Rigenerazione urbana, spazi pubblici e partecipazione: BarCamp a cura di: Donatella Venti Chiara Pignaris INTERVENTI DEI PARTECIPANTI Introduzione: Donatella Venti Chiara Pignaris Relatori: Anna Agostini - La partecipazione nei processi di pianificazione territoriale: il Veneto verso il PAT Ortensia Perri, Morena Casalin, Antonio Antolini - Pietralata Piantala! Franca Balletti, Silvia Soppa - prove di democrazia partecipativa nell'area genovese Matteomaria Di Cori - Sottovuoti, Laboratorio di Progettazione Partecipata di Architettura senza Frontiere Onlus Renato Di Gregorio - La progettazione partecipata per i locali pubblici degli enti locali Daniela Festa - Dalla rete di cittadini attivi all’occupazione dell’Ex-Cinema Palazzo: verso uno spazio pubblico Pino Galeota – Corvialedomani Alessandro Grella, Giulia Carlone, Emanuela Saporito - Metodi e scelte di partecipazione. Elisa Maceratini, Maria Francesca Piazzoni - Una giornata a corte: un primo passo verso lo spazio pubblico Carla Majorano - decrescita e infanzia Carla Majorano - società della decrescita e spazio pubblico Laura Moretti, Viviana Petrucci - “Il buio va strettamente illuminato” Percorsi laboratoriali sulla sicurezza urbana nel Municipio Roma IX Alessio Patalocco - PINK LANDSCAPE Interventi leggeri per la riqualificazione del paesaggio urbano Piergiuseppe Pontrandolfi, Viviana Lanza, Lucia Tilio - Laboratori di Urbanistica Partecipata a Potenza: dalle tecniche tradizionali agli strumenti elettronici Raffaella Radoccia - Azione pubblica e partecipazione multi-livello nella costruzione dell'UC di Pescara Lamberto Rossi - Laboratori Urbani e Partecipazione: il Caso di Fusignano Sardarch Architettura - Stampaxi Wall. Partecipare, riflettere, riconquistare la città. Fabrizio Toppetti, Filippo Egidi - Bella Fuori 2008: “La piazza-parco del quartiere San Donato Bologna” Maria Cristina Tullio - Appunti e riflessioni sul “partecipazione e paesaggio dello spazio pubblico” Nadia Vedova, Michela Crevatin (associazione Kallipolis) - Esperienze di partecipazione: dal quartiere alle città balcaniche.
Dagli anni 90 ad oggi abbiamo assistito a una crescita esponenziale di interesse da parte delle amministrazioni pubbliche, stimolato anche dagli orientamenti comunitari, in ordine all’applicazione di principi di ascolto e di modalità volte ad una più efficace comunicazione con gli abitanti, cosicché i termini “partecipazione” e “comunicazione allargata” fanno sempre più parte di un bagaglio acquisito (o almeno vi fa parte la consapevolezza che rientrino tra le “cose che si dovrebbero fare”). Parallelamente sono cresciuti, sia numericamente sia in termini di qualità, da una parte i “metodi di partecipazione” applicati alla pianificazione e ad interventi fisici di trasformazione urbana, dall’altra le pratiche di concertazione e attivazione di dialogo, spesso collegate a processi di Agenda 21 locale. Ciò nonostante, non dobbiamo certo considerare tutto questo un risultato finale, né tanto meno essere particolarmente soddisfatti dell’attuale panorama nazionale, dove emerge un quadro abbastanza contraddittorio tra esperienze giunte ad un elevato grado di “maturità” (in cui per maturità si può intendere una sedimentata qualità e quantità di applicazioni spesso innovative, in più campi di approfondimento, che genera un virtuoso processo di “gemmazione”), più o meno “consolidate” in alcune aree geografiche, ed una costellazione di nuove esperienze, sicuramente interessanti, ma che spesso scontano in una veloce scomparsa le difficoltà ad affermarsi come strutturati processi. Appare pertanto necessario riflettere compiutamente sul come, dove e quando i metodi di “ascolto attivo” possano seriamente rispondere alle sempre più pressanti richieste di qualità e sostenibilità complessiva dei nostri luoghi di vita, mostrando lo “stato dell’arte”, se possibile relazionato al panorama internazionale, nei vari campi di applicazione finora sperimentati, e collegando i processi di partecipazione ad un bagaglio di strumentazioni che via via diviene sempre più ricco. L’INU, che è stato uno dei promotori della diffusione del “Community Design” e della “Community Participation”, attraverso una Commissione Nazionale che opera fin dal 1994, dedicando spazi di confronto sulle riviste e nelle Rassegne Urbanistiche Nazionali, nonché attraverso il Concorso Nazionale di progettazione partecipata e comunicativa (di cui si è conclusa nel 2006 la terza edizione), ha avvertito l’esigenza di attivare all’interno della Prima Biennale sullo Spazio Pubblico una discussione/confronto nella forma del “BarCamp” su limiti/difficoltà, ma anche opportunità/potenzialità/ ricchezza, argomentazioni e “valori” sottesi alla partecipazione, cercando di far emergere l’evoluzione nello strumentario a disposizione di chi si vuole ad essa avvicinare.
Alle domande: “Come possiamo produrre spazio pubblico di qualità attraverso la partecipazione? Quale contributo possono dare i processi partecipativi nella produzione di spazi pubblici di qualità in cui i cittadini riescano a sentirsi migliori? Come interpretare i messaggi e le richieste di coinvolgimento che provengono dai movimenti spontanei della società? Come consolidare i risultati “immateriali” dei processi partecipativi, quelli legati alla qualità delle relazioni sociali che i nuovi spazi creati e il percorso svolto insieme spesso riescono ad attivare?” hanno provato a rispondere i referenti di enti pubblici, centri di ricerca universitari, associazioni, gruppi di cittadini e professionisti che si sono iscritti al BarCamp per presentare idee ed esperienze.
Francesco Evangelisti (Comune di Bologna) e Giovanni Ginocchini (Urban Center Città di Bologna) hanno illustrato la “sedimentata” esperienza del Comune di Bologna, che da tempo ha scelto una partecipazione consapevole dei cittadini a piani e progetti ed ha contemporaneamente sviluppato, grazie all’Urban Center, la capacità di condurre percorsi complessi, rimettendo, come nel caso dell’area dell’Ex-Mercato Ortofrutticolo, ad un percorso di tipo “inclusivo” le decisioni di trasformazione di una consistente parte di città, anche discostandosi da ipotesi fatte precedentemente. Sempre a Bologna si sono svolte le prime due edizioni del progetto/concorso di riqualificazione urbana “Bella Fuori”, promosso dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e presentato dallo Studio Egidi e Toppetti, vincitore dell’edizione che ha avuto come oggetto la riqualificazione delle aree verdi di via Garavaglia a San Donato. Il percorso seguito ricalca l’intuizione dell’ultima edizione del Concorso Nazionale INU-WWF (2006), introducendo la formula dell’interazione delle attività di laboratorio, sviluppato con i consulenti in processi partecipativi della
Fondazione nella fase preliminare, e successivamente direttamente con i progettisti, che hanno approfondito con lo stesso laboratorio interattivo la progettazione definitiva. Allo stesso modo a Genova, grazie alla collaborazione tra Comune, Provincia e Università, si è costituita una notevole esperienza nell’applicazione della “democrazia partecipativa” come raccontato da Franca Balletti dell’Università di Genova, che ha approfondito l’analisi di sette esperienze che fanno capo a tematiche e scala d’intervento differenti, dal recupero e rifunzionalizzazione di aree dismesse alla riqualificazione di quartieri degradati, alle scelte relative a grandi infrastrutture di trasporto. Le esperienze di Bologna e di Genova dimostrano come gli Urban Center si stiano rivelando tra i più efficaci strumenti chiamati ad interagire con i tecnici e gli stessi amministratori, al fine di trovare le soluzioni più congrue per la risoluzione di problematiche riguardanti un numero sempre più crescente di settori. La loro costituzione però non è quasi mai semplice, come illustrato da Raffaella Radoccia (INU Abruzzo) nel suo intervento sulla costruzione, ancora in corso, di quello di Pescara. Di procedure partecipative consolidate ha parlato anche Anna Agostini dello Studio Fram_menti di Castelfranco Veneto, presentando un’esperienza di
rivisitazione della città di Vicenza, a partire da una ex-fabbrica, finalizzata a reinventare i luoghi riempiendoli, attraverso laboratori di partecipazione ed eventi, di musica, teatro, film, attività sociali. La regione Veneto è anche attiva nelle forme di partecipazione “istituzionale”, introdotte nella L.R.11/2004 ed in particolare per la formazione dei PAT (ex PRG), attraverso forme di e-democracy (Forum center 2.0), incontri ed esposizioni interattive. Le proposte e le istanze recepite dai cittadini, nel caso di Vicenza, sono infatti entrate a far parte del Rapporto Ambientale del PAT. Interessanti anche le esperienze dell’Associazione Kallipolis di Trieste e dell’Associazione Izmo di Torino, che hanno sviluppato entrambi metodologie d’approccio innovative per la raccolta sul campo dei bisogni degli abitanti. Per la prima associazione, Nadia Vedova e Michela Crevatin hanno illustrato il laboratorio d’inclusione sociale “Spazio Gretta”, che ha coinvolto i cittadini in azioni di rinverdimento e autocostruzione dell’arredo urbano in un quartiere popolare di Trieste, e un progetto di video giornalismo partecipativo svolto a Mostar, finalizzato stimolare il dialogo interculturale e il senso d’appartenenza, ma anche fornire spunti di riflessione sul futuro della città. Alessando Grella dell’Associazione culturale Izmo ha invece presentato la metodologia INSITO, che mira
anch’essa a conoscere e far dialogare i vari “saperi” così da approfondire la conoscenza territoriale. In questo caso le osservazioni raccolte sul campo vengono raccolte sul Web mediante una piattaforma Wiki, che diventa archivio e luogo di comunicazione tra i cittadini. Molto diverso l’approccio di Lamberto Rossi di Milano, progettista formatosi nello studio di Giancarlo De Carlo e nel Laboratorio di Quartiere di Otranto con Renzo Piano. Nei suoi diversi esempi di Laboratori di recupero urbano (Cervia, Fusignano, Cremona, Milano/Ponte Lambro, Savignano, Campobasso) l’incontro informale con i cittadini accompagna le diverse fasi del progetto, diventando un processo di riflessione collettiva per cui l’intera comunità acquista consapevolezza della propria storia fisica, e la pianificazione non è più una proposta teorica astratta ma un “processo didattico” sperimentale permanente.
Rispetto alle esperienze nel Lazio, Renato Di Gregorio (Società Italiana di Ergonomia, Sezione Lazio) ha introdotto il tema della progettazione partecipata intercomunale dei laboratori di marketing territoriale all’interno dell’Associazione SER.A.L. della Provincia di Latina, mentre Maria Cristina Tullio (Presidente dell’AIAP Sezione Lazio, Abruzzo, Molise e Sardegna) ha approfondito il concetto di “paesaggio partecipato” promosso dalla Convenzione Europea del Paesaggio. Viviana Petrucci della “Rete per la Partecipazione” della città di Roma ha invece presentato due progetti sperimentali di partecipazione dei cittadini e dei giovani finanziati dalla Legge Regionale 15/2001 sulla sicurezza urbana: il progetto “Piazzando” (Municipio V) e il progetto “Spazio prossimo” (Municipio IX). Nel primo progetto il lavoro sociale di tipo partecipativo, finalizzato ad accrescere l’empowerment della collettività locale, ha evidenziato la percezione degli abitanti sulla sicurezza, recependo spunti di riqualificazione che si sono concretizzate nell’iniziativa “Piantala”, ovvero in azioni di giardinaggio urbano, autocostruzione, arredi urbani, pulizia degli spazi,
aventi come slogan “Libera il giardiniere che è in te”. Nel secondo si sono coinvolti gli studenti del Liceo Artistico De Chirico nella riprogettazione di Piazza Re di Roma e della mobilità pedonale del quartiere. Nella Capitale è molto attiva anche la partecipazione “auto organizzata” come dimostra l’esperienza di riappropriazione dell’Ex-cinema Palazzo a San Lorenzo, raccontata da Daniela Festa (Rete San Lorenzo Cambia San Lorenzo) e quella degli orti urbani proposta dal Collettivo WSP (Associazione Culturale Wide Shut Photography). La riappropriazione dell’Ex-Cinema Palazzo nasce dalla sua occupazione da parte di un gruppo di abitanti alla notizia della probabile destinazione a casinò e, grazie al supporto di noti personaggi dello spettacolo (Sabina Guzzanti, Martone, Rossellini, Franca Valeri, Dario Vergassola e molto altri), ha acceso l’attenzione dei media attivando un processo di autorganizzazione “dal basso” che mira a trasformare tale luogo in uno spazio di cultura e partecipazione. I progetti “EutOrto” e “Orti Urbani Garbatella” reinventano il rapporto tra metropoli e ruralità, declinata nel primo dai lavoratori in cassa integrazione dell’Ex-Eutelia, nel secondo consolidata su una vasta area di circa 40.000 mq. In entrambi i casi la scelta del biologico, dell’orto didattico, della condivisione dei prodotti e del proprio lavoro preconizza un nuovo modello di sviluppo possibile, in cui i tempi di vita siano più vicini ai tempi della natura, in cui alla “rapina” del territorio attraverso la sua cementificazione si contrapponga la cura della terra. Terra che diventa anche “cura”, tanto è vero che il progetto “EutOrto” collabora con i genitori di ragazzi autistici: “Siamo marginalità che insieme condividiamo”, afferma una delle lavoratrici in cassa integrazione dell’Ex Eutelia presenti. Dal basso nasce anche il progetto avviato dal Coordinamento “Corviale Domani”, che raccoglie oltre 80 realtà territoriali per attivare un processo di recupero che non è ancora riuscito nonostante Piani di Recupero Urbano, Contratti di Quartiere e tantissimi altri interventi promossi con approccio “top-down”. L’idea, raccontata da Pino Galeota, è di promuovere un “Distretto tecnologico dell’arte, cultura e sport” che coinvolga soggetti pubblici e privati dando avvio a una progettualità di ampio respiro che superi il carattere occasionale e diventi strategica per l’intero Quadrante. Anche Napoli, creativamente, reinventa il suo essere una difficile metropoli partendo proprio dall’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo: Carla Majorano ci ha portato le molte esperienze di auto-partecipazione attive da parte dei “resistenti”. Bellissimi i nomi: “Genuino clandestino”, forma di
resistenza contadina a Piazza Mercato; “Friatelli ribelli”, riappropriazione di spazi verdi urbani lasciati al degrado e all’incuria; “Piazze dell’economia solidale”, luoghi di incontro conviviale dei GAS; “Critical Mass”, occupazione delle strade da parte di gruppi di ciclisti ed ancora forme di “abusivismo creativo” come “La ragnatela”, mercato spontaneo sotto un viadotto. L’esperienza napoletana evidenzia i limiti delle attuali forme morfologiche urbane, proponendo un’idea di “città nuova” che vuol dire prima di tutto bloccare il consumo di suolo, riconvertire il patrimonio edilizio esistente, puntare sulla rigenerazione territoriale, dando valore agli spazi verdi per la produzione agricola, ma anche sulla comunicazione, sul “fare rete”, su energie diffuse e micro distribuite, e non solo quelle che derivano “da fonti alternative”, ma anche quelle che provengono “da fonti creative”. Al Sud troviamo anche l’esperienza ormai consolidata dei Laboratori di Urbanistica Partecipata di Potenza, presentata da Piergiuseppe Pontrandolfi, Viviana Lanza e Lucia Tilio (Università degli Studi della Basilicata), che hanno permesso di attivare un confronto concreto con i problemi della città, aprendo un tavolo di discussione con i diversi attori, dai soggetti istituzionali ai semplici cittadini, passando per i Comitati di Quartiere, le associazioni di volontariato e gli ordini professionali. Tra gli strumenti partecipativi utilizzati, anche i social network più diffusi (Facebook, Youtube, FlickR, Blog and Chat, Google Docs, ecc.) che si sono rivelati particolarmente utili per coinvolgere la fascia dei giovani tra i 15 e i 35 anni.
Interessanti, infine, le esperienze presentate da alcuni giovani architetti: Matteomaria Di Cori di Roma (Associazione Architettura senza Frontiere), Alessio Patalocco di Terni e l’associazione Sardark di Cagliari. Il primo ha illustrato il Laboratorio di progettazione partecipata “Sottovuoti” che ha coinvolto il quartiere Quadraro in una serie di iniziative e workshop finalizzati a stimolare un dibattito sul valore dello spazio pubblico all’interno delle periferie urbane e suscitare l’interesse anche della pubblica amministrazione (rappresentata dai Municipi VI e X). Il secondo ha presentato il progetto di restyling urbano “Pink landscape”, che consiste nel pitturare di rosa i sottopassi e i muri in cemento della città per creare una “cornice artistica” all’opera istintiva di writers (graffiti, murales, tag, messaggi), insieme ad altri interventi leggeri promossi dal Comune di Terni, che puntano su una riqualificazione del paesaggio urbano attraverso l’arte pubblica. L’associazione Sardarch Architettura ha proposto invece, in un vuoto urbano nel capoluogo di regione sardo, un muro di pannelli di cartone riciclato, “Stampaxi wall”, con la scritta “Non è una piazza”, provocazione sull’uso dello spazio pubblico solo per attività commerciali (spazio “consumato”). La provocazione continua declinando una serie di divieti (vietato l’accesso a vecchi e bambini, vietato incontrare un amico, vietato rilassarsi…) al fine di provocare la reazione dei cittadini, capire se veramente si “usa” lo spazio pubblico, se se ne sente l’esigenza, ripensare a come oggi “funziona” la città.
Via Montegrappa, 68 – 31033 – Castelfranco Veneto (TV) tel: 0423420915 – mail: [email protected]
Anna Agostini Anna Agostini (Camposampiero 1980), architetto co-fondatrice dello studio Fram_menti. Si laurea allo IUAV di Venezia nel 2005 con il prof. Giuseppe Longhi sviluppando, come tesi, ‘il Piano strategico per lo sviluppo sostenibile delle isole Pelagie’, un progetto pilota per le isole minori del ministero dello sviluppo economico. Consegue l’abilitazione professionale a Venezia nel gennaio 2006 ed è iscritta all’albo della provincia di Treviso al n. 2439. Consegue alcune esperienze di studio all’estero presso: l’Insitut Supérieur D’Architecture Intercommunal (I.S.A.I.)- Bruxelles, la Fundaciòn General de la Universidad Complutense de Madrid – El escorial , Freje Universitat Berlin, Katholieke Hogeschool Sint Lieven Gent, Karls University Prag, University of Bath, Hafencity University di Amburgo. Perfeziona la sua formazione sui temi della progettazione partecipata e sviluppo urbano sostenibile con diversi corsi di perfezionamento post-lauream: Metodologie partecipate e gestione dei conflitti ambientali presso l’università di Trento, Azione locale partecipata e sviluppo urbano sostenibile presso il dipartimento di pianificazione IUAV, Progettazione dell’abitare sostenibile presso il Politecnico di Milano. Perfeziona la sua formazione sulle politiche internazionali per lo sviluppo sostenibile con diversi corsi specifici tra cui Politiche, risorse, programmi dell’Unione Europea’ presso l’Euro Sportello Veneto, e ‘Planning european politics of internal development and for development of cooperation politics’. Perfeziona la sua formazione sui temi della sostenibilità nelle costruzioni attraverso corsi specifici sulle tecniche costruttive e le certificazioni tra cui: LEED BD&C , Rating System Review di Green Building Council Italia, "LEED, ITACA, CASACLIMA – Certificazioni Energetiche: Sinergie e Peculiarità” organizzato da Aghape, Costruire il risparmio energetico - oggi per domani, iniziativa Comunitaria INTERREG III A, Regione Veneto, BIM Piave. Ottiene riconoscimenti in diversi concorsi di progettazione, tra cui il nuovo quartiere di social Housing per l’Ater di Rovigo, attualmente in costruzione. Collabora alla didattica in alcuni corsi intensivi di progettazione IUAV e al Politecnico di Milano – facoltà di Architettura e Società, Corso Internazionale Gestione dei Conflitti Ambientali e Territoriali. E’ stata titolare del seminario "Percorsi partecipativi nella gestione del territorio - azioni top down e bottom up: non contatto o utili sinergie?" presso Università degli studi di Trento – facoltà di ingegneria per l’ ambiente ed il territorio. E’ visiting professor presso l’Insitut Supérieur D’Architecture Intercommunal (I.S.A.I.) Lambert Lombard - Liegi, Belgio Attualmente è dottoranda di ricerca QUOD – Quality Of Design: dottorato internazionale in progettazione architettonica e urbana - presso lo IUAV di Venezia con una ricerca dal titolo ‘sustainable housing design for the development of neighborhood unit’. All’interno del team multidisciplinare di Fram_menti si occupa di progettazione urbana sostenibile e partecipazione. Sviluppa progetti di rigenerazione urbana e sviluppo sostenibile in Italia ed in Sud America, collaborando con diverse istituzioni ed università italiane e straniere.
Quando una comunità decide di piantarla, sceglie di
attivare una serie di saperi, competenze, pratiche e di
metterle al servizio del "bene comune", in tal caso di
"spazi comuni". Nasce così Pietralata Piantala!, un
percorso di riqualificazione urbana di piccoli spazi
lasciati al degrado, finanziato dalla Provincia di Roma,
nell'ambito del progetto Vivere Pietralata.
Pietralata Piantala!
Quando una comunità decide di piantarla…
Iniziative itineranti di giardinaggio urbano, cantieri
partecipati per l’autocostruzione di arredi urbani,
pulizia, cura e manutenzione degli spazi riqualificati
sono tra le azioni che caratterizzano il percorso avviato
e svolto nel quartiere di Pietralata, nel Municipio Roma
5. Cosa ci muove? Credere nell’importanza dello
spazio pubblico come elemento aggregante e nella sua
rivitalizzazione in funzione delle esigenze di chi
soprattutto lo attraversa e lo vive.
Da dove si parte?
Si parte da lontano. Qualche anno fa nasce sul web la
Rete della Partecipazione della città di Roma, un
network che si rivolge a operatori sociali, insegnanti,
esponenti della pubblica amministrazione e cittadini
che intendono aprire uno scambio sulle pratiche di
lavoro sociale di tipo partecipativo.
La rete si propone di dar luogo a una ricerca di metodi
e pratiche basate sulla relazione paritaria con le
comunità locali, finalizzate all’empowerment, ovvero al
potenziamento delle collettività necessarie a sostenere
nuove forme di democrazia e partecipazione.
Rete per la Partecipazione si propone di essere un
luogo attraversabile di scambio e di dialogo tra
operatori della partecipazione, un laboratorio di idee,
un nodo di ulteriori e più vaste reti che possono essere
tessute “camminando domandando”.
http://www.reteperlapartecipazione.blogspot.com/
http://mediazionesocialecomunita.blogspot.com/
Dall’esperienza virtuale nascono gli spunti per due
progetti sperimentali nell’ambito dei finanziamenti
previsti dalla legge regionale 15 del 2001 sulla
sicurezza urbana: “progetto piazzando: mediazione
sociale e lavoro di comunità” nel Municipio Roma 5 e
“progetto spazio prossimo” nel Municipio Roma IX.
Passo numero 1: Progetto Piazzando: mediazione
sociale e lavoro di comunità
Di cosa si tratta?
La mediazione sociale e il lavoro di empowerment
comunitario sono forme di azione sociale che
stimolano la partecipazione attiva dei singoli, dei
gruppi sociali e delle realtà locali nella gestione delle
tematiche conflittuali e delle criticità del territorio e
favoriscono il senso di appartenenza e di cura attiva
dei cittadini nei riguardi del quartiere che abitano. In tal
modo, si contribuisce alla costruzione di una comunità
partecipante, ovvero di una comunità coesa, solidale,
aperta, in grado di proporre e praticare soluzioni
positive e di progettare, insieme alle Amministrazioni,
un ambiente di vita maggiormente rispondente ai
bisogni collettivi ed individuali.
Il progetto Piazzando, promosso dal Municipio Roma 5
e dalla Regione Lazio (l.15/2001), opera in diverse
zone del Municipio Roma 5. Attraverso le metodologie
della mediazione sociale e del lavoro di comunità,
persegue i seguenti obiettivi e finalità:
Promozione della partecipazione di tutti i
soggetti interessati alla gestione degli aspetti
connessi con l’abitare gli spazi cittadini
Sostegno all’associazionismo e alle reti locali
Facilitazione della comunicazione tra tutti gli
attori territoriali dei contesti urbani di
competenza
Promozione e partecipazione a percorsi di
crescita e sviluppo locale
Promozione e partecipazione a progettualità di
cittadinanza attiva ed empowerment
territoriale
Promozione della sicurezza urbana attraverso
percorsi di cittadinanza attiva, partecipazione
e integrazione
Gli strumenti operativi del progetto Piazzando
prevedono:
Ricerca – azione su risorse e criticità dei
territori di competenza
Attivazione di tavoli e gruppi di lavoro aperti
e rivolti a tutti gli attori territoriali rispetto alla
gestione degli ambiti e dei settori avvertiti
dalla comunità come più rilevanti
Promozione di iniziative e percorsi di
animazione e aggregazione sociale, rispetto a
temi rilevanti per i territori
Attivazione di laboratori sociali, culturali,
ludici, sportivi volti a favorire la conoscenza,
l’aggregazione e la crescita dei partecipanti e
del contesto territoriale nella sua complessità
Il progetto Piazzando opera nel quartiere di Pietralata,
zona tradizionalmente connotata da situazioni di
disagio sociale, meno nota per le tante risorse positive
di cui dispone. Nello specifico, gli operatori del
progetto, con alcune realtà locali - scuole e cittadini
attivi – hanno avviato un confronto fatto di incontri
periodici per discutere ed analizzare le criticità e le
risorse del quartiere e per costruire, insieme, modalità
di promozione e sviluppo territoriale atte a favorire la
coesione sociale, la collaborazione e l’assunzione di
responsabilità diffusa e condivisa rispetto al
miglioramento della qualità della vita sul territorio.
Dagli incontri è nata la proposta di scrivere un progetto
che raccogliesse volontà e istanze del quartiere
declinate in percorsi di tipo formativo, sportivo e di
sensibilizzazione ambientale. Da qui è nato Vivere
Pietralata.
Passo numero 2: Vivere Pietralata
Il progetto Vivere Pietralata, finanziato dalla Provincia
di Roma, nasce dal confronto e dalle idee dei cittadini
anche per stravolgere il concetto di “periferia” intesa
tradizionalmente come luogo di degrado e disagio
sociale. La periferia spesso è identificata con
l’immagine di luoghi degradati da riqualificare e da
recuperare, insomma, come luogo “ai margini”. E’
inoltre raro sentir parlare della necessità di “far
emergere” la cultura dalla periferia, si preferisce
insistere sul concetto di “portare” la cultura nei luoghi
a margine. Eppure le periferie sono luoghi in cui
esistono storie individuali e collettive da narrare,
competenze da far emergere e valorizzare. Esistono
comportamenti, modi di intendere lo spazio urbano,
identità, differenti provenienze. In breve, esiste una
cultura, o più culture locali. Si tratta di riconoscerle e
di farle emergere.
Sviluppare la relazione tra il racconto, la memoria e la
provenienza degli abitanti della periferia di ieri e
l’oggi, il presente, le persone che vivono o lavorano in
un quartiere quale Pietralata (non più periferia ma
territorio deputato a profonde trasformazioni
urbanistiche e sociali) e l’esigenza di abitare e vivere i
cambiamenti dello spazio urbano costruendo processi
di partecipazione e di protagonismo, diventa l’obiettivo
del progetto Vivere Pietralata. Il quartiere ed i suoi
abitanti sono a tutti gli effetti un capitale sociale
importante da coinvolgere nelle scelte di
trasformazione e di crescita del quartiere, fungono da
agenti di sviluppo locale, in grado di stimolare e
valorizzare il capitale umano e l’insieme di culture e
competenze locali in quanto espressione del tessuto
sociale stesso. E’ nell’ambito del progetto Vivere
Pietralata che si sviluppa il percorso di riqualificazione
partecipata degli spazi pubblici: Pietralata Piantala!
Passo numero 3: Pietralata Piantala!
Da alcune interviste rivolte agli abitanti del quartiere
Pietralata e’ emersa l’esigenza di lavorare sul tema
della riqualificazione urbana ed abbellimento di alcuni
punti critici della zona. La metodologia adottata si è
basata sul coinvolgimento diretto dei cittadini
interessati sostenuti nel percorso dagli operatori del
progetto Piazzando. L’idea semplice è quella di
realizzare azioni di giardinaggio urbano, una volta
individuati i luoghi “sensibili”, prendersi cura delle
aiuole realizzate coinvolgendo cittadini, scuole e
comitati di quartiere.
Il fine è quello di realizzare delle azioni dilazionate nel
tempo ed itineranti nello spazio, che abbiano un unico
filo conduttore: prendersi cura degli spazi comuni.
La prima iniziativa di riqualificazione è stata
realizzata il 19 Febbraio 2010 presso la fermata
dell’autobus su Via di Pietralata. La zona interessata
dall’azione è composta da insediamenti di edilizia
popolare in cui gli spazi verdi comuni dei lotti sono
stati “adottati” dalle signore che li abitano e che si
prendono cura del verde comune. Tale capitale umano
è stato coinvolto nella realizzazione della prima
iniziativa, assieme ai ragazzi e bambini del quartiere.
L’evento è stato realizzato grazie anche alla preziosa
disponibilità di alcuni vivai della zona che hanno
spontaneamente regalato siepi, piante e terra.
La prima azione ha innescato una spirale di “buone
pratiche” che ha visto il coinvolgimento della scuola
media statale “Giorgio Per lasca” di Pietralata. Gli
alunni della scuola hanno dato vita alla seconda
iniziativa di riqualificazione: Pietralata Piantala…con
la scuola!
L’iniziativa, svolta il 15 Aprile 2010, nell’ambito della
Giornata della Scienza “Dal Micro al Macro”, ha
permesso l’abbellimento delle aiuole interne al
giardino della scuola. Genitori, operatori, insegnanti ed
alunni hanno lavorato insieme, armati di piante e
rastrelli.
Parallelamente al percorso avviato è stato attivato
all’interno dei lotti di Pietralata un cantiere di
autocostruzione di arredi urbani, Petralab, che ha visto
la forte partecipazione di bambini e ragazzi. Questi,
sostenuti dagli operatori, hanno lavorato alla
preparazione dei pezzi e alla fase di assemblaggio al
fine di costruire una fioriera ed una panca con fioriera
di legno. I prodotti, frutto del lavoro e dell’entusiasmo
dei ragazzi, sono stati presentati in occasione della
manifestazione PetraInfesta, svolta il 7 Maggio 2010.
Durante la festa si è provveduto a riempire le fioriere in
legno con la terra e le piante ed entrambi le costruzioni
sono diventate patrimonio della piazza (Largo di
Pietralata) dove la festa ha avuto luogo. Tutt’oggi se ne
prendono cura i ragazzi che gestiscono il bar antistante
la piazza.
Cosa ci ha spinti ad intraprendere tale percorso?
…Perché crediamo che la qualità della vita in un
quartiere parta dalle relazioni sociali che si sviluppano
e si approfondiscono nel fare insieme e ridare colore e
qualità allo spazio urbano
…Perché prendersi cura degli spazi comuni e renderli
più vivibili ci fa sentire piu’ sicuri e a nostro agio nel
quartiere in cui viviamo
…Perché più bello è meglio!
Prove di democrazia partecipativanell'area genovese
FRANCA BALLETTI, SILVIA SOPPA
Lo strumento della partecipazione dovrebbediventare, da un lato, un requisito tecnico del governodel territorio, capace di garantire la necessaria opzionedemocratica (Crosta, 1991), dall’altro assumere unruolo strategico per la qualità dei progetti, portandoalla costruzione di “ambienti di vita” (quartieri,vicinati, spazi aperti) capaci di meglio esprimere la“cultura” del luogo in tutti i suoi molteplici aspetti. Neiprogetti di trasformazione, di valorizzazione e digestione del territorio, la partecipazione dovrebbeassumere una rilevanza centrale, se non altro perrispondere ai quei principi introdotti dalla CEP erecepiti dalla legislazione nazionale (L. 14/2006) voltiad attribuire un ruolo centrale alle comunità locali nelledecisioni che riguardano i loro ambienti di vita. Questapolitica si avvale di percorsi partecipati capaci dicoinvolgere gli abitanti con modalità diverse:consultazioni, forum, indagini ed inchieste, ecc.L’articolazione dei metodi da mettere in campo varia infunzione degli obiettivi che vengono definiti, delcontesto in cui si opera e delle diverse fasi del percorsopartecipativo attivato.
Un campo di sperimentazione particolarmenteinteressante dell’“agire partecipativo” è l'interventosullo spazio pubblico - qui inteso in senso lato: dallepiazze, al verde, alle strutture di servizio, alla mobilitàdolce – in quanto in esso si ritrova la centralità delladimensione dell’interesse collettivo e dell’equitàsociale. Agire sullo spazio pubblico significa occuparsinon solo delle modalità della sua trasformazione fisica,ma soprattutto del significato che viene ad essoattribuito e che – abbracciando un approcciopartecipativo - si declina innanzitutto come luogo diinterazione tra cittadini. In questo contesto ledimensioni etica ed estetica interagiscono in modoprofondo, condizionando l’efficacia delle scelte erendendo strategico il ricorso alla costruzionecondivisa sia del quadro conoscitivo/interpretativo deiluoghi, sia del disegno progettuale, sia di forme digestione proponibili. L’aspetto originale dato dalprogetto partecipato è che il recupero di “spazi aperti”pubblici e d’uso pubblico, spesso solo accessori nelleprassi progettuali correnti, diventa l’elemento fondanteper il ridisegno complessivo dell’ambiente di vita,condizionando la qualità di successivi atti progettuali.
Il territorio genovese porta esperienze che possonooffrire un'interessante casistica di discussione e diconfronto, facendo capo a tematiche differenti e adiverse scale di intervento, anche se, come in genereaccade nel nostro Paese, la “filiera” del livello locale èdecisamente più consistente rispetto a quella d’AreaVasta. A scala territoriale è stato promosso dallaProvincia di Genova un articolato percorso finalizzatoalla costruzione di un Master Plan per la Valle Scriviache ha coinvolto numerose amministrazioni comunali;alla scala di quartiere o di settore urbano i temi vannodal recupero e rifunzionalizzazione di aree industrialidismesse o di aree destinate a servizi non più attivi (ExVerrina a Voltri, ex Ilva a Cornigliano, ex Boero aMolassana, ex Stoppani a Cogoleto, autorimessa AMTa Boccadasse, mercato ortofrutticolo di CorsoSardegna), alla realizzazione di spazi pubblici frutto diriuso di aree ex portuali (fascia di rispetto di Prà) o dimargine urbano (S. Eusebio-Mermi-Montesignano),alla riqualificazione di quartieri con problemi didegrado fisico e sociale (quartiere Maddalena nelcentro storico della Città), alla “comparazione” trasoluzioni alternative per una grande infrastruttura(Gronda autostradale di Ponente), alla definizione deltracciato di una tranvia al servizio di una delle dueprincipali Valli genovesi, la Valbisagno.
Assumere come centrale l’attenzione allapartecipazione all’interno delle pratiche di governodel territorio significa far convergere due punti divista, entrambi volti alla costruzione di qualità perla città ed il territorio: l’approccio paesaggistico -quello introdotto dalla Convenzione Europea delPaesaggio (CEP) - e l’approccio che si propone didare efficacia alle politiche urbane. Lapartecipazione, infatti, assume centralità nellepolitiche urbane sia in relazione ai problemi diqualità dell’abitare (esemplificativo è il caso delleperiferie, ma non solo), sia dell’efficacia delletrasformazioni previste dai piani e dai progetti, intermini funzionali, formali e sociali. Per risponderea questi temi si sono sviluppate esperienze dicoinvolgimento degli abitanti nei processi di piano edi progetto che hanno condotto, almeno in parte, alcambiamento o alla revisione delle modalità diformazione degli strumenti ordinari e - forse inmisura minore - ad innovazioni nei contenuti.
Tutte le esperienze, di diversa complessità, comportanointerventi di riutilizzazione e valorizzazione dellospazio pubblico, cercando di riconfigurare le relazioninon solo fisiche, ma percettive, di appartenenza,quotidiane. In altri termini, i processi partecipativiconsiderati hanno come fine ultimo quello di ridefinirela percezione comune dello spazio pubblico, dirideterminarne gli equilibri tra gli interessi dei diversiattori in gioco (pubblici e privati), di proporre nuovepratiche d’uso capaci di essere alternative vitali alledinamiche di privatizzazione, gentrification,disneyficazione, …, ed ancora, di sottrarre lo spaziopubblico all’incuria, alla marginalizzazione,all’erosione e alla banalizzazione.
Tra i più recenti e significativi processi che hannocoinvolto direttamente il gruppo di ricerca1 sirichiamano in questo contributo le esperienze diriconversione dell'area Boero (Genova-Molassana) edell'area ex-Verrina (Genova-Voltri), cherappresentano esempi di come i percorsi dipartecipazione possano svolgere un ruolo dimitigazione del conflitto tra soggetti istituzionali esoggetti privati e tra questi e la cittadinanza, soprattuttoladdove esistano problematiche urbanistiche eprogettuali complesse. Emblematico è il caso degliinterventi di riqualificazione e riuso che divieneemblematico in quanto si devono valutare “visioni” dienti diversi ed istanze di finanziatori ed operatoriprivati.Nel caso dell’area Boero, infatti, nonostante l’iter delprogetto edilizio avesse raggiunto una fase avanzatacon la sua presentazione in Conferenza dei Servizi, perevitare l'inasprirsi di un conflitto con i cittadini delquartiere, l’Amministrazione comunale ha sospeso laprocedura e proposto l’attivazione di un percorso dipartecipazione teso a ristabilire il dialogo con gliabitanti in merito alle scelte funzionali relative alnuovo insediamento, rimettendo in discussione laqualità e l’assetto degli spazi pubblici compresi nell’exarea produttiva e le relazioni tra questa ed il quartieredi Molassana. In questo caso la stessa proprietà,consapevole che il percorso amministrativo avrebbepotuto non concludersi positivamente, ha accettato diridiscutere il disegno progettuale, accogliendo esviluppando gli indirizzi emersi dal confrontopubblico, nel rispetto dei parametri urbanistici.Dal processo è derivata una “sensibilizzazione” degliamministratori sul tema della partecipazione e sullanecessità di un quadro di regole strutturate, che haportato all’approvazione nel 2009 da parte delConsiglio Comunale delle “Linee guida per ladefinizione operativa dei processi di partecipazione inambito di trasformazione urbana”.
1 L’attenzione durante il BarCamp è stata posta, inparticolare, sui percorsi seguiti dal Dipartimento Polis (oggiDSA) dell’Università di Genova. Una rassegna più completadelle esperienze (descritte attraverso schede che permettonoun confronto tra temi, modalità ed esiti) è stata presentata alConvegno “Costruire Paesaggi Partecipati. Esperienze aconfronto”, Facoltà di Architettura di Genova, 19-20novembre 2009.
Nel caso dell'ex area Verrina, il percorso dipartecipazione ha portato ad approfondire la soluzionearchitettonica proposta dai privati, anche in questo casocon particolare attenzione alla riorganizzazione dellospazio pubblico. Il coinvolgimento dei cittadini, che siè sviluppato su due ipotesi progettuali, ha permesso siadi entrare nel merito di alcune problematiche – partedel conflitto derivava dal timore di ricadute negativesulle coltivazioni a basilico circostanti – sia di costruirecon gli abitanti un quadro di conoscenze utili a valutarele opere realizzabili attraverso gli oneri diurbanizzazione ricavabili dall’intervento.
Come esempio, invece, dell'evidente capacitàtrainante di positivi processi partecipati si richiama,invece, il caso del percorso attivato nel Quartiere dellaMaddalena, quartiere del centro storico di Genova, conproblemi di degrado fisico e sociale. Il processo dipartecipazione ha prodotto un “Patto per lo sviluppo”condiviso tra i diversi soggetti coinvolti, in particolareassociazioni e commercianti, e l'elaborazione di unostrumento operativo, “il Piano per lo sviluppo locale”,che favorisce interventi integrati di riqualificazioneurbana. Il processo ha portato un nuovo sostegno allariqualificazione delle imprese esistenti, ha avviatoiniziative per nuovi insediamenti produttivi e proposto
un progetto complessivo di riqualificazione urbana perla realizzazione del quale è stato ottenuto unconsistente finanziamento all’interno del bandoregionale P.O.R. 2009.
La più recente esperienza di partecipazione riguarda,invece, il progetto della tranvia in Valbisagno2. LaValbisagno è l’unica parte della città di Genova a nonessere percorsa da mezzi pubblici su rotaia: non ècompresa nella rete ferroviaria, né nel tracciato dellametropolitana ed è esclusa dal potenziamento dellalinea di ferrovia metropolitana. Le motivazioni dellascelta di attivare un processo partecipato fanno capo,da un lato, alle rilevanti ricadute in termini ambientali esociali dell’opera per la vita dell’intera comunitàcittadina, dall’altro alla complessità della situazionelocale, delle attese, degli interessi, dei conflitti cheprecedenti ipotesi di tracciato e di tecnologie ditrasporto in sede propria hanno determinato.
2 Coordinamento scientifico del percorso partecipato:Dipartimenti DSA e DINAEL dell’Università degli Studi diGenova. Soggetti promotori: Comune di Genova, MunicipiMedia e Bassa Valbisagno.
L’ultima proposta dell’Amministrazione comunale perla realizzazione di un filobus su asse protetto hadestato, infatti, grandi opposizioni e la formazione di“comitati contro”, in particolare ad opera dicommercianti e di residenti sulle alture che si sentivanopenalizzati nell’accessibilità ad attività ed abitazioni.Il processo attivato ha portato alla condivisione dellascelta della tranvia, come mezzo di trasporto pubblicoalternativo a quello su gomma e si è concluso conl'elaborazione di “linee guida” per la sua realizzazione,approvate in un’assemblea conclusiva3.
3 I materiali prodotti, compresi i Quaderni dellapartecipazione” elaborati per la tranvia della Valbisagno, ealtre informazioni sui percorsi promossi dal Comune diGenova sono disponibili sul sitowww.urbancenter.comune.genova.it.
Sottovuoti, Laboratorio di Progettazione
Partecipata di Architettura senza Frontiere
Onlus
Sottovuoti è una iniziativa di Architettura senza Frontiere
Onlus che mira all’ organizzazione di laboratori
territoriali di architettura partecipata nei vari Municipi di
Roma. Il fine di questo tipo di attività è quello di costruire
con i cittadini e per i cittadini uno spazio pubblico, di
incontro, di scambio, di convivialità; lo spazio non solo di
una socialità oggi sempre più consumistica ma anche
come spazio della libera interazione tra estranei e tra idee,
spazio dell’imprevisto dove si può trovare ciò che si
cercava, spazio dove può prendere forma qualcosa di
nuovo e non solo spazio di riproduzione dell’esistente.
�Lo sguardo di Sottovuoti si è concentrato sulla periferia
Romana, e in particolare sul Municipio X, attraverso un
primo approccio con le associazioni (istituzionali e non)
presenti nel territorio. Il grande interesse suscitato
dall'iniziativa nel quartiere ormai storico del Quadraro, e i
conseguenti approfondimenti effettuati riguardanti questa
parte di città, hanno evidenziato un tessuto molto
eterogeneo e ricco di potenzialità inespresse, adattissimo
ad ospitare un laboratorio di progettazione partecipata.
Instaurare un rapporto collaborativo e proficuo con le
associazioni locali è un primo passo assolutamente
necessario per chi volesse cimentarsi con un processo
partecipativo di questo genere, perché consente di entrare
in contatto con i cittadini basandosi sull'esperienza di chi
vive quella particolare realtà, con le sue esigenze e i suoi
codici comportamentali, tutti i giorni.
�La prima fase di progetto, che potremmo definire di
raccolta dati, è consistita nella somministrazione di
questionari alla popolazione nei contesti più disparati. Lo
stand di Sottovuoti è stato allestito nei mercati di
quartiere, durante manifestazioni e feste di piazza, ma
anche in appositi incontri di presentazione organizzati
insieme alla associazioni locali, in modo da ottenere una
discreta visibilità e inserirsi nella vita del Quadraro non
come corpi estranei ma come partecipanti fattivi e essere
percepiti non come un presenza occasionale ma continua
e propositiva. Le domande fatte, rivolte a chiunque
“vivesse” il Quadraro, non solo abitandoci, ma anche
lavorandoci o addirittura venendoci nel tempo libero,
oltre a raccogliere informazioni più generiche ( età,
formazione, abitudini) miravano ad ottenere opinioni ,
richieste e suggerimenti. Questo primo approccio (durato
diversi mesi) ha permesso di delineare un quadro
generale su come venga percepito il quartiere e di
individuare delle criticità dove possibilmente lavorare.
Un'altra iniziativa, sempre ascrivibile a questa prima fase
e chiamata “Tutti in piazza” ha reso possibile raccogliere
informazioni in maniera più informale, coinvolgendo i
cittadini all'interno di una struttura aperta. E' stata
esposta una grande mappa del quartiere, eseguite video-
interviste e usati dei plastici per permettere un
interazione più semplice e diretta (con grande entusiasmo
da parte dei bambini). La popolazione ha potuto così
iniziare ad interrogarsi sugli aspetti positivi e negativi del
proprio quartiere e si sono potute raccogliere le adesioni
per il laboratorio.
� La seconda fase, quindi, prevedeva la costituzione di
un laboratorio, o gruppo operativo, formato da cittadini
del quartiere volontari, che costituisse la spina dorsale
dell'intero processo. Costituire un gruppo di lavoro simile
richiede diverse attenzioni e mille accortezze in modo da
permettere a partecipanti di lavorare nel miglior modo
possibile. Ciò significa principalmente creare un
ambiente in cui tutti possano sentirsi a proprio agio, a
cominciare, ad esempio, dall'avere una sede fissa per gli
incontri atta a generare un sentimento di familiarità che
ben dispone chiunque li frequenti. La disposizione delle
sedie e dei facilitatori, il mangiare e bere insieme
qualcosa, tutto deve concorrere a creare un ambiente di
lavoro piacevole e allo stesso tempo performante. Per lo
stesso motivo si è votato insieme un regolamento del
laboratorio che regolasse, in maniere generica ma chiara,
i comportamenti e le attività di chi vi partecipasse.
Il primo incontro si è concentrato sull'osservazione del
Quadraro ed è stato chiesto ad ognuno di individuare
quella che ritenesse essere una priorità per il quartiere,
cioè qualsiasi cosa che necessitasse di cambiare,
migliorare o tornare ad utilizzare. E' sempre importante
cercare forme di comunicazione che non risultino noiose
ma che permettano di raggiungere dei risultati utili allo
scopo finale. In questo caso è stata usato una lavagna e
dei post-it colorati (giallo per le cose positive, rosa per le
negative, arancio per le cose migliorabili) su cui
appuntare le proprie idee, generando così una
discussione da cui sono emersi i luoghi del quartiere
ritenuti più critici.
�La seconda giornata del laboratorio è stata dedicata al
sopralluogo, svoltosi camminando attraverso il quartiere e
avendo come tappe proprio quei punti critici emersi
durante la riunione precedente. Anche quest'attività va
letta come un importante momento di condivisione e di
cementazione delle dinamiche all'interno del gruppo di
lavoro. La camminata ha coinvolto oltre ai partecipanti
del laboratorio anche tutti i passanti che hanno voluto
unirsi al gruppo anche semplicemente condividendo
ricordi e aneddoti. Il percorso è stato comunque via via
arricchito raggiungendo nuovi punti proposti da chiunque
volesse nel rispetto di quell'idea di partecipazione e
completa interattività che è alla base di tali processi.
�A questo punto del percorso i successivi incontri hanno
ospitato dei veri e propri brain storming (o alberi delle
idee) in cui le proposte sono state raccolte e suddivise in
grandi ambiti tematici
1. Luoghi di socializzazione
2. Arredo e decoro urbano
3. Luoghi da riqualificare
Lo scopo era quello non sono di affinare le problematiche
emerse già dai primi incontri ma di individuare
definitivamente i vuoti urbani su cui concentrare l'attività
di laboratorio iniziando la fase progettuale.
�Sottovuoti è quindi arrivato alla fase di progettazione,
che sta pianificando in modo da ottenere un risultato più
condiviso possibile. I prossimi incontri saranno dei veri e
propri momenti di socialità e condivisione aperti a tutti, in
quegli spazi individuati, non vissuti, vuoti, che possono
diventare (come vorremmo dimostrare), risorsa preziosa
per il quartiere. Ci saranno inoltre degli appuntamenti
organizzati in open space technology, il tutto per favorire
la partecipazione di chi, non potendo partecipare ai
laboratori vorrebbe comunque dare un contributo al
processo di progettazione. Per questo Sottovuoti gestisce
anche un blog (http://sottovuoti.blogspot.com) in cui oltre
a commentare i post pubblicati , si può interagire con il
Laboratorio tramite la piattaforma multimediale
sviluppata per noi dall'Associazione no-profit Riqua; qui
è possibile, tramite carte geroferenziate, scoprire e
visitare virtualmente i luoghi indicati durante gli incontri,
commentare le foto fatte, e segnalare sulla mappa nuovi
possibili spazi da analizzare.
�Questa tranche di progettazione produrrà del materiale
che il laboratorio, con i suoi partecipanti elaborerà per
redigere poi una proposta progettuale più concreta.
Giunti a questo punto, risulta inevitabile doversi
interfacciare con la pubblica amministrazione,
indiscutibile referente per qualsiasi progetto che si
occupi di spazio pubblico. Il Laboratorio Sottovuoti ha
sempre coltivato un rapporto di collaborazione con il
Municipio X, dove ricade il quartiere Quadraro, tenendo
informata l'amministrazione sulle attività svolte e i
risultati ottenuti e invitando in varie occasioni
rappresentanti della pubblica amministrazione a
interfacciarsi con gli abitanti. Questo aspetto rappresenta
un punto focale del processo nonché un'occasione di
crescita personale per i cittadini stessi che oltre ad
elaborare un progetto vero e proprio, si trovano anche
nella possibilità di discuterne con chi ha il potere
effettivo di realizzarlo. Gli incontri effettuati a questo
scopo, detti “il mondo in una stanza”, prevedono un vero
e proprio faccia a faccia, costruttivo e basato non sulla
contrapposizione ma bensì sulla mediazione tra posizioni
spesso distanti. Il successo del laboratorio dipenderà
proprio dalla capacità di trovare una sintesi tra le varie
istanze, non scontentando chi nel processo di
partecipazione ha riversato tento impegno ed energie.
�L'esperienza del Quadraro costituisce una sorta di
“numero 0”, poiché uno degli obiettivi di Sottovuoti è
quello di elaborare una strategia replicabile in altri punti
della città di Roma. La partecipazione nei processi
progettuali nel territorio urbano, piccoli e grandi che
siano, è una importante possibilità non solo per una
popolazione ormai esclusa dai processi decisionali che la
riguardano in prima persona, ma anche per le pubbliche
amministrazioni bisognose di ristabilire un rapporto più
collaborativo con il territorio che restituisca loro efficacia
nell'azione e credibilità.
Email: [email protected]
blog: http://sottovuoti.blogspot.com
La progettazione partecipata per i locali pubblici
degli enti locali
Premessa
Alcuni Comuni italiani hanno subito una rivoluzione
urbanistica e un cambiamento sociale.
Il primo cambiamento è dovuto o alle distruzioni
dovute alla guerra o agli sconvolgimenti naturali (
terremoti, maremoti, frane, ecc) o a piani di sviluppo
urbanistico che hanno realizzato aree abitative
alternative rispetto agli antichi borghi.
Il secondo cambiamento è dovuto alla riduzione di
occasioni di aggregazione politica e religiosa e alle
scelte dei giovani che, con una cultura maggiore e un
bisogno di libertà crescente, cercano luoghi diversi di
vita e di svago.
Ne consegue che mancano in questi comuni luoghi di
aggregazione per i giovani che possano aiutarli a
incontrarsi per pensare al proprio futuro lavorativo
alimentando possibilmente e contestualmente la
valorizzazione del territorio in cui vivono.
A questo bisogno latente le Associazioni dei Comuni
del Lazio, costituitesi dal 2004 in avanti, hanno voluto
dare una risposta esemplare con la costituzione dei
“laboratori di marketing territoriale”.
I laboratori di marketing territoriale
I laboratori sono locali realizzati in strutture pubbliche
opportunamente ristrutturate e attrezzate con postazioni
web così da permettere il collegamento tramite internet
al portale web di marketing territoriale in dotazione ai
Comuni. (Nella foto quello realizzato nel comune di Minturno).
I laboratori vengono utilizzati da gruppi di giovani del
luogo che vengono formati per poter lavorare sul
marketing del proprio territorio e vengono seguiti nel
loro orientamento professionale e nel consolidamento
della loro identità personale e sociale. Retemark 1 è la
prima esperienza realizzata. Sulla scorta della positività
dei risultati raggiunti si sono poi avviati molti altri
laboratori (Labomark, Montimark, Lepinimark, ecc).
Di seguito si illustra la metodologia utilizzata.
La metodologia della formazione intervento®
La formazione-intervento® è una metodologia di
apprendimento e cambiamento partecipato,
riconosciuta ormai come best practice da numerose
istituzioni nazionali1.
Essa propone la partecipazione dei cittadini come
metodo di condivisione delle scelte di sviluppo e come
strumento di apprendimento degli individui, delle
organizzazioni e dei territori.
Inoltre essa punta all’empowerment delle persone e
delle organizzazioni, come risultato di un processo
progettuale su cui essi vengono impegnati.
Capovolgendo interamente l’approccio didattico
abituale, mette in primo piano il ruolo da esercitare e
l’esperienza di progettazione e di gestione reale di
processi di cambiamento, piuttosto che le conoscenze
teoriche accumulate tramite i tradizionali processi di
trasferimento. Si basa sulla convinzione che il processo
che serve a realizzare il cambiamento costituisca
un’occasione di apprendimento per le persone
coinvolte, sia che ricoprano un ruolo o intendano
1 Premio Cento Progetti (Forum P.A. 2002); Best practice 2003 per l'apprendimento
organizzativo (ISFOL); Rapporto 2003 FORUM P.A.; Rapporto 2004 FORUM P.A.; Eccellenza AIF 2005 (Premio Basile) - Progetto URP per l'Agenzia Enti Locali della Provincia di Lecce; Eccellenza AIF 2006 (Premio Basile) - Progetto SUAP per l'Agenzia Enti Locali della Provincia di Lecce; Eccellenza AIF 2006 (Premio Basile) - Progetto Delfino per la dispersione scolastica; Eccellenza AIF 2007 (Premio Basile) - Progetto Orione per la Dispersione scolastica; Eccellenza AIF 2007 (Premio Basile) - Progetto R.I.S.O.; Eccellenza AIF 2008 (Premio Basile) - Progetto Arcobaleno (premio speciale Scuola); Eccellenza AIF 2009 (Premio Basile) - Progetto “Uno di Noi” (premio speciale Scuola).
Gli Enti locali progettano e realizzano strutture che
ospitano i cittadini per finalità diverse: erogazione di
servizi, intrattenimento sociale, attività di incontro,
studio e formazione, ecc. sottovalutando spesso i
principi ergonomici a cui esse devono rispondere per
risultare adeguati alle funzioni per cui sono state
costruite, piacevoli e funzionali per coloro che le
useranno, accettate e usate dalla comunità locale.
L’esperienza dei laboratori di marketing territoriale nel
Lazio, ad opera di Associazioni di Comuni come
SER.A.F. (www.associazioneseraf.it) e SER.A.L.
(www.associazioneseral.it), dimostra che
l’inconveniente può essere superato utilizzando la
metodologia della formazione intervento . Essa è una
metodologia utile a sviluppare una progettualità
partecipata e usare il processo progettuale per realizzare
una buona soluzione costruttiva e sviluppare un ampio e
profondo processo di apprendimento, coinvolgendo allo
stesso tempo: la comunità locale, i progettisti, i
realizzatori delle strutture e i fruitori finali.
ricoprirlo, sia che operino in un’organizzazione o che
vivano in un determinato territorio.
La formazione-intervento® aiuta a cambiare, a
riconoscere e a sviluppare le potenzialità intrinseche di
ognuno, a sollecitare e orientare la creatività
progettuale, a effettuare una comunicazione efficace e
finalizzata, a imparare ad imparare e a costruire reti di
relazioni che consentono di condividere conoscenze e
competenze.
La metodologia è promossa dall’Istituto di Ricerca
sulla Formazione-Intervento®2 che fa ricerca e
divulgazione dell’innovazione, verifica l’efficacia della
formazione, promuove attività di formazione-
formatori, sperimenta interventi e sistemi di
monitoraggio, sviluppa networking.
Il processo che contraddistingue questa metodologia
didattica innovativa si articola in cinque fasi:
Formulazione strategica: è il processo che serve a
esplicitare la strategia di cambiamento che si intende
perseguire. Le persone che ne sono coinvolte sono
aiutate dal metodologo ad elaborare e formalizzare la
strategia da perseguire.
Condivisione strategica: è il processo che consente a
tutte le persone coinvolte da un cambiamento di
condividere le scelte strategiche che ne suggeriscono la
realizzazione. Nel corso della condivisione strategica si
fa uso del documento realizzato nella fase precedente
di formulazione strategica. La condivisione strategica
si sviluppa secondo un processo verticale (top down) e
procede coinvolgendo livelli gerarchici omogenei. La
condivisione strategica serve anche a motivare le
persone della struttura a seguire la fase successiva di
"progettazione partecipata".
Progettazione partecipata: è il processo che serve a
trovare una soluzione ad un problema e che sta al cuore
della formazione-intervento®. L'affrontare un
problema e trovare una soluzione mediante
l'attivazione di un progetto stimola ad approfondire le
conoscenze relative al tema oggetto dell'intervento, ma
anche ad attivare un processo di apprendimento "non
depositario", a sviluppare l'empowerment e la
creatività, a riconoscere e migliorare il proprio modo di
apprendere.
La progettazione partecipata dura in media due o tre
mesi e si articola in:
- moduli metodologici che servono per apprendere
le modalità con cui si conducono le fasi della
progettazione partecipata
- moduli tematici che servono invece per
approfondire le conoscenze sul tema che è oggetto
della progettazione partecipata.
2 www.formazioneintervento.it
- periodi di project work che servono per
sviluppare le fasi della progettazione partecipata
in base alle conoscenze acquisite dalla
partecipazione ai moduli metodologici e tematici.
Comunicazione: è un processo che accompagna tutte
le fasi della formazione-intervento®. Essa è diretta alle
persone coinvolte nelle diverse fasi, ma anche al
contesto circostante interessato direttamente o
indirettamente all'esito dell'iniziativa.
Apprendimento: è anch’esso un processo che si
sviluppa lungo tutto l'arco del processo di formazione-
intervento® e che si nutre del processo progettuale
come alimento per la sua maturazione. Si è convinti
che il cambiamento indicato dalla progettazione può
essere realizzato se coloro che sono coinvolti dal
cambiamento partecipano alla progettazione,
sviluppando il conseguente apprendimento.
L’esperienza di Retemark 1
Essa si è sviluppata su quattro piani:
1. “progettazione partecipata” con i cittadini nei tre
Comuni coinvolti (Castelforte, SS. Cosma e
Damiano e Minturno). Essa è servita per realizzare
il “Bilancio Partecipativo” nei tre Comuni e a
mettere a fuoco l’opportunità di realizzare il
laboratorio di marketing territoriale per coinvolgere
i giovani e renderli consapevoli della ricchezza del
proprio territorio. (Nella foto, assemblea Pubblica a Castelforte)
Il risultato della progettazione è stato incluso in un
progetto che è stato presentato al bando pubblico
della Regione Lazio sul tema dello sviluppo
economico ottenendo un discreto finanziamento;
2. “progettazione partecipata” con i giovani che hanno
frequentato il IV master di Ergonomia organizzata
dalla SIE Lazio. I giovani, seguendo la
metodologia della formazione intervento, hanno
progettato le soluzioni ergonomicamente più
corrette per realizzare i laboratori nei tre comuni.
Essi hanno poi offerto le soluzioni individuate alla
discussione che si è sviluppata intorno al processo
di progettazione con i funzionari dei Servizi tecnici
dei tre comuni;
3. “progettazione partecipata” con i funzionari dei tre
Comuni per addivenire alla predisposizione di un
progetto condiviso di strutturazione dei locali da
adibire a laboratorio e delle relative infrastrutture
telematiche. (nella foto, workshop a Minturno);
Il risultato di tale progettazione, che si è sviluppato
tra ottobre e dicembre del 2009, si è quindi tradotta
nelle specifiche introdotte nelle gare di appalto che
i funzionari hanno poi bandito per realizzare le
opere e fare gli acquisti delle attrezzature
informatiche. Tali specifiche sono state poi
trasferite in una biblioteca fruibile attraverso il
portale web delle Associazioni dei Comuni del
Lazio a tutti i funzionari dei Servizi tecnici dei
Comuni associati. Sia in fase di progettazione che
in fase di realizzazione ci si è avvalsi della
competenza dei soci del direttivo della SIE Lazio,
che hanno fornito, assieme ai giovani del master in
Ergonomia, le linee di riferimento ergonomiche e
hanno controllato che esse venissero applicate nei
lavori di strutturazione dei laboratori;
4. “progettazione partecipata” con i giovani, fruitori
dei tre laboratori, cosicché acquisissero le
competenze adeguate a lavorare per il marketing
del proprio territorio e ad usare il software del
relativo portale web e la struttura resa loro
disponibile per operare come gruppo e ospitare i
cittadini del territorio per promuovere a loro volta
le loro attività. Essa si è sviluppata dal febbraio al
giugno del 2010. (Nella foto i giovani a SS. Cosma e Damiano)
La possibilità di operare in un ambiente
confortevole, moderno e tecnologicamente evoluto
ha stimolato nei giovani l’orgoglio di appartenenza
all’iniziativa e il confronto con gli adulti nei “loro”
laboratori ha alimentato il processo di
empowerment che si è attivato fin dalla fase della
loro selezione, quando si è cercato di stringere un
patto per lo sviluppo delle persone e del territorio.
La progettazione partecipata, proprio come suggerisce
la metodologia, è stata chiaramente anticipata e poi
confortata da un continuo richiamo alla strategia
dell’Associazione SER.A.L. a cui i comuni aderiscono
(condivisione strategica) rafforzando anche
progressivamente la scelta di realizzare i laboratori
come strumento di coinvolgimento e di
professionalizzazione dei giovani intorno allo sviluppo
locale (formulazione strategica).
Il risultato delle tre azioni (formulazione strategica,
condivisione strategica e progettazione partecipata) ha
costituito il contenuto e lo stimolo ad una
comunicazione costante che è avvenuta sul piano locale
e su quello nazionale. Essa è servita ad inorgoglire e
quindi confortare gli innovatori che hanno sostenuto
l’iniziativa, la quale, nel suo complesso ha consentito
un efficace apprendimento, sia degli individui che delle
organizzazioni che ne sono stati coinvolti.
L’attività sperimentale nei tre laboratori è continuata
fino ad aprile del 2011. Dopo essi sono stati assegnati
alla gestione della società che aveva seguito l’iniziativa
e a giovani che avevano fatto parte dei laboratori
cosicché fosse garantita la medesima opportunità a tutti
gli altri giovani del territorio e, progressivamente, a
tutti i cittadini del luogo.
La divulgazione dell’esperienza
L’innovazione ha delle regole precise. Se essa è
valevole per risolvere un problema sociale largamente
diffuso nei comuni italiani non può rimanere delimitato
nell’ambito di un territorio angusto, come quello
delimitato da tre comuni della provincia di Latina.
Proprio per allargarne la sua applicazione e
comprendere la validità applicativa, il modello è stato
riproposto in molti altri comuni del Lazio, almeno in
quelli che, appartenendo alle Associazioni che sono
state costituite a partire dal 2004, hanno maturato una
comune esperienza nell’uso della metodologia della
formazione intervento e hanno sperimentato l’utilità
della “progettazione partecipata”.
Sono nati pertanto i laboratori in altri raggruppamenti
di Comuni.
Essi hanno con nomi diversi, ma della stessa fattura e
con le stesse finalità. Infatti accanto a Retemark 1 si è
aggiunto Labomark, Montimark e Lepinimark, in
provincia di Frosinone, e Sabinamark, in provincia di
Rieti. La ricerca dei finanziamenti pubblici per
sostenere la realizzazione dei laboratori e il loro
ritrovamento ha certamente giocato positivamente
sull’allargamento dell’innovazione ad altri territori, ma
anche altri fattori hanno contribuito allo sviluppo
dell’iniziativa. Lavorare con la famiglia professionale
che opera nel settore dei servizi tecnici e rendere
disponibile una biblioteca comune consultabile via
internet è stata certamente una scelta felice. Aiutare il
personale che opera in questo settore a rappresentare
formalmente sui siti dei loro rispettivi comuni le
“schede servizio”, cioè il modo con cui il cittadino può
accedere e fruire dei servizi da loro erogati, è stata
un’altra scelta opportuna. Mettere a disposizione del
personale di questa rete (altrimenti chiamata “comunità
di pratica”) delle iniziative di formazione
sull’Ergonomia e la progettazione ergonomica, è stato
un altro contributo positivo allo sviluppo della
sensibilità alla progettazione ergonomica.
La carta vincente è però quella di animare e sollecitare
i fruitori delle strutture accrescendo la consapevolezza
dei loro diritti. Una domanda che non viene espressa
non stimola infatti l’offerta a dare risposte innovative,
ma la induce ad attestarsi sull’esperienza del passato.
L’innovazione nella progettazione degli ambienti
pubblici è da ricercare attraverso meccanismi e
processi di progettazione partecipata che coinvolgano i
tecnici dei comuni a ciò preposti, ma prima ancora e
costantemente sempre, va attivata una partecipazione
alla progettazione dei cittadini che sono i fruitori degli
ambienti pubblici che loro realizzano.
Dalla rete di cittadini attivi all’occupazione dell’Ex-Cinema Palazzo: verso uno spazio pubblico L’esperienza che qui presentiamo, narra una storia di partecipazione spontanea e di autorganizzazione, uno tra i possibili percorsi di co-produzione di uno spazio pubblico. Quando uno spazio è pubblico? Quando è tale il suo statuto giuridico o quando esso è vissuto, rivendicato e appropriato in modo pubblico? Quest’esperienza mostra quanto i cittadini in forme organizzate possano giocare un ruolo centrale nei processi di significazione dei luoghi. Benché il processo sia in una fase nascente, l’esperienza dell’EX-Cinema Palazzo sottolinea il processo di costruzione di senso ed il ruolo delle conoscenze “militanti” collettive nella costruzione di un modello “altro” di territorio e di città. Partendo da un senso di appartenenza al quartiere-città-mondo aperto e reticolare, i cittadini di San Lorenzo tessono una storia collettiva che prova a trovare una sintesi tra resistenza e creatività, tra radicamento locale e connessioni globali, tra impegno politico, arte e cittadinanza attiva. L’occupazione dell’Ex-Cinema Palazzo è il risultato di un percorso di oltre un anno durante il quale i residenti di San Lorenzo, organizzati in rete, hanno iniziato a incontrarsi per combattere il degrado culturale e sociale del quartiere, cercando di contenere gli effetti della cosiddetta “movida” e della dilagante presa di spazi e poteri da parte delle lobbies affaristiche e degli spacciatori. Nell’arco di questo periodo, la rete ha realizzato numerosi incontri, eventi e manifestazione per cercare di ridare slancio al tessuto sociale del quartiere, sensibilizzare sulle problematiche del territorio e
portare avanti un’azione politica collettiva di denuncia e di proposta. Durante le numerose riunioni tra i cittadini che si sono tenute regolarmente, prima in spazi sociali, poi alla Casa della Partecipazione del Municipio di appartenenza (Municipio Roma 3), emerge l’allarme sul bellissimo spazio dell’Ex-Cinema Palazzo nel quale, nello scorso marzo, sono iniziati i lavori di ristrutturazione finalizzati all’apertura di un casinò. Si tratta di un luogo privato ma con una forte valenza nella memoria collettiva. Un tempo cinema e teatro, in questo bel palazzo, hanno recitato Totò e Petrolini, Esso ha rappresentato un luogo simbolo per i cittadini di San Lorenzo, sia per coloro che lo hanno frequentato, sia per coloro che, dichiarano numerosi anziani del quartiere, sognavano un giorno di poterlo frequentare. Successivamente esso è stato adibito a sala da Biliardo e più recentemente a Sala Bingo rapidamente chiuso per irregolarità gestionali. I cittadini, dopo una serie di verifiche, nel mese d’aprile decidono, dunque, di intervenire per impedire l’apertura di un casinò nel cuore del quartiere già vessato da una forte speculazione commerciale ed edilizia e, per poter rilanciare affinché lo spazio diventi un luogo pubblico culturale. Dal momento dell’ingresso nell’Ex Cinema Palazzo molte cose sono cambiate e hanno superato idee e aspettative. Gli abitanti, il mondo dello spettacolo e numerose istituzioni hanno supportato i cittadini e le realtà che hanno avviato l’occupazione. Alla Sala è stato dato un nome: Sala Vittorio Arrigoni, lo spazio è stato cioè, prima denominato, quindi ha progressivamente iniziato a definirsi, trasformarsi, «reificarsi» ed infine, a strutturarsi in relazioni interne ed esterne e a mettersi in prospettiva con un passato, un presente e una possibile idea di futuro per quel territorio.
E’ iniziato, cioè, un vero processo di territorializzazione1 sia dell’Ex Cinema sia della piazza antistante che, da parcheggio disordinato, ha cominciato a divenire luogo di nuovi passaggi e attraversamenti multipli. Questa esperienza appare complessa. Si colloca nella contemporaneità di questioni che toccano diversi livelli di lettura e di politiche. La progressiva chiusura di spazi dedicati alla cultura a livello nazionale, la concessione di una serie di autorizzazione per l’apertura di Casinò, le inchieste giornalistiche di livello (La Repubblica e Report) che hanno acceso i riflettori sulle scottanti vicende che si nascondono dietro il nuovo business delle sale da gioco, la generale crisi del settore teatrale nella Capitale (con numerose chiusure di teatri importanti), i tagli al FUS e l’ulteriore precarizzazione della condizione dei lavoratori dello spettacolo, la mancanza di governo delle dinamiche speculative immobiliari cui non si oppone, in molti casi, un disegno strategico complessivo sulla città. Ciò appare emblematico a San Lorenzo, quartiere fragilizzato da dinamiche di microcriminalità, spaccio, degrado e di un’attrattività impoverita di valori culturali e sociali e schiacciata su un’offerta bassa e caotica. Dall’idea iniziale di un’occupazione lampo e simbolica, la variegata rete di cittadini che ha preso questa iniziativa, si trova confrontata con la temporalità via via più lunga e pur sempre incerta di questa occupazione. La divisione in gruppi di lavoro, l’utilizzo di una comunicazione plurimedia e in tempo reale, la programmazione artistica di alto livello (con testimonial quali Sabina Guzzanti, Mario Martone, Franca Valerii, Elio Germano e molti altri) rappresentano tasselli di una strategia complessa che si sta inventando giorno per giorno nel tentativo di tener assieme diversità, di far circolare conoscenze, di mobilitare competenze. Le esperienze storiche di mobilitazione sociale presenti nel quartiere come “il 32” di Via dei Volsci (storico centro sociale della sinistra antagonista romana) o le occupazioni abitative (la più nota quella di Via de Lollis), le nuove forme di attivismo politico, quali quella dell’Onda, che nel quartiere trova uno dei suoi spazi di confronto, la tradizione storica di resistenza e autorganizzazione, il forte associazionismo e l’attivismo di singoli cittadini e gruppi, sono le leve da cui prende le mosse l’occupazione ed in questa esperienza trovano terreno di contaminazione e trasformazione. Si susseguono esperienze di riappropriazione simbolica attraverso azioni creative (laboratori, happening, mostre, attività con bambini e anziani).
1 A. Turco, 1988, Verso una teoria geografica della complessità, Unicopoli, Milano.
Pratiche di riappropriazione dello spazio: vengono organizzati numerosi laboratori per bambini tra cui quello di giardinaggio “per seminare il verde nella piazza”, viene ripulita e tinteggiata la facciata, vengono organizzate attività per favorire la conoscenza e tra le diverse generazioni che abitano San Lorenzo.
Si studiano le buone pratiche di gestione culturale, ci si interroga sulle modalità per avviare un processo partecipativo democratico e stringente, si raccolgono competenze e visioni, si tracciano scenari possibili per la gestione futura di questo spazio. La mobilitazione, che ha avuto una fortissima risonanza sui media locali e nazionali e raccolto oltre diecimila firme, è solo all’inizio. La prossima tappa, delicatissima, che si delinea è l’avvio di un tavolo di concertazione con le autorità che dovrebbe servire, altresì, a liberare dal senso d’urgenza e iscrivere la mobilitazione nella continuità e nel processo politico e negoziale di una riappropriazione dello Spazio come Luogo di Cultura e di Partecipazione. L’esperienza denuncia un rinnovato bisogno di spazi pubblici, sempre più rari nell’era delle progressive privatizzazioni e di una speculazione immobiliare che incoraggia le grandi opere a scapito degli spazi preposti alla quotidianità e alla socialità nei quartieri2. Numerosi i fronti su cui i cittadini organizzati si sono mossi. Innanzitutto una programmazione artistica e culturale densissima e di livello scaturita dalle relazioni e dalle reti dei singoli componenti, messe in campo con rapidità e successo, e cumulate per un fine collettivo.
2 J.M. Jacobs 1969, Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle metropoli americane, Torino, Einaudi
Esse hanno garantito la vitalità del luogo e confermato l’esistenza di una domanda culturale e sociale insoddisfatta, non solo nel quartiere ma alla più ampia scala urbana. Inoltre, sempre partendo dal patrimonio socio-culturale dei singoli e dei gruppi attivi, la rete dei cittadini, ha compiuto una serie di ricerche e perizie che denunciano ipotesi di connessioni poco chiare dietro l’imminente apertura del casinò e l’incongruenza delle nuove concessioni per tale attività rispetto al tessuto di città storica in cui la piazza dove si trova la struttura del Cinema ricade. La costruzione di queste conoscenze, che si sono accumulate nel susseguirsi d'incontri e dibattiti con esperti e giornalisti, ricerche condotto attraverso le conoscenze individuali o collettive (poiché già strutturatesi come tali negli altri percorsi di militanza sociale presenti all’interno della rete) ha dato vita ad una vera e propria contro-perizia3 di tipo collettivo che ha costituito, da un lato, una forma di produzione di conoscenza corale significativa e dall’altro, ha offerto argomenti di carattere politico capaci di catalizzare in un primo momento l’attenzione dei media e successivamente di numerose forze politiche.
3 Y. Sintomer 2008, Du savoir d'usage au métier de citoyen ? Raisons politiques 2008/3 (n° 31); Marie-HélèneBacqué, Yves Sintomer (sous la dir. de), La démocratie participative inachevée. Genèse, adaptations et diffusions, Paris, Yves Michel/ADELS
Inoltre, già dai primi mesi di occupazione, la rete dei cittadini ha creato relazioni con realtà di prossimità, quali il vicino Dipartimento “Arte e Spettacolo” dell’Università La Sapienza, con il quale sono state avviate una serie di collaborazioni anche didattiche e con reti tematiche di livello nazionali, come il gruppo dei lavoratori dello spettacolo che qui hanno trovano uno spazio di incontro e discussione dal quale ha preso le mosse il movimento di Occupazione del Teatro Valle di Roma. In questa esperienza emerge in modo chiaro come cittadini, in forma organizzata, conducano un’azione collettiva che doppiamente incardina e travalica l’idea di quartiere. Da un lato questa occupazione attraverso iniziative specifiche che intendevano dare visibilità a problematiche micro locali (incontri e dibattiti sulle singolo istanze spaziali presenti nel territorio del quartiere, programmazione artistica destinata a gruppi specifici di pubblico locale, iniziative di carattere sociale) si è rafforzata come “rete sociale locale” denotando una forte attitudine alla presa in carico diretta dei problemi di quartiere4. D’altro canto ciascun cittadino di questa rete rappresenta nodi di rete locali e sovralocali che nella Rete San Lorenzo cambia cambia San Lorenzo prima, e poi nell’Occupazione dell’Ex Cinema Palazzo, hanno trovato un terreno di convergenza, disegnando una forma di appartenenza al quartiere-città-mondo aperta e reticolare5. Non è ancora chiaro il destino di questo luogo, continuano iniziative e dibattiti anche in sedi istituzionali in una fase ancora caotica della vicenda. Ciò che è chiaro e che l’azione condotta da questi cittadini su diversi fronti e a diversi livelli, ha modificato in pochi mesi le pratiche spaziali degli abitanti del quartiere che hanno ri-trovato uno spazio “pubblico” d’incontro, ha creato e rafforzato percorsi individuali e collettivi di cittadinanza attiva, ha offerto uno spazio di fruizione culturale a pubblici provenienti dall’intera città. Tutto ciò ha trasformato il senso di questo spazio, il quale non è più, di fatto, uno spazio privato ma un luogo pubblico d’incontro, creazione e partecipazione: al di là delle verità catastali, delle concessioni urbanistiche e delle politiche urbane, difficilmente questo statuto potrà essergli sottratto.
Testo: Daniela Festa Video: Daniele Martinis
4 C. Cellamare e F. Cognetti, 2007, Quartiere e reti sociali, un interesse eventuali, in Archivio di studi urbani e regionali, n. 90 5 A. Bagnasco, 1992, «La ricerca urbana fra antropologia e sociologia», introduzione a U. Hannerz, Esplorare la città. Antropologia della vita urbana, il Mulino, Bologna, (ediz. orig. 1990).
Corviale Domani è un parternariato locale formato da associazioni, enti, istituzioni di ricerca, operatori ed esperti di diversi ambiti disciplinari, che ha avviato un percorso di progettazione partecipativa dal basso con lo scopo di coinvolgere l’insieme della comunità di Corviale, quella dell’intero Quadrante (un territorio ben definito che si estende nei Municipi XV e XVI) e quella (assai più ampia) della Città Capitale con cui interagisce. Corviale Domani, dopo un percorso iniziato più di tre anni orsono, vuole proporre un Piano Strategico condiviso in base ai principi della Carta di Lipsia sulle Città Europee Sostenibili. Si tratta di affrontare lo sviluppo urbano con un approccio globale: integrare politiche diverse; potenziare l’economia; creare e assicurare spazi pubblici e infrastrutture di qualità; progettare il territorio andando oltre l’urbano e il rurale; salvaguardare e valorizzare i beni paesaggistici e architettonici, sia storici che contemporanei; agevolare, offrendo spazi ad hoc, le politiche culturali; irrobustire il sistema della conoscenza e dei saperi; portare in posizione primaria il tema della formazione (a tutti I livelli); migliorare l’ambiente e l’efficienza energetica; favorire l’integrazione degli immigrati regolari come condizione per elevare i livelli di sicurezza. Federalismo, sussidiarietà ed economia civile dovranno essere i perni di uno sviluppo umano, i cui indicatori, oltre il livello del Pil, siano anche la coesione e la sostenibilità ambientale. Azioni che influenzano positivamente I misuratori della qualità della vita. Il percorso di Corviale Domani ha preso le mosse come aggregazione informale di un distretto tecnologico, d’arte, cultura, sport e tempo libero, che man mano si è andata arricchendo di nuovi apporti e ambiti tematici. L’edificio di Corviale e, di conseguenza, il suo territorio a distanza di 35 anni rappresentano un “palcoscenico privilegiato” sia per la comunità scientifica che per quella politica. Un’attenzione che risiede nella “straordinaria
unicità che è stata al contempo la fonte della sua discriminazione”. Corviale Domani porta all’attenzione di tutti un modello di Distretto Evoluto legato al corretto sviluppo delle città del nuovo millennio. Il Quadrante di Corviale, negli ultimi anni in modo spontaneo e con scelte attuative radicate nel senso di colpa collettivo delle Istituzioni che hanno trasferito nel corpo centrale funzioni pregiate (vedi Sede Consiglio Municipale, Comando della Polizia Municipale, Sede dei nuclei tecnici e delle risorse umane, ecc.) e grazie all’impegno dei suoi abitanti, di alcuni promotori, veri e propri “attivisti” di un rilancio dell’insediamento, nonché di parte del mondo dei saperi, ha iniziato un inarrestabile processo di riconsiderazione territoriale che ha superato l’immagine di un fallimento dell’utopia, diventando luogo di intense attività sociali, culturali e sportive e ponendo le basi per uno sviluppo dell’insediamento alla luce di nuove progettualità. Corviale Domani aggiorna puntualmente la road map del progetto Corviale Distretto Evoluto (in continua trasformazione) tramite questo aggregatore web 2.0 in modo da superare definitivamente, come sempre è avvenuto in passato, il carattere occasionale, e quindi effimero, d’iniziative contingenti, non inserite in una progettualità di ampio respiro e di breve / medio / lungo periodo. CORVIALE DOMANI c/o IL MITREO – ARTE CONTEMPORANEA Via Marino Mazzacurati, 61-63 – 00148 Roma Telefono: +39 06 65678224 www.corvialedomani.org
Metodi e scelte di partecipazione
Parlare di partecipazione in ambito di progettazione collettiva dello spazio pubblico necessita di un chiarimento sulle accezioni con cui viene utilizzato il termine. In effetti “partecipare” a un processo di progettazione o pianificazione urbana può al tempo stesso significare “comunicare, rendere noto” oppure “prendere parte”, ovvero da un lato condividere informazioni ed opinioni, dall'altro schierarsi e manifestare la propria opinione, diventando soggetto attivo nell'evento (Ecosfera, 2001). Il progetto Insito (sviluppato a partire dal 2009 da Izmo e testato in un quartiere di Torino) presentato a Roma in occasione della prima Biennale dello Spazio Pubblico ha incontrato l’interesse dei presenti sollevando alcune riflessioni in merito alla posizione intrapresa da Izmo all’interno del binomio conoscenza-azione. Da un lato Izmo ha condotto, con un approccio aperto e creativo alla comunicazione intersoggettiva, una serie di attività volte alla produzione di coscienza locale, dall’altro ha intrapreso, con distacco e professionalità, la fase progettuale di un’area verde. Con questo paper gli autori intendono formare un quadro sinottico delle teorie e pratiche che hanno influenzato il progetto fino a formulare ipotesi in vista di un completo coinvolgimento del cittadino all’interno di un approccio olistico alla progettazione dello spazio pubblico. n Sul territorio e di territorio si occupano specialisti di diverse discipline e ciascuno di essi tende a trarre aspetti differenti e a mettere in evidenza problemi diversi (Crosta P.L., 1998, p.37). Ma, nella riconosciuta necessità di attivare il patrimonio conoscitivo locale per dare significato, efficacia e legittimità alle azioni di sviluppo, parte della ricerca contemporanea sta indagando metodi, strumenti e processi che possano costruire uno spazio di lavoro per una conoscenza che si costituisca come interazione tra il cosiddetto “sapere tecnico” e “sapere comune”. In questo modo, i professionisti chiamati in campo devono sempre più costruire il loro dominio operativo con l'interesse generale della collettività (Tugwell, 1935) e, pertanto, l'informazione e la conoscenza sembrano davvero precondizioni essenziali per permettere una partecipazione consapevole ed efficace delle comunità alla gestione delle
risorse comuni, "attribuendo a scenari teorici il conforto e l'efficacia implementativa delle strategie bottoni up" (Camarda D., 2004, p. 150). In questo quadro, l’integrazione di metodi tradizionali e nuove tecnologie ma, soprattutto, un diverso paradigma della figura del planner, paiono essere punti fondamentali. n Il progetto Insito 1 , sviluppato in seno all’associazione culturale Izmo, lavora su questi aspetti e tenta una strada nella sperimentazione per la costruzione partecipativa di una conoscenza territoriale a scala locale per poter proporre un tipo di progettazione ed intervento sul territorio di tipo bottom up e che sviluppi circoli virtuosi di operatività investendo, a vari livelli, enti, operatori e i cittadini stessi, in una riscoperta della res pubblica, del senso di appartenenza, collettività ed identità. Insito prende forma dal riconoscimento che, oltre agli strumenti formali e riconosciuti della prassi pianificatoria, la conoscenza di un territorio sia da ricercarsi in quella delle persone che lo abitano e lo vivono e, tramite una metodologia integrata, di cui elemento importante è la riflessione in merito al ruolo, l’atteggiamento e l’etica del planner verso quello che è stato chiamato di “ascolto attivo” (Sclavi, 2003), si struttura tramite l’uso integrato di sistemi di partecipazione off e on line. In particolare, secondo versioni aggiornate della “scala della partecipazione” (Ecosfera 2001, Bobbio 2004, Ciaffi, Mela 2006), l'approccio Insito coincidere con la fase iniziale di un processo di partecipazione più complesso, “un primo passo compiuto in direzione di un processo di cambiamento graduale, verso l'introduzione di meccanismi più significativi di coinvolgimento attivo” (Ecosfera, 2001, p. 16). La parte tangibile punta a instaurare un rapporto diretto con i cittadini tramite momenti di animazione territoriale in spazi dedicati. La parte virtuale è una piattaforma Web strutturata in schede punto, nella quale vengono raccolti dati storici, sociali, economici e ambientali provenienti da banche dati o da enti e istituzioni. Le schede punto raccolgono anche le informazioni e i dati che i cittadini possono autonomamente inserire da casa e i dati derivanti dai momenti partecipativi.
1 Per uno sguardo complessivo delle singole fasi di Insito si rimanda alla fig. 1. Per maggiori informazioni al sito http://www.insito.org.
L'accesso alla piattaforma Web è libero e i dati che si inseriscono si possono modificare, commentare, taggare e georeferenziare. Le informazioni inserite appaiono sotto forma di punti su una mappa che è affiancata da strumenti di navigazione che permettono di esplorare i contenuti del sito secondo diversi parametri. Parte importante del processo di lavoro di Insito è l'estrazione e l'analisi dei dati che con lo sviluppo del progetto man mano vengono archiviati nella piattaforma. I contenuti della piattaforma (un sistema Wiki) possono essere estratti in diversi modi tramite: data mining e/o ricerca elementi ricorrenti, nei tag, nelle informazioni e nei punti inseriti e/o tramite la cartografia tematica. I risultati dell'estrazione, elaborati e presentati sotto forma di carte e relazioni, possono essere strumento per i progettisti, i pianificatori e i professionisti, gli enti e le istituzioni e per lo stesso gruppo di lavoro di Insito. Le estrazioni divengono così il punto di partenza per la formulazione di azioni come: trasformazione e sviluppo locale, politiche, e/o progetti per lo sviluppo dello spazio pubblico. n Insito, presentato durante il Barcamp della Biennale dello spazio pubblico 20112, aveva
2 Per un’ulteriore riflessione si rimanda agli atti della XIV Conferenza SIU "Abitare l'Italia. Territori, economie,
raggiunto la fase conclusiva dell'elaborazione della metodologia. È stato così mostrato a Roma il risultato della riqualificazione di un area verde in stato d'abbandono (denominata “Di pallet In pallet”). Se la metodologia Insito, con il suo processo di costruzione della conoscenza, ha individuato numerose desiderate, Izmo, come gruppo di giovani professionisti, ha deciso di prendere in carico l'istanza sollevata dai cittadini di riappropriarsi dell'area verde. Così facendo Izmo ha interrotto il processo di partecipazione non includendo momenti di interazione costruttiva per il progetto vero e proprio. Una scelta consapevole, che durante il Barcamp ha sollevato la riflessione critica del pubblico. In questo paragrafo si cerca così di ricostruire le condizioni e le motivazioni di questa scelta. Parafrasando Crosta, la produzione e l’uso delle conoscenze per la pianificazione è “diviso” tra operatori diversi, ma “è errato separare rigidamente il ruolo di produttore di conoscenze e quello di utilizzatore di conoscenze, attribuendo - in particolare - univocamente tali ruoli a due figure differenti di operatore (e di tecnico)” (Crosta P.L., 1998, p.15) (nel nostro caso tra cittadini e planner).
diseguaglianze" e al paper Lo sviluppo locale tra il reale e il virtuale. La metodologia Insito e il suo percorso partecipativo, scaricabile su http://www.societaurbanisti.it.
Fig. 1: Le fasi del percorso partecipativo di Insito
Il discrimine tra una semplice attività di divulgazione e un processo “generativo” (Lanzara, 1993) di raccolta di informazioni ed opinioni su un territorio è il concetto di “ascolto attivo” (Forester, 1989), inteso come ascolto dinamico, che tiene conto della pluralità delle prospettive di campo, che prevede un approccio aperto ed empatico con l'interlocutore (Sclavi, 2002). Recuperando il binomio conoscenza-azione, questo tipo di ascolto metterebbe in moto un processo di produzione delle immagini locali, che non potendo essere neutro, risulta intenzionato, governato da un'ipotesi d'azione, insomma, prevedrebbe un'intenzione progettuale (Giusti, 1995). Parallelamente, progettare significa districarsi nel corso di un'azione per raggiungere dei fini, e la progettazione «efficiente» è quella che in certe condizioni guida alla massimizzazione del raggiungimento dei fini rilevanti (Faludi A., 2000, p. 68). Una guida che, in alcuni casi, determina la scesa in campo del professionista con la propria conoscenza, all'interno delle numerose forze ed elementi in gioco (Healey P. 2003). In questo modo il planner riveste sì la figura di mediatore in un “ascolto attivo”, ma anche quella di tecnico esperto e di progettista all’interno di un quadro intellettuale e politico, assumendosi le proprie responsabilità al termine dell’azione di partecipazione. Questi aspetti implicano un nuovo “saper fare” fatto di almeno 3 competenze di base: sapere ascoltare, sapere interpretare gli input cognitivi delle emozioni, sapere gestire creativamente i conflitti (Forester, 1999). Se ci attiene quindi ai principi che hanno originato il dibattito sul metodo della progettazione partecipata, ovvero alle componenti transattive (Friedmann, 1993) e deliberative (Forester, 1989) oltre che comunicative dell'interazione, molti dei consueti approcci del fare “partecipazione” potrebbero apparire “poco partecipativi”, ovvero poco incisivi nel processo decisionale collettivo. La cultura della partecipazione deve essere, insomma, costruita e, non solo corrisponde alle capacità di espressione del cittadino e a quella simmetrica di ascolto da parte dei tecnici, ma anche alla necessità che da questa collaborazione ne scaturiscano risultati concreti. E la concretizzazione del risultato è la cosa più difficile e richiede che tecnici e specialisti di diverse discipline utilizzino la propria conoscenza per la sua realizzazione. n La necessaria località dei processi di progettazione partecipata dello spazio
pubblico, le fasi conoscitive iniziali rappresentano i momenti di definizione della strategia d'azione, in cui si identificano interlocutori, conflitti e tematiche su cui lavorare collettivamente. Le ragioni prospettiche di una scelta di questo genere hanno origine da una grande attenzione alla sostenibilità, sul lungo termine, di eventuali processi di trasformazione del territorio, che possono fare leva su una comunità locale certamente più consapevole, attiva e coesa. Nonostante ciò si è verificato che i cittadini conservano una forte apatia e disinteresse alle questioni pubbliche (Bobbio, 2002), dall’altro, c’è spesso il problema della comunicazione, cioè come spiegarsi e dire le cose. Spesso le domande e questioni che noi come tecnici poniamo non sono comprensibili al “sapere comune”. In questo contesto, i meccanismi di scambio e interazione sono facilitati dall’uso del gioco e del disegno che devono essere volti alla raccolta di ciò che si trova e nell’utilizzare in modo creativo ciò che i cittadini portano come bagaglio di conoscenza, problemi e desideri. La scelta dei progettisti di Izmo di lasciare alla responsabilità del professionista la traduzione in progetto delle visioni collettive del territorio, si inserisce nel dibattito tra teorici e practitioners. Molta della letteratura contemporanea sulla planning theory (da Mazza, 2004 a Ponzini, Palermo 2011), infatti, solleva i rischi di una pratica di progettazione del territorio che releghi il planner al mero ruolo del facilitator, cui verrebbe richiesto di mettere da parte il proprio “sapere esperto”, per assumere un atteggiamento neutrale nel processo di produzione del progetto. Questa declinazione estrema della prospettiva deliberativa, sarebbe all'origine di alcuni fallimenti della partecipazione, per cui la costruzione del processo “per se” diventerebbe il goal dell' interazione, a scapito degli outcomes progettuali (Vettoretto 2003, Pasqui 2005), in termini di qualità degli esiti e possibilità di implementazione. La scelta dei progettisti di Izmo è frutto di queste riflessioni, ma anche e soprattutto della consapevolezza che tali processi, per essere definiti efficaci (nel senso Deweyano del termine) necessitano di favorevoli condizioni di sostenibilità economica e politica. È pur vero però, che immaginando di lavorare con presupposti di sostenibilità dei processi, sarebbe interessante riflettere sul contributo del sapere esperto del practitioner nella metodologia Insito, provando a immaginare come potrebbe tradursi in interazione costruttiva (Bobbio, 2004) l'esperienza di “Di pallet In pallet”. Il presupposto di neutralità del progettista
impegnato nel processo partecipativo non solo è ideologico ma non è nemmeno coerente con la natura pragmatica delle pratiche deliberative, per cui l'interazione è intesa come scambio di conoscenza tra i soggetti coinvolti, in un processo di apprendimento transattivo incrementale (Lanzara 2005; ma anche Argyris, Schon, 1978). Attingendo quindi da altri campi disciplinari che ci permettano di avere gli strumenti per studiare e capire gli scambi intersoggettivi in contesti di progettazione creativa (dalla psicologia cognitiva alla sociologia delle scienze), il progetto nascerebbe quindi dall'ibridazione dei frames-per-l'azione 3 dei soggetti coinvolti (Lanzara, 1993), che mediati e organizzati dal metodo, che funge da “struttura dell'interazione” e “sistema di regole condiviso” (Lanzara, 1993), mettono in discussione i propri “schemi cognitivi” tramite la conversazione interattiva. Secondo questa prospettiva, il modello Insito si sarebbe potuta avvalere di alcuni metodi per l'interazione costruttiva, in particolare il Planning for Real o i Design Games4, per cui la partecipazione è intesa come “azione collettiva” e l'interazione è facilitata da linguaggi di simulazione (il plastico, le carte opzioni) per cui ragionando in modo intuitivo, esperti e non possono interagire alla pari, usando linguaggi condivisi e semplici, in quanto esperienziali (Arielli, 2003), possono supporre azioni progettuali, testarle e confrontarle, in un fitto scambio deliberativo tra i soggetti. In questo senso quindi, expert e experiential knowledge interagiscono e dialogano in un contesto di apprendimento riflessivo intorno al progetto.
ALESSANDRO GRELLA Politecnico di Torino
GIULIA CARLONE Università di Firenze
EMANUELA SAPORITO
Politecnico di Milano
3 Ovvero le cornici, i quadri, le prospettive con cui ogni soggetto si approccia abitualmente alla situazione problematica. Lanzara G., (1993), Capacità negativa. Capacità progettuale e modelli d'intervento nelle organizzazioni, Ed. il Mulino, Bologna. 4 E' possibile leggere una descrizione dettagliata dei metodi sul sito www.communityplanning.com
Bibliografia − Antonietti A. (1994), Il pensiero efficace.
Metodi e tecniche per la Soluzione creativa dei problemi, Franco Angeli, Milano
− Arielli E. (2003), Pensiero e progettazione. La psicologia cognitiva applicata al design e all'architettura, Bruno Mondadori, Milano
− Bobbio L. (1996), La democrazia non abita a Gordio: studio sui processi decisionali politico amministrativi, Franco Angeli, Milano
− Bobbio L. (a cura di), (2004), A più voci. Amministrazioni pubbliche, imprese, associazioni e cittadini nei processi decisionali inclusivi, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli
− Camarda D. (2004), “Interazione geo-referenziata multiagente in un caso di pianificazione ambientale a scala micro-urbana”, in Archivio di studi urbani e regionali, Franco Angeli n°80, Milano
− Crosta, P. L. (1998), Politiche: quale conoscenza per l'azione territoriale, Franco Angeli, Milano
− Dewey J. (1938), Logic: The Theory of Inquiry, Holt, Rinehart and Winston, New York
− Ecosfera (2001), Le ragioni della partecipazione nei processi di trasformazione urbana, Roma
− Faludi A. (2000), Decisione e pianificazione ambientale, Dedalo, Bari
− Forester J. (1999), The Deliberative practitioner, The MIT Press, Cambridge
− Friedmann J. (1993), Pianificazione e dominio pubblico, dalla conoscenza all'azione, Dedalo, Bari
− Giusti M. (1995), Urbanista e terzo attore. Ruolo del pianificatore nelle grandi iniziative di autoproduzione degli abitanti, L'Harmattan Italia, Torino
− Healey P. (2003), Città e istituzioni. Piani collaborativi in società frammentate, Dedalo, Bari
− Lanzara G. (1993), Capacità negativa. Capacità progettuale e modelli d'intervento nelle organizzazioni, Ed. il Mulino, Bologna
− Lanzara G. (2005), “La deliberaizone come indagine pubblica”, in Pellizzoni L. (a cura di), (2005), La deliberazione pubblica, Meltemi, Roma
− Mazza L. (2004), Progettare squilibri, Franco Angeli, Milano
− Mela A., Ciaffi D. (2006), Partecipazione. Dimensione, Spazi, Strumenti, Carocci, Torino
− Palermo P.C., Ponzini D. (2011), Spatial Planning and Urban development. Critical Perspectives, Springer, London
− Pasqui G. (2005), Progetto, governo, società. Ripensare le politiche territoriali, Franco Angeli, Milano
− Sclavi M. (a cura di) (2002), Avventure urbane, Elèuthera , Milano
− Scalvi M. (2003), Arte di Ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte, Bruno Mondadori, Milano
− Schön D.A. (1993), Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale, Edizioni Dedalo, Bari
− Tugwell G. R. (1935), The battle for democracy, Columbia University Press
− Vettoretto L. (2003), “Valutazione delle politiche pubbliche e sviluppo del capitale sociale”, Foedus, n. 5
Una giornata a corte:
un primo passo verso lo spazio pubblico
A cura di Elisa Maceratini
e Maria Francesca Piazzoni
per l’Associazione Interazioni Urbane
Le corti di Prati
Prati è un quartiere di Roma noto ai più, un quartiere
nel quale molti tra gli studi professionali della capitale
ambiscono ad avere una sede, location di svariate
fiction patinate, set di spot accattivanti, dei film di
Muccino, di Moccia e chi più ne ha più ne metta;
residenza dell’intelighenzia radical chic e di quella
chic e basta. Il quartiere si trova in una posizione
ottimale: accanto al centro storico propriamente detto,
ma non estenuantemente consumato dai turisti,
allungato sul Tevere, ma non eccessivamente umido,
ben collegato dai mezzi di trasporto pubblico, sede di
numerosi uffici e di alcuni tra i licei più noti della
capitale.
Tuttavia il fast district della city romana, che negli
ultimi decenni ha subito una terziarizzazione
imponente, nasconde un’inaspettata sorpresa: chi avrà
la pazienza di fermarsi e concedersi un momento per
osservare, constaterà senza sforzo l’intasamento di
anziani e bambini che si crea nel pomeriggio, presso le
poche panchine e gli intersiziali giardinetti presenti nel
quartiere.
L’amministrazione locale ha, da alcuni anni,
regolamentato il sistema di sosta delle auto,
riassestando i marciapiedi e ridefinendo gli incroci
stradali; alcuni di questi sono stati dotati di panchine
che hanno la sciagurata disavventura di essere
esemplari unici di seduta pubblica in un quartiere in cui
sembra che tutti debbano camminare, e camminare
veloce. Il quartiere del business, dello shopping di
classe e del benessere, si disvela così agli occhi del
viandante attento come il formicaio di una comunità
silenziosa, più lenta e più socialmente stratificata di
quella che invece appare, composta da anziani soli e da
bambini che non trovano, tra i solidi isolati inizio
secolo, un luogo dove incontrarsi, costretti ad una
comunicazione troppo veloce, tra il traffico e l’asfalto.
La constatazione di tale situazione ci ha spinti alla
ricerca di una soluzione, nella speranza di poter
tracciare, in quanto architetti, anche solo una eventuale
strategia perché nella [fast]city si ritrovi il tempo della
lentezza, dell’incontro, della possibilità.
In questa prospettiva i cortili presenti nel tessuto
urbano si sono rivelati una risorsa preziosa per
l’elaborazione di una strategia per il recupero della
possibilità, che si concretizza nell’uso partecipato dello
spazio pubblico.
Gli isolati del quartiere Prati, iniziato a costruire a
partire dal 1870 e poi con l’Esposizione Universale del
1911, furono edificati a villini e tipologie edilizie in
linea che, secondo il modello umbertino, si attestavano
lungo i percorsi carrabili delineando i fronti stradali
omogenei e continui.
Gli imponenti isolati, più o meno ornati, costituiscono
oggi lo scrigno del tesoro di Prati.
Osservando la foto aerea del quartiere infatti, appare
evidente come i cortili trasformino i palazzi, percepiti
come densi blocchi dalla strada, in recinzioni
perimetrali delle corti, che assurgono funzionalmente e
distributivamente a cuore pulsante dell’intero
organismo edilizio.
Nell’intento di individuare la possibilità di
un’operazione per il supporto alle fasce socialmente
più deboli della popolazione del quartiere attraverso il
recupero delle corti, abbiamo proceduto innanzi tutto
con l’analisi dello stato di fatto delle stesse.
Lo studio, effettuato mediante il rilievo fotografico
(immagine1.) e la comparazione tra le foto aeree
storiche e le aereofotogrammetrie attuali, ha
1. Rilievo fotografico ed analisi dell’uso odierno di alcune corti del quartiere Prati, ove si evidenzia la perdita del disegno iniziale
dei percorsi e l’intasamento dovuto a nuove costruzioni, attività commerciali e parcheggio motocicli.
evidenziato la trasformazione ed il generale stato di
degrado o disuso delle corti di prati: molte di queste
presentano diverse tipologie di deterioramento dovute
all’incuria, all’uso improprio (le corti sono spesso usate
come parcheggi per moto e motorini, alcune parti sono
abusivamente privatizzate da esercizi commerciali,
etc.) o addirittura ad intasamenti (dovuti a edificazioni
più o meno legittime).
Inoltre le corti risultano spesso inaccessibili: per motivi
di “sicurezza” infatti, non è permesso l’ingresso ai non
residenti e talvolta è impedita la sosta, attraverso il
divieto di gioco, persino ai bambini dello stesso
condominio. A volte invece, una cura eccessiva del suo
aspetto estetico, le rende intoccabili impedendone
l’attraversamento agli stessi abitanti del condominio.
L’amara constatazione dello stato in cui versa la
maggior parte delle corti del quartiere Prati ci ha spinto
a promuovere un’iniziativa volta alla sensibilizzazione
degli abitanti sull’importanza dell’uso dei loro cortili,
in quanto prezioso patrimonio della collettività.
Mai come in questo caso lo strumento della
progettazione partecipata sembrava a noi appropriato
allo scopo.
Il progetto partecipato “Una giornata a corte”
Se il cortile può essere considerato come il primo e
l’ultimo spazio dell’autonomia, citando il Dott.
Francesco Tonucci, un ambiente sicuro e facilmente
raggiungibile da un bambino, ideale per il gioco,
l’incontro e la socializzazione, è allora da considerare
come una risorsa latente del tessuto urbano, la cui forza
ed identità vanno riscoperte per una fruizione collettiva
e partecipata dello stesso.
Questa “riscoperta” doveva per noi, giovani architetti
dell’Associazione Interazioni Urbane, essere messa in
atto attraverso un viaggio nella memoria di coloro che
hanno avuto la possibilità di vivere quello spazio e
nella fantasia di coloro che tanto potrebbero amarlo.
Così nasce il progetto partecipato Una giornata a
Corte, promosso dalla nostra Associazione Interazioni
Urbane, con il patrocinio del Municipio XVII e con la
collaborazione del Centro Anziani di Via Sabotino e
della Ludoteca La Girandola dello stesso municipio, al
fine di promuovere la riappropriazione da parte degli
abitanti dei loro cortili, quali importanti luoghi di vita
tra casa e spazio pubblico.
In seguito a un percorso di analisi del quartiere e della
corte nei testi, nelle foto aeree e nei piani urbanistici,
siamo andati a confrontarci con la storia non scritta, più
utile ed affascinante: la memoria degli anziani.
Con loro abbiamo ripercorso le strade di quando erano
bambini, quando le macchine erano poche e la strada
era il luogo più bello per giocare.
Abbiamo ricordato i loro cortili, nei quali i bambini si
riunivano in gruppi e giocavano con i tappi di bottiglia,
con le biglie di vetro e al vecchio gioco “nizza”, mentre
le bambine saltavano la corda e giocavano a “palla a
muro”. Le mamme più ansiose potevano affacciarsi alla
finestra e vedere giocare i figli, ignari dello sguardo
vigile e felici della loro libertà conquistata nel gioco.
Abbiamo ridisegnato con gli anziani di Prati quei
cortili di ieri, per capire l’uso che ne facevano da
piccoli e che vorrebbero farne ora da grandi, e per
provare a tracciarne l’uso che se ne potrebbe fare
domani.
Tutti gli intervistati (30 abitanti di Prati, di età
compresa tra i 60 e gli 80 anni, la maggior parte dei
quali interpellati presso il centro anziani di Via
Sabotino), conservano bei ricordi di quegli spazi e
quasi tutti ne lamentano il disuso odierno.
Cortili dimenticati, trascurati, occupati o solo abbelliti
e poi recintati. Mai utilizzati. Mai vissuti.
“ Che peccato...”ci hanno detto in tanti, con un sorriso
amaro sulla bocca.
E se i loro nipoti potessero tornare a giocarci?
E se anche loro, con la dotazione di una semplice
seduta, potessero fermarsi un momento in quello
spazio, anche solo per conquistare (c’è chi dice
perdere) tempo con gli amici del condominio?
Raccolti e condivisi i ricordi dei nonni di Prati,
volevamo capire cosa rappresentasse il cortile per i
nipotini.
Un luogo di semplice transizione tra il dentro casa e il
fuori sulla strada? Oppure uno spazio in cui
vorrebbero, ma non possono giocare (perché non adatto
o perché vietato dai regolamenti di condominio)?
Siamo andati a chiederlo ai bambini.
Muniti di cartelloni, matite, colori, stoffe riciclate e
colla - il tutto condito da fondamentali consigli di
giovani educatrici, sociologi e psicologi che ci hanno
accompagnato in questa avventura- siamo andati per
più pomeriggi alla ludoteca La Girandola per farci
raccontare dai bambini la loro idea di corte attraverso il
disegno, facendo attenzione a non guidarli troppo e
quindi condizionarli con la nostra visione.
Tutti in cerchio, tenendosi per mano, i bambini della
ludoteca ci hanno raccontato cosa volesse dire per loro
la parola “cortile”; hanno poi rappresentato la loro idea
disegnando su cartelloni i giochi che amano fare
all’aperto e raffigurandoli in seguito all’interno di
grandi cortili, nei quali hanno anche inserito gli
elementi che vi vorrebbero trovare.
Con ogni bambino ci siamo poi messi a disegnare
anche noi, chiedendo loro di diventare piccoli architetti
ed aiutarci a riprogettare insieme il loro cortile.
Dai loro disegni è emerso il naturale bisogno di
relazione ed il desiderio di vivere uno spazio in cui
sperimentare attività di socializzazione, di movimento,
di incontro, scambio e condivisione, in maniera del
tutto autonoma ed autorganizzata.
Hanno inserito elementi utili e funzionali a vivere il
cortile come un luogo non tanto per il transito quanto
per il gioco e per lo stare.
Analizzati i disegni dei bambini e costruito un abaco
delle attività che vi vorrebbero svolgere (classificate in
attività di movimento e di socializzazione) e degli
elementi che vi vorrebbero inserire, abbiamo poi
disegnato un cortile fantastico insieme a loro, completo
di tutti i sogni e i ricordi raccolti, un cortile divenuto
spazio pubblico, per il gioco e per l’incontro.
Questa esperienza dimostra come i cortili del quartiere
Prati, luoghi affascinanti per la loro storia,
conformazione e struttura, rappresentino una preziosa
risorsa del tessuto urbano romano; questi, sia nei
ricordi degli anziani che nell’immaginario dei bambini,
si configurano come uno spazio pubblico di cui
riappropriarsi e di cui godere.
Il progetto Una giornata a corte ci ha consentito di
individuare il valore dei cortili nella memoria degli
anziani e nel desiderio dei bambini, tracciando la
possibilità per una riscoperta di spazi preziosi oggi
trascurati. Il nostro impegno, di consentire alle fasce
più deboli della popolazione la possibilità di
declamare la necessità di riappropriazione dei cortili
come spazi per la socializzazione, è stato premiato nei
risultati straordinari di partecipazione ed entusiasmo
ottenuto da parte degli intervistati. Auspicabilmente i
risultati ottenuti con questo progetto potranno essere di
riferimento per un futuro reale recupero dei cortili,
straordinaria risorsa per la vivibilità della realtà urbana,
importanti spazi pubblici tra casa e strada.
3. I disegni fatti dai bambini della Ludoteca comunale La Girandola durante gli incontri con i ragazzi dell’Associazione Interazioni
Urbane, raffiguranti i giochi che amano fare all’aperto (disegnati o scritti ognuno in un palloncino) e gli elementi che vorrebbero
trovare nel proprio cortile di casa.
Abstract
Una giornata a corte per riscoprire il valore di un
importante spazio pubblico per la collettività di ogni
condominio: il cortile.
Importante risorsa del tessuto urbano del quartiere
romano di Prati, è oggi spesso considerato solo un
anonimo luogo di transito, un parcheggio motorini o un
vuoto utile all’edificazione di costruzioni abusive.
Animati dal desiderio di individuare una strategia per il
recupero della dimensione pubblica del quartiere a
favore di due fasce deboli della popolazione ( anziani e
bambini) i giovani architetti dell’Associazione
Interazioni Urbane, con la collaborazione del
Municipio XVII, del Centro Anziani di via Sabotino e
della Ludoteca comunale “La Girandola”, hanno
messo in atto il progetto partecipato Una giornata a
corte, per sensibilizzare la popolazione sulla necessità
di una riappropriazione dei cortili quali importanti
luoghi di vita, tra casa e spazio pubblico.
Ascoltando i ricordi degli anziani ed i desideri dei
bambini, si è disegnata insieme una nuova visione del
cortile, declamando il suo valore come luogo per
l’incontro e la socializzazione, e chiedendo
coralmente che la popolazione possa riappropriarsi di
questa importante risorsa del tessuto urbano.
Territorio, insediamenti, comunità e infanzia nell‟era
della decrescita felice. Carla Majorano
La crisi planetaria del modello di sviluppo capitalistico
che stiamo vivendo ha reso attuale, nel dibattito
culturale, il modello decrescita teorizzato, con varie
articolazioni , da insigni studiosi quali Nicholas
Georgescu-Roegen, Jean Baudrillard, André Gorz, Ivan
Illich, Serge Latouche considerato il principale
promotore dell‟idea della “decrescita”.
Anche in Italia sono presenti insigni studiosi della
decrescita e sono nati movimenti molti attivi nel
proporre pratiche e iniziative come il Movimento della
Decrescita Felice che ha come punto di riferimento
Maurizio Pallante.
Per questa corrente di pensiero, esiste un diretto
rapporto causa-effetto fra la crescita del P.I.L. e
l‟esaurimento delle risorse vitali, l'incremento
esponenziale delle varie forme d‟inquinamento, la
progressiva devastazione degli ambienti naturali e
storicamente antropizzati, la disoccupazione, le guerre,
il degrado sociale. Inoltre la crescita del P.I.L. non
misura la crescita dei beni prodotti da un sistema
economico, ma la crescita delle merci scambiate con
denaro. Non sempre le merci sono beni, perché nel
concetto di bene è insita una connotazione qualitativa -
qualcosa che offre vantaggi - che invece non attiene al
concetto di merce. Viceversa, non necessariamente i
beni sono merci, perché si può produrre qualcosa senza
scambiarla con denaro, ma per utilizzarla in proprio o
per donarla.
Questi studiosi, anche se con accenti diversi,
sostengono la necessità di una de-crescita economica e
produttiva, descrivendone i vantaggi in termini di
felicità individuale, di sollievo per gli ecosistemi
terrestri, di relazioni più eque e serene tra gli individui
e tra i popoli. La “decrescita” è per loro un passaggio
obbligato per la costruzione di una nuova cultura
capace di superare i terribili problemi che il sistema
economico industriale, fondato sulla crescita illimitata
della produzione di merci, pone all'umanità e a tutte le
specie viventi.
L‟idea della decrescita rappresenta una vera e propria
rivoluzione poiché non solo preconizza un modello
economico e sociale alternativo al capitalismo e
all‟economia di mercato, ma prefigura una società
fondata su valori e stili di vita completamente diversi,
dove l'economia è rimessa al suo posto come semplice
mezzo della vita umana e non come fine ultimo.
Le riflessioni sulla decrescita si sviluppano non
soltanto come speculazioni teoriche ma anche come
pratica concreta e diffusa come testimoniano le
innumerevoli iniziative realizzate nell‟ultimo decennio
in tutto il mondo.
Nella società della decrescita il rapporto fra territorio,
ambiente e insediamenti umani vive una profonda
trasformazione, si fa strada un nuovo modo di abitare e
vivere, vicino al modello comunitario pre-industriale.
Le comunità umane si preparano ad affrontare la
doppia sfida costituita dal sommarsi del riscaldamento
globale e del picco del petrolio e quindi le città si
trasformano e ricercano stratagemmi per ridurre
l'utilizzo di energia ed incrementare la propria
autonomia a tutti i livelli. In questo senso rivestono
grande importanza iniziative quali: la difesa e la
diffusione della biodiversità vegetale, la creazione di
orti comuni e di piccoli allevamenti animali seguendo i
principi della permacultura, la riforestazione urbana
diffusa (orizzontale e verticale), l‟intercettazione e
raccolta delle acque meteoriche con la creazione di
vasche e di canali urbani con sistemi di
fitodepurazione, il riuso e riciclaggio delle acque di
scarico depurate, la creazione di percorsi ciclo-
pedonali, la condivisione dell‟auto (car-sharing),
l‟incentivazione del paratrasporto, l‟incremento
nell‟uso di fonti energetiche rinnovabili, il risparmio
energetico in edilizia, il riscaldamento e raffrescamento
passivo attraverso un approccio progettuale che segue i
principi dell‟architettura bio-climatica e che fa tesoro
delle antiche tecniche costruttive spesso dimenticate, il
riciclaggio di materie di scarto come materie prime per
altre filiere produttive, la riparazione di vecchi oggetti
non più funzionanti in luogo della loro dismissione
come rifiuti.
Sono rivalutate le antiche regole del costruire perché i
modi di costruzione tradizionali, elaborati quando
l‟energia era poca e costava tanto, erano finalizzati a
fare in modo che la struttura degli edifici fosse in grado
di costituire un riparo dagli effetti indesiderati del
clima, il freddo d‟inverno e il caldo d‟estate, mentre le
tecnologie edili che li hanno sostituiti in nome della
modernità li hanno resi dipendenti da protesi
energetiche per svolgere le stesse funzioni, col risultato
che oggi gli edifici dei paesi moderni assorbono circa
la metà di tutti i consumi energetici, costituendo la
principale fonte di emissione di CO2 e del potenziale
autodistruttivo insito nel modo di produzione
industriale.
Gli insediamenti umani devono evolversi verso
l‟autosufficienza alimentare ed energetica
sperimentando discipline di frontiera e pioneristiche
finora poco utilizzate come la permacultura, la biologia
quale modello per la progettazione , idea sviluppata dal
New Alchemy Institute già negli anni „60, nuove
tecniche come l‟acquacultura, nuove tipologie edilizie
come bioricoveri, serre e shadehouse.
Nella società della decrescita si da vita a nuove forme
di convivenza tali da rispondere all‟attuale
disgregazione dell‟organizzazione familiare, culturale e
sociale della condizione postmoderna e globalizzata. Si
rivalutano i legami comunitari nelle famiglie, si
rompono i limiti mononucleari in cui la famiglia è stata
ristretta, si riscopre l'importanza dei rapporti di
vicinato, si ricostruiscono forme di solidarietà
comunitaria per libera scelta tra persone con sensibilità
comune (banche del tempo, gruppi d‟acquisto solidale,
co-housing, eco villaggi), si restituisce ai nonni il loro
ruolo educativo e di trasmissione del sapere nei
confronti dei nipoti: tutto ciò comporta una decrescita
del P.I.L. attraverso una riduzione della mercificazione
nei rapporti interpersonali e al contempo forti
miglioramenti della qualità della vita.
Il lavoro nella società della decrescita assume nuove
connotazioni: l‟orario di lavoro può essere ridotto sia
per re-distribuire lavoro e ridurre la disoccupazione e il
precariato, sia perché si riducono le esigenze di reddito
per comprare merci. Il lavoro domestico, di
autoproduzione, di cura, di scambio e gratuito, la
prestazione di servizi alla persona sono rivalutati.
Questo nuovo modello lavorativo consente che
entrambi i genitori accudiscano ai figli, la donna
soprattutto nei primi mesi, ma la cura dei bambini può
trovare arricchimento da una dimensione comunitaria e
attraverso forme di auto-organizzazione di quartiere.
Anche la scuola subisce una profonda trasformazione,
fra le materie di studio si reintroduce il saper fare
accanto alle materie teoriche. Tutte le scuole hanno
l‟orto scolastico: il bambino conosce e vede le piante,
la terra, i cicli produttivi, impara la trasformazione e la
conservazione dei prodotti agricoli. Le scuole si
arricchiscono di laboratori creativi e di officine per
costruire e riparare attrezzi e giochi. La scuola si apre
al territorio, alla comunità e alle famiglie perché i
bambini non hanno bisogno di oggetti, ma di tempo, di
attenzione, di sensibilità, di fare delle esperienze
insieme ai genitori e agli altri membri della comunità,
esercitando il loro ruolo di cittadini competenti e
responsabili.
La società della decrescita felice è orientata al
recupero, alla valorizzazione e al miglior utilizzo delle
risorse e dei beni comuni attraverso percorsi di
condivisione e partecipazione degli utenti finali. Mille
progetti e iniziative possono partire dal basso, dai
cittadini che quelle risorse e beni conoscono perché
parte del loro vissuto quotidiano. Queste competenze
sociali sono la nuova cassetta degli attrezzi per pratiche
di co-progettazione e di auto-costruzione, per il
recupero di spazi pubblici e sociali e per la definizione
di servizi innovativi. Questo nuovo protagonismo
sociale non è uno spot, ma un processo di
arricchimento e di condivisione fra diversi che ha
bisogno di lentezza e di sedimentazione.
Un cambiamento di mentalità così profondo come
quello delineato, ha bisogno di una nuova cultura.
Quale mito potrà sostituire quello della crescita? Quali
paradigmi potranno guidarci nella società della
decrescita? La cultura che meglio si adatta all‟era in cui
stiamo entrando, è quella della convivialità, fatta di
condivisione, semplicità, amicizia, dialogo,
valorizzazione delle diversità. La società conviviale
permette all‟uomo l‟azione più feconda e creativa. Se
alla filosofia del mercato subentrerà diffusamente un
modello alternativo fondato sulla trasformazione e
sulla crescita (questa volta sì crescita) personale, sul
consolidamento della comunità e della coscienza
ambientale, si potranno gettare le fondamenta
intellettuali per l‟avvento di un‟era post mercato.
Bibliografia e sitografia.
S. Latouche. Manifesto del dopo sviluppo, tratto da
www.decrescita.it
S. Latouche. Breve trattato sulla decrescita serena.
Bollati Boringhieri Editore.
S. Latouche. La scommessa della decrescita. Feltrinelli
Editore.
M. Pallante. La decrescita felice. Editori Riuniti.
M. Pallante. La felicità sostenibile. Rizzoli Editore.
M. Pallante. La virtù della sobrietà. Sintesi in
www.decrescita.it
G. Bologna. Invito alla sobrietà felice. EMI Edizioni.
B. Mollison e R. M. Slay. Introduzione alla
permacultura. Terra Nuova Edizioni.
N. Jack Todd e J. Todd. Progettare secondo natura.
Elèuthera Editore.
S. Bartolini. Manifesto per la felicità. Come passare
dalla società del ben-avere a quella del ben-essere.
Donzelli Editore.
Daniel Tarozzi. Maurizio Pallante e la Decrescita
Felice. Terranauta.
www. decrescitafelice.it
www.decrescita.it
www.terranauta.it
www.cittadelfare.it
Società della decrescita e spazio pubblico: dalla
partecipazione dei cittadini alla cooperazione
comunitaria. Carla Majorano.
Il Rapporto globale sugli insediamenti umani 2011
dell‟ONU rileva che abbiamo superato la soglia del
50% della popolazione mondiale che vive in aree
urbane. Non ci sono mai state sulla terra così tante
persone per le quali alimentazione, riscaldamento e
altri bisogni primari dipendono da luoghi altri e così
distanti. Gli stessi elementi che hanno reso possibile
questa vertiginosa urbanizzazione, il consumo
massiccio di petrolio e gas naturale, sono responsabili
del picco del petrolio e dei cambiamenti climatici,
questioni che minacciano di destabilizzare il mondo
contemporaneo, urbano e globalizzato.
Le città moderne sono l‟espressione fisica del modello
economico dominante: la crescita materiale e
quantitativa. Gli attuali modelli insediativi comportano
un alto consumo di risorse naturali non rinnovabili –
materie prime, combustibili fossili, acqua, suolo- e
l‟emissione di sostanze inquinanti in atmosfera, nel
suolo e nelle acque.
Tutte le città sono cresciute inglobando il territorio
agricolo circostante per cui gli antichi modelli
economici e sociali basati sull‟interdipendenza fra
insediamenti urbani e campagna, sono entrati
progressivamente in crisi fino al collasso attuale.
“Noi viviamo ancora nella città produttivista, pensata e
strutturata in funzione dell‟automobile sotto forme che
pretendono di essere razionali (basta pensare alla città
radiosa di Le Corbusier) con le sue segregazioni degli
spazi, le sue zone industriali, i suoi quartieri
residenziali senza vita”1).
Che livello d‟insostenibilità potrà mai avere un tale
tipo di agglomerato il giorno che la produzione di
petrolio e di gas naturale scenderà anche solo di
qualche punto percentuale? E cosa accadrà quando si
presenteranno in tutta la loro evidenza, gli effetti dei
cambiamenti climatici: forti ondate di calore,
concentrazione delle precipitazioni in pochi giorni
alternata a prolungati periodi di siccità, emergenza
idrica?
Le comunità umane dovranno prepararsi ad affrontare
la doppia sfida costituita dal sommarsi del
riscaldamento globale e del picco del petrolio e quindi
le città dovranno trasformarsi e ricercare stratagemmi
per ridurre l'utilizzo di energia ed incrementare la
propria autonomia a tutti i livelli (energetica, idrica,
alimentare, ecc).
Affinché le città possano avviarsi alla transizione verso
una nuova era post-picco le comunità locali dovranno
saper ripensare, ridisegnare, ristrutturare l‟ambiente
urbano e l‟economia locale in base alle nuove esigenze
e per aumentarne la resilienza.
Quali città potranno affrontare meglio queste sfide
epocali?
Le città che hanno investito in un sistema di trasporti
diversificato con un maggior numero di persone che si
sposta in bicicletta, a piedi e con i mezzi pubblici. Gli
insediamenti urbani dove è facile trovare prodotti locali
abbondanti e a basso prezzo grazie alla presenza di
mercati di quartiere, fiere contadine, fattorie urbane.
I comuni che hanno incoraggiato pratiche sostenibili
come la bioedilizia, le reti di economie locali, il
riutilizzo dell‟acqua meteorica, il riciclo e il riuso dei
materiali di scarto. Soprattutto le città in cui la società
civile è protagonista dei cambiamenti attraverso un
atteggiamento pro-attivo e creativo. Città nelle quali i
cittadini prendono parte alla vita della comunità locale
su base volontaria, fondando associazioni, comitati di
quartiere, dando avvio a iniziative che riguardano un
modello sociale ed economico alternativo, in certi casi
anche con un carattere sovversivo, ai confini del
rispetto delle norme imposte dal sistema politico
dominante.
In questo scenario incomincia a farsi strada nelle città il
progetto della decrescita, vale a dire, come sostiene
Latouche, il progetto di costruzione di una società di
abbondanza frugale e prosperità senza crescita.
Il progetto della decrescita mette in discussione il
modello di sviluppo capitalistico nel suo complesso e
quindi passa attraverso una rifondazione del politico,
ma ridefinisce anche il concetto di polis, di città e del
suo rapporto con la natura.
“La città decrescente dovrebbe essere una città con una
impronta ecologica ridotta, trattenendo un rapporto
forte con l‟ecosistema (una bio-regione). In un primo
tempo, la città decrescente, potrebbe essere la città
attuale dalla quale siano stati eliminati la pubblicità, le
auto e la grande distribuzione e dove siano stati
introdotti i giardini condivisi, le piste ciclabili, una
gestione pubblica dei beni comuni (acqua, servizi di
base) e anche la coabitazione e le «botteghe di
quartiere». Una riconversione sarà necessaria ma anche
una certa deindustrializzazione. In sintesi, la città
decrescente, primo passo verso una società di
abbondanza frugale, preserverà l‟ambiente che è in
ultima analisi la base di tutta la vita, aprirà a ciascuno
un accesso più democratico all‟economia, ridurrà la
disoccupazione, rafforzerà la partecipazione (e dunque
l‟integrazione) e anche la solidarietà, fortificherà la
salute dei cittadini grazie alla crescita della sobrietà e
alla diminuzione dello stress.”2)
In Italia stanno maturando significative esperienze in
ambito urbano che possono ascriversi all‟orizzonte
culturale della decrescita e della transizione verso
un‟era post-picco: la rete del Nuovo Municipio, la rete
delle Città Lente, le Città in Transizione, le Città post-
carbone, le numerose esperienze di Città Virtuose.
Nel panorama delle sperimentazioni che si stanno
attuando in Italia, Napoli rappresenta una realtà
peculiare, fortemente spinta verso forme di auto-
organizzazione creativa. Napoli da sempre città
problematica, sommersa da una perenne emergenza ma
animata da uno spirito appassionato, creativo, un po‟
avventuriero e un po‟ visionario, sperimenta nuove e
alternative forme di convivenza, promosse e animate da
piccole comunità resistenti.
Le iniziative promosse da questi gruppi di cittadini
riguardano principalmente la riappropriazione del
rapporto città-campagna, la valorizzazione di spazi
pubblici degradati o abbandonati, nuovi modelli di
produzione e consumo, sperimentazioni nel campo
della mobilità sostenibile.
I casi di studio presentati di seguito sono alcune delle
realtà più significative e innovative operanti in città.
Decine di coltivatori, allevatori e artigiani si sono uniti
contro le logiche economiche e le regole calibrate
sull‟agroindustria, per difendere la libera lavorazione
dei prodotti agricoli e l‟immenso patrimonio di saperi e
sapori della terra. Da questa rete è nata la campagna
Genuino Clandestino per contrastare l‟insieme delle
norme che, equiparando i prodotti contadini trasformati
a quelli delle grandi industrie alimentari, li rendono
fuorilegge. Insieme si sono incontrati nell‟aprile 2011 a
Napoli in Piazza Mercato per una grande
manifestazione nazionale per fare rete e portare in
Campania agricoltori, pastori, artigiani, movimenti che
in altre parti d‟Italia sono impegnate in forme di
resistenza contadina.
I Friarielli Ribelli sono guerrilla gardening che si
battono per la riappropriazione degli spazi verdi urbani
lasciati al degrado e all‟incuria, organizzano azioni
clandestine di piantumazione e mini-restyling urbano
in vari punti della città coinvolgendo di volta in volta
cittadini, associazioni e comitati civici delle varie aree
interessate.
Gruppi di Acquisto Solidale, artigiani, produttori,
cooperative ed associazioni stanno costruendo un
Distretto di Economia Solidale per praticare e
diffondere un alternativo modello di consumo, di
economia, di relazioni sociali e di rispetto
dell‟ambiente. Le Piazze dell‟Economia Solidale sono
periodici mercati temporanei e luoghi d‟incontro
conviviale fra produttori e cittadini nel centro storico,
nella città consolidata e in periferia con banchetti
espositivi, momenti di confronto e musicali.
In una città in cui non esistono piste ciclabili e con un
traffico intenso, chi va in bicicletta lo fa a suo rischio e
pericolo. E‟ per questo che si è creato il gruppo Critical
mass che si incontra attraverso la rete in piazza per
pedalate collettive. Si parte costringendo le macchine
ad andare a velocità di bici. Per evitare problemi con la
polizia municipale non ci sono organizzatori ufficiali
né percorsi pianificati.
Alla Ragnatela aderiscono 50 produttori della
Campania che organizzano ogni mese uno Spaccio
Popolare Autogestito, in una zona temporaneamente
autonoma, occupando zone simbolo o quartieri a
rischio. All‟interno degli spacci è presente un centro di
documentazione dove si può visionare il catalogo dei
prodotti e le schede di autocertificazione in cui sono
descritte le caratteristiche di ciascun prodotto esposto,
le tecniche di coltivazione/realizzazione utilizzate, le
caratteristiche del terreno, la provenienza dei semi e
l'indicazione del prezzo.
Il Coordinamento cittadino per lo spazio pubblico
nasce a Scampia, quartiere simbolo della città, per
promuovere le realizzazioni di reti sociali per un uso
alternativo dello spazio pubblico e per una sua
rivitalizzazione. Negli anni il comitato ha realizzato
strutture sportive e spazi verdi autogestiti e ha lavorato
nei campi rom. Nel giugno 2008, promuove il
programma „Oplà, riprendiamoci la città‟ che vede per
la prima volta le reti sociali di diversi quartieri della
città organizzare insieme un mese di azioni sullo spazio
pubblico urbano.
Cineforum della decrescita, corso di auto-formazione
sulla transizione, coltivazione di orti sinergici, corsi del
saper fare, queste le iniziative ad oggi intraprese dal
neo-nato Circolo della decrescita felice di Napoli.
Note 1) e 2) relazione di Serge Latouche al meeting
«The architecture of well tempered environment -
Un'armonia di strumenti integrati», promosso
dall'Unione internazionale degli architetti e dall'Union
internationale des architectes, architecture and
renewable energy sources da www.carta.it
Sitografia
postcarboncities.net
genuinoclandestino.noblogs.org
www.guerrillagardening.it
www.desnapoli.it
criticalmassnapoli.jimdo.com
ragnatela.noblogs.org
comitatospaziopubblico.blogspot.com
“Il buio va strettamente illuminato”
Percorsi laboratoriali sulla sicurezza urbana nel
Municipio Roma IX
La percezione d’insicurezza che attraversa la società contemporanea
trova, proprio nella città, la sua forma concreta, perché offre la
proiezione visibile ai sentimenti di precarietà e d’incertezza e allo
stesso tempo li giustifica.
La sicurezza viene qui intesa come il sentirsi sicuri e a proprio agio
all’interno dell’ambiente di vita quotidiano; una sicurezza di tipo
umanistico, che anche le Nazioni Unite hanno contribuito a definire
sicurezza umana. Si entra così in una prospettiva che evidenzia
come la percezione di sicurezza sia una costruzione sociale che si
basa sulle relazioni che gli abitanti di un territorio hanno tra di loro
e con il loro ambiente di vita.
Nell’esperienza di seguito descritta abbiamo voluto affrontare la
questione della sicurezza sostituendo all’azione repressiva (ad
esempio l’uso di forze dell’ordine e della videosorveglianza) la
pratica partecipativa. Le soluzioni di trasformazione di un territorio
possono essere infatti affidate a coloro che vi abitano attraverso un
percorso di ricostruzione dei legami sociali e con l’ambiente
urbano.
Il Municipio Roma IX, con i fondi della Legge Regionale 15/2001,
ha attivato dal 2009 al 2011 il progetto Spazio Prossimo-Sicurezza
dei Diritti. In collaborazione con la coop. sociale Eureka I e l’Ass.
CantieriComuni sono stati realizzati laboratori di progettazione
partecipata nelle scuole per indagare a fondo le cause della
percezione di insicurezza e stimolare una riflessione sulla questione
della violenza urbana al fine di avanzare proposte progettuali per il
miglioramento della qualità degli spazi pubblici.
La questione sulla sicurezza urbana ha destato negli
ultimi anni una grande attenzione e svolto un ruolo
chiave sia dal punto di vista politico che sociale. Non
tanto perché sia oggettivamente il problema più grave,
ma perché insiste su un territorio più concreto e vicino:
il luogo del nostro vivere quotidiano.
La percezione d’insicurezza che attraversa la società
contemporanea trova nella città la sua forma concreta,
perché essa offre la proiezione visibile ai sentimenti di
precarietà e d’incertezza e allo stesso tempo li
giustifica.
La risposta al bisogno di sicurezza espresso dai
cittadini (grazie anche al ruolo che i mass-media
giocano nel determinare la percezione del rischio e nel
fomentare il sentimento d’insicurezza) è stato uno dei
temi portanti delle ultime campagne elettorali, anche
perché ha offerto un’ottima sponda per dirottare le
ansie sociali prodotte dalla precarietà economica,
sociale ed affettiva, su una problematica che sembra
più direttamente e palesemente affrontabile. Nello
spazio pubblico possono essere messi in campo e
realizzati concretamente tutta una serie di dispositivi di
controllo che hanno il vantaggio, indipendentemente
dalla loro efficacia, di avere visibilità pubblica.
L’organizzazione fisica di uno spazio, che affida il
controllo e la sicurezza esclusivamente all’uso di
strumenti repressivi, impone un’ estetica fondata sulla
vigilanza e sulla distanza , stabilendo di conseguenza
anche la qualità delle relazioni umane.
Gli spazi pubblici sono entrati progressivamente in
crisi, non sono più luoghi d’incontro di tutte le
diversità (sociali, d’età e di genere), nè i luoghi dello
scambio, della relazione con l’altro, ma hanno subìto
un processo di progressivo degrado sia nella loro
dimensione fisica che sociale. Tale degrado è
conseguenza anche dell’impoverimento del concetto di
spazio pubblico che qui viene inteso come qualsiasi
porzione di città al di fuori degli ambienti privati. Lo
spazio pubblico è dunque non solo la piazza o il parco
vicino casa, ma anche la strada, il marciapiede o il
Sopralluogo nel Municipio Roma IX
cortile e tutti gli spazi residuali e dimenticati che fanno
parte del nostro ambiente di vita quotidiano.
Oggi giorno molte risposte a problemi di ordine sociale
assumono forme architettoniche con conseguenze
dirette sulla vita quotidiana e sull’utilizzo degli spazi
pubblici. Per questo diventa fondamentale conoscere e
comprendere a fondo le molteplici cause della
percezione e del sentimento d’insicurezza così da non
confondere le cause con le conseguenze e dare risposte
adeguate al bisogno di sicurezza espresso dai cittadini.
Il concetto di sicurezza è strettamente connesso a
quello di violenza. Il depauperamento progressivo del
significato e della complessità del termine “sicurezza”
provoca come conseguenza anche il mancato
riconoscimento di alcune forme di violenza che
vengono subite dai cittadini e che ne condizionano
profondamente la vita quotidiana. Per approfondire
questa tematica e riconoscere le varie forme della
violenza nelle città, utilizziamo gli studi di Johan
Galtung, uno dei padri fondatori della Peace Research.
Egli individua tre tipologie di violenza strettamente
connesse tra di loro: la violenza diretta, la violenza
culturale e la violenza strutturale.
Ci interessa sottolineare il concetto di violenza
strutturale in quanto forma di violenza insita nella
struttura dell’ambiente urbano che si manifesta sotto
forma di diseguale accesso al potere ed alle
opportunità di vita. In questa tipologia di violenza
rientrano alcuni fenomeni legati alla disciplina
urbanistica, come ad esempio le azioni di
trasformazione del territorio che non tengono conto del
contesto d’intervento.
Preso atto che la struttura di un territorio pùò
condizionare le relazioni sociali, nell’esperienza di
seguito descritta abbiamo voluto affrontare la
questione della sicurezza sostituendo all’azione
repressiva la pratica partecipativa. Le soluzioni di
trasformazione di un territorio possono essere infatti
affidate a coloro che vi abitano attraverso un percorso
di ricostruzione dei legami sociali e con l’ambiente
urbano.
Riprogettare uno spazio pubblico in modo partecipato
permette una trasformazione che tiene conto dei reali
bisogni di chi lo vive sia dal punto di vista fisico che
sociale. La progettazione partecipata ha una duplice
valenza:agisce sull’individuo attraverso l’esplicitazione
e il riconoscimento dei bisogni personali, attivando il
senso di responsabilità e di affezione verso i luoghi e
agisce anche sull’intera comunità perché i bisogni
individuali vengono rielaborati e condivisi in maniera
collettiva rafforzando così i legami sociali.
Il Municipio Roma IX, con i fondi della Legge
Regionale 15/2001, ha attivato dal 2009 al 2011 il
progetto Spazio Prossimo-Sicurezza dei Diritti. In
collaborazione con la coop. sociale Eureka I e l’Ass.
CantieriComuni sono stati realizzati laboratori di
progettazione partecipata nelle scuole per indagare a
fondo le cause della percezione di insicurezza e
stimolare una riflessione sulla questione della violenza
urbana al fine di avanzare proposte progettuali e
migliorare la qualità del proprio ambiente di vita.
Nel primo anno di lavoro la tematica affrontata è stata
quella della sicurezza urbana.
Sono state coinvolte la scuola elementare G. Cagliero,
la scuola media F.Petrarca e il liceo artistico G. De
Chirico (sezione architettura).
Il percorso laboratoriale ha evidenziato come spesso i
dati reali di criminalità non coincidano con la
Progetti di una piazza non violenta dei bambini della scuola elementare.
percezione del senso di sicurezza da parte dei cittadini,
che è invece determinata dalle caratteristiche fisiche e
sociali dei luoghi.
Gli studenti del liceo, con l’aiuto degli alunni della
scuola media ed elementare, hanno realizzato una
mappatura delle zone del Municipio Roma IX
considerate più o meno sicure. Hanno poi destrutturato
gli spazi percepiti come insicuri, per identificarne gli
elementi fisici e sociali che li compongono, mettendo
in relazione le caratteristiche individuate con le
sensazioni percepite nei luoghi analizzati e avviato una
riflessione sul ruolo centrale dell’archittettura nel
condizionare il sentimento di sicurezza o d’insicurezza.
Questo approccio ha permesso di riconoscere le cause
della percezione d’insicurezza e di avanzare proposte
progettuali consapevoli e rispondenti ai bisogni dei
cittadini, evitando la confusione tra le conseguenze e le
cause del sentimento d’insicurezza, confusione che
porta a fare scelte incoerenti.
Il collegio dei docenti della sezione architettura del
liceo artistico G. De Chirico ha deciso di proseguire
con la stessa classe (IVC AA sperimentazione
Michelangelo) il progetto nell’anno scolastico
2010/2011, inserendo la riprogettazione di piazza Re
Di Roma, uno dei luoghi analizzati durante il percorso
laboratoriale all’interno del corso di architettura e
arredo della Prof. Arch. P. Iscariotti.
Dai risultati ottenuti nel primo anno di lavoro, è emerso
che tutte le caratteristiche fisiche e sociali e le
sensazioni percepite nei luoghi insicuri sono
riconducibili alla tematica della violenza.
Per questo motivo alle scuole coinvolte nel secondo
anno di lavoro è stato proposto un percorso di analisi
sulla violenza nel mondo dei minori per capire quali
sono gli elementi sociali e culturali che scatenano
condotte e atteggiamenti violenti o illegali e quanto lo
spazio fisico, cioè il contesto urbano, influisca o sia
promotore di violenza.
Gli studenti del liceo discutono con gli alunni delle elementari e dalle medie i progetti.
Il concetto di violenza è stato quindi analizzato sia
come modalità di relazione tra gli individui (come ad
esempio il bullismo), che come relazione tra
l’individuo e lo spazio pubblico (degrado, abbandono,
vandalismo etc.). Questo ha fornito alla classe VC AA
del liceo artistico G. De Chirico gli elementi per
riprogettare Piazza Re Di Roma come esempio di
piazza non violenta.
Dopo aver effettuato il rilievo architettonico, delle
essenze arboree e fatto l’analisi dei flussi di
frequentazione della piazza e del suo utilizzo, gli
studenti hanno sperimentato un percorso di
progettazione partecipata che ha coinvolto gli alunni
delle scuole medie ed elementari. Attraverso una serie
di incontri preliminari alla stesura del progetto hanno
raccolto consigli e suggerimenti per riprogettare la
piazza. Una volta elaborati i progetti le ragazze ed i
ragazzi del liceo sono tornati nelle scuole per mostrare
i risultati del lavoro svolto insieme e per confrontarsi
sugli esiti della progettazione partecipata.
Sono stati infine organizzati alcuni incontri pubblici
per presentare i progetti alla cittadinanza e
all’amministrazione municipale. I progetti sono stati
poi consegnati alle autorità municipali con la richiesta
che per la futura riprogettazione della piazza e sugli
interventi in materia di sicurezza urbana, si tenga conto
delle proposte emerse.
L’impostazione di un percorso laboratoriale che ha
sostenuto il concetto di spazio pubblico nella sua
pienezza, cioè sia nella sua dimensione statica
(organizzazione fisica), che in quella dinamica
(relazioni tra gli elementi che lo compongono e le
persone che lo vivono), ha permesso agli studenti della
sezione architettura di esercitarsi nella realizzazione di
progetti rispondenti ai bisogni di tutti e di restituire al
ruolo dell’architetto la responsabilità sociale che gli
compete.
Dott.ssa Laura Moretti e Arch. Viviana Petrucci
Immagine della locandina per la giornata di presentazione dei progetti.
PINK LANDSCAPE
Interventi leggeri per la riqualificazione
del paesaggio urbano
In questi ultimi anni le professioni tecniche hanno
assistito alla trasformazione della loro attività diven-
tando, come spesso accade nei periodi di “crisi”, parte
attiva e propositiva nei confronti di tematiche sempre
più specifiche che possono sfuggire al controllo di una
pubblica amministrazione appesantita dagli oneri e mai
abbastanza supportata dal punto di vista economico.
La pubblica amministrazione, che storicamente riveste
il ruolo decisionale, passa, quindi, da ruolo “attivo” a
ruolo “ricettivo” avvalendosi delle istanze culturali
provenienti dal territorio; questo apre la possibilità di
moltiplicare iniziative provenienti dal basso e stabilire
un legame più stretto col territorio.
I progetti qui presentati riguardano una serie di
riqualificazioni urbane di “junkspace” tramite pitture
murali e di una piazza nel pieno centro storico di Terni,
la cui fattibilità è permessa da interventi privati.
L'ARTE DI STRADA E LA CITTA'
Gli interventi qui presentati potremmo dire che si
occupano di riqualificare i “Ritagli”
Per Ritagli si intendono quegli “spazi di risulta” (tipici
del terzo paesaggio – Clement 2008) che sono il
prodotto dello sviluppo edilizio ed urbanistico; quegli
spazi per cui non esiste progetto, né esistono interesse
o reddito. Nella maggior parte dei casi, il proprietario
di questi retro urbani è il Comune, quindi, Noi!
Qusti ritagli sono stati riqualificati tramite interventi di
“arte urbana”.
L’opera di “arte urbana” comprende il graffito, sfiora
l’urbanistica e si confronta con il cittadino in un
rapporto fatto di scrittura e sovrascrittura, in cui lo
scambio di opinioni e di informazioni alimenta la
partecipazione delle persone e la crescita culturale dei
soggetti coinvolti.
Inoltre, ci si deve porre di fronte ad alcune questioni
importanti di carattere più “tecnico”: è chiaro che un
murale, per quanto possa essere eseguito con gusto e
raffinatezza tecnica, è inutile se messo sul muro di una
rampa stradale dove i passeggeri possono vederlo, da
dentro l’automobile, solo per una frazione di secondo.
Servirebbero più spazio e più tempo per riflettere.
L’arte di strada, inoltre, non è come un quadro o una
scultura: nasce e muore in un posto, non si fruisce a
pagamento ed è soggetta a sovrascritture non autoriz-
zate.
Il primo problema apre subito un ulteriore ventaglio di
scelte artistiche che comprendono, anzitutto, la
“velocità di lettura” dell’opera.
Nel caso in cui la nostra parete dipinta insista su di una
strada priva di marciapiede, in cui le auto sfrecciano a
gran velocità, si comprende facilmente che l’opera
verrà guardata esclusivamente dall’abitacolo della
macchina e che, conseguentemente, si avrà pochissimo
tempo per poterla ammirare. Si dovrà, inoltre, disporre
di una parete molto lunga per far sì che il tempo di
visione dell’opera duri qualche secondo.
Se la nostra parete è costeggiata da un marciapiede che
rende possibile la visione in tranquillità, si potrà
realizzare qualcosa di più curato nei dettagli visto che
il pedone ha la possibilità di fermarsi a riflettere. In
questo caso si deve considerare anche la possibilità di
ospitare eventuali sovrascritture da parte di writers più
o meno creativi. In generale queste pareti hanno due
velocità di lettura: la prima dalla strada (veloce) e la
seconda dal marciapiede (lenta).
Esiste, infine, la possibilità di produrre opere d’arte di
strada per le quali l’interazione con i cittadini e con gli
altri writers diventi un elemento caratterizzante
l’intervento: è questo il caso di quei muri posti vicino
ai luoghi di incontro, formali e non. In questo caso,
Murales Via del Mandorlo,TerniMurales Via Bramante,Terni
l�artista, dovrà considerarsi solamente come una sorta
di miccia �creativa�!
Queste considerazioni aprono a nuovi modi di pensare
le nostre installazioni urbane: queste si configurano,
infatti, come veri e propri eventi urbani del tutto
assimilabili ad architetture costruite con la partecipa-
zione del pubblico. Il passaggio ad alta velocità vicino
ad una parete dipinta ci da una strana sensazione che
dura appena qualche secondo e la riflessione sui dipinti
ci da modo di fantasticare ulteriormente sui temi
lanciati dal graffito.
La partecipazione all�opera collettiva, invece, ci fa
diventare addirittura protagonisti lasciandoci la
possibilità di dire un giorno ai nostri figli: questo l�ho
fatto io!
L�opera d�arte murale, nell�arco della storia, ha sempre
avuto un ruolo di primo piano negli ambienti vissuti
dall�uomo: dai graffiti rupestri ai manifesti di propa-
ganda.
L�esempio più importante di graffiti e comunicazione è
rappresentato dalla descrizione de �La Città del Sole�
di Tommaso Campanella: �Il Sapienza ha cura di tutte
le scienze e delli dottori e magistrati dell'arti liberali e
meccaniche, tiene sotto di sé tanti offiziali quante son
le scienze[...] E questo ha fatto pingere in tutte le
muraglie, su li rivellini, dentro e di fuori, tutte le
scienze.
Nelle mura del primo girone tutte le figure matemati-
che, [...] e li figliuoli, senza fastidio, giocando, si
trovano saper tutte le scienze istoricamente prima che
abbin dieci anni...�
In questa città immaginaria, i solari utilizzavano i
propri muri per acquisire i segreti della conoscenza
imparando, così, a vivere correttamente secondo le
regole del creato. Nel testo di Campanella le conoscen-
ze tramandate sono state scritte sui muri dagli speciali-
sti i quali avevano il compito di indottrinare i loro
sudditi tramite il linguaggio semplice ed universale
delle immagini.
Oggi, la scrittura sui muri è lasciata agli artisti di strada
il cui compito consiste nell�esprimersi creativamente
su un tema ponendo solamente le domande. Alle
sovrascritture dei passanti è lasciato l�onere della
risposta senza tabù o censura di alcun tipo.
Questo sforzo creativo collettivo porta alla personaliz-
zazione dei luoghi della città, quei luoghi che si ritiene
non siano di nessuno, ma che rimangono le ultime
roccaforti dell�arte di strada pubblica, non controllata
e, soprattutto, non in vendita.
Questi muri si configureranno come un �Teatro della
Memoria� popolare: un vero e proprio sistema di
memoria (illustrato già da Giulio Camillo Delminio,
nel �L�idea del Theatro� del 1554), in cui i muri
saranno il supporto di icone e di immagini utili a
ricordarci, con un solo �spot�, l�insegnamento della
storia.
I messaggi diventano veri esempi di �saggezza
popolare�, assumendo la stessa valenza storica che
possono avere le poesie di Belli o le incisioni di
Pinelli, e per di più privi di principi etici, sprovvisti di
senso della misura, del tutto a-morali e impossibili da
controllare mediante la censura!
I messaggi contenuti, però, devono arrivare a persone
diverse e le forme stereotipe forniscono un ottimo
alfabeto: il loro accostamento in situazioni di dicoto-
mia, contrapposizione, tristezza, solitudine, allegria,
violenza, e così via, può fornire un vocabolario
malleabile e flessibile da plasmare alle esigenze di un
linguaggio che sia comprensibile a tutti.
PIAZZA DELL'OLMO
Piazza dell�Olmo è uno dei luoghi storici di Terni che,
più di altri , �ha vissuto� le tradizioni popolari dei
cittadini ternani con le ricorrenze religiose celebrate in
piazza, il cantamaggio ed altre festività tipiche della
città. Questo è, quindi, proprio il luogo giusto per
fissare sulla pietra i ricordi della tradizione popolare,
della più recente alla più antica, mettendo in evidenza
quei costumi che collegano direttamente la nostra
generazione con il nostro passato pre-romano.
La caratteristica principale è quella di coprire il
pavimento con un cielo stellato rosa che evoca insieme
al culto della notte e le mitologie classiche antiche.
Queste luci ricordano la vocazione storica della piazza:
luogo di produzione artigianale di giorno e luogo di
svaghi �popolari� di notte. Il giorno dell�ascensione,
inoltre, si usava festeggiare accendendo i �focaracci�
all�interno della piazza, posizionando delle sterpaglie
dove attualmente sta l�aiuola con i due alberi.
Planimetria Piazza dell�Olmo,Terni
Vista notturna Piazza dell�Olmo,Terni
Ragazzi e bambini giocavano con questi fuochi
saltando da una parte all’atra della piazza scavalcando i
cumuli di brace che venivano spenti, successivamente,
urinandoci sopra.
Una tradizione molto simile era presente anche negli
antichi abitanti di Carsulae.
Per questo motivo le pietre della pavimentazione della
piazza sono orientate a 40° rispetto al Nord, proprio in
direzione di Carsulae e l’aiuola al centro viene
mantenuta e allargata per evitare la sosta delle macchi-
ne. L’illuminazione di questi due rettangoli verdi serve
per ricordare i “focaracci” e il paesaggio centrale tra le
due piante ne ricorda l’usanza del salto della brace. Le
sedute sono realizzate in blocchi di calcestruzzo
riempiti con materiali di scarto.
Utilizzando una superficie molto colorata, diventa uno
strumento di resistenza passiva contro il degrado:
scritte e scarabocchi entreranno a far parte della grande
decorazione delle sedute della piazza senza compro-
mettere l’immagine generale del luogo e dando la
possibilità alle persone di personalizzare i propri
luoghi di vita.
Altro elemento caratterizzante di questo intervento è
che si prevede la partecipazione dei privati per la sua
realizzazione tramite sponsorizzazioni e donazioni.
Questa nuova relazione tra pubblico e privato si
manifesta, architettonicamente, tramite l’inserimento di
lastre in metallo corten (all’interno della pavimentazio-
ne in porfido) in cui si leggono incisi i nomi dei
cittadini e imprese private che hanno preso parte
all’iniziativa.
Le strisce con i nomi saranno disposte in linea con la
pavimentazione come a costituire una sorta di “striscia
della solidarietà”, in acciaio, che fascia tutta la piazza.
Una tensostruttura permanente svolge la funzione di
pensilina offrendo una copertura di circa 300metri
quadrati rendendo possibile l’uso degli spazi anche nei
giorni di pioggia. Questa pensilina, in acciaio e teflon,
coprequeste superfici come se fosse un nastro sempre
in movimento lasciando, di tanto in tanto, porzioni di
cielo visibili dalle sedute della piazza e da Via del
Leone.
ALESSIO PATALOCCO
Laboratori di Urbanistica Partecipata a Potenza:
dalle tecniche tradizionali agli strumenti elettronici
Piergiuseppe Pontrandolfi, Viviana Lanza, Lucia Tilio
Università degli Studi della Basilicata
Il contesto della sperimentazione
Nel corso del 2010 la città di Potenza è stata oggetto di
una sperimentazione promossa da docenti e ricercatori
del Laboratorio di Ingegneria dei Sistemi Urbani e
Territoriali della Facoltà di Ingegneria della Università
della Basilicata, con l’obiettivo di sensibilizzare
cittadini ed amministratori relativamente alla
importanza di sviluppare processi di partecipazione
nella definizione delle scelte di assetto urbanistico della
città.
L’iniziativa è nata dalla constatazione delle crescenti
difficoltà che i processi di governo del territorio
manifestano e dalla valutazione della diffusa
inefficienza ed inefficacia degli stessi.
I Laboratori di Urbanistica Partecipata (LUP)
sperimentati a Potenza vogliono rappresentare il
contributo alla costruzione di una nuova cultura della
partecipazione ai processi di governo
della città, a partire dalla verifiche delle
scelte operate dall’Amministrazione in
occasione della approvazione del
Regolamento Urbanistico, strumento
questo che non ha registrato particolari
momenti di partecipazione attiva e diffusa nelle fasi di
redazione e nell’iter di approvazione. L’esperienza dei
LUP, patrocinata dall’Amministrazione Comunale, ha
interessato l’intero Ambito Urbano, suddiviso in sotto-
ambiti per ciascuno dei quali è stato istituito un
Laboratorio coordinato da un rappresentante del
gruppo di ricerca della Università ed animato da
rappresentanti di ordini professionali, membri di
associazioni culturali ed ambientaliste, membri dei
Comitati di Quartiere e da singoli cittadini.
Ai partecipanti è stato proposto un tavolo di
discussione sui problemi della città, evidenziati a
partire dall’analisi della situazione urbanistico-edilizia
attuale, dalla valutazione delle domande-istanze dei
cittadini e dal confronto con il quadro programmatico
e pianificatorio vigente, per giungere alla valutazione
di strategie di intervento progettuali alla scala del
progetto urbanistico.
La sperimentazione tradizionale
Alla base della sperimentazione sono state adottate
tecniche e metodologie che integrano gli strumenti più
tradizionali della partecipazione con quelli dell’e-
participation.
Il riferimento metodologico principale è stato un
rinnovato approccio logico-razionale (Las Casas, 2006)
alla definizione delle scelte di piano.
Le attività dei LUP sono state programmate
coniugando tale approccio con le tecniche dell’Action
Planning. Il processo si è articolato in quattro fasi, con
la possibilità di iterazione e feedback, in relazione alla
sistematica verifica della coerenza degli obiettivi
individuati e degli interventi e delle azioni da
promuovere.
Fig. 1 Lapproccio logico adottato e le fasi di lavoro
Nella fase iniziale grande attenzione è stata rivolta alla
conoscenza del territorio, come costruzione collettiva e
condivisa in base all’interazione fra attori diversi:
esperienza collettiva e ricorso ad analisi tecniche
esperte hanno costituito l’oggetto di un continuo
confronto tra i partecipanti al laboratorio. Dalla
discussione di quanto emerso nella prima fase di
conoscenza il processo di valutazione sviluppato è
stato sintetizzato e sistematizzato attraverso la
applicazione della tecnica della SWOT Analysis
(Grea, 2000) accompagnata dalla localizzazione su
mappe delle diverse questioni evidenziate, così da
parlare di GEOSWOT (Lanza et al, 2009).
La fase di sintesi è stata caratterizzata dalla costruzione
dell’albero dei problemi e degli obiettivi, con
particolare cura nell’individuazione delle relazioni di
causa ed effetto, per i problemi, e di mezzo e fine per
gli obiettivi. All’indicazione degli obiettivi è seguita
l’individuazione di possibili interventi, suddivisi in tre
classi: grandi opere, interventi di programmazione
ordinaria ed interventi immateriali. Nell’ultima fase del
processo si è affrontato il tema della valutazione di
possibili priorità tra gli interventi proposti; i
partecipanti ai laboratori hanno sviluppato una attività
di valutazione, semplificata quanto a tecniche adottate,
delle differenti strategie d’intervento, che tenesse conto
della coerenza con gli obiettivi individuati, con gli
strumenti di pianificazione vigenti, con la fattibilità
economica e le ricadute positive possibili in termini di
miglioramento delle complessive condizioni di
vivibilità nella città.
Il gruppo di coordinamento ha contribuito non soltanto
dal punto di vista tecnico-scientifico, per garantire la
coerenza del processo logico sviluppato, ma ha avuto
un ruolo fondamentale nello svolgimento delle attività:
i coordinatori sono stati garanti della partecipazione e
facilitatori degli incontri, sulla base di comuni regole di
interazione definite all’inizio del processo e necessarie
a garantire a tutti la possibilità di esprimersi e
partecipare attivamente (Sclavi, 2003).
La sperimentazione elettronica
Accanto alle forme tradizionali di partecipazione, è
necessario, oggi, tener conto delle potenzialità che
derivano dall’uso delle nuove tecnologie. Se applicate
al processo di pianificazione urbana, esse mostrano un
evidente miglioramento della qualità della
comunicazione, consentendo l’interazione tra gli attori
che partecipano al processo e rendendo concreta la
possibilità di un approccio bottom-up (Knapp, Coors,
2008) alla definizione delle scelte e delle strategie di
intervento. La sperimentazione dei LUP ha
contemplato un approccio elettronico: il processo reale
è stato affiancato da un parallelo processo virtuale
basato sull’adozione del KIT dell’e-participation,
pacchetto di strumenti freeware utili per informarsi ed
interagire, e basato su quattro tipologie di strumenti.
Fig. 2 Gli strumenti del kit dell’eparticipation
Gli Sharing Tools consentono di condividere
documenti, materiale multimediale ed informativo, con
l’obiettivo di rendere trasparente il processo. Le
piattaforme utilizzate sono state Boxnet, Slideshare,
Youtube e FlickR.
I Social Tools, in genere rappresentati da social
networks, rappresentano lo strumento per connettere le
persone. Si è fatto riferimento a due piattaforme, il
Ning e Facebook. Il Ning, disponibile alla url
www.lup-lisut.ning.com, è diventato il laboratorio
virtuale in cui la discussione sviluppatasi nei laboratori
durante gli incontri programmati si è arricchita di
contenuti, rappresentando anche lo strumento che ha
garantito continuità alle attività sviluppate nei quattro
incontri organizzati nei laboratori. All’interno del ning
sono contenuti una piattaforma blog, lo spazio per la
chat e per i contenuti multimediali e le pagine dedicate
a ciascun ambito urbano, in cui sono stati riportati i
report degli incontri ed i prodotti realizzati.
Al ning è stato affiancato un profilo Facebook, per
raggiungere una platea di amici più estesa, in ragione
della più alta confidenza che gli utenti hanno con tale
social network. Facebook è stato utilizzato
principalmente per pubblicizzare la presenza di
contenuti sul ning e per ricordare le date degli incontri
e gli eventi correlati.
Alla categoria dei Decision Tools appartengono tutti
quegli strumenti, come le survey e il voto elettronico,
che consentono di registrare le opinioni e le scelte degli
utenti. Nell’esperienza dei LUP l’utilizzo di tali
strumenti è stata limitata alla sola diffusione di un
questionario per approfondire e completare il quadro
di conoscenze del territorio in cui hanno operato i LUP.
La possibilità di rendere disponibili ai cittadini le
informazioni geografiche è avvenuta attraverso i
Mapping Tools. Sono stati utilizzati Google Earth e
Google Maps. Gli strati informativi costruiti sono stati
pubblicati su diversi layer e resi disponibili sul ning nel
formato kmz, in modo che tutti potessero scaricarli e
poi visualizzare le mappe in Google Earth, integrarle
con le proprie note ed i propri placemark, con foto etc.
La costruzione degli strati informativi è avvenuta con
Google Maps, con cui sono stati georeferenziati i punti
di forza e i punti di debolezza individuati nei diversi
ambiti, attraverso l’uso delle mashup.
Fig. 3 L’uso di Google Earth: gli ambiti dei laboratori, la localizzazione delle foto
Fig. 4 L’uso di Google Maps: una mashup per la GeoSWOT
Conclusioni
Favorire e sperimentare processi partecipativi alla
definizione delle scelte di governo della città
rappresenta una condizione ormai ineludibile per ridare
efficacia e credibilità ai processi di pianificazione del
territorio e per conseguire risultati utili ad incrementare
la qualità della vita. È indispensabile definire strategie
e priorità di intervento finalizzate al conseguimento di
concreti obiettivi di riqualificazione della città esistente
e di sviluppo sostenibile della città da trasformare e di
nuovo impianto, ispirati a principi generali di equità, di
efficienza e di limitazione nel consumo delle risorse, ed
ai principi etici di assunzione di responsabilità nelle
scelte e di trasparenza del processo decisionale.
Per tale ragione, i percorsi partecipativi non devono
essere considerati come condizioni eccezionali ed
estemporanee, ma trovare una precisa collocazione,
strutturazione e continuità nei processi istituzionali di
governo del territorio. Sebbene molte leggi regionali
prevedano attività di informazione, comunicazione e
partecipazione fortemente integrate nella procedura di
redazione del piano, nella prassi tali attività vengono in
genere eluse o relegate al ruolo di eventi a conclusione
del processo decisionale, quando le scelte risultano già
assunte. Nel caso di Potenza, che rappresenta la norma
e non l’eccezione, il recente percorso di aggiornamento
della strumentazione urbanistica non ha registrato
forme adeguate di informazione e comunicazione delle
scelte, e non ha favorito una effettiva e consapevole
partecipazione, fondata innanzitutto su un adeguato e
condiviso sistema di conoscenze che favorisse la messa
a fuoco delle problematiche emergenti e più sentite, e
quindi la definizione di coerenti strategie di intervento
con la esplicitazione dei tempi, delle risorse e delle
modalità operative per la attuazione degli interventi.
La sperimentazione dei LUP pone le basi per
promuovere la istituzione nella città di un luogo
permanente dove favorire la comunicazione e la
partecipazione più ampia ai processi di governo della
città; al luogo fisico potrà inoltre affiancarsi una
piattaforma elettronica che consenta di superare le
barriere di spazio e tempo che troppo spesso rendono
difficili processi diffusi di effettiva partecipazione.
Bibliografia
Grea S, Dentro la crescita dell’impresa. Le analisi
SWOT e PAR, FrancoAngeli, (2000)
Lanza V, Las Casas G, Pontrandolfi P, Tilio L,
Indirizzi per la pianificazione degli spazi giovani: il
caso studio del Comune di Potenza, in Pezzagno, Chiaf
(eds), Proceedings of XVI Int. Conference Living and
Walking in Cities, Brescia (2009)
Las Casas, G, Una cultura della pianificazione in un
approccio rinnovato alla razionalità del piano, in
Francini M (ed.), Modelli di sviluppo di aree interne ad
alta ruralità. (2006)
Sclavi, M, Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si
esce dalle cornici di cui siamo parte, Mondadori
(2003)
Azione pubblica e partecipazione multi-livello
nella costruzione dell'UC di Pescara
Raffaella Radoccia – Presidente INU Abruzzo e Molise
Il processo di costruzione dell’Urban Center di
Pescara rappresenta una duplice occasione di
rigenerazione dello spazio pubblico abitato tra città
del novecento e città contemporanea, contribuendo a
definire un diverso rapporto tra azione pubblica,
partecipazione sociale e consapevolezza
professionale, all’interno di una più ampia
riflessione sulle trasformazioni metropolitane, in
corso nell’area costiera e valliva. L’organizzazione
urbana di Pescara si presenta ed è stata
rappresentata come un tessuto attraversato da un
insieme robusto e mutevole di relazioni, sociali,
economiche, finanziarie, turistiche, legate al
mercato delle merci e dei servizi, al terziario, allo
svago. La presentazione dell’Urban Center di
Pescara nell’ambito del Bar Camp “Rigenerazione
urbana, spazi pubblici e partecipazione“ ha
consentito quindi di mettere in evidenza l’insieme -
e forse persino la trama - di tali relazioni e ha
consentito di stabilire un confronto con esperienze
di partecipazione, tra loro diverse e diversamente
distribuite nel territorio italiano. Ad esempio il
processo avviato a Pescara, tra logiche pubbliche e
iniziativa privata, ha trovato terreno di scambio con
i percorsi di progettazione urbana, promossi e
condotti dall’Urban Center di Bologna.
1. “La Colonna vertebrale” Boris Podrecca. 1995
La realizzazione dell’Urban Center di Pescara fa
parte delle iniziative che INU Abruzzo e Molise sta
conducendo a sostegno del dibattito locale e della
creazione di un networking, a scala regionale e
nazionale, con una attenzione specifica alle occasioni
di discussione disciplinare e di incontro tra nuove
pratiche amministrative. In particolare nel novembre
2010, l’INU Abruzzo ha organizzato il Seminario
“Urban Center. Esperienze a confronto1” nella
direzione di allargare la riflessione tra amministrazioni
pubbliche, operatori economici, associazioni culturali e
rappresentanti della società civile, a proposito delle
aspettative di sviluppo e delle trasformazioni in corso,
all’interno del tessuto abitativo pescarese nel suo
insieme.
2. Seminario “Urban Center. Esperienze a confronto”
Comune di Pescara. 2010
Il seminario si è articolato in due sessioni
strettamente interrelate, con l’obiettivo di aprire la
prospettiva di ragionamento nella maniera più ampia
possibile. La prima sessione è stata dedicata al racconto
delle principali esperienze di costruzione di UC e Case
della città in Europa e in Italia, a partire dalla
progressiva evoluzione degli Architecture centres, da
strumento di osservazione territoriale a luogo adatto sia
alla co-progettazione urbana, sia alla costruzione di
percorsi partecipativi, sia alla creazione di occasioni di
scambio inter-istituzionale2. La seconda sessione è
stata dedicata allo svolgimento di una tavola rotonda
1 Il 25 novembre 2010 l’INU Abruzzo ha organizzato il
Seminario “Urban Center. Esperienze a confronto” con il
patrocinio del Comune di Pescara, di concerto con l’Ordine
degli Architetti PPC della Provincia di Pescara, nella Sala
consiliare del Comune di Pescara.
2 La prima sessione di presentazione delle esperienze, in
Europa e in Italia, è stata coordinata da Raffaella Radoccia e
ha avuto la seguente organizzazione: Viviana Lorenzo
“Dall’Outlook Tower agli Architecture Centres: racconto di
uno strumento in continua evoluzione”, Francesco Ceci
“Napoli: l’esperienza della Casa della Città. 1998 – 2010”;
Giovanni Ginocchini e Francesco Evangelisti “Urban Center
Bologna. Territorio, partecipazione, progetto”; Mario Spada
“Roma, dai laboratori di quartiere alla casa della città: un
percorso interrotto”; Massimo Palladini “Il percorso di
Pescara verso l’Urban Center”.
tra amministratori comunali e provinciali, referenti
dell’università d’Annunzio, referenti dell’Ordine degli
architetti e responsabili degli Urban Center di Bologna,
Napoli e Roma, con l’obiettivo di sensibilizzare stake-
holders e portatori di interesse, nella maniera il più
possibile equilibrata e sostenibile rispetto alle istanze
emergenti3. Il Seminario ha raccolto un ampio
consenso interno e ha inoltre contribuito ad inserire la
città di Pescara in una rete di relazioni internazionali,
continuando ad alimentare la discussione sulle
modalità e sugli strumenti, più adeguati a favorire la
comunicazione socio-economica e la partecipazione dei
cittadini alle scelte sulle trasformazioni della città e del
suo territorio. In particolare la partecipazione attiva del
Comune di Pescara ha rinnovato uno specifico
interesse sulla scena abruzzese, perché ha posto al
centro delle attività dell’Urban Center, il principio
della responsabilità pubblica, anche nel coinvolgimento
di operatori economici, associazioni culturali e
rappresentanti della società civile, a proposito delle
aspettative di sviluppo e delle trasformazioni abitative
contemporanee. In questo modo ed in una prospettiva
allargata, l’INU Abruzzo sta rilanciando su questioni di
governance, welfare e partecipazione sociale, con
l’obiettivo di contribuire alla programmazione e alla
realizzazione di interventi di rigenerazione urbana, a
partire dalla definizione di uno specifico modello di
Urban Center abruzzese, da utilizzare eventualmente
anche per sostenere il complesso sistema di relazioni
alla base della ricostruzione di L’Aquila.
3 La seconda sessione, dedicata alla tavola rotonda, è stata
coordinata da Donatella Venti e ha visto la partecipazione di
Alfredo D'Ercole (Assessore Lavori pubblici Comune di
Pescara) - Marcello Antonelli (Assessore Urbanistica
Comune di Pescara) – Fabrizio Bernardini (Direttore
Generale Provincia di Pescara) -Gaspare Masciarelli
(Presidente Ordine degli Architetti PPC Provincia di Pescara)
- Alessandro Busca (Professore Urbanistica Università G.
d’Annunzio) - Valter Fabietti (Professore Urbanistica
Università G. d’Annunzio) - Francesco Evangelisti (Dirigente
Unità Programmi strategici Comune di Bologna) - Francesco
Ceci (Responsabile Casa della Città Comune di Napoli) -
Massimo Palladini (Direttivo INU Abruzzo e Molise).
3. Piazza Vittoria Colonna. Cantiere 2009
La partecipazione al Bar Camp ha consentito
all’INU Abruzzo di fare il punto sulle questioni del
coinvolgimento sociale e dell’incisività dell’azione
pubblica, ma anche di ragionare in maniera aperta sulle
possibilità e sui limiti della ridefinizione dello spazio
pubblico della Pescara di più recente trasformazione, a
partire proprio dal recupero di piazza Vittoria Colonna,
in cui è destinato ad aprirsi l’Urban Center. Si tratta di
un ragionamento su temi diversi e spesso tra loro
divergenti. Alcuni temi assumono un carattere
trasversale e appaiono legati a questioni tradizionali tra
promozione, conoscenza del territorio e iniziativa
pubblica. Altri temi appaiono più legati alla specificità
delle trasformazioni in corso nel territorio pescarese ed
abruzzese nel suo insieme e sono orientati alla ricerca
di un nuovo immaginario urbano medio-adriatico, tra
decisione pubblica e intervento privato. I temi più
direttamente legati al territorio mirano, da un lato, al
disegno di mappe e scenari di trasformazione, che
possano esprimere le diverse modalità di relazione tra
la città e suoi abitanti, d’altro lato, affrontano
soprattutto le complesse questioni della
programmazione urbana e della partecipazione di
operatori economici pubblici e di investitori privati.
Questi temi sembrano quindi esprimere la richiesta più
recente di spazi di scambio sociale ed economico, in
una dimensione multi-scalare, che interessa sia la
rigenerazione dei quartieri a maggiore densità abitativa,
sia la mobilità d’area vasta. Questi temi coinvolgono
quindi sia le pratiche connesse ai city-users e
all’impiego del tempo libero o all’acquisizione di beni
e servizi, sia i sistemi di relazione legati, ad esempio, al
recupero dell’ex tracciato ferroviario – attuale, ma
temporanea, strada-parco e prossima tranvia
metropolitana. D’altro canto questi temi delineano un
orizzonte di trasformazione urbana, che mira alla
salvaguardia dell’interesse pubblico, a partire proprio
dalla riqualificazione degli spazi di interesse e di
proprietà pubblica, come quelli intorno ai palazzi della
Regione oppure ai capannoni dismessi dei mercati
ortofrutticoli generali. I temi trasversali affrontano
soprattutto il livello della partecipazione, in rapporto al
ruolo dei diversi promotori o gestori - come Comune,
Ordine, INU, Università - sulla scorta delle percorso
compiuto storicamente dagli Urban Centres in UK e
negli USA, all’interno del quale i centri di ricerca
hanno avuto un ruolo effettivo per la conoscenza e
l’orientamento delle trasformazioni del territorio. In
questo senso l’esperienza contemporanea dei laboratori
di quartiere di Bologna o l’esperienza storica del
laboratorio di Renzo Piano a Otranto – o dei laboratori
di Gian Carlo De Carlo a Urbino e a Lastra a Signa o
delle Brigate SAAL nelle periferie portoghesi, negli
anni settanta - permettono di riflettere su quanto sia
importante la collocazione nello spazio urbano di
ciascun Urban Center rispetto allo svolgimento delle
attività di partecipazione. Più in generale questi temi
affermano l’importanza sia dello scambio competenze
e settori in rapporto all’efficacia del processo
partecipativo, sia del rapporto fiduciario tra le scelte
dell’amministrazione e molti soggetti interessati ai
processi di trasformazione urbana, sia il significato di
rigenerazione urbana come riqualificazione dello
spazio, ma ri-appropriazione degli spazi urbani da parte
degli abitanti, sia il senso della qualità delle opere da
realizzare, in rapporto alla presenza dei tecnici e dei
professionisti.
4. Piazza Vittoria Colonna. 2011
In conclusione è dunque possibile sostenere che
durante il Bar Camp, l’insieme delle riflessioni sulla
costruzione dell’Urban Center di Pescara, ha
contribuito a definire una nuova prospettiva sullo
spazio pubblico pescarese metropolitano e medio-
adriatico nel suo insieme. Infatti negli ultimi anni lungo
la costa abruzzese, come in altre parti della costa
adriatica, lo spazio collettivo e di aggregazione è
sembrato spostarsi non solo dalle piazze e dai centri
storici, ma anche dagli ipermercati e dai centri
commerciali, fino a coinvolgere ambiti residuali e
spesso marginali, aree interstiziali verdi e spesso
periferiche, ove si muovono mutevoli flussi di
relazione, ancora non del tutto conosciuti. Proprio
come nel caso di piazza Colonna e delle aree intorno
all’Urban Center di Pescara, dove la ricerca dello
spazio pubblico sembra associarsi all’emergere di
nuove forme di socialità, attraverso le quali possono
nascere opportunità di integrazione e di crescita
economica, nonostante i rischi di rinnovati appetiti
speculativi. In questo senso la riflessione sul
modificarsi partecipato dello spazio pubblico
contemporaneo - pescarese in particolare e medio-
adriatico più in generale - tende ad assumere modi e
angolazioni diverse. Da un lato la discussione sembra
aver mostrato come l’attuazione e la sperimentazione
di percorsi partecipativi, diversificati ed anche tra loro
alternativi, possa contribuire a comprendere spazi
contemporanei, con l’idea di riqualificare porzioni
della città, fino a superarne il rischio di marginalità
urbana e degrado ambientale degli interstizi e delle
dismissioni. D’altro lato la discussione pare aver
contribuito a sostenere un approccio partecipativo al
progetto urbano a Pescara e lungo la costa abruzzese,
introducendo elementi, che possono sostenere le
correlazioni spaziali ed irrobustire la collaborazione tra
cittadini, operatori economici ed amministrazioni, fino
a definire innovative linee di intervento per le città
medio-adriatiche e per il loro territorio.
Laboratori Urbani e Partecipazione: il Caso di Fusignano
“La città non è un monumento, è un organismo che si muove, cambia, evolve e non deve essere fatta per ma dai cittadini” diceva Argan spiegando che il “dai cittadini” non vuol dire far decidere direttamente la gente; bensì attivare un processo di riflessione collettiva per cui l’intera comunità acquista consapevolezza della propria storia fisica. La città intesa, dunque, come il più completo registratore delle vicende di una comunità. Basta imparare a leggerla per trasformare un’esperienza urbanistica in un momento di crescita collettiva.A questo approccio vanno ascritte alcune esperienze diverse fra loro, accomunate dal termine “Laboratorio”: dalle SAAL di Nuno Portas del nuovo corso democratico portoghese; ai Laboratori di Giancarlo De Carlo a Urbino e Lastra a Signa e di Renzo Piano a Otranto e Burano.I temi comuni: la partecipazione attiva degli utenti sia alla fase progettuale sia a quella realizzativa, una forte integrazione tra piano e progetto, una concezione del recupero come grande occasione di ridisegno urbano, un approccio scientifico e interdisciplinare alla conoscenza fisica della città, con un taglio semantico-progettuale nel caso di Giancarlo De Carlo e tecnologico in quello di Renzo Piano.E’ ancora attuale questa visione didattico-partecipativa? L’espandersi di un fronte dell’urbanistica partecipata sembra rispondere di sì. E’ un segnale importante di culture affini - architettura, urbanistica, sociologia, economia del territorio, land-art - che escono dal proprio specifico per individuare terreni di confronto comuni. Il mio contributo a questa area di ricerca si fonda su una lunga serie di Laboratori Urbani: il primo a Cervia (1985-87), poi due a Fusignano (1989-90 e 2002), Cremona (1997-98), Milano/Ponte Lambro (2000-04), Savignano (2006-2007), Campobasso/Molise Centrale (2007-2008).
Il secondo, urbanistico, proponeva la riorganizzazione dell’intera struttura cittadina attraverso tre aree strategiche d’intervento concepite come la matrice del nuovo organismo urbano: un continuum urbano completamente pedonalizzato che ricollegava la piazza storica con l’ex ospedale settecentesco da riconvertire in centro museale, comprendendo un auditorium, l’ampliamento della biblioteca civica, interventi privati residenziali e commerciali, una nuova piazza nata dalle demolizioni, oltre al recupero dell’antico ospizio come housing sociale per anziani e lavoratori immigrati.Il Piano è stato redatto istituendo un Laboratorio di Recupero, appendice operativa e autonoma dell’Assessorato all’Urbanistica, che ha operato a Fusignano nel 1989-90. E’ stato anche realizzato un programma di comunicazione globale: incontri, mostre, stand in piazza, 3 video, 6 inserti nel giornale del Comune.Il Piano individuava tre grandi aree strategiche d’intervento sottoposte a Piani di Recupero di iniziativa pubblica: quella di “S.Rocco”, dove si concentrano le maggiori preesistenze architettoniche; la seconda, detta “Centrale”, il cuore della città, caratterizzata dalla presenza delle principali attrezzature amministrative, commerciali e culturali; la terza situata nella corona più esterna: una classica “area industriale dismessa” da riconvertire. Tutti e tre i piani si sono molto modificati
L’esperienza presentata è frutto di un lungo percorso partecipativo che inizia a Fusignano, un piccolo comune di ottomila abitanti alle porte di Ravenna (noto per aver dato i natali ad Arcangelo Corelli, Vittorio Monti e, più di recente, ad Arrigo Sacchi), nell’aprile 1989 ed è tuttora in corso. La richiesta del Comune è: redigere un Piano delle Aree Centrali che sia anche una riflessione sul ruolo che il centro storico e le aree limitrofe possono assumere in un processo unitario di riqualificazione urbana.Il centro di Fusignano, infatti, era andato quasi completamente distrutto sotto i bombardamenti del 1944. Ricostruito in breve tempo, con una fortissima spinta ideale e civile, mostrava, a cinquanta anni di distanza, segni di degrado edilizio e un marcato invecchiamento della popolazione. Viene istituito un primo laboratorio a cui è affidato il compito di redigere il piano non come mero strumento specialistico ma come momento di riappropriazione collettiva della storia fisica della città. Il piano individuava due livelli operativi: il primo, edilizio, basato su un Libretto di Istruzioni per il Recupero della Città, inviato a tutti gli abitanti, individuava tecniche, materiali e colorimetrie per facciate, pavimentazioni, giardini, portici, vetrine, insegne, tende insieme alle modalità operative e alle incentivazioni finanziarie.
Figura 1: L’insieme degli interventi del Piano di Recupero delle Aree Centrali
nel corso del tempo sulla base di una serie di istanze nate all’interno del processo partecipativo. Alla fine del 1995, la considerazione che molti degli interventi previsti erano in corso di definizione esecutiva poneva il problema della rappresentazione e della divulgazione delle operazioni che si stavano avviando. Si rese necessario un nuovo momento di comunicazione-confronto con i cittadini: una video-ricostruzione tridimensionale digitale - allora assolutamente sperimentale - al fine di offrire, soprattutto ai non addetti, una immagine completa della “città imminente”.Tra il 1999 e il 2001, l’avvio contemporaneo di tutte queste operazioni di rinnovo urbano ha richiesto una verifica dello stato di attuazione e della coerenza dei diversi progetti, così nel 2002, viene istituito un secondo Laboratorio - anche questo durato un anno - che è partito dalla riprogettazione della piazza intitolata a Corelli in occasione delle celebrazioni per il 350° anniversario della nascita. Il Laboratorio 2 ha anche integrato i Piani di Dettaglio: Piani della Luce, Pavimentazioni, Portici, Insegne, Vetrine e Tende.Per comprendere come il processo partecipativo abbia influenzato le scelte progettuali, vale l’esempio degli Alberi della Libertà. Tra le vicende che hanno portato Fusignano all’attenzione delle cronache nazionali, una in particolare rappresenta bene la storia recente della città ed è quella dei sei alberi della Libertà che, eretti a partire dalla rivoluzione francese in momenti diversi e sempre in Piazza Correli, hanno scandito l’evoluzione democratica della comunità fusignanese.
Gli “Alberi della Libertà” derivano direttamente dalla Rivoluzione Francese. I primi vennero innalzati nelle piazze francesi fin dal 1790; l’uso si diffuse anche all’estero al seguito delle truppe rivoluzionarie. Subi-ranno il loro destino rituale al termine dell’“illusione de mocratica”: quasi ovunque saranno bruciati sulle piazze, mentre vengono ripristinati gli emblemi dell’antico po tere. Il primo Albero della Libertà eretto a Fusignano coincide con l’adesione alla Repubblica Cispadana, il 19 marzo 1797. Era un pioppo cipresso tolto dal bosco Calcagnini, la famiglia aristocratica che in contrapposizione con i Corelli aveva sempre governato la città. Il secondo fu innalzato pochi mesi dopo a seguito dell’istituzione della “Guardia della Speranza”. Il terzo fu eretto alla proclamazione della Repubblica Cisalpina (27 luglio 1797), era istoriato e aveva ai piedi una lapide con incisi i “Diritti dell’Uomo”. Il quarto fu innalzato il 9 febbraio 1849, in occasione della proclamazione della Repubblica Romana e la cerimonia fu seguita da un ballo popolare. Il quinto è il più noto in quanto fu eretto l’11 giugno 1914, durante la Settimana Rossa. Aveva in cima una bandiera rossa e fu salutato dalle note della Marsigliese, dell’Internazionale e dell’inno di Garibaldi suonati dalla banda. La scena, ripresa dal fotografo dilettante Antonio Preda, finì su “La Domenica del Corriere” e l’“Illustrazione Italiana” rendendo Fusignano celebre per questi eventi. L’esistenza del sesto Albero è stata resa nota grazie a una lettera di un cittadino fusignanese, Carlo Mazzotti, inviata al Laboratorio nel settembre 2002. Nessuno ne aveva più memoria. L’albero fu eretto in piazza il 2
Figura 2: Piazza Corelli al termine dell’intervento di riquali-ficazione
Figura 3: Il quinto Albero della Libertà, eretto a Fusignano nel giugno 1914 in occasione della Settimana Rossa
giugno 1946, in occasione della proclamazione della Repubblica Italiana e vi furono issate le bandiere dei partiti aderenti al Comitato di Liberazione Nazionale. La riscoperta del valore degli Alberi della Libertà come testimonianza comune di diverse componenti della comunità fusignanese è uno dei contributi più appassionanti del lavoro del Laboratorio. Ha influenzato profondamente il progetto della piazza che è stato così modificato, a furor di popolo, sostituendo l’originario unico albero del primo progetto con una sequenza di sei alberi che partono dalla piazza e proseguono nel nuovo sistema di spazi pedonali che collega i nuovi edifici realizzati nell’ambito del Piano. Così oggi partendo dalla piazza Corelli rinnovata e dotata di un palco mobile (su martinetti idraulici) si percorre il portico dell’ampliamento della Biblioteca Comunale, lasciandosi alla sinistra il nuovo complesso di residenze private e pubbliche realizzate, si entra nella nuova piazza dove è stato completato l’auditorium per la musica barocca dedicato a Corelli per poi proseguire attraverso i due giardini pubblici - unificati e recuperati - alla volta dell’ex-ospedale settecentesco di S. Rocco restaurato come Centro Museale ed edilizia pubblica per terminare davanti alla facciata neo-classica dell’ex-Ospizio Giovannardi recuperato come housing sociale dove convivono - integrati - anziani autosufficienti e lavoratori immigrati prevalentemente senegalesi.Tutto questo in un Comune di ottomila abitanti, dopo venti anni di partecipazione e grazie a tre Sindaci coraggiosi che si sono succeduti. Insomma: si può fare.
Lamberto RossiSettembre 2011
Figura 4: Il portico sottostante l’ampliamento della Biblioteca Civica
Figura 5: L’inaugurazione dell’auditorium (2007)
SARDARCH ARCHITETTURA Stampaxi Wall. Partecipare, riflettere, riconquistare la città. Stampaxi wall é un progetto di partecipazione, di collaborazione, di reti che si uniscono con uno stesso scopo, portato avanti nel vuoto urbano tra Via Fara e Via Santa Margherita nel quartiere Stampace a Cagliari. Stampaxi Wall più che una installazione estremamente temporanea è un muro parlante, generato dalle idee e dai suggerimenti dei cittadini e tirato su grazie alla collaborazione dei generosi volontari presentatisi un’ assolata domenica mattina. Un muro che sottolinea la sempre più impellente necessità di rendere partecipe, di coinvolgere come parte attiva una cittadinanza sempre meno tollerante rispetto a progetti che piovono dall’alto e che vedono l’utente finale, il cittadino, costretto ad adeguarsi a spazi urbani costruiti esclusivamente nell’interesse di pochi. Stampaxi Wall non cela intenzionalità progettuale, non è una protesta contro questo o quel progetto, né ha nessun secondo fine che non sia quello di invitarci a riflettere sulla nostra città e sull’utilizzo che oggi facciamo dello spazio pubblico. Gli scambi sociali sono sempre meno legati agli spazi pubblici, assistiamo ad una crescente e costante privatizzazione del nostro tempo libero che tende a legarsi sempre più a spazi per il consumo, bar, ristoranti, centri commerciali, palestre. Stampaxi Wall, attraverso il paradossale regolamento che compone la scritta “NON È UNA PIAZZA” è quindi un invito a riflettere sulla nostra reale necessità di spazio pubblico e un invito a riconquistare le nostre città, a riappropriarci di spazi che passivamente lasciamo degradare perché nulla apportano al nostro stile di vita, dimenticando la responsabilità di ognuno di noi nei confronti del luogo i vive, la responsabilità di essere cittadini. Stampaxi wall é innanzitutto un progetto di partecipazione, di collaborazione, di reti che si uniscono con uno stesso scopo, portato avanti in questi mesi nel vuoto urbano tra Via Fara e Via Santa Margherita a Cagliari. Stampaxi Wall é, più che una installazione estremamente
temporanea, un muro parlante, generato dalle idee e dai suggerimenti dei cittadini e tirato su grazie alla collaborazione dei generosi volontari presentatisi un’ assolata domenica mattina. Un muro che sottolinea la sempre più impellente necessità di rendere partecipe, di coinvolgere come parte attiva una cittadinanza sempre meno tollerante rispetto a progetti che piovono dall’alto e che vedono l’utente fi nale, il cittadino, costretto ad adeguarsi a spazi urbani costruiti esclusivamente nell’interesse di pochi. Stampaxi Wall non cela intenzionalità progettuale, non è una protesta contro questo o quel progetto, né ha nessun secondo fine che non sia quello di invitarci a rifl ettere sulla nostra città e sull’utilizzo che oggi facciamo dello spazio pubblico. Gli scambi sociali sono sempre meno legati agli spazi pubblici, assistiamo ad una crescente e costante privatizzazione del nostro tempo libero che tende a legarsi sempre più a spazi per il consumo, bar, ristoranti, centri commerciali, palestre. “Spazi socialmente omogenei che rendono improbabili incontri con persone socialmente diverse, spazi che rendono sempre meno utili gli spazi pubblici dal punto di vista della propria funzione di aggregazione sociale” (Mike ArambuM, UAB) Stampaxi Wall, attraverso il paradossale regolamento che compone la scritta “NON È UNA PIAZZA” è quindi un invito a riflettere sulla nostra reale necessità di spazio pubblico e un invito a riconquistare le nostre città, a riappropriarci di spazi che passivamente lasciamo degradare perché nulla apportano al nostro stile di vita, dimenticando la responsabilità di ognuno di noi nei confronti del luogo in cui vive, la responsabilità di essere cittadini. IL PROGETTO Il progetto ha preso il via a gennaio su ispirazione di alcune esperienze portate avanti dal collettivo newyorkese Illegal Art e ripreso in Spagna e Argentina dal Colectivo Trecediecinueve. Rispetto all’originario progetto raccontato nel “Suggestion book” , che prevede una raccolta itinerante di suggerimenti spontanei su un qualunque argomento, il nostro indirizza i suggerimenti raccolti verso uno spazio fi sico ben preciso, lo sterrato di via Fara nel cuore del centro storico cagliaritano.
IL VUOTO URBANO Questo ampio vuoto urbano nel quartiere storico di Stampace è stato interessato nel 1994 da un brutale sventramento per motivi igienico sanitari e, per diversi anni, ha ospitato un campetto da calcio, che costituiva uno dei principali spazi di aggregazione per i ragazzi del quartiere, e uno spazio parcheggio libero. Oggi è, in gran parte, dato in gestione all’associazione dei balestrieri di Cagliari, e versa in uno stato di degrado e incuria, dovuto a un imbarazzante immobilismo dell’amministrazione a fronte degli interessi dei proprietari e dei vincoli presenti sull’area, nonostante venga defi nita come strategica in tanti documenti di pianifi cazione redatti negli ultimi decenni.
FIG.1 Lo sterrato di via Fara nel cuore del centro storico cagliaritano. LA SCATOLA DEI SUGGERIMENTI Durante il mese di Gennaio 2010, Sardarch ha organizzato alcune giornate di raccolta delle idee e delle proposte dei cittadini interessati a quest’area attraverso la “scatola dei suggerimenti”, una scatola di cartone con una piccola fenditura sulla parte superiore in cui le persone incontrate casualmente nelle vie di Stampace alto e invitate a partecipare tramite internet hanno potuto inserire l proprio suggerimento. Le idee raccolte appartengono a persone di tutte le età, residenti di Stampace e non: tutte le persone che passando di fronte alla nostra postazione in Via Azuni hanno dedicato tempo e immaginazione per dare un contributo alla reinterpretazione di questo vuoto urbano. Gli oltre 160 suggerimenti raccolti sono stati catalogati in alcuni gruppi principali (spazi verdi, attività sportive, parcheggi e contenitori di aggregazione), a cui ne abbiamo aggiunto
uno che comprende le proposte in cui si prevede un insieme di funzioni diverse (mixed use) e un altro che abbiamo preferito considerare senza categoria, che comprende idee e proposte molto diverse.
FIG.2 Giornata di raccolta suggerimenti IL MURO L’ultima fase del progetto è stata l’esposizione dei risultati della raccolta di suggerimenti, attraverso un’installazione temporanea che ha coinvolto una ventina di giovani cittadini. L’installazione è consistita in un muro di pannelli in cartone riciclato ricoperti da fogli A4 verdi (contenenti i suggerimenti dei cittadini) e bianchi (contenenti un paradossale regolamento sull’uso dello spazio pubblico). La composizione di fogli verdi e bianchi e’ stata concepita in modo da creare la scritta bianca “NON E’ UNA PIAZZA” su sfondo verde. Il muro successivamente è stato innalzato lungo il margine del vuoto che negli ultimi anni è stato precluso all’uso dei cittadini che hanno iniziato ad usarne i bordi in modo spontaneo (come supporto per stendere i panni, come seduta all’ombra, ecc).
FIG.3 Immagine della realizzazione dell’installazione
NON È UNA PIAZZA Il muro contiene una duplice provocazione-messaggio con la scritta “NON È UNA PIAZZA”, attraverso la reiterazione di un regolamento che vuol mettere in evidenza il fatto che le nostre attività sociali tendono sempre più a divincolarsi dallo spazio pubblico relazionandosi solo a spazi privati e del consumo.
FIG.4 Immagine della realizzazione dell’installazione NON È UNA PIAZZA rappresenta in primo luogo la riaffermazione del fatto che quello spazio ora non è una piazza, non è ciò che i cittadini in gran parte vorrebbero. Il testo del regolamento, invece, porta tutti a riflettere sul fatto che noi stessi, che a gran voce reclamiamo una piazza, forse non ne abbiamo davvero bisogno se non modifichiamo il nostro stile di vita che esclude lo spazio pubblico da gran parte delle attività che tradizionalmente lo caratterizzano. Di conseguenza un’esortazione: riappropriamoci dello spazio pubblico, viviamolo.
FIG.5 NON È UNA PIAZZA
SARDARCH ARCHITETTURA www.sardarch.it [email protected] Francesco Cocco, Nicolò Fenu, Matteo Lecis Cocco Ortu, Laura Maccioni
Bella Fuori 2008: “La piazza-parco del quartiere San Donato Bologna” Progetto di riqualificazione urbana partecipato ideato e finanziato dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna progetto: Fabrizio Toppetti, Filippo Egidi La piazza-parco di San Donato Vecchio a Bologna, è frutto del programma “Bella Fuori” della Fondazione del Monte portato avanti con l’Amministrazione Comunale. La finalità di “Bella Fuori”, consiste nel migliorare l’area periferica della città, attraverso progetti di riqualificazione dello spazio pubblico. La fase progettuale è accompagnata da un percorso di partecipazione al quale prendono parte gli abitanti, le associazioni, i referenti dell’Amministra-zione, i progettisti. Per la seconda edizione nel gennaio 2008, in seguito a una selezione in due fasi, viene individuato, quale progetto vincitore, quello del nostro studio. L’intervento si pone l’obiettivo di qualificare l’area compresa tra via Salvini, via Petrolini e via San Donato centralità del nuovo Piano Strutturale. La zona, pur non presentando evidenti segni di degrado manca di caratteristiche che conferiscano allo spazio collettivo un senso d’identità complessivo. L’aspetto più interessante che emerge dal processo partecipativo - oltre ai suggerimenti propositivi spesso scontati - è la mancanza di chiarezza con la quale viene percepita l’area nel suo insieme che è sistematicamente scomposta e raccontata per parti. Il progetto propone un nuovo spazio collettivo, a elevata identità urbana e relazionale, formato da una struttura portante di percorsi che organizza i diversi ambiti che le si attestano. Una “mano aperta” le cui dita individuano direttrici di collegamento ma anche spazi per la sosta e la socialità. La nuova piazza-parco del quartiere San Donato Vecchio a Bologna, è frutto di un progetto denominato “Bella Fuori” ideato e finanziato dalla Fondazione del Monte e portato avanti insieme all’Amministrazione Comunale. La finalità di “Bella Fuori”, consiste nel migliorare l’area periferica della città, attraverso un’azione profonda e condivisa di riqualificazione dello spazio pubblico, allo scopo di sviluppare le potenzialità di una zona selezionata in accordo con il Comune. La scelta di investire sulle periferie per ridurne il degrado, valorizzarne l’aspetto estetico e migliorarne la vivibilità, deriva dalla convinzione che la qualità e la bellezza non debbano essere una esclusiva dei centri storici ma possano diventare elemento di connotazione della città contemporanea in tutte le sue parti. Il progetto di architettura è lo strumento privilegiato attraverso il quale si attiva il processo di riqualificazione. La fase di elaborazione progettuale è preceduta e gestita da un
percorso di partecipazione che prevede iniziative di comunicazione e di confronto mediato (questionari, interviste, elaborazione di report) e diretto (Open Space Technology, simulazioni sul campo, progettazione interattiva), alla quale prendono parte gli abitanti, i rappresentanti delle associazioni, i referenti dell’Amministrazione, i progettisti coinvolti indirettamente nella fase concorsuale e direttamente nelle fasi successive. Per la seconda edizione di “Bella Fuori”, nel gennaio 2008, in seguito a una selezione in due fasi, viene individuato, quale progetto vincitore, quello del nostro studio. L’intervento si pone l’obiettivo di qualificare l’area compresa tra via Salvini, via Petrolini e via San Donato centralità del nuovo Piano Strutturale. La zona, pur non presentando evidenti segni di degrado, manca di caratteristiche che conferiscano allo spazio collettivo un senso di identità complessivo. L’area non ha una configurazione unitaria, la presenza di via Garavaglia che la attraversa è un forte elemento di frattura, gli ambiti che la compongono sono di specie differenti. L’aspetto più interessante che emerge dal processo partecipativo - oltre ai suggerimenti propositivi spesso scontati - è la mancanza di chiarezza con la quale viene percepita l’area nel suo insieme che è sistematicamente scomposta e raccontata per parti. Questa condizione si traduce in un disagio latente che è il maggiore impedimento al compimento del processo di identificazione dei cittadini con questo luogo, importante per il miglioramento della loro qualità di vita. Pur essendo presenti attrezzature, aree verdi e spazi per la sosta il sistema discreto degli elementi, non forma un insieme unitario agli occhi di chi lo abita e nel paesaggio della città. La prima azione, necessaria ma non sufficiente, è l’eliminazione - discussa e condivisa nelle fasi iniziali - della strada di attraversamento. Tuttavia non è automatico che la contiguità fisica si traduca in una continuità concreta, anche nel sentire delle persone che
questi spazi frequentano. E’ il progetto che con la proposta di un nuovo assetto morfologico e funzionale deve farsi carico di trasformare una potenziale zona di frattura in una nuova centralità creando i presupposti per il successo sociale di questo luogo. Questo significa aprire un dialogo con la dimensione della città, attivare nuovi legami di solidarietà tra le parti urbane, lavorare sulla specificità del luogo. Significa condensare in questo nuovo spazio pubblico di Bologna - che sulla base delle giuste osservazioni dei cittadini si vorrebbe più come una piazza verde che come un parco - una carica semantica tale da incoraggiare e mettere a sistema molteplici modi di fruizione, esplicitando una vocazione alla vitalità e alla ricchezza. Uno spazio in cui stanzialità e attraversamento possano convivere in modo non conflittuale trovando luoghi definiti ma interrelati, a partire dall’obiettivo minimo di un corretto funzionamento delle cose. Il progetto fa leva proprio sulla costituzione di un nuovo spazio collettivo, a elevata identità urbana e relazionale, formato da una struttura portante di percorsi che organizza i diversi ambiti che le si attestano. Una “mano aperta” le cui dita individuano direttrici di collegamento ma anche spazi per la sosta e la socialità. Il percorso che indicano suggerisce un rallentamento, l’indugiare per un momento, attratti dagli odori, dai colori, dalla vita del parco, anche da parte di chi si muove in una propria traiettoria quotidiana. L’area ha un margine continuo e permeabile a nord-ovest lungo via Salvini mentre, a sud sud-est, gli ambiti sono interclusi a eccezione del tratto su via San Donato.
L’intervento si configura come un sistema pedonale aperto e continuo lungo l’asse nord-ovest con penetrazioni cuneiformi, alcune delle quali connesse al fronte urbano opposto. Sulla struttura principale si innestano gli episodi qualificanti lo spazio collettivo tutti caratterizzate da elevata flessibilità. Le attività esistenti vengono mantenute e valorizzate. L’area a sud, caratterizzata da una vocazione meditativa, è pensata anche per ospitare sculture e istallazioni; nella zona di via della Villa è previsto lo spazio per lo sport e il tempo libero; la fascia compresa tra il retro del Centro Civico e l’asilo è caratterizzata da giardini tematici, a ridosso dell’edificio della associazione Fotoviva è predisposto uno spazio per eventi e manifestazioni, definito sul fronte di via San Donato da una pensilina e all’interno da una fontana lineare. Ne risulta un intervento dall’impianto chiaro, articolato in due parti distinte che si intrecciano come positivi-negativi. Uno spazio “artificiale” (con superfici continue planari a trattamento minerale) a vocazione relazionale che si protende verso le aree centrali e uno spazio “naturale” (prevalentemente verde) che prende forma dallo spazio al quale si oppone. La mano è una superficie monomaterica pigmentata con tonalità giallo ocra. Il parcheggio è passante, ha accesso da via san Donato e da via Petrolini e è integrato con la presenza del grande albero esistente. Si tratta di un intervento che scommette sulla qualità e articolazione dello spazio, utilizzando soluzioni semplici, e materiali di uso corrente, evitando una eccessiva ricercatezza e una accumulazione semantica nel dettaglio.
Il disegno della “mano” viene definito durante il concorso. Essa costituisce l’ossatura portante e nella fase di comunicazione dei progetti è percepita come un elemento identitario capace di conferire alle aree quell’unità altrimenti marcata solo dal perimetro del bando. Nelle fasi successive di elaborazione del progetto è stata ridefinita e adattata allo stato di fatto al fine di ottenere un migliore rapporto tra superfici permeabili e impermeabili, mantenendone inalterato lo spirito originario. Il dialogo e l’interazione con gli abitanti hanno permesso di precisare la tematizzazione e gli elementi di connotazione morfologica e funzionale degli ambiti specifici. Tra le proposte intervenute successivamente alla progettazione preliminare tutte importanti e tutte relative agli aspetti sopra descritti si segnala l’iniziativa di Alcide Fontanesi (artista fortemente radicato nel quartiere) di donare un gruppo scultoreo da collocare all’interno dell’area. La proposta si è concretizzata nella integrazione all’interno del progetto di tre pezzi unici in corten dal titolo “Abitare lo spazio”. Per tutta la durata del percorso è stata svolta attività continua di comunicazione. Alle iniziative dei cittadini singoli o organizzati in gruppi e comitati, è stato dato spazio e visibilità e sono state fornite risposte circa le scelte intraprese. Oltre agli aspetti qualitativi del progetto ampiamente sviscerati negli incontri, la questione che è stata maggiormente dibattuta e da parte di alcuni ostacolata in maniera energica è stata la proposta di pedonalizzare il tratto di via Garavaglia compreso all’interno del perimetro di progetto. Tale scelta ampiamente motivata dalla necessità di conferire
unità morfologica e funzionale all’ambito individuato come centralità urbana è stata studiata insieme a tutti i settori dell’Amministrazione coinvolti. Essa è il frutto di un programma che prevede la realizzazione di una “zona 30” all’interno del quartiere e una conseguente ridefinizione generale del sistema della mobilità e è stata ritenuta precondizione indispensabile alla creazione di una piazza-parco con caratteristiche di elevata relazionalità alla scala urbana dalla grande maggioranza degli attori coinvolti, ne è testimone il fatto che tutti i progetti (non solo quello vincitore) hanno lavorato in questa direzione. Particolare attenzione da parte della Fondazione e del Quartiere è stata posta all’evento dell’inaugurazione in quanto momento centrale della appropriazione da parte dei cittadini di uno spazio che nella situazione precedente al progetto, non esisteva nella sua configurazione unitaria. Si è trattato di una “festa di piazza” in piena regola con discorsi, tricolore, banda, stand gastronomici, animazione, premi, mostre, spettacoli fino a notte inoltrata. Tra le iniziative di maggiore rilevanza la mostra fotografica en plein air pensata in stretta relazione con il nuovo assetto della piazza. Un lavoro realizzato da Gianni Berengo Gardin con 20 famiglie del quartiere San Donato, ritratte all’interno della loro abitazione e “portate in piazza”, che rappresenta simbolicamente la presa in consegna del nuovo spazio urbano. L’allestimento temporaneo della mostra è stato disegnato in stretta correlazione con l’impianto del progetto. Da segnalare ancora la realizzazione di iniziative volte a incoraggiare lo start-up a partire dalla stagione estiva delle manifestazioni
serali, al mercatino di natale, agli incontri di follow-up durante i quali progettisti e committenza si sono resi disponibili alla realizzazione delle migliorie suggerite, fino all’iniziativa “prendiamocene cura” volta alla
predisposizione di un programma di manutenzione e gestione.
APPUNTI E RIFLESSIONI SUL “PARTECIPAZIONE E PAESAGGIO DELLO SPAZIO PUBBLICO” Maria Cristina tullio Presidente Sezione Lazio AIAPP (Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio) “Sono felice di vivere in una città visionaria, che osa! E griderò forte, se le cose vanno in una direzione che non mi sembra all'altezza delle promesse.” (Commento di un ragazzo ad uno dei periodici incontri pateciptivi sul Musicon - Comune di Roskilde - DK) “Abitualmente l’analisi del paesaggio viene svolta da specialisti di varie discipline”, ma la Convenzione Europea del Paesaggio insiste sull’importanza della partecipazione dei cittadini e degli attori economici nella pianificazione del paesaggio, iniziando dalla sua caratterizzazione”. Di fatto, la Convenzione Europea del Paesaggio afferma che “il paesaggio è un elemento importante per la qualità della vita delle popolazioni negli ambienti urbani e rurali, nelle zone degradate e di grande qualità, negli spazi di riconosciuta bellezza eccezionale e in quelli più quotidiani”. Per questa ragione è necessario “stabilire procedimenti per la partecipazione del pubblico, delle autorità locali e regionali e delle altre parti interessate nella formulazione e applicazione delle politiche in materia di paesaggio”. La convenzione, inoltre, stabilisce che gli obiettivi di qualità paesaggistica sono “la formulazione, da parte delle autorità pubbliche competenti, delle aspirazioni delle popolazioni riguardo le caratteristiche paesaggistiche dell’ambiente circostante”1. In molti paesi europei e americani si assiste da anni ad un consolidarsi delle attività partecipative nella scelta delle principali opere pubbliche da realizzarsi. Così, nel quinquennio passato, anche la Regione Lazio ha avviato diversi programmi di coinvolgimento dei cittadini (Bilancio partecipato, Opere pubbliche che nascono da processi di partecipazione, Azioni per lo sviluppo socio-economico degli enti locali derivate da processi partecipazione, ecc.), con grande soddisfazione e interesse da parte dei partecipanti. Secondo J. Noguel, “I recenti e bruschi cambiamenti prodottisi nella società, insieme alla crisi generale nella fiducia verso l’Amministrazione da parte della cittadinanza, stanno convincendo l’Amministrazione della necessità di coinvolgere la popolazione nella presa di decisioni e di non limitarsi unicamente all’opinione esposta dagli “esperti” sulle diverse tematiche. In questo senso, sono nate unità amministrative dedicate a promuovere la partecipazione cittadina in diversi settori e si può notare l’aumento di risorse tecniche e umane dedicate ai processi partecipativi.”2
1Convenzione Europea del Paesaggio, Firenze 2000 2 Joan Nogué, L’Osservatorio del Paesaggio della Catalogna ed i Cataloghi del paesaggio: la partecipazione della cittadinanza nella pianificazione del paesaggio , Docente di Geografia Umana,
Anche in Italia, e nel Lazio in particolare, le iniziative partecipative hanno contribuito a formare, cittadini, amministratori e tecnici sempre più sensibili e competenti ma, soprattutto, hanno permesso di consolidare e ufficializzare un’attività di controllo ed esame delle esigenze del territorio che già facevano spontaneamente molte associazioni e comitati di quartiere. Merito di queste iniziative, dunque, è stato quello di ufficializzare e standardizzare il rapporto con le richieste dei cittadini e dei comitati di wusrtiere. Ma non solo. In molti di questi interventi, forse a causa del limitato budget a disposizione, molte scelte operate dai cittadini hanno riguardato la realizzazione/sistemazione di spazi pubblici: piste ciclabili, piazze-giardino, sistemazioni di aree parco, intese come aree gioco o luoghi d’incontro per i ragazzi. Tali esperienze progettuali partecipative si sono sicuramente innestate in realtà già sensibili e “predisposte” ma, comunque, in generale, hanno contribuito ad una accrescere la sensibilizzazione ambientale e “paesaggistica” (ai sensi della Convenzione Europea) di quanti hanno partecipato alle attività nei territori, promuovendo/accrescendo l’attenzione e progettualità collettiva e, soprattutto, creando nuove occasioni di aggregazione sociale e di radicamento con i propri quartieri e con le proprie autorità amministrative, contribuendo alla “sensibilizzazione della società civile, delle organizzazioni private e delle autorità pubbliche al valore dei paesaggi, al loro ruolo e alla loro trasformazione”3. Traformazione …. il paesaggio è in continua trasformazione e, se si parla di paesaggio urbano sia che si tratti di piazze o strade o di parchi, il tema della loro manutenzione e gestione sono fondamentali. Anche in tal senso i processi partecipati avviati nella fase progettuale degli spazi pubblici sono importantissimi per creare, da un lato, un coinvolgimento emotivo/affettivo “appropriativo” dei fruitori verso i luoghi che “abitano” e, dall’altro, per coinvolgerli direttamente nella gestione degli stessi. Questo è il caso di diversi interventi realizzati nel Lazio e in alcuni Municipi di Roma, in particolare in due municipi che si sono particolarmente distinti nella gestione di processi partecipati: il municipio VII e il municipio XV. Nel primo caso, oltre ad aver deliberato l’intenzione di sviluppare tutte le progettazioni di opere pubbliche attraverso processi partecipativi e ad aver discusso il proprio bilancio, sempre con i cittadini, sono diversi i progetti avviati con tali procedure di coinvolgimento collettivo. Questo è il caso dei diversi progetti interconnessi che sono stati sviluppati negli anni nel quartiere Alessandrino dove esiste un’associazione molto attiva, ma è anche il caso del parco delle Palme e del Parco di Tor Sapienza, dove sono nti appositamente
Dipartimento di Geografia, Storia e Arti, Università di Girona. Direttore dell’osservatorio del paesaggio della Catalogna, Spagna 3 Convenzione Europea del Paesaggio, Firenze 2000
nuovi comitati, coinvolgendo anche le scuole, gli anziani e le famiglie e dove la votazione dei cittadini ha chiesto di creare una “rete di parchi” come principale sistema connettivo alternativo fra i quartieri. Nel municipio XV, invece, ad un processo di progettazione partecipata molto attento condotto per il Parco della Contea, in cui anche le scelte economiche e dei materiali è stata condivisa con i futuri fruitori è seguita la scelta di un’opera partecipata nel quartiere di Muratela con la conseguente e analoga attenta attività di progettazione partecipata e lo sviluppo di un importante parco sull’ansa del Tevere a Magliana, voluto dai cittadini e dal comitato di quartiere del luogo. Tutti gli interventi citati sono o realizzati o in fase di realizzazione. Importante, infine, è il ruolo che possono svolgere le associazioni, soprattutto se si raggruppano per sviluppare progetti di interesse collettivo come è stato nel caso dei progetti di Forestazione Urbana nel Parco delle Valli e nel caso del Parco Tiburtino sviluppati da AIAPP (Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio) Sezione Lazio con Legmanbiente Lazio e il suo Circolo Aniene.
Esperienze di partecipazione: dal quartiere alle città balcaniche.
Kallipolis è un’associazione senza fini di lucro, che riunisce persone con diversi percorsi formativi e professionali, dai profili tecnici a quelli socio-economici con un obiettivo comune: il miglioramento della vivibilità nei contesti urbani utilizzando gli strumenti della pianificazione territoriale. Realizza infatti progetti in Italia e nei paesi in via di sviluppo volti a promuovere la diffusione dei principi dello sviluppo sostenibile, l’integrazione sociale e la qualità e sicurezza urbana avvalendosi degli strumenti della progettazione partecipata e delle metodologie di Agenda 21.Si occupa anche delle tematiche riguardanti la qualità urbana e la percezione della sicurezza nei processi di trasformazione del tessuto urbano. In questo ambito ha elaborato un approccio che punta ad individuare le informazioni rilevanti e a sistematizzarle, da una parte raccogliendo dati già disponibili, dall'altra elaborandone di nuovi a partire dall'analisi quali-quantitativa dei fenomeni urbani. Questo approccio si avvale del contributo dei cittadini e di tutti gli attori rilevanti come presupposto per interventi condivisi di sviluppo del territorio.Il prodotto di questo processo conoscitivo fornisce a decisori pubblici e pianificatori linee guida per disegnare politiche della qualità e della sicurezza urbana in cui i cittadini siano un elemento fondamentale per il recupero della vivibilità e della socialità negli spazi pubblici, affinché la sostenibilità sociale ed economica degli interventi siano garantite sul medio-lungo periodo.
Nella sessione tematica “Rigenerazione urbana, spazio pubblico e partecipazione” della prima Biennale dello Spazio Pubblico, Kallipolis ha presentato due progetti che sono geograficamente molto distanti ma che sono accomunati dall'approccio metodologico utilizzato.Il filo conduttore che lega queste due esperienze porta ad una considerazione forse banale ma non scontata: il fattore determinante per la riuscita di questi processi è la rete di relazioni e la fiducia che si instaurano tra tutti gli attori che vi partecipano.Sia in contesti difficili come quello post bellico di Mostar, che in un quartiere di una tranquilla città italiana, seppure caratterizzato da un disagio sociale, sono le relazioni tra le persone e le sinergie tra gli enti e la società civile che determinano la riuscita o meno del progetto.Ragionare sul tema dello spazio pubblico come luogo di incontro e di relazioni e non solo di transito, insieme alla promozione di una cittadinanza attiva e partecipe alle scelte di trasformazione della città potranno farci vivere nella città che vogliamo e non nella città che avremmo voluto abitare.
Kallipolis – Associazione non profit di sviluppo urbano [email protected]
SPAZIO GRETTA. Laboratorio collettivo per ridisegnare e costruire assieme gli spazi aperti di Gretta.Complesso ATER del rione di Gretta, Trieste, 2010arch. Michela Crevatin, arch. Ileana Toscano, ing. Nadia Vedova con arch. Marco Svara
Il progetto Spazio Gretta è l’esempio di come esista realmente la possibilità di creare interazioni tra pubblico e privato per la riqualificazione degli spazi pubblici di quartiere.Il progetto ha trattato le tematiche della responsabilità sociale e ambientale in contesto urbano e ha favorito la costituzione di comunità locali più coese e attive nella gestione e salvaguardia dell’area in cui vivono mediante la riqualificazione fisica degli spazi pubblici di quartiere.È stato un percorso di progettazione partecipata strutturato attraverso un laboratorio di inclusione sociale nel quale, in una serie di incontri pubblici, i cittadini dell’area e gli altri soggetti coinvolti nelle dinamiche di quartiere (tra gli altri il Comune, l'Azienda Sanitaria e l'Agenzia Territoriale per l'Edilizia Residenziale della Provincia di Trieste) hanno potuto confrontarsi e mettere in luce le criticità del territorio e successivamente elaborare un progetto di intervento sull’area per migliorare la fruibilità degli spazi pubblici. Con la partecipazione dei cittadini sono stati progettati tre elementi di arredo urbano che sono diventati le nuove centralità di quartiere. Il percorso realizzato attraverso Spazio Gretta vuole essere il punto di partenza per la rinascita di un senso di collettività che nel quartiere di Gretta, come nella maggior parte dei quartieri delle nostre città, manca da molto tempo.
Mo.START-V. Mostar: STrategie e Attività per la Realizzazione di Training in VideogiornalismoMostar, Bosnia Erzegovina, 2010arch. Gabriella Robba, arch. Ileana Toscano, ing. Nadia Vedova
Il tema d’indagine sul quale sono stati impegnati i giovani selezionati a far parte del percorso formativo in videogiornalismo indipendente, progetto di cooperazione internazionale finanziato dalla legge regionale n. 19/2000 del Friuli Venezia Giulia, sono stati gli spazi pubblici della città di Mostar: la loro città vista attraverso i loro occhi. Mediante l’analisi degli spazi pubblici urbani, degli elementi che li compongono e delle relazioni che sottendono si è voluto che i partecipanti narrassero l’identità e l’appartenenza alla propria città. Osservando e raccontando con la telecamera gli spazi collettivi nel loro vivere quotidiano, i corsisti hanno avuto la possibilità di riappropriarsi degli stessi rielaborando ciò che hanno vissuto e provato rispetto ai molti confini mentali che tuttora esistono a Mostar e promuovendo un nuovo modo di abitare gli spazi della città contemporanea.La comunicazione fatta attraverso il video documentario è diventata lo strumento per raccontare in modo attivo quello che si vede e per interpretare i fenomeni che accadono negli spazi in cui viviamo e ci muoviamo ed è stato il punto di partenza per il workshop di progettazione partecipata “Come vorresti gli spazi pubblici della tua città?”, nel quale si è voluto coinvolgere la collettività sulle tematiche riguardanti gli spazi che quotidianamente percorrono e utilizzano. Attraverso questa attività si è voluto stimolare i cittadini a partecipare alla vita pubblica della città in cui vivono, promuovere il dialogo tra le diverse culture e la condivisione di diversi punti di vista in relazione alle possibili visioni strategiche sullo sviluppo futuro dello spazio urbano. I partecipanti hanno potuto così comprendere, nella propria dimensione quotidiana, il ruolo che una cittadinanza attiva può svolgere nel favorire il cambiamento attraverso la partecipazione a processi decisionali inclusivi e di consapevolezza della funzione che possono esercitare all’interno della società civile.
Top Related