Download - RIVOLUZION A TAVOLEA All'improvviso il cibo à diventato «food» E … · follia». Che cos'hanno i n comune i ri-storanti di oggi con i primi ap-parsi in Europa? «Il servizi o

Transcript
Page 1: RIVOLUZION A TAVOLEA All'improvviso il cibo à diventato «food» E … · follia». Che cos'hanno i n comune i ri-storanti di oggi con i primi ap-parsi in Europa? «Il servizi o

4 Q SABATO 1 0 1OTTOB LaVerità

• RIVOLUZIONE A TAVOLA

All'improvviso il cibo à diventato «food» E invece di mangiare facciamo esperienze

Settanta alcuni facevano con il rock: il cibo è il centro di inte-resse. La cosa interessante, dal punto di vista del marketing, è che i foodies sono molto giova-ni, contrariamente a quello che si pensa. Tantissimi hanno tra i 25 e i 45 anni. Certo, poi ci sono persone di età più avan-zata, ma il fatto che il numero di giovani sia così alto è un se-gnale importante. Anni fa, per dire, al Politecnico realizzam-mo una ricerca sui frigoriferi degli studenti. Alcuni avevano nel frigo le lattine di Coca e nient'altro. Uno addirittura non aveva la corrente e usava il frigo per metterci la bianche-ria. Questi giovani foodies sono diversi. Spesso le aziende si ri-volgono solo a consumatori di età avanzata, che però oggi ci sono e domani non ci sono più. Il giovanefoodie è molto inte-ressante, perché ha abitudini diverse. Non pensa più «devo fare la spesa, andare a casa e

cucinare». Pensa: che cosa mangio, dove mangio?». Ecco una delle tante conse-guenze: in casa si cucina sem-pre meno, si va sempre di più al ristorante. Anche perché i le-gami sociali sono più sottili, i single aumentano, non c'è bi-sogno di cucinare per una fa-miglia rumorosa e affamata. «Negli ultimi cinque-sei anni», conferma Carlo Meo, «il crollo dei consumi nella grande di-stribuzione è drammatico. In compenso aumentano gli in-troiti della somministrazione. Anche Eataly incassa facendo da mangiare e non vendendo i prodotti. Nessuno in Italia mangia più a casa se ha un lavo-ro e si sposta, 0 se studia e lo mantengono i genitori». Questo stile di vita, tuttavia, sembra piuttosto costoso. Per essere un f ood ie - viene dapen-sare - devi aprire il portafogli. Anzi, spalancarlo. «In realtà questo è un modo di ragionare

un po' vecchio», sorride Meo. «Spesso il foodie rinuncia ad altre cose. Se sei appassionato di dischi, compri quelli e non altro. Il foodie è svelto, spende senza farsi fregare. E poi, di-ciamolo, il mondo dei foodies e dei food blogger ha una forte componente di scrocco. Si va agli eventi, si seguono le inau-gurazioni... Un tempo, nel vec-chio mondo, uscire a cena 0 a pranzo era un lusso. Oggi se hai 25 anni e non vai ai concer-ti, non vai al cinema, la musica la scarichi su internet 0 magari ti mantengono i tuoi... Beh, al-lora spendi per il cibo. Magari non necessariamente i risto-ranti stellati, ma ci sono pure gli hamburger premium, i su-shi bar...».

La rivoluzione culinaria ormai è inarrestabile. Ma bisogna fa-re attenzione. Perché II food è un mondo spietato: c'è il ri-schio di esserne divorati.

O RIPRODUZIONE RISERVATA

Per i giovani, cenare fuori è meglio che andare a un concerto A patto che i locali sappiano «raccontare una storia»

PERFEZIONE Esotismo, raffinatezza, gusto e materie prime: il sushi racchiude in sé il concetto «food»

mangia peggio è divenuto la ca-pitale internazionale del food. Tutto è partito da lì, poi sono nati gli chef star, e il cibo legato all'esperienzialità è divenuto la nuova tendenza. Il cibo non è più il prodotto che ci riempie la pancia, ma ciò che fa provare delle emozioni. In Italia il vero boom di questa tendenza si è avuto negli ultimi due 0 tre an-ni, attraverso fenomeni come Eataly, il supermercato gour-met, e come Masterchef». Già, oggi non ci si può limitare ad addentare una bistecca 0 a ingollare una forchettata di spaghetti. Oggi non si mangia soltanto. Si «fa esperienza». «Che si tratti di un cappotto 0 di un telefonino, ne abbiamo armadi e scaffali pieni. Nel mondo del retail non c'è più l'acquisto funzionale. Devi co-struire una esperienza, e co-struirla significa narrarla. Se vuoi aprire un ristorante, devi interpretare le esigenze di consumo. Devi capire che tipo di esperienza vuoi narrare e poi agire di conseguenza. Devi trovare la location adatta, devi avere il design degli interni coerente con l 'esperienza che hai programmato. Dal sito web ai social fino al menu, devi co-municare in modo corretto. Il personale non deve essere sol-tanto cortese, ma in linea con il concetto che hai sviluppato. Bisogna curare tutti questi dettagli, che sono, come dire, scientifici. Oggi tutti si butta-

no nel food pensando che sia semplice. In realtà è estrema-mente complicato». La trasformazione, dicevamo, è stata totale. E ha avuto conse-guenze notevoli su piani diver-si. «Partiamo dalle aziende», dice Meo. «Si sono rese conto che non basta più guardarsi al-lo specchio e dirsi: "Siamo bra-vi, esistiamo da più di 50 anni e facciamo prodotti di qualità". Bisogna che questi prodotti siano resi vendibili: il pedigree non è sufficiente. Prima esi-steva un mercato, nella grande distribuzione, fatto di sconti e promozioni. Poi, è avvenuto un passaggio culturale. Si è passati dal vendere il prezzo a vendere la qualità. Per quanto riguarda le singole persone, la trasformazione più importan-te riguarda senz'altro il diver-timento. Il food è divertimen-to, è ciò di cui si discute. Poi, certo, c'è anche una compo-nente di esagerazione. Carica-ture come quella del somme-lier fatta da Antonio Albanese sono dietro l'angolo». Assieme a [food, sono nati [foo-dies. «Il termine è stato inven-tato una decina di anni fa da un giornalista del britannico Guardian», racconta Meo. «I foodies sono persone che fan-no del cibo uno stile di vita, una cultura. Provano prodotti, vanno nei ristoranti nuovi, leg-gono tutti i blog online per sa-pere quali sono le novità. Fan-no con i l food ciò che negli anni

^FRANCESCOB0RG0N0V0

^ • H h • Come sem-I M P r e > t u t t 0 è ac-l i j l caduto senza

che ce ne ren-y ^ M ^ u dessimo conto.

A un certo pun-to, il cibo ha

smesso di essere semplice-mente cibo. È diventato qual-cos'altro di estremamente più complesso e, in molti casi, più stucchevole. È diventato food. A quel punto, il cambiamento è stato inarrestabile e ha trasci-nato nella slavina ristoranti, pizzerie, supermercati , persi-no le trattorie sotto casa. Sia-mo stati investiti da un proflu-vio di sushi bar, polpetterie, spaghetterie, fusion-etno-sciccherie... L'atto stesso del mangiare è mutato radical-mente. Ma quando, esatta-mente, è avvenuto questo Big Bang dell'universo gastrono-mico? Lo spiega Carlo Meo, tra i maggiori esperti di «marke-ting esperienziale» al mondo, docente al Politecnico di Mila-no, amministratore delegato di M&T e autore di un appro-fondito libro sull'argomento: Food Marketing ( Hoepli). «Quella del food è una tenden-za che nasce nei tardi anni Ot-tanta, specialmente nel mon-do anglosassone», racconta. «Se dobbiamo identificarne il luogo di nascita, dobbiamo pensare a Londra. Il luogo in cui, secondo lo stereotipo, si

LO STORICO CHRISTOPH RIBBAT

«Ci siamo trasformati in una società di camerieri» • Una storia d'Europa attra-verso le cucine e i saloni dei ri-storanti. Un progetto ambizio-so, ma lo scrittore Christoph Ribbat è riuscito nell 'impresa e il risultato è Al ristorante (Marsilio, 210 pagine, euro 16,50), un libro piacevole da leggere e ricco di aneddoti, dettagli, curiosità e riflessioni. Come e quando nascono i ri-storanti in Europa? «La lettura politica sarebbe questa: una nuova élite sociale nasce nella Francia del XVIII secolo e ha bisogno di un luogo

f)er mostrare pubblicamente a sua diversità economica e

culturale. La lettura gourmet, invece, sostiene che è avvenu-to perché la cucina francese divenne più raffinata ed il ri-storante avrebbe rappresenta-to uno step di questo processo. Io tendo a propendere per la prima spiegazione». Leggendo il suo libro sembra di capire che i r is torant i siano nati con una vocazione all'iso-lamento del cliente. «Erano certamente diversi dai

caffè, che erano un'istituzione più aperta. Nei ristoranti le persone avevano il loro tavolo privato e si presumeva che nes-suno si unisse. L'architettura era differente: c'erano nicchie e persino stanze separate. Era di certo uno spazio pubblico, ma rinforzava anche certi con-fini sociali e culturali». Oggi questa tendenza all'iso-lamento è esplosa. Si mangia connessi ai social network, pensando a fotografare i piatti più che alla convivialità. «Da storico, non definirei tutto ciò un fenomeno nuovo. Nei ri-storanti del tardo XVIII secolo c'erano eleganti specchi così che le persone potessero guar-darsi mangiare. 250 anni do-po, gli smartphone hanno la funzione di specchi. Quindi è davvero la stessa cosa. Sono si-curo che la cultura della risto-razione sopravvivrà a questa follia».

Che cos'hanno in comune i ri-s torant i di oggi con i primi ap-parsi in Europa? «Il servizio è ancora importan-

COPERTIN A A/R/storante

te: il cameriere, la cameriera. L'architettura, il design dello spazio del ristorante contano ancora molto. È ancora uno spazio unico che dovrebbe es-sere tutto improntato al cibo. Ma, se lo si guarda con atten-zione, si scopre che il mangia-re non è poi così importante: è la conversazione, la presenza fisica di così tante persone e il

modo in cui il consumo e la fa-tica si incontrano». La globalizzazione che influs-so ha avuto sui r is torant i? «Per 200 anni il r istorante ha giocato un ruolo in ciò che noi chiamiamo globalizzazione. Il termine stesso, "ristorante" si è diffuso in lingue diverse. Gli chef e i camerieri avevano car-riere internazionali, la cucina francese, italiana, cinese si so-no diffuse in tutto il globo. Non direi che la globalizzazione ha cambiato i ristoranti. I risto-ranti hanno guidato il proces-so stesso della globalizzazio-ne. In meglio 0 in peggio...». Spesso, parlando di storia dei r is toranti , dimentichiamo la par te che riguarda il persona-le delle cucine. Quali vicende nasconde?

«Ci sono storie di estrema di-seguaglianza, lavoro durissi-mo, violenza in cucina ecc. La cucina del ristorante, nasco-sta alla nostra vista, può essere un posto davvero orrendo. Allo stesso tempo è anche un posto di creatività, lavoro di gruppo

di successo, un posto dove le persone hanno sviluppato idee nuove sul come la gente dovrebbe mangiare e comuni-care». Oggiicuochi sono divenuti su-pers tar . Come è successo? «C'erano cuochi famosi persi-no nel XIX secolo. Oggi c'è una diversa cultura mediatica. Ci sonosemplicementemoltesu-perstar, in generale. In più, c'è questa mania del cibo nella cultura globale contempora-nea. Per alcune persone il cibo ha rimpiazzato la religione, per altri il cibo sembra più im-portante dei dibattiti politici. E fantastico per gli chef super-star. Non sono sicuro durerà». Pensa che nel fu tu ro ci saran-no sempre più clienti di risto-rant i e sempre meno persone che cucinano a casa? «Sarebbe triste se le persone non cucinassero più. Non sono un esperto della questione. Tuttavia, direi che il tipo di cu-cina casalinga che spesso lo-diamo sentimentalmente ri-chiede un sacco di lavoro duro

e non pagato. Per la maggior parte fatto dalle donne. Se la nostra dipendenza dal risto-rante rende possibile per le persone lavorare meno a casa, non la vedrei necessariamente come una cosa così negativa. Come individuo, tuttavia, odierei il fatto di vedere la cuci-na casalinga sparire. È vera-mente ciò che ci rende esseri umani». Nel libro leiscrive che oggi sia-mo tu t t i camerieri . «All'inizio del XX secolo, i ca-merieri erano figure bizzarre. Le persone non erano abituate a farsi servire. Un cameriere sorride ai suoi clienti. Un ca-meriere lavora in pubblico. Lui 0 lei crea certe emozioni nelle altre persone. Devono essere sembrati strani a una società in cui un sacco di gente lavora-va in fattorie 0 fabbriche. Oggi, molti di noi fanno quello cne solo i camerieri facevano all'e-poca. Sorridere al lavoro, mo-strare competenza emoziona-le e sociale, e farlo persino quando non se ne ha voglia. La-vorare nei servizi e il lavoro emozionale ci hanno trasfor-mati tutti in camerieri».

Fran.Bor.