienti non solo della rivoluzione
maxwelliana, ma anche della profonda risemantizzazione dei concetti fondamentali della
fisica destinata a prodursi con Einstein.
Un primo aspetto riguarda lo statuto ontologico della “materia” che compone l’etere:
essa è dotata per Riemann di una “sostanzialità non materiale” nella misura in cui ogni
”atomo ponderabile” diventa il luogo di un passaggio di materia dal mondo dei corpi a quello
dello spirito. Una concezione paradossale, alla mente meccanicista, tanto quanto la
concezione del campo, la cui ontologia, secondo Heinrich Rudolf Hertz, non deve esser
cercata al di là delle equazioni che lo descrivono111.
Un secondo motivo, in stretta relazione al primo, riguarda la matematica del continuo
e il rifiuto, da parte di Riemann, di accordarle valore puramente fenomenologico. Se la teoria
delle equazioni differenziali, la sola in grado di formalizzare l’eventuale interazione fisica tra
un punto dello spazio e il suo intorno, permette in tal modo di comprendere le «connessioni
reali dei fenomeni», è ad essa che dobbiamo ricorrere quando ci poniamo il «problema della
équations aux dérivées partielles. Qu’est-ce qu’en effet que cette forme du mouvement de la matière, sinon ladétermination infinitesimale réelle qui en caractérise l’état interne au voisinage de chaque point? Ladifférentiation qualitative des masses spirituelles correspond à la différentiation de leurs différents états internes,mais ces états internes ne sont pas de simples qualia et semblent caractérisés par une sorte de «multiplicité interne» (...) pour autant qu’ils sont expression de qulque chose d’étendu spatialement et temporellement ».110 «l’effetto della gravitazione universale – asserisce Riemann – è, com’è noto, pienamente definito in ogni partedello spazio, quando è data la funzione potenziale P di tutte le masse pondeabili per questa parte dello spazio(…) Se si suppone ora che la materia che riempie lo spazio sia un fluido incomprimibile, omogeneo, senzagravità e che in ogni atomo ponderabile fluiscano, in tempi uguali, sempre uguali quantità, proporzionali alla suamassa, evidentemente la pressione che l’atomo subisce, sarà [proporzonale alla velocità del moto della materia inprossimità dell’atomo(?)]» Riemann (1994, p. 96).111 come dichiara esplicitamente Rudolf Hertz: «la teoria di Mxwell altro non è che il sistema delle equazioni diMaxwell».
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validità dei postulati della geometria nell’infinitamente piccolo». Tutta la teoria riemanniana
dello spazio, del resto, ha a proprio fondamento lo studio di grandezze infinitesime, come
osserva Max Jammer:
His theory of space, therefore, rests on geometric assumptions about infinitesimally small magnitudes.
Being essentially a geometry of infinitely near points, it conforms to the leibnizian idea of the continuity
principle, according to which all laws are to be formulated as field laws and not by actions at a distance112.
Proprio entro l’ambizioso (e incompiuto) progetto di una teoria unificata delle forze
viene plasmata una concezione dello spazio fisico come «una materia diffusa» nello spazio
geometrico: una volta identificato l’etere con lo spazio, e supposto che le interazioni di tipo
termico, gravitazionale ed elettromagnetico si trasmettano attraverso una deformazione degli
atomi di etere, nulla impedisce di considerare veicoli di trasmissione delle forze i
cambiamenti dinamici che avvengono all’interno dello spazio fisico, riconducibili a
variazioni nella sua stessa struttura metrica.
La connessione tra propagazione della forza e variazione della curvatura costituisce,
insieme al definitivo imporsi della teoria di campo, uno dei fondamenti su cui Einstein costruì
la teoria della relatività generale, che lungi dall’essere interpretata come una rivoluzione
improvvisa e in netta opposizione alla scienza del secolo precedente, va inserita in una
“dialettica razionale”, capace di rendere la nostra comprensione della natura «sempre più
completa e giusta».
112 Jammer (1968, p. 158).
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CAPITOLO II
Scrive Jules Henri Poincaré nel XIII paragrafo della terza parte de l’ Analyse
mathématique de ses travaux scientifiques faite par lui même113:
On vient de voir comment mes recherches sur l’algèbre m’avaient amené à m’occuper des groupes
continus. C’est ainsi que j’avais montré le lien qui unit ces groupes aux nombres complexes (...). Je me suis servi
également des groupes continus dans un travail relatif aux géométries non euclidiennes.
Il riferimento a S. Lie114, del resto, ritorna costantemente anche nei lavori epistemologici
di Poincaré; il che, per un autore avaro di citazioni come il Nostro, costituisce indubbiamente
una nota di rilievo. I lavori e le scoperte del matematico norvegese, e anzitutto la teoria dei
gruppi continui di trasformazione, rappresentarono, in sostanza, tanto un campo di ricerche a
cui Poincaré si dedicò assiduamente, quanto uno stimolo per la riflessione sugli stessi
fondamenti della scienza. In proposito, il primo articolo in cui Poincaré avanza delle tesi
intorno ai fondamenti e alla filosofia della geometria, Sur les hypothèses fondamentales de la
géométrie (1887) attinge ampiamente dalle ricerche di Lie, raccolte nei volumi Theorie der
Transformationsgrüppen.
Così l’opera di Lie viene sintetizzata dal collega francese:
Il a cherché de quelle manière peuvent se combiner les divers mouvements possibles d’un système
quelconque, ou, plus généralement, les diverses transformations possibles d’une figure. Si l’on envisage un
113 Poincaré, in Acta mathematica, 1920, p….114 La carriera scientifica di Sophus Lie cominciò all’insegna dell’incertezza. Ottenuto un diploma in “scienze”all’università di Christiania (Oslo), per alcuni anni il giovane studioso faticò a trovare la sua vocazione, indecisotra l’astronomia, la botanica, la zoologia e, beninteso, la matematica. La lettura di Poncelet e di J. Plucker -entrambi geometri dediti allo studio della geometria proiettiva – contribuirono a chiarire alcune intuizioni avuteda Lie nel 1867 in merito alla possibilità di «creare nuove geometrie» partendo da figure diverse dal punto(Cfr. ). Fu a …. E successivamente a Berlino che Lie conobbe Weierstrass, Kronecker, Kummer, e soprattuttoFelix Klein. Negli anni successivi al soggiorno parigino, nel quale aveva conosciuto G. Darboux e C. Jordan, ilmatematico norvegese approfondì lo studio delle trasformazioni geometriche ed ottenne, grazie alla dissertazionedel 1872, una cattedra all’università di Christiania. Gli anni trascorsi in Norvegia lo videro svilupparecompiutamente la teoria dei gruppi continui di trasformazione in relazione allo studio delle equazionidifferenziali; ma, nello stesso tempo, l’isolamento dell’università di Christiana rispetto ai centri di ricercatedeschi e francesi impedì la diffusione delle sue scoperte nel continente. Il successivo soggiorno a Lipsia e lacollaborazione con Engel diedero a Lie l’opportunità di tenere alcune lezioni sulla teoria dei gruppi continui cheraccolse nei tre volumi Theorie der Transformationsgrüppen (1888-1893). Nel 1896, infine, Lie poté pubblicarela geometria delle trasformazioni di contatto con la collaborazione del suo allievo Scheffers (1866 - 1945).
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certain nombre de transformations et qu’on les combine ensuite de toutes les manières possibles, l’ensemble de
toutes ces combinaisons formera ce qu’il appelle un groupe. A chaque groupe correspond une géométrie, et la
nôtre, qui correspond au groupe des déplacements d’un corps solide, n’est qu’un cas très particulier. Mais tous
les groupes que l’on peut imaginer possèderont certaines propriétés communes qui limitent le caprice des
inventeurs des géométries; ce sont elles, d’ailleurs, qui Lie a étudiées toute sa vie.115
Tra i contributi fondamentali portati da Lie allo studio della matematica, Poincaré
riconosce all’esame del modo in cui si possono combinare le “diverse trasformazioni” di una
figura, ovvero allo studio dei gruppi di trasformazioni, un ruolo decisivo in relazione alla
ridefinizione dell’intero campo della geometria. Per tutta la sua vita, conclude Poincaré
commentando l’opera del matematico, questi ha studiato le “proprietà comuni di tutti gruppi
immaginabili”.
Il concetto di gruppo non va però inteso, né nell’opera di Lie né in quella dello stesso
Poincaré, nel significato accolto dall’algebra moderna, di insieme dotato di una struttura
specificabile nei seguenti termini: un gruppo è un insieme non vuoto G = {a, b, c, e….} di
elementi in cui è definita una legge di composizione interna • che assegni ad ogni coppia di
elementi a, b il loro prodotto d = a • b, in modo tale che:
a) per ogni a, b, c ∈ G, (a • b) • c = a • (b • c) (prorpietà associativa)
b) esiste almeno un elemento e tale che per ogni a: a • e = e • a = a; (esistenza
dell’elemento neutro)
c) per ogni a ∈ G, esiste un elemento a-1 tale che a • a-1 = e (esistenza dell’inverso)116.
Tale schematizzazione risulta infatti omnicomprensiva, poiché lumeggia la struttura
tanto dei gruppi di sostituzione117 quanto dei gruppi di trasformazioni, studiati, nel corso
115 in J. Vuillemin, (1962 [1992]), p. 422.116 Cfr. Yaglom (1988, p. 15).117 Sebbene la nozione di gruppo di sostituziomi fosse apparsa per la prima volta in alcune considerazioni diLagrange (che pubblicò nel 1772 una vasta memoria dal titolo réflexion sur la résolution algébrique deséquations, nella quale riteneva di «aver posto i fondamenti di una teoria che ci pare nuova e generale») di Ruffini(il quale, muovendo dalla memoria di Lagrange studiò alcune proprietà del gruppo di sostituzioni di n lettere,arrivando a dimostrare, sulla base del teorema per cui il gruppo totale delle sostituzioni su 5 lettere non possiedesottogruppi di indice 8, 4, 3, l’impossibilità di risolvere mediante estrazione di radici l’equazione generale diquinto grado) di N. Abel e di Gauss, fu con Evariste Galois (1811-1832) che – come rileva I. Yaglom – lacomprensione del ruolo della teoria dei gruppi di sostituzione nello studio delle equazioni algebriche si chiarificòulteriormente, e nello stesso tempo si attribuì un nome alla nuova nozione e una terminologia alla teoria: « On theother hand, Galois’s understanding of the role of group theory in the study of (algebraic equations) was muchclearer than that of his precursors; the very fact that the new notion was given a specific name (and that theterminology of group theory had been worked out) was indoubtedly of major importance». Con Galois assistiamoad un radicale mutamento di prospettiva nello studio della risolubilità delle equazioni algebriche: dalla ricercaempirica di formule risolutive dirette allo studio deille proprietà del gruppo di sostituzioni associato ad
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dell’ottocento, come oggetti distinti118. Infatti, solo alla fine dell’ottocento cominciò a imporsi
l’idea di integrare algebre separate attraverso l’astrazione del loro contenuto comune119,
secondo la prospettiva indicata da A. Cayley già nel 1849 e nel 1854 (cfr. nota 6) e meglio
delineata in quattro articoli del 1878 sui gruppi astratti finiti120. Ad ogni modo, le nozioni fondamentali121 di teoria dei gruppi introdotte da Galois
trovarono la prima sistemazione nel Traité des permutations di Camille Jordan: un libro
notevole – rileva Yaglom – che introduce termini e nozioni tra cui, vale la pena ricordarlo, il
concetto di “gruppo quoziente” e di “serie normale di un gruppo”122. Lo stesso Jordan, inoltre,
fondò, con la sua Mémoire sur les groupes de mouvements (Annali di matematica) lo studio
delle trasformazioni geometriche dal punto di vista dei gruppi di trasformazione, muovendo
da alcune osservazioni di Auguste Bravais. Nella Mémoire, pubblicata sugli Annali di
Matematica nell’anno 1868-69, Jordan osservò che tutti i gruppi di movimenti nello spazio (le
considerazioni dell’autore si limitavano a rotazioni e traslazioni) possono essere determinate
attraverso lo studio di tutti i possibili sistemi di molecole trasformati in sé da ciascun
movimento del gruppo. Il riferimento ai problemi di cristallografia, che avevano interessato lo
stesso Bravais, costituisce un’indubbia eredità del pensiero di quest’ultimo; la memoria di
Jordan resta tuttavia importante, al di là dei metodi utilizzati, perché seppe dare un chiaro
orientamento alla ricerca geometrica degli anni successivi. All’attività di ricerca e
insegnamento del matematico francese si devono, infatti, gli sviluppi delle applicazioni più
feconde della teoria dei gruppi alle teorie geometriche, grazie a Felix Klein, a Sophus Lie e
allo stesso Poincaré, la cui convinzione circa l’importanza decisiva della teoria dei gruppi in
tutti i campi della matematica, maturò in gran parte sotto l’influenza del più anziano collega. Naturalmente, nel corso della seconda metà dell’ottocento arrivarono contributi intorno
all’algebra dei gruppi da molti studiosi (abbiamo ricordato solo cursoriamente, ad esempio, il
sorgere della teoria degli invarianti con Silvester e Cayley), tuttavia le figure di Klein e Lie
un’equazione (Bottazzini, 2003, p. 118). Si trattava inoltre di un mutamento che apriva all’algebra campi diricerca inesplorati, ma che tuttavia, fu apprezzato solo a partire da una decina d’anni dopo la scomparsadell’autore. 118 Va però osservato che A. Cayley (1821-1895) tentò una generalizzazione della nozione di gruppo,introducendo il concetto di gruppo astratto (Collected mathematical papers, I, 423- 424; II, 123-130 e 131-132)in tre lavori tra il 1849 e il 1854. Gli articoli di Cayley non suscitarono un grande interesse, in parte perché gliesempi di gruppi individuati dal matematico, come le matrici e i quaternioni, erano nozioni nuove e poco note, inparte perché, come commenta Morris Kline: «le astrazioni premature cadono su orecchie distratte, appartenganoesse ai matematici oppure agli studenti» (Morris Kline, 1972 V. II, p. 898).119 Ivi p. 1324-5.120 «Egli sottolineava che un gruppo può essere considerato un concetto generale e non ha bisogno di esserelimitato ai gruppi di sostituzioni, anche se, rilevava, ogni gruppo (finito) può essere rappresentato come gruppodi sostituzioni». Ivi, p. 1327. 121 «He introduced the basic terminology of group theory including such terms as group, subgroup (...) and orderof a group. He also introduced such important notions as normal subgroup (...) and singled out such importantclasses of group as simplegroup and solvable groups». Yaglom (1988, p. 14).122 ibid.
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sembrano stagliarsi nel milieu culturale e scientifico dell’epoca. Sebbene pretenzioso,
l’aneddoto secondo cui, proprio come Spagna e Portogallo si divisero il mondo con il trattato
di Tordesillas (1494), così i due matematici si spartirono, nel corso degli anni settanta, il
regno della teoria dei gruppi, è rivelativo del segno che essi lasciarono nell’intera fisionomia
della disciplina123. I due grandi domini a cui fa riferimento la storia sono costituiti dall’insieme
dei gruppi continui e da quello dei gruppi discreti. La distinzione fu teorizzata da Jordan nella
sua memoria: mentre alla seconda specie appartengono tutti i gruppi i cui elementi sono
separati, come i gruppi cristallografici (ad esempio, il gruppo delle simmetrie di un quadrato),
al primo insieme appartengono quei gruppi i cui elementi possono variare con continuità
cambiando i valori dei parametri. Le isometrie del piano euclideo, ad esempio, formano un
gruppo ∞4 i cui parametri possono variare con continuità in R. In questo caso, infatti, da una
trasformazione d ∈ℑ è possibile ottenere una trasformazione lievemente differente d1 ∈ ℑ
attraverso un cambiamento infinitesimo dei parametri α, p, q. I risultati ottenuti da Lie sulla teoria dei gruppi continui furono pubblicati, tra il 1876 e
il 1879 in cinque memorie dal titolo comune Theorie der Transformationsgrüppen. Gli interessi di
Lie erano legati anzitutto alla teoria delle equazioni differenziali ordinarie e parziali, di cui
l’autore aveva approfondito la teoria dell’integrazione. Decisamente problematiche si erano
rivelate le equazioni alle derivate parziali, per le quali Lie aveva concepito «una articolata
teoria ausiliaria, la teoria dei gruppi di trasformazioni»124. Una prima definizione della nozione
di “gruppo di trasformazioni” risale però allo scritto di carattere programmatico del 1874
Uber Gruppen von Trasformationen, nel quale Lie rileva:
si dice di una famiglia di trasformazioni
x’i = fi (x1, … ,xn , α1, …, αr)
(dove le x rappresentano le variabili di partenza, le x’ le nuove variabili e gli α dei parametri, che nel
seguito si devono pensare variabili con continuità) che esse formano un gruppo di trasformazioni a r elementi se
componendo due trasformazioni qualunque della famiglia si ottiene ancora una trasformazione della famiglia,
cioè se dalle equazioni
x’i = fi (x1, … ,xn , α1, …, αr)123 Klein, del resto, scrisse che, in seguito alla decisione maturata insieme di dedicarsi allo studio degli « entianalitici o geometrici che sono trasformati in se stessi da gruppi di trasformazioni» (Bottazzini, 2003, p. 225),Lie si era assunto il compito di approfondire i gruppi continui, mentre egli stesso aveva scelto di considerare igruppi discreti, coinvolti nelle eoperazioni sui corpi regolari e nella loro applicazione alla risoluzione delleequazioni (ibid.). 124 Ibid.
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e
x’’i = fi (x’1, … ,x’n , β1, …, βr)
si ha
x’’i = fi (x1, … ,xn , γ1, …, γr)
dove le γ rappresentano grandezze che dipendono solo dalle α e dalle β. 125
Risale al 1883 la prima classificazione dei gruppi continui da parte di Lie, seguita, nel
1884, da un lavoro analogo di F. Klein sui gruppi discontinui126. Infine, l’opera che racchiude
il complesso dei risultati di Lie sulle equazioni differenziali e la teoria dei gruppi continui,
venne pubblicata in tre ponderosi volumi tra il 1888 e il 1893 con il titolo Theorie der
Transformationsgrüppen.Nel terzo volume, in particolare, l’autore fornisce una presentazione assai perspicua
della relazione tra gruppi di trasformazioni ed equazioni differenziali:
Représentons-nous l’espace – scrive il matematico norvegese – tout entier rempli d’un fluide
incompressible. Nous pouvons alors interpréter simplement la transformation infinitésimale X(f) comme un
mouvement infiniment petit de ce fluide et dt comme l’intervalle de temps infiniment petit pendant lequel a lieu
ce mouvement. Les grandeurs ξ1(x), ..., ξn(x) sont alors visiblement les composantes de la vitesse de la particule
du fluide qui se trouve précisément au point x ...xn127.
Ogni trasformazione finita dello spazio è allora generata ripetendo un numero infinito
di volte la trasformazione infinitesima che possiamo rappresentare mediante la scrittura: xi =
xi + ξi dt. In proposito, Lie commenta: «nous devons suivre le mouvement des particules du
fluide pendant un intervalle de temps fini»128, e aggiunge:
A cet effet, il est nécessaire d’intégrer les équations différentielles de ce mouvement, c’est à dire par
conséquent le système simultané :
125 Ibid.126 Klein infatti pubblicò una classificazione analoga per i gruppi discontinui nel volume Vorlesungen über daIkosaeder und die Auflosung der Gleichungen von fünften Graden (Lezioni sull’icosaedro e la risoluzione delleequazioni di quinto grado). Cfr. Bottazzini (2003, p. 225).127 J. Vuillemin (1962 [1992], p. 426 ) 128 Ibid.
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dx’1.......
une particule du fluide, qui au temps t = 0 se trouve au point x1, ..., xn, sera parvenu, après l’écoulement du
temps t, au point x’1, ..., x’n ; l’intégration doit donc être effectuée en sorte que, pour t = 0, x’i = xi. En fait, c’est
précisément de cette façon que nous avons trouvé la forme générale d’une transformation finie de notre groupe129.
Il brano presenta alcune osservazioni che confluiranno in uno dei risultati pù importanti
della teoria di Lie, vale a dire il primo teorema fondamentale. Non verrà tuttavia preso in
considerazione, nel corso della presente trattazione, l’insieme dei contributi, di carattere
specificamente tecnico, che Lie diede alla teoria dei gruppi e alla teoria delle equazioni
differenziali. Al contrario, l’introduzione sopra delineata permette di rilevare, in maniera
esauriente, le implicazioni strettamente filosofiche della teoria in relazione al problema dei
fondamenti della geometria.
A questo riguardo, sempre nel terzo volume della Theorie der
Transformationsgrüppen, Lie prende esplicitamente in considerazione le riflessioni di
Helmholtz sui fatti che fondano la geometria, per critircarla e insieme correggerla 130. Non va
dimenticato, infatti, che il sistema di assiomi di cui Helmholtz discute ne I fatti che stanno a
fondamento della geometria presenta (cfr. Cap. I) importanti novità concettuali. La prima
riguarda il processo di “defisicalizzazione” degli enti geometrici, che, lumeggiato dall’autore
(anche se in modo inconsapevole) nella definizione di “corpo rigido”, costituisce un primo
passo verso la trattazione funzionale del concetto di trasformazione che troviamo in Lie
almeno a partire dal lavoro del 1874; il secondo contributo degno di nota risiede nell’impianto
generale dell’articolo di Helmholtz, che può essere considerato un tentativo, seppur in
embrione, di discutere i fondamenti della geometria alla luce del concetto di gruppo131. Come
chiarisce il commento puntuale di P. Hertz, i “fatti” postulati da Helmholtz consentono le
seguenti deduzioni:
i) poiché un punto materiale in movimento occupa una e una sola posizione all’origine
del suo moto ed un’unica posizione alla fine dello spostamento, è possibile dunque definire la
129 Ibid.130 Cfr. P. Hertz, in Helmholtz ( 1868 [1977], p. 58).131 Ivi, p. 65.
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nozione di trasformazione come “associazione in base alla quale ad ogni punto dello spazio
possiamo far corrispondere un altro punto”132.
ii) Dagli assiomi II e III di Helmholtz possiamo dedurre l’indipendenza di un qualsiasi
sistema di punti dalla scelta di un particolare corpo rigido come sistema di riferimento. È
sufficiente prendere in esame la coppia di punti materiali AB rispetto al sistema di riferimento
(o al corpo rigido assunto come unità di misura) O, e la coppia, che chiameremo A’B’ rispetto
ad un nuovo sistema O’. Stabiliamo inoltre che AB = A’B’ sse AB e A’B’ possono essere fatti
coincidere con la medesima coppia di punti spaziali ab. Da qui risulta che, una volta assunta la
congruenza tra AB e A’B’, se AB coincide con a’b’ anche A’B’ deve coincidere con a’b’.
Dunque la coppia di punti a’b’ può essere impiegata come sistema di riferimento equivalente
all’originale.
iii) Il movimento di un sistema di n punti materiali è tale, sulla base degli assiomi
discussi, che la distanza tra due qualsiasi dei suoi punti rimanga invariata. Per semplificare,
consideriamo la coppia AB, applicandovi prima la trasformazione f e, successivamente, la
trasformazione f ’. Si avrà che: f(AB) = A’B’, f’(A’B’) = A’’B’’, in modo tale da preservare la
congruenza tra le coppie di punti: AB = A’B’, A’B’ = A’’B’’. Per la transitività della
relazione di congruenza, potremo infine scrivere AB = A’’B’’: la trasformazione f’’ che
associa la coppia AB ad A’’B’’ appartiene, per definizione, all’insieme dei movimenti rigidi.
iv) Il quarto assioma di Helmholtz (monodromia) garantisce l’esistenza di un
movimento che associ un sistema di n punti materiali a sé stesso: è sufficiente far compiere al
sistema una rotazione di due angoli piatti intorno ad un asse per ottenere la trasformazione
identica: f (A, B, C…) = A, B, C, …
Conclusivamente, dall’analisi di Helmholtz discende il seguente risultato: l’insieme dei
movimenti rigidi dello spazio forma un gruppo133. Come è già stato fatto notare, la possibilità
di trattare le trasformazioni del piano o dello spazio mediante il ricorso all’algebra dei gruppi
costituiva una possibilità indagata negli stessi anni da C. Jordan e Bravais; nondimeno,
l’articolo di Helmholtz pose per la prima volta il problema, di ordine anzitutto
epistemologico, della relazione generale tra geometria e gruppi di trasformazioni, nella misura
in cui i medesimi assiomi che, secondo l’autore, fondano la geometria di Euclide (che
Helmholtz considera, con argomenti invero eccepibili, la geometria dello spazio fisico),
132 Così scrive P. Hertz in Helmholtz ( 1868 [1977], p. 63): « association whereby each point in a space is givenanother to correspond to it is called a transformation».133 Scrive ancora P. Hertz: «a transformation of not more than n(n+1)/2 parameters thus truly exists independentof the choice of fixed body and its initial situation. Since therefore the displayed body only yelds ustransformations from the system of those already defined, it follows that two transformations from the system,performed successively, yeld a transformation itself belonging to the system. The totality of those transformationsis a group » (ibid).
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stabiliscono nel contempo l’esistenza e le caratteristiche del gruppo dei movimenti rigidi. Un
primo tentativo di applicare la teoria dei gruppi di trasformazioni alle teorie geometriche fu
compiuto da F. Klein nel 1872, a quattro anni dalla pubblicazione dell’articolo di Helmholtz I
fatti che stanno a fondamento della geometria, con la prolusione Considerazioni comparative
intorno a ricerche geometriche recenti. Nel suo lavoro, meglio noto come “programma di
Erlangen”, Klein dichiara esplicitamente di voler esporre «metodi e punti di vista» sviluppati
nei propri lavori e in quelli di Lie, che «per quanto fossero diversi gli oggetti a cui si
riferivano, pure d’accordo sono entrati in questo modo generale di considerazione»134. Del
pari, l’autore intende dare una struttura ordinata ma nel contempo unitaria ad una disciplina
come la geometria, che «nel rapido sviluppo cui andò soggetta negli ultimi tempi si è troppo
suddivisa in discipline quasi separate che vanno progredendo alquanto indipendentemente le
une dalle altre»135. Tale principio ordinatore viene individuato nel concetto di gruppo. Invero,
ogni gruppo di trasformazioni ammette un insieme di invarianti136, che caratterizza
univocamente una peculiare geometria. In proposito, il caso del «complesso dei movimenti»137
costituisce un esempio perspicuo:
ora, vi sono nello spazio delle trasformazioni che non alterano affatto le proprietà geometriche dei corpi.
Infatti, per la natura del concetto di proprietà geometriche, queste sono indipendenti dalla posizione che la figura
da studiare occupa nello spazio, dalla sua grandezza assoluta, e finalmente anche dal senso in cui sono disposte le
sue parti. Le proprietà di una tale figura rimangono dunque inalterate in tutti i movimenti dello spazio, nelle sue
trasformazioni per similitudine, nel processo di riflessione (specchiamento) come pure in tutte le trasformazioni
che risultino da composizioni di queste.138
Così, conclude Klein:
Il complesso di tali trasformazioni lo chiameremo gruppo principale di trasformazioni dello spazio: le
proprietà geometriche non si alterano nelle trasformazioni del gruppo principale. E inversamente possiamo anche
dire: le proprietà geometriche sono caratterizzate dalla loro invariabilità rispetto alle trasformazioni del gruppo
principale139.
134 Klein (1872 [1890], p. 2).135 Ibid.136 La teoria degli invarianti rappresenta uno dei capitoli più interessanti della matematica della secondà metàdell’ottocento: «come tutte le strade portano a Roma – annotava Sylvester nel 1864 – così io trovo che, almenonel mio caso, tutte le ricerche algebriche prima o poi finiscono in quel capitolo dell’algebra moderna sul cuiingresso risplende la scritta: Teoria degli invarianti » (in Bottazzini, 2003, p. 215). Insieme alle ricerche dellostesso J. J. Sylvester (1814-1897) segnaliamo i lavori di A. Cayley (1821-1895), che si distinse per la risoluzionedi problemi fondamentali nel dominio dell’algebra delle matrici (Cfr. ivi, pp. 218-219 e Yaglom, 1988, cap. V). 137 Klein (1872 [1890], p. 4)138 Ibid.139 Ibid.
41
In seguito, facendo astrazione dall’ «immagine sensibile» e considerando, al posto dello
spazio, una qualunque varietà tridimensionale su cui agisce un gruppo di trasformazioni,
Klein enuncia il problema generale di: «studiare le forme appartenenti alla varietà per quanto
concerne quelle proprietà che non si alterano nelle trasformazioni del gruppo dato»140. In altri
termini, conclude l’autore: «è data una varietà e in questa un gruppo di trasformazioni. Si
sviluppi la teoria invariantiva relativa al gruppo medesimo»141.
Una volta assodato che la distanza tra coppie di punti, e dunque la congruenza tra
figure, può essere definita come un invariante rispetto al gruppo dei movimenti rigidi,
possiamo concludere che la nozione di congruenza tra figure non può darsi in assoluto, ma
solo relativamente ad una ben determinata struttura142. Rileva in proposito Louis Rougier:
tout groupe conduit à définir une certaine sorte d’égalité: ainsi, deux figures sont dites égales en
Analysis Situs, si l’on peut passer de l’une à l’autre à l’aide d’une transformation ponctuelle continue
quelconque; deux figures sont dites égales, en géométrie projective, si l’on peut passer de l’une à l’autre à l’aide
d’une homographie; deux figures sont dites égales, en géométrie métrique, si l’on peut passere de l’une à l’autre à
l’aide d’un déplacement143.
Tanto il Programma di Erlangen, quanto lo sviluppo della teoria degli invarianti e i
lavori di Helmholtz sui fondamenti della geometria costituirono dei riferimenti
imprescindibili per le successive ricerche di S. Lie. Abbiamo ricordato che quest’ultimo si140 ivi., p. 5. Cfr. Bottazzini (2003, p. 223).141 ibid142 Si tratta del principio che Poincaré, in un articolo del 1899 definisce principe de relativité: nella geometriametrica, scrive l’autore, esso sta ad indicare che nulla distingue una figura formata da un punto, da una rettapassante per quel punto e da un piano passante per quella retta da un’altra figura formata dai medesimi elementi(punto, retta e piano nelle relazioni sopra definite). In geometria proiettiva però assume uun significato bendiverso: «ce principe veut dire que rien ne distingue un système de cinq points d’un autre système de cinqpoints». In tal modo, un’iperbole e un’ellisse non differiscono, dal punto di vista della geometria proiettiva, cheper la «quantità», pur restando qualitativamente indiscernibili. Con l’affermare che il principio di relatività èvalido tanto per la geometria metrica quanto per la proiettiva, Poincaré vuole allora sostenere che: «dans les deuxgéométries, il y a des choses que l’on ne peut pas distinguer les unes des autres. Mais ce ne sont pas les mêmeschoses. Il convient cependant d’ajouter que ce qui est indiscernable pour la géométrie métrique l’est égalementpour la géométrie projective; mais la réciproque n’est pas vraie, et la géométrie métrique permet de distinguerdes choses qui seraient indiscernables pour la géométrie projective» Poincaré (1899, p. 269). In terminimatematici, riconosce Poincaré: «cela veut dire que les deux géométries ont ceci de commun que l’une et l’autreétudient un groupe; mais que ce n’est pas le même groupe; que cependant le groupe métrique est contenu dans legroupe projectif» (ibid). Per converso, Poincaré osserva che l’insieme delle trasformazioni che serve a definirel’eguaglianza tra due figure deve essere tale da formare un gruppo: «donc la catégorie des transformations quisert à definir l’égalité des figures doît être telle que si deux transformations α et β en font partie, il sera de mêmede leur combinaison α + β» (ibid.). Va però osservato che se all’assioma secondo cui due quantità uguali a unaterza quantità sono uguali tra loro, definiamo l’uguaglianza tra due figure alla luce dell’ assioma «il tutto èmaggiore delle parti», otterremo che solo il gruppo dei movimenti rigidi, o delle isometrie, dà luogo ad unanozione di congruenza tale da soddisfare entrambi i postulati (ibid.).143 Rougier. Le medesime posizioni sono ribadite anche da Poincaré (1899), il quale scrive: «a chaque groupecorrespond une géométrie, et la nôtre, qui correspond au groupe des déplacements d’un corps solide, n’est qu’uncas très particulier. Mais tous les groupes que l’on peut imaginer posséderont certaines propriétés communes, etce sont précisément ces propriétés communes qui limitent le caprice des inventeurs des géométries».
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applicò in particolare allo studio dell’articolo di Helmholtz, apportandovi integrazioni e
correzioni. Tra i limiti più evidenti che possiamo ascrivere al lavoro del geometra tedesco,
rileviamo: a) l’assenza di una trattazione esplicita della “struttura” del gruppo che fonda la
geometria euclidea, e b) l’assenza di una distinzione tra i movimenti finiti e i movimenti
infinitesimi, laddove l’autore estende indebitamente ai secondi i risultati del caso finito.
Tale confusione viene, al contrario, apertamente criticata144 da Lie nel terzo tomo della
Theorie der Transformationsgrüppen, in cui l’autore affronta e risolve la questione che
diverrà nota col nome di “problema di Helmholtz –Lie”145.
Nel caso dell’ ”infinitamente piccolo”, Lie suppone che le trasformazioni
corrispondenti a ciascuna delle tre geometrie appartengano tutte a un gruppo reale e continuo
di trasformazioni (i); inoltre assume la libera mobilità nell’infinitesimo146. Su tale base può
sostenere che:
si n ≥ 3, le groupe des mouvements euclidiens et les deux groupes des mouvements non-euclidiens de Rn
sont caractérisés de façon complète lorsqu’on stipule qu’ils doivent avoir dans un point réel de situation générale
la libre mobilité dans l’ifinitesimal26. Si n ≥ 3, le groupe des mouvements euclidiens et les deux groupes des
mouvements non-euclidiens de Rn sont caractérisés de façon complète lorsqu’on stipule qu’ils doivent avoir dans
un point réel de situation générale la libre mobilité dans l’ifinitesimal147.
144consideriamo, ad esempio, un punto di coordinate x, y, z. Indicheremo le sue coordinate dopo uno spostamentoinfinitesimo con x’, y’, z’. Scriveremo pertanto:
x’ = x +αy’ = y + β + γx + δx2 + εx3 + ζx4 = y + 0z’ = z + γ + 2δx + 3εx2 + 4ζx3 = z + Φ4’ (x)
dove le espressioni Φ4 (x) e Φ4’ (x) stanno ad indicare, rispettivamente, una funzione di quarto grado e la suaderivata.Se ora teniamo un punto fisso quale origine delle coordinate, le equazioni che descrivono una trasformazioneinfinitesima, potranno scriversi nella forma:
x’ = xy’ = y + δx2 + εx3 + ζx4
z’ = z + 2δx + 3εx2 + 4ζx3.
Se tuttavia trascuriamo gli infinitesimi di ordine inferiore, possiamo scrivere:
x’ = xy’ = yz’ = z + 2δx
i gradi di libertà di un corpo nell’intorno di un punto fisso saranno perciò ∞1, e non ∞3.145Nelle parole di Poincaré il problema di Helmholtz- Lie può riassumersi in questi termini: «caractériser par desaxiomes les groupes des déplacements correspondants aux métriques euclidiennes et non-euclidiennes, en lesdistinguant de tous les groupes possibles de transformation d’une variété».146 Cfr. J. Vuillemin (1962 [1992], p. 420).147 Ibid.
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La seconda soluzione è invece più elaborata, e viene data solo per il caso
tridimensionale (R3). Le trasformazioni euclidee e non euclidee sono caratterizzate dai
seguenti quattro assiomi:
L1: Lo spazio è una varietà numerica a tre dimensioni, nella quale possiamo fissare un
sistema di coordinate.
L2: i movimenti dello spazio formano un gruppo continuo reale generato da
trasformazioni infinitesimali.
L3: Se viene fissato un punto reale qualsiasi di coordinate y01, y0
2, y03, tutti i punti reali
x1, x2, x3 coi quali può coincidere un altro punto di coordinate reali x01, x0
2, x03 soddisfano
un’equazione della forma:
W(y01, y0
2, y03; x0
1, x02, x0
3; x1, x2, x3) = 0
Che rappresenta l’equazione di una superficie reale passante per il punto x01, x0
2, x03.
L4: Nell’intorno del punto P (y01, y0
2, y03) esiste una regione tridimensionale di
dimensione finita tale che, tenendo fisso P, ogni altro punto possa essere condotto, attraverso
una trasformazione continua, in uno qualunque dei punti situati sulla superficie sopra
definita148.
Gli assiomi L1 – L4 consentono di definire solo tre metriche possibili, a cui
corrispondono tre differenti gruppi (ciascuno dei quali specifica una peculiare funzione-
distanza), che chiameremo, seguendo Lie e il commento di Rougier, gruppi metrici149. I gruppi
metrici possiedono le seguenti proprietà:
(i) un punto A può essere portato in una qualunque posizione A’ attraverso un numero
infinito di trasformazioni possibili.
148 Cfr, Rougier (1920, pp. 69-70), e Vuillemin (1962 [1992], pp. 420-421).149 «Il [Sophus Lie] a montré de plus que le système d’axiomes choisi par lui caractérise les groupes continus detransformations projectives concernat une quadrique ordinaire ou dégénérée, et les groupes qui leur sontisomorphes (…) nous appellerons métriques ces différents groupes» (Rougier, 1920, p.71). il rapporto tra gruppimetrici e geometria proiettiva verrà affrontato nel seguito, commentando l’articolo di Poincaré del 1887.
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(ii) ogni gruppo ammette uno e un solo invariante definito da due punti (una funzione
distanza).
(iii) Se esiste una trasformazione che manda una coppia di punti A, B nella coppia A’,
B’, esistono infinite trasformazioni di questo genere. Di conseguenza, esistono infinite
trasformazioni che mandano una coppia di punti A, B in sé stessa. Ma tali trasformazioni
lasciano invariati non solo i due punti, ma l’intera retta AB, chiamata linea principale relativa
al gruppo150.
(iv) Per due punti passa sempre una linea principale relativa al gruppo.
(v) Per tre punti qualsiasi dello spazio passa una superficie denominata superficie
principale relativa al gruppo, tale che ogni retta principale passa due qualunque dei suoi
punti151.
Solo se aggiungiamo il seguente assioma (II):
“il gruppo è composto da trasformazioni tali che ogni punto dello spazio descriva una
linea principale relativa al gruppo”152.
Otterremo in tal modo un solo gruppo che soddisfa agli assiomi (i) – (v) e (II): un solo
gruppo, in altri termini, ammette un fascio di parallele invariante. Si tratta, segnatamente, del
gruppo corrispondente alla geometria euclidea, che possiamo caratterizzare, con Lie,
attraverso i sei assiomi sopra elencati. In tal modo, Lie ritiene di aver enumerato le condizioni
necessarie e sufficienti che distinguono la metrica euclidea dalle metriche non euclidee.
Tuttavia, a differenza di Helmholtz, il matematico norvegese non affronta il problema di
specificare quale geometria descriva il mondo fisico. Sembra anzi che tale questione non
abbia sfiorato la mente di Lie, più attento agli aspetti tecnici del proprio lavoro che alle
implicazioni metafisiche153.
Nondimeno, le conclusioni tratte da Lie lasciano ampio spazio alla riflessione
filosofica. È la questione stessa dei fondamenti della geometria a dover essere riformulata, una
150 «Si l’on considère deux points quelconque dans l’espace, il y aura dans le groupe certains mouvements quilasseront ces deux points immobiles; tous ces mouvements laisseront également immobiles tous les points d’unecertaine ligne que j’appellerai ligne principale relative à ce groupe. De là résulte qu’on peut par deux pointsquelconque mener une ligne principale relative au groupe». Poincaré (1899, p. 277).151 «Par trois points quelconque de l’espace passe une surface que j’appellerai surface principale relative augroupe et qui contient toute entière la ligne principale relative au groupe que l’on peut mener par deuxquelconque de ses points» (ibid.).152 Rougier (1920, p.71).153 «This throughbred mathematician – scrive Torretti – does not waste a word on the matter». Torretti (1978, p.179).
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volta accertata la compossibilità dei tre gruppi metrici: quali ragioni (a priori o a posteriori)
inducono a definire il concetto di spostamento (movimento) rigido di una figura attraverso gli
assiomi (i) – (v) e (II)? E sulla base di quali argomenti abbiamo il diritto di riservare il nome
di “rette” e “piani” alle linee e alle superfici principali relative a questo gruppo? L’intervento
di S. Lie lascia naturalmente aperta la discussione intorno allo statuto dei fondamenti della
geometria:
on peut discuter – scrive Poincaré nell’articolo del 1887 «les hypothèses fondamentales de la géométrie» –
si l’on doit donner à ces propositions le nom d’axiomes, d’hypothèse ou de postulat, si l’on doit les considérer
comme des faits expérimentaux, ou comme des jugements analytiques, ou encore comme des jugements
synthétiques a priori154.
D’altro canto, rileva Poincaré, nemmeno il problema «interessante da un punto di vista
logico» di quali siano le “premesse della geometria” può considerarsi completamente risolto:
quelles sont les prémisses de la géométrie, les propositions indémontrables sur lesquelles repose cette
science, en excluant, bien entendu, les propositions qui sont déjà nécéssaires pour fonder l’analyse? Car nous
regardons les résultats de l’Algèbre et de l’Analyse pure comme déjà connus au moment où l’on aborde l’étude
de la Géométrie. Bien que ce problème ait depuis longtemps préoccupé les géomtres, la question ne saurait être
regardée comme épuisée.
Anche per Poincaré, come per Lie, la geometria presuppone algebra e analisi; del resto,
l’intero impianto argomentativo presentato dal matematico francese nel suo lavoro del 1887
poggia da un lato sulla teoria dei gruppi continui, e dall’altro sugli articoli di Klein intorno
alle geometrie non euclidee e al rapporto tra geometria metrica e proiettiva.
Al riguardo, Poincaré osserva che ci sono note solo tre geometrie a due dimensioni: la
geometria euclidea155, la geometria di Riemann156 e la geometria di Lobatchevskij157, e queste
riposano tutte sulle stesse ipotesi fondamentali (nella fettispecie, le condizioni sopra elencate
L1- L4).
Nel seguito dell’articolo, l’autore costruisce per ciascuna delle tre geometrie un modello
su una superficie di secondo ordine, generalizzando il caso della geometria di Riemann che
«com’è noto, non differisce dalla geometria sferica, purché conveniamo di chiamare “rette” i
154 Poincaré (1887 [1956], p. 203).155 «La géométrie euclidienne, où la somme des angles d’un triangle est égale à deux droits....» Poincaré, 1887[1956], p. 204.156 «où cette somme est plus grande que deux droits» (ibid.).157 «où cette somme est plus petite que deux droits» (ibid).
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meridiani della sfera»158. Questo procedimento ricalca da vicino quello impiegato da Klein in
un articolo del del 1871: «Sulle cosiddette geometrie non euclidee» e in uno del del 1873:
«Sulle geometrie non euclidee», tenendo in considerazione anche le osservazioni contenute
nel programma di Erlangen (1872) a proposito del rapporto tra geometria proiettiva e
geometria metrica. È lo stesso Klein a ricordare che:
le proprietà metriche debbono considerarsi come relazioni proiettive rispetto ad una forma fondamentale,
il cerchio immaginario all’infinito, forma che ha la proprietà di trasformarsi in sé stessa in quelle sole
trasformazioni proiettive che appartengono altresì al gruppo principale.159
Dunque, le geometrie metriche stanno in un’opposizione solo apparente rispetto alla
proiettiva, malgrado quest’ultima sembri fare a meno del concetto di distanza per fondarsi su
considerazioni puramente descrittive, e consideri come “qualitativamente” indifferenti tutte le
coniche (i “sistemi di cinque punti” di cui parla Poincaré), che invece dal punto di vista
metrico possiedono proprietà specifiche. Felix Klein, muovendo dalle ricerche di A. Cayley
contenute nelle Sixth memoir upon quantics160, propose di applicare «la metrica generale di
Cayley» allo studio delle geometrie non euclidee:
seguendo il procedimento di Cayley, è possibile costruire una metrica proiettiva generale riferita a una
qualsiasi superficie di secondo grado considerata come superficie fondamentale. Questa metrica proiettiva offre,
a seconda del tipo di superficie di secondo grado usata, un modello per le diverse teorie delle parallele formulate
nei lavori citati161.
Tale metrica, però:
non fornisce soltanto un modello di quelle teorie, ma ne rivela addirittura l’intrinseca struttura162.
158ivi. p. 205.159 Klein (1872 [1890], p. 9).160 A F. Klein dobbiamo solo in parte il merito di aver chiarito le relazioni tra le due specie di geometrie, inquanto quest’ultimo riprende consapevolmente alcune parti delle Memoirs upon quantics di Arthur Cayley,apparse nelle Philosophical transactions tra il 1854 e il 1878. Fu proprio Cayley a ricordare che «le proprietàmetriche di una figura non sono le proprietà metriche di una figura considerata per sé a prescindere da qualsiasialtra cosa, ma le sue proprietà quando sono considerate in connessione con un’altra figura, cioè con la conicachiamata assoluto». Nella sesta delle Memoirs, infatti, Cayley dimostrava che la metrica euclidea poteva essereottenuta fissando la conica assoluta costituita dalla coppia di “punti ciclici”, cioè «i punti di intersezione di unaretta all’infinito con ogni circonferenza» (Bottazzini, 2003, p. 219). Era dunque possibile – così concludeva ilmatematico inglese – derivare il dominio della geometria metrica dalla geometria proiettiva «fissando una conicacome standard di riferimento (…) La geometria metrica è allora parte della geometria descrittiva, e la geometriadescrittiva è tutta la geometria». Descriptive geometry is all geometry: in questa celebre frase di A. Cayley sitrova una delle più eloquenti anticipazioni del programma Kleiniano. 161 Klein (1871 [1998], p.41).162 ibid.
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Tuttavia, a differenza di Cayley, che aveva dedotto la nozione di distanza euclidea tra
due punti A e B nella forma di un invariante proiettivo, pur esponendosi ad un evidente
circolo vizioso (l’introduzione di un sistema di coordinate, necessario a definire la funzione
D, presuppone a sua volta l’assegnazione di una metrica163), Klein nel suo lavoro del 1871
fece propria la costruzione di Von Staudt164. Quindi decise di trasferire «la metrica generale di
Cayley allo spazio»165, per poi prendere come assoluto non una conica ma una quadrica:
considero una qualsiasi superficie di secondo grado e l’assumo come superficie fondamentale. La retta che
unisce due punti dello spazio interseca la superficie fondamentale in altri due punti. I quattro punti in questione
formano un birapporto: il logaritmo di questo birapporto, moltiplicato per una certa costante arbitraria c, sarà
per definizione la distanza tra i punti dati166.
L’assegnazione di una metrica nel piano proiettivo dipende dal tipo di superficie
fondamentale scelto: «la determinazione metrica proiettiva generale produce inoltre, con una
scelta appropriata della superficie fondamentale, una geometria metrica in grado di
rappresentare sia la geometria ellittica, sia quella iperbolica»167 oltre, naturalmente, alla
geometria euclidea. Risulteranno allora tre casi:
• la superficie fondamentale è immaginaria. In questo caso la geometria è ellittica.
• la superficie fondamentale è reale, non rigata e ci racchiude. È l’ipotesi della geometria iperbolica.
• (intermedio) La superficie fondamentale è degenerata in una curva immaginaria.. È l’ipotesi
dell’usuale geometria parabolica168.
Che corrispondono, rispettivamente, all’ipotesi dell’angolo ottuso, dell’angolo acuto e
alla “usuale” geometria euclidea.
Le conclusioni di Klein possono essere interpretate anche alla luce della teoria dei
gruppi di trasformazione: ciascuno dei tre gruppi metrici può così essere considerato un
163 Bottazzini (2003, p. 219).164 Von Staudt si servì di un calcolo con i Wurfe (tetradi) «per liberare la nozione di birapporto da ogniriferimento metrico e fondare su basi puramente proiettive la geometria proiettiva (…) così, per esempio, fissatiarbitrariamente su una retta tre punti 0, 1, ∞, il Wurf formato con essi da un punto P della retta, determinato conuna costruzione geometrica che in realtà risaliva a Möbius, era assunto da Von Staudt come coordinata proiettivadi P»(Bottazzini 2003, p. 201-02).165 Bottazzini (2003, p. 219).166 Klein (1871 [1998], p. 45).167 Ibid.168 ivi. p. 49.
48
sottogruppo del gruppo proiettivo, costituito dalle sole trasformazioni che lasciano invariato
l’assoluto169.
Applicando gli stessi metodi di Lie, ma tenendo al contempo presenti i risultati di F.
Klein, Poincaré offre nell’articolo del 1887 un’interessante soluzione al problema di
Helmholtz-Lie. Abbiamo già accennato al metodo seguito dal matematico francese: egli
considera una superficie di secondo ordine qualsiasi, e decide, mediante un’opportuna
interpretazione, di chiamare rette le sezioni piane diametrali, e circonferenze le sezioni piane
non diametrali170. Il concetto di angolo viene definito di conseguenza: per un punto sulla
superficie si facciano passare due sezioni piane diametrali (due rette secondo la nostra
nomenclatura), allora l’angolo tra due rette sarà il logaritmo del birapporto determinato dalle
due tangenti alle sezioni piane e dalle due generatrici passanti per il punto in questione. Nel
caso in cui le due generatrici non siano reali, per ottenere la misura di un angolo basterà
dividere il birapporto ottenuto come sopra per √-1.
Siamo così arrivati a costruire il seguente dizionario:
spazio ……….. quadrica
retta………….. sezione piana diametrale
circonferenza ……….. sezione piana non diametrale
angolo ……………… logaritmo del birapporto tra le tangenti alle
sezioni piane e le generatrici.
Lunghezza di un segmento ………… logaritmo del birapporto determinato dalle
estremità di un arco di conica determinato da una
sezione piana diametrale e dai punti di
intersezione dell’arco con la quadrica
fondamentale.
Tra gli angoli e le lunghezze così definiti potrà essere stabilito un insieme di relazioni,
che costituiranno un insieme di teoremi – scrive Poincaré – analoghi a quelli della geometria169 Le medesime conclusioni sono riportate nel programma di Erlangen: «le proprietà metriche debbonoconsiderarsi come relazioni proiettive rispetto ad una forma fondamentale, il cerchio immaginario all’infinito,forma che ha la proprietà di trasformarsi in sé stessa in quelle sole trasformazioni proiettive che appartengonoaltresì al gruppo principale…». Klein (1872 [1890], p. 9). 170 «Nous conviendrons de donner le nom de droites aux sections planes diamétrales de cette surface et le nom decirconférences aux sections planes non diamétrales». Poincaré (1887 [1956], p.81)
49
piana171. L’autore distingue tre specie di “geometrie quadratiche”, a seconda che la superficie
fondamentale sia un ellissoide, un iperboloide a due falde o un paraboloide ellittico:
Si la surface fondamentale est un ellipsoide, la géométrie quadratique ne diffère pas de la géométrie de
Riemann.
Si la surface fondamentale est un hyperboloide à deux nappes, la géométrie quadratique ne diffère pas de
celle de Lobatchevski.
Si cette surface est un paraboloide elliptique, la géométrie se réduit à celle d’Euclide ; c’est un cas limite
des deux cas précedents172.
Tuttavia la limitazione a queste sole quadriche appare ingiustificata, dal momento che
vengono esclusi dalla trattazione, ad esempio, l’ipeboloide ad una falda e le sue
“degenerazioni”. I modelli di geometria sull’iperboloide ad una falda, tuttavia, implicano
almeno tre proposizioni talmente «contrarie alle abitudini del nostro spirito». Si tratta, nella
fattispecie: (i) la distanza tra due punti posti sulla stessa generatrice rettilinea è nulla, (ii)
possiamo individuare due specie di rette, le prime corrispondenti alle sezioni diametrali
ellittiche, le seconde alle sezioni diametrali iperboliche, che non possono, attraverso un
movimento reale, essere fatte coincidere. (iii) è impossibile portare una retta a coincidere con
se stessa dopo una rotazione attorno ad uno dei suoi punti.
«Tous les géomètres – conclude Poincaré – ont implicitement supposé que ces trois
propositions sont fausses, et vraiment ces trois propositions sont trop contraires aux habitudes
de notre esprit pour qu’en les niant les fondateurs de la géométrie qui aient cru faire une
hypothèse et aient songé à l’énoncer»173. Pertanto, assumendo la falsità di (i) – (iii) e, di
conseguenza, restringendo il novero delle superfici fondamentali alle tre sopra ricordate, i
geometri hanno enunciato un’ ulteriore ipotesi, che Poincaré non sembra ritenere più vera
dell’ipotesi contraria, ma solo più consona ad una disposizione soggettiva, quale l’insieme
delle «habitudes de notre esprit»174.
Dopo aver enunciato le possibili geometrie quadratiche, l’autore, nel solco di S. Lie,
prende in considerazione le «applicazioni della teoria dei gruppi» ai seguenti problemi: quali
sono le ipotesi comuni alle geometrie quadratiche? Quali ipotesi distinguono le geometrie
quadratiche dalle altre geometrie di Euclide175?171 «Il y aura, entre les angles et les longuers ainsi définis, un certain nombre de relations, qui constitueront unensemble de thèorèmes analogues à ceux de la géométrie plane». Ibid. 172 Poincaré (1887 [1956], p. 82).173 Ibid.174 ibid.175« I°. Quelles sont les hypothèses communes à toutes les géométries quadratiques? II°Quelles sont leshypothèses qui distnguent la géométrie d’Euclide des autres géométries quadratiques?» Ivi, p. 82-83.
50
Ogni geometria a due dimensioni, precisa Poincaré, presuppone i seguenti postulati:
1867 Il piano ha due dimensioni.
1868 La posizione di una figura nel piano è determinata da tre condizioni.
Tenendo conto di queste premesse, il movimento di una figura piana sarà descritto dalle
equazioni:
x1 = φ (x, y, α, β, γ)
y1 = ψ (x, y, α, β, γ)
un punto di coordinate (x, y) si troverà, dopo lo spostamento, nella posizione (x1, y1).
Osserviamo inoltre che φ e ψ sono due funzioni delle x, delle y e dei tre parametri α, β, γ.
Inoltre l’operazione seguente:
[x, y; φ (x, y, α, β, γ), ψ (x, y, α, β, γ)],
definirà uno dei movimenti possibili di una figura piana. Assumiamo poi che per certi
valori dei parametri α, β, γ (ad esempio per α = β = γ = 0) si abbia:
φ (x) = x
ψ (x) = y.
Sarà in tal modo definita l’«operazione identica ».
Di conseguenza l’insieme delle operazioni costituirà un gruppo continuo di ordine 3
(poiché nelle equazioni figurano tre parametri). In merito alla continuità del gruppo, Poincaré
ritiene di poter definire la nozione di “operazione infinitesimale” nel modo seguente:
Nous appellerons opération infinitésimale (ou mouvement infinitésimale) une opération par laquelle α, β,
γ ont des valeurs infiniiment petits et que nous pourrons écrire
51
(x, y; x + αϕα
dd
+ βϕβ
dd
+ γϕγ
dd
; y + γψγ
βψβ
αψα
dd
dd
dd ++
):
M. Lie représente une pareille opération par la notation suivante:
S = p( αϕα
dd
+ βϕβ
dd
+ γϕγ
dd
) + q( γψγ
βψβ
αψα
dd
dd
dd ++
)
A = p αϕα
dd
+ q αψ
dd
,
B = βψ
βϕ
ddq
ddp +
C = γψ
γϕ
ddq
ddp +
Semplificando i termini, otterremo che un’operazione infinitesimale S può scriversi
come:
S=αA + βB + γG,
in cui le operazioni A, B, C, sono definite sostituzioni fondamentali. Osserviamo che
ogni operazione infinitesimale può essere scritta come combinazione lineare delle tre
sostituzioni fondamentali; d’altro canto la scelta di queste ultime è in una certa misura
arbitraria, poiché a loro volta possono essere sostituite da altrettante loro combinazioni lineari.
S. Lie, infatti, ha mostrato che le sostituzioni A, B, C possono essere rimpiazzate dalle
seguenti:
[A, B] = λA + μB + νC.
[A, C] = λ’A + μ’B + ν’C.
[B, C] = λ’’A + μ’’B + ν’’C
in cui i coefficienti λ, μ, ν rappresentano delle costanti tali che risulti:
52
[A, [B, C]]] + [B, [C, A]] + [C, [A, B]] = 0176.
I tre operatori [A, B], [A, C] e [B, C], combinazioni lineari di A, B e C, definiscono le
relazioni di struttura di un gruppo. Attribuendo valori definiti alle costanti (ad esempio
prendendo λ = μ = ν = 0) e operando opportuni cambiamenti di coordinate, Poincaré ottiene
valori particolari per ciascuna sostituzione fondamentale177. In tal modo arriviamo ad isolare 6
casi, di cui uno, in cui è verificata la permutabilità delle sostituzioni A e B, rappresenta la
struttura del gruppo dei movimenti euclidei. Rimangono allora 5 casi che corrispondono, una
volta posto che ad un determinato gruppo di trasformazioni si può far corrispondere una
determinata geometria, ad altrettanti sistemi geometrici.
Gli assiomi A e B consentono, infine, di isolare, accanto al gruppo euclideo, altri tre
gruppi, di cui uno corrisponde alle geometrie quadratiche178. I due restanti, al contrario,
definiscono geometrie interamente nuove: «pourquoi – si chiede Poincaré – Euclide ne l’a –t –
il pas rencontrée? Ou plutôt quelle est l’hypothèse qu’il a fait implicitement et qui l’a
empêchè de rencontrer cette géométrie?»179. Consideriamo uno dei due gruppi, il quale dia
luogo ad una sostituzione infinitesimale del tipo:
αp + βq + γeν ’ x + ν ’’ y (ap + bq).
I punti che la sostituzione lascia invarianti sono definiti a loro volta dall’equazione:
eν ’ x + ν ’’ y = - α / γa = -β /γb.
Da cui ricaviamo che solo se α / a = β / b un numero di punti infinito resterà immobile.
Ciò è del resto contrario ad un’ ipotesi che viene implicitamente ammessa tanto in geometria
euclidea quanto nelle geometrie “senza postulato”: “quando una figura piana non lascia il suo
piano e due suoi punti restano immobili, l’intera figura resta immobile”180.176 Poincaré (1887 [1956], p. 85)177 è possibilie infatti scegliere le cosanti in modo tale che [A, B] = μB e il sistema di coordinate in modo che Asi riduca al valore p. B avrà allora la forma seguente:
B = eμ x [hθ1(y) + qθ2(y)]178 A = p, B = qeμ x, C = e-μ x [(ay + b)p + μq (a / 2 y2 + by + c)]179 Poincaré (ivi, p. 87).180 «C. Quand une figure plane ne quitte pas son plan et que deux de ses points restent immobiles, la figure touteentière reste immobile». Poincaré (ivi, p. 89). Infatti nella “nuova geometria” di cui Poincaré ha definito il
53
L’insieme seguente di ipotesi caratterizzerà allora, in modo necessari e sufficiente, le tre
geometrie quadratiche:
a. Il piano ha due dimensioni;
b. La posizione di una figura nel piano è determinata da tre condizioni.
c. Quando una figura piana non lascia il piano su cui giace, e due suoi punti restano
immobili, l’intera figura resta immobile181.
Se vengono aggiunte le ipotesi:
La distanza tra due punti è nulla se e solo se i due punti coincidono,
Quando due rette si intersecano in un punto, è possibile farle coincidere per mezzo di
una rotazione attorno al punto di intersezione,
Dal novero delle geometrie quadratiche verrà esclusa la geometria sull’iperboloide ad
una falda.
L’ipotesi F consente inoltre di escludere la geometria sferica:
1) Due rette possono intersecarsi la massimo in un punto.
Mentre l’ipotesi G circoscrive la geometria euclidea:
2) La somma degli angoli di un triangolo è una costante182.
gruppo di trasformazioni, o non vi sono punti lasciati immobili da un movimento, o ve ne sono infiniti. Il cheequivale a sostenere che nel gruppo associato a tale geometria non trova posto alcun sottogruppo analogo algruppo di rotazioni attorno a un centro, la cui caratteristica risulta proprio quella di avere tale punto quale puntounito del sottogruppo. 181 Poincaré (ivi, p. 89).182 Poincaré (ivi, p. 90). Nelle geometria iperbolica, infatti, non esistono triangoli (e, più generalmente, figure)simili – si confronti la nota 22- ma la somma degli angoli interni varia con la superficie del triangolo stesso. Inparticolare, se gli angoli interni di due triangoli sono rispettivamente uguali, i due triangoli sono congruenti. Intal modo è possibile associare, ad una data misura angolare, una lunghezza specifica: «as can be easily shown –leggiamo in una lettera scritta da Gauss a Gerling nel 1816 - if Euclidean geometry is not the true geometry, thenno similar figures exist at all; in pan equilateral triangle the angle changes with the lenght of the side, and i findnothing absurd in this. In this case the angle is a function of the side, and the side a function of the angle,however, in the latter function a certain constant lenght appears. It seems paradoxical that there exists a linesegment, a lenght, which seems to be given a priori; but I find nothing contradictory in this. It would even bedesiderable that Euclidean geometry be untrue, because we would then have at our disposal a general a priorimeasure». Come Gauss, del resto, nemmeno Poincaré ritiene paradossale che una geometria possa esprimere unamisura di lunghezza assoluta: «è assurdo, si dice, supporre che una lunghezza possa essere uguale a un numeroastratto. Ma perché? Perché è assurdo per una lunghezza e non è assurdo per un angolo? Non c’è che una rispostapossibile. Ci sembra assurdo perché è contrario alle nostre abitudini di pensiero. » (Poincaré, 1899, p. 57).
54
L’insieme di ipotesi A-G costituisce, negli intenti di Poincaré, una caratterizzazione
esaustiva della geometria euclidea, che tenga conto dei metodi sviluppati da Lie e delle
ricerche di Helmholtz, e, prima ancora, di Riemann. Significativamente, nella parte finale
dell’articolo Poincaré si richiama alla “celebre memoria di Riemann”, per rilevare però le
differenze “tra i metodi e risultati” che corrono tra i due lavori. Se da un lato, infatti,
«Riemann caratterizza una geometria per l’espressione dell’eleemnto d’arco in funzione delle
coordinate»183, Poincaré, secondo la lezione di Helmholtz e S. Lie, prende come punto di
partenza «la possibilità del movimento, o piuttosto, l’esistenza di un gruppo di movimenti che
non alterano le distanze»184. Nel primo caso si avranno, seguendo il metodo di Riemann,
«geometrie incompatibili con il movimento di una figura invariabile»185, che Poincaré ritiene
puramente analitiche e dunque non suscettibili «di dimostrazioni analoghe a quelle di
Euclide»186, mentre nel secondo caso, «il numero delle geometrie compatibili con queste
premesse sarà limitato». L’autore si riferisce naturalmente alle ipotesi enunciate nell’articolo
del 1887, che consentono di concludere: «Se dunque si ammette la possibilità del movimento
si potrà inventare solo un numero finito di geometrie a tre [o due] dimensioni»187.
La teoria dei gruppi continui ha dunque il merito, osserva il nostro, di «limitare il
capriccio degli inventori di geometrie», obbligandoli a non violare le proprietà (i) – (v) sopra
elencate. Tale concezione fonda, beninteso, l’idea che lo spazio sia, kantianamente, la forma
dei fenomeni del mondo esterno. Malgrado le critiche rivolte da Poincaré all’epistemologia
kantiana della geometria, il matematico non ne demolisce l’impostazione di fondo, ma, al
contrario, finisce per accentuare egli stesso il carattere a priori della conoscibilità dello
spazio. Del pari, egli integra l’impianto dell’estetica trascendentale alla luce della scoperta
delle geometrie non euclidee e della teoria dei gruppi, che gli permette di dedurre interamente
a priori dalla forma generale del senso esterno: «le principe de la relativité de position», in
base al quale ogni gruppo conduce a definire «una sorta di uguaglianza» o congruenza188. La
metrica è, in tal modo, inscritta nella forma dello spazio, e la sua scelta si riduce, in sostanza,
alla scelta di uno tra i tre gruppi che stanno alla base della geometria euclidea e delle due
183«Riemann caractérise une géométrie par l’expression de l’élément d’arc en fonction des coordonnées».Poincaré (1887 [1956], p. 90).184Ibid.185 Poincaré (1902 [2003], p.81).186 ibid..
187« Si donc on admet la possibilité du mouvement, on ne pourra invente qu’un nombre fini (et même assezrestreint) de géométries...». Poincaré (1887 [1956], p. 90).
188 Cfr. Poincaré (1899), Vuillemin (1962 [1992], pp. 426-427.
55
geometrie non euclidee. Nella prospettiva di Poincaré, è il criterio su cui fondare questa scelta
a costituire un problema:
on peut se demander maintenant que ce sont ces hypothèses. Sont-ce des faits expérimentaux, des
jugements analytiques ou synthétiques a priori? Nous devons répondre négativement à ces trois questions. Si ces
hypothèses étaient des faits expérimentaux, la géométrie serait soumise à une incessante révision, ce ne serait pas
une science exacte; si elles étaient des jugements synthétiques a priori, ou à plus forte raison des jugements
analytiques, il serait impossible de s’y soustraire et de rien fonder sur leur négation.
Proprio perché l’esistenza di un gruppo non è incompatibile con quella di un altro
non vi sono ragioni a priori perché si possa ritenere alcuna delle geometrie compatibili con le
ipotesi A- G inadatta a descrivere il mondo esterno. La compossibilità delle tre geometrie
trova una nuova giustificazione nell’esistenza189 delle strutture algebriche che stanno a
fondamento di ciascuna di esse, giustificazione che si aggiunge alla dimostrazione della
“coerenza relativa”190 dei sistemi non euclidei e la completa. Tuttavia l’affermazione di
Poincaré secondo cui «la vérité de la géométrie d’Euclide n’est pas incompatible avec celle de
la géométrie de Lobatchevski, puisque l’existence d’un groupe n’est pas incompatible avec
celle d’un autre groupe»191 richiede un’ulteriore delucidazione a proposito della nozione di
“verità”. Osserviamo, infatti, che dal punto di vista della moderna assiomatica, ha senso
189 Si ricordi che Poincaré stesso sostiene, a proposito dell’esistenza degli enti matematici, la posizione secondocui «u ente matematico esiste posto che la sua definizione non implichi contraddizione» (Poincaré, 1902, p.77). 190 Il problema della coerenza di un sistema di assiomi è così riassunto ne La scienza e l’ipotesi «Le teorie diLobatchevskij e di Riemann - scrive Poincaré a commento dell’opera di Beltrami – non presentano alcunacontraddizione; ma per quanto numerose siano le conseguenze che questi due geometri hanno tratto dalle loroipotesi, essi hanno dovuto fermarsi prima di averle esaurite tutte (…) chi ci dice allora che, se avessero spintooltre le loro deduzioni, non avrebbero finito per giungere a qualche contraddizione?». Beltrami – proseguePoincaré – ha ricondotto (…) la geometria di Lobatchevskij a due dimensioni a una branca della geometriaordinaria”. Beltrami considerò una particolare superficie detta pseudosfera, una superficie a curvatura costantenegativa, sulla quale era possibile introdurre “coordinate curvilinee considerando un sistema di geodeticheortogonali tra loro” . In questo modo, leggiamo nel saggio di Beltrami, le nozioni e i teoremi della geometriaiperbolica ricevono “un’interpretazione vera e propria, poiché diventano costruibili sopra una superficie reale”.Non solo, ma ricorrendo a un opportuno dizionario, le proposizioni della geometria non euclidea a duedimensioni sono traducibili nel relativo modello euclideo.In questo modo viene “scaricata” sul sistema euclideo la “responsabilità” della coerenza della geometriaiperbolica ( cfr. Mangione, Bozzi, 1992 [2001], p. 61).
Una soluzione analoga, relativa alla geometria riemanniana, viene presentata da Poincaré ne La scienzae l’ipotesi. L’esposizione, particolarmente perspicua, del modello di geometria ellittica che troviamo nell’operadel 1902 è affidata a questo esperimento mentale «ma supponiamo che (…) animali immaginari (…) privi dispessore, abbiano la forma di una figura sferica (…) e che siano tutti sopra una stessa sfera senza poterseneallontanare. Quale geometria potranno costruire? Dapprima, è chiaro che essi non attribuiranno allo spazio chedue dimensioni (…) in altre parole, la loro geometria sarà quella sferica. Poincaré (1902 [2003], p. 86).“La geometria di Riemann -conclude Poincaré - è la geometria sferica estesa a tre di dimensioni ”.Una retta nella geometria ellittica corrisponderà dunque a un arco di cerchio massimo, lo spazio avrà duedimensioni, sarà illimitato (“su una retta si può sempre andare avanti senza mai fermarsi”), ma finito. Conclusivamente, i due modelli sopra delineati, oltre a dimostrare che sia Lobatchevskij, sia Riemanncostruirono dei sistemi relativamente coerenti, hanno reso la geometria euclidea reale “in senso matematico”.191 Poincaré (1887 [1956], p. 90).
56
parlare della verità o della falsità di una proposizione solo una volta che i simboli che
compaiono nella teoria abbiano ricevuto un’opportuna interpretazione192. In questo senso,
possiamo concludere che il concetto di verità adottato dalla moderna assiomatica non si
discosta dalla teoria “classica” secondo cui «dire di ciò che è che non è, o di ciò che non è che
è, è falso, mentre dire di ciò che è che è, o di ciò che non è che non è, è vero» (in Mangione,
Bozzi, 1992 [2001], p. 576). In sostanza, il concetto di verità adottato dalla moderna
assiomatica si presenta come una relazione tra fatti linguistici e domini di riferimento.
Pertanto, le condizioni che specificano la verità di una proposizione del tipo «la somma degli
angoli di un triangolo è costante» possono riassumersi nella proposizione:
«la somma degli angoli di un triangolo è costante» se e solo se la somma degli angoli di un triangolo è
costante.
Non si tratta, malgrado le apparenze, di un semplice truismo: a sinistra dell’equivalenza
appare infatti un nome (l’enunciato tra virgolette potrebbe essere sostituito da un nome
qualsiasi, ad esempio: T) mentre a destra appare l’enunciato stesso. Se decidiamo allora di
considerare, prendendo ad esempio tre raggi luminosi incidenti, un “triangolo empirico”, la
proposizione «la somma degli angoli di un triangolo è costante» si riduce a un giudizio di
fatto, la cui verità può essere accertata mediante una semplice misura. Le “ipotesi” della
geometria sono allora tutte riducibili a “fatti di esperienza”? L’obiezione mossa da Poincaré
nell’articolo del 1887 ha valore puramente euristico: se gli assiomi della geometria fossero
verità di esperienza, essa sarebbe sottoposta ad un’incessante revisione. Successivamente,
Poincaré fa notare che nell’interpretare i nomi quali “retta”, “triangolo” abbiamo privilegiato,
senza dare alcuna giustificazione, un particolare modello di geometria (abbiamo costruito una
“geometria applicata” come scrive Rougier193) in cui “retta” sta per raggio luminoso e
“punto” per corpo materiale di dimensioni molto piccole. Ma nulla vincola sia il geometra sia
il fisico a questa interpretazione:
qu’on me décrive un expérience à laquelle on puisse soumettre une droite abstraite, un cercle abstrait.
Quel est le physicien qui a vu une droite, et avec quel instrument? Ce qu’il a pu voir, c’est par exemple un petit
pinceau de rayons lumineux; il le regarde comme rectiligne, parce qu’il a démontré qu’il jouissait à peu près de
certaines propriétés de la ligne droite; mais comment aurait-il pu le constater s’il n’avait connu d’avance ces
propriétés? Il a fait une expérience d’optique, et non un expérience de géométrie194.
192 Rougier (1920, p. 123).193 Rougier (1920, p. 124).194 Poincaré (1899, p.).
57
“Punto” , “retta” e “piano” sono simboli definiti implicitamente dai postulati in cui
figurano: «en d’autre termes, les axiomes de la géométrie (…) ne sont que de définitions
déguisées»195. Infatti, argomenta Poincaré in un articolo del 1899 pensato come risposta alle
critiche rivolte da B. Russell, se un oggetto possiede, poniamo, le proprietà A e B, la proprietà
A può servire da sua definizione se esso è il solo a possederla, e in tal caso B sarà un assioma
o un teorema: «en un mot, pour qu’une propriété soit un axiome ou un théorème, il faut que
l’objet qui possède cette propriété ait été complètement défini indépendamment de cette
propriété»196. Poincaré ritiene che si possano pensare due soli modi di definire un concetto
geometrico (sia, ad esempio, la “distanza” tra due punti) senza ricorrere agli assiomi in cui
questo concetto figura: o attraverso la via dell’esperienza, o attraverso il lume dell’
”intuizione”. Il primo caso, come mostrato sopra, viene immediatamente escluso. Non resta
che il ricorso ad una facoltà intuitiva che Poincaré rifiuta recisamente:
A ceux qui pensent avoir l’intuition directe de l’égalité de deux distances ou de celle de deux durées, il
m’est difficile de répondre ; nous parlons des langues trop différentes. Je ne puis que les envier et les admirer
sans les comprendre, parce que cette intuition me manque absolument.197
Non resta che accogliere l’ipotesi per cui gli assiomi della geometria sono “definizioni
camuffate” o “convenzioni nominali”. Si consideri, ad esempio, il V postulato di Euclide:
esso non è che una “parte” di definizione, poichè solo se gli aggiungiamo i postulati 1, 2, 6
caratterizzaerà un insieme di oggetti tra cui la retta euclidea198. Di conseguenza:
Le postulat d’Euclide se réduit ainsi à une convention de langage qui règle l’usage du mot droite: je
conviens d’appeller droite la ligne qui respecte les relations énoncées dans les postulats 1, 2, 5, 6 d’Euclide, et
non, par exemple, la ligne qui ne vérifie que les postulats 1, 2, 6199.
L’osservazione dei corpi solidi in natura può suggerire la scelta di una tale definizione,
ma non può imporla: «Nous avons choisi, parmi tous les groupes possibles, un groupe
particulier pour y rapporter les phénomènes physiques, comme nous choisissons trois axes de
coordonnées pour y rapporter une figure géométrique»200.
195 Poincaré (1902 [2003], p. 85).196 Poincaré (1899, p. 274).197 Poincaré, ibid.198 Rougier (1920, p. 125).199 Ibid.200 Poincaré (1887 [1956], p. 91).
58
L’applicazione di una forma (un gruppo particolare) ad una materia (i fenomeni fisici)
richiede l’introduzione di una nuova specie di convenzione, che possiamo definire
convenzione strumentale, in quanto orienta la scelta di una sostanza le cui variazioni di forma
o il cui spostamento (cambiamenti quantitativi) possono essere correlati a determinati
cambiamenti qualitativi201. In altre parole, per costruire uno strumento di misura occorre una
definizione della “forma di un corpo”, che sappiamo dipendere dalla scelta di uno dei tre
gruppi metrici202 nella misura in cui, come scriverà Poincaré nel 1899: «Il y a un groupe de
transformation qui conserve certaines propriétès des figures, et l’ensemble de ces propriétés
constitue ce que nous appellons leur forme»203.
Già nel lavoro del 1887 si affacciano, in sostanza, i punti fondamentali del
convenzionalismo geometrico discusso dall’autore nel corso del decennio successivo. I
“remarques diverses” che Poincaré affida alla parte conclusiva dell’articolo declinano i
differenti ruoli che la nozione di “convenzione” gioca nella costruzione e nell’applicazione
dei sistemi geometrici. Da un lato, infatti, viene ribadita la riduzione della geometria allo
studio di un gruppo («La Géométrie n’est autre chose que l’étude d’un groupe») e, parimenti,
con la costruzione delle geometrie quadratiche, viene annunciata la possibilità di considerare
gli assiomi “convenzioni nominali” («Considérons une surface du second ordre quelconque.
Nous conviendrons de donner le nom de droites aux sections planes diamétrales de cette
surface et le nom de circonfèrences aux sections planes non diamétrales»); dall’altro, viene
rifiutato alle ipotesi che fondano la geometrie tanto lo statuto di “fatti di esperienza” quanto
quello di “giudizi sintetici a priori”, nella convizione che entrambe le caratterizzazioni non
spieghino il valore di “convenzioni strumentali” degli assiomi. Essi sono strumenti nella
201 Per applicare una forma ad una materia, osserva Rougier (Rougier, 1920, p. 126-127), occorre costruire certistrumenti di misura. Dati due corpi, possiamo giudicare attraverso i sensi quale sia il più caldo, ma non di quantosia più caldo. In tal senso, la categoria della qualità differisce da quella della quantità per il fatto che mentre lagrandezza di una quantità data risulta dalla somma di grandezze inferiori, l’intensità di una qualità non èdeterminata dalla somma delle intensità di grado minore. La misura di una qualità può essere effettuata solo se èpossibile correlare cambiamenti qualitativi a cambiamenti quantitativi: una variazione di temperatura, adesempio, comporta la dilatazione del corpo che la subisce. Tuttavia, tale correlazione può effettuarsi solo per iltramite di una convenzione, nella fattispecie la scelta di una sostanza (mercurio o alcool) all’interno di un tubo divetro, le cui variazioni lineari, quando questa si trova a contatto con un corpo e in equilibrio termico con esso,vengono associate convenzionalmente alla temperatura del corpo. Una seconda convenzione stabilisce poi cosadobbiamo intendere per “grado” di temperatura attraverso la creazione di una scala. Conclusivamente: «le choixd’un thermomètre, qui permet d’appliquer les équations de la thermodynamique aux variations thermiques descorps, implique donc au moins une double convention instrumentale: le choix d’une substance de repère, le choixd’une échelle de graduation» (Rrougier, ibid.). 202 «les instruments de mesure, qui permettent d’appliquer à l’étude des phénomènes de la nature le langage de lamathématique universelle, reviennent toujours à faire correspondre aux variations qualitatives des phènomènessoit les variations de forme géométrique d’u corps unique comme la dilatation linéaire du mercure, ladéformation du ressort d’u dynamomètre; soit les variations de la distance relative de plusieurs corps, commel’écartement des feuilles d’or de l’électroscope, la déviation de l’aiguille d’un galvanomètre (...) Pour construireun appareil de mesure, il faut donc préalablement avoir défini ce que c’est que la forme d’un corps, c’est à direavoir choisi une des trois métriques compatibles avec les axiomes de Lie» (Rougier, 1920, p. 128).203 Poincaré (1899, p. 260).
59
misura in cui la scelta di una geometria e, per coonseguenza, di un gruppo, definisce la forma
dei corpi e fonda la possibilità di interpretare quantitativamente i cambiamenti qualitativi, ma
sono del pari convenzioni non arbitrarie, perché pur restando libera, la scelta in favore di un
sistema è guidata dall’osservazione dei fenomeni fisici («C’est cependant l’observation de
certains phénomènes physiques qui les fait choisir parmi toutes les hypothèses possibles»). La
scelta di un gruppo diviene una questione anzitutto di “comodità”:
Le groupe choisi est seulement plus commode que les autres et l’on ne peut pas dire que la géométrie
euclidienne est vraie et la géométrie de Lobatchevski fausse, qu’on ne pourrait dire que les coordonnées
cartésiennes sont vraies et le scoordonnées polaires fausses.
Si tratta di verità, scrive Poincaré in chiusura del suo articolo, che «cominciano a
divenire banali» e pertanto non meritano ulteriore commento. Invero, il dibattito che negli
anni successivi lo vedrà protagonista, e, ancor più, gli sviluppi che l’epistemologia
convenzionalista avrà nel secolo successivo, sembrano dimostrare il contrario.
60
CAPITOLO III
Prima dei trent’anni di età – scrive J. Diedonné nella breve biografia dedicata al
matematico francese in Dictionary of scientific biographies, Poincaré divenne noto alla
comunità scientifica mondiale per la scoperta delle funzioni automorfe ad una variabile
complessa204. Egli vi pervenne studiando la teoria delle equazioni differenziali205, e pubblicò
sull’argomento una serie di lavori che comprendono un saggio inviato all’Académie des
Sciences” nel 1880, e una serie di articoli editi fra il 1881 e il 1885206. Le ricerche di Poincaré
originarono dalla lettura di un articolo di L. Fuchs207 intorno alle «funzioni di più variabili
generate dall’inversione degli integrali delle soluzioni di un’equazione differenziale lineare
del secondo ordine:
0Q(z)ydzdyP(z)
dxyd2
2
=++
204 «before he was thirty years of age, Poincaré became world famous with his epoch making discovery of theautomorphic functions of one complex variable (or as he called them “fuchsian” and “kleinian” functions)».Dieudonné (in 1981, sub voce ).205 Come scrive J. Gray: «Henri Poincaré’s earliest mathematical interest was differential equations. His thesis,submitted in 1879, was on partial differential equations. He then wrote the essay which began his important seriesof papers on the geometric theory of ordinary differential equations, and, also, in 1880, began to work on thetheory of linear differential equations in the complex domain». Gray (1982). Nel 1880, l’accademia di Parigipose a concorso, in occasione del Grand prix des sciences mathématiques, la seguente questione: «perfezionarein qualche punto importante la teoria delle equazioni differenziali lineari in una sola variabile indipendente» (cfr.Bottazzini, 1999, p. 42). La memoria inviata da Poincaré ottenne solo un encomio (il premio andò al celebreanalista G. Halphen), che tuttavia dimostra la profonda impressione suscitata dal coraggioso tentativo diestendere: «le ricerche di Lazarus Fuchs sulla teoria delle equazioni differenziali lineari nel campo complesso»,al fine di: «integrare tutte le equazioni differenziali lineari a coefficienti algebrici» (ivi). 206 «the published papers comprise an essay submitted for the Académie des Science prize of 1880, and then astream of papers written between 1881 and 1885.» (Gray, 1982). Agli articoli consegnati per la pubblicazione vainoltre aggiunta la preziosa corrispondenza che l’autore intrattenne con Felix Klein, nel corso del 1881 e del1882, e con lo stesso Fuchs, nel corso del 1880-1881. 207 «bien que les groupes, étudiés dans ce dernier travail se ramenassent tous à des groupes déjà connus, c’est lalecture de ce remarquable mémoire qui m’a guidé dans mes premières recherches et qui m’a permis de trouver laloi de génération des groupes fuchsiens et d’en donner une démonstration rigoureuse. J’ai l’ai donné d’aborddans une mémoire que j’eus l’honneur de soumettre au jugement de l’Académie des Sciences dans le concourspour le Grand Prix des Sciences Mathématiques du 1° juin 1880 et j’ai poursuivi l’étude des groupes dans unesérie de travaux insérés aux Comptes Rendus de l’année 1881». In Bohnke (1994)
61
a coefficienti P(z) e Q(z) dati da funzioni razionali della variabile complessa z»208 e
pubblicato nel 1880 sul Journal de Crelle. Data un’equazione di questo tipo, l’analista tedesco
poneva il problema di studiare la funzione inversa x = y(x) ottenibile da due soluzioni
linearmente indipendenti y1 e y2 (y = y1/ y2) 209, e, specificamente, di indagare quando essa
risultasse meromorfa (uniforme).
Muovendo da un’analogia con le funzioni ellittiche210, Poincaré studiò la funzione
ottenuta dall’inversione del rapporto di due integrali211, ricavando per questa via una classe di
funzioni uniformi invariante rispetto alla seguente trasformazione della variabile z:
dczbazzT
++→:
(det = 1 e a, b, c, d ∈ ℜ) (1)
Seguendo le indicazioni contenute nell’articolo Théorie des groupes fuchsiens, tale
classe corrisponde al gruppo PSL(2, R)212 delle trasformazioni conformi (sostituzioni reali) T
del piano complesso }{∞∪C che conservano il semipiano superiore H2 (ivi compresa la
retta X = 0). Possiamo infine considerare un gruppo fuchsiano come un sottogruppo
208 (Bottazzini, 1999, p. 44). Cfr. anche Gray (1982).209 Si prenda in esame, ad esempio, la funzione
∫ −==x
xdxxu0
21arcsin.
Lo studio della funzione inversa è, in questo caso, semplice. Essa sarà infatti x = sinu, vale a dire una funzioneperiodica ed uniforme (tale da assumere uno e un solo valore per ogni valore dell’argomento u ), o, secondo illessico in uso nel secolo XIX, “meromorfa”. Invertendo, al posto della più semplice funzione arco seno, unintegrale ellittico di prima specie, giungeremo a risultati analoghi. Dato infatti:
)1)(1( 2220 xkx
dxdxux
−−= ∫
210
Considerando successivamente la variabile d’integrazione x come funzione dell’integrale u, si ottiene unafunzione uniforme, definita da Jacobi, in analogia con la funzione seno, x = sin am u. Quest’ultima funzione hainfatti un periodo reale (come la funzione seno) ed uno immaginario; inoltre, proprio come la funzione seno puòessere sviluppata in serie di potenze, la funzione x = sin am u può essere definita come «quoziente di certe serierapidamente convergenti, le cosiddette serie theta» (Bottazzini, 1999, p. 48). «Le funzioni ellittiche sono funzioni uniformi che rimangono immutate quando si incrementa la variabile di certiperiodi». Poincaré (1902 [1995], p. 10).211 «Nello stesso modo, nel nostro caso, prenderemo in esame un’equazione lineare del secondo ordine e,mediante una specie di inversione, considereremo la variabile x come funzione non più di un integrale, bensì delrapporto di due integrali della nostra equazione. In alcuni casi la funzione così definita sarà uniforme…»
212{ }0,0det)(),2( 22 ≠≠∈= × kRMkRPSL γγ
. Cfr. Bohnke (1994).
62
discontinuo213 del gruppo PSL (2, R), cioè un gruppo tale che per ogni regione finita K
2HK ⊂ , =∩ KKg )( ∅ (eccetto che per un numero finito di elementi g).
La dimostrazione dell’esistenza di un gruppo dotato di queste proprietà rappresentò un
ostacolo che il matematico francese riuscì a superare non senza difficoltà, come leggiamo nel
resoconto da lui stesso fornito alla Société de psychologie (ancora oggi uno dei più
interessanti e dettagliati casi di “psicologia dell’invenzione” in campo matematico214).
Come nel caso delle funzioni ellittiche, per il cui studio occorre dividere: «il piano in un
numero infinito di parallelogrammi, noti sotto il nome di parallelogrammi dei periodi», allo
stesso modo, rileva Poincaré, «se consideriamo un gruppo discontinuo più complesso, che
generi una trasformazione di ordine più elevato, potremo dividere il piano (…) in un numero
infinito di regioni o poligoni curvilinei in modo tale che sia possibile ottenere tutte queste
regioni applicando ad una di esse tutte le trasformazioni del gruppo»215.
Il ragionamento di Poincaré è fondato su un’osservazione elementare: egli muove
dall’ovvia considerazione che una regione piana (si prenda, ad esempio, il piano euclideo) può
essere ricoperta applicando ad una figura un certo gruppo di spostamenti (potremmo così
“pavimentare”il piano di quadrati eguali tra loro, semplicemente traslando un determinato
quadrato fondamentale). Le funzioni ellittiche svolgono esattamente questo compito,
consentendo il ricoprimento del piano attraverso «un numero infinito di parallelogrammi». È
dunque lecito indagare se la medesima proprietà possa essere generalizzata al gruppo
fuchsiano: «le problème se ramène donc au suivant: subdiviser d’une manière regulière le plan
ou une partie du plan en une infinité de régions toutes congruentes entre elles»216. Come
osserva U. Bottazzini, questa analogia è feconda di risultati: «partendo da un poligono
curvilineo, per mezzo delle trasformazioni del gruppo si potevano facilmente costruire i
poligoni ad esso vicini, e poi quelli vicini a questi ultimi e così via»217 ottenendo una
213 «queste trasformazioni non possono essere scelte in maniera arbitraria. Esse devono evidentemente costituireun gruppo, nel quale, inoltre, non deve essere presente alcuna trasformazione infinitesimale, tale, cioè, da farvariare x soltanto di una quantità infinitamente piccola (…) in altre parole, il nostro gruppo deve esserediscontinuo», Poincaré (1901 [1995], p. 11). Scrive Dieudonné: «G being properly discontinous, that is, such thatno point z of D is the limit of an infinite sequence of transforms (distinct form z) of a point z’∈D by a sequenceof elements Tn ∈ G». Dieudonné (1981, sub voce).214«da quindici giorni – ricorderà l’autore nel corso di una conferenza sulle modalità dell’invenzione matematicatenuta alla Société de Psicologie di Parigi – mi sforzavo di dimostrare che non poteva esistere nessuna funzioneanaloga a quelle che ho in seguito denominato funzioni fuchsiane. A quel tempo ero molto ignorante (…) unasera, contrariamente alle mie abitudini, bevvi una tazza di caffè nero e non riuscii a prendere sonno: le idee siaccavallavano tra di loro, le sentivo quasi cozzare le une contro le altre, fino a quando due di esse non siagganciavano, per così dire, a formare una combinazione stabile. Al mattino, avevo stabilito l’esistenza di unaclasse di funzioni fuchsiane, quelle che derivano dalla serie ipergeometrica. Non mi restava altro da fare chemettere per iscritto i risultati… ». in Bottazzini (1999, p. 45).
215 Poincaré (1902 [1995], p. 11).216 Poincaré, in Bohnke (1994).217 Bottazzini (1999 p. 47).
63
superficie in continuo accrescimento». Più difficile risulta però mostrare che è impossibile
costruire poligoni sovrapposti, del tutto o solo in parte218: a questo scopo, è necessario
dimostrare che la superficie ricopre una regione di piano semplicemente connessa219.
La divisione regolare che deriva da questa applicazione non è però realizzabile nel piano
euclideo; al contrario, il gruppo G genera, una volta definito un dominio fondamentale220
(come il “poligono curvilineo” menzionato da matematico), una pavimentazione iperbolica di
H2. Nell’affrontare questo ordine di questioni, confessa il Nostro, «mi sarei fermato a lungo se
non mi fosse venuta in aiuto una teoria assai differente: intendo parlare della geometria non
euclidea»221. Le trasformazioni che, associando ad un poligono generatore infiniti altri
poligoni curvilinei, consentono di ricoprire la regione D del piano sono esattamente i
«mouvements pseudogéométriques», le traslazioni e le rotazioni che conservano le distanze
iperboliche. In tal modo Poincaré arriva a costruire un modello di geometria non euclidea in
una regione del piano euclideo, proprio come Beltrami aveva fatto nel saggio (1868) 222. Il
218 «ciò che occorre far vedere è che questa superficie non si sovrapporrà a se stessa, né parzialmente nétotalmente, o in altri termini che ogni nuovo poligono annesso alla nostra superficie non si sovrapporrà,nemmeno in parte, a nessuno dei poligoni costruiti in precedenza». Poincaré (1902 [1995], p.12). 219 «Intuitivamente, questo significa che una qualunque linea continua che va da un punto qualsiasi del bordodella regione a un altro punto qualsiasi del bordo senza intersecarsi, divide la regione in due parti». Bottazzini(1999, p. 47).220 Sia G un gruppo fuchsiano. Un sottoinsieme D della regione Δ è un dominio fondamentale per G se:
a. D è un dominio;b. Esiste un F tale che *DFD ⊂⊂ e due punti distinti di F non giacciono sulla medesima orbita;c. D è la riunione delle immagini g(F);d. L’area iperbolica della frontiera di D è nulla.Scegliamo di indicare con la scrittura D* la chiusura di D rispetto alla topologia definita su Δ.
221 Ibid. il resoconto della scoperta di Poincaré è offerto dal matematico stesso in una pagina suggestiva: «A cemoment je quittais Caen, où j’habitais alors, pour prendre part à un cours géologique entreprise par l’Ecole deMines. Les péripéties du voyage me firent oublier mes travaux mathématiques; arrivés à Coutances nousmontâmes dans un omnibus pour je ne sais quelle promenade; au moment où je mettais le pied sur le marche –pied l’idée me vint, sans que rien dans mes pensées antérieures parût m’y avoir préparé, que les transformationsdont j’avais fait usage pour définir les fonctions fuchsiennes étaient identiques à celle de la géométrie noneuclidienne». Poincaré (1908, in Bohnke, 1996).222 Tale modello fu studiato da Eugenio Beltrami ancor prima che da Poincaré (cfr. Bohnke, 1994). Nel saggio diinterpretazione della geometria non euclidea (1868), il matematico italiano muove dall’analisi di una superficiea curvatura costante negativa, nota come pseudosfera e servendosi di un modello costruito nel piano euclideo(noto come modello di Beltrami-Klein) dimostra che la geometria intrinseca di una superficie pseudosferica è lageometria di Lobatchevskij. «Beltrami (..) essaya de répondre aux objections en montrant une surface, lapseudosphère, où la Géométrie non euclidienne se trouve en quelque sorte réalisée par les propriétés desgéodésiques. La réponse n'était pas topique; car la surface de Beltrami a des limites et, en Géométrie noneuclidienne, le plan et la ligne droite n'en ont pas». Il modello di cui si serve Beltrami può essere inteso come unageneralizzazione delle metriche proiettive sviluppate da Klein (Klein, 1871). In questo senso, non può essereconsiderato un vero e proprio “modello euclideo”: «Klein’s theory does supply models for euclidean and noneuclidean geometry, but his models are projective, and therefore non euclidean» Torretti (1978, p. 133). Tuttaviaè possibile ovviare a questo inconveniente: «hyperbolic plane geometry on the interior of an ellipse may beviewed as a Euclidean model of BL plane if we no longer consider its domain of definition to be a subset of ℘2
C
and regard it as a region of the Euclidean plane» (ibid.). Si giunge così al modello di Beltrami – Klein: dato nelpiano un cerchio Γ di centro O e raggio r, chiameremo “punto- BL” (punto della geometria di Lobatchevskij)qualsiasi punto all’interno del cerchio, chiameremo “retta -BL” qualsiasi corda di Γ (esclusi gli estremi). Sia P unpunto - BL e m una retta – BL non passante per P, che interseca la circonferenza Γ in due punti A e B. possiamotracciare due parallele ad m passanti per P, segnatamente, le due corde che uniscono P con A e con B. questeparallele dividono le corde passanti per P in due classi: alla prima appartengono le corde che intersecano m
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semipiano H2 – rileva l’autore nell’articolo del 1882 – può infatti costituire un modello della
geometria di Bolyai -Lobatchevskij, privando le parole “retta”, “lunghezza”, “distanza” e
“superficie” del loro significato tradizionale e accordando:
…d’appeler droite tout cercle qui a son centre sur X, longueur d’une courbe ce que nous venons d’appeler
sa L, distance de deux points la L de l’arc de cercle qui unit ces deux points en ayant son centre sur X, et enfin
surface d’une aire plane ce que nous appelons sa S.
Supposons de plus que l’on conserve aux mots ‘angles’ et ‘cercle’ leur signification, mais en convenant
d’appeler centre d’un cercle le point qui est à une distance L constante de tous les points du cercle et rayon cette
L. si l’on adopte ces dénominations, les théorèmes de Lobatchevskij sont vrais, c’est à dire que tous les
théorèmes de la géométrie ordinaire s’appliquent à des nouvelles quantités, sauf ceux qui sont une conséquence
du postulatum d’Euclide223.
È del pari possibile realizzare un gruppo G* isomorfo a G, che lasci invariata una
regione D del piano complesso (G* sarà in questo caso un sottogruppo di PSL (2, C):
otterremo in tal modo un secondo modello di geometria iperbolica, che, attraverso
un’opportuna scelta della regione D, mostra analogie evidenti con il modello di Beltrami-
Klein224. A questo punto, Poincaré è in grado di asserire il seguente teorema: dato un gruppo
fuchsiano (a meno di isomorfismi), corrisponde sempre a tale gruppo una pavimentazione
iperbolica ottenuta mediante “poligoni generatori”. Per converso, ciascuna delle possibili
pavimentazioni iperboliche di H2 o di una sua regione per mezzo di poligoni determina senza
ambiguità un gruppo fuchsiano.
L’esposizione dei lavori giovanili di Poincaré, benché sintetica, consente di mettere in
luce gli aspetti lato sensu filosofici della rivoluzione concettuale introdotta con la scoperta
(all’interno del cerchio), alla seconda le corde che non intersecano la nostra retta. È possibile infine,richiamandosi a nozioni proiettive, introdurre il concetto di distanza: dati due punti Q e R su m, avremo
d(Q; R) = 21
log (Q, R; A, B)Tale valore, che possiamo ricavare, come appare dalla formula, dal birapporto tra i quattro punti A, B, Q, R, èpreservato da tutte le trasformazioni lineari dell’intero piano proiettivo che mandano in se stesso il cerchiofondamentale (Cfr. Torretti, 1978, p. 133). La definizione del concetto di distanza mediante il birapporto fuintrodotta da Klein (Cfr. Kvasz, 1994).223In Bohnke (1994). 224 Sia D infatti il disco unità; le trasformazioni di G* che lasciano invariata la regione D corrisponderanno alloraal gruppo delle inversioni circolari rispetto al cerchio D. Dato un punto A (x; y) nel piano R2, l’inversione ρΓ
rispetto al cerchio Γ di centro O associa ad A il punto A’ tale che OA∙OA’ = r2 (con r raggio di Γ). L’inversione
circolare, in conclusione, trasforma il piano ∞∪R (o, eventualmente ∞∪C ) in se stesso, associando ad ognipunto il suo inverso (punti interni a D corrispondono a punti esterni e viceversa, i punti del confine di D restanoinalterati). Inoltre, essa è una trasformazione conforme, dal momento che preserva l’ampiezza degli angoli, purnon conservando la lunghezza dei segmenti, ma il birapporto, o rapporto anarmonico tra quattro punti. Risulta diconseguenza possibile costruire un modello di geometria iperbolica all’interno del cerchio D, attraversoun’opportuna interpretazione dei termini punto, retta, distanza (vide infra).
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delle funzioni fuchsiane. Rileva il matematico nell’ Analisi dei propri lavori scientifici sulle
equazioni diffrenziali:
mi sarei fermato a lungo se non mi fosse venuta in aiuto una teoria assai differente: intendo parlare della
geometria non euclidea. Questa geometria, fondata sull’ipotesi che la somma degli angoli di un triangolo sia
minore della somma di due angoli retti, sembra a prima vista null’altro che un semplice gioco dell’intelletto, che
ha interesse soltanto per il filosofo ma non può essere di alcuna utilità per il matematico. Non è affatto vero: i
teoremi della geometria di Lobatchevski sono altrettanto veri di quelli della geometria di Euclide, a condizione
che siano interpretati nel modo giusto. Così, ad esempio, questi teoremi non sono veri a proposito della linea
retta quale noi la concepiamo, ma lo diventano se sostituiamo il termine “retta” della geometria di Lobatchevskij
con l’espressione “cerchio che seca ortogonalmente il cerchio fondamentale”225.
Anzitutto, è il valore stesso della geometria euclidea a venir messo in discussione:
quella che pareva alla comunità scientifica “un semplice gioco dell’intelletto” degno dei più
arditi metafisici si rivela, nelle mani di Poincaré, uno strumento di indubbia utilità. Ricorda G.
Darboux nel suo Eloge226 che queste ultime si affermarono con fatica all’attenzione dei
matematici («Mais au temps de ma jeunesse, elles étaient encore combattues et contestées»227),
benché la scoperta delle geometrie non euclidee avesse determinato un profondo ripensamento
in merito ai fondamenti delle nostre conoscenze228 e che la traduzione francese delle opere di
Lobatchevskji e dell’epistolario di Gauss (quest’ultimo tradotto solo in parte) edita nel 1866
per mano di J. Hoüel avesse certamente acceso, nelle comunità matematiche francese e
italiana229, un intenso dibattito230.
Beninteso, l’impiego della “geometria iperbolica” in un contesto matematicamente
rilevante quale lo studio delle funzioni fuchsiane avviene attraverso la realizzazione di un
opportuno dizionario che consente di riguardare le trasformazioni del gruppo G
(trasformazioni fuchsiane) come “movimenti pseudogeometrici” (specificamente, movimenti
225Poincaré (1901[1995], p. 13). Lo scritto, pubblicato nel 1921, fu in realtà composto nel 1901. si è scelto nelpresente lavoro di riportare la data di redazione. 226 G. Darboux, Eloge historique d’Henri Poincaré lu dans la séance publique annuelle du 15 décembre 1913par M. Gaston Darboux secrétaire perpétuel. consultabile al seguente indirizzo:http://www.annales.org/archives/x/hpoincar.html. 227Ibid.228«Ces découvertes des géomètres ont beaucoup contribué à former, je n'ose dire, à rectifier les théories desphilosophes relatives à l'origine et à la formation de nos connaissances» Ibid.229Scrive G. Darboux : «Un savant modeste, Jules Hoüel, dont l'amitié m'honora et dont je conserveprécieusement le souvenir, a beaucoup contribué à les faire connaître et à les répandre dans notre pays». Due solianni dopo l’edizione della prima traduzione francese firmata da Hoüel, e un solo anno dopo l’edizione italianadella Pangeometria e dell’Appendix sul Giornale di matematiche ad uso degli studenti, Eugenio Beltramipubblicò sulla medesima rivista il suo Saggio di interpretazione della geometria non euclidea. Cfr. Bottazzini(2003, p. 185). 230Osserva J. Gray: «the most likely source is Beltrami’s essay of 1868, which had been translated into french byHoüel in 1869». Gray (1982).
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iperbolici): Poincaré costruisce, in altri termini, un modello231 euclideo della geometria di
Lobatchevskij in due dimensioni.
Un modello analogo a quello discusso nei lavori sulle funzioni fuchsiane, ma relativo
alla geometria iperbolica a tre dimensioni, è presentato da Poincaré in Science et hypothèse:
si consideri un certo piano che chiamerò fondamentale e si costruisca una sorta di dizionario facendo
corrispondere tra loro una doppia serie di termini scritti in due colonne, allo stesso modo in cui corrispondono
nei dizionari comuni le parole di due lingue il cui significato è lo stesso.
Spazio: Porzione di spazio collocata al di sopra del piano fondamentale
Piano: Sfera che interseca ortogonalmente il piano fondamentale.
retta: Cerchio che interseca ortogonalmente il piano fondamentale.
Sfera: Sfera.
Cerchio: Cerchio.
Angolo: Angolo.
Distanza tra due punti: Logaritmo del rapporto enarmonico di questi due punti e delle intersezioni del
piano fondamentale con un cerchio che passa per questi due punti e che lo interseca ortogonalmente232.
Avremo così un dizionario – per struttura e funzioni simile ad un dizionario di lingue –
che permette di tradurre i «teoremi di Lobatchevskij» in modo da ottenere «teoremi della
geometria ordinaria»233. Questa costruzione rende pertanto possibile “scaricare”234 la
responsabilità della coerenza della geometria iperbolica sul sistema euclideo: «se due teoremi
di Lobatchevskij fossero contraddittori, lo sarebbero anche le traduzioni di quei due teoremi
ottenute servendosi del nostro dizionario; ma questi sono teoremi di geometria ordinaria e
nessuno dubita che la geometria ordinaria sia esente da contraddizioni»235.
L’utile distinzione presentata da Kvasz236 tra linguaggio interno, linguaggio esterno e
metalinguaggio di una geometria permetterà di delucidare i rapporti che vengono a costituirsi
tra la geometria euclidea e l’iperbolica in seguito alla costruzione di un modello: costituiranno
231 La nozione di modello viene impiegata nel significato più famigliare ai geometri del secolo XIX: «we alsospeak – rimarca R. Torretti- of a model in a looser sense whenever a structured collection of objects is seen tosatisfy a set of mathematical statements, given a suitable, though usually unfamiliar, reading of its key words». Aquesta definizione possiamo invero riferire le costruzioni di Poincaré, nonché lo stesso modello presentato daBeltrami nel Saggio di interpretazione della geometria non euclidea. 232 Poincaré (1902 [2003], p.75).233 Ad esempio, la proposizione secondo cui: “la somma degli angoli di un triangolo è minore di due retti” puòessere così tradotto: “se un triangolo curvilineo ha per lati degli archi di un cerchio che prolungati andrebbero aintersecare ortogonalmente il piano fondamentale, la somma degli angoli di questo triangolo curvilineo saràminore di due angoli retti” Ivi.234 Mangione Bozzi (1992 [2001], p. 61).235 Ibid. 236 in Kvasz, (1994)
67
un “linguaggio interno” l’insieme dei lemmi posti alla sinistra nel dizionario presentato da
Poincaré, mentre il “linguaggio esterno” è quello della geometria (euclidea) in cui sono
tradotti tutti i termini e i teoremi relativi alla geometria iperbolica. Come rileva Kvasz,
Beltrami: «takes a common euclidean plane, and on this plane he first represents the non
euclidean background in the form of a circle, which represents the horizon of the non
Euclidean plane, and then on this non Euclidean background he represents the objects»237. Gli
oggetti acquisiscono in tal modo una doppia collocazione: parleremo perciò di “rette” non
euclidee, se consideriamo la cornice “interna” del piano iperbolico in cui sono collocate, o di
“circonferenze che tagliano il piano fondamentale”, se consideriamo il piano o lo spazio
euclideo nei quali vengono costruiti i modelli. Per conseguenza, la traduzione avviene tra due
elenchi di simboli, segnatamente, i simboli del linguaggio interno e quelli del linguaggio
esterno. Condizione della possibilità stessa della traduzione è l’esistenza di un
metalinguaggio: «this fact of translatability is neither a fact of the Euclidean geometry, nor a
fact of the non –euclidean one. It is a fact about these geometries, belonging to their
metatheory»238. Del pari, il metalinguaggio costituisce, da un punto di vista epistemologico, la
condizione necessaria e sufficiente di ogni prova di coerenza relativa: «the language of the
Beltrami – Klein model has a meta-subject, from which even theorems about the theory can be
formulated and proved»239.
D’altro canto, l’effettiva possibilità di traduzione trova una giustificazione ulteriore
attraverso considerazioni di algebra astratta:
qu’est-ce qu’en effet qu’une géométrie? C’est l’étude d’un groupe d’opérations formé par le déplacements
que l’on peut faire subir à une figure sans la déformer. Dans la géométrie euclidienne ce groupe se réduit à des
rotations et à des translations. Dans la pseudogeométrie de Lobatchewski il est plus compliqué (…) la
pseudogéométrie va par conséquent nous fournir un langage commode pour exprimer ce que nous aurons à dire
de ce groupe240.
In questo brano, tratto da un supplemento inviato da Poincaré all’Académie des sciences
nella tarda primavera del 1880, l’autore mostra piena consapevolezza del nesso tra teoria dei
gruppi e geometrie. Più difficile è stabilire se queste idee adombrino le tesi sostenute da Klein
nel Programma di Erlangen, in quanto non vi sono sufficienti elementi per asserire che il
matematico francese, all’epoca delle memorie sulle funzioni fuchsiane, fosse a conoscenza dei
237 Ivi.238 Ivi.239 Ivi.240 Poincaré (in Gray, 1982).
68
risultati di Klein241, né il punto di vista di Poincaré aderisce a quello del collega tedesco in
merito alla posizione e allo statuto dei differenti sistemi geometrici242. Per contro, possiamo
certamente riferire il suo interesse per la teoria dei gruppi alla lettura della Mémoire sur les
groupes de mouvement di Jordan243.
Nondimeno, è opinione condivisibile che l’emergere, in molti campi della matematica e
nella stessa geometria, di un punto di vista eminentemente “gruppale” (è testimone di questo
mutamento epistemologico Poincaré stesso) abbia quale momento incoativo lo sviluppo della
geometria proiettiva244. In primo luogo il principio di dualità - formulato in termini abbastanza
vaghi dal geometra francese J.D. Gergonne (1771-1859) - rendeva possibile «faire la
géométrie en partie double»245, ottenendo, a partire dalle proposizioni della geometria
proiettiva in cui compaiono i termini punto e retta (geometria piana) o punto e piano (nello
spazio), altrettante proposizioni correlate246. La natura del principio di dualità trovò piena
chiarificazione247 con la formulazione, ad opera di J. Plücker (Analytisch – geometrischen
Entwicklungen, 1831, t. II, p. 697 ) del principio di equivalenza:
étant donné l’indétermination laissée au mot point dans les propositions premières de la géométrie, le
choix de l’élément générateur de l’espace et arbitraire, pourvu qu’il respecte les rapports énoncés dans les
propositions premières de la géométrie248.
241 Secondo J. Gray, è improbabile che Poincaré conoscesse, all’inizio degli anni 80, il Programma di Erlangen.Più difficile è stabilire se l’autore conoscesse il lavoro del 1871 sulle geometrie non - euclidee. Lacorrispondenza che il matematico francese intrattenne con il collega tedesco può fornire un aiuto in proposito: «jesais –rivela Poincaré a Klein – combien vous êtes versés dans la connaissance de la géométrie non euclidiennequi est la clef véritable du problème qui nous occupe». Sarebbe tuttavia un errore dare eccessivo credito a questaaffermazione, che nella sua brevità dà scarse informazioni sulla conoscenza degli studi di Klein che all’epocaPoincaré effettivamente possedeva. Cfr Gray (1982). 242 «there is no mention of projective geometry here, the description is naively metrical. Rather, what is describedagrees in spirit with what Beltrami had written, and since that had been published in France in Houel’stranslation, it is surely a much more likely source for Poincaré, who was not a well-read mathematician». Gray in(1992, p. 40).243 «it is more likely that he came to connect groups and geometry under Jordan’s influence, either directly or byreading Jordan’s Mémoire sur les groupes des mouvements (1868) ».244 «yet the introduction of group-theoretic ideas is still somewhat different, and does not seem to form anyobvious next step from the work of Bolyai and Lobatchevskij. The relevant context is the other major change inthe 19th century study of geometry, the study of projective geometry». Gray (1982, p. 36).245 In Rougier (ivi, p. 95).246 Rougier stila il seguente schema, in cui alla sinistra compaiono le proposizioni di partenza, e alla destra leproposizioni ottenute dalle prime attraverso il principio di dualità:
a) Per un punto passano infinite rette. 1. su una retta giacciono infiniti punti.b) due punti determinano una retta. 2. due rette determinano un punto.c) per un punto passa un’infinità di piani. 3. su un piano giacciono infiniti punti.d) due punti determinano una retta. 4. due piani determinano una retta.
In Rougier (1920, p. 94).247 Bottazzini (2003, p. 206).248 Rougier (1920, p. 96).
69
In altri termini, questo principio garantisce la trasformabilità, o la possibilità di tradurre
ogni proposizione proiettiva riguardante i rapporti d’ordine, di appartenenza o i birapporti, in
altrettante proposizioni nelle quali l’elemento generatore è differente249. Non solo, ma su
queste basi è possibile, nella geometria euclidea del piano, sostituire al “punto”, quale
elemento generatore, la “circonferenza”: se le relazioni logiche, valide nella nostra geometria
per i punti e gli insiemi di punti, possono essere ritenute valide per i cerchi e gli insiemi di
cerchi, allora esisterà una corrispondenza tra lo spazio di punti ordinario e lo “spazio di
cerchi”, in modo che ad ogni punto corrisponda un cerchio e ad ogni figura formata da punti
una figura formata da cerchi250.
Il ricorso alla teoria dei gruppi e alla terminologia dell’algebra astratta fornisce, in
questo contesto, una chiarificazione essenziale del principio di equivalenza. Dati due gruppi G
e G’, che agiscono, rispettivamente, sugli insiemi E ed E’, diremo che essi sono isomorfi se e
soltanto se (i) ad ogni operazione di G corrisponde una e una sola operazione di G’, e (ii) al
prodotto di due qualsiasi operazioni di G corrisponde il prodotto di due operazioni
corrispondenti di G’251. Poiché ogni geometria può essere considerata lo “studio di un
gruppo”, la nozione di isomorfismo tra gruppi consente la seguente formulazione del principio
di equivalenza:
condizione necessaria e sufficiente perché due geometrie siano equivalenti è che esse corrispondano a
gruppi fondamentali isomorfi252.
L’equivalenza tra le geometrie si risolve, in altri termini, nell’isomorfismo tra gruppi: da
tale punto di vista, due geometrie a cui corrispondono gruppi isomorfi possiedono la stessa
struttura («La structure d’un groupe se ramène elle-même à la loi de la combinaison de ses
opérations»253); esse sono, dal punto di vista matematico, identiche254, esattamente come,
rileva Poincaré in un articolo del 1898, «la teoria matematica dell’addizione di tre vacche e
249 Ivi250 Ivi. anche S. Lie, ricorda Rougier: «a trouvé une transformation qui permet de transformer la géométrie del’espace réglée de Plücker, qui est à quatre dimensions, dans la géométrie des sphères. Un point, au lieu decorrespondre à deux droites qui se coupent, correspond à deux sphères tangentes ; une surface, au lieu d’être unsystème des points ou enveloppe des droites, est l’ensemble de toutes les sphères qui la touchent ; les lignesasymptotiques d’une surface correspondent aux lignes de courbure de sa transformée. Les théorèmes de ces deuxgéométries se correspondent biunivoquement, si bien que ces deux géométries sont équivalentes» (ivi).251 Pertanto, chiameremo isomorfismo qualsiasi corrispondenza biiettiva tra due oggetti in una categoria astratta.Cfr. Eric W. Weisstein. “Isomorphism”. From Mathworld—A Wolfram Web Resource.http://mathworld.wolfram.com/isomorphism.html252 Cfr Rougier (1920, p. 93).253 Ivi, p. 95).254 Ivi.
70
quattro vacche è identica a quella di tre cavalli e quattro cavalli»255. Parimenti, il gruppo delle
trasformazioni proiettive può essere trasformato (attraverso il principio di dualità) in un
gruppo isomorfo in cui solo l’elemento generatore delle figure cambia (ciò avviene
sostituendo il termine “retta” al posto del termine “punto” in tutte le proposizioni della
geometria proiettiva a due dimensioni in cui quest’ultimo compare).
Del pari il principio di Plücker acquisisce una formulazione coerente alla teoria dei
gruppi:
data una geometria, si possono considerare indifferentemente, come elementi generatori dello spazio,
certe figure, che formano ciò che si chiama un “corpo”, a una duplice condizione: a) che queste figure siano
trasformate fra loro attraverso il gruppo fondamentale che corrisponde a questa geometria; b) che non esista
alcuna trasformazione del gruppo fondamentale (tranne la trasformazione identica) che lascia invariante ciascuna
delle figure del corpo256.
La scelta di un corpo non è sottoposta ad altri vincoli, di modo che sta alla libertà del
geometra –
rileva Klein in un paragrafo del suo programma a proposito dell’ arbitrarietà nella
scelta dell’elemento dello spazio – scegliere257:
come elemento della retta, del piano, dello spazio e in generale di una varietà da esaminare possiamo
prendere, in luogo del punto, qualunque forma contenuta nella varietà stessa: il gruppo di punti, eventualmente la
curva, la superficie, ecc.258
255 Poincaré (1898 [1998], p. 32).256 Rougier (1920, p. 97)257 Ivi.258 Klein (1872 [1890], p. 11). In una nota, l’autore si richiama esplicitamente a Plücker, il quale insegnò: «aconcepire (…) lo spazio effettivo come una varietà a quante si vogliano dimensioni, introducendo come elementodi esso spazio (…) una forma (curva, superficie, ecc.) dipendente da un numero arbitrario di parametri» (ivi, p.33).
71
A seconda della scelta dell’elemento, prosegue Klein, il numero di dimensioni della
varietà che intendiamo studiare varierà di conseguenza, ma: «fintanto che poniamo alla base
della trattazione geometrica uno stesso gruppo di trasformazioni, il contenuto della
geometria rimane inalterato», cambierà invece «l’ordine e il collegamento delle
proposizioni»259. Infatti, data una varietà A con un gruppo B come fondamentale, «Se (…) per
mezzo di una qualche trasformazione si cambia A in un’altra varietà A’, dal gruppo B di
trasformazioni di A in sé stessa otterremo ora un nuovo gruppo B’, le cui trasformazioni si
riferiranno ad A’»; in altri termini, «la trattazione di A con B come fondamentale ci dà quella
di A’ con a base B’»260.
L’affermazione di Klein può essere esemplificata prendendo in considerazione due
insiemi M ed M’ di oggetti, sul primo dei quali agisce un gruppo di trasformazioni G.
Definiamo la funzione θ nel modo seguente:
θ: M→M’, tale che θ(p) = θ(q) sse p = q (p,q ∈M).
diremo in tal caso che la funzione θ effettua un trasferimento del gruppo G su un gruppo
G’ di trasformazioni che agisce in M’. Infatti, ad ogni trasformazione α ∈G possiamo
assegnare una trasformazione:
α’ = θ α θ-1 di M’ in M’.
La funzione:
π: α→α’
è essa stessa un omomorfismo, poiché:
π(α) π(β) = θ α θ-1 θ β θ-1 = θ α β θ-1 = π(αβ).
Conclusivamente, l’insieme π(G) = G’ è un’immagine omomorfa del gruppo G. Inoltre,
l’eguaglianza π(α) = π(β) implica θ α θ-1 = θ β θ-1, da cui α = β: i gruppi G e G’ sono isomorfi.
Da ciò discende che le geometrie indotte su M e su M’ sono, dal punto di vista matematico,
identiche, benché i rispettivi domini di azione possano risultare sotto molti aspetti (come nel259 Klein (1872 [1890], p. 11).260 Klein (1872 [1890], p.)
72
numero delle dimensioni) differenti: «l’essenziale – scrive F. Klein - è dunque il gruppo di
trasformazioni; il numero di dimensioni che vogliamo attribuire alla varietà appare come
qualcosa di secondario»261. Beninteso, è lo stesso Poincaré a tematizzare il valore
epistemologico sotteso alle nozioni di “gruppo”, di “isomorfismo tra gruppi” e di
“invariante”262.
Proprio il ricorso al concetto di isomorfismo definisce, da un punto di vista algebrico, il
fatto che sistemi geometrici distinti siano traducibili l'uno nell'altro. Il linguaggio della teoria
dei gruppi acquisisce, in tal caso, un carattere “metalinguistico”, costituendo la condizione di
possibilità di ogni discorso sulle geometrie che non si limiti al linguaggio di un determinato
sistema geometrico. In breve, si tratta del punto di vista che, adottato dallo stesso Poincaré a
partire dal primo supplemento sulle funzioni fuchsiane263, viene ulteriormente esplicitato nella
comunicazione del 1887 e negli articoli pubblicati sulla Revue générale des sciences pures et
appliquées 264. È senza dubbio utile analizzare la ricezione da parte del milieu filosofico –
scientifico “tradizionale” della tesi, sostenuta da Poincaré in un articolo del 1892 (ripubblicato
successivamente in Science et hypothèse), la possibilità di traduzione reciproca dei sistemi
euclidei e non euclidei. Nella fattispecie, dobbiamo a Gaston Mouret la strenua difesa della
priorità ontologico - metafisica della geometria Euclidea contro ogni ipotesi latamente
“convenzionalista”:
La géométrie non euclidienne n’est donc pas autre chose, si ces bases sont en partie conventionnelles, ce
que Poincaré affirme, et ce qu’on ne saurait douter, qu’un art, qu’une sorte de poésie géométrique ou de jeu
intellectuel. C’est une partie des cartes ou d’échecs dont on aurait compliqué les règles de position et uniformisé
la valeur des cartes et des pions. Il ne faut, par conséquent, attribuer aux essais de géométrie non euclidienne
d’autre intérêt que celui qui s’attache à toute action susceptible de devenir une source de distractions et de
plaisir265.
Nel contrapporre il “dominio estetico” della geometria non euclidea alla geometria di
Euclide, “unica scienza geometrica”, Mouret fonda le proprie considerazioni sul fatto che
solo quest’ultima riposa su “dati oggettivi reali”, e che resta del pari “subordinata ai progressi
261 Klein (1872 [1890], p. 12). Considerazioni analoghe occuperanno le riflessioni dedicate da Poincaré, in unarticolo del 1899, al problema delle dimensioni dello spazio, il cui statuto, secondo una prospettiva indicata conchiarezza da Klein, viene derubricato a quello di “materia”, in contrapposizione all’elemento formale definitodall’ordine del gruppo.262 «De là - scrive l’autore nella prefazione all’opera di Laguerre - l’importance de la notion générale d’invariantque l’on doit rencontrer dans toute question des mathématiques». Poincaré (18 , p. II).263 Cfr. Gray (1982).264 Poincaré (1892).265 Mouret (1892, p.40).
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delle nostre conoscenze sperimentali”266. Il discorso di Mouret sembra poggiare sulla seguente
assunzione: una volta ammesso che «una certa teoria è un linguaggio strutturato per parlare di
un determinato universo di oggetti, il quale costituisce il suo ambito di riferimento»267, e
poiché il linguaggio impiegato dalle tre geometrie «si riferisce al medesimo ambito di
oggetti», solo una delle tre teorie geometriche può essere vera. Se assumiamo la verità di
entrambe, «dobbiamo inevitabilmente ammettere che [ciascuna teoria] è vera a proposito di
un suo proprio universo di oggetti (…) determinato e prodotto dalla stessa teoria che gli si
riferisce»268. Dunque, dimostrata la coerenza della geometria iperbolica e della geometria
ellittica, sarebbe parimenti possibile - secondo il punto di vista di Mouret - ammettere la
“verità” di entrambe le geometrie solo derubricando i rispettivi ambiti di riferimento a
universi di finzione, «jeu de l’esprit, drame, poésie (…) Art»269. Gli assiomi della geometria
euclidea, al contrario, possiedono al pari delle leggi fisiche, “origine indipendente dalla nostra
volontà e dalle nostre fantasie”, di modo che, conclude Mouret: «ils ne peuvent être que
l’expression des faits»270.
Alla cesura introdotta da Mouret tra il sistema euclideo e i sistemi non euclidei,
Poincaré contrappone, a partire dalla sua risposta affidata alla stessa Revue générale des
sciences, la tesi dell’equivalenza delle geometrie dal punto di vista ontologico ed
epistemologico, equivalenza fondata in primo luogo sul concetto di intertraducibilità:
Imaginons – scrive il Nostro – une sphère S et à l’intérieur de cette sphère un milieu dont l’indice de
réfraction et la température soient variables. Dans ce milieu se déplaceront des objets mobiles; mais les
mouvements de ces objets seront assez lents (…) de plus, tous ces objets auront même coefficient de dilatation
(…) soit R le rayon de la sphère, ρ la distance d’un point du milieu au centre de la sphère. Je supposerai qu’en ce
point la température absolue soit R2 – ρ2 et l’indice de réfraction 22 - R
1ρ
Que penseraient alors des êtres intelligents qui ne seraient jamais sortis d’un pareil monde?271
Poiché - argomenta Poincaré – le dimensioni di due piccoli oggetti trasportati da un
punto all’altro all’interno della sfera variano in base al medesimo rapporto, qualsiasi
266 «Une véritable science, exacte ou empirique est une étude de la nature, et non pas un exercice de logique surun sujet conventionnel et fictif. Les axiomes des sciences déductives comme les lois de la physique, ont uneorigine indépendante de notre volonté et de nos fantaisies ; si, comme le postulatum d’Euclide, ils ne sontcertainement pas des nécessités de l’esprit, ils ne peuvent être que l’expression des faits» Mouret (1892, p. 40). 267 Agazzi, (1998, p. 7 ).268 Ivi.269 Mouret (1892, p. 40).270 Ivi.271 Poincaré (1892, p. 75).
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misurazione effettuata all’interno della sfera mediante regoli rigidi non rileverà cambiamento
alcuno di dimensioni272. Esseri intelligenti di un mondo siffatto dovrebbero allora considerare
“rigidi” i medesimi spostamenti subiti da un corpo qualsiasi (stante l’eguale coefficiente di
dilatazione) che un osservatore esterno non considererebbe tali. Inoltre osservatori all’interno
della sfera:
croiraient que cette sphère S est infinie; ils ne pourraient jamais en effet atteindre la surface, car à mesure
qu’ils en approcheraient, ils entreraient dans des régions de plus en plus froides, ils deviendraient de plus en plus
petits, sans s’en douter, et ils feraient de plus en plus petits pas.273
Essi chiamerebbero poi col nome di “rette” circonferenze ortogonali alla superficie S, in
quanto:
3) tali circonferenze corrisponderebbero alla traiettoria dei raggi luminosi entro la
sfera S.
4) tali circonferenze costituiscono il percorso più breve da un punto a un altro
(geodetiche)274.
5) Se un corpo solido ruotasse in modo da lasciare fissa una delle sue linee, tale linea
deve corrispondere ad una circonferenza ortogonale ad S275.
Conclusivamente, poiché da esperienze analoghe il movimento dei corpi risulta
isomorfo alle leggi della geometria iperbolica276, gli abitanti di tale universo adotterebbero –272 «comme les dimensions de deux petits objets transportés d’un point à l’autre varieraient dans le même rapport,puisque le coefficient de dilatation serait le même, ces êtres croiraient que ces dimensions n’ont pas changé; ilsn’auraient aucune idée de ce que nous appelons différence de température; aucun thermomètre ne pourrait le leurrévéler, puisque la dilatation de l’enveloppe serait la même que celle du liquide thermométrique» Poincaré (1892,p. 75).273Ivi.274«en mesurant diverses courbes avec un mètre, nos êtres imaginaires reconnaîtraient que ces circonférences sontle plus court chemin d’un point à un autre en effet, leur mètre se contracterait ou se dilaterait quand on passeraitd’une région à une autre» (ivi).275Poincaré illustra tale nozione con l’aiuto di un esempio: «c’est ainsi que, si un cylindre tournait autour de deuxtourillons et était chauffé d’une côté, le lieu de ses points qui ne bougeraient pas serait une courbe convexe ducôté chauffé et non pas une droite». Ivi.276In una serie di note al Traité de Géométrie di Rouché e Camberousse Poincaré sviluppa un modello digeometria iperbolica nello spazio euclideo che fornisce una descrizione esatta dell’ “universo” di cui l’autorediscute nella risposta a Mouret. Servendoci del puntuale commento di L. Rougier, chiameremo “inverso” di unpunto M il punto M’ che gli corrisponde sulla linea MOM’ (con O punto fisso, detto “polo d’inversione”), taleche valga la relazione OM∙ OM’ = K. Come è noto, l’inversione, applicata a tutti i punti di una figura, conservagli angoli e trasforma la retta in un cerchio passante per il polo d’inversione; un cerchio non passante per O in uncerchio omotetico al precedente; un piano in una sfera passante per il punto O; una sfera che non passa per O inuna sfera omotetica alla precedente (Rougier, 1920, p. 103). Sia Σ una sfera (reale o immaginaria) di centro O edi raggio (sfera fondamentale o assoluto). Ogni sfera ed ogni piano (cui daremo il nome di piano π e sfera π),passante per due punti inversi M e M’, taglierà ortogonalmente Σ. Si consideri ora un’inversione σ di polo O e dipotenza R2, dove R indica il raggio della sfera: Σ verrà trasformata in se stessa da ogni inversione di questo tipo,
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ritiene senza alcun dubbio Poincaré – la geometria di Lobatchevskij. Se però tali abitanti –
rileva l’autore in Science et Hypothèse - fondano una geometria «questa non consisterà, come
invece la nostra, nello studio dei movimenti dei nostri solidi invariabili, bensì consisterà nello
studio dei cambiamenti di posizione che essi avranno in tal modo individuato, e dato che tali
cambiamenti non sono che “spostamenti non euclidei”, la loro sarà la geometria non
euclidea»277.
L’adozione di un sistema geometrico non esclude, d’altro canto, la possibilità di sistemi
alternativi ed altrettanto validi: l’esempio discusso nella risposta all’intervento di Mouret
mostra che spazi nei quali vige una metrica di tipo non euclideo sono non solo logicamente,
ma anche materialmente possibili (ammesse determinate ipotesi sullo stato fisico dei corpi).
La compossibilità della metrica euclidea e di quelle non euclidee sui piani logico e ontologico
rappresenta la conclusione più significativa che possiamo far discendere dall’emergere della
“struttura” algebrico – grippale quale vero e proprio “scheletro” dei sistemi geometrici. Scrive
Poincaré in La valeur de la science:
parmi tous le mouvements convenables, il y en a dont les géomètres euclidiens disent qu’ils ne sont pas
accompagnés de déformation; mais il y en a d’autres dont les géomètres non – euclidiens diraient qu’ils ne sont
pas accompagnés de déformation. Dans les premiers, dits mouvements euclidiens, les droites euclidiennes restent
des droites euclidiennes, et les droites non euclidiennes ne restent pas des droites non euclidiennes; dans les
di modo che l’insieme delle trasformazioni σ costituisca un gruppo discontinuo S. Come osserva nuovamenteRougier, S ammette un sottogruppo: «c’est le groupe formé par un nombre pair d’inversions: deux inversions,ayant leurs pôles très voisins et leurs puissances peu différentes, changent tout point de l’espace en un point aussivoisin qu’on le veut», cui dà nome T, e conclude: «On peut démontrer alors que le groupe S, formé d’un nombrequelconque d’inversions, est isomorphe au groupe métrique de Lobatchevski et que le sous-groupe T estisomorphe au groupe des déplacements non-euclidiens». Poincaré ottiene in questo modo un modello euclideodella geometria iperbolica in tre dimensioni:
Spazio: regione interna della sfera fondamentale
Retta arco di cerchio ortogonale alla sfera fondamentale,situato nella regione interna della sfera.
Piano parte di una sfera ortogonale alla sfera fondamentale, situata all’interno di questa.
Distanza di due punti logaritmo del birapporto di questi due punti e dei punti di intersezione della sfera fondamentale con l’arco, passante per i due punti, che la seca ortogonalmente.
Spostamento numero pari di inversioni che trasformano la sfera in se stessa.
Cfr. Rougier (1920, p. 105). Tutti i modelli discussi risultano riposano su un’identità di fondo, una volta rilevato che il gruppo delleproiettività che conservano una quadrica reale o immaginaria, il gruppo delle trasformazioni conformi chemantengono invarianti una sfera (reale e immaginaria) o un cerchio fondamentali sono isomorfi tra loro e sonoisomorfi al gruppo dei movimenti iperbolici (o ellittici).277 Poincaré (1902 [2003], p. 111).
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mouvements de la seconde sorte, ou mouvements non euclidiens, les droites non euclidiennes restent des droites
non euclidiennes, et les droites euclidiennes ne restent pas des droites euclidiennes278.
Dobbiamo osservare che termini quali “retta”, “piano”, “cerchio”, definiti all’interno
della geometria euclidea, compaiano altrettanto legittimamente nella geometria iperbolica e
nella geometria ellittica. Una volta accordata la possibilità di dare il nome di “retta” tanto ai
lati di un triangolo euclideo quanto a quelli di un triangolo curvilineo, l’esperienza non può
risolvere la nostra decisione in favore dell’una o dell’altra279. D’altro canto, avrebbe ancor
meno senso, nell’opinione di Poincaré, basare tale scelta sull’intuizione, poiché le nozioni di
“retta euclidea” e di “retta non euclidea” sono egualmente accessibili280 a quest’ultima. Tale
scelta obbedisce, conclusivamente, ad una “convenzione nominale”281, in base alla quale viene
attestata la consapevolezza che il significato di termini quali “retta” e “piano” non è vincolato
dal dettato dell’esperienza né imposto a priori282. Nel contempo, l’attribuzione di
un’interpretazione ai termini del linguaggio geometrico implica l’adozione di una delle tre
geometrie, e con essa, di una metrica definita; possiamo perciò concludere che al pari delle
nozioni di “retta” e “piano”, nemmeno i concetti di “eguaglianza tra due distanze” e
“spostamento senza cambiamenti di forma” hanno un significato assoluto:
c’est précisément pourquoi je suis obligé d’avoir recours à une convention pour lui en donner un. Je
conviens de regarder comme égales celles qu’une certaine méthode de mesure me montre telles; j’aurais pu faire
une convention différente (…) le mot conserver sa forme n’a par lui même aucun sens. Mais je lui en donne un
en convenant de dire que certains corps conservent leur forme. Ces corps, ainsi choisis, peuvent alors servir
d’instrument de mesure. Mais si je dis que ces corps conservent leur forme c’est parce que je le veux bien, et non
parce que l’expérience m’y oblige283.
278 Poincaré (1904 [1968], p. 79). 279 Rileva Poincaré in La valeur de la science : «il est évident que l’expérience ne peut resoudre une pareillequestion ; on ne demanderait pas, par example, à l’expérience de décider si je dois appeler une droite AB ou bienCD.» Poincaré (ivi).280 «je veux bien que j’aie l’idée intuitive du côté du triangle euclidien, mais j’ai également l’idée intuitive ducôté du triangle euclidien». Poincaré (1904 [2003], p. 80).281 Il termine è impiegato da L. Rougier in La philosophie géométrique de Henri Poincaré. Cfr. cap. IV pp. 93 –115 ; cap. V, pp. 118 – 147. 282 Osserva in proposito Rougier : «Dès lors, appeler droites, plans, solides, les figures qui corrispondent à ladéfinition de Lobatchefski ou de Riemann, c’est, au point de vue théorique, l’affaire d’une convention nominale.Au point de vue pratique, c’est l’affaire d’une convention instrumentale». Rougier (1920, p. 114).283 Poincaré (1900, p. 80).
77
Poincaré illustra le proprie affermazioni con un esperimento mentale di estrema
chiarezza284. Egli propone di considerare due mondi, in modo tale da poter passare dall’uno
all’altro «attraverso una trasformazione puntuale qualsiasi»:
je suppose qu’à chaque point de l’un correspond un point de l’autre et un seul, et inversement; et de plus
que les coordonnées d’un point soient des fonctions continues, d’ailleurs tout à fait quelconques, des
coordonnées des points correspondants. Je suppose d’autre part qu’à chaque objet du premier monde,
corresponde dans le second un objet de la même nature, placé précisément au point correspondant. Je suppose
enfin que cette correspondance réalisée à l’instant initial se conserve indéfiniment.285
Tali universi, conclude l’autore, sarebbero indiscernibili per un osservatore che, da un
mondo, passasse nell’altro subendo la medesima trasformazione puntuale; per contro, gli
abitanti di uno di questi mondi, guardando all’altro, registrerebbero differenze rimarchevoli:
si l’un de ces univers est notre monde euclidien, ce que ses habitants appelleront droite, sera notre droite
euclidienne; mais ce que les habitants du seconde monde appelleront droite, ce sera une courbe qui jouira des
mêmes propriétés par rapport au monde qu’ils habitent et par rapport aux mouvements qu’ils appellerons
mouvements sans déformations. Leur géométrie sera la géométrie euclidienne, mais leur droite ne sera pas notre
droite euclidienne286.
284 È possibile ritrovare un antecedente del medesimo esperimento nell’articolo di Helmholtz Sull’origine eilsignificato degli assiomi geometrici (1868), dove si legge: «Think of the image of the world in a convex mirror(…) A well-made convex mirror of not too great an aperture displays, in a definite situation and at a definitedistance behind its surface, the apparently corporeal image of an object lying in front of it … » Helmholtz ( 1868[1977], p. 20). L’autore propone di osservare come la superficie di uno “specchio convesso” (un globo dimetallo, del tipo che viene comunemente usato nei giardini) sia in grado di riflettere ogni retta ed ogni piano delmondo esterno («the outer wolrd», ivi). Del pari: «the image of a man measuring, with a measuring rod, a straightline stretching away from the mirror, would progressively shrivel up as its original moved away. But the man inthe image would count up, with his equally shrivelled measuring rod, exactly the same number of centimetres asthe man in actuality». Ivi. In altri termini, tutte le misurazioni effettuate attraverso il “regolo-immagine” soggettoalle deformazioni prodotte dallo specchio daranno gli stessi risultati delle misurazioni effettuate tramite il regolo“reale”. Si tratta di una conclusione di grande momento in relazione alla genesi e allo sviluppo delconvenzionalismo di Poincaré, il quale darà a questo argomento grande rilievo, come sarà mostrato nel seguito,in un buon numero di articoli. 285 Poincaré (1904 [1968], p. 82 ).286 Ivi.
78
Benché la struttura geometrica sia la medesima287 (a meno di isomorfismi), osservatori
interni a ciascuno dei due mondi converranno di attribuire significato differente al termine
“movimento senza deformazione” 288 e al concetto di “corpo rigido”.
Dal momento che i differenti dizionari, costruiti per dimostrare la coerenza relativa della
geometria iperbolica, consentono di stabilire un’analoga corrispondenza tra una regione
delimitata del piano o dello spazio euclideo (dunque tra una regione di un “mondo euclideo”)
e il piano o lo spazio iperbolici (un “mondo non euclideo”), e che gruppi aventi la stessa
struttura determinano la medesima geometria:
quand je dis que ces corps se meuvent approximativement suivant le groupe euclidien, je veux dire suivant
un groupe ayant même structure (Zusammensetzung) que le groupe euclidien. Or, des semblables groupes, on
peut en rencontrer en étudiant la géométrie ordinaire, ou encore en étudiant la géométrie non euclidienne où la
géométrie à quatre dimensions, ou enfin en étudiant la géométrie à quatre dimensions n’ayant rien à faire avec
l’espace289.
Giocoforza, il ruolo dell’esperienza nella determinazione della struttura geometrica del
mondo fisico risulta, dal punto di vista di vista di Poincaré, fortemente ridotto. Alle critiche di
Mouret290 e di Bertrand Russell291 Poincaré obietta asserendo che l’esperienza non consente,287 Questo risultato può essere espresso in termini analitici nel modo seguente: chiameremo α, β, γ coordinateprovvisorie di un punto P. Chiameremo coordinate definitive di P tre funzioni di α, β, γ: rispettivamente: x, y, z.Dati due punti P (x, y, z) e P’ (x’, y’, z’), definiremo una funzione distanza nei termini seguenti:
222 )'()'()'( zzyyxxd −+−+−=
Verrà chiamato piano l’insieme dei punti le cui coordinate x, y, z, verificano un’equazione di primo grado; rettal’intersezione di due piani; spostamento, le trasformazioni che non alterano la funzione d. Su tali basi è possibilecostruire senza difficoltà l’intero corpus della geometria euclidea (Rougier, 1920, p. 102). Tuttavia, poiché x, y, zsono funzioni indeterminate delle coordinate provvisorie, il sistema di definizioni schematizzato sopra si applica«également à une infinité d’objets que l’on peut obtenir, en partant des premiers, par une trasformation ponctuellequelconque». Ivi.288 «que si, de retour dans notre patrie d’origine, il nous est donné de contempler l’univers que nous venons dequitter, notre stupéfaction sera grande: à nos droites correspondront des lignes révélant de capricieuses inégalités;à nos plans, des surfaces singulièrement bosselées; à nos cercles, des courbes tordues; aux déplacements sansdéformation de nos solides, des transformations altérant sensiblement la forme des mobiles correspondants: cemonde nous paraîtra la caricature du nôtre». Rougier (1920, p. 101). Ed Helmholtz : «But if they could look intoour world, as we look into theirs, without being able to cross the boundary, then they would have to pronounceour world to be the image of a convex mirror, and speak of us just as we of them. And as far as I can see, if themen of the two worlds could converse together, then neither would be able to convince the other that he had thetrue and the other the distorted situation» Helmholtz (1977, p. 20).289 Poincaré (1900, p. 82).290 Scrive Mouret: «mais comme le savant géomètre, auquel sont dues de si belles leçons sur la physiquemathématique, sait bien que les loi de la forme des corps réels ne sont pas affaire de convention, il est obligé decorriger ou de compléter sa doctrine en admettant que parmi tous les conventions possibles, notre choix st guidépar des faits expérimentaux» Mouret (1892, p. 39). 291 Nell’articolo pubblicato sulla Revue de métaphysique et de morale del 1900, dal titolo Sur les principes de lagéométrie. Réponse à B. Russell, Poincaré approfondisce la critica alle tesi del collega inglese, di cui, nel 1897,venne dato alle stampe An essay on the foundations of geometry. Tra i due si accese una polemica in merito aifondamenti della geometria stessa (B. Russell difendeva, contro il convenzionalismo poincareano, una posizione
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da sola, di generare «nozioni matematiche» come i concetti cardine di “continuità” e di
“eguaglianza”. Annoverare tra i fatti sperimentali una proposizione del tipo: “due quantità
eguali ad una terza sono eguali tra loro” rappresenta una conclusione insostenibile: meglio
sarebbe sostenere il punto di vista di Helmholtz, precisa Poincaré, in base al quale «diamo al
nome di eguaglianza a tutto ciò che nel mondo esterno è conforme all’idea preconcetta che noi
abbiamo dell’eguaglianza matematica»292. Infatti, la scelta di una geometria metrica involge
l’adozione di una determinata “funzione distanza”. Dal punto di vista pratico, sulla base
dell’adozione di una funzione distanza e, a fortori, di un determinato gruppo metrico, verrà
isolata, attraverso una convenzione strumentale293, una classe di “corpi rigidi”, cioè corpi di
forma invariante rispetto al gruppo di spostamenti stabilito, tali da risultare “campioni” adatti
a eseguire misure294. Possiamo in tal modo affermare che la stessa nozione di “rigidità”, in
base alla quale giudichiamo un regolo di acciaio uno strumento di misura più utile (in
condizioni ambientali ottimali) di una striscia di gomma295, o riteniamo che una biglia di
metallo non cambi di volume dopo essere stata lanciata, si definisce solo relativamente ad un
gruppo metrico: «admettre que la bille conserve son volume dans les déplacements – osserva
Poincaré – ce serait faire de la bille un instrument de mesure, ce serait adopter
conventionnellement un système de mensuration»296.
L’insieme di attente valutazioni proposte dall’autore in merito alle conseguenze del
principio di equivalenza costituiscono una critica decisiva ai fautori dell’empirismo
geometrico à la Mouret, o à la Russell:
quelles sont les propriétés des corps solides- si domanda Russell – que l’expérience doit reveler? Je ne
puis concevoir qu’elles soient autres que les propriétés géométriques. Or, cela impliquerait que les corps ont des
vicina all’apriorismo kantiano. ) e, più in generale, ai fondamenti della matematica e della fisica. Nell’articolo inquestione, in particolare, Poincaré si sofferma sul problema della distanza e sulla possibilità di una suadefinizione. Dopo aver refutato la tesi, cara al kantismo, secondo la quale del concetto di distanza avremmo unaintuizione immediata, per quanto vaga e sterile, che renderebbe superflua una sua definizione, l’autore attaccaanche la tesi cara a Russell, che integra la tradizione kantiana “gettando un ponte” verso l’esperienza («pour M.Russell cette intuition est imparfaite puisque l’expérience seule peut la compléter» Poincaré, 1900, p. 75).Poincaré nega infatti cittadinanza, entro l’edificio della matematica, a qualsiasi forma di conoscenza intuitiva. Aquesto riguardo, egli ritiene che vi sia contrapposizione invece che continuità tra “distanza sensibile” e “distanzageometrica”, laddove solo la seconda è suscettibile di definizione rigorosa. 292 «j’aime mieux conclure avec Helmholtz que nous donnons le nom d’égalité à tout ce qui dans le mondeextérieur est conforme à l’idée préconçue que nous avons de l’égalité mathématique». Poincaré (1892, p. 75). 293 «au point de vue pratique, c’est l’affaire d’une certaine convention instrumentale, puisque c’est élire unecertaine métrique et, partant, choisir un certain type d’instrument pour mesurer l’espace». Rougier (1920, p. 114).294 Scrive M. Black: «in supplying a physical model of a pure geometry we have at some stage to choose a set ofmaterial bodies, to be regarded as “unconstrained” and so fit for use as “measuring – rods” and “axes ofreference”». In Black (1942). 295 Immaginiamo due solidi identici, l’uno di fil di ferro, l’altro di rame, posti in un campo magnetico. La secondafigura si sposterà secondo le leggi del gruppo euclideo, diversamente dalla prima che invece sarà deformatadall’azione del campo magnetico. Nel caso in cui tali deformazioni formino un gruppo. Avremo allora la sceltatra due linguaggi.296 Poincaré (1900, p. 81).
80
propriétés géométriques (…) dans ce cas il y aurait un système de mésures qui fournirait la vraie détermination
de ces propriétés, tandis qu’un système qui donnerait des résultats différents e fournirait une détermination
fausse.
D’altro canto, concepire un fatto fisico, che, suscettibile di interpretazione nella
geometria euclidea, non lo sia in quella iperbolica o ellittica297 equivarrebbe ad immaginare
una lunghezza che, esprimibile in metri e centimetri, non lo sia in tese, piedi e pollici298.
Peraltro, all’empirismo non possiamo accordare alcun “senso ragionevole”, rileva l’autore,
nella misura in cui: «les expériences ne nous font connaître que les rapports des corps entre
eux; aucune d’elle ne porte, ni ne peut porter, sur les rapports des corps avec l’espace, ou sur
les rapports mutuels de diverses parties de l’espace299». Chiedere di inferire, a partire da
qualsivoglia esperienza sugli oggetti fisici la struttura geometrica dello spazio, osserva
Poincaré con ironia, sarebbe come pretendere di conoscere l’età del capitano dall’altezza
dell’albero maestro300:
de même vos expériences, quelques nombreuses qu’elles soient, n’ayant porté que sur les rapports des
corps entre eux, ne vous révéleront rien sur les rapports mutuels de diverses parties de l’espace301.
Nel complesso, le esperienze che potremmo tentare per provare la verità empirica di una
delle tre geometrie metriche riguardano le proprietà meccanico - fisiologiche dei corpi e la
propagazione dei raggi di luce, ma non toccano sotto alcun rispetto le proprietà dello spazio.
Giocoforza, le tre metriche sono egualmente utilizzabili in fisica:
il est évident que, si on abandonnait la géométrie d’Euclide pour celle de Lobatcheffski, on serait obligé
de modifier l’énoncé de toutes les lois de la dynamique. De même, l’énoncé de ces lois n’est pas le même, selon
qu’on se sert de la langue anglaise ou de la langue française; et je pourrais ajouter que, faute d’une langue pour
s’exprimer, il n’y aurait pas de dynamique possible302.
297«Les objets physiques, qui vérifient les propriètés de la droite et du plan auclidien, ne vérifient pas lespropriétés de la droite et du plan lobatchefskiens, mais celle de l’’oricycle et de l’horisphère» Rougier (1920, p.157). 298 Cfr. Poincaré, Science et hypothèse.299 Ibid. p. 79.300 «Les expériences ne nous font connaître que les rapports des corps entre eux; aucune d’elle ne porte, ni nepeut porter, sur les rapports des corps avec l’espace, ou sur les rapports mutuels des diverses parties de l’espace(…) connaître la hauteur du grand mat, cela ne suffit pas pour calculer l’âge du capitaine. Quand vous aurezmesuré tous les morceaux de bois du navire, vous aurez beaucoup d’équations, mais vous ne connaitrez pasmieux cet âge». Poincaré (ivi).301 Ivi.302 Poincaré (1900, p. 79).
81
È sufficiente, prosegue Poincaré, immaginare due corpi solidi K1 e K2. Ki (i = 1, 2) è
formato da otto piccole asticelle di ferro iiii OBOBOAOA 2161 ,,,..., unite all’estremità O. Su un
secondo solido (ad esempio, un pezzo di legno), indicheremo tre punti P, Q1, Q2. In tal modo, i
vertici Aij, Bi
k e K possono coincidere simultaneamente con P, Q2 e Q1 (j = 1, …6; k = 1, 2) e
le coppie di punti ij
ij AA 1+ (1≤ j ≤ 5) e ii AA 16 con PQi (i = 1, 2)303. Senza conoscenze preliminari
intorno alla struttura dello spazio, è possibile comunque concludere che, mentre il movimento
del primo solido segue : « le groupe euclidien, ou tout au moins qu’ils ne se meuvent pas
suivant le groupe lobatcheffskien»304, il secondo corpo – che peraltro il primo meccanico
venuto potrebbe costruire senza difficoltà – obbedisce alle leggi della geometria iperbolica:
ainsi, sans faire aucune hypothèse sur la forme, sur la nature de l’espace, sur les rapports des corps avec
l’espace, sans attribuer aux corps aucune propriété géométrique, j’ai fait des constatations qui m’ont permis de
montrer dans un cas que les corps expérimentés se meuvent suivant un groupe dont la structure est euclidienne,
dans l’autre cas suivant un groupe dont la structure est lobatcheffskienne305.
Naturalmente, nessuna delle due esperienze ha maggior validità dell’altra, ma entrambe
sono egualmente possibili e realizzabili:
et même, comme les corps solides ordinaires continueraient à exister quand le mécanicien aurait construit
les corps étranges dont je viens de parler, il faudrait conclure que l’espace est à la fois euclidien et hyperbolique.
Les expériences ont donc porté non sur l’espace, mais sur les corps306.
Quest ’ultima affermazione riassume e insieme chiarifica la portata filosofico-scientifica
del convenzionalismo poincareano, e insieme getta luce sulla concezione dello spazio che
Poincaré si sforza di approfondire parallelamente alla sua attività di matematico. In proposito,
gli elementi esposti nel presente capitolo e nel precedente paiono confermare, almeno in
prima istanza, la tesi della “continuità” tra l’opera “matematica” ed “epistemologica”
dell’autore. Per ognuna delle tre premesse essenziali su cui poggia, secondo l’opinione
condivisibile di M. Black, l’epistemologia della geometria di Poincaré (segnatamente: a) la
possibilità di trovare modelli fisici per ogni tipo di geometria; b) le leggi fisiche si esprimono
relativamente alla scelta di una geometria; c) la possibilità di traduzione reciproca delle
303 Cfr. Torretti (1978, p. 340).304 Poincaré (1900, p. 84).305 Ibid, p. 85.306 Ivi.
82
geometrie307) è infatti possibile riconoscere l’influenza esercitata, in merito alla loro genesi e
tematizzazione, dalla “prassi” del matematico. Così la storia della nascita delle funzioni
fuchsiane, sebbene nel presente lavoro sia presentata in maniera cursoria, costituisce non solo
la cornice entro la quale si colloca l’interesse di Poincaré per il problema dei modelli e della
traducibilità reciproca tra linguaggi geometrici, ma rappresenta un momento interno al
cambiamento di statuto epistemologico e ontologico subito dalla geometria nel corso del
secolo diciannovesimo (beninteso, il ruolo di Poincaré è stato rilevante, ma non dominante nel
panorama della geometria coeva: abbiamo già ricordato, anche in relazione alle tematiche
affrontate nel presente capitolo, i contributi di Plücker, Gergonne, Klein, mentre nel capitolo
precedente è stata presentata la figura di Sophus Lie). In particolare, l’analisi delle
considerazioni metodologiche che Poincaré accompagna agli studi di carattere prettamente
“tecnico” (e che ritroviamo sovente all’interno di questi ultimi) invita a riflettere in merito
all’interdipendenza tra il convenzionalismo fisico-meccanico, almeno nella sua formulazione
sistematica che Poincaré presenta nei lavori del 1899, del 1902 e del 1904, e una concezione
della geometria, o delle geometrie, come linguaggi la cui struttura è definita da un gruppo di
trasformazioni: «the structure of the group – scrive L. Kvasz – is in geometry present. It
forms, as Poincaré has shown, the fundamental structure of our concept of space308».
307 Cfr. M. Black (1942).308 Kvasz (1994).
83
CAPITOLO IV
Molte persone (…) considerano la nozione di punto dello spazio così immediata e così chiara che
qualsiasi sua definizione sarebbe superflua. Ma io credo che mi si concederà che una nozione così sottile come
quella del punto matematico senza lunghezza, larghezza, né spessore non sia immediata e che abbia bisogno di
essere spiegata.309
Con queste parole Henri Poincaré mette a confronto il sentire dell’uomo comune, per il
quale il concetto di punto, al pari di ogni altro ente geometrico elementare (retta, piano…) è
tanto ovvio da non richiedere alcuna definizione, con la pretesa avanzata sin dalla matematica
antica di definire rigorosamente gli enti di cui tratta il discorso geometrico.
Se la riflessione sui fondamenti della geometria nel corso del secolo XX ha orientato
l’attenzione su problemi legati allo sviluppo della moderna assiomatica310 lasciando ad altre
discipline il problema della genesi storico-psicologica dei concetti, per tutto il secolo
precedente il dibattito intorno al rapporto tra sapere geometrico ed evidenza empirica dei
concetti interessò del pari matematici e filosofi311.
L’impressionante sviluppo di tutti i rami dell’odierna geometria tra la fine del secolo
XVIII e la seconda metà del XIX contribuì a scuotere la concezione, a cui aderirono filosofi
antichi e moderni, da Platone a Kant, per la quale tale disciplina doveva rappresentare il
modello di conoscenza a priori. Empiristi, come sappiamo, si professarono Lobatchevski e
Gauss, e, sempre in Germania, possono essere considerati tali Berhard Riemann ed Hermann
Von Helmholtz. Dobbiamo tuttavia distinguere, in relazione al problema delineato da
Poincaré, almeno due sensi in cui è possibile esplicitare il rapporto tra geometria ed
309 Poincaré (1898 [1998], p. 35).310 D’obbligo è il riferimento all’opera di David Hilbert I fondamenti della geometria, che inaugura la modernaassiomatica con il tentativo di portare a compimento, come egli stesso dichiara: «l’analisi logica della nostraintuizione spaziale». Va tuttavia rilevato, contro un pregiudizio largamente diffuso in sede storiografica sindall’immediata ricezione dell’opera di Hilbert, che l’obiettivo dei Grundlagen non riguarda tanto l’esibizionedella natura astratta della conoscenza geometrica, quanto la ricognizione del significato dei differenti gruppi diassiomi e la messa in rilievo della struttura ipotetico – deduttiva della teoria in esame. È altrettanto sorprendente,alla luce delle più diffuse letture del pensiero di Hilbert, che egli stesso asserisca, accogliendo un luogo comunedella geometria ottocentesca, che gli assiomi: ” stabiliscono i fatti fondamentali della nostra intuizione”. Ma lesue risposte alle critiche di Frege segnalano una posizione del tutto differente, e molto più vicina alla concezionedella geometria come “scienza astratta”: « every theory is naturally only a scaffolding or schema of concepts,together with their necessary mutual relation, and the basic elements (grundelemente) can be conceived in anyway you wish…» (cfr. Torretti, 1978, p. 251).311 È significativo che interessi psicologici e storici confluissero nella ricerca di uno dei più importantimatematici (e filosofi) vissuti a cavallo tra il XIX e XX secolo, come Federigo Enriques.
84
esperienza. Che enti geometrici quali il punto, la retta e il piano possano essere conosciuti
solo attraverso l’esperienza sensibile era un’idea comune ai matematici del XVIII secolo, la
cui influenza è riscontrabile in Kant312 (per il quale lo spazio è pur sempre un’intuizione,
benchè pura), e in autori posteriori come gli stessi J. Houel e Moritz Pasch, considerati tra gli
antesigniani della moderna assiomatica. Eloquente, in proposito, l’opinione di Mill, per il
quale, essendo le idee copie degli oggetti incontrati nel corso delle nostre esperienze: «Our
idea of a point, I apprehend to be simply our idea of the minimum visible, the smallest portion
of a surface which we can see. A line, as defined by geometers, is wholly inconceivable».
Secondo Mill, infatti, gli oggetti descritti dalle definizioni geometriche (come ad esempio, in
Euclide) non esistono per sé nel mondo313, benché siano derivati dai loro correlati empirici
attraverso un processo di astrazione delle sole “proprietà geometriche”314.
In tal modo la geometria, pur dipendendo dall’esperienza per i suoi concetti primitivi,
può essere ritenuta a buon diritto una scienza a priori per quanto riguarda le forme della
deduzione, se invero la loro coerenza interna può essere stabilita indipendentemente da
considerazioni empiriche315, e se i suoi assiomi – si pensi all’estetica trascendentale Kantiana
– sono costitutivamente sottratti ad ogni revisione.
D’altro canto è possibile – come delinea Gauss in alcune lettere, e del pari Lobatchewski
– ritenere la geometria una scienza sullo stesso piano della fisica, dipendente dall’esperienza
per quanto riguarda acquisizione e validità dei propri principi. Anche per Stuart Mill
geometria e fisica condividono metodi e struttura. La geometria si costruisce attraverso un
processo di “deduzione” o “raziocinio”, cioè per mezzo di un sillogismo nel quale, date la
premessa maggiore (assiomi, ritenuti verità sperimentali, e definizioni) e la conclusione, viene
richiesta la premessa minore. Pur ammettendo che le proposizioni geometriche sono
“necessarie”, J. Stuart Mill precisa che tale necessità è nondimeno “ipotetica”: “Se gli assiomi
A, B, C sono validi, allora da essi discenderanno necessariamente i teoremi a, b, c316.312 «Bien que les propositions de cette science [della geometria] appartiennent aux vérités de raison et non auxvérités de fait, ses propositions premières sont directement abstraites de l’expérience sensible (...) Lorsque Kantplace au principe des mathématiques pures des intuitions sensibles, il demeure fidèle à cette inspiration».Vuillemin (1993, p. 63).313 «there exists no real thing exactly conformable to the definition. There exists no points without a magnitude;no lines without breadth, or perfectly straight; no circle with all their radii exaclty equal, nor squares with all theirangles perfectly right ». in Torretti (1978, p. 257).314 Nelle definizioni geometriche è cioè presente un elemento ipotetico, nella misura in cui: «the hypotheticalelement in the definitions of geometry is the assumption that what is very nearly true is exactly so. This unrealexactitude might be called fiction, as properly as an hypotheses». Ivi..315 «Si, ne régardant les axiomes que comme des arbitraires dont on dispose, on considère seulement les formesde la déduction, de telles sciences peuvent à bon droit être dites pures, puisque la cohérence interne de cesformes ne dépend nullement de l’expérience», Vuillemin (1993, p.1). 316 Torretti (1978, p. 259). Pur accogliendo le premesse discusse sopra, Mill non sembra dubitare dellarivedibilità della geometria euclidea: «Every theorem in geometry (…) is a law of external nature, and might beascertained by generalization from observation and experiment, which, in this case, resolves themselves intocomparison and measurement. But it was found practicable, and being practicable, was desiderable, to deduce
85
Significativamente, Poincaré contesta il ruolo dell’esperienza tanto nella genesi dei
concetti geometrici quanto nelle forme di deduzione. Infatti, alla tesi di Gauss oppone
l’evidenza storica rappresentata dalla stabilità del sistema fondato da Euclide; mentre fonda la
personale refutazione dell’empirismo di matrice milliana sull’impossibilità di derivare il
concetto di spazio geometrico317 dalla “triplice” nozione di spazio rappresentativo:
Le nostre sensazioni non possono darci la nozione di spazio. Questa nozione è costruita
dalla mente (…) le sensazioni in se stesse non hanno nessun carattere spaziale (…) Lo spazio
sensibile non ha niente in comune con lo spazio geometrico (…) qualunque cosa facessimo, lo
spazio così costruito non sarebbe mai né infinito, né omogeneo, né isotropo; potrebbe
diventarlo soltanto cessando di essere accessibile ai nostri sensi.
Le nostre rappresentazioni non sono che la riproduzione delle nostre sensazioni; non
possiamo dunque rappresentarci lo spazio geometrico. Non possiamo rappresentarci gli
oggetti come se esistessero nello spazio geometrico, ma soltanto ragionare su di essi come se
esistessero in questo spazio.318
Nondimeno, ogni definizione di un ente geometrico ottenuta attraverso un processo di
astrazione dall’esperienza, come F. Enriques delinea nella sezione dell’Enciclopedia delle
scienze matematiche dedicata ai Fondamenti della geometria, difetta di rigore logico:
En se conformant à ces définitions d’Euclide on peut développer les éléments de la géométrie en suivant
deux voies bien distinctes :
those truths by ratiocination from a small number of general laws of nature, the certainty and universality ofwhich was obvious to the most careless observer... ». ivi. 317 in una serie di articoli raccolti poi in Science et hypothèse, Poincaré attribuisce allo spazio le seguenti cinqueproprietà:
1868Lo spazio geometrico è infinito;1869Lo spazio geometrico è tridimensionale ( secondo la definizione di dimensione
che vedremo meglio in seguito);1870È omogeneo ( tutti i suoi punti sono identici);1871È isotropo ( tutte le rette passanti per lo stesso punto sono uguali fra loro );1872È un continuo matematico (vedi infra).
Benché appaiano evidenti anche solo a chi abbia nozioni elementari di geometria, sia ne La scienza e l’ipotesisia ne Il valore della scienza Poincaré dimostra che queste proprietà non appartengono allo spaziorappresentativo, cioè al quadro in cui vengono localizzate le nostre sensazioni. Si può infatti osservare,limitatamente allo spazio visivo ( che costituisce, accanto allo spazio motorio e a quello tattile, una forma dellospazio rappresentativo), che esso è una struttura bidimensionale, in quanto le immagini prendono corpo sullasuperficie retinica, necessariamente finita, data l’estensione finita del campo visivo, non omogenea, poiché nontutti i suoi punti sono identici fra loro ( variazioni locali di sensibilità e acuità retiniche). Se poi si considera lospazio visivo completo, cioè l’insieme delle sensazioni visuali più la percezione “muscolare” della terzadimensione, nemmeno l’isotropia risulterà verificata. 318 Poincaré (1898, passim e p. 8-9).
86
1) on prend le point comme concept fondamental tiré, par abstraction, de l’idée que nous nous faisions
d’un corps très petit, on cherche ensuite à engendrer les lignes par le mouvement d’un point
les surfaces par le mouvement des lignes, les corps (ou l’espace) par les mouvements des surfaces.
2) on part du concept du corps comme fondamental et l’on envisage les surfaces comme limites des corps,
les lignes comme limites des surfaces et les points comme limites des lignes.319
Infatti, la prima via involge un evidente circolo vizioso, poiché il concetto di “limite” di
un corpo, di una superficie o di una retta contiene già in sé il concetto da definire di “linea”,
“superficie” o “punto”; mentre il secondo procedimento, pur non dando luogo ad una fallacia
altrettanto evidente comporta, nelle parole di Enriques: «une recherche approfondie et difficile
pour permettre d’aboutir à une systématisation logique des concepts de point, de ligne, de
surface et de corps»320.
La portata di queste osservazioni si spinge ben oltre il confronto tra opposte
concezioni della geometria: la difficoltà inerente alla divergenza tra l’”essere esatto” degli
oggetti geometrici e l’”essere reale” degli oggetti fisici, di cui i primi sono supposte astrazioni,
è in grado di scuotere le fondamenta di ogni epistemologia empirista, dal momento in cui le
scienze ricorrono sistematicamente alla fisica matematica321.
L’assiomatica di Hilbert, come è noto, elimina la difficoltà alla radice: se ogni teoria
può essere considerata – scrive il geometra tedesco in una lettera a Gottlob Frege – «only a
scaffolding or schema of concepts, together with their necessary mutual relations», allora al
geometra è accordata piena libertà di concepire i punti «as any system of things, e. g. the
system of love, law, chimney-sweep» e gli assiomi come relazioni tra queste “cose”, purché:
«my theorems will also hold of these things»322.
Nell’affrontare questa tematica più da vicino, il ricorso al concetto algebrico di gruppo
delinea una nuova strada percorribile in modo da evitare sia il riferimento incontrollabile
all’intuizione, sia l’eliminazione di ogni legame tra l’edificio della geometria “pura” e il
mondo fisico. A cominciare dai lavori di Camille Jordan, questa nozione, che fece la sua
comparsa nello studio delle equazioni algebriche, mostrò tutta la sua fecondità anche in
geometria: Lie e Klein, grazie ad una proficua collaborazione ed una salda amicizia, diedero
contributi eesenziali alla teoria dei gruppi continui di trasformazione, lasciando poi nelle mani
del giovane Poincaré una serie di lavori che egli stesso sviluppò in maniera originale.
319 F. Enriques (1911, p.13-14).320 Ivi.321 Torretti, (1978, p. 255).322 ibid., p. 251.
87
Dal punto di vista storico-filosofico, dobbiamo probabilmente a Felix Klein il testo che
meglio documenta la fecondità dell’approccio gruppale in geometria; uno sguardo
comprensivo del noto “Programma di Erlangen” (1872), monumentale per profondità di
pensiero benché conciso sino alla stringatezza, mostra fino a che punto il metodo seguito da F.
Klein ha permesso di ordinare in una gerarchia la crescita, spesso caotica, delle più disparate
scoperte nel corso del secolo XIX. Il criterio che ispira questo ordinamento può riassumersi
nella tesi secondo cui differenti branche della geometria, quali l’euclidea, la geometria affine,
proiettiva…, possono essere viste come lo studio di quelle proprietà dello spazio che vengono
preservate da una determinata classe di trasformazioni. Se si considera, con Klein, «lo spazio
semplicemente come una varietà più volte estesa», il «problema generale che comprende in sé
non solo la geometria ordinaria, ma anche e in particolare i nuovi metodi geometrici» può
esprimersi nei termini seguenti:
E data una varietà e in questa un gruppo di trasformazioni, studiare le forme appartenenti alla varietà
per quanto concerne quelle proprietà che non si alterano nelle trasformazioni del gruppo dato.
Secondo l’espressione moderna (…) possiamo anche dire così:
è data una varietà e in questa un gruppo di trasformazioni. Si sviluppi la teoria invariantiva relativa al
gruppo medesimo.323
La geometria euclidea potrà allora essere definita come la coppia (S; E), in cui S
rappresenta uno spazio, o ciò che Klein definisce “varietà” (che corrisponde non all’odierno
concetto di varietà, ma all’attuale nozione di spazio Rn o PCn) mentre E definisce il gruppo ∞7
che possiamo associare alla varietà. Come leggiamo nell’opera di Klein Elementary
Mathematics from an advanced standpoint:
If we look back at our different kinds of geometry we see that the transformations which play a role in
each case always form a group. In the first place all linear substitutions which leave unchanged the relations of
metric geometry – displacements, rotations, reflections, similarity transformations – obviously form a group,
which one calls the principal group of transformations of space324.
.
323 Klein324 (F. Klein, Elementary Mathematics from an advanced standpoint. Vol III, p. 133)
88
La presente trattazione non si occuperà tuttavia dello studio del gruppo principale, ma
del suo sottogruppo costituito dalle isometrie pari nello spazio325 (rotazioni, traslazioni e
glissoriflessioni, queste ultime ottenute come composizione delle prime due), caratterizzato da
sei parametri (o sei gradi di libertà, uno in meno del gruppo principale). Questa scelta è
anzitutto dettata dal fatto che questo ultimo gruppo è meglio indicato del primo a descrivere il
movimento dei corpi rigidi. Per il medesimo fatto esso gioca un ruolo di rilievo nell’articolo
di Poincaré Sui Fondamenti della geometria (1898).
Quivi il pensiero poincareano, almeno in riferimento all’epistemologia della geometria,
raggiunge il suo pieno sviluppo: nei testi più noti del 1902 e del 1904 ritroviamo infatti, senza
modifiche decisive, i temi contenuti nel presente lavoro326
Poincaré presenta una teoria dello spazio fondata sulla nozione di “compensazione”, in
cui tanto la capacità idealizzante della “mente”, quanto – vale la pena ricordarlo – l’esperienza
svolgono una funzione ineliminabile. È vero, in effetti, che: «la nozione di gruppo continuo
esiste nel nostro intelletto anteriormente ad ogni esperienza», in modo da presidiare
l’organizzazione dello spazio sensibile (una varietà topologica monodimensionale a n
componenti); ma con ciò l’esperienza non è completamente estromessa dal processo di genesi
dello spazio geometrico, poiché ad essa spetta il compito di guidare, secondo un principio di
economia, la nostra scelta entro la vasta griglia di gruppi che il nostro intelletto è in grado di
costruire: la nozione di spazio, precisa Poincaré, «è costruita dalla mente con degli elementi
che preesistono in essa, e l’esperienza esterna non è per essa che l’occasione di esercitare
questo potere, o tutt’al più un mezzo per determinare il miglior modo di esercitarlo»327. La
scelta cadrà infatti sull’esemplare di gruppo che meglio degli altri può sussumere e dotare
della propria struttura il continuo fisico degli spostamenti di cui abbiamo conoscenza diretta
nella vita quotidiana.
Abbiamo ricordato come l’alterità dello “spazio sensibile” rispetto allo spazio
geometrico costituisca una delle ragioni che portarono Poincaré alla ricusazione
dell’empirismo geometrico. Una volta assodata questa incommensurabilità, cade anche la tesi
del carattere intuitivo della conoscenza spaziale, ed in sua vece emergono due problemi
325 definiamo le rotazioni e le traslazioni “isometrie pari” perché esse si ottengono come prodotto di dueribaltamenti.326
In esso viene lumeggiata l’architettura di fondo del convenzionalismo, secondo quelli che J. Vuillemindefinirà “primo” e “secondo” significato. Nel suo Poincaré’s philosophy of space l’autore distingue infatti unprimo senso in cui viene impiegata la nozione di “convenzione”, in relazione alla costruzione di uno spazio“puro” a partire dai dati sensoriali da un secondo senso, riferito alla genesi delle proprietà topologiche (come ilnumero delle dimensioni) dello spazio, e da un’ ultima e più comune accezione («more popular sense ofconvention»): la tesi di Duhem – Quine.327 Poincaré (1898, p.3).
89
correlati. In primo luogo, si tratta di stabilire a quali condizioni è possibile astrarre dallo
spazio rappresentativo uno spazio geometrico ideale, dotato di proprietà singolari e non
rintracciabili a livello del suo correlato empirico. Dalle stesse proprietà dello spazio
geometrico discende il secondo ordine di problemi, relativo alla possibilità di ridurre lo spazio
rappresentativo, nella sua triplice forma, ad un unico spazio qual è quello descritto dai
geometri.
In riferimento alla prima questione, Poincaré muove dall’idea che lo spazio sia un
concetto di natura associativa328, alla cui radice vadano rintracciate sia successioni di
sensazioni correlate secondo certe leggi, sia precise condizioni in base a cui distinguere
univocamente i cambiamenti di stato dai cambiamenti di posizione.
Come potrebbe un essere immobile percepire il mondo? Scrive Poincaré:
Per un essere completamente immobile non vi sarebbe né spazio, né geometria; invano attorno a lui gli
oggetti si sposterebbero, le variazioni che questi spostamenti farebbero subire alle sue impressioni non sarebbero
attribuite da questo essere a dei cambiamenti di posizione, ma a dei semplici cambiamenti di stato.
Questa nozione [la nozione di spazio] non può derivare da un’unica sensazione, bensì da una serie di
sensazioni. Inoltre un essere immobile non avrebbe mai potuto acquisirla poiché, non potendo correggere
attraverso i suoi movimenti gli effetti del cambiamento di posizione non avrebbe avuto alcun modo di distinguerli
dai cambiamenti di stato.
Da entrambi i brani si rileva, in primo luogo, che la base psicologica della concezione
geometrica dello spazio risiede nell’identificazione di una classe speciale di impressioni
corrispondenti ai cambiamenti di posizione degli oggetti; in secondo luogo, che la condizione
necessaria e sufficiente per identificare tali cambiamenti è rappresentata dalla mobilità del
nostro corpo. Infine, abbiamo coscienza di alcuni movimenti, detti volontari, accompagnati da
sensazioni cinestesiche329.
Tra i cambiamenti esterni, solo quelli che possono essere compensati da opportuni
movimenti volontari, corrispondenti a successioni di sensazioni muscolari, prendono il nome
di cambiamenti di posizione. Un essere immobile, ad esempio, non avrebbe alcun elemento
per distinguere una sfera che ruotando gli mostri prima un emisfero rosso, e in seguito l’altro328 Surely, before Poincaré, people denied space had an a priori and intuitive character; they remarked that, beingcommon to different sensations, it necessarily was a concept of an associative nature. But how the associationworked, nobody explained (with the possible exception of Helmholtz). Poincaré was the first to clearly answerthe question, “how can we construct space from spaceless impressions?” » Vuillemin (1972, p.162).329 questa osservazione viene espressa da J. Vuillemin nella legge seguente:ad essa l’autore accompagna un’interessante osservazione: questa definizione, rileva, «makes sense only ifempirical compensations exist. We can imagine worlds where they would not exist; that the world which we livein allows such compensations, we learn by experience. In this sense geometry supposes experience». Vuillemin(1972, p.163).
90
emisfero blu, da un vaso sferico contenente un pigmento rosso che si colori di blu. Al
contrario, un essere capace di movimento volontario classificherebbe il primo fenomeno come
un cambiamento di posizione, il secondo come un cambiamento di stato: “nel primo caso, mi
è sufficiente girare intorno alla sfera per mettermi di fronte all’emisfero rosso e ristabilire la
sensazione rossa primitiva.” (Poincaré, Il valore della scienza, p.280).
La rotazione della sfera può, in altri termini, essere compensata da un movimento
interno a condizione che si ristabilisca la stessa posizione relativa, e che il mio corpo non
abbia cambiato attitudine.
E, ancora, solo grazie al movimento relativo dell’organismo (o di sue parti, come i
muscoli oculari) è possibile assimilare coppie di impressioni altrimenti eterogenee, come
quelle date da oggetti diversi che si muovano secondo lo stesso vettore330.
Tutto ciò a patto che negli spostamenti siano implicati corpi solidi, tali da non subire
deformazioni durante gli spostamenti): “bisogna che le diverse parti dell’oggetto abbiano
conservato, le une in rapporto alle altre, la stessa posizione relativa,e lo stesso deve accadere
per l’insieme del nostro corpo nel secondo movimento che corregge il primo. (Poincaré, La
scienza e l’ipotesi, p.103)
L’esistenza di classi di cambiamenti esterni aventi un correlato nei movimenti volontari
permette di compiere una prima astrazione sulle proprietà degli oggetti coinvolti nel
movimento, come esemplificato ne La scienza e l’ipotesi:
Supponiamo un corpo solido che prima occupa la posizione α e poi passa alla posizione β, nella prima
posizione determinerà in noi l’insieme di impressioni A, e nella seconda l’insieme di impressioni B. Sia dato ora
un secondo corpo solido, che abbia qualità completamente diverse dal primo, per esempio, di colore differente.
Supponiamo ancora che passi dalla posizione α dove provoca in noi l’insieme di impressioni A1 , alla posizione
β dove provoca in noi l’insieme di impressioni B1.331
Il passaggio dall’insieme A all’insieme B di impressioni non avrà, dal punto di vista
qualitativo, nulla in comune con il passaggio da A1 a B1; nondimeno riteniamo questi
cambiamenti il medesimo spostamento. Segnatamente, ciò accade perché associamo ad
entrambi i cambiamenti lo stesso movimento correlativo. Per questa via viene a costituirsi,
attraverso un procedimento di astrazione del quale la mente è condizione necessaria e
sufficiente, una classe di entità oggettive, gli “spostamenti”, a partire dall’aggregato
soggettivo delle impressioni visive e tattili:
330 Jules Vuillemin adotta la seguente formalizzazione: (Vuillemin, 1972, p.163). 331 (Poincaré, p. 105). questa legge viene formalizzata da Vuillemin nei termini seguenti:---------.
91
la classificazione non è un dato bruto dell’esperienza, perché la compensazione sopra menzionata dei due
cambiamenti, l’uno interno e l’altro esterno, non è mai completamente realizzata. È dunque un’operazione attiva
della mente, che cerca di inserire i risultati bruti dell’esperienza in una forma preesistente, in una categoria.
Quest’operazione consiste nell’indentificare due cambiamenti perché posseggono un carattere comune, e ciò
malgrado che essi non lo posseggono esattamente.332
Ogni spostamento corrisponde naturalmente ad una classe di cambiamenti esterni;
inoltre, mentre l’insieme dei cambiamenti interni può essere caratterizzato come un
“gruppoide” 333 l’insieme degli spostamenti, la cui azione si effettua sullo spazio della nostra
sensibilità (space of our sense awareness), costituisce, secondo Poincaré, un gruppo:
è evidente che se consideriamo un cambiamento A e lo facciamo seguire da un altro cambiamento B,
siamo liberi di considerare l’insieme dei due cambiamenti A seguito da B come un unico cambiamento che può
scriversi A + B e può essere chiamato il cambiamento risultante (…) ne risulta allora che se due cambiamenti A e
B sono degli spostamenti, il cambiamento A+B è anche uno spostamento. I matematici esprimono ciò dicendo
che l’insieme, o aggregato, degli spostamenti forma un gruppo. Se così non fosse non ci sarebbe la geometria.334
Anche in questo caso l’insieme degli spostamenti può essere dotato di una struttura
algebrica solo attraverso «un’operazione attiva della mente», che si estrinseca in un’ulteriore
idealizzazione operata sull’insieme degli spostamenti.
Le proprietà ad esso ascritte in precedenza, infatti, non consentono di attribuirgli
automaticamente i caratteri di un gruppo. Sappiamo che definire la congruenza tra due figure
(intese come insiemi di punti nel piano o nello spazio) rispetto ad una classe di trasformazioni
equivale a dotare tale classe di una struttura di gruppo335. Tuttavia, sulla base dell’insieme
degli spostamenti non è possibile definire alcuna relazione di congruenza tra figure qualsiasi,
poiché gli elementi ultimi di cui si compongono i nostri spostamenti appartengono al novero
delle sensazioni, soggette – come lo stesso autore ha illustrato nell’articolo le continu
mathématique del 1893-94 – alle leggi del continuo fisico. Secondo la relazione psicofisica tra
stimolazione e risposte, nota come legge di “Weber-Fechner”:
332 Poincaré (1898, p.13).333 «internal changes are therefore subject to the laws of what some mathematicians call a grupoid. The law ofinternal composition between members of the set of these changes is not always defined. In other words, youcannot take the cartesian product of this set by itself to define a function whose value belongs to the set».334 Poincaré (1898, p.14).335 si ha infatti che A ≅ B sse esiste una classe di funzioni f tale che f(A) =A; f (A; B) → f (B; A); f(A; B), f (B;C) → f (A; C).
92
On a observé par example qu’un poids A de 10 grammes et un poids B de 11 grammes produisaient des
sensations identiques, que le poids B ne pouvait etre non plus discernè d’un poids C de 12 grammes, mais que
l’on distinguait facilement le poids A du poids C.336
In tal modo le differenti famiglie di sensazioni:si confondono l’una con l’altra. A, per esempio, sarà associato a B, e B a C. ma A non ci apparirà come
associato a C. troveremo che A e C non appartengono alla stessa famiglia, benché A e B da una parte e B e C
dall’altra ci sembrino come appartenenti alla stessa famiglia337.
La “formula del continuo fisico” (“formule du continu physique”), che può riassumersi
nella seguente relazione di antitransitività tra triple di sensazioni A, B, C:
A=B, B=C, A<C,
presenta – riconosce Poincaré – un “disaccordo intollerabile” con il principio di non
contraddizione, tanto che la trascrizione simbolica dei dati sensoriali, per quanto fedele ai
resoconti osservativi:
…ripugna alla ragione. Essa non corrisponde a nessuno dei modelli che portiamo in noi. Sfuggiamo a
questo dilemma con un artificio; e a questo continuo fisico – o se preferite a questo continuo sensibile che si
presenta sotto una forma intollerabile per le nostre menti – sostituiamo il continuo matematico.338
In termini formali, è possibile caratterizzare il continuo fisico (o, più esattamente,
continuo psicologico) attraverso le proprietà seguenti.
Definiamo il continuo fisico semplice come la tripla ‹ S, R, < ›, tale che:
(i) ∃x t.c. x∈S.
(ii) R(x,y) è una relazione binaria, riflessiva (vale R(x,x)), simmetrica (R(x,y)→R
(y,x)), non transitiva (∼[R(x,y) Λ R(y,z)→R(x,z)] ) in S. (R(x,y) si legge: x è
indiscernibile da y).
336 Questi stessi risultati colpiranno, più di cinquant’anni dopo, il filosofo della scienza Paul Feyerabend, cheracconta la seguente esperienza, per rilevare come: “la sicurezza che proviamo nella vita quotidiana di fronte a uncerto avvenimento è un fenomeno meramente soggettivo”: « L’esempio seguente, che devo al prof. Tranekjaer–Rasmussen dell’università di Copenaghen, mostra come ci siano degli enunciati che in determinate situazioniosservative sono del tutto certi soggettivamente (…) ma che contengono una contraddizione, il che è certo unbuon motivo per dubitare della loro verità. (…) le persone che si prestano all’esperimento sono invitate aconfrontare le distanze a,b, e c fra tre coppie di linee. Il risultato dell’osservazione diretta (della cui assurdità isoggetti dell’esperimento, impegnati nella corretta descrizione delle osservazioni, si accorgono solo in unsecondo tempo) è a=b, b=c, ma a>c». 337 Poincaré (1898, p. 39).338 Poincaré (1898, p. 22).
93
(iii) “<” è una relazione binaria ( <(x,y) ), antisimmetrica ( x<y → (∼[(y<x)])),
transitiva (x<y, y<z → x<z) in S.
(iv) Se a,b ∈ S, e R(a,b), allora non si verifica né a<b né b<a ( (∼ (a<b)) Λ (∼
(b<a) ).
(v) Se a,b ∈ S, e ∼R (a,b), allora a<b v b<a. ((a,b ∈ S) Λ (∼R (a,b))) → (a<b V
b<a)
(vi) (a,b,c ∈ S Λ a<c<b) → ∼∃x t.c. x ∈ S Λ ( R(a,x) Λ R (x,b)).
(vii) S contiene un sottoinsieme non vuoto L, su cui < costituisce un ordinamento
lineare.
(viii) Se a,b ∈S, a<b e non esiste c tale che a<c<b, allora ∃x t.c. R(a,x) e R(x,b).
(ix) Se a ∈ S, ed esiste un elemento b appartenente ad L, allora R(a,b). ( (a ∈ S ) Λ
(∃b ∈ L) →R(a,b)).
Tale assiomatizzazione339 dà luogo ad una teoria priva di contraddizioni evidenti, che
smentisce il giudizio negativo di Poincaré e sembra anzi minare le ragioni, filosofiche ancor
prima che psicologiche, alla base della contrapposizione tra i due “continui” istituita da
Poincaré e della predilezione accordata da quest’ultimo al continuo matematico, dal momento
che può essere riconosciuto pieno titolo di legittimità ad entrambi340.
In un altro senso però, la costituzione dello spazio geometrico presuppone il continuo
matematico (dedekindiano) a scapito del continuo fisico. L’illimitatezza dello spazio e,
insieme, la sua omogeneità e isotropia si fondano sulla capacità della mente di iterare la
medesima operazione un numero indefinito di volte:
dove abbiamo studiato la natura del ragionamento matematico, abbiamo visto l’importanza che si deve
attribuire alla possibilità di ripetere indefinitamente una stessa operazione. È da questa ripetizione che trae la sua
virtù il ragionamento matematico; perciò è grazie alla legge dell’omogeneità che esso ha un ruolo relativamente
ai fatti geometrici341.
339 Cfr.Torretti (1978).340Alla base di questa presa di posizione ritroviamo forse l’interpretazione fuorviante della relazione di“indiscernibilità”, che negli autori considerati viene a torto identificata con l’identità. La scrittura A=B, B=C,A<C è certo illegittima, ma non vi è nessuna contraddizione se al simbolo “=” viene sostituita la relazione “R”,che non gode della proprietà transitiva: R(a,b), R(b,c), a<c. In questi termini, la “formula del continuo fisico”costituisce uno schema pienamente autonomo, che non richiede correzioni né l’intervento di una nuovaformalizzazione.341 (Poincaré, la scienza e l’ipotesi, p. 105)
94
Pertanto l’intuizione del tempo e del numero naturale, che fondano la capacità iterativa
della mente, consentono di costruire interamente a priori la nozione di continuità
matematica342, della quale solo attraverso un ulteriore processo di idealizzazione può essere
dotato l’insieme degli spostamenti:
separando le nostre sensazioni da quel qualcosa che noi chiamiamo la loro causa, ammettiamo che il
qualche cosa in questione si conforma al modello che portiamo in noi, e che le nostre sensazioni se ne discostano
soltanto a causa della loro grossolanità.343
È il pensiero aritmetico, in sostanza, a costituire il presupposto trascendentale della
conoscibilità dello spazio, nella misura in cui l’insieme degli spostamenti, conformandosi al
«modello che portiamo in noi» acquisisce la struttura di un gruppo di trasformazioni:
scopriamo subito che uno spostamento qualsiasi può essere sempre diviso in due, tre, o un numero
qualunque di parti, voglio dire che possiamo sempre trovare un altro spostamento che, ripetuto due, tre volte,
riprodurrà uno spostamento dato. Questa divisibilità all’infinito ci porta naturalmente alla nozione di continuità
matematica; e tuttavia le cose non sono così semplici come sembrano a prima vista.
Dalla divisibilità infinita di cui godono gli spostamenti del gruppo discendono le note
caratteristiche dello spazio geometrico: omogeneità, isotropia, e illimitatezza. Infatti, che cosa
stabilisce la legge di omogeneità, se non che: «un movimento che si è prodotto una volta può
ripetersi anche una seconda volta, senza che cambino le sue proprietà»? D’altro canto:
se uno spostamento D mi trasporta da un punto ad un altro oppure cambia il mio orientamento, io devo
essere, dopo questo spostamento D, ancora capace degli stessi movimenti di prima dello spostamento D, e questi
movimenti devono aver conservato le loro proprietà fondamentali che mi hanno permesso di classificarli tra gli
spostamenti. Se così non fosse lo spostamento D seguito da un altro spostamento non sarebbe equivalente a un
terzo spostamento…344
E non valendo la proprietà di chiusura: «gli spostamenti non formerebbero un
gruppo»345. Queste osservazioni illustrano chiaramente che, una volta condotti ad accettare
l’omogeneità dello spazio, dobbiamo giocoforza accettarne isotropia e illimitatezza. Se dopo
uno spostamento: «il nuovo punto al quale sono stato trasportato gioca lo stesso ruolo di
quello nel quale ero inizialmente; il mio nuovo orientamento gioca ancora lo stesso ruolo che342 343 Poincaré (1898, p.22).344 ibid., p.18.345 ivi.
95
giocava in passato…», dobbiamo concludere che lo spazio è isotropo. Infine: «essendo
omogeneo, esso [lo spazio] sarà illimitato; perché una categoria che è limitata non potrebbe
essere omogenea dal momento che le sue frontiere non potrebbero giocare lo stesso ruolo del
suo centro»346.
Dobbiamo tuttavia osservare, con Poincaré, che non è necessario presupporre la
generabilità del gruppo a partire da movimenti infinitesimali per dotare lo spazio delle
proprietà sopra discusse, dal momento che si possono annoverare tre ipotesi compossibili:
1869 ogni spostamento è multiplo di un «piccolo spostamento» di lunghezza
finita, benché non percepibile. Il gruppo sarebbe in tal caso discontinuo,
data l’esistenza di movimenti non ulteriormente scomponibili347.1870 Ogni spostamento è divisibile all’infinito in spostamenti tutti
commensurabili l’uno con l’altro, di modo che: «a ciascuno di essi
corrisponderebbe un numero commensurabile e viceversa». Questa
specie di continuità sarebbe però « imperfetta, poiché non ci sarebbe
niente che corrisponda ai numeri incommensurabili»348. 1871 Ogni spostamento è «perfettamente continuo», cioè: «a ciascun numero
commensurabile o incommensurabile corrisponde uno spostamento e
viceversa»349.
Le ragioni che conducono ad accettare la (iii) sono determinate solo dalla maggiore
compatibilità di quest’ultima ipotesi con le altre proprietà del gruppo, rilevabili, a loro volta,
sulla base di esperienze eterogenee. Pur accordando alla facoltà intellettuale (ésprit) la
capacità di costruire, applicando il principio di ricorrenza, la successione dei numeri naturali,
dei razionali e dei numeri reali350, Poincaré riconosce all’esperienza, nella misura in cui essa è
“occasione” della costituzione e della scelta di un determinato gruppo di spostamenti, un
ruolo dirimente nel decidere quale tra le tre idealizzazioni sia la più adatta ad imporsi sul
continuo fisico dei dati sensoriali:
la prima soluzione, come la seconda, è incompatibile con le altre proprietà del gruppo, che conosciamo
per altre esperienze. La terza soluzione si impone dunque a noi solo per questo fatto. Potrebbe essere successo il346 Ivi. Sulla distinzione tra “illimitato” e “infinito” si confronti quanto detto a proposito di Riemann, nel capitoloI. 347 «avremo allora un fascio discontinuo che ci darebbe l’illusione della continuità fisica perché i nostri sensigrossolani sarebbero incapaci di discernere due qualsiasi elementi consecutivi del fascio». Ibid., p. 22.348 ivi.349 Ibid, p.23.350
96
contrario. Sarebbe potuto accadere che le proprietà del gruppo fossero incompatibili con la continuità. Allora
avremmo senza dubbio adottato la prima soluzione351.
Un’analisi più profonda della classe degli spostamenti consente di enumerare alcune
delle proprietà che contribuiscono a caratterizzare tale classe come un gruppo continuo.
Attraverso semplici esperienze è allora possibile accertare l’esistenza di una classe peculiare
di cambiamenti:
Un corpo solido avente un punto fisso gira davanti ai nostri occhi. La sua immagine si dipinge sulla nostra
retina e ciascuna delle fibre del nervo ottico ci trasmette un’impressione; ma a causa del movimento del corpo
solido questa impressione è variabile. Una di queste fibre, tuttavia, ci trasmette un’impressione costante. Ed è
quella all’estremità della quale si è formata l’immagine del punto fisso. Abbiamo così un cambiamento che fa
variare certe sensazioni, ma ne lascia altre invariabili.
Non si tratta però di una proprietà qualitativa, e quindi accidentale, del singolo
spostamento, come illustra il seguente esempio:
Vedo per esempio un corpo solido che gira attorno a un punto fisso. Le parti vicine al punto fisso sono
dipinte di rosso. Si tratta di uno spostamento e in questo spostamento io mi accorgo che qualcosa resta
invariabile, cioè la sensazione di rosso che mi viene trasmessa da una certa fibra del nervo ottico. Un po’ di
tempo dopo, vedo un altro corpo solido che gira intorno a un punto fisso. Ma le parti vicine al punto fisso sono
dipinte di verde.
Benché la sensazione di “rosso” comunicata durante la prima rotazione sia affatto
differente dalla sensazione di “verde” collegata alla rotazione successiva, siamo in presenza
del medesimo spostamento, «perché può essere corretto dal medesimo cambiamento interno».
Come è noto, l’insieme dei cambiamenti esterni, qualitativamente differenti, compensabili
mediante lo stesso cambiamento interno (volontario) possono essere ricondotte nella stessa
classe. Orbene, la classe composta dai cambiamenti descritti nell’esempio rivela l’interessante
proprietà di preservare invariante un determinato “aggregato di impressioni”: le sensazioni
corrispondenti al “centro” di rotazione dei corpi. Non useremo naturalmente il termine
“punto”, la cui conoscenza non può essere presupposta senza cadere in un circolo vizioso, ma
la nozione più ambigua di “posto”.
Proprio quest’ultimo dobbiamo In secondo luogo, tale classe costituisce un sottogruppo
del gruppo degli spostamenti, come rileva Poincaré:
351 Poincaré (1898, p. 24).
97
siamo così portati a distinguere fra gli spostamenti quelli che conservano certe sensazioni. L’insieme degli
spostamenti che conservano così un sistema dato di sensazioni forma evidentemente un sottogruppo che
possiamo chiamare sottogruppo di rotazioni.
Inoltre esperienze altrettanto immediate delle precedenti conducono alla conclusione che
quegli spostamenti che lasciano invariante non un singolo complesso di impressioni, ma una
coppia di essi, ne preservano nel contempo un numero infinito352.
Analiticamente, la struttura della classe degli spostamenti è suscettibile della seguente
descrizione:
6) l’insieme di tutti gli spostamenti che fissano una determinata sensazione σ formano
un gruppo ℜ, che decidiamo di chiamare sottogruppo rotativo, trattandosi di un
sottogruppo del gruppo degli spostamenti. Poiché l’esperienza garantisce
l’esistenza di questa classe di spostamenti, è lecito assumere, a fortiori l’esistenza
di almeno un sottogruppo rotativo. D’ora innanzi, daremo a tutti gli spostamenti
non rotativi il nome traslazioni (citare Torretti).
7) Dato un sottogruppo rotativo ℜ che fissa una sensazione σ, è possibile ottenere
nuovi sottogruppi rotativi semplicemente prendendo i coniugati di ℜ rispetto ad
una qualsiasi traslazione t, dal momento che la composizione t(ℜ)t-1 risulta essere
una rotazione che fissa un nuovo aggregato di impressioni σ’. Riassumendo, i
coniugati di rotazioni sono a loro volta rotazioni.
8) Osserviamo inoltre che l’intersezione di due sottogruppi rotativi forma un fascio
rotativo (rotative sheaf) che possiamo caratterizzare con la seguente proprietà: esso
è costituito da spostamenti tutti «scambiabili fra loro»; secondo la terminologia
della moderna algebra, un fascio è un sottogruppo abeliano. Ogni fascio possiede
inoltre la caratteristica peculiare di appartenere ad un’infinità di sottogruppi.
9) Il fatto di immediata sperimentazione che un oggetto rettilineo può sempre essere
fatto scivolare su sè stesso353 consente di introdurre il cosiddetto gruppo delle
352 Des expériences aussi grossières que les précédentes nous apprendraient qu’il existe des déplacements quilaissent fixes deux points quelconque; que, dans ce cas, ces déplacements laissent fixes une infinité d’autrespoints (rotation autour d’une droite). Rougier (1920, p.168).353«Considérons tous les déplacements d’un lacet rotatif. Si nous prenons un déplacement quelconque, il ne serapas, en général, interchangeable avec tous les déplacements du lacet; mais nous découvrirons qu’il existe desdéplacements qui sont interchangeables avec tous ceux du lacet rotatif, et qui forment un sous-group plus é tenduqu’o appelle le sous-groupe hélicoidal (...) ce qui paraît évident si l‘on observe qu’une droite peut glisser le longd’elle- même ». Rougier (1920, p. 170).
98
glissoriflessioni, o sottogruppo elicoidale, costituito da quelle trasformazioni che
commutano con i componenti di un fascio.
10) Infine, ogni spostamento infinitesimo può essere scomposto in tre spostamenti
infinitesimi appartenenti ciascuno a tre fasci di rotazione.
Una classe caratterizzata da questa struttura può secondo Poincaré costituire una copia
isomorfa al gruppo dei movimenti euclidei, iperbolici o, infine, ellittici.
«Per andare oltre – prosegue il Nostro – abbiamo bisogno di una nuova proposizione
che prenda il posto delle parallele». Viene quindi ribadita la conclusione che troviamo nel
lavoro del 1886, e a sua volta nella teoria dei gruppi di trasformazioni di S. Lie: la
proposizione che prenderà il posto del V postulato «sarà l’affermazione dell’esistenza di un
sottogruppo invariante, i cui spostamenti sono tutti scambiabili e che è formato da tutte le
traslazioni».
L’esperienza, per quanto abbia potuto “suggerire” questa conclusione, non può tuttavia
imporla. Essa è sufficiente
per mostrare che, di tutti i gruppi i cui modelli preesistono in noi, i soli che possiamo adottare allo scopo
di potervi riferire le nostre sensazioni» sono quelli che contengono un tale sottogruppo [un sottogruppo rotativo].
Se i due gruppi condividono la stessa struttura tanto da costituire l’uno l’immagine
speculare dell’altro, essi differiscono, per così dire, nella materia. Fuor di metafora, mentre il
gruppo degli spostamenti agisce su uno spazio n – dimensionale (con n >> 3), lo spazio che
attribuiamo al mondo esterno ha, secondo l’opinione comune, solo tre dimensioni, e parimenti
tridimensionale (o, talvolta, bidimensionale) è lo spazio in cui vengono eseguite le costruzioni
della geometria elementare.
Rimane dunque il problema di come da uno spazio omeomorfo a Rn possa derivare un
nuovo spazio, omeomorfo ad R3, del tutto equivalente, dal punto di vista topologico, allo
spazio della geometria euclidea elementare. Per sfuggire a questa difficoltà, Poincaré formula
una chiara distinzione, nell’algebra dei gruppi, tra proprietà formali e proprietà materiali:
i matematici suppongono ordinariamente che l’oggetto delle operazioni del gruppo è un insieme di un
certo numero n di quantità suscettibili di variare in modo continuo, quantità che sono chiamate coordinate.
D’altra parte, ogni operazione del gruppo può essere considerata come facente parte di un fascio analogo al
fascio di rotazioni e come multiplo di un ordine molto elevato di un’operazione infinitesimale appartenente allo
stesso fascio.354
354 Poincaré (1898), p. 32.
99
Pertanto, all’interno della teoria dei gruppi continui di trasformazione il grado, cioè il
numero delle dimensioni dello spazio su cui il gruppo stesso agisce, costituisce una proprietà
materiale, mentre l’ordine del gruppo, ovvero il numero di parametri (le componenti di
un’operazioni infinitesimale), rappresenta una proprietà formale. È dunque sempre possibile,
sostiene Poincaré, sostituire «il gruppo che ci è dato, con la sua forma e la sua materia, con un
altro gruppo isomorfo, la cui materia è più semplice»355.
La posizione di Poincaré è, in conseguenza di questa presa di posizione, in netto
contrasto con le tesi sostenute da Helmholtz e da Lie. Secondo questi ultimi, infatti: «la
materia esisteva prima della forma e in geometria la materia è una varietà numerica a tre
dimensioni. Il numero delle dimensioni è dunque posto anteriormente al gruppo». Per
Poincaré, al contrario:
la forma esiste prima della materia. Le diverse maniere in cui un cubo può essere sovrapposto a sé stesso e
le diverse maniere in cui le radici di una certa equazione possono essere scambiate costituiscono due gruppi
isomorfi. Essi differiscono soltanto per la materia (…) sotto questo aspetto il gruppo esiste anteriormente al
numero delle dimensioni.356
In modo coerente a queste premesse, l’autore dedica i capitoli centrali del saggio a
costruire una realizzazione immanente del gruppo ∞6 degli spostamenti in uno spazio
omeomorfo a R3.
Ricordiamo che una realizzazione di un gruppo G in un insieme S (detto base della
realizzazione) può definirsi come l’omomorfismo φ, tale che:
φ: G→TS ,
ove con TS verrà indicato il gruppo delle permutazioni in S. Poiché φ è un omomorfismo,
avremo che:
φ(g) φ(g’) = φ(gg’).
355 Ibid.,p. 33.356 Ibid., p. 54.
100
Qualora φ fosse un isomorfismo, la realizzazione di G in S si direbbe fedele (faithful);
mentre tale realizzazione è definita transitiva (transitive) quando, per ogni x, y ∈ S esiste un
elemento g ∈ G tale che φ(g) associ x a y.
Entro lo schema proposto, la base del gruppo rappresenterà l’elemento materiale,
mentre il gruppo astratto G ne determinerà la forma. Ora, una “realizzazione immanente” è
semplicemente una realizzazione che, per così dire, viene “data insieme” al gruppo, e dunque
non presuppone alcun elemento avventizio, quale la varietà molteplicemente estesa prevista
da Helmholtz e Lie.
Un esempio, tratto da Torretti, chiarirà meglio questo concetto.
Sia G un gruppo, e H un sottogruppo di G. Definiamo con il simbolo G/H il gruppo
quoziente di G rispetto ad H (l’insieme di tutti i laterali sinistri di H). Consideriamo ora la
funzione:
f: g →fg ,
il cui codominio è dato dall’insieme delle permutazioni di G/H:
fg (kH) = gkH.
La funzione f è una realizzazione di G in G/H, dal momento che, per ogni u, w, v
appartenenti a G:
fufv(wH) = uvw(H) = fuv(wH).
Inoltre, poiché:
fuv –1 (H) = u(H),
f è transitiva.
Questa realizzazione è poi immanente, perché G/H viene “dato insieme” a G.
H, in quanto sottogruppo di G, rappresenta il gruppo di stabilità di H stesso, in quanto
punto di G/H.
Infatti, se g∈H, allora fg (H) = gH = H. D’altro canto, se g∉H, fg (H) = gH ≠H.
possiamo, in conclusione asserire che:
101
{g| g∈G e fg (H) = H} = H.
Infine, f è simile357 ad ogni realizzazione di G che contenga H come gruppo di stabilità.
Quanto esposto sopra può essere applicato con conseguenze rilevanti anche al gruppo
degli spostamenti. Riconosciamo infatti al suo interno due sottogruppi non banali: il
sottogruppo rotativo ℜ, e il sottogruppo delle traslazioni T, il quale può essere ritenuto
omeomorfo ad R3. Ora, sia ℜ0 un determinato sottogruppo rotativo, per ogni ℜ∈Σ avremo
che:
ℜ = t ℜ0t-1,
con t ∈ T.
La funzione f: t→ t ℜ0t-1 è chiaramente una biiezione da T a Σ; risulta in tal modo
possibile assegnare la seguente topologia all’insieme Σ: sia Z⊂ Σ aperto in Σ se e solo se f –1(Z)
è aperto in T, Σ è, in conclusione omeomorfo a T, e quindi ad R3. In secondo luogo, dato uno
spostamento d (rotazione o traslazione), possiamo definire la funzione fd , che associa ogni ℜ
al suo laterale rispetto allo spostamento dℜ:
fd: ℜ→dℜ.
Dal momento che il prodotto di una rotazione per una traslazione (rotazione) è ancora
una rotazione, la funzione fd agisce sull’insieme Σ delle rotazioni come una permutazione di
Σ. Inoltre, in analogia con la descrizione data sopra, poiché ogni elemento di Σ è un
sottogruppo di D, possiamo definire una realizzazione immanente di D sul gruppo quoziente
D/ ℜ attraverso la funzione f:
f: d→fd.
Come noto, la proprietà di immediata evidenza dei sottogruppi rotativi risiede nel fatto
che ciascuno di essi preserva un certo “aggregato di impressioni” invariante. Dal punto di
vista dell’algebra dei gruppi, pertanto, un sottogruppo rotativo che fissi, poniamo, un punto ξ,
357 Sia φ una realizzazione di un gruppo G in un insieme S. se φ’ è una realizzazione di G in un insieme S’, edesiste una biiezione f: S→S’, tale che per ogni g∈G, φ’g = f φ’g f –1, allora φ’ è simile a φ.
102
sarà equivalente ad un gruppo stabilizzatore relativo ad una data geometria sullo spazio di
punti ξ.
Da ciò discende che, preso un elemento generatore ξ appartenente allo “spazio della
sensibilità” (omeomorfo a Rn) – cioè un peculiare aggregato di impressioni – l’insieme Σ potrà
essere definito nel modo seguente:
Σ:{ℜ| ∀ℜ∈Σ, ℜ (ξ)= ξ }.
Ovviamente, due sottogruppi rotativi ℜ e ℜ’ fissano lo stesso elemento generatore ξ se
e solo se:
ℜ = ℜ’; in tal modo la funzione g da ℜ a ξ:
g: ℜ→ ξ
è una biiezione da Σ all’insieme Σξ di tutte le sensazioni fissate da un ℜ∈Σ.
Se assumiamo che Z⊂ Σξ sia aperto ogni volta che g – 1 (Z) è aperto, rendiamo Σξ
equivalente ad uno spazio topologico omeomorfo a R3. Sia ora f la realizzazione di D in Σ. A
sua volta la funzione:
s: d →g fd g –1
è una realizzazione di D in Σξ358 (indeed the mapping s is a homomorphism as, for any
pair of displacements d and d’, ) simile a f.
Torniamo ora al gruppo D degli spostamenti.
d) Dati due qualsiasi elementi generatori ξ e ξ1, per d1 ∈D, tale che ξ1 = d1(ξ), avremo, per
ogni r ∈ℜ:
ξ1= d1 (r (ξ)) (poiché r manda ξ in se stesso).
e) Dall’altro lato, se ξ1 = d’(ξ), e, per ogni r ∈G, d’ = d1r, allora r fissa ξ. Infatti d1(r (ξ)) =
ξ1 implica che r(ξ) = d1-1(ξ1) = ξ.
f) Pertanto, all’elemento generatore ξ1 della nostra geometria corrisponde l’insieme d1ℜ
di trasformazioni in G, laterale sinistro del sottogruppo ℜ rispetto a d1.
358 Infatti la funzione s è un omomorfismo, poiché per ogni coppia di spostamenti d e d’ abbiamo che: g fd g –1 gfd’ g –1 = g fd fd’ g –1.
103
g) Consideriamo ora due elementi generatori ξ1 e ξ2. Si prenda d’ tale che ξ2 = d’(ξ1).
Possiamo scrivere: d2 = d’d1. Sostituendo d1r( ξ) a ξ1 (vedi (a)) scriveremo: ξ2 = d’(d1r(
ξ)). Possiamo concludere allora che: d’(d1r( ξ)) = (d’d1)r( ξ) = d2(r(ξ)).
h) Ogni trasformazione che associa ξ1 a ξ2 appartiene al laterale d2ℜ.
Osserviamo che il ruolo di elemento generatore ξ può essere coperto dal laterale sinistro
d2ℜ nel gruppo D rispetto al sottogruppo ℜ. Nel nostro modello gli spostamenti saranno
rappresentati da trasformazioni in D che mandano laterali in laterali, mentre le figure (intese
come insieme di elementi generatori) possono essere interpretate come insiemi di laterali. Per
questa via si giunge, infine, a definire lo spazio come gruppo quoziente Dℜ determinato dal
gruppo stabilizattore ℜ (sottogruppo rotativo).
La realizzazione s è dunque simile alla realizzazione standard di D in Dℜ: di
conseguenza s è una realizzazione immanente di D in uno spazio omeomorfo a R3.
Σξ costituisce pertanto un modello dello spazio geometrico, e se risaliamo alla
distinzione tra forma e materia, questo risultato dà un contributo essenziale in merito al
problema dello statuto di enti geometrici quali il “punto” e la “linea retta”. Non vi è alcuna
necessità, infatti, di definirli in riferimento elementi empirici, materiali, sebbene essi
conservino una traccia della loro genesi nel concetto stesso di gruppo stabilizzatore (il
poincareano “sottogruppo rotativo”).
Applicando un procedimento analogo, avremmo potuto costruire una realizzazione del
gruppo degli spostamenti su un dominio omeomorfo a R4 o R5: sarebbe stato sufficiente
scegliere come elemento generatore non «i differenti trasformati di un sottogruppo di
rotazioni», ma quelli «di un sottogruppo elicoidale», oppure di un «fascio di rotazioni». Se nel
primo caso abbiamo ottenuto una geometria in cui il punto è l’«elemento fondamentale», nel
secondo avremmo «scelto la linea retta come elemento dello spazio», attribuendogli quattro
dimensioni, e nell’ultimo caso «la figura formata da una linea retta e da un punto su questa
linea retta», di modo che lo spazio avrebbe avuto cinque dimensioni.
Cosa può giustificare la “scelta” di attribuire allo spazio tre dimensioni, ritenendo
dunque il punto quale elemento fondamentale? Una prima risposta viene fornita da Poincaré
in questi termini:
104
il sottogruppo di rotazioni attira dapprima la nostra attenzione perchè conserva certe sensazioni. Il
sottogruppo elicoidale ci è noto solo più tardi e più indirettamente. Il fascio di rotazioni d’altra parte è esso stesso
soltanto un sottogruppo del sottogruppo di rotazioni.
L’autore attribuisce al sottogruppo di rotazioni una “priorità psicologica”: le esperienze
primordiali che hanno condotto alla sua scoperta, legate alle sensazioni cinestesiche e al senso
del tatto, hanno preceduto – potremmo quasi dire da un punto di vista filogenetico – la
coscienza degli altri spostamenti. Sensazioni tattili e cinestesiche stanno così a fondamento
della geometria euclidea359, una «geometria muscolare», ma non della posteriore geometria
proiettiva, che al contrario è «soprattutto (…) visiva», e meno intuitiva della geometria
metrica.360
Ma vi è una seconda ragione che ha spinto la mente (ésprit) ad astrarre il concetto di
spazio sopra descritto. Preferiamo attribuire allo spazio tre dimensioni perché questa scelta:
«perché è la più semplice, ed è la più semplice perché è quella che dà allo spazio il numero
più piccolo di dimensioni»361. La nostra rappresentazione dello spazio sembra conformarsi allo
stesso “principio di economia” che Poincaré fa intervenire nell’attribuzione delle proprietà
metriche.
Secondo Louis Rougier, infine, una terza ragione giustifica la scelta del punto come
elemento fondamentale:
A cela se joignent des raisons d’ordre physique. Le géomètre est parfaitement libre de prendre pour
élément générateur de l’espace celui qui lui convient: le point, la droite, la sphère, le cône, etc; mais le physicien
envisage un corps comme un système de points auxquels s’appliquent des forces. D’une manière générale, les
propriétés des corps ne dépendent que de leurs points. Il n’importe pas, par example, pour les propriétés d’un
corps, qu’il ait ou non des plans tangents communs avec Mars, jupiter et le Soleil.362.
Secondo Rougier, la scelta del geometra è vincolata dalle esigenze della fisica: il
paradigma delle “forze centrali” che caratterizza la dinamica newtoniana, ad esempio, impone
359 «il principale fondamento delle dimostrazioni di euclide è realmente l’esistenza del gruppo e delle sueproprietà (…) gli altri [assiomi] che sono più direttamente associati all’idea di spostamento e all’idea di gruppo,sono proprio quelli che egli ammette implicitamente e che non ritiene neanche necessario enunciare. Ciò significache i primi assiomi (quelli che sono stati enunciati) sono il frutto di un’esperienza più recente, mentre gli altrisono stati assimilati da noi per primi; di conseguenza la nozione di gruppo esisteva prima di tutte le altre».Poincaré (1898, p. 46).360 Poincaré osserva come la geometria proiettiva arrivi alla nozione di lunghezza: «considerandola soltanto comeun caso particolare del rapporto anarmonico» attraverso «un giro di parole artificiale che ripugna». E prosegue:«non è evidentemente in questo modo che le nostre nozioni geometriche si sono formate». Poincaré, (1898, p.47).361 Ivi.362 Rougier (1920, p. 174).
105
di considerare gli oggetti fisici come un insieme di punti di applicazione delle forze. Non
diversamente, nella meccanica analitica di Lagrange, l’immagine della materia doveva ridursi
a:
une quantité invariable de force vive et une quantité donné de mobile (points d’application des forces),
mobiles qui n’ont d’autre qualités que d’être des supports de mouvement, des choses qui se meuvent, et ne
subissent d’autre transformation que dans la direction et la vitesse de ce mouvement, sous les influences
externes363.
Questa concezione implica uno stretto legame tra geometria e fisica, e, più
precisamente, una dipendenza della prima nei confronti della seconda. Tale subordinazione
non è però giustificata: possiamo a buon diritto ritenere che la meccanica di Newton abbia
preso a proprio modello la geometria euclidea, servendosi di un “linguaggio” compiutamente
sviluppato nel XVIII secolo, ma più antico di secoli. Va osservato, del resto, che secondo
l’argomento di Rougier un cambiamento nella fisica, quale ad esempio l’abbandono del
paradigma newtoniano in favore di una fisica fondata sulla nozione di campo, potrebbe
implicare l’abbandono della “geometria del punto” e con essa della tridimensionalità dello
spazio.
Come anticipato nell’introduzione, considerazioni analoghe conducono alla
rappresentazione euclidea dello spazio, adottando questa geometria per la sua maggiore
semplicità in luogo delle altrettanto valide geometrie ellittica o iperbolica. Tuttavia, precisa
Poincaré:
Che non si dica che il gruppo di Euclide ci sembra il più semplice perché è più conforme a qualche ideale
preesistente che ha già un carattere geometrico; è più semplice perché alcuni dei suoi spostamenti sono
scambiabili l’un l’altro, ciò non è vero per gli spostamenti corrispondenti del gruppo di Lobatchevskij.
In altri termini, la nozione di “semplicità” ha un significato oggettivo che emerge
qualora si esamini la struttura del gruppo euclideo, dal momento che solo quest’ultimo
possiede un sottogruppo di traslazioni invariante364. Tradotto in linguaggio analitico: le
equazioni euclidee conterranno meno termini. Si tratta, come osserva L. Rougier, di una
considerazione di grande portata:
Cette considération est d’un grand poids, la science étant à sa façon un problème de minimum.
L’économie de la pensée importe avant tout. Or, les géométries non-euclidiennes font appel aux théories les plus
363 Rey (1930, p.12).364 «è questo che determina la nostra scelta in favore della geometria di Euclide, perché il gruppo che corrispondealla geometria di Lobatchevskij non contiene un sottogruppo invariante di questo tipo». Poincaré (1898, p. 30).
106
élevées de l’analyse, aux fonctions fuchsiennes par exemple. On peut dès lors pressentir quelles complications
entraîneraient une mécanique et une physiques constituées à l’aide d’une métrique non euclidienne.
Esiste, come già accennato, anche una ragione d’ordine psicologico che induce a
preferire il gruppo euclideo sopra i restanti: le esperienze cinematiche effettuate con i solidi
naturali consentono di stabilire che tale gruppo si «allontana di meno da questo gruppo
grezzo, analogo al continuo fisico che l’esperienza ci ha fatto conoscere come gruppo degli
spostamenti»365.
In accordo con Rougier, la geometria appare allora: «comme le fruit incoscient d’un
opportunisme empirique»366, laddove il termine «opportunisme» traduce meglio di
«conventionnalisme» l’impostazione e il nucleo dell’epistemologia poincareana. Nella scienza – prosegue Rougier commentando Sui fondamenti della geometria –
esistono materia e forma, significato e linguaggio nel quale il primo trova la sua espressione:
L’expérience dans les sciences de la Nature nous impose la matière de la science; elle nous impose jamais
la matière dans lequel on l’exprime. Le langage de la science peut être indéfiniment diversifié; les lois naturelles,
qui en constituent le contenu, resterons invariables. Si l’on passe d’un langage dans un autre à l’aide d’un
dictionnaire approprié, les lois apparaîtront comme un invariant de la traduction ainsi opérée.
L’elemento linguistico-formale, che per Poincaré viene a corrispondere alla struttura di
geometria “opportunamente” scelta, definisce l’orizzonte entro cui s’inscrive il discorso
scientifico, almeno nell’ambito della fisica, nella misura in cui « la forma esiste prima della
materia »367. È bensì fuori dubbio che «il complesso delle nostre sensazioni ci ha provvisto di
una specie di materia», ma essa, prosegue Poincaré, non è che «una stampella per la nostra
infermità», utile solo a «fissare la nostra attenzione sull’idea pura che portavamo prima in
noi»368.
Sebbene, in conclusione, sia il mondo esterno a fornirci, attraverso il complesso delle
nostre sensazioni, di una materia, spetta solo alla mente (ésprit) l’imposizione della pura
forma sulla natura:
365 Ibid., p. 56.366 Rougier (1920, p. 176).367«La forma esiste prima della materia. Le diverse maniere in cui un cubo può essere sovrapposto a se stesso e lediverse maniere in cui le radici di una certa equazione possono essere scambiate costituiscono due gruppiisomorfi. Essi differiscono soltanto per la materia». Poincaré (1898, p. 54). 368 Ibid, p. 56.
107
è il nostro intelletto che fornisce una categoria alla natura. Ma questa categoria non è un letto di Procuste
nel quale costringiamo violentemente la natura, mutilandola secondo quanto esigono i nostri bisogni. Offriamo
alla natura una scelta di letti tra i quali scegliamo il giaciglio che va meglio per la sua taglia.369
369 Ibid. p.58.
108
CONCLUSIONI
L’eredità filosofica che Jules Henri Poincaré affidò al secolo XX nacque all’insegna di un
malinteso che tuttora perdura. Fisici e filosofi che accolsero con freddezza la prospettiva
convenzionalistica nelle scienze fisico-matematiche (ribattezzata talvolta con il termine
deteriore di “comodismo”), riconobbero nondimeno l’opera geniale e innovativa dell’autore
nella pratica scientifica370, creando una discrasia tra il “Poincaré matematico” e il “Poincaré
filosofo”371 e alimentando, di conseguenza, il mito di una personalità in cui albergarono il côté
rivoluzionario e quello conservatore. Per contro, esistono fondati motivi per ritenere che la
contrapposizione sia solo di facciata, dal momento che la riflessione filosofica accompagna
quasi passo a passo l’attività scientifica di Poincaré.
Il dominio dell’epistemologia della geometria, esplorato nel presente lavoro, costituisce
un esempio perspicuo tanto della correlazione tra attività tecnico – pratica e attività teoretica,
quanto dei legami profondi che la riflessione del matematico instaurò con una parte del milieu
filosofico- culturale dell’epoca. Tuttavia, la “singolare ignoranza” della letteratura matematica
che Poincaré mostrò nell’affrontare celebri problemi di carattere “tecnico” (come lo studio
delle funzioni automorfe) appare anche nella misura in cui l’autore si accosta ai problemi
filosofici.
In proposito, il convenzionalismo geometrico offre un caso altrettanto perspicuo.
All’alternativa tra “sintetico a priori”, e “sintetico a posteriori”372 quali due possibili risposte
370 Cfr. AA. VV. (2002, p. 102).371 Secondo Donald Gillies, nel giro di pochi anni avvenne in Poincaré un drastico cambiamento di
prospettiva: “nel 1902 Poincaré aveva sostenuto che i principi della meccanica erano definizioni o convenzioniche non sarebbero mai state invalidate dagli esperimenti. Nel 1904 Poincaré aveva già deciso (…) che lameccanica newtoniana doveva essere modificata, e dal 1905 aveva sviluppato la matematica per la nuovameccanica”. E conclude affermando: “ a stento potremmo trovare un esempio più sorprendente di uno scienziatoe matematico che porta a termine una brillante ricerca in contraddizione con i suoi principi filosofici. Se Poincaréfu un vero conservatore nella sua filosofia della scienza, fu certamente un rivoluizario nella sua attivitàscientifica” (D. Giliies, G. Giorello, La filosofia della scienza nel XX secolo, p. 116). Ma a quanto sostieneGillies si possono opporre almeno due argomenti:
i. l’impossibilità di verificare i principi della meccanica, sostenuta da Poincaré in più luoghi della sua opera, noninvolge, a sua volta, l’impossibilità di abbandonare questi principi. Al contrario, un principio viene abbandonatonon appena “ smetterà di esserci utile, cioè quando non sarà più in grado di farci prevedere, senza ingannarci,fenomeni nuovi.” (Poincaré, op. cit., p.249). Per converso, Poincaré non adduce ragioni per cui i principi dellameccanica newtoniana debbano essere sottratti a questa confutazione empirica “indiretta”. D’altro canto, Poincaré aveva raggiunto la piena coscienza della necessità di una revisione dei principi dellameccanica già prima della fine del XIX secolo, come confermano le opinioni espresse nel 1899 alla Sorbone enel 1900 al Congresso di Fisica di Parigi. (cfr. E. Whittaker, op. Cit., vol. II, p. 30). Cfr. Gillies (1994).372
109
alla domanda intorno alla natura degli assiomi della geometria, Poincaré preferisce una
soluzione inedita: gli assiomi geometrici – seguita il nostro - sono convenzioni. Nondimeno,
il medesimo autore che in alcuni celebri passi de La scienza e l’ipotesi muove
all’epistemologia della geometria kantiana critiche severe, in altre occasioni le si avvicina
molto, sino quasi ad abbracciarne gli assunti di base. Il punto di vista di Poincaré è però
genetico: come discusso nel precedente capitolo, la strutturazione dello spazio,
originariamente amorfo, è condizionato dall’intelletto (ésprit) nella misura in cui esso
«fornisce una categoria alla natura».
Non è fuori luogo ritenere il convenzionalismo una riformulazione dell’epistemologia
della geometria kantiana, benché occorra cautelarsi contro qualsiasi uso del termine
“convenzionalismo” che non tenga in dovuto conto l’insieme di significati che, per così dire,
formano una serie di “stratificazioni” o di “livelli”.
Grazie al lavoro di Jules Vuillemin, tali livelli emergono finalmente alla luce e possono
contribuire ad una migliore comprensione delle implicazioni filosofico-scientifiche del
termine. Se, in prima istanza, possiamo ritenere la teoria convenzionalistica una nuova:
«theory of the associations of ideas»373 capace di costruire, dopo aver definito la nozione di
“spostamento”, la formazione dello spazio quale “costrutto intellettuale”374 a partire dal suo
correlato fenomenico; e in secondo luogo, estendere la teoria convenzionalistica dello spazio
dalla geometrica metrica alla topologia, è possibile accordare al termine “convenzionalismo”
un terzo e ultimo significato.
Contro l’ipotesi di Lobatchevskij per il quale la “verità” delle proposizioni geometriche
può essere controllata per via sperimentale, Poincaré ritiene che la geometria euclidea non
abbia nulla da temere da nuove esperienze. Beninteso, se si scoprisse che per distanze
astronomiche valgono le leggi della geometria ellittica o iperbolica sarebbe più vantaggioso
concludere che la luce non si propaga in linea retta piuttosto che rinunciare agli assiomi
euclidei. Troviamo in tal modo, nelle pagine di Science et hypothèse, una formulazione della
tesi di “Duhem- Quine” («l’unità di misura della significanza empirica è la scienza nella sua
globalità»375) limitata però al dominio della fisica, della quale la geometria costituisce il
linguaggio.
Questa “deriva linguistica” comporta, in sede filosofica, una nuova articolazione del
problema della “verità” in geometria: in tal modo, il “linguaggio” della geometria euclidea
può essere considerato più adatto alla fisica newtoniana di altri linguaggi, ma in nessun caso373 Vuillemin (1972)374 In particolare, in merito a questo punto la filosofia di Poincaré è lontana dal kantismo (cfr. Heinzmann, in Boi,Flament, Salanskis, 1992 ). 375 AA. VV. (2002, p. 270).
110
la descrizione del mondo che facciamo per il suo tramite ha maggiore titolo di verità. In
sostanza, la scelta tra le differenti geometrie è soltanto una questione di adeguatezza e
“comodità”.
La riduzione della geometria a linguaggio, come è stato detto nelle pagine precedenti, si
incardina intorno alla nozione di “gruppo di trasformazioni”, che a sua volta rappresenta la
chiave di volta per comprendere il convenzionalismo poincareano. La matematica
dell'ottocento, del resto, può essere considerata all'insegna dell'emergere di questa nozione
dapprima entro domini limitati (la teoria delle equazioni da un lato e la geometria dall'altro), e
in seguito del suo imporsi come “paradigma” attorno al quale è possibile ordinare i singoli
rami della geometria.
Benché sia una forzutura voler leggere nelle pagine di Poincaré chiari riferimenti alla
nozione di struttura, nondimeno va riconosciuto al matematico francese il merito di aver
individuato proprio nella nozione di “gruppo” e in quella correlata di “invariante”, i principi
fondamentali della matematica:
le principe de la science mathématique est toujours le même. Elle doit étudier des transformations de
natures diverses, et pour cela, elle doit rechercher ce qui demeure constant et inaltéré dans ces transformations.
Partout, elle a pour but l’étude des groupes, et pour moyen la recherche des invariants376.
Tali nozioni contribuiscono, anzitutto, a dire che cosa sia la matematica: “l' arte di dare
lo stesso nome a cose diverse”, precisa Poincaré in una conferenza raccolta in Science et
méthode, dal titolo evocativo di l'avenir des mathématiques. Il buon matematico, secondo
Poincaré, sa collegare “fatti” apparentemente disparati («épars et paraissant étrangers l'un à
l'autre») al fine di mettere ordine entro la complessità del mondo. Anche l'applicazione della
teoria dei gruppi alla geometria persegue il medesimo scopo, rilevando l'identità (o meglio,
l'isomorfismo) di strutture intuitivamente differenti (l'esempio dei modelli euclidei delle
geometrie non euclidee è in proposito chiarificatore). In tal modo, è possibile delineare un'idea
di progresso come ricerca di un' “economia di pensiero” attraverso mutamenti nel linguaggio.
A questo scopo, il simbolismo matematico costituisce uno dei mezzi più potenti nelle
mani dello scienziato: attraverso di esso egli “raggiunge l'anima del fatto” riportando l'ordine
laddove era presente una congerie di dati estranei l'uno all'altro. Né va dimenticato, infine, che
la creazione di un simbolo, pur ammessa la convenzionalità di ogni sistema linguistico, è ben
più che un prodotto libero e arbitrario del pensiero. Essa si inscrive nel “movimento” stesso
376 In Rougier (1920, p. 99).
111
della scienza, sostanziato dall'avvicendarsi delle “forme” che di volta in volta affiorano al
linguaggio.
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