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Il magazine della Community “AutoCAD, Rhino e SketchUp designers” su Google PlusIl magazine della Community “AutoCAD, Rhino e SketchUp designers” su Google Plus
DAL 2014DAL 2014
SETTEMBRE 2014 Anno I Numero 4 edizione gratuita
/11 Realizzare un PCB per Arduino
Il piacere di realizzare soli soletti
un progetto sviluppato con
Arduino e poi trasportarlo definiti-
vamente su un circuito stampato
/19 Enteles Nodachi 2014
La Nodachi si propone come una
coupé di grandi dimensioni,
rivaleggiando la BMW Serie 6 e la
Mercedes CL,
/55 Il piatto termico
Un elemento di estrema importan-
za per le stampanti 3D che utilizza-
no l’ABS come polimero di stampa.
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La Comm. per progettisti, disegnatori tecnici ed appassionati La prima Community italiana, della piattaforma Google Plus sul CAD e le sue applicazioni, per
data di fondazione e numero di iscritti
BIM
CAD
CAD MEP
FEM
Linguaggi CAD
Modellatori 3D
Modellatori organici
Post produzione
Prog. edile
Altro software
Progettazione
Portfolios
A.N.T. Automotive
Stampa 3D
Concorsi
Curiosità
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NULLA SI OTTIENE SENZA SA-
CRIFICIO E SENZA CORAGGIO.
SE SI FA UNA COSA APERTA-
MENTE, SI PUÒ ANCHE SOFFRI-
RE DI PIÙ, MA ALLA FINE L'A-
ZIONE SARÀ PIÙ EFFICACE.
CHI HA RAGIONE ED È CAPA-
CE DI SOFFRIRE ALLA FINE
VINCE.
GANDHI
www: aforismi.meglio.it
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SOMMARIO
NewsNews 0707
EditorialeEditoriale 0909
ArduinoArduino 1111
ArteArte 1717
AutoformazioneAutoformazione 0606
AutomotiveAutomotive 1919
Basi ed idee per la progettazioneBasi ed idee per la progettazione 2222
Cinema e animazioneCinema e animazione 2727
Computo metrico Computo metrico 2929
Designer storyDesigner story 3030
FEM FEM 3333
IntervisteInterviste 3737
Libri Libri 4949
Musica Musica 5353
New hardware for CADNew hardware for CAD 5555
Product designProduct design 5959
Corso di orientamento BIMCorso di orientamento BIM 6363
Corso di base per SketchUpCorso di base per SketchUp 6767
Corso per geomodellazione SU Corso per geomodellazione SU 6868
Umorismo Umorismo 7070
Giochi Giochi 7171
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NEWS gli ultimi post prima di andare in stampa
“Porta LibreOffice e LeenO insieme su pen drive
sempre con te” recita il sottotitolo della pagina
da cui è possibile scaricare il file zip da cui
estrarre “ il suo contenuto in una cartella sulla
tua chiavetta USB. Avrai LibreOffice* e LeenO
già pronti da utilizzare su qualsiasi postazione
Windows. Per agevolarne l’uso, ho già impostato
la Sicurezza delle macro a Medio, in modo tale
che non debba preoccupartene tu. Que-
sta pacchettizzazione è stata realizza-
ta utilizzando l’ultima versione stabile di Li-
breOffice presa da winPenPack”. S.G
Quando ho appreso la notizia
dell’addio dalla Ferrari di Luca
Cordero di Montezemolo ho avuto prima una stretta al cuore
e poi un senso di sgomento pen-
sando al prestigiosissimo mar-
chio della Ferrari, quello che meglio ci rappresenta nel mon-
do. Il timore è quello di vedere
la banalizzazione di questa stori-
ca firma dell’automobilismo italiano la cui attuale produzione
annuale è di soli 7000 esemplari
veri pezzi unici, curatissimi in
ogni dettaglio e realizzati in uno stabilimento bellissimo, a misu-
ra d’uomo in cui c’è persino un
piccolo boschetto e ove si fon-
dono altissimo artigianato e alta tecnologia produttiva. Cosa
sarebbe del mondo Ferrari se il
nuovo presidente pretendesse
anche solo il doppio dell’attuale
produzione? S.G.
E’ nato il progetto CTS (Comitati
Tecnico Scientifici), voluto forte-
mente dalla sede di Confindustria
di Gorizia e dall’Ufficio Scolasti-
co Regionale (U.S.R.) del Friuli
Venezia-Giulia. All’iniziativa
hanno aderito anche molte impor-
tanti realtà industriali della Pro-
vincia di Gorizia e cinque istituti
di istruzione secondaria superiore
tecnico professionali dell’Isonti-
no. S.G
CADZINE è una rivista gra-
tuita nata in seno alla Commu-
nity di G+ “AutoCAD, Rhino
& SketchUp designers” per la
diffusione gratuita delle tecni-
che CAD. Le inserzioni pub-
blicitarie presenti sono gra-
tuite e sono a discrezione della
redazione. Grafica, impagina-
zione, articoli e pubblicità
Salvio Giglio; Articoli scienti-
fici Marco Garavaglia, G. Ro-
go; Articoli sulla musica N.
Amalfitano; Architettura: A.
Buccella.
La Ribbonsoft ha rilasciato la nuova
versione 3.6.4 di QCAD. Questo CAD 2D multi piattaforma include
ora nuove ed utili features per la
creazione e modifica di disegni tecni-ci professionali come, ad esempio,
design d'interni, disegno meccanico, diagrammi ecc. QCAD può importa-
re ed esportare file DWG e DXF ha numerosi strumenti per creare eclissi,
punti, linee, snapping agli oggetti
ecc. Al programma è possibile ag-giungere anche funzionalità e perso-
nalizzazioni tramite degli add-on di terze parti. Lo sviluppo di QCAD sta
crescendo moltissimo e ha reso più completo e funzionale il software.
Infatti la nuova versione 3.6.4 offre
diverse correzioni di bug che lo ren-dono molto più stabile e ben integra-
to nelle principali distribuzioni Li-nux. La nuova distro include inoltre:
- il supporto per importare file De-
sign Web Format (DWF) da Auto-
CAD ancora, però, in fase di svilup-
po; - il supporto per le SPLINE di grado 1;
- la nuova opzione per mantenere le specifiche di base di un disegno
anche se questo viene modificato; - l'introduzione del supporto per
Teigha 4.0, la famosa piattaforma di
sviluppo della Open Design Alliance; - i nuovi comandi da terminale.
QCAD è disponibile in due versioni: COMMUNITY e PROFESSIONAL che,
ovviamente, include maggiori funzio-nalità. Il software Pro lo possiamo
anche provare per 15 giorni dopo di
che passerà automaticamente alla versione freeware. S.G.
Montezemolo ADDIO… e la Ferrari?
LeenO è anche portabile RILASCIATO QCAD 3.6.4
Essere Open Source
nel cuore!
La prima foglia artificiale che produce ossigeno consentirà lunghi viaggi nello spazio
Nasce il Comitato Tecnico Provinciale per la Navalmeccanica in Friuli.
Julian Melchiorri, laureato alla Royal
College of Art, racconta la sua invenzio-
ne: una foglia biologica sintetica con le
stesse funzionalità di una vera foglia.
Questo permetterebbe viaggi di lunga
durata nello spazio. Melchiorri spiega
che "le piante non crescono in assenza di
gravità, Al momento la NASA sta condu-
cendo ricerche sui diversi modi di pro-
durre ossigeno utili per lunghi viaggi
nello spazio. Questo materiale potrebbe
consentirci di esplorare lo spazio molto
più di quanto possiamo fare ora". Il
progetto è stato chiamato foglia di seta
ed è stato sviluppato, nell’ambito del
corso di Innovation Design Enginee-
ring, del Royal College of Art e della
Tufts University che ha messo a dispo-
sizione il laboratorio della seta. Questo
materiale che vive e respira proprio
come una vera pianta è formato da
cloroplasti fissati su di una matrice fatta
di proteine della seta. Così, come in una
vera pianta, tutto ciò di cui la foglia ha
bisogno per produrre ossigeno è la luce e
una minima quantità d’acqua. "La mia
idea era quella di usare l’efficienza della
natura in un ambiente antropizzato”
spiega lo studente la cui ambizione non
si è esaurita qui. Melchiorri ha infatti
realizzato alcuni sistemi di illuminazione
basati su questo materiale, impiegando la
luce sia per illuminare la casa sia per
produrre ossigeno. Questo innovativo
materiale potrebbe trovare applicazioni
interessanti anche per applicazioni
architettoniche esterne, come facciate e
sistemi di ventilazione. Il fogliame
sintetico diventerebbe un vero filtro
vivente: assorbendo e filtrando l’aria
sporca dall’esterno per poi portarla cosi
pulita nelle abitazioni.
S.G
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EDITORIALE
U no strano mese di agosto
quello appena trascorso. Un
agosto che si farà ricordare
per la pioggia e per il fatto
che un italiano su due è rimasto a casa!
Ci eravamo abituati al caldo torrido e
afoso degli ultimi due decenni e al
“consuma consuma” di condizionatori e
climatizzatori. Quest’anno quasi ci sono
mancati quei bei blackout elettrici dovuti
alla vetustà delle nostre linee elettriche,
in alcuni casi più “anziane” dello scri-
vente, e quei meravigliosi roghi creati
dai soliti mafiosi e speculatori edili. E
che dire del classico Eurostar bloccato in
aperta campagna per almeno un giorno
con i passeggeri intrappolati nelle lamie-
re roventi senza acqua ne viveri? O di
quelle spettacolari code da esodo estivo
sulla Salerno Reggio Calabria? Vero
vanto della nostra rete autostradale…
Questa maledetta estate spartana, senza
sole e scandali, cambi di governo e arre-
sti di celebrità sembra quasi che ci abbia
voluto sbattere in faccia che l’epoca del-
la “finanza creativa”, del “bunga bunga”,
delle “olgettine”, dei “furbetti del quar-
tierino” sia finita! Non per una scelta
politica, per un reale, sano e consapevole
moto di rinnovamento delle coscienze di
governanti e di governati ma perché sia-
mo in qualche modo “intrappolati” in un
nuovo conflitto mondiale 2.0 che si pro-
paga a macchia di leopardo, lentamente e
inesorabilmente. Un dramma che ha por-
tato sulle coste meridionali del nostro
Paese una qualcosa come un milione di
persone e che ha falciato, nel periodo
della tragica traversata della “speranza”,
circa duemila disperati di ogni età! Ah
quelle belle estati passate tutte coca,
scandali e discoteca, che fine avranno
fatto! Vi ricordate quando un noto ram-
pollo di una arcinota famiglia, oggi
“emigrante” anch’essa all’estero, collas-
sò dopo un coca party? Che tempi! Face-
vano notizia i bandana di certi personag-
gi politici che, tra una peripezia giuridica
e l’altra, tra una cenetta “piccante” e un
impegno di Stato, trovavano persino il
tempo per rifarsi il look con un bel tra-
pianto di capelli e una stiratina alle ru-
ghe! In una di quelle infuocatissime
estati, dall’altra parte dell’oceano, un
gruppo di economisti “creativi” dava
libero sfogo alle proprie visioni di un
mondo nuovo e globalizzato con un’uni-
ca moneta e la flotta stellare… mentre un
sinistro scricchiolio, proveniente dai
caveau delle loro banche cominciava a
farsi sentire con una certa forza! Sempre
in quelle estati lontane, con l’abbronza-
tura a palla e il tatuaggione in bella mo-
stra, come novelli divi del calcio, tutti
muscoli e tette rifatte, al suono martel-
lante dell’ultimo brano techno sparato
dallo stabilimento, comodamente debo-
sciati sui nostri immacolati lettini sulle
nostre spiagge assolate, leggevamo spe-
ranzosi, tra uno scandaletto di Corona e
un topless della Rodriguez, che in Medio
Oriente si combatteva e si moriva in no-
me della “democrazia e della libertà”
senza capire che invece tutto ciò avveni-
va per tutelare i nostri interessi e quelli
delle multinazionali del petrolio e del gas
destabilizzando così un’intera regione!
L’Occidente somiglia sempre di più ad
un tossico dipendente, impazzito per la
crisi di astinenza, che si aggira nervosa-
mente con una pistola in mano tra la fol-
la in cerca di soldi per farsi. Non siamo
forse così quando ci creiamo alibi e mo-
tivazioni, a dir poco infondate e bizzarre,
per assecondare la nostra inesauribile
sete di risorse energetiche, la nostra bra-
ma di vendere armi, di seminare guerre a
destra e manca, di cavalcare nel modo
più bieco possibile l’indigenza e l’arre-
tratezza di certi Paesi? In quelle torride
estati passate ci sentivamo californiani
felici e consumavamo più di quel che
avremo potuto fare, orgogliosi del nostro
italian life style, in cui consumare e in-
debitarsi era cool. Era talmente forte
questo sentimento che, pensate, un tabac-
caio di una località dell’Italia centrale,
per pagarsi il Ferrari e mantenere un
certo stile di vita, “arrotondava” rapinan-
do farmacie e benzinai! Come nel
“Canto di Natale” di C. Dickens sembra
che il fantasma delle estati passate ci
ammonisca e ci inviti a guardare con
maggiore attenzione ai problemi concreti
che minano la stabilità della nostra strut-
tura sociale; a dare un calcio, definitiva-
mente, ad un modo di vivere che, spesso
e volentieri, è un vero schiaffo alla mise-
ria; ad essere più vigili, critici e partecipi
alle vicende politiche locali, nazionali e
continentali; ad essere più solidali e pre-
senti con quegli Stati poveri, magari can-
cellando definitivamente il loro debito.
Come sarà la prossima estate dipende,
tutto sommato, da ciascuno di noi,
dall’impegno che ci metteremo non solo
nel conservare i soldi per le vacanze ma
dalla sommatoria di tutti quei piccoli
grandi gesti individuali e sociali che do-
vremmo fare per migliorare le cose… a
partire da “come” e “dove” parcheggia-
mo, per passare a “chi” daremo fiducia e
voti e terminare con la nostra presenza e
partecipazione verso gli ultimi, senza
guardare il colore della pelle ma quello,
comune a tutti, del sangue.
di Salvio Gigl io
E la chiamano estate...
Tuoni fulmini e saette sull’estate
del Bel Paese… Ma cosa è suc-
cesso? Che si tratti dell’ennesi-
mo complotto alieno? Non è che
gli abitanti di Nibiru, invidiosi del-
la nostra grande bellezza, hanno
usato le Chem Tray nei nostri
cieli per farci fare la loro fine?
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ARDUINO
Q ualche tempo fa leggevo in un
post su G+ la domanda di un
caro amico che si chiedeva co-
me rendere in qualche modo
“definitivo” un suo progetto sviluppato
sperimentalmente con il kit Arduino
ONE, riproducendo su di un circuito
stampato tutti i collegamenti volanti che
erano temporaneamente ospitati sulla
tavoletta mille fori breadboard del kit. Il
post mi portò subito indietro negli anni e
mi fece ripensare, quando ero meno di
un adolescente, alle tante ore passate
letteralmente a contemplare, in una oscu-
ra cantinola condominiale Sergio, il fra-
tello maggiore di un mio caro amico
d’infanzia, che frequentava l’ITIS per
periti elettronici e che nei fine settimana
si dilettava a realizzare, pezzo per pezzo,
un amplificatore audio per il suo impian-
to stereo domestico. Noi piccoli ci mette-
vamo, in religioso silenzio, in un angoli-
no e guardavamo, senza capirci molto,
Sergio trafficare con piastre ramate, aci-
do, lucidi, decalcomanie, saldatore e i
componenti elettronici di allora: i transi-
stor! Alla fine l’amplificatore fu comple-
tato e non solo funzionava benissimo ma
era anche molto bello e potente! Ai no-
stri occhi Sergio, all’epoca diciasettenne,
diventò un guru tecnologico una sorta di
dottor Procton di Godrake! La sua pa-
rola per noi era definitiva su qualunque
problema tecnico: dalla catena allentata
della bici al giocatolo che non funziona-
va più! Chiudo il libro dei ricordi con un
sorriso e mi sento più che mai convinto
che Arduino stia riportando nelle nostre
case un qualcosa di molto bello ed utile,
che sembrava sparito con l’avvento dei
videogames e dei computer, specialmen-
te per i ragazzi, perché li impegna per
giorni in cose intelligenti che richiedono
studio e tanta passione. Il post in questio-
ne mi ha anche ricor-
dato la meravigliosa
puntata di Report, in
parte dedicata ad Ar-
duino, della scorsa
primavera e ho consi-
derato che, proprio
questo importante
passaggio in stand alone di un progetto
funzionante su Arduino, poteva anche
essere occasione di guadagno. Infatti, se
pensate che il vostro progetto rappresenti
una significativa innovazione tecnologi-
ca e ritenete che possa interessare a qual-
che azienda o voi stessi volete tentare la
sua commercializzazione, dovete inevita-
bilmente realizzare un circuito stampato
e poi dotarlo della componentistica elet-
tronica indispensabile al suo funziona-
mento. Il prototipo vi servirà sia per il
brevetto sia per le presentazioni presso le
aziende a cui intendete venderlo. Molte
Start-Up sono nate proprio così!
Il rilievo del nostro progetto e lo svi-
luppo di un cliché per la sua stampa
Il nostro primo obiettivo è la realizzazio-
ne di un cliché cioè di una matrice da cui
ricaveremo poi la nostra scheda stampa-
ta. Per fare questo dobbiamo renderci
conto di come tradurre in piste di rame
quei collegamenti volanti che abbiamo
realizzato sulla breadboard di Arduino
cosa che avverrà tramite un piccolo rilie-
vo grafico del nostro progetto. Procuria-
moci a tal proposito un blocco notes A4
quadrettato, matite, gomma, due penne
biro con inchiostri diversi per distinguere
le polarità del circuito e che ci serviranno
per ricalcare in bella copia lo schema
finale, un righello, un metro flessibile da
sarta e passiamo a disegnare su carta il
circuito del nostro esperimento in due
stesure diverse: con e senza componenti
montati. Il primo elaborato ci servirà per
capire la posizione dei componenti elet-
tronici mentre il secondo ci farà capire in
che modo dobbiamo realizzare il circuito
stampato per poterli collegare. Dai due
Prima puntata
di Savio Giglio
R e a l i z z a re un c i rc u i to s ta mp a to p e r ren d e re s tan d - a l on e u n p ro g e t to d i A rd u i no
Il piacere di realizzare soli soletti un pro-
getto sviluppato con Arduino e poi tra-
sportarlo definitivamente su un circuito
stampato che abbiamo realizzato noi!
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ARDUINO
bozzetti ricaviamone un terzo, questa
volta utilizzando il righello e la quadret-
tatura del foglio, ragionando in scala 1:1
e realizzando una bozza quotata della
nostra scheda elettronica prima a matita
e poi ricalcata con le penne di cui vi ac-
cennavo prima. Finito di ricalcare can-
cellate i tratti a matita. Dopo questa ste-
sura sarebbe opportuno riprodurre il tutto
in un elaborato CAD molto preciso affin-
ché la scheda definitiva sia affidabile e
abbia un aspetto professionale. Quale
CAD scegliere? Una domanda che mi
sono fatto anche io e le strade da seguire
sono veramente tantissime e dipendono
dalle vostre doti grafiche al PC. Teorica-
mente va bene qualunque tipo di soft-
ware vettoriale per ottenere il cliché ne-
cessario alla stampa del circuito, persino
il modulo di disegno contenuto in Word!
Se avete familiarità con AutoCAD o con
qualunque altro programma di CAD tra-
dizionale tanto di guadagnato… altri-
menti, se avete un minimo di tempo da
impiegare per imparare un buon software
CAD dedicato proprio all’elettronica, vi
consiglio KiCad che è una suite gratuita
open source di software per il disegno di
schemi elettrici e circuiti stampati della
famiglia CAD EDA (Electronic Design
Automation) sviluppato dal programma-
tore francese Jean-Pierre Charras. È un
software con delle belle funzionalità,
come l’editor di schemi elettrici, il gene-
ratore della distinta base per i componen-
ti nonché lo sbroglio circuitale del PCB.
Quest’ultima funzione mira ad ottimizza-
re il vostro circuito stampato, cercando
di contenere il più possibile i suoi in-
gombri, tramite un attento posizionamen-
to dei diversi componenti e curando il
passaggio delle varie piste (anche di
quelle che passano sotto i componenti)
da cui è composto il vostro progetto.
KiCad ha, tra l’altro, anche un buon vi-
sualizzatore di file Gerber, che è il for-
mato standard utilizzato per la produzio-
ne dei circuiti stampati. Un file Gerber
contiene informazioni per tracciare le
connessioni elettriche, piste, fori vias, la
foratura e la fresatura del circuito stam-
pato. Ricordate in ogni caso una cosa
molto importante e che vale sempre in
campo elettrico ed elettronico1: i compo-
nenti caldi del circuito non vanno mai
addossati uno contro l’altro per evitare
surriscaldamenti eccessivi della scheda
con conseguenze dannose per il suo cor-
retto funzionamento. Prevedete sempre
una protezione a fusibili (per entrambi i
poli) per l’ingresso di alimentazione del
vostro circuito: la spesa di pochi centesi-
mi di un portafusibili e del relativo fusi-
bile, non valgono il costo degli altri com-
ponenti e il tempo speso per realizzare il
vostro progetto! Nella lista componenti
prevedete anche un regolatore lineare di
tensione a 5V.
Dopo la stampa e la prova del circuito
Immaginiamo per un attimo che abbiamo
già realizzato la nostra sospirata scheda
elettronica. La proviamo col beeper del
nostro tester per verificare la continuità
delle piste e dei fori vias e… FUNZIO-
NA! Evviva, ma non è mica finita qui!
Come la mettiamo con i componenti?
Scommetto che li volete prelevare diret-
tamente dalla breadboard di Arduino!
No, per carità! Specialmente se siete alle
prime armi vi consiglio di lasciarli lì fino
al completamento e al collaudo del cir-
cuito così potrete sempre confrontare il
funzionamento di quanto avete prodotto
con quanto avete progettato. Vi suggeri-
sco invece di compilare una bella lista,
ordinata per categorie (resistenze, con-
densatori, diodi, LED, connettori, mor-
setti, portafusibili, ecc.), di tutto il mate-
riale necessario e solo dopo che ve lo
siete procurato e provato TUTTO passe-
rete alla saldatura. Per quanto riguarda il
processore, i chip di eventuali driver ed
eventuali circuiti stampati più piccoli
(come gli shield Arduino) ricorreremo ai
socket (zoccoli). Questo utilissimo com-
ponente è uno speciale tipo di connettore
elettrico con molti piedini e di varie for-
me, che viene fissato sul circuito stampa-
to e che ci permette di installare e disin-
stallare velocemente e manualmente,
senza saldature, un circuito integrato, un
circuito stampato più piccolo, ecc. realiz-
zando così anche il collegamento elettri-
co tra i due componenti. Quando maneg-
giamo componenti elettronici è buona
norma stare attenti alla presenza di even-
tuali cariche elettrostatiche che possiamo
produrre col nostro abbigliamento specie
se è sintetico e indossiamo calzature con
la suola isolante. Diventiamo dei veri e
propri condensatori elettrici e la prova di
ciò e quel sinistro crepitio che possiamo
ascoltare quando la sera ci svestiamo
togliendoci un capo in pile o in fibra
sintetica; se siamo al buio addirittura
possiamo intravedere quelle piccole scin-
tille elettriche che scorrono lungo i nostri
capi di abbigliamento quando li toglia-
mo! Ecco perché è sempre buona norma
indossare capi non sintetici e proteggersi
in queste occasioni con opportuni brac-
cialetti antistatici che vanno collegati ad
————————————————————-
1.Sono dei fori che si praticano nella scheda elettronica non per il collegamento dei componenti ma al solo scopo di mettere in comunicazione le piste di rame della faccia superiore del circuito con quelle della parte
opposta. Dopo la loro realizzazione, questi fori saranno rivestiti galvanicamente dal rame che farà appunto da conduttore tra le piste presenti sulle due facce della scheda.
13
ARDUINO
una buona massa metallica (MAI sul
polo della terra dell’impianto elettrico
domestico o ad elettrodomestici perché è
molto rischioso), come ad esempio un
termosifone, un rubinetto, dei tubi idrau-
lici a vista, ecc. Lo spazio destinato alla
saldatura deve essere pulito e privo di
materiali infiammabili. Proteggete con
un foglio di multistrato o compensato il
tavolo su cui lavorate eviterete liti in
famiglia! Il locale deve essere sufficien-
temente ventilato durante la saldatura.
Dopo aver saldato ordinatamente prima i
vari socket (partendo sempre da quello
più grande) passeremo alla saldatura di
tutti i componenti, verificando attenta-
mente la polarità di questi. Ricordate che
al socket del processore è associato un
clock, e cioè un quarzo da 16MHz, che
collegheremo quanto più vicino possibile
ai pin 9 e 10 del socket del socket del
processore. Tra i piedini del quarzo e la
massa del nostro circuito deve essere
prevista anche l’installazione di una cop-
pia di condensatori da 22pF facendo in
modo che anche il collegamento di que-
sti sia il più corto possibile! Ricordate
che il numero del pin sul processore
NON corrisponde MAI al numero del
pin sulla scheda Arduino UNO, (ad es. il
pin 13 di Arduino corrisponde al pin 19
del processore). Al pin 7 collegherete
l’alimentazione elettrica a 5V in CC
proveniente dal regolatore lineare di
tensione opportunamente protetto. Finita
questa fase verificheremo che sulla sche-
da non ci siano impronte, pulviscolo,
scorie di saldatura, pasta fissante, ecc. e
passeremo al posizionamento prima dei
chip più piccoli e solo alla fine installe-
remo il processore Atmel ATMegaXXX
(la sigla del processore che abbiamo
utilizzato sperimentalmente, solitamente
328) già programmato. Per quest’ultimo
avrete due possibilità di scelta:
- estrarre il processore dal socket di Ar-
duino UNO e montarlo sul socket del
circuito definitivo anche se poi sarete
comunque costretti ad acquistare un se-
condo ATMega munito di bootloader2;
- acquistare un processore vergine senza
bootloader metterlo nel socket di Ardui-
no UNO e programmarlo usando un pro-
grammatore USB da collegare alla sche-
da stessa.
Finalmente passiamo al PCB
PCB è un acronimo inglese proveniente
da printed circuit board che in italiano
significa circuito stampato e il cui acro-
nimo CS è utilizzato nei nostri ambiti
industriali. Le principali funzioni di un
CS sono: il collegamento elettrico e
meccanico dei componenti e degli ac-
cessori in modo da costituire un sistema
nel quale ogni componente trova una
precisa posizione geometrica. Semplifi-
cando al massimo si può affermare che
un CS è un insieme di piste in rame
"disegnate" su un supporto isolante e che
questi collegamenti stampati servono per
connettere tra loro i componenti che
costituiscono il circuito elettronico stes-
so. Ci sono due tipologie di base di CS: a
singola e a doppia faccia; le facce sono
anche definite layer. Questa suddivisio-
ne stabilisce se le piste di rame si tro-
vano su di una sola o su entrambe le
facce della scheda. Esistono tantissime
tecniche per realizzare circuiti stampati,
in questi articoli però seguiremo quella
tradizionale basata su metodi semplici e
ampiamente collaudati da intere genera-
zioni di hobbisti: piste realizzate con la
tecnica sottrattiva e ancoraggio compo-
nenti con foro passante e brasatura.
Questi metodi sono a basso costo e facil-
mente realizzabili in casa nostra. Prima
di imparare a costruire un circuito stam-
pato dobbiamo anzitutto conoscere da
quali parti esso è composto nonché la
loro funzione.
Materiali per le schede
Le schede ramate sono ricavate da grossi
fogli di materiale isolante di circa 1,6
mm di spessore su cui è depositato, gal-
vanicamente, uno o due strati da 35 mi-
cron di rame3 a seconda se si necessiti
di una scheda a singola o a doppia fac-
cia. I materiali isolanti principalmente
impiegati sono due:
- resina fenolica (bachelite o SRBP) che
è un polimero ottenuto per reazione tra
fenolo e formaldeide, più economico ma
facilmente alterabile alle alte temperatu-
re;
- vetronite (FR4 o vetro epossidico) che
è un isolante composito, di colore verde
traslucido, a base di fibre di vetro dispo-
ste ortogonalmente fra loro e impregnate
di resina epossidica, organizzate in una
apposita matrice di fabbricazione. Più
costosa ma ottima per ogni applicazione.
Nei negozi di componenti elettronici
troveremo basette vergini nel classico
formato Eurocard da 100 x160 mm con
uno o due strati di rame. Le schede ver-
gini hanno diversi nomi: schede ramate,
cooper clad board, basette.
Schede a singola faccia
Quando si devono realizzare CS con
pochi componenti si ricorre a delle ba-
sette a singola faccia. In queste esecu-
zioni la faccia destinata ai componenti,
è definita “lato componenti” o “top”
mentre quella destinata alle saldature è
denominata “lato rame” o “bottom”. La
componentistica elettronica, in questi
casi, è vincolata alla scheda attraverso
dei fori passanti la scheda da parte a
parte, di adeguato diametro, ospitanti
permanentemente i piedini dei vari ele-
menti opportunamente saldati. Per desi-
gnare questo metodo di applicazione dei
componenti elettronici alle schede gli
inglesi hanno coniato l’acronimo THT
da Through Hole Technology cioè tec-
nologia a foro passante. In caso di cir-
cuiti abbastanza complessi ma non al
punto tale da richiedere l’adozione di
una scheda a doppia faccia si può ricor-
rere all’espediente dei jumper di rame
(ponticelli) per scavalcare le piste e con-
giungere così elettricamente tutti i com-
ponenti.
Schede a doppia faccia
Quando un circuito stampato ospita nu-
merosi componenti può essere vantag-
gioso ricorrere ad una scheda ramata a
due facce o dual layer. Lo sbroglio del
CS con queste schede risulta molto più
semplice poiché ci permette di stabilire il
lato su cui è più conveniente far passare i
vari segnali generati dai componenti. In
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2. Nei processori ATMega esiste un settore riservato ai software “residenti” tra cui c’è Bootloader. Quest’ultimo ha il compito di caricare all’avvio di Arduino un programma scritto da noi per un progetto nella giusta
area del processore o di lanciarlo sempre nella giusta collocazione tramite sketch. 3. Sul mercato, per applicazioni solitamente industriali, è possibile reperire anche schede con uno spessore di rame minore o maggiore ai 35 micron. Ad esempio, per circuiti con correnti molto elevate si ricorre a schede con rivestimenti di rame da 70 micron di spessore.
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ARDUINO
Elementi essenziali di un CS ad UNA e DUE facce
1 e 2 Un CS ad una faccia ed i relativi particolari della scheda. 3. Un CS a doppia faccia
4. Dettaglio di foro VIAS sezionato con rivestimento in rame. 5. Un foro VIAS realizzato con un apposito rivetto metallico. 6. Foro VIAS vuoto e assemblato con uno spezzone di cavetto unipolare rigido di rame
queste realizzazioni, la foratura della
scheda è una fase molto importante della
progettazione del circuito poiché bisogna
assolutamente evitare sia pericolose inter-
ferenze tra i circuiti presenti sulle due
facce, sia corto circuiti con forature errate.
Oltre ai fori di fissaggio su queste schede
è possibile riscontrare dei fori di vias;
somiglianti ad un rivetto metallico, dal
rivestimento ottenuto per deposito galva-
nico di rame, essi servono per la connes-
sione elettrica delle piste presenti tra le
due facce. Non sono di facile realizzazio-
ne a livello hobbistico per questo vengono
sostituiti da un semplice foro passante, tra
le due piste che si intende collegare, in cui
verrà incastrato qualche millimetro di
conduttore unipolare di rame rigido
(come ad esempio quello che fa da anima
nei cavi per antenne TV) successivamen-
te saldato sulle relative piazzole. Vedi
figura (). In commercio esistono anche
opportuni microrivetti per realizzare que-
sto tipo di connessioni. Nelle prossime
puntate spiegheremo ancora più dettaglia-
tamente la realizzazione delle schede, nel
frattempo esercitatevi con Arduino e
KiCad!
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ARTE
S pesso dimentichiamo di vivere
nel più grande museo a cielo
aperto del Mondo. Noi Italiani
conosciamo solo il nome di
qualche grande maestro del passato e
spesso sono i turisti a sorprenderci: mi è
personalmente accaduto con amici tede-
schi che conoscevano opere, musei e
monumenti di Napoli di cui noi ignora-
vamo l’esistenza! Eppure anche la storia
dell’arte italiana è avvincente e ricca di
personaggi che definire eclettici è poco e
tra i tanti famosi ancor meno conosciamo
i minori! Parlo per me e faccio riferimen-
to ai due fratelli Antonio e Piero del
Pollaiolo il cui vero cognome è Benci.
Romani, vissuti nel 1400 sono stati arti-
sti a tutto tondo e al maggiore dei due
sono attribuite tante opere pittoriche,
sculture e anche pregiatissimi pezzi di
fine oreficeria. In realtà su questi due
personaggi la confusione è tanta e le
differenze veramente poche e sin dai
tempi del Vasari, il primo a creare con-
fusione, come giustamente afferma il
noto storico contemporaneo dell’arte
Aldo Galli, le attribuzioni errate hanno
padroneggiato su manuali ed enciclope-
die. Una bella occasione per ammirare
quattro capolavori pittorici dei due fratel-
li romani la offre il Museo Poldi Pezzoli
a Milano dal 7 novembre 2014 al 16
febbraio 2015 esponendo quattro ritratti
di dame. Un modo per confrontare l’ope-
rato artistico dei Pollaiolo nell’ambito
della loro bottega fiorentina della secon-
da metà del Quattrocento italiano. Uno
sforzo enorme per questo museo che,
grazie anche al sostegno della Fondazio-
ne Bracco, propone tutti e quattro gli
straordinari “Ritratti femminili” anno-
verati tra i capolavori della ritrattistica
fiorentina dell’epoca. Essi sono conser-
vati alla Gemäldegalerie di Berlino, al
Metropolitan Museum di New York, a
Firenze nella Galleria degli Uffizi, oltre
che presso questo museo milanese del
quale la Dama costituisce una delle ope-
re-simbolo più celebrate.
Il maggiore dei due fratelli, Antonio, era
anche il più talentuoso e, infatti, il museo
presenterà anche una serie di dipinti,
sculture, disegni, incisioni, oreficerie e
ricami. Essi daranno pienamente conto
sia del suo talento multiforme nonché
dell’estensione dell’attività della sua
bottega, che rappresenta sia una delle
tantissime paroles appartenenti a quelle
Corporazioni di Arti e Mestieri italiane
che si perdono in tempi remoti, sia una
straordinaria espressione della capacità
tecnica e dell’inventiva raggiunte dall’al-
to artigianato fiorentino nel pieno Rina-
scimento. Le attività artistiche di Anto-
nio e Piero palesano la sostanziale indif-
ferenza dell'ambiente artistico fiorentino
verso le influenze provenienti dall'ester-
no. I Pollaiolo, infatti, rielaborano, se-
condo i propri gusti personali e i loro
ideali il linguaggio del Masaccio e del
Brunelleschi. C’è qualcosa, se si sa leg-
gere tra le righe delle loro opere, che
caratterizza maggiormente le opere di
Antonio mettendole in perfetto contrasto
con lo stile del fratello minore Piero.
Quest’ultimo tendeva ad una sua rico-
struzione assolutistica e simbolica del
mondo, quasi nell’intento di offrire cer-
tezze su solidi valori immutabili, celando
quanto di mutevole possa esistere nella
natura. Viceversa Antonio tese sempre
ad esaltare questa mutevolezza, il diveni-
re incessante di ogni cosa rappresentato
attraverso la riscoperta del dinamismo
dell'arte classica. Egli comprese, infatti,
che gli antichi non si erano semplice-
mente limitati a raffigurare corpi ben
proporzionati, solidi e plastici, ma anche
a rendere il senso di movimento delle
loro azioni. All’iniziativa artistica del
Poldi Pezzoli parteciperà anche il Co-
mune di Milano e altre istituzioni citta-
dine realizzando dei percorsi tematici
comuni. Si sono resi partners del museo
per questo progetto, istituzioni prestigio-
se come l’Opificio delle Pietre Dure di
Firenze, il Museo del Louvre di Parigi,
la National Gallery di Londra e il Mu-
seo Nazionale del Bargello di Firenze.
di Salvio Gigl io
Le quattro dame dei fratelli Pollaiolo
1. Piero del Pollaiolo (?), Ritratto fem-
minile, tavola, 45,5x32,7 cm, Milano,
Museo Poldi Pezzoli
2. Piero del Pollaiolo (?), Ritratto fem-
minile
tavola, 45,5x32,7 cm,
Berlino, Gemäldegalerie
3. Antonio del Pollaiolo, Ritratto fem-
minile, tempera su tavola, 48,9x35,2 cm
New York, The Metropolitan Museum of
Art
4. Antonio del Pollaiolo, Ritratto fem-
minile, tavola, 55x34 cm
Firenze, Galleria degli Uffizi
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AUTOMOTIVE
S alve a tutti! Voglio presentarvi
l'ultimo modello costruito, la
Enteles Nodachi 2014.
CATEGORIA
Studiata nei minimi dettagli per quanto
riguarda la disposizione di spazi interni
ed esterni, la Nodachi si propone con
4,83 metri di lunghezza, meno lunga
rispetto alla CL, ma capace di mantenere
comunque uno spazio rispettabilissimo
all'interno. Con l'impostazione tre porte e
una coda leggermente prolungata, po-
trebbe essere definita una fastback, ma
l'impostazione che la carrozzeria assume
la lascia rientrare nel segmento delle
grandi coupé, note per le alte prestazioni.
UNA NODACHI PER TUTTI
La Nodachi però, diversamente dalle
avversarie, cerca di proporsi in maniera
più completa possibile, offrendo anche
allestimenti a basso costo per favorire
l'apprezzamento di un maggiore pubbli-
co, puntando soprattutto sui primati che
quest'autovettura conquista grazie alle
accurate scelte svolte in ambito tecnico.
Non tradisce gli appassionati, perché vi
sono allestimenti molto particolari e che
richiedono grande manutenzione, a fron-
te però di prestazioni superbe. Un'auto
quindi per tutti.
PERCHÉ 2014?
Perché si chiama
2014? Che bisogno
c'è di scriverlo? Per-
ché la Nodachi in
questione è una ver-
sione moderna di una
gran coupé realizzata negli anni novanta,
la Shogun Nodachi, svelata sulla Ware-
house con l'allestimento superbo Rising
Sun. La Nodachi ha immediatamente
raccolto a sé una cerchia di appassionati
e c'è stato chi addirittura si è divertito a
farne versioni da tuning e chi invece,
privatamente, mi ha chiesto di rifare il
modello. E chi sono io per contraddire
un fan di una mia auto?
ESTETICA
Alla base del successo della Nodachi ci
sta l'estetica. E vediamo perché.
FASCIA FRONTALE
Dal modello degli anni novanta la Noda-
chi 2014 ha mantenuto il frontale incli-
nato, mentre i fanali sono stati allargati e
dominano con uno sguardo imponente,
aggressivo, la scena della strada. Il pa-
raurti utilizza rifiniture metallizzate e
possiede una fascia inferiore largamente
ribassata.
DETTAGLI ANTERIORI
La scritta Nodachi e lo stemma della
Enteles sono incastrati in mezzo ai fanali
e spiccano molto, quasi a indicare la fir-
ma di quest'autovettura. Sul cofano vi
sono dei pannelli trasparenti che, simil-
mente al Theatre View delle autovetture,
respingono i raggi solari impedendo il
surriscaldamento quindi delle parti illu-
minate.
FIANCATA
La Nodachi al fianco è carica di tagli, di
rifiniture, per saper esprimere come face-
va l'antenata velocità anche da ferma. La
portiera è incastonata in un insieme di
elementi perfettamente coniugati tra loro,
come il posteriore che possiede una
bombatura notevole o la fascia inferiore,
che mette in risalto l'intera solidità della
carrozzeria.
POSTERIORE La prima cosa che spicca del posteriore è
la soluzione scelta da Enteles: tutti i det-
tagli riuniti in un unico scomparto. I fa-
nali, le luci di posizione unite alla stri-
scia nera (la cui valenza è solo estetica),
la targa, le varie scritte, sono tutte riunite
di Lorenzo Caddeo
ENTELES Nodachi 2014
La Nodachi si propone come una coupé di grandi
dimensioni, rivaleggiando la BMW Serie 6 e la
Mercedes CL, ma adottando delle soluzioni ben
lontane dall'ostentato lusso delle avversarie tede-
sche.
20
AUTOMOTIVE
in uno spazio ricavato dal posteriore,
quasi "scavato". Il paraurti posteriore ha
altre luci di posizione, che accentuano la
sportività e risultano utili in strada, so-
prattutto in orari notturni, e una placca
nero opaco contenente l'uscita delle mar-
mitte. Il diffusore dell'auto (la placca
nera in questione) utilizza delle barre che
migliorano largamente il flusso dell'aria,
utilizzando così l'effetto Venturi.
INTERNO
L'interno è stato com-
pletamente disegnato da
me. Nonostante la strut-
tura apparentemente
elegante, la Nodachi
utilizza uno stile mini-
malista, cercando di
aumentare la semplicità
d'utilizzo riunendo varie
funzioni nel minor nu-
mero di componenti
possibile. Per questo il
cruscotto della Nodachi
fa riferimento all'elettronica, con il tachi-
metro capace di indicare la marcia inse-
rita e dire il momento ottimale per cam-
biare marcia, a seconda delle imposta-
zioni scelte dal computer (risparmiare
benzina, guida sportiva o guida pulita).
Il contagiri è invece una barra avente
diversi colori che virano dal verde al
rosso, per indicare il momento in cui è
consigliato cambiare. Il numero di giri
appare sulla fascia verde del contagiri
stesso, per far sì che il movimento
dell'occhio sia minore e la concentrazio-
ne in guida non cali per alcun motivo.
DAI DUE POSTI IN POI
La Nodachi qui mostrata ha l'imposta-
zione secca, sobria, con solo due posti,
ma il tetto della Nodachi, nonostante sia
abbastanza basso, concede l'esistenza di
un divanetto posteriore ribaltabile che
sacrifica una minima porzione di spazio
della grande vettura.
INSOLITA E COMUNE
La forma della Nodachi è piuttosto co-
mune a livello mondiale, con un'impo-
stazione piantata a terra, un corpo vettu-
ra grande e che esprime velocità e robu-
stezza allo stesso tempo. Ed è insolita
però per le soluzioni estetiche assunte,
come la bombatura posteriore, notevole
e risalente agli anni novanta, ma comun-
que ancora in voga, o lo sguardo magne-
tico che il frontale riesce a trasmettere.
DISTRIBUZIONE PESI
È stata rivolta particolare attenzione alla
distribuzione dello spazio e dei pesi su
quest'autovettura. Il motore montato in
posizione FM (Front-Mid), ossia tra
l'asse delle ruote e l'autista, incentra il
peso e riunisce quindi il peso dell'auto-
vettura sull'interasse, migliorando le
prestazioni e il controllo della macchina
stessa. Il rapporto di pesi è portato quin-
di a 55%-45%.
SPAZIO INTERNO
L'abitacolo è confortevole, comodo e
dello spazio interno è difficile lamentar-
sene. Il bagagliaio posteriore utilizza il
maggiore spazio possibile, grazie alla
soluzione del paraurti ribassato in modo
da poter usufruire di ancora più spazio. Il
portellone col vetro incluso garantisce
all'autista di poter mettere con estrema
comodità qualsiasi oggetto si voglia.
CONSUMI E PESO
Si sa, il 70% dei consumi di un'auto è
dato dalla massa che possiede e dal bi-
lanciamento dei pesi che questa ha.
L'impostazione dei pesi permette, unita-
mente al tetto costruito in lega un peso
complessivo dell'autovettura di soli
1400kg. La versione Rising Sun utilizza
parti del tetto in fibra di carbonio, così
come alcuni pannelli della carrozzeria
con un peso a 1340kg.
MOTORI E PRESTAZIONI
Una delle motorizzazioni importate dalla
precedente versione è il 2.2L L4
DOHC. Quattro cilindri, sedici valvole,
montato longitudinalmente, doppio albe-
ro a camme in una cilindrata di tutto
rispetto, collocato sempre prima dell'asse
delle ruote.
PIACERE, SONO DOC!
No, non è un errore: non ho dimenticato
la H! IL DOHC deriva da quello usato
nella Nodachi, con delle modifiche, tut-
tavia, molto pesanti che l'hanno cambia-
to, senza stravolgere il progetto origina-
le! L'originale era infatti aspirato, come
tutti i motori dell'epoca. Il DOHC in
questione invece utilizza un intercooler
e un turbo con filtro dell'aria apposita-
mente costruito su misura e con materia-
li scelti apposta per ottimizzare la fase di
aspirazione.
LA TRAZIONE VALE
PER TUTTI!
Come la legge, anche la
trazione è uguale per
tutti... i motori scelti. Il
motore è montato fron-
talmente, mentre la tra-
zione è posteriore e si fa
uso quindi di un albero
di trasmissione la cui
funzione è trasferire la trazione e la po-
tenza erogata dal motore alle ruote po-
steriori.
I NUMERI DEL DOHC
Il DOHC utilizzato ha quattro cilindri,
sedici valvole e tuttavia è disponibile
con diverse cilindrate: si parte dal 1.2L
che eroga 90cv, per passare poi al 1.6L
con 145 cv e l'appetitoso 2.2L Turbo,
disponibile benzina o diesel, cambio
automatico o manuale, mentre il numero
di cavalli resta lo stesso: 220CV a 6000
giri al minuto (rpm).
IL NUOVO MOTORE DELLA ENTELES
La Nodachi è comunque una rivoluzio-
naria, e non si ferma a queste motorizza-
zioni interessanti ma comunque classi-
che. Ed è così il primissimo modello a
montare il rivoluzionario OHV (valvole
in testa) V6 Tsubasa, progettato da me.
Rispetto al V8 usato nella Nodachi nor-
damericana degli anni novanta, questo
V6 è più grande (3.2L).
I NUMERI DEL V6 TSUBASA
Il nome Tsubasa in giapponese significa
ALI, e il V6 ti da libertà. Per migliorare
il regime è stato adottato, anzitutto, un
doppio albero a camme integrato poi,
negli allestimenti più onerosi, da un
doppio turbo. Il V6 Tsubasa è superiore
al DOHC, dal momento che richiede
una manutenzione minima nonostante
l’elevata potenza erogata, a fronte solo
di una cilindrata maggiore.
21
AUTOMOTIVE
SPIEGARE LE ALI
Il 3.2L V6, disponibile anche con cilin-
drata ridotta (2.4L), ha una buona rispo-
sta e l’utente che sceglie questa motoriz-
zazione ha la sensazione di essere co-
stantemente in movimento anche da fer-
mo col motore al minimo. Il 3.2L V6 è
una consacrazione alla guida sportiva,
con 345 cavalli erogati a 7600rpm.
Il .24L, fratello minore, eroga "solo" 280
cavalli a 5500 rpm.
PER I VERI SPORTIVI PERÒ…
E arriviamo al motore che farà discutere.
Perché è una scelta particolare, perché
possiede vantaggi e svantaggi esagerati
da entrambe le parti.
WANKEL KINESIS
Sì, il motore più appetitoso in assoluto
della Nodachi è un quattro rotori
Wankel Kinesis, con delle migliorie
apportate sia alla lega con cui è costruito
il rotore, sia all'efficienza dello statore
stesso. La dimensione del motore è di
appena 3.1L, una cilindrata contenuta.
Grazie ai diversi accorgimenti presentati
nella scelta delle leghe per i vari compo-
nenti del Wankel, la Nodachi inaugura
così uno dei motori più bilanciati e po-
tenti. I cavalli erogati salgono così a 500
a 9000rpm, un numero di giri alto per
essere un Wankel: per questo dobbiamo
però ringraziare l'adozione di quattro
rotori.
CONSUMI LIMITATI
Il peso della Nodachi con il Wankel si
riduce e le vibrazioni inoltre vengono
pressoché annullate, dal momento che le
parti in movimento sono poche. L'ado-
zione di un sistema refrigerante inoltre fa
sì che le escursioni termiche dei compo-
nenti del motore (il rotore in primis) sia-
no più morbide possibili.
SVANTAGGI RIDOTTI
L'unico svantaggio del Wankel resta
l'emissione di CO2, mentre l'emissione
di ossidi di azoto è ulteriormente limita-
ta. Nonostante ciò, è stato dimostrato che
è inutile utilizzare carburante con additi-
vi su un Wankel, visto che è refrattario
alla detonazione. Al giorno d'oggi le
benzine usano additivi per aumentare il
N.O. ma è stato dimostrato che un
Wankel con additivi pari a 100 o con
additivi pari a 50 eroga sempre la stessa
potenza.
ACCORGIMENTI
Dire immediatamente che il Wankel è
più inquinante degli altri motori è una
frase fatta. Il Wankel della NSU Ro80 lo
era sicuramente. Il Wankel Kinesis della
Nodachi, largamente meno. La marmitta
catalitica adottata infatti brucia gli idro-
carburi incombusti, mentre il Wankel,
grazie alle temperature di combustione
largamente più basse, riduce l'emissione
di ossidi di azoto, estremamente inqui-
nanti.
SORPRESA IDROGENATA
Ho trovato un progetto sulla Warehouse
di un ragazzo che ha creato un Wankel
bi-rotore a idrogeno. E ho deciso di
sponsorizzarlo sulla Nodachi che sarà
presto disponibile col nome "Tipo Idro-
geno".
Conclusione
La Nodachi è frutto di un progetto su cui
ho speso molto tempo e che ha richiesto
un enorme impegno. Anche l’allestimen-
to motoristico è stato minuziosamente
curato, caso per caso. Analogamente è
stata considerata e trattata la distribuzio-
ne dello spazio. Spero che il progetto vi
sia piaciuto! Fatemi sapere cosa ne pen-
sate!
La Nodachi non è un'auto che guarda al
passato. La Nodachi è come il dio roma-
no Giano: guarda al passato e al futuro,
cercando di accontentare entrambe le
parti. =_0
22
BASI ED IDEE PER LA PROGETTAZIONE
P arto subito con delle SCUSE per
gli amici di Imola per l’errata
immagine che figurava nell’a-
pertura del servizio sulla Centra-
le HERA di Imola… BESTIALISSIMO ME,
si trattava di una foto di Bologna! Consi-
derate, a mia discolpa, le circostanze atte-
nuanti di lavorare “in solitaria” con un
caldo torrido in una stanza poco ventilata
e con tutta la stanchezza di un anno sulle
spalle! Come vedete ho messo una bella
foto di piazza Matteotti che rappresenta
magnificamente il centro di Imola. Fatte
le scuse dovutissime, passiamo alla
“ciccia” che questa volta ci porta a cono-
scere meglio i generatori elettrici azionati
dalle turbine a gas, proprio come nella
nuova centrale elettrica imolese della He-
ra. Questa centrale appartiene, per defini-
zione, alla categoria delle centrali ter-
moelettriche a ciclo combinato grazie
alla presenza dei due gruppi turbogas
della Turbomach, che ha allestito le unità
di generazione elettrica con turbine Rolls-
Royce (mod. RB 211-T) opportunamente
collegate a degli alternatori da 15kV,
30MWe prodotti dalla Brush. Questi
gruppi turbogas sono dei propulsori ascri-
vibili alla famiglia dei motori a combu-
stione interna. Essi sono impiegati per
trasformare l'energia chimica del metano
in energia meccanica che è resa disponibi-
le, sotto forma di potenza, al suo albero
motore e può essere impiegata in svariati
campi come la locomozione e l’aziona-
mento di: aerei, treni, navi, generatori
elettrici, veicoli industriali di grandi di-
mensioni, veicoli militari, autoveicoli,
ecc. Passiamo adesso a distinguere gli
elementi basilari costituenti un gruppo
turbogas:
- il compressore radiale, calettato sullo
stesso albero della turbina;
- la camera di combustione situata tra il
compressore radiale e la turbina;
- la turbina.
Ogni insieme formato da compressore,
turbina e albero costituisce
uno spool. Un gruppo turbo-
gas funziona, per sommi
capi, in questo modo: il
compressore aspira l'aria
esterna, la comprime e la
immette nella camera di
combustione ove viene miscelata col
combustibile. L’ossidazione di quest’ulti-
mo determina un aumento dell'entalpia
della corrente gassosa che continua la sua
corsa passando attraverso gli stadi della
turbina e cedendogli energia generata
dalla sua espansione. Il ciclo di Brayton
descrive il funzionamento ideale delle
turbine a gas in cui l’aria è compressa
isoentropicamente, la combustione avvie-
ne a pressione costante e l’espansione
nella turbina, generata anch’essa isoentro-
picamente, giunge fino alla pressione di
aspirazione. Nel ciclo reale accade invece
che:
- la compressione non è isoentropica, poi-
ché è necessario un maggiore lavoro di
compressione per ottenere la stessa pres-
sione di uscita;
- la stessa espansione non è isoentropica
dal momento che c’è minore lavoro di
espansione disponibile a parità di pressio-
ne di uscita;
- le perdite di carico in camera di combu-
stione riducono notevolmente il salto di
pressione disponibile per l’espansione e
quindi anche il lavoro utile. In ogni caso,
valgono le considerazioni fatte per qual-
siasi altra macchina termica, in cui un'alta
temperatura di combustione produce un
alto rendimento, come dimostrato dal
ciclo ideale di Carnot. Ricorderete infatti
che, in esso, si dimostra che il rendimento
sarà elevato quanto maggiore sarà la dif-
ferenza tra le temperature massima e mi-
nima del ciclo stesso. Il limite è legato
alla tecnologia dei materiali che costitui-
scono la macchina cioè alla loro capacità
di resistere sia al creep, lo scorrimento
di Salvio Gigl io
La cogenerazione con i gruppi turbogas
Non a caso gli impianti che sfruttano ottimizzandolo
il recupero di calore sono definiti impianti combinati,
dal momento che abbinano il ciclo Brayton-Joule del
turbogas con quello Rankine della turbina a vapore.
Figura 1. Imola (BO) piazza Matteotti
23
BASI ED IDEE PER LA PROGETTAZIONE
viscoso della corrente gassosa ad alta tem-
peratura, sia alle elevatissime sollecitazio-
ni meccaniche a cui sono sottoposte. Og-
gi, di conseguenza la ricerca è tutta con-
centrata verso lo sviluppo di nuove tecni-
che per migliorare il raffreddamento dei
componenti dei gruppi turbogas come, ad
esempio, le palette della turbina che sono
tra quelli più sollecitati, consentendogli
così di resistere in regime continuo a tem-
perature superiori ai 1300 °C. Nel caso
delle nostre turbine di Imola viene anche
recuperato il calore allo scarico, altrimenti
disperso inutilmente nell’ambiente, attra-
verso dei rigeneratori che sono degli
scambiatori di calore in grado di trasferire
il calore dei gas di scarico all’aria com-
pressa, prima della combustione. Nella
configurazione del ciclo combinato della
centrale, la caldaia a recupero trasferisce
il calore ad un sistema che alimenta poi
una turbina a vapore. Inoltre, trattandosi
di un sistema di cogenerazione, il calore
recuperato serve per produrre anche l’ac-
qua calda. Non a caso gli impianti che
sfruttano, ottimizzandolo, questo recupero
di calore sono definiti impianti combinati,
dal momento che abbinano il ciclo Bray-
ton-Joule del turbogas con quello Rankine
della turbina a vapore.
Nascita delle applicazioni industriali dei
gruppi turbogas
L’idea di un progetto per uso industriale
di una turbina a gas cominciò a crescere
subito dopo la seconda guerra mondiale e
coinvolse numerose case costruttrici, sia
europee che statunitensi ed asiatiche, già
produttrici di turbine a vapore per applica-
zioni industriali: Brown Boveri, Sulzer,
General Electric, Westinghouse, Mitsubi-
shi, IHI, ecc… I progettisti dell’epoca,
che avevano lavorato negli ultimi anni
prevalentemente per l’industria bellica, si
resero subito conto che la turbina a gas
per uso industriale, collocata ora in im-
pianti fissi, doveva avere requisiti molto
diversi da quelli per le applicazioni per
uso militare. Anzitutto, dato l’assetto eco-
nomico dell’immediato dopoguerra, ri-
spetto ad un’applicazione militare una
macchina industriale doveva costare di
meno e durare molto molto di più! Il pri-
mo problema fu risolto riducendo le di-
mensioni frontali della macchina, anche
se questo avrebbe comportato, tuttavia,
una riduzione della portata di fluido evol-
vente. Per compensare questa perdita si
decise così di ottimizzare il lavoro utile
per unità di massa di fluido (Lur = Δhur)
diminuendo i valori del rapporto di com-
pressione. Dopo le primissime esperienze,
la nuova tecnologia cominciò a crescere e
nel corso degli anni i progettisti si resero
conto che, anche se si operava con rappor-
ti di compressione non molto elevati, si
realizzavano comunque delle temperature
allo scarico più alte. Da qui, il passo verso
la nascita degli impianti combinati fu dav-
vero molto breve! Infatti, l’elevata tempe-
ratura dei gas di scarico, aspetto inizial-
mente deleterio dei gruppi turbogas indu-
striali, diventava ora un vero e proprio
loro punto di forza, poiché garantiva otti-
me prestazioni in combinazione con turbi-
ne a vapore. La durata e l’affidabilità del-
le turbine industriali furono risolte sempli-
cemente aumentando il dimensionamento
degli apparati rispetto alle applicazioni
militari ed aeronautiche. In definitiva, una
macchina industriale è molto meno solle-
citata termicamente e meccanicamente
perché deve ruotare molto di meno e,
inoltre, ha maggiore spazio a disposizione
rispetto ad altri campi di applicazione.
Oggi come allora, i progettisti che si oc-
cupano di questo tipo di generatori, hanno
una maggiore libertà d’azione per quanto
riguarda alcuni parametri progettuali cor-
relati al posizionamento e alla dimensione
della camera di combustione. Questo
componente dell’impianto, infatti, spesso
è unico per ogni applicazione e può essere
disposto anche verticalmente. In virtù
delle loro particolari caratteristiche, le
camere di combustione per apparati indu-
striali possono impiegare anche combusti-
bili di minor pregio rispetto a quelli utiliz-
zati nei turbogas aeronautici. Per miglio-
rare poi, sensibilmente, il livello del ren-
dimento dell’apparato, considerando i
valori di temperatura che lo caratterizza-
no, si ricorse alla tecnica della rigenera-
zione dei gas di scarico, oggi connotazio-
ne fondamentale di questi gruppi. Da po-
chi anni, vista la grande affidabilità rag-
giunta dalle turbine a gas aeronautiche,
alcuni costruttori hanno allestito speciali
gruppi turbogas industriali modificando
impianti aeronautici in cui l’ugello di sca-
rico non è presente ed è sostituito da
un’ulteriore turbina di potenza che ha lo
scopo di azionare l’utilizzatore: questo è
Figura 2. Spaccato di un modello di gruppo turbogas di piccole dimensioni
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25
BASI ED IDEE PER LA PROGETTAZIONE
proprio il caso dei gruppi Turbomach
installati dalla HERA ad Imola. Questi
apparati innovativi trovano impiego in
tutti quei casi in cui il valore del rendi-
mento dell’impianto assume un peso rile-
vante. Le dimensioni delle turbine indu-
striali partono da impianti mobili traspor-
tabili su camion sino ad apparati di eleva-
ta complessità, del peso di oltre 400 ton-
nellate installati in ambito navale ed indu-
striale. Le turbine di potenza di queste
grandi machine ruotano tra i 3000 ed i
3600 giri/min, a secondo della frequenza
elettrica della rete da alimentare, evitando
così la necessità di adottare un riduttore. I
fattori che incidono notevolmente sulla
scelta di una turbina a gas a ciclo sempli-
ce rispetto ad un gruppo turbogas combi-
nato sono:
- il costo di investimento iniziale molto
più contenuto;
- il minor tempo di costruzione degli im-
pianti che va da poche settimane ad alcuni
mesi per il ciclo semplice, contro gli anni
di quello combinato;
- la maggiore velocità di accensione e
spegnimento nell’ordine di pochi minuti
che consente, quindi, di far fronte a picchi
di richiesta repentini.
Tipologie impiantistiche delle centrali
turbogas combinate
Per capire meglio il funzionamento di una
centrale a ciclo combinato proviamo a
scomporla nei suoi elementi più semplici:
una centrale a gas e una centrale termoe-
lettrica tradizionale. Delle centrali a gas a
ciclo semplice già sappiamo che nella
sezione di "scarico" del calore verso l'e-
sterno i prodotti della combustione emessi
hanno ancora un’elevata aliquota termica
e sono, quindi, potenzialmente e ulterior-
mente sfruttabili. Delle centrali conven-
zionali termoelettriche ricorderemo sicu-
ramente che esse sfruttano una sorgente di
calore sufficientemente elevata per creare
del vapore ad alta pressione per azionare
una turbina. Nella nostra centrale a ciclo
combinato avremo che i gas di scarico,
emessi dal ciclo Joule dopo essere passati
nella turbina a gas ed aver prodotto la
quantità lavoro meccanico richiesto, fini-
scono all'interno di uno scambiatore di
calore per essere riutilizzati nella fase di
riscaldamento, evaporazione dell'acqua ed
espansione del vapore all'interno della
turbina del ciclo Rankine. La principale
connotazione del ciclo combinato sta pro-
prio in questa differenza di temperature
caratteristiche tra i due cicli termodinami-
ci. Questi impianti vengono anche definiti
unfired, grazie alla caldaia a recupero
senza bruciatori ausiliari. Quando invece i
gas di scarico della turbina sono usati
come comburente nei bruciatori della
caldaia gli impianti vengono definiti fired.
Anche gli impianti turbogas combinati
hanno delle tipologie costruttive che pos-
sono essere così riassunti:
A. impianto combinato a recupero sem-
plice, in cui tutta la potenza elettrica è
generata dal lato gas, la quantità di vapore
prodotto è determinato direttamente
dall’utenza e la combustione avviene in
eccesso d’aria. La potenza termica dispo-
nibile è totalmente legata alla potenza
elettrica; parzializzando il motore, si ridu-
cono entrambi i flussi di energia in uscita.
B. Impianto combinato con turbina a
vapore a contropressione, in cui la gene-
razione elettrica avviene sia sul lato gas
che sul lato vapore con pressioni compre-
se tra i 40 e i 70 bar e temperature oscil-
lanti tra i 450 e i 500 °C.
C. Impianto combinato con turbina a
vapore a condensazione: in questo im-
pianto avviene una produzione in eccesso
di vapore che viene parzialmente utilizza-
to per alimentare una seconda turbina a
bassa pressione; a valle delle due turbine
un condensatore recupera il vapore e lo
immette in una torre di raffreddamento.
D. Impianto combinato con turbina a
vapore e iniezione di vapore: in questo
caso il vapore in uscita dalla turbina pro-
segue verso la camera di combustione per
fornire un ulteriore apporto calorico.
Tra i tanti vantaggi di questo tipo di tec-
nologia prevale il minor consumo di com-
bustibile fossile a parità di energia prodot-
ta, dal momento che solo nella fase di
riscaldamento del ciclo a gas avviene una
combustione di gas naturale (o altri com-
bustibili); la fase di evaporazione nel ciclo
Rankine è originata dal recupero del calo-
re disponibile nei gas di scarico della cen-
trale a gas. In questo modo, con una mi-
nor quantità di combustibile, il rendimen-
to dell'impianto aumenta considerando il
rapporto tra lavoro ottenuto e energia
consumata (sotto forma di combustibile).
Per una centrale termoelettrica tradiziona-
le, infatti, il rendimento oscilla intorno a
valori del 40% mentre in una moderna
centrale a ciclo combinato il rendimento
supera sempre il 50% con punte del 60%.
Figura 3. Schema di una turbina a gas
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27
CINEMA E ANIMAZIONE
I l prossimo 18 settembre arriva nei
cinema italiani, dopo il debutto
USA dell'8 agosto, il reboot live-
action Tartarughe Ninja, ispirato
ai personaggi delle Tartarughe Ninja
creati da Peter Laird e Kevin Eastman,
che riporta i quattro eroi mutanti sul
grande schermo a 30 anni di distanza
dalla pubblicazione del primo fumetto.
Si tratta del quarto film live-action, do-
po la trilogia anni '90 e il film d'anima-
zione in CG TMNT diretto nel 2007 da
Kevin Munroe, dedicato alle celebri
tartarughe che si pone come una sorta di
remake del primo film, Tartarughe Nin-
ja alla riscossa del 1990, mantenendo,
tra l'altro, lo stesso piacevole look dark.
Il film, girato tra New York e la Califor-
nia, mescola sapientemente riprese live e
CGI 3D ed è stato diretto da Jonathan
Liebesman, già regista de "La Furia dei
Titani", che, con l'aiuto di André Ne-
mec, ha curato anche la sceneggiatura. Il
film viene ripreso con la tecnica della
motion capture, mentre gli effetti specia-
li del film sono curati dalla Industrial
Light & Magic ed è è il primo film sulle
Tartarughe Ninja ad uscire in 3D. Le
"turtles" realizzate, come abbiamo detto,
in CG e motion-capture sono interpretate
da Alan Ritchson (RAFFAELLO), Pete
Ploszek (LEONARDO), Jeremy Howard
(DONATELLO) e Noel Fisher
(MICHELANGELO) mentre il veterano
William Fichtner è la nemesi SHRED-
DER. Il cast include anche Megan Fox
nei panni della giornalista APRIL O'NEIL,
Will Arnett in quelli del cameraman
VERNON FENWICK e Whoopi Goldberg
che, invece, sarà BERNADETTE THOMP-
SON, personaggio che già dal nome ricor-
da una versione al femminile di BURNE
THOMPSON, il boss del canale televisivo
per cui lavorava April nella serie tv d'a-
nimazione anni '80. Questo film è stato
concepito per accontentare una platea
trasversale per età e gusti e il lavoro in
CG e motion-capture sembra abbia dato i
suoi buoni frutti nel rendere più
"muscoloso" il look delle Tartarughe che
appaiono più massicce e meno cartooniz-
zate rispetto ai live-action precedenti. La
buona notizia per i fan italiani delle tarta-
rughe è che non dovranno aspettare l'u-
scita a settembre per scoprire i segreti
della realizzazione dei loro eroi: la Para-
mount, infatti, dopo anche il grandissi-
mo successo negli States, ha reso dispo-
nibile una nuova featurette, sottotitolata
in italiano, dal titolo Sul set con le tarta-
rughe. Qui sia il regista che il cast ci
spiegano come sia stata utilizzata la mo-
tion capture, una tecnica usata negli ef-
fetti speciali di molti film per riprodurre
movimenti realistici: in questo caso i
quattro protagonisti indossavano delle
tute, comprensive di gusci, ricoperte da
alcuni marcatori. In questo modo i com-
puter possono creare un'immagine stiliz-
zata dell'attore riproducendo digitalmen-
te i suoi movimenti che vengono
"catturati" attraverso qualche decina di
telecamere attorno a lui. Queste ultime
mandano le coordinate dei marcatori ai
computer creando così un'immagine
virtuale che riproduce i movimenti
dell'attore. L'illustratore Kelton Cram
ha reso disponibili anche alcuni dei suoi
primi lavori per il film e, in un'intervista
al sito CBM, ha spiegato: "Il processo è
stato molto pensato e ci sono voluti circa
6 mesi. Ho avuto la fortuna di lavorare
con Liebesman molto presto e di aiutare
a progettare le Tartarughe in 2D. Una
volta che sono state approvate le sagome
di base e le idee, le abbiamo rapidamen-
te trasferite in 3D, dove abbiamo scolpi-
to e ri-scolpito le diverse tartarughe più
volte. A Liebesman è piaciuto molto la-
vorare sul software ZBrush con gli arti-
sti e modificare a piacimento l'anatomia.
Alla fine attraverso questo processo è
riuscito a realizzare esattamente quello
che voleva". Non a caso ZBrush è un
programma di grafica computerizzata
che combina modellazione, texturizza-
zione e painting in 3D e 2.5D ed è usato
come strumento di scultura digitale per
creare modelli ad alta risoluzione (fino a
milioni di poligoni e più, teoricamente
illimitati) da usare in film, giochi e ani-
mazioni. È usato da varie compagnie, tra
cui proprio la Industrial Light & Magic
che ha curato gli effetti speciali del film.
ZBrush usa livelli dinamici di altissima
risoluzione per permettere agli scultori
cambiamenti globali o locali ai propri
modelli. E' molto conosciuto per la faci-
lità nella resa di dettagli a livello medio/
alto, che vengono tradizionalmente resi
con le bump map. La mesh dettagliata
che ne risulta può essere esportata come
displacement o normal map da usare
nella versione low poly dello stesso mo-
dello. Oppure, una volta completato, il
modello può essere convertito come
background, diventando così un’imma-
gine 2.5D. Questo termine, utilizzato nel
gergo degli sviluppatori di videogames,
fa riferimento a quelle tecniche di rap-
presentazione degli sfondi realizzati in
2D ma che sulla scena appaiono tridi-
mensionali. Con questa caratteristica gli
utenti possono creare scene estremamen-
te complicate senza appesantire la resa
globale del proprio processore.
di Nunzia Nul lo
Tartarughe Ninja L'oscurità si è stabilita a New York con l'arrivo di Shredder e il suo malvagio Foot Clan. Il
male vuole avere il potere su tutto, dai politici ai poliziotti. Il futuro si prospetta davvero
brutto fino a quando non arrivano quattro fratelli emarginati, Donatello, Raffaello, Leonar-
do e Michelangelo, che abitano nelle fogne e scoprono il loro destino come Ninja Turtles.
Le tartarughe dovranno lavorare con la giornalista April e il suo fantastico cameraman
Vern Fenwick per salvare la città dal piano diabolico di Shredder
28
29
COMPUTO METRICO
D opo poco più di un mese dal rilascio della
versione 3.10.0 e con più di 160 downloads
della stessa all’attivo, ho apportato delle
correzioni al riordino dell’elenco prezzi ed
al controllo delle somme nel computo metrico, anche
grazie alle segnalazioni ed ai consigli di alcuni utenti.
Ho introdotto nel menù LeenO la voce NUOVO… >
NUOVO COMPUTO. Questo è solo un assaggio di ciò
che ho intenzione di fare e cioè trasferire dal me-
nù FILE > MODELLI al menù LeenO le funzionalità
relative alla creazione di computi e listini nuovi, oltre a
tutti quei documenti che sono di corredo alla gestione
del computo metrico e della contabilità. A tal proposito
inviterei gli utenti a raccogliere ed inviarmi documenti
del tipo “verbale di assegnazione” piuttosto che
“consegna” e così via. Accetterò ben volentieri file in
formato ODT da inglobare nel pacchetto.
Ricordate che LeenO, ereditando tutte le potenzialità di
LibreOffice, può proporsi come sistema integrato per
la gestione degli appalti dalla progettazione, all’asse-
gnazione e fino alla esecuzione e chiusura dei lavori.
A meno di ritocchi, comunque non sostanziali, la strut-
tura del file di lavoro è ormai definitiva.
Note di versione 3.10.1
- Prime modifiche al menu popup.
- Correzione del “riordina” in Elenco prezzi.
- Correzioni nella riga riassuntiva in cima
al COMPUTO.
- Correzione delle formule di sommario della contabili-
tà in Elenco Prezzi:
A) il calcolo adesso è diretto: quantità x prezzo = im-
porto.
B) il range di dati nel foglio di CONTABILITÀ tiene con-
to dell’ultimo SAL registrato.
- Implementato un suggerimento per il salvataggio
subito dopo la creazione di un nuovo lavoro.
- Correzione di bug minori.
Per supportare il progetto LeenO, come volontario, puoi
contattare lo staff via mail all'indirizzo
Grazie per l’attenzione e alle prossime NEWS! :D
di Giuseppe Vizzie l lo
LeenO 3.10.1 Cosa c’è di nuovo?
30
L a capacità di esprimere un’e-
stetica propria, vessillo di un
originale modo di gestire for-
me, strutture e volumi, fondato
su di un personale pensiero sulla città e
sull’abitare non è una prerogativa degli
architetti. Pensate a quanta anarchia c’è
nella figura di Pier Luigi Nervi, un inge-
gnere, uno strutturista… Un esponente,
insomma, di quella categoria di progetti-
sti che operano sulle strutture di edifici
immaginati dagli “altri”, gli eterni rivali:
gli architetti! Fuori dalla battuta, mi sono
sentito in dovere di parlare in questa pun-
tata di un ingegnere, dal momento che a
questa figura professionale non viene
quasi mai riconosciuto un senso estetico,
come se quei durissimi studi che affron-
tano per la loro formazione nel periodo
universitario, quasi riuscissero a cancel-
lare qualunque sentimento estetico, qua-
lunque anelito formale. Nervi dimostra
quanto siano errate queste considerazioni
con le sue straordinarie trame strutturali
che diventano architetture affascinanti ed
ardite. Se osservate qualche particolare
strutturale di un’opera di Nervi vi trovate
per un istante innanzi alla stessa conce-
zione progettuale di certi edifici gotici in
cui forma e struttura diventano un tutt’u-
no: travi e pilastri si combinano con ele-
menti aggettanti e superfici rientranti in
un gioco continuo di sbalzi e chiaroscuri.
Grande architettura quella di Nervi che
apre la strada alle allora nuove tecnolo-
gie edili, in cui il cemento armato veniva
utilizzato non più solo come materiale
strutturale ma era chiamato a partecipare
all’armonia della composizione architet-
tonica. Pier Luigi Nervi nasce a Sondrio,
il 21 giugno 1891 da genitori liguri. Il
padre era un direttore postale e questa
attività costringe la famiglia Nervi a
cambiare più volte residenza. Luigi si
iscrive alla facoltà di ingegneria dell'U-
niversità di Bologna, ove si laurea nel
1913. Appena ventiduenne comincia la
sua formazione professionale che avvie-
ne presso l'ufficio tecnico della Società
per Costruzioni Cementizie a Bologna
ove apprenderà la risoluzione delle prin-
cipali problematiche strutturali. La prima
guerra mondiale lo
vede in servizio nel
Genio militare. La
sua prima impresa la
fonda a Roma nel
1923 in società con
Nebbiosi “Società
per costruzioni Ing.
Nervi e Nebbiosi”
che nel 1932 divenne Nervi e Bartoli.
Nel 1924 sposa Irene Calosi, da cui avrà
quattro figli, di cui tre lo affiancheranno
nel lavoro, mentre il quarto, Carlo Nervi,
sarà oncologo in Roma. Nel 1920 vede la
luce la prima struttura realizzata da lui: il
Ponte sul fiume Cecina nel comune di
Pomarance (PI). Sei anni dopo a Napoli
realizza insieme all'ingegner cav. Gioac-
chino Luigi Mellucci nella centralissima
Via Toledo a Napoli, di fianco all’edifi-
cio della stazione di valle della Funicola-
re Centrale il Teatro Augusteo inaugu-
rato nel 1927. Nel 1930 vince il concorso
per il progetto di un nuovo stadio muni-
cipale per Firenze Campo di Marte
(attualmente Stadio Artemio Franchi)
che è il suo primo lavoro ad attirare l’at-
tenzione della critica a livello internazio-
nale grazie alla raffinatezza strutturale
delle particolari scale elicoidali e la fa-
mosa Torre Maratona, senza contare
l'impatto innovativo e coraggioso di met-
tere le strutture totalmente a vista. Fu
particolarmente lodata anche l'attenzione
prestata per il contenimento dei costi di
costruzione. Nervi si dedica proficua-
mente anche alla ricerca di nuove tipolo-
gie costruttive. Frutto di questi studi e il
progetto per un albergo galleggiante
realizzato a quattro mani con l'architetto
Rubens Magnani esposto a Firenze nel
1932. In questo progetto (non realizzato)
Nervi e Magnaghi pensano ad una solu-
zione originale per portare le vacanze, a
prezzo contenuto in città marine o lacu-
stri, per quelle persone che non hanno
grandi risorse economiche. L’edificio
galleggiante, da ancorare opportunamen-
te al largo, dispone di 16 camere e relati-
vi servizi per la ristorazione e la balnea-
zione. Nervi si occupa anche di aviori-
messe per conto della Regia Aeronauti-
ca italiana e lo fa portando il cemento
armato come materiale di costruzione in
sostituzione del legno (costoso e facil-
mente infiammabile) e del metallo
DESIGNERS STORY
Pier Luigi Nervi
di Salvio Gigl io
Un personaggio molto particolare dell’ar-
chitettura italiana che con le sue potenti
strutture in cemento diventa paradigma
del linguaggio moderno dell’architettura...
1
31
DESIGNERS STORY
(costoso ed impiegato per l’industria
bellica). Ancora oggi è possibile ammi-
rare a Pantelleria i famosi "hangar in
galleria". Quando progetterà tra il 1935
e il 1943 due dei quattro hangar dell'I-
droscalo di Orbetello, i due dell'Idro-
scalo di Marsala e i quattro dell'Aero-
porto di Castel Viscardo ad Orvieto si
rivelerà pienamente il suo enorme talen-
to e il suo finissimo intuito nell’applica-
re soluzioni innovative come l’adozione
di ampie volte di copertura, innervate da
archi incrociati di cemento, costituenti
l'avveniristica ed elegante struttura
"geodetica". Questa strategia consenti-
va di ridurre il numero dei punti di ap-
poggio verticali e aumentava notevol-
mente le luci interne delle rimesse; ciò
permetteva di ospitare o più aerei di
piccole dimensioni o grandi aerei e que-
sto lasciando ampi spazi per la loro mo-
vimentazione e manutenzione. La rap-
presaglia nazifascista durante la ritirata
distrusse le costruzioni di Orvieto ed
Orbetello! In questi realizzazioni seguì
in un primo momento la tecnica tradizio-
nale con getto di calcestruzzo su centine,
successivamente realizzò dei conci pre-
fabbricati, collegati fra loro con getti di
cemento nel corso della messa in opera,
riducendo ancor di più i costi di costru-
zione. In buono stato di conservazione
sono le aviorimesse siciliane presso l'i-
droscalo di Marsala e sull'aeroporto di
Pantelleria. Queste opere grazie alla loro
chiarezza compositiva, fanno di Nervi, il
simbolo dell'evoluzionismo architettoni-
co italiano in quanto diventano elemento
di continuità tra il grande passato artisti-
co del nostro Paese e il presente. Questo
aspetto dell’architettura di Nervi fu op-
portunisticamente utilizzato dal regime
fascista per propagandare futuristica-
mente il "progresso. Nonostante i legami
e la formazione orientata in parte al Ra-
zionalismo Italiano Nervi nell’immedia-
to dopoguerra decide di fondare, nel
1945 a Roma, assieme a Bruno Zevi,
Luigi Piccinato, Mario Ridolfi ed altri
grandi nomi l'Associazione per l'Archi-
tettura Organica. Di questo particolare
momento in cui il Paese sentiva forte la
voglia di rialzarsi Nervi realizza un’ope-
ra molto significativa: il Salone per To-
rino Esposizioni, un luogo in cui la
grande industria italiana esponeva la sua
ultima produzione. in questo progetto
Nervi impiega e sperimenta la nuova
tecnologia del ferro-cemento per realiz-
zare la grande volta a botte trasparente.
Dal 1946 al 1961 è professore incarica-
to di Tecnica delle costruzioni e Tec-
nologie dei materiali della facoltà di
Architettura dell'Università “La Sa-
pienza” di Roma. Tra il 1953 e il 1958
sovraintende alla realizzazione della
sede dell'UNESCO a Parigi e ormai la
sua figura è conosciuta a livello interna-
zionale. Nel 1950 riceve una laurea ho-
noris causa in Architettura a Buenos
Aires a cui seguiranno quelle di Edim-
burgo e Monaco (1960), Varsavia
(1961), Harvard e Dartmouth College
(1962), Praga (1966), Londra (1969).
Nel periodo compreso tra 1956 e il 1961
è uno dei progettisti del Grattacielo Pi-
relli a Milano e del complesso di opere
per le Olimpiadi di Roma del 1960. So-
no 1961 il “Palazzo del Lavoro” per
l'esposizione “Italia 61” a Torino e la
progettazione delle Cartiere Burgo a
Mantova. In ogni caso la sua opera più
grande gli viene commissionata da papa
Paolo VI nel 1964: la costruzione della
nuova “Aula delle Udienze Pontificie”
in Vaticano, tuttora nota come “Aula
Nervi”. Muore nel 1979 a Roma all'età
di 87 anni.
1 Bus-terminal al George Washington Bridge (New
York, 1962)
2 Palazzo del Lavoro, Torino 1958 -’61
3 Stadio Municipale a Firenze, 1930
4 Dettaglio delle scale elicoidali dello Stadio
5 Dettaglio abside Salone 8 Torino Esposizioni
6 Cattedrale di St. Mary, San Francisco 1971
7 I piloni dell’ambasciata italiana a Brasilia
8 Aula delle Udienze Pontificie Roma 1964
4 3
5 6 7
8
8
2
32
33
FEM
In questo articolo voglio riprendere un
po’ il discorso matematico relativo alla
FEA. Al lettore interessato, ma che non
ha mai avuto a che fare con l’analisi fun-
zionale chiedo di non farsi spaventare
assolutamente dalle equazioni che seguo-
no e di concentrarsi piuttosto sul “succo
della questione”, che verrà evidenziato
attraverso tutta una serie di interrogativi,
a cui seguiranno le relative risposte…
come una sorta di intervista all’analisi
funzionale! All’inizio del nostro percor-
so con l’analisi numerica vi avevo detto
che il FEM (Finite Elements Method) è
un metodo per risolvere numericamente
un particolare tipo di equazione chiamata
PDE – Partial Differential Equation,
ovvero una equazione differenziale alle
derivate parziali, la cui soluzione esatta
(detta analitica) spesso e volentieri non è
disponibile “in forma chiusa”. Poiché
molti fenomeni fisici di tutti i giorni so-
no descrivibili attraverso una o più equa-
zioni di questo tipo, viene da se che un
metodo di calcolo di una soluzione alme-
no approssimata è auspicabile come
manna dal cielo! Del resto le vie della
matematica sono infinite: se non possia-
mo calcolare la soluzione esatta, almeno
troviamo un sistema per calcolare una
soluzione approssimata. Ma allora viene
spontaneo chiedersi: quanto è ACCU-
RATA questa soluzione numerica? E’
sempre possibile applicare il FEM? Se
“virtualmente” creassimo una reticola-
zione infinitamente piccola la soluzione
numerica e la soluzione esatta coincide-
rebbero? E così via… Per rispondere a
queste domande consideriamo un proble-
ma modello – l’equazione ellittica di
Poisson bidimensionale con condizione
al bordo di Dirichlet
ovvero, in forma estesa e coordinate car-
tesiane:
Questo problema descrive alcuni feno-
meni fisici come il potenziale elettrosta-
tico, la diffusione di un fluido o lo spo-
stamento verticale di una membrana ela-
stica. Come vedete compaiono le deriva-
te (parziali) seconde dell’incognita u,
dipendente delle coordinate (x,y). Dicia-
mo che il problema (1) è in formulazione
forte. In generale, così impostato la (1) è
di difficile trattazione: ricordiamoci che
non dobbiamo calcolare la soluzione
esatta, ma una sua soluzione approssima-
ta. Abbiamo visto quindi che possiamo
ridurre l’ordine di derivazione semplice-
mente moltiplicando entrambi i membri
dell’equazione per una generica funzione
test v (che definiremo in seguito) ed inte-
grando per parti:
da cui:
dove è già stata considerata la condizio-
ne di u nulla al bordo. La (4) è la formu-
lazione debole del problema differenzia-
le. In pratica siamo passati da una equa-
zione differenziale del second’ordine ad
un problema integrale del primo ordine.
La soluzione del problema (4) coincide
con quella del problema (1)?
Sì. Se u(x,y) è soluzione del problema in
forma debole, allora si può dimostrare
che è anche soluzione del problema in
forma forte.
Come dobbiamo scegliere le funzioni
test v?
La domanda corretta non è COME, ma
DOVE dobbiamo scegliere le funzioni v.
Diciamo che le funzioni test devono es-
di Marco Garavaglia
Intervista all'analisi funzionale
34
sere contenute tutte in uno spazio di fun-
zioni :
Questo spazio potete immaginarlo come
una sorta di contenitore, il cui contenuto
sono delle funzioni con particolari carat-
teristiche. Affinché le operazioni del
problema (4) abbiano senso, sia fisico
che matematico, le funzioni test devono
essere “a quadrato integrabile”, con deri-
vata (nel senso delle distribuzioni) an-
ch’essa a quadrato integrabile.
Per cui V lo scegliamo in questo modo:
dove L2 (γ) è lo spazio delle funzioni a
quadrato integrabile secondo Lebesgue.
H prende il nome di spazio di Sobolev, e
il problema (1) in formulazione debole è
così ben posto:
Per scrivere in modo ancora più compat-
to introduciamo la forma bilineare:
e il funzionale:
Il nostro problema (1) di partenza è quin-
di diventato:
La soluzione del problema (5) esiste?
Ed è unica?
Sì, se vale il lemma di Lax – Milgram:
a(u,v) deve essere una forma bilineare
continua e coerciva e F(v) un funzionale
lineare e continuo. Allora esiste ed è uni-
ca la soluzione del problema (5).
Come tutto questo permette di trovare
una soluzione numerica del problema
(1)?
A questa domanda risponde Galerkin,
brillante matematico e ingegnere Russo
che partendo dal problema (5) ha svilup-
pato un efficacie metodo di risoluzione.
Se noi ci accontentiamo di cercare la
soluzione in un sottospazio V_h più pic-
colo di V (ma contenuto in esso) e dipen-
dente da un parametro h allora il (5) di-
venta:
Il (6) viene chiamato problema di Ga-
lerkin ed è il “capostipite” del metodo ad
elementi finiti.
Se infatti:
possiamo indicare con ϑ_i una funzione
di base di V_h; se la (6) è verificata per
tutte le funzioni di base allora lo è anche
per tutte le funzioni di V_h in quanto
sono tutte combinazioni lineari delle ϑ_i.
Inoltre anche le u_h possono essere
espresse come combinazioni lineari delle
ϑ_i:
Giungendo infine al seguente problema:
La (7) equivale ad un sistema lineare del
tipo:
Quindi, per farla molto breve, acconten-
tandoci di calcolare la soluzione in deter-
minati punti, detti nodi computazionali
“appoggiati” su una mesh del dominio
(che di punti fisicamente ne ha infiniti) è
possibile calcolare la soluzione del pro-
blema (1) – differenziale – attraverso il
problema (8) – un semplice sistema li-
neare di equazioni.
Il metodo ad elementi finiti di Galer-
kin è convergente? È stabile? La solu-
zione numerica u_h esiste ed è unica?
Sì. Il metodo ad elementi finiti di Galer-
kin fornisce una soluzione numerica uni-
ca, perché vale il lemma di Lax – Mil-
gram. Si può dimostrare che è stabile ed
anche convergente perché vale il lemma
di Ceà:
FEM
35
FEM
Quali sono le funzioni di base che si
possono scegliere per lo spazio V_h?
Spesso vengono scelti polinomi di La-
grange di grado 0 (costanti),1 (lineari),2
(quadratici) o 3(cubici).
Qual è l’accuratezza del metodo ad
elementi finiti?
Dipende da due fattori: il primo è la fi-
nezza della griglia computazionale, il
secondo dal grado dell’elemento finito
utilizzato.
Quindi infittendo a dismisura la mesh
e usando elementi finiti di grado ele-
vato è possibile ottenere soluzioni
sempre più accurate?
No. In ogni cosa c’è un limite e purtrop-
po anche qui: aumentare il grado degli
elementi finiti è una strada percorribile
solo se la soluzione del problema (1) è
sufficientemente regolare. Mano a mano
che la reticolazione viene infittita la ma-
trice A del sistema (8) diventa sempre
più mal condizionata, rendendone diffi-
coltosa la risoluzione. Inoltre entrambe
le strade comportano un aumento delle
risorse hardware del calcolatore necessa-
rie per eseguire l’analisi.
Qual è in genere la dimensione del
sistema (8)? Come è possibile risolver-
lo?
La dimensione di (8) dipende dalla fi-
nezza della griglia e dal crescere del
grado polinomiale. Per risolvere un si-
stema lineare sono possibili metodi di-
retti o metodi iterativi: i primi calcolano
la soluzione esatta del sistema tramite
opportuni algoritmi, i secondi si accon-
tentano di trovare una soluzione appros-
simata di (8) a favore di un minor costo
computazionale.
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INTERVISTE
Titolo
Antonio Martini Fin dal nostro primo contatto in Community ho avuto la sensazione di tro-
varmi di fronte ad una persona vulcanica di cui non è facile elencare inte-
ressi, passioni, idee e un enorme bagaglio culturale. Antonio Martini è figlio
della sua stupenda Regione che, animata da tante virtù e bellezze, riesce a
forgiare in meglio il carattere delle sue popolazioni. In questa simpaticissi-
ma e piacevolmente lunga chiacchierata, Antonio si racconta e ci affida il
suo accorato sfogo circa le sorti del nostro meraviglioso e trascurato Paese.
Chi è Antonio Martini?
A ntonio è un sognatore, al
quale il commercialista con-
tinua a ripetere: “Paghi le
imposte come geometra!”.
Da bambino volevo fare la guardia fore-
stale. Da ragazzino, volevo girare l'Italia
in bicicletta, da solo. Inutile dire, che
non ho fatto nessuna delle due cose. Da
grande, desideravo diventare un buon
progettista edile, diverso dai “risolutori
di problemi” amici dei tecnici comunali,
come per tanti anni è stato in Italia. Mi
auguro che questa “crisi” risolva in parte
questa spregevole usanza. Diventato
grande (almeno all'anagrafe) è caduto
sulla testa mia, come su quella di tutti, il
cambiamento epocale, di portata globale.
Qualcosa che molti continuano a chia-
mare crisi. Io lo chiamo Cambiamento.
In questo colossale processo, in ultima
analisi, ci si deve reinventare. Quasi to-
talmente. Sono cambiati i lavori, gli stru-
menti con i quali eseguirli e le esigenze
della collettività, che comprende anche
noi stessi. In definitiva: nuove opportu-
nità. Domani? Vedremo.
Quando hai cominciato a progettare?
E' passione o lavoro?
Ho iniziato a “progettare” quando avevo
forse 10 anni, vedendo i cantieri del pa-
pà, muratore, e volendo emulare quella
realtà. Disegnavo abitazioni con corridoi
lunghissimi, dove i bambini avrebbero
potuto divertirsi, giocando. Ora è solo un
ingrato lavoro per l'aspetto meramente
burocratico. E' invece passione, quando
c'è l'occasione di creare, progettare nel
vero senso della parola. Verbo e creazio-
ne. Il lavoro dei cosiddetti “tecnici”, nel
settore edilizio progettuale, è diventato
ormai al 90%, quello di burocrati che
stampano inutili scartoffie, senza aver
creato assolutamente nulla. Personal-
mente, quando mi capita di dover chie-
dere una parcella per aver “prodotto” un
documento di per sé totalmente inutile,
ma reso obbligatorio dalla stoltezza della
politica italiana, mi sento un parassita,
non un tecnico e, certamente, non un
progettista. Per progettare, bisogna prima
poter fare. E l'amministrazione pubblica
italiana vieta la fattibilità di qualsiasi
cosa. Se si prova a chiedere: «posso fare
questa cosa?». La prima risposta, auto-
matica, è «no!». Poi, si inizia a discutere.
Difficile conservare la passione in un
simile regime. Ma ci proviamo. Quando
invece c'è la possibilità di progettare un
luogo, un edificio, allora c'è qualcosa di
magico. Creare la forma nella propria
mente, tradurla su carta, a beneficio degli
altri che non possono leggerci il pensie-
ro, e vederla poi iniziare, crescere, ulti-
mare, così come l'avevi solo immaginata,
divenuta realtà... si, è qualcosa di magi-
co.
Vivi in una regione meravigliosamente
bella e ricca di architetture mozzafia-
to, quanto ha inciso sulla tua forma-
zione tutto ciò?
Mi rendo conto di rovinare la poesia che
irradia dalla domanda, e me ne scuso, ma
mentirei se millantassi influenze ance-
strali dall'ambiente in cui vivo. La realtà
è che, fin dai tempi della scuola, l'am-
biente sociale veneto imponeva “testa
bassa, e galoppare!”. Tale forma mentis
non doveva nemmeno essere esplicata.
Si respirava! Quindi, risucchiati dal vor-
tice in continuo movimento, ognuno
seguiva quella che apparentemente sem-
brava la sua strada. Nel mio caso, edili-
zia, progettazione, immobiliare. Còniugo
al passato, perchè il mondo è cambiato,
sotto gli occhi increduli di tutti. Ciò non
toglie che, fin da ragazzi, ognuno di noi
conoscesse almeno i beni architettonici
principali, nel raggio di alcuni chilome-
tri. Mete di gite domenicali, in pullman
prima, in bicicletta poi, motorino, e auto
dopo. Questo significa che padovani, e
veneti in generale, ciclicamente, tornano
a “fare un salto” in quei luoghi. Con oc-
chi e interessi diversi, a ogni età. Tali
mete erano, e sono: le principali Ville
Venete, con i loro spettacolari giardini
visitabili come Villa Pisani a Strà e Villa
Camerini a Piazzola sul Brenta, con il
simbolico labirinto in siepe di bosso; la
Rotonda del Palladio, e tutte le altre,
disseminate nel territorio. Cittadine me-
dievali, come Bassano del Grappa, Aso-
lo, Arquà Petrarca. Ambienti naturali,
come i Colli Euganei, il Cansiglio e la
costa adriatica. Se il contesto ha in qual-
che modo influenzato il mio modo di
“vedere” l'ambiente costruito, probabil-
mente, lo ha fatto a livello sottile.
Dal tuo blog escono cose veramente
belle ed utili e non solo auto promozio-
ne. Quanto tempo ci hai messo per
allestirlo?
Blog? Io ho un blog?... ma pensa... Se ti
riferisci al sito aziendale, hai ragione.
Costruito su WordPress, tecnicamente
sarebbe in effetti un blog. Credo però
che un Blog degno di tale nome debba
comprendere altre cose, che io non ho,
almeno per il momento. Una su tutte: la
possibilità per i visitatori di lasciare
commenti. Alcuni mesi fa, provai ad
attivare la funzione ma fui subito bersa-
gliato dallo spam, male endemico della
rete. Accadeva malgrado le contromisure
prese. Poi, considerando la natura del
sito, e l'oggettivamente scarsa probabilità
di utenti che lasciassero commenti, ho
disattivato la cosa. Se servono informa-
zioni sui nostri servizi, prodotti e attività,
l'email rimane ad oggi il canale preferen-
di Salvio Gigl io
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INTERVISTE
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INTERVISTE
ziale. L'allestimento non è mai finito.
L'impianto iniziale ha richiesto un anno,
solo per poter dire «ok, è impostato». Da
quel momento, è diventato un lavoro di
aggiornamento, praticamente quotidiano.
Continua evoluzione del mondo internet,
sotto l'aspetto della grafica, della tecnica,
e dei linguaggi, sono a mio avviso i prin-
cipali motivi di un lavoro quotidiano, o
settimanale al massimo. La grafica segue
le tendenze, come la moda nell'abbiglia-
mento. La tecnica evolve per progresso
naturale. I linguaggi riguardano sia l'a-
spetto “antropologico” che quello della
scrittura tecnica, come HTML, CSS,
ecc.. Poi, senza ipocrisia, è opportuno
dire che lo scopo ultimo di ogni sito web
è quello di comparire tra i primi risultati
nei motori di ricerca, Google prima di
tutto. Per ottenere questo, la prima regola
è che il sito sia sempre messo a punto,
sotto al cofano. Se i “robots” di Google
non vedono attività in un sito, lo consi-
derano statico, inerme, morto. E in quan-
to tale, probabilmente poco utile come
risposta alle ricerche effettuate nel moto-
re, dagli utenti. Se proprio non si ha tem-
po e voglia di creare un nuovo post, o
una nuova pagina, è consigliabile fare
almeno qualche aggiornamento delle
pagine esistenti. Ha quasi lo stesso valo-
re, perchè viene riconosciuta come
“attività” sul sito, che quindi è presumi-
bilmente seguìto, e verosimilmente con-
tiene informazioni aggiornate e utili.
Ricordiamo che obiettivo di Google è
dare risposte rapide, precise e coerenti,
alle ricerche degli utenti.
Il tuo primo contatto col CAD è stato
in 2 o in 3D?
Il mio primo approccio con il CAD, è
stato senz'altro in 2D: AutoCAD di Au-
todesk. Credo fosse la versione 10 o 11,
non ricordo bene. Correva l'anno 1992.
Acquistai il mio primo PC, con tavoletta,
per l'uso del CAD. Per l'apprendimento,
devo eterno riconoscimento al mio caro
amico Marco Bragotto (non è in G+,
inutile linkarlo, purtroppo). Mio compa-
gno di classe all'istituto per geometri e,
soprattutto, nelle infinite partite di ping-
pong, con 25-30 partite a sessione, entrò
in uno studio di ingegneria subito dopo il
diploma. Qui, dopo una breve gavetta al
tecnigrafo, fu messo davanti allo scher-
mo di un PC, a disegnare in AutoCAD.
Entrambi eravamo appassionati di com-
puter, già dal Commodore 64. Quindi,
per lui, fu questione di poco tempo, e
divenne capo sala disegnatori. Per darvi
un'idea di cosa stiamo parlando, quello
studio di ingegneria ha progettato tutte le
nuove tangenziali di Padova, caselli au-
tostradali, il passante di Mestre, ultimato
pochissimi anni fa, e, di fatto, progettato
da questa persona, che posso annoverare
come amico. Oltre a innumerevoli appal-
ti progettuali all'estero. Arrivò quindi il
giorno in cui gli chiesi il favore di inse-
gnarmi i primi rudimenti di AutoCAD.
Lui era già stato segnalato e preso, come
docente CAD, a corsi serali finanziati
dall'Europa. Non vi stupirà quindi sapere
come si svolse il mio “corso”, che non
dimenticherò mai. Una sera, dopo cena,
vado a casa sua e mi mette di fronte al
suo pc. Lui, se ne sta steso a letto, guar-
dando il soffitto distrattamente, con le
mani incrociate sotto la nuca. In quella
posizione, inizia: «In alto a sinistra vedi
scritto draw, clicca, compare un menù,
con scritto nell'ordine, dall'alto...» e mi
elenca l'intero menù. Poi continua:
«Seleziona Line. In basso, sotto l'area del
disegno, c'è il prompt, vedi scritto... e
indica...» e via discorrendo, senza guar-
dare mai lo schermo. Una sera. Una sola
sera e mi aveva insegnato a disegnare in
CAD! I rudimenti, certo. Da li in poi, è
stato un continuo affinamento. Ma mi
sono fermato prima dei lisp, che lui pro-
grammava a occhi chiusi. Per me, anda-
vano ben oltre il mio interesse. La parte
più difficile, è stato comprendere il pro-
cesso di stampa. Associare unità, milli-
metri e dimensioni della stampa effetti-
va. Come poteva un ammasso di plastica
e aghi che punzecchiavano... saper sputa-
re fuori una linea lunga 10 centimetri
esatti? Per il 3D, invece, è stato un ap-
prendimento diretto. Passione pura. O
malattia. Dipende dalla prospettiva.
1993. In AutoCAD, licenza LT, realizzo
il 3D di una trifamiliare. I più attenti
obietteranno: «ma LT non esegue il 3D».
Non è del tutto corretto. LT non esegue i
solidi e le operazioni booleane ma rico-
nosce lo spazio in 3 dimensioni, con la
Z. Così, spostando continuamente l'UCS,
ho fatto il modello tridimensionale con
lo strumento... Shade... Si, lo so, è da
pazzi. Un triangolo alla volta, con i punti
digitati in senso orario (o si inverte la
normale della faccia) ho fatto quel lavo-
ro, che ora non rifarei nemmeno se paga-
to in gettoni d'oro. 1995. Nella mia vita
entra 3DStudio. Una decina di tomi, fa-
gocitati d'un fiato, e ho assimilato i con-
cetti di modelli, materiali, scena, luci,
ombre, animazione, key frame e post
produzione.
Quali programmi di CAD utilizzi per
le progettazioni?
Non mi piace avere software craccati.
Quindi, per il disegno 2D e 3D, uso an-
cora l'ultima versione acquistata, Auto-
CAD 2007. Adattata e personalizzata.
Ho creato centinaia di blocchi dinamici,
raccolti nelle tavolozze strumenti, acce-
lerando di molto il processo grafico.
Quando devo fare 3D, realizzo il model-
lo in AutoCAD, per la velocità e la preci-
sione. Poi esporto il modello in altri soft-
ware, come SketchUp o Blender. Sket-
chUp è molto versatile ma non mi piace
particolarmente. Blender consente di
ottenere risultati di ottimo livello, e lo
sto ancora studiando.
Quale software ti piacerebbe appro-
fondire?
Dovrò necessariamente approfondire
almeno due software: Blender, per i ren-
der e le animazioni. E un altro software,
ancora da individuare, per sostituire Au-
toCAD. Non voglio più saperne di Auto-
desk e della sua politica di vendita e ge-
stione delle licenze, che trovo spregevo-
le. Liberi di adottare la politica che pre-
feriscono, ma io prenderò un altro soft-
ware, quando il mio 2007 diverrà total-
mente incompatibile con la generalità del
mondo CAD.
Qualche aneddoto divertente legato
alla tua attività di geometra...
Passiamo alla domanda successiva? L'at-
tività professionale di geometra offre ben
poche situazioni divertenti, purtroppo. O
forse sono io, troppo musone. Se me ne
sovvenisse una, prima dell'avvio delle
rotative, te la mando! Come vedi l'attuale
situazione economica italiana? Di cosa
ha bisogno il Paese per risollevarsi real-
mente? Ma quando arriva la domanda sui
droni? Mi trascini nel girone della politi-
ca. Rispondo come probabilmente fareb-
be qualsiasi italiano. L'attuale situazione
economica dell'Italia è la stessa del resto
d'Europa. I paesi così detti “emergenti”,
erano auto che partivano da 0 km orari.
Si portano a 60 km/h e si parla di boom.
Facile. Europa e U.S.A. erano auto a 100
km/h già da tempo . Cosa mai si può
fare, per andare più veloci, in una scala
da 0 a 100, in termini di velocità? E del
resto, non è nemmeno possibile pensare,
di poter andare a 100, in eterno, senza
correzioni. Premesso ciò, cosa serve per
riprendere a crescere? Fermo che il mio,
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INTERVISTE
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INTERVISTE
è il parere del signor Mario Rossi, ri-
spondo: coraggio e buon senso. Due cose
che mancano totalmente alla spregevole
classe politica italiana. Solo loro, posso-
no cambiare le Leggi. Il popolo può solo
stancarsi, e agire brevi manu, il giorno in
cui non ne potesse più. A dire il vero,
non so se la politica italiana sia più spre-
gevole o ignominiosamente stupida. Pri-
ma di tutto dovrebbe esserci totale, e
sottolineo TOTALE!, trasparenza di co-
me, dove e perchè vengono spesi i denari
che i politici (lo Stato è un'altra cosa)
drenano dalle tasche degli italiani. Pub-
blicare on-line TUTTI i rivoli. Sono tan-
ti? Ok, un po’ alla volta si arriva a pub-
blicarli tutti. Basta volere. A quel punto,
gli sprechi, sempre additati ma mai indi-
viduati, verrebbero alla luce e sarebbe
impossibile difenderli e mantenerli. Poi,
userò una metafora presa dal mio àmbito
lavorativo, non volermene. In 60 anni,
nell'illusione di migliorare il lastricato
sul quale camminavamo, abbiamo pedis-
sequamente continuato ad aggiungervi
sabbia, cemento e acqua, per “irrigidire”
quei punti che agli occhi di qualcuno
sembravano troppo “liberi”. «Meglio
regolamentarli". Il risultato è che oggi
siamo immersi, fino alle ginocchia, in
una colata di cemento. Possiamo fare
anche il minimo passo in avanti, in que-
ste condizioni? Coraggio e buon senso
per demolire questa colata, liberarci i
piedi e le gambe per poter riprendere a
camminare. La colata di cemento è data
dalle decine di migliaia di leggi, partorite
da menti più sensate che intelligenti,
nonché dall'indiscriminata discrezionali-
tà dei frustrati che siedono negli uffici
pubblici. Immaginiamo un'Italia al punto
zero. Iniziamo oggi, ma con tutta l'espe-
rienza maturata fino a ieri. Immaginiamo
di abrogare, in un giorno, tutte le Leggi
esistenti. E, sulla scorta delle migliori
esperienze nazionali ed estere, ripartire
da zero. Nuove Leggi, nuove regole,
nuovi stili di vita sociali, e lavorativi. Al
passo con la realtà e non con le mazzette
di politici e amministratori o la mentalità
distorta di taluni ortodossi che vorrebbe-
ro tutto bloccato e vincolato, senza saper
nemmeno più spiegarne il perchè. Bene.
Oggi potremmo scrivere quelle nuove
Leggi e domani dire: «Popolo Italiano,
da oggi, abroghiamo d'un colpo solo tutti
i legacci e i paletti creati negli ultimi 60
anni (30.000 Leggi). E, da oggi, sono in
vigore queste nuove, 3.000 in tutto, pen-
sate per semplificare la vita a tutti e fa-
vorire sviluppo e benessere di ognuno.».
Non è fantascienza sul piano della fatti-
bilità. Lo è solo sul piano politico. Nella
migliore delle ipotesi, proveranno a
smantellare le 30.000 Leggi, un articolo
alla volta. Come dire che proveranno a
demolire la colata di cemento a colpi di
spillo. Quando torneremo ad avere i pie-
di liberi per camminare? Un intervento a
costo zero per il governo, che dia sensa-
zione di buon senso e meno ansia nella
vita di ogni italiano? Cambiamo gli as-
surdi limiti di velocità sulle strade! Limi-
ti di 30 km orari, su un'extra urbana ap-
pena fuori Jesolo, hanno solo uno scopo,
e non è la sicurezza di chi guida ma sono
le multe propinate con l'autovelox, da
una pattuglia di carabinieri nascosti
nell'ombra, all'uscita da un dosso. E di
esempi simili, potremmo farne a decine.
Tutti a costo zero. Ma non lo faranno. E'
un paese questo? Io me ne andrei doma-
ni. Se una mente umana può concepire
una cosa, significa che quella cosa può
essere fatta. Basta volerlo. E non chiede-
temi esempi, i vostri occhi stanno fissan-
do un'oggetto che ne è la dimostrazione.
Cosa è cambiato nella professione di
geometra in questi anni? Che cosa
consiglieresti ad un giovane diploma-
to?
La professione di geometra è mutata da
quella di progettista di case e misuratore
di confini nelle campagne a quella di
burocrate, pubblico ufficiale, al servizio
di sua maestà, l'Amministrazione Pubbli-
ca. L'Amministrazione vara nuove leggi
che si traducono invariabilmente in nuo-
vi adempimenti e costi per il cittadino.
Raccontare questa cosa alla signora Ma-
ria è un onere che il politico ha vigliac-
camente delegato in modo coatto ai tec-
nici, i quali si sentono ogni volta accusa-
re, come se la Legge l'avessero fatta loro.
Non solo, spesso la reazione del cittadi-
no-cliente è quella del diffidente che ti
guarda come se gli stessi raccontando
una bugia, per estorcergli denaro in pre-
stazioni professionali che forse, in realtà
non sono davvero obbligatorie; sei tu,
geometra, che provi ad approfittare. Co-
me se non bastasse, dopo aver superato il
sospetto di truffa aggravata, devi anche
controllare che la signora Maria faccia
quel che i burocrati hanno deciso; e se
non lo fa, la devi denunciare. Devi de-
nunciare, civilmente e penalmente, il
cliente che ti paga la parcella. Ho già
detto che me ne andrei da questo assurdo
Paese? Viene naturale la risposta ai gio-
vani diplomati: andate all'estero. Strap-
pano applausi le belle parole del nostro
giovane premier boy scout: «non andate-
vene dall'Italia», ma è troppo comodo
pregare i giovani di restare, dopo aver
tolto loro il futuro. Inoltre, il toscano, per
ora, riesce solo a parlare, cinguettare, e
ragliare. Non ho ancora visto una sola
azione tangibile. Francamente, dire:
«datemi 3-4 anni di potere assoluto e poi
se non riesco a mantenere l'impegno me
ne andrò di mia iniziativa», mi sembra
un proclama traducibile in: «fatemi inta-
scare mazzette, potere, favori, stipendio
e benefici, per 4 anni. Poi, dopo che avrò
riempito i forzieri, e non saprò più dove
metterli; sistemato amici e amici degli
amici, potrò anche togliere il disturbo.
Forse! Perchè potrò sempre dare la colpa
a qualcuno, per non essere riuscito a fare
qualcosa.». Andate all'estero. In futuro,
se proprio sentirete tutta questa nostalgia
del “Bel Paese”, e il luogo dove sarete vi
sembrerà peggiore dell'Italia, nessuno vi
vieterebbe di tornare. Non ho mai sentito
di emigrati che volessero tornare, ma
non si sa mai. Perchè dovete stare quì
voi, a sistemare i danni fatti da altri, pro-
prio a voi? Non vi chiedono di restare
quì perchè promettono di darvi un Paese
migliore. Ve lo chiedono perchè se i
giovani se ne vanno, il politico, domani,
non avrà più nessuno da spremere. La
speranza è una bella cosa. Ma farsi pren-
dere a calci una vita intera, dal proprio
Paese, ”sperando” che prima o poi smet-
ta, mi sembra stoltezza, non ottimismo.
Troppo cinico? Va bene. Se è così grade-
vole, posso fare anch'io la sviolinata alla
grande Italia, con tutte le sue potenzialità
e la necessità di un pensare positivo, con
la giusta speranza e fiducia. Tiriamoci su
le maniche, smettiamo di lamentarci e
diamoci da fare. Bello. Ma cosa avrei
detto, di vera sostanza, alla fine?
«Diamoci da fare, così la nuova classe
politica potrà reiterare i vizi della prece-
dente». Io amo l'Italia, inteso come terra,
territorio e genti di ogni luogo, con il
loro spirito e le loro tradizioni, per non
parlare di cibo, vino, e fantasia. Ma di-
sprezzo profondamente, ai limiti dell'o-
dio viscerale, tutti i politici e la stragran-
de maggioranza degli amministratori
pubblici locali. Dai Comuni alle Regioni.
Ho visto personalmente schifezze inenar-
rabili. E ho visto solo cose infinitesimali,
rispetto a quello che fanno. Li ritengo il
gruppo di persone più spregevoli, visci-
de, disoneste e false che il cielo abbia
mai visto sotto di se. Rubano, sotto gli
occhi di tutti, e negano... negano! Lo si
fa in ogni Paese, e sempre lo si farà,
obietterà polemicamente qualcuno.
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INTERVISTE
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INTERVISTE
«Certo -rispondo- ma c'è una misura in
tutto, anche nel rubare. Questi, hanno
perso la misura dall'82, dopo la vittoria
ai mondiali». Lo Stato è come una colos-
sale azienda. Cosa fa, se non gestire sol-
di, prendendoli e spendendoli? Entrate,
uscite. Siamo nel 2014. L'amministrazio-
ne dei soldi non si affida a un politico
ma a un manager! Una persona che abbia
la preparazione giusta, e non mi importa
se sia di destra o di sinistra. Il politico
può decidere aborto si, aborto no. Divor-
zio si, divorzio no. Staminali si, stamina-
li no. Ma non può decidere come e dove
spendere denaro. Perchè l'unica cosa che
sa fare è mettere le mani nella cassa, per
riempire le tasche sue, di parenti e amici.
Salvo poi inventare nuovi tributi, per
coprire l'ammanco di cassa. Salvio saprà
dove tagliare, il mio eccesso di infervo-
ro. (Assolutamente NO! n.d.r). Consiglio
più sobrio ai giovani diplomati? Andate
a lavorare gratis, in tanti posti collegati
al lavoro che vorrete fare. Fissatevi un
periodo. 2 anni, 4, 6. Dipende. Trovare
lavoro sappiamo che è difficile, stare a
casa a grattarsi? Liberi di farlo. Ma si
chiede sempre esperienza. E' un circolo
vizioso. Rompetelo. Per fare il geometra,
è utile e necessario sapere di laterizio,
acciaio, vetro, geologia, impiantistica,
edilizia, management, marketing, grafi-
ca, gestione e programmazione di un
cantiere, catasto, topografia e molte altre
cose. Andate per alcuni mesi, gratis, a
lavorare in luoghi che realmente vi inse-
gnino qualcosa, in quanti più sotto-
settori vi sia possibile. Senza, però, farvi
sfruttare, lavorando senza apprendere
nulla. Se davvero avete la fortuna di tro-
vare qualcuno che vi insegni un'arte, il
vostro lavoro sarà già abbondantemente
ripagato. Un bravo maestro, che vi inse-
gni davvero l'arte e i suoi trucchi, è im-
pagabile. Se avrete la fortuna di trovare
molti maestri, scegliendo a vostro piace-
re, seguendo la vostra indole, e che que-
sti vi insegnino qualcosa (e lo intuirete
spontaneamente se questo sta avvenendo
oppure no) alla fine del periodo che vi
sarete dati, avrete ottenuto molto di più,
rispetto al vagare senza mèta in cerca di
un lavoro che nessuno vi darà perchè
non avete esperienza. A quel punto, una
discreta esperienza l'avrete e sarà varie-
gata! Il vostro servizio: prezioso. A buon
intenditor...
Qualche tempo fa ti abbiamo visto alle
prese con i droni per un rilievo... che
sensazione hai provato a lasciare a
casa la vecchia rullina metrica, blocco
notes e matite?
Ah, ecco la domanda sui droni. Salvio,
perdonami, ma la cordella metrica era a
casa da mo’. Da ormai 12 anni, in vali-
getta c'è il Disto laser. Blocco notes e
penna, invece, resteranno in dotazione
per un bel po’. L'uso dei droni affascina
molto, come ogni novità. Per compren-
derne il funzionamento, però, ho impie-
gato un po’ di tempo. Da un lato, perchè
le risposte alle mie domande non erano
chiarissime, dall'altro perché, in quanto
novità, ho dovuto portare a termine al-
meno il primo lavoro per capirne il mec-
canismo. Niente affatto intuitivo. Quanto
alle risposte poco chiare, talvolta ho avu-
to il sospetto che i miei collaboratori
esterni non volessero divulgare il proprio
know how e che, quindi, rispondessero
glissando, o quanto meno, lo facessero
mettendoci in mezzo alcuni fumogeni.
Quanto al meccanismo, ho dovuto mette-
re a fuoco la differenza tra laser scanner
e aerofogrammetria. Due tecniche paral-
lele. I miei collaboratori usano la foto-
grammetria. Eventualmente integrata dal
laser scanner ove l'intervento lo richie-
desse. La precisione è quasi assoluta.
Tanto per iniziare, il drone non è ricon-
ducibile solo ai multicotteri, quella sorta
di UFO a 4, 6, 8 o 10 eliche, ma anche
ad elicotteri e aerei radiocomandati. Su
ognuno di questi può essere installato
uno strumento, non solo fotografico, ma
anche di altra natura: geologico, infraros-
si, termocamera, ecc.. La tecnica dell'ae-
rofotogrammetria, come sanno i geome-
tri, si basa sulla stereoscopia delle ripre-
se di un punto, applicandovi la trigono-
metria. Non possiamo metterci a spiegar-
lo quì. Il tutto, fatto su migliaia di punti,
nel sito da rilevare. Alla fine, si otterrà,
anche con questa tecnica, una nuvola di
punti da elaborare. Con un plus: abbiamo
anche le foto, di tutto. Tali foto, oltre
all'elaborazione fotogrammetrica, funge-
ranno anche da texture, fornendo i mate-
riali da applicare all'intero modello. L'u-
nico limite-problema riscontrato è legato
alla risoluzione da ottenere nel file fina-
le. Le riprese sono ad altissima risoluzio-
ne, una nuvola di punti e le textures,
tenute al massimo livello, rendono inge-
stibile il file. Si è dovuto trovare il giusto
compromesso tra risoluzione e potenza
di elaborazione di un computer di medie
dotazioni hardware.
Cosa ne pensi della stampa 3D e della
realtà aumentata?
Potenzialità infinite. Oggi nemmeno
immaginabili. Salteremo a piè pari la
sala ologrammi, per arrivare direttamen-
te alla virtualità complementare alla real-
tà. Penso subito ai Google Glass, la cui
tecnologia è applicabile in qualsiasi set-
tore; anche se i primi che mi vengono in
mente sono Turismo e Immobiliare. Po-
trebbero sparire cellulari, smartphone e
tablet, perchè il concetto di Mobile po-
trebbe essere interamente soppiantato
dagli occhiali che, cosa non trascurabile,
manterrebbero libere le mani: un aurico-
lare all'orecchio e ogni comando gestito
dal movimento della pupilla, con qualche
interazione manuale. Ecco che avere
qualsiasi informazione, in qualsiasi luo-
go, inerente qualsiasi cosa, sarà una real-
tà. Temo qualche effetto collaterale a
occhi e cervello ma temo anche l'inelut-
tabilità di tale progresso. La stampa 3D
credo darà moltissime nuove opportunità
e cambiamenti ma non sarà altrettanto
rivoluzionaria. Realtà e progresso sono
imprevedibili. Potrei essere smentito su
tutta la linea.
Sei stato tra i primi ad aderire alla
nostra Community (che tra poco com-
pie 2 anni di vita) cosa ti spinse all'e-
poca ad iscriverti?
Una cosa molto semplice: nome della
community e logo. Quando non si cono-
sce una cosa, la si sceglie per il motivo
più istintivo: come si presenta ai nostri
occhi. Cosa nota da circa 50 anni agli
esperti di marketing che spendono cifre
prodigiose per lo studio delle confezioni
dei prodotti o le copertine di un libro. Mi
hai chiesto perchè mi sono iscritto. Non
perchè ci sono rimasto. Se hai dimentica-
to una parte della domanda, ci sono ri-
masto perchè tu sai tenere viva la com-
munity, dedicandovi tempo, lavoro e
passione. Inoltre, sono presenti svariati
talenti che contribuiscono postando i
loro bei lavori o anche solo per due
chiacchiere.
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INTERVISTE
Gabriele Asero Finalmente ho il piacere di intervistare il primo iscritto alla nostra Community!
Era “latitante” per motivi di lavoro ma sono riuscito a beccarlo prima che sparis-
se nuovamente! Fin dai primi contatti rimasi stupito dalle sue realizzazioni e dal
fatto che Gabriele avesse imparato, tutto da solo, programmoni di CAD come
AutoCAD e SolidWorks e che, non pago di tanto, continuasse a dichiarare
guerra ad altri software della portata di 3D Studio Max, sino alla vittoria. Impe-
gnato da anni col volontariato militante, Gabriele è un bellissimo esempio di
gioventù “spesa bene”!
Chi è Gabriele Asero?
M i sembra strano dirlo ma
da qualche giorno ho
compiuto 30 anni! Sono
nato a Catania il due di
settembre, appena finita l’estate del
1984. Vivo ancora lì ove ho studiato
come Capotecnico in Elettronica e Tele-
comunicazioni. Attualmente lavoro come
grafico presso una serigrafia ma, per
dieci anni, ho lavorato anche nel settore
amministrativo di una piccola azienda
locale.
Fin dai primi giorni di Google Plus hai
messo come immagine del profilo un
brand "CAD 39"... Ma cosa significa?
Allora, semplicemente “CAD” proviene
da AutoCAD: è stato il primo software
con il quale ho disegnato sin da scuola;
“39” altro non è che il mio numero pre-
ferito insieme al “4” . Circa la grafica
del logo, in sé e per sé, ricordo che stavo
provando a comprendere il concetto Spi-
lines in AutoCAD, ed è uscito fuori quel
simbolo.
Da tanti dettagli si capisce che ami la
Computer Graphic in maniera svisce-
rata... Quando è nato questo amore?
Hai fatto qualche corso particolare?
Disegnare mi rilassa, mi rilassa a lavoro
e mi rilassa quando lo faccio normal-
mente a casa . E’ bellissimo poter con-
cretizzare un semplice pensiero in qual-
cosa di “visibile”: oggi, poi, con l’avven-
to delle stampanti 3D , si può toccare
fisicamente il tavolo o la lampada che
avete progettato! L’amore per il disegno
è nato quando ancora lavoravo come
impiegato; precisamente non ricordo
quale fu la scintilla, installai in fretta e
furia, sul PC dell’ufficio, AutoCAD LT,
una release vecchissima. Solo dopo un
annetto circa, ho frequentato un corso di
AutoCAD in cui ho imparato pratica-
mente nulla , devo essere sincero . Sei
mesi dopo persi il lavoro, riduzione di
personale. La tragedia della disoccupa-
zione. Unica soluzione per non impazzi-
re era quella di trovare nuova energia per
andare avanti, una passione per fare tra-
scorrere più in fretta le lunghissime ore:
AutoCAD h24! La soluzione unica al
momento era quella; poi ci presi gusto, i
primi colori sullo schermo, anche solo
quelli delle viste concettuali, le prime
estrusioni 3D, i primi render. Poi è stato
tutto un percorso in discesa, faticoso e
ostico, ma l’ho fatto sinceramente con il
cuore oltre che con la rabbia.
Cosa significa essere giovani creativi
al Sud Italia?
Poco per non dire nulla. Il nostro lavoro
è particolare: la gente è convinta che
basta dire al PC “fai!” e il PC fa. Non è
così. Per quanto riguarda la valorizzazio-
ne della creatività, penso che la situazio-
ne sia ancora peggiore. Al momento qui
abbiamo problemi molto gravi, come nel
resto d’Italia d’altronde, ma, ad ogni
modo, mi sto accorgendo che il gusto per
il Made in Italy, e per le cose “belle”, sta
sempre più fuori dal Sud Italia e più in
generale dai confini nazionali. Parliamo-
ci chiaro, ci stanno comprando tutto, e ai
loro prezzi!
Il tuo storico "nemico" era 3D Studio
Max contro cui eri sceso in guerra...
Chi ha vinto?
Vero! Sinceramente, lo odiavo ma era
colpa mia, perché non lo comprendevo,
poi ho imparato a capire i suoi difetti e
ad amare i suoi pregi: così finalmente ci
siamo potuti sposare anche se, sincera-
mente, l’amore mio ufficiale è un altro…
Seriamente, non si finisce mai di impara-
re, io sono ancora agli albori, o poco
dopo . 3DS è fantastico nella sua com-
plessità, fai tutto però devi conoscere le
corde da far suonare. 3DS non vive di
vita propria ma è animato da tanti altri
piccoli software che lo rendono unico.
Parlo di plug-in vari, parlo dei motori di
render che sono con esso compatibili. Io,
personalmente, ho preferito farmi prima
le ossa con un Mental Ray, poi sono pas-
sato a V-Ray. Bellissimo!
Hai interessi a 360° sferici nella grafi-
ca digitale... Quale software ti ha ru-
bato il cuore?
Rispondo in maniera secca, diversamen-
te (chi mi conosce lo sa) se iniziassi a
elencarne tutti i pregi, non finirei più!
Comunque è Solid Works. Sinceramen-
te, per prima cosa mi sono innamorato
del suo motore di render, molto simile a
Keyshot (anche se di software house
diverse). Sistemi di modellazione intuiti-
vi, infinite possibilità in fase di schizzo,
release di volta in volta migliorate e non
con un semplice lifting all’interfaccia ma
con l’introduzione di nuove funzioni
concrete.
Chi è l'artista digitale che più ti ha
colpito e perchè...
Sono tre i modelli cui io “provo” a fare
riferimento: Marco di Lucca per le fanta-
stiche textures, lui si occupa di modella-
zione organica: in parte ha costruito an-
che diversi personaggi del celebre film
“Avatar”; poi l’Arch. Giulia Calvani,
conosciuta qui in Community , per il
gusto fine e semplice dei suoi lavori; in
fine, Franz Lami per l’abilità nell’uso
della combo 3DS Max / V- ray .
Il volontariato umanitario è l'altra
faccia di Gabriele Asero... Parlaci del-
le esperienze che più ti hanno forma-
to...
Ho iniziato nel 2004, facevo servizio di
assistenza in mensa presso le Suore di
Madre Teresa, qui a Catania. Da lì, è
di Salvio Gigl io
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INTERVISTE
Un mondo di modelli e progetti…
Sfogliando il profilo di Gabriele ci si rende conto della sua immensa passione per la modellazione 3D. Partendo dai primi esperimenti su SolidWorks (in alto) passando per AutoCAD fino a 3D Studio Max, Gabriele ha fatto suoi questi soft-ware! Qui a sinistra Gabriele lavora alla sua sfiziosissima “PACMAN LAMP” :D
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INTERVISTE
iniziata la bellissima esperienza in Alba-
nia: ho prestato assistenza a persone di-
versamente abili in un paesino del nord
che si chiama Rreshen. Quella terra mi è
rimasta nel cuore in tutti i sensi; ancora
oggi, quando capita di essere triste, an-
nuso della terra che ho portato dall’Al-
bania, da Kalivaq esattamente. Da un
anno circa, poi, ho iniziato a fare servizio
in ospedale come Clown di Corsia, emo-
zioni diverse ma bellissime. Donare sem-
plicemente facendo ridere, si può chiede-
re altro?
Sei molto giovane e come Lorenzo
Caddeo ascolti musica della mia gene-
razione... Da cosa viene questa passio-
ne?
Lorenzo! Lorenzo oltre che ascoltare
“musica” disegna anche benissimo! E’
uno dei motivi per i quali hai il piacere di
entrare in Community e leggerne i post,
sinceramente. Io adoro il passato, l’uni-
co motivo per il quale ancora pagherei il
canone sarebbe per l’esistenza di Rai
Storia, Rai 3 e Rai News. Io oggi parlo
di noise, di blur, di ambient occlusion
mentre, una volta, c’era la matita! Il Co-
lonnato del Bernini è stato fatto quando
non c’era AutoCAD ed esiste ancora. Il
passato siamo noi che viviamo nel pre-
sente e siamo anche futuro perché quello,
in parte, dipende anche dalle nostre azio-
ni quotidiane. E poi, dovrei preferire
Salmo o “artisti” del genere a Giovanni
Lindo Ferretti? La musica è bella tutta,
solo che a me quella convenzionale non
piace, non mi rilassa perché non la riesco
a capire. Dove trovo un testo scritto co-
me quelli di Piero Ciampi o Bertoli o
altre persone del genere? Oggi basta che
urli, vai da Amici, poi passi da Rai 2 e
sei arrivato; durano un anno e poi nean-
che loro ricorderanno di essere stati in
sala d’incisione (se non fosse per i soldi
che hanno incassato).
Cosa vuoi fare da grande?
Da grande, sarei felice se potessi conti-
nuare a fare ciò che sto facendo adesso.
Ho avuto modo di approfondire e lavora-
re quotidianamente con il vettoriale, ho
prodotto anche grafica 3D per l'allesti-
mento di attività commerciali, ho realiz-
zato delle grafiche per insegne, ho avuto
modo di poterne fare le simulazioni. In-
somma, se avessi dovuto pensarlo prima,
mi sembrava impossibile. Dall'altro lato,
devo confrontarmi con una realtà ostica e
dura! Come dicevo prima c'è davvero
molto poco. Io intanto l'unica cosa che
posso fare, e sperare, è lavorare e conti-
nuare a studiare.
Sei stato il primo iscritto alla nostra
Community... cosa ti colpì allora, cosa
cambieresti e, in generale, cosa ne pen-
si di questo progetto?
Sinceramente, la prima cosa che catturò
la mia attenzione fu il logo della Com-
munity. Per primo solo quello, poi ho
pensato che avrei anche potuto ricevere
un aiuto e che sarebbe potuta essere
un’ottima fonte d’istruzione. Così è stato.
Sicuramente ho imparato molto in
Comm, ho avuto modo di confrontarmi
con professionisti seri e con apprendisti
come me. E poi, come potrei immaginare
che la Comm non esista! Ultimamente,
sto dedicando meno tempo alla condivi-
sione ma leggo comunque i post ogni
volta che arriva la notifica sul cellulare,
anche solo per curiosità. Della Commu-
nity non cambierei nulla , solo un auspi-
cio: che in tempi in cui tutto è
"passeggero”, ARS non lo sia. Grazie
mille Comm.!
Ama il prossimo tuo…
Altro aspetto caratteriale di Gabriele è la propensione a fare suoi i problemi sociali… Prima in Albania, poi nelle corsie ospedalie-re e negli ospizi, perché bisogna essere mili-tanti quando si fa del volontariato! In que-ste foto lo vedete nei panni di Spaghetto, il clown che è al fianco dei bambini degenti negli ospedali pediatrici e non solo… anche di nonni ospiti delle case di riposo.
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49
LIBRI
E sistono software per il disegno
3D più professionali di Sket-
chUp, che gestiscono meglio la
messa in tavola e sono in gra-
do di disegnare automaticamente sformi,
smussi e raccordi e calcolano addirittura
la deformazione del pezzo sotto sforzo.
Quindi perché usare SketchUp? Faccia-
mo alcuni paragoni :
Il prezzo
•Un software parametrico costa dai 3000
ai 6000 Euro e il suo aggiornamento
annuale dai 500 ai 1000 Euro.
•SketchUp costa 450 Euro e l'aggiorna-
mento annuale 78 Euro.
•Per iniziare ad usare un software para-
metrico serve un corso di 4 o 5 giorni da
fare fuori casa con un costo che può va-
riare da 1500 a 3000 Euro.
•Per iniziare ad usare SketchUp servono
3 o 4 giorni da solo a casa seguendo le
istruzioni di questo eBook.
Il tempo
•Con un software parametrico servono 4
o 5 mesi di tempo per riuscire a svilup-
pare un primo progetto di una certa com-
plessità.
•Con SketchUp basta un 1 mese.
L'hardware
•Per far girare un software parametrico
serve un computer con almeno 12GB di
memoria e una scheda grafica da 500 a
1000 Euro.
•Per far girare SketchUp un computer
con almeno 2GB di memoria e una sche-
da grafica 400 Euro se vuoi gestire pro-
getti con qualche migliaio di pezzi, se no
va bene qualsiasi scheda.
La gestione dei Files
•La maggior parte dei
software parametrici
genera un file per
ogni pezzo presente
all'interno di un pro-
getto, un file d'assie-
me e un file per ogni
messa in tavola. Nel
caso della Torre (vedi
immagini allegate) avrei avuto 257 file
(uno per ogni pezzo disegnato), un file
d'assieme e 257 file di messe in tavola
per un totale di 515 files che una volta
creati è meglio non rinominare e non
spostare (questi file solitamente vengono
spostati e rinominati con appositi soft-
ware a pagamento chiamati PDM).
•Con SketchUp ho un file d'assieme con
dentro tutti i 257 pezzi e un file di Auto-
Cad con 257 messe in tavola, per un tota-
le di 2 files che posso rinominare e spo-
stare liberamente.
Ovviamente con i software parametrici
se modifichi un pezzo nel progetto auto-
maticamente si modifica la messa in ta-
vola mentre con SketchUp devi ricordarti
di aggiornare anche la tavola in DWG.
Sui professionali le messe in tavola e la
quotatura sono più veloci, con SketchUp
devi preparare i pezzi nelle posizioni che
ti servono, esportarli in DWG, poi ag-
giungere gli assi, le linee tratteggiate e
poi quotarli. SketchUp comunque può
interagire con molti programmi parame-
trici perché la versione PRO è in grado
di esportare e importare in vari formati
2D e 3D (3DS, KMZ, DAE, FBX, OBJ,
STL, STEP, IGES*) per questo molti lo
usano per sviluppare velocemente la
parte 3D che poi finiscono altrove. Ulti-
mamente molte software house danno la
possibilità di importare direttamente i
file di SKP nei loro software. SketchUp
si può anche personalizzare utilizzando
Plugin (o script Ruby), con i quali è pos-
sibile aggiungere strumenti per eseguire
funzioni specifiche o per semplificare
attività altrimenti complicate. Sul web si
di Corrado M otta
Perché SketchUp?
Un manuale dal sapore della saggistica tecnica HOEPLI
su cui si sono formate intere generazioni di disegnatori
tecnici. Il lavoro di Corrado Motta è utilissimo per i princi-
pianti e per coloro che intendono approfondire tutti gli
aspetti di questo straordinario software che è diventato
l’alternativa più economica ed immediata a tanti blasona-
tissimi e costosissimi software della stessa fascia...
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trovano migliaia di script gratuiti e a
pagamento realizzati dagli utenti per
aggiungere le funzioni più disparate.
Questo e-book
Guardando il sito di SketchUp, e navi-
gando in rete, è facile rendersi conto che
SketchUp è molto usato in tutto il mon-
do, anche in modo professionale. In Ita-
lia, invece, è considerato un software per
giocare, e pochi si rendono conto delle
sue reali potenzialità. Ho scritto questo
libro per mostrare come sono riuscito a
sviluppare grandi progetti in modo pro-
fessionale ottenendo risultati per nulla
inferiori a quelli ottenibili con software
più blasonati. Nel libro insegno il meto-
do che utilizzo da anni, con spiegazioni
facili, alcuni esercizi e qualche trucchet-
to per aggirare le mancanze di SketchUp.
Lo scopo è quello di ottenere un risultato
soddisfacente in poco tempo e con po-
chissime risorse. Per questo mi sono
limitato a spiegare solo quello che serve
per realizzare disegni 3D precisi e ben
organizzati, pronti per essere esportati e
trasformati in disegni esecutivi su Auto-
Cad o DraftSight tralasciando le funzioni
estetiche o non utili a questo scopo. Il
risultato è un insieme di istruzioni e con-
cetti semplici, spiegati attraverso esercizi
che possono essere eseguiti anche da chi
è alle prime armi. In alcuni esercizi ver-
ranno disegnati pezzi di carpenteria me-
tallica ma con lo stesso metodo si può
disegnare mobili o scale in legno, abita-
zioni in muratura e qualsiasi altra cosa.
Io ho pesino disegnato i fogli di carta da
parati da applicate alle pareti di un mu-
seo, ricavando la quantità e la lunghezza
esatta di ogni rotolo. Molte aziende in
vari settori potrebbero trarre vantaggio
imparando ad usare SketchUp in questo
modo. Ultimamente l'ho insegnato a de-
cine di persone e tutte si sono meravi-
gliate di quanto sia intuitivo e poi lo han-
no usato in edilizia, in falegnameria, in
carpenteria. Alcuni sono diventati dise-
gnatori avviando un'attività da liberi pro-
fessionisti.
In sintesi
Nella prima parte del libro c'è una pre-
sentazione del programma con alcune
immagini di progetti, una descrizione
dell'interfaccia, i requisiti minimi e
l'hardware consigliato. Nella parte cen-
trale ci sono le indicazioni per scaricare
gli Esercizi che dovranno essere svolti e
le spiegazioni per:
Impostare le Barre degli Strumenti.
Impostare i tasti rapidi.
Capire come cliccare.
Capire come selezionare.
Capire come usare i Gruppi e i
Componenti.
Organizzare l'area di disegno in Zo-
ne.
Capire i Layer e le Scene.
Preparare le scene per l'esportazio-
ne. Esportare. Poi nella parte finale c'è una descrizione
delle funzioni dei Menù, degli Strumenti
e delle Finestre che è utile consultare
durante lo svolgimento degli Esercizi.
Progettare
Al giorno d'oggi per realizzare un buon
progetto senza errori servono tre cose :
Le risorse. Per risorse intendo i soldi
necessari per l'acquisto di un software di
disegno 3D e di un computer in grado di
farlo funzionare egregiamente.
Le capacità. Le capacità sono nella per-
sona che usa il software, e più il software
è sofisticato maggiori devono essere le
capacità di chi lo usa.
Il tempo. Il tempo è il tempo necessario
per disegnare tutti, ed intendo dire pro-
prio tutti, i pezzi che compongono il pro-
getto.
Poche aziende però riescono ad avere
tutti e tre i requisiti, e nella maggior par-
te dei casi succede che, per mancanza di
risorse, si opti per software 2D più eco-
nomici che non richiedono particolari
capacità. Il risultato di questa scelta si
trasforma però in errori di progettazione
dovuti al fatto che, con il disegno 2D,
non è possibile vedere in modo chiaro i
dettagli più complicati. In altri casi inve-
ce, si punta all'acquisto di software 3D
sofisticati ma difficili da usare e, per
mancanza di capacità o per mancanza di
tempo, si finisce per disegnare solo il
grosso del progetto tralasciando i dettagli
(i bulloni, i cavi, i tubi, gli accessori). Il
risultato, anche in questo caso, si trasfor-
ma in errori dovuti alla mancanza di parti
che durante il montaggio interferiscono e
costringono a modifiche in fase di mon-
taggio. Con SketchUp è possibile avere
tutti e tre i requisiti, perché costa poco,
è facile da usare e, in poco tempo si pos-
sono disegnare strutture, impianti e mac-
chine complesse con tutti i dettagli e
senza errori! In questo libro insegno co-
me usare SketchUp e come superare i
suoi limiti attraverso spiegazioni ed eser-
cizi pratici. Con SketchUp puoi fare mol-
te più cose di quelle che ti aspetti.
LIBRI
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MUSICA
C omporre musica tramite varia-
zioni su un tema è uno dei
procedimenti più diffusi in
ogni espressione musicale, sia
colta che popolare; in Europa, come spe-
cifica forma musicale, la variazione si
afferma durante il periodo rinascimentale
e nel tempo diventa uno dei generi più
frequentati, utilizzato dai musicisti per
mettere in risalto le loro abilità virtuosi-
stiche. Variazione, nella sua accezione
di cambiare, mutare, modificare, in am-
bito musicale assume il significato di
riproporre un'idea musicale modifican-
dola rispetto alla sua forma originaria; i
processi di modificazione via via adottati
nei riguardi di uno o più aspetti del tema
iniziale (armonia, melodia, articolazione
del contrappunto, ritmo, timbro strumen-
tale) possono svilupparsi fino a quando
l'idea primigenia, diventata irriconoscibi-
le, è di fatto un'altra composizione del
tutto diversa. Secondo tradizione possia-
mo distinguere tre procedimenti di varia-
zione, dal più semplice al più complesso.
L'ornamentazione è la modalità che, ap-
plicando figure melodiche o ritmiche,
lascia pressoché invariata la struttura del
tema che, pertanto, rimane facilmente
riconoscibile. L'elaborazione è un proce-
dimento più complesso dove il composi-
tore interviene anche nella struttura del
tema modificando le frasi, le proporzio-
ni, le cadenze; tuttavia il tema originario
è ancora, in qualche modo, riconoscibile.
L'amplificazione ci presenta un brano
che con il tema iniziale ha in comune
soltanto lo spunto, un accenno al mate-
riale da cui deriva. E' un procedimento
che spesso troviamo come finale di una
sequenza di variazioni, in crescendo dal-
la pù semplice alla più elaborata; in que-
sto caso l'ultima può essere una fantasia,
una fuga, una passacaglia o una ciaccona
sulle prime battute del tema. L'uso della
variazione inizia ad essere documentato
con il canto gregoriano, nel quale trova
impiego con grande ricchezza di forme;
nella salmodia, ad esempio, si passa gra-
dualmente da un testo elementare e silla-
bico alle complesse fioriture dei respon-
sori e dei graduali. Nei primi anni del
Cinquecento, particolarmente in Spagna
e Inghilterra, iniziano ad affermarsi le
variazioni strumentali da eseguire al liuto
o con strumenti a tastiera e, in quest'am-
bito, grande rilievo andranno ad assume-
re i compositori tedeschi e gli italiani,
con Girolamo Frescobaldi il rappresen-
tante più significativo. In molti Paesi
europei il materiale tematico su cui inter-
venire è costituito quasi sempre da melo-
die e arie popolari; un esempio tra tutti:
le innumerevoli variazioni sul tema della
Follia. Nella Germania protestante, pe-
raltro, inizia ad affermarsi la variazione
su melodie di corale, che trova il più alto
vertice nell'opera di Johann Sebastian
Bach. Nell'età classica, le variazioni si
espandono verso forme più libere e, oltre
a costituire una forma autonoma, il tema
con variazioni viene spesso impiegato
nei movimenti lenti delle sinfonie, delle
sonate e delle composizioni cameristi-
che. Nel Beethoven maturo, ad esempio
nel quartetto per archi Op.127, nel se-
condo movimento della sonata per piano-
forte Op. 111, e nelle Variazioni su un
tema di Diabelli, le variazioni sono or-
mai così complesse da non avere più
niente in comune con l'antica arte di or-
nare un tema. Ai primi del Novecento
abbiamo un esempio emblematico della
variazione timbrica, il Bolero di Mauri-
ce Ravel, in cui la linea melodica, lo
schema armonico e il ritmo sono presso-
ché costanti per tutta la durata del brano,
ma la strumentazione impiegata varia
continuamente, arricchendosi di volta in
volta. Con l'avvento della musica dode-
cafonica, sia Schönberg che Webern
creano importanti lavori basati sulla va-
riazione. Nel corso del Novecento, oltre
l’ambito della dodecafonia, di variazioni
si occupano anche Hindemith e Britten
che, al suo brano più conosciuto, "The
Young Person’s Guide to the Orche-
stra", appone il sottotitolo "Variazioni e
fuga su un tema di Henry Purcell".
In considerazione della vastità dell'argo-
mento, questo articolo, lungi dal voler
essere esaustivo, fornisce necessariamen-
te una breve sintesi che ne mette in evi-
denza gli aspetti principali; lascio all'ini-
ziativa del singolo lettore la facoltà di
ulteriori approfondimenti, anche median-
te le innumerevoli, qualificate risorse
disponibili in rete. Il concetto di tema
con variazioni è efficacemente illustrato
dal Maestro Raffaele Napoli in questo
breve filmato:
http://www.scuola.rai.it/articoli/il-tema-
con-variazioni/5278/default.aspx
In relazione agli aspetti connessi con il
Diritto d’autore, può essere utile la let-
tura dell'articolo "Le variazioni e le ela-
borazioni musicali nel Diritto d'auto-
re", a cura dell’avv. Giovanni d’Am-
massa su questa pagina WEB:
http://www.dirittodautore.it/la-guida-al-
diritto-dautore/loggetto-del-diritto-
dautore/le-opere-musicali/le-variazioni-e
-le-elaborazioni-musicali/#.U-
X2p9adnW8
di N ico la Amalf i tano
La variazione
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NEW HARDWARE FOR CAD
I n questa puntata ci occuperemo
degli HBP, letteralmente Heat Bed
Platform. Le rime due parole, Heat
e Bed, assumono nella nostra lin-
gua un certo significato: letto caldo!
Subito la nostra fantasia si accende e la
mente comincia ad evocare notti di sfre-
nata e travolgente passione tali da arro-
ventare il nostro letto… Sono spiacente
di dover brutalmente stroncare queste
piacevoli visioni, ponendovi dinanzi ad
una semplice piastra quadrata, di una
ventina di centimetri di lato, la cui fun-
zione è solo quella di evitare che i primi
strati di una nostra eventuale stampa in
ABS, appena estrusi, si solidifichino
troppo velocemente facendo così defor-
mare il resto dell’oggetto! Girando sul
web, in cerca di una traduzione orecchia-
bile, ho trovato frequentemente “piatto
riscaldato”… Non so perché, ma questo
termine mi metteva una certa tristezza!
Mi fa pensare, infatti, ai resti di un pran-
zo modesto conservati e riciclati la sera
per una cena da consumare magari pure
in solitaria! Ho pensato, quindi, che cam-
biare l’aggettivo “riscaldato” in
“termico” avrebbe avuto un suono molto
più tecnico, elegante ed intuitivo… Ecco
quindi piatto termico, di cui userò l’a-
cronimo PT, per descrivervi un compo-
nente molto importante per una stampan-
te 3D se si decide di utilizzare filamenti
di ABS come materiale per la stampa.
Infatti, molti siti specializzati non riferi-
scono evidenti mi-
glioramenti in termi-
ni di qualità con il PT
per prove effettuate
con filamenti in PLA
o polimeri simili.
Lo sviluppo del PT
ha una sua storia nel pur breve arco di
esistenza delle stampanti 3D ed è ancora
oggetto di ricerca da parte di aziende ad
hobbisti. Alcune realizzazioni, molto
empiriche, utilizzano delle piastre di
alluminio sotto di cui sono fissati, in
“punti strategici”, cinque o più resistori,
come potete vedere nella Fig.2. Questa
soluzione comporta una serie di inconve-
nienti :
- Tensione potenzialmente pericolosa.
Per riscaldare i resistori della piastra
occorre una tensione di una cinquantina
di volt in corrente continua, quindi non
più ELV. La tensione necessaria ai resi-
stori è generata da un ulteriore apposito
alimentatore il cui acquisto aumenta
così le spese generali per la costruzione,
i consumi elettrici, il peso e gli ingombri
della macchina.
- Appesantimento strutturale. Il peso
della piastra, anche se questa è molto
sottile, non è un parametro trascurabile.
Si consideri che la piastra deve avere dei
bordi laterali per proteggere i resistori. In
alcuni casi i resistori sono alloggiati en-
tro delle cave appositamente realizzate
cosa che richiede fogli più spessi, pesanti
e costosi oltre alla realizzazione dell’al-
loggiamento per i resistori stessi. Il peso
della piastra metallica incide notevol-
di Salvio Gigl io
Il piatto termico di una stampante 3D
Un piatto termico è un componente molto importante quando si
fanno stampe con filamenti in ABS. Senza di esso si rischierebbe-
ro deformazioni significative alla base del pezzo, dal momento che
l’ABS, dopo l’estrusione, deve poggiarsi su di una superficie riscal-
data per evitare un brusco indurimento superficiale degli strati che
si paga con perdita di precisione e vistose deformazioni…
56
mente sulle prestazioni di quelle stam-
panti che hanno la testina di estrusione
ferma e la base di stampa motorizzata
poiché i MPP di questa vanno sotto sfor-
zo, soprattutto in caso di stampe pesanti,
accorciandone notevolmente la durata.
- Funzionalità termica insoddisfacente.
Il calore prodotto dai resistori non è uni-
formemente distribuito lungo la superfi-
cie ma è localizzato solo in alcuni punti
della piastra determinando così, tra un
resistore e l’altro, dei gradienti termici
che incidono negativamente sulla geome-
tria del pezzo stampato, poiché le diverse
temperature creano delle tensioni super-
ficiali nel materiale che non risulta mec-
canicamente omogeneo. Aspetto molto
deleterio in caso si stiano stampando
pezzi a cui è richiesta un’estrema preci-
sione!
IL HBP STAMPATO DI PRUSA
Un giovane studente di ingegneria di
Praga, Joseph Prusa ha risolto brillante-
mente il problema del PT ricorrendo,
manco a dirlo, ad una tecnologia molto
simile a quella dei circuiti stampati, di
cui vi ho già accennato qualcosa in que-
sto numero, nell’articolo per la rubrica
ARDUINO. Non a caso il progetto di
Prusa si chiama Heatbed PCB MK1.
Prusa ha adottato un foglio di vetronite,
o di materiale ceramico refrattario,
dello spessore di pochi millimetri, estre-
mamente leggero e rigido. Il foglio è
rivestito galvanicamente di una lega Cu
Ni, semiconduttrice che oppone una
certa resistenza al passaggio della cor-
rente producendo il calore necessario.
L’HB di Prusa si alimenta con i soli 12 V
in CC prodotti dall’alimentatore della
scheda. Ciascuna delle due facce di lavo-
ro della piastra riportano un circuito che
costituisce un resistore, a forma di ser-
pentina, opportunamente collegati in
serie l’un l’altro. Uno strato di vernice
epossidica rossa completa l’HBP PCB.
MONTAGGIO DEL HB PCB MK1
Il PT viene collocato, a quota opportuna,
al di sotto della testina/e di stampa
(estrusore/i) su di uno foglio di materiale
isolante per evitare che il calore generato
dal HB si trasferisca al telaio della
stampante causando seri problemi alla
macchina. Dal sito della RepRap ho
trovato alcuni suggerimenti relativi ai
materiali per l’isolamento termico: le-
gno, cartone, panno di cotone o di lana
sufficientemente spessi. Da vecchio elet-
tricista ho pensato che, anche se la ten-
sione di esercizio è ELV, mettere dei
materiali infiammabili a diretto contat-
to con parti elettriche non è molto sag-
gio! La soluzione migliore è adottare dei
fogli di minerale isolante: la mica. Que-
sto materiale appartenente al gruppo dei
ferrosilicati, è presente in commercio
sotto forma di lastre, più difficili da re-
perire, o di fogli per forni a microonde
di facile reperibilità presso i rivenditori
di ricambi per elettrodomestici normal-
mente nel formato 30 x 30cm con spes-
sore di 0,4mm. Con un paio, o più, di
questi fogli potete rivestire un comune
foglio di compensato utilizzando del
silicone rosso per alte temperature co-
me collante. Il silicone va opportuna-
mente spatolato sul foglio di compensa-
to prima della posa del foglio di mica.
Occorre un giorno intero per ottenere un
incollaggio ottimale. Per la nostra Men-
del possiamo utilizzare un foglio di mul-
tistrato da 10mm opportunamente rivesti-
to di mica come base per il PT. Quando
arriveremo al cablaggio vi darò ulteriori
ragguagli si questo supporto. Il piatto
termico necessita anche di un opportuno
cablaggio per l’alimentazione elettrica
con conduttori di sezione adeguata e op-
portunamente isolati anche dalla tempe-
ratura. Si possono utilizzare tranquilla-
mente:
- i cavetti per i ferri da stiro in gomma
siliconica rivestiti di tessuto;
- cavetto con guaina siliconica e condut-
tori rivestiti di isolante siliconico tipo
FG4G4;
- conduttori unipolari rivestiti in isolan-
te siliconico tipo H05S-K custoditi in
una guainetta di tela siliconata.
I conduttori unipolari dovranno avere
sezioni comprese tra 0,75 ÷ 1,5mmq,
dovranno essere adeguatamente capicor-
dati con occhielli e vincolati al telaio
della stampante con fascette stringifilo
in teflon da 3mm di altezza.
Alla gestione del PT provvede la Ardui-
no RAMPS 1.4 attraverso un sensore
termico opportuno, il thermistor di cui
parleremo diffusamente nella prossima
puntata in occasione degli estrusori. Un
equipaggiamento ottimale per l’alimenta-
zione elettrica di tutta la stampante è un
buon alimentatore power supply 12V,
20A, 240W. Questa unità eviterà, anzi-
tutto, di far passare troppa corrente nella
scheda, scongiurerà rallentamenti di
stampa dovuti ai sovraccarichi riuscendo
a fornire, tranquillamente, i 5A necessari
ai MPP e gli 11A richiesti dal PT.
La superficie del PT destinata alla stam-
pa deve essere protetta con lastra di vetro
o di materiale ceramico. Lo spessore
della lastra deve essere compreso tra 3 e
5mm. Per fissare il PT alla lastra di vetro
si può ricorrere anche a delle semplici
clip per fogli come vedete in fig. che
eviteranno, tra l’altro, un accoppiamento
troppo rigido tra le parti.
NEW HARDWARE FOR CAD
1 2
57
NEW HARDWARE FOR CAD
1 Retro di PT in alluminio
2 Joseph Prusa al lavoro
3 Esploso del PT con PCB MK2
4 Cavetto per ferro da stiro
5 Cavetti tipo FG4G4;
6 Conduttori unipolari tipo H05S-K
7 Guainetta siliconata
8 Capocorda ad occhiello
8
3
4 5
6
7
8
58
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C iao, il mio nome è Everton Martins, e faccio il
designer industriale da quattro anni circa. Mi oc-
cupo di progettazione di prodotti principalmente
per l’industria calzaturiera, come gli stampi di
fusione della suola anche se non ho mai capito molto di
look, mode e tendenze! L’industria per cui lavoro mi da in-
carichi che vanno dal progetto di prodotti per la pulizia do-
mestica a particolari tecnici di attrezzature tecniche, dall’og-
gettistica per la casa alle attrezzature logistiche militari. Ho
frequentato la facoltà d’ingegneria elettrica e meccanica,
perché mi è sempre piaciuta la tecnologia, ma verso la fine
del mio corso di studi mi sono reso conto che non mi sareb-
be piaciuto molto lavorare con la manutenzione industriale.
In quegli anni, sinceramente, mi aveva appassionato di più il
fare progettazioni con AutoCAD. Mi sono appassionato
sempre di più al CAD e così ho iniziato a studiare altri pro-
grammi come Rhinoceros, ottimo per la modellazione ed
ampiamente utilizzato nel design industriale. Successiva-
mente mi sono dedicato a Cinema 4D data la sua versatilità
nei rendering. Da quest’anno ho cominciato a ricevere inca-
richi lavorativi anche dall’estero. Data la mia esperienza di
lavoro ho capito che il progettista deve sempre tenere un
occhio su quanto accade nel design anche in altri Paesi. In
definitiva le mode non arrivano dal nulla ma sono determi-
nate da un insieme di tendenze derivanti da un modello di
tendenze precedenti. Un esempio di questo è il successo rag-
giunto, nei primi mesi del 2014, da oggetti come scarpe e
gioielli il cui design è basato interamente sulla scelta di par-
ticolari texture. Lavorare alla progettazione di prodotti indu-
striali è uno dei rami più difficili del design, poiché il pro-
blema non consiste solo nella fase progettuale di un oggetto
ma dare la massima attenzione anche alle misure di esso
sotto sollecitazione del materiale con cui è prodotto e a tem-
perature diverse e lungo tutto il processo di fabbricazione del
prodotto stesso. Nel mio caso si tratta di seguire le fasi di
creazione dello stampo. Non immaginate quanto sia lungo il
processo di creazione delle suole delle scarpe che state in-
dossando. Esse sono solitamente in PVC, gomma, TR, o
qualche materiale simile con una propria tecnologia specifi-
ca che si deve necessariamente conoscere se ci si vuole met-
tere le mani su per un progetto. Per sviluppare un nuovo
modello generico di calzature, generalmente si utilizzano
una serie di modelli uguali in tutto il mondo ma adattati ad
un Paese specifico, per esempio in alcuni mercati si vendono
molto scarpe femminili con tacchi alti mentre in altri si ven-
dono di più scarpe da ginnastica unisex, semmai entrambi
provengono dallo stesso tema grafico! Questo non crea simi-
litudini tra gli oggetti nonostante il tema sia lo stesso (ad
esempio piante tropicali) perché esso potrebbe avere diverse
specie da utilizzare come punto di partenza. Nella progetta-
zione di calzature è interessante, tra l’altro, l’applicazione
dei vari sistemi di misura, lo studio dei materiali e il metodo
PRODUCT DESIGN
di Everton M artins
Dalle calzature alla gioielleria 1
2
3
4
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61
di produzione. Viceversa la progettazione di gioielli segue
tendenze più specifiche o un unico tema, come per la composi-
zione di collezioni di anelli, orecchini e collane, ecc. Progetta-
re gioielli, in definitiva, è molto più semplice ed è possibile
sviluppare un intera collezione, su qualsiasi tema, tanto i
gioielli sono sempre di moda! Anche il materiale è molto più
semplice da capire e gestire; ci sono i vari tipi di leghe di me-
talli preziosi solitamente appositamente intarsiati per alcuni
tipi di pietre preziose. Le maggiori preoccupazioni in questo
tipo di progettazioni sono il peso, le dimensioni (soprattutto
per gli anelli), il costo di produzione e la stima del valore fina-
le. Le macchine CNC hanno velocizzato enormemente la pro-
duzione di tutto: sia che si tratti di gioielli o di stampi in allu-
minio per calzature. Tra queste macchine straordinarie una mi
ha reso molto felice: la stampa 3D. Le prospettiva di produrre
con una di esse essa in anteprima gioielli il prototipo di una
scarpa da alla progettazione un sapore diverso! Nel processo di
fabbricazione di calzature a suola iniettata la progettazione 3D
è alla base del processo; essa deve rispettare tutte le misure
standard utilizzate nelle calzature. Pert lo stampo una conchi-
glia per la fusione di alluminio è disegnata in 3D e poi lavorata
alle CNC. Il prodotto finale, lo stampo, viene utilizzato per
dare forma al materiale riscaldato e iniettato in esso. Finita
questa fase si passa al montaggio, verniciatura e finitura per
completare il processo prima che la scarpa arrivi al vostro pie-
de. In ambito orafo anche la progettazione 3D ha fondamenta-
le importanza ed è alla base del processo. La tecnologia di
prototipazione rapida mostra il pezzo che è stato sviluppato
dalla modellazione 3D in anteprima. Dopo l’analisi esso viene
inviato ad una macchina CNC che riproduce il modello creato
col software. Concludo ricordando che un buon designer indu-
striale dovrebbe mantenersi continuamente aggiornato e cono-
scere perfettamente il processo di produzione del lavoro che è
chiamato a realizzare. Lo dico in base ai tanti progetti che ho
realizzato nel corso degli anni, ciò ha maturato in me una note-
vole esperienza in svariati processi produttivi. Il design è un
settore che ha bisogno di tanta creatività e i suoi professionisti
sono consapevoli che oggi non c’è spazio per alcun errore e
che devono continuamente accrescere le loro conoscenze tec-
nologiche se amano realmente questo lavoro.
PRODUCT DESIGN
1. Stampo per calzature
2. Attrezzature meccaniche
3. Plantare anatomico.
4, 7 Modelli suola calzature
8. Scarpa in PVC
9, 15 alcuni anelli progettati da Everton anche per CADZINE
5 6
7 8
9 10
11 12
13 14
15
62
63
TUTORIAL: CORSO DI ORIENTAMENTO BIM
U na volta che il gruppo ha
identificato gli Impieghi
BIM, deve realizzare una
mappatura per la procedura
di processo per organizzare l'attuazione
della BIM. Inizialmente si deve creare
una mappa generale che mostra la se-
quenza e l'interazione tra i principali
impieghi BIM ed il progetto sviluppato
(vedi Figura 1-2). Questo consente a tutti
i membri del team di comprendere chia-
ramente come i loro processi di lavoro
interagiscono con quelli eseguiti dagli
altri. Dopo la mappa generale è necessa-
rio svilupparne altre più dettagliate: la
loro redazione deve essere eseguita dai
membri del team responsabili per ogni
categoria di impiego BIM. Ad esempio,
la mappa generale mostrerà come sono
sequenziate e interdipendenti la progetta-
zione, lo sviluppo degli impianti, la sti-
ma dei costi e la modellazione 4D. Una
mappa dettagliata mostrerà, poi, il pro-
cesso minuzioso che verrà eseguito da
un'impresa o, in alcuni casi, da diverse
imprese, come può accadere per l’im-
piantistica. La procedura per la prepara-
zione del processo di esecuzione BIM è
esaminato dettagliatamente nel terzo
capitolo di questa guida.
SVILUPPARE LO SCAMBIO D’INFORMA-
ZIONI
Una volta sviluppate le appropriate map-
pe di processo, devono essere chiara-
mente individuati gli scambi di informa-
zioni che avvengono
tra i partecipanti al
progetto. E' di fonda-
mentale importanza
per tutti i membri del
team, in particolare
per l'autore e il desti-
natario, comprender-
ne chiaramente il contenuto informativo
per ogni operazione di scambio di infor-
mazioni. Esso è illustrato nella tabella di
scambio di informazioni di cui una parte
è visualizzata, come esempio, nella Figu-
ra 1-3. La procedura per definire gli
scambi di informazioni è spiegata detta-
gliatamente nel quarto capitolo di questa
guida.
DEFINIRE L’INFRASTRUTTURA DI SUP-
PORTO PER L’IMPLEMENTAZIONE DEL-
LA BIM
Dopo l’individuazione delle categorie di
impiego della BIM utilizzate per il pro-
getto, la personalizzazione delle le map-
pe di processo del progetto e la definizio-
ne dei risultati della BIM, la squadra di
progettisti deve sviluppare le infrastrut-
ture necessarie a sostegno del processo
BIM pianificato per il progetto. Ciò com-
prende la definizione della struttura di
consegna e lingua del contratto, la defini-
zione delle procedure di comunicazione;
definire l'infrastruttura tecnologica, e di
individuare le procedure di controllo
qualità per garantire modelli di informa-
zione di alta qualità. La procedura per la
definizione delle infrastrutture con i me-
todi per implementare e monitorare il
progresso è discusso in modo più appro-
fondito nel capitolo 5 della presente gui-
da.
QUALI INFORMAZIONI SONO CONTENU-
TE IN UN PIANO DI ESECUZIONE BIM?
Terza puntata
di Salvio Gigl io
La procedura di esecuzione per la pianificazione BIM
La raccolta dei dati, l’identificazione degli impieghi per la
BIM e il confronto con le linee generali del progetto, la
creazione di una rete di interscambio tra i vari membri
del team progettuale e quelli del team esecutivo sono
tra le fasi preliminari della mappatura di processo BIM.
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65
Una volta terminato, il Piano BIM do-
vrebbe contenere le seguenti categorie di
informazioni:
1. Panoramica Informazioni del piano
di esecuzione del progetto BIM: speci-
ficare il motivo per la creazione del pia-
no di esecuzione del progetto.
2. Informazioni sul progetto: Il piano
dovrebbe includere le informazioni di
progetto basilari quali numeri di tavola,
l'ubicazione, descrizioni, date, frequenza
revisioni, riferimenti futuri.
3. Contatti chiave del progetto: Come
parte delle informazioni di riferimento,
un piano BIM dovrebbe includere le
informazioni di contatto per il personale
fondamentale per la progettazione.
4. Obiettivi del progetto / Obiettivi
della BIM: Questa sezione dovrebbe
documentare il ruolo determinante e le
applicazioni specifiche della BIM in
relazione al progetto, come definito dal
team di progettazione nella fase iniziale
della procedura di programmazione.
Ulteriori informazioni riguardo a questa
categoria sono incluse nel secondo capi-
tolo.
5. Ruoli organizzativi e del personale:
Uno dei compiti principali è quello di
definire il coordinatore/i della progetta-
zione BIM e del processo di attuazione
durante le varie fasi del progetto. Questo
aspetto è particolarmente importante
quando si stabilisce il gruppo responsa-
bile dello sviluppo del Piano di BIM,
nonché il personale necessario per im-
plementare, con successo, il piano stes-
so.
6. Mappatura del processo BIM: Que-
sta sezione deve illustrare chiaramente il
processo di costruzione attraverso l'uso
di mappe di processo che saranno svi-
luppate nella seconda fase della procedu-
ra di pianificazione. Ulteriori informa-
zioni riguardo a questa categoria è ripor-
tato nel terzo capitolo della guida.
7. Scambi d’informazioni BIM: i re-
quisiti per lo scambio di informazioni
dovrebbero essere definiti chiaramente
per implementare gli elementi del mo-
dello e il livello di dettaglio richiesto di
ogni categoria di utilizzo della BIM.
Ulteriori informazioni riguardo a questo
argomento si trovano nel quarto capitolo
della guida.
8. Infrastruttura Dati richiesti e BIM:
Le richieste della committenza devono
essere documentate e inclusi nell’infra-
struttura dati della BIM.
9. Procedure di collaborazione: il team
progettuale deve sviluppare una proce-
dura propria di collaborazione digitaliz-
zata. Ciò comprende sia la definizione
delle procedure di gestione del modello
(ad esempio, autorizzazioni e struttura-
zione di file) ma anche pianificazioni
tipiche come riunioni e ordini del giorno.
10. Standard di qualità e procedure di
controllo: è necessario sviluppare una
procedura per garantire, durante tutto il
progetto, il monitoraggio dell’applica-
zione degli standard di qualità definiti e
richiesti dal progetto e che tutti i parteci-
panti alla progettazione e alla li applichi-
no.
11. Infrastruttura tecnologica necessa-
ria: Definizione dell’hardware, del soft-
ware e dell’infrastruttura di rete necessa-
rie per eseguire la pianificazione.
12. Struttura del Modello: il team di
progettazione deve stabilire elementi
fondamentali della documentazione co-
me: la struttura del modello, la struttura
di nomi dei file, coordinare, sistema e gli
standard di modellazione.
13. Risultati del progetto: La squadra
dovrebbe documentare elaborati richiesti
dal proprietario.
14. Strategia di consegna / Contratti:
Questa sezione dovrebbe definire la stra-
tegia di consegna che sarà utilizzato per
il progetto. La strategia di consegna, ad
esempio, di progettazione-costruzione vs
Design-bid-build, avrà un impatto di
attuazione e sarà un impatto anche la
lingua che dovrebbe essere incorporato
nei contratti per garantire la corretta at-
tuazione BIM.
Nota: Questi elementi sono discussi in
dettaglio nel capitolo 5 della presente
guida.
TUTORIAL: CORSO DI ORIENTAMENTO BIM
66
67
TUTORIAL: CORSO DI BASE per SKETCHUP
P er essere immediatamente ope-
rativi e cominciare a modellare
in SketchUp conviene imparare
subito ad impostare la giusta
unità di misura per il nostro lavoro. Il
criterio generale per il settaggio delle
unità di misura è legato alla natura
dell’oggetto che stiamo per riprodurre o
progettare. In alcuni casi conviene impo-
stare la scala su metri anche se il lavoro è
in millimetri questo per facilitare il soft-
ware nell’elaborazione dei calcoli per la
creazione di curve, circonferenze e pic-
cole frazioni di segmenti… A modello
finito il comando SCALA provvederà lui
a mettere le cose al giusto posto! Fatta
questa premessa partiamo subito con la
finestra attraverso cui gestiamo la quasi
totalità delle informazioni relative al
modello che stiamo per realizzare: IN-
FORMAZIONI MODELLO. Per accedere ad
essa ci portiamo sul menù Finestra e
selezioniamo l’item ad essa relativo, ci
clicchiamo su ed eccola apparire con la
sezione relativa alle misure già aperta.
Da questa finestra, come vedremo nelle
prossime puntate possiamo settare molti
parametri connotativi del nostro mo-
dello relativi: alle Animazioni; agli Au-
tori; ai Componenti, alle Dimensioni di
testi, linee direttrici e quote; al File; al
referenziamento della Posizione geogra-
fica; alle modalità di Rendering inter-
no; la visualizzazione delle Statistiche
relative al modello; il Testo e per finire
le Unità. La sezione è composta da due
blocchi di controllo: Unità di lunghezza
e Unità angolari. Il primo blocco si apre
con il combobox Formato propone quat-
tro standard fondamentali di misure:
Architetturale, Decimale, Frazionale,
Ingegneria. Se dovete semplicemente
esercitarvi vi consiglio di lasciare Deci-
male. Alla destra del primo combobox
troviamo una seconda
casella a discesa che
propone due unità del
Sistema Imperiale
Britannico, Pollici e
Piedi e tre unità del
nostro Sistema Inter-
nazionale centimetri,
millimetri e metri. Possiamo anche sce-
gliere con quanta precisione vogliamo
rappresentare i nostri modelli attraverso
il combobox Precisione; la lista propone
sei ordini di visualizzazione delle cifre
decimali dopo l’unità, partendo dalla
misura “netta” sino a sei cifre. Il control-
lo Abilita snap a lunghezza è associato
ad una piccola finestrella di immissione
testo che si abilita appena spuntiamo il
check box relativo mostrando la
“sensibilità” dello snap stesso. Il secon-
do check Mostra formato unità fa appari-
re alla destra dei valori che immettiamo
da tastiera per impostare le lunghezze
l’unità con cui stiamo operando, nel Vi-
sual Control Box, in basso a destra, sulla
barra di controllo del programma. Nella
pratica di modellazione imparate a tenere
sempre d’occhio il VCB di SketchUp
perché il semplice errore di un millime-
tro, fatto all’inizio del disegno, poi ve lo
portate appresso per tutto il lavoro con
effetti catastrofici e facendovi letteral-
mente ammattire! Questo vale per tutti i
programmi CAD e ancor di più se fate
qualcosa con le vecchie squadrette! Il
secondo blocco di controlli della sezione
Unità offre dei settaggi anche per le mi-
sure angolari. Il combobox Precisione
visualizza una lista da cui scegliere l’or-
dine di grandezza da visualizzare nella
misura: solo gradi; gradi, minuti; gra-
di, minuti, e secondi. Ciò permette di
eseguire rappresentazioni di dettagli con
misure angolari molto precise, utilissime
specialmente negli elaborati di pezzi
meccanici come alberi, perni, camme,
ecc. Il controllo Abilita snap ad angoli
ci consente di impostare la “quantità” di
gradi a cui deve rispondere lo snap. Per
default è di 15°.
di Salvio Gigl io
Stabilire le unità di misura in SketchUp
Breve tutorial per imparare ad impostare le unità di
misura per il nostro modello. Primo approccio con
la finestra Informazioni modello e le sue tantissime
funzionalità operative che ci permettono di perso-
nalizzare tantissimi parametri dei nostri lavori…
68
D opo aver modellato il volume
del piccolo edificio, (nella
Prima Parte del numero
precedente di CADZINE)
passiamo suDopo aver modellato il volu-
me del piccolo edificio (nella Prima Par-
te del numero precedente di CADZINE),
passiamo subito alla seconda fase, cioè
l'applicazione delle textures di rivestimen-
to sulle superfici restituite, cercando cosi
di alternare modellazione volumetrica e
tematizzazione. Personalmente ritengo
che le textures siano la vera anima della
modellazione tridimensionale, l'accurata
lavorazione delle stesse, la loro scelta e la
corretta applicazione, convertiranno al
modello 3D delle caratteristiche uniche
che consentiranno di comunicare la sensi-
bilità e l'esperienza del modellatore, con-
ferendo al tempo stesso nella restituzione
originalità e carattere, quindi personaliz-
zazione e riconoscibilità del lavoro effet-
tuato. Questa fase è un pochino più deli-
cata ed elaborata, cercheremo di descri-
verla passo per passo aiutandoci con le
immagini catturate durante la modellazio-
ne. Incominciamo dall'applicazione della
texture sul piccolo prospetto dell'ingresso,
evidenziamo la facciata bianca cliccando-
ci sopra con il mouse. La superficie appa-
rirà retinata a piccoli punti e quindi rico-
noscibile e "lavorabile". SketchUp, come
sappiamo, ci consente di utilizzare in
maniera semplice le textures riprese da
immagini fotografiche, che conferiscono
un'ottima resa realistica al modello. Con
un po' d'esperienza acquisita, la potenzia-
lità che ci offre questo programma di otte-
nere una restituzione tridimensionale sug-
gestiva e molto vicino alla realtà, secondo
me è davvero notevole! Quindi, dopo
aver evidenziato l'area scelta, (Fig. 1) dal
menù FILE - IMPORTA, scegliamo la foto
adeguata andando a cercarla nella cartella
appositamente creata. Utilizzando il co-
mando RIEMPI (Fig. 2) clicchiamo e
applichiamo la texture nello spazio evi-
denziato. Ovviamente, più le foto saranno
state scattate parallelamente ai prospet-
ti, più sarà facile la loro applicazione e
migliore il risultato ottenuto. La foto
(texture) che ci appare è replicata all'in-
finito, quindi dovremo cercare di adat-
tarne le dimensioni scalandola alla pro-
porzione dovuta. (Fig. 3) clicchiamo sulla
texture, poi tasto destro del mouse e ci
apparirà la finestra dove andremo ad evi-
denziare TEXTURES e poi POSIZIONE. La
foto è ora "lavorabile" e contrassegnata,
sugli angoli che la delimitano, da 4 spilli
di colore diverso. Ora, abbiamo la possi-
bilità di adattare la foto utilizzando ben 2
OPZIONI (cfr. Fig. 4). Nell' OPZIONE
1, gli spilli sono di colori diversi e preci-
samente: Rosso = SPOSTA, Verde = SCA-
LA (molto utile per cominciare ad ingran-
dire la foto), Blu = DEFORMA, Giallo =
DISTORCE la texture. Per avere l' OP-
ZIONE 2, quella che ci interessa in questa
fase, di nuovo tasto destro del mouse
(Fig. 5) e nel riquadro togliamo la spunta-
tura da Puntina Fissa. (Fig. 6) Gli spilli
che delimitano la foto non sono più di
diversi colori, ma tutti gialli e uguali. Ora,
abbiamo la possibilità di adattare "a ma-
no" i contorni della nostra foto al perime-
tro del prospetto della chiesetta. Clicchia-
mo su uno degli spilli e spostiamolo posi-
zionandolo su uno degli angoli o limiti
della parte di texture che ci interessa.
Stessa cosa per gli altri 3 spilli rimanen-
ti. Adesso, (Fig. 7) cliccando e tenendo
premuto uno degli spilli, trasciniamolo
(nel 3D) sull'angolo perimetrale ad esso
corrispondente. La foto, distorcendosi,
incomincerà ad adattarsi perfettamente al
piano interessato. (Fig. 8 e 9) Identica
manovra per i restanti spilli che andranno
trascinati ognuno sull'angolo corrispetti-
vo. Quando abbiamo spostato tutti gli
spilli, tasto destro e nel riquadro clicchia-
mo su "completato". La foto risulterà ora
ritagliata e riproporzionata, occupando
esattamente la superficie del piano rico-
struito nel modello. Solo ora, osservando
la restituzione, se non siamo soddisfatti a
pieno del risultato, andremo a calibrare la
foto con piccoli spostamenti (stessa pro-
cedura) degli spillini gialli, fino a quando
la texture di riempimento del prospetto ci
sembrerà dritta e abbastanza reale. Piccole
Seconda puntata
di Antone l lo Bucce l la
Applicazione delle textures di rivestimento sul modello georeferenziato
1 2
TUTORIAL: CORSO DI GEOMODELLAZIONE per SketchUp
69
Applicazione delle textures di rivestimento sul modello georeferenziato
TUTORIAL: CORSO DI GEOMODELLAZIONE per SketchUp
modifiche sulla luminosità e sul contrasto,
sono pienamente possibili nel programma
stesso, invece le modifiche più consistenti e i
ritocchi piccoli o grandi, si potranno ottenere
esportando la texture e lavorandola con Pho-
toshop o altri programmi di fotoritocco. Per il
prospetto laterale, va ripetuta la stessa opera-
zione (Fig. 10 e 11) ed ovviamente anche per
gli altri 2 lati non ancora texturizzati: l'altro
prospetto laterale opposto ed il retro della
piccola chiesa. Una volta applicate le foto di
rivestimento sui 4 lati, possiamo iniziare alcu-
ne semplici modellazioni di finitura, per
esempio la porta di ingresso e il piccolo oblò
sulla porta stessa. Basta soltanto disegnare i
contorni della porta e dell'oblò con il coman-
do Linea e cerchio ed in seguito, operando
con lo strumento spingi/tira (Fig. 12), estru-
diamo verso l'interno (con la misura voluta) le
2 zone ricavate: il rettangolo della porta e il
cerchio della piccola finestrella tonda sulla
porta. Pur modificando i volumi, le textures
di rivestimento risulteranno invariate. Non
resta che applicare o aggiustare solo le textu-
res sulle nuove superfici ottenute dal rientro
dei volumi. Nel prossimo numero ricostruire-
mo la struttura e la copertura del tetto,
completando con le textures appropriate di
rivestimento.
4 5
6 7
8 9
10 11 12
3
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UMORISMO… macabro ò_O
71
GIOCHI
72
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