REPUBBLICA ITALIANA 581/2009 A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Prima Giurisdizionale Centrale - composta dai Magistrati:
Dott. GIUSEPPE DAVID PRESIDENTE
Dott. DAVIDE MORGANTE CONSIGLIERE REL
Dott. CRISTINA ZUCCHERETTI CONSIGLIERE
Dott. MARIA FRATOCCHI CONSIGLIERE
Dott. PIERGIORGIO DELLA VENTURA CONSIGLIERE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio d’appello in materia di responsabilità, iscritto al n. 26172 del Registro di
Segreteria, proposto da Gianni Magnan avverso la sentenza n. 67/06 in data 21
settembre 2005 – 9 febbraio 2006 della Sezione Giurisdizionale Regionale per il
Veneto e nei confronti dei Procuratori Regionale.
Visti l’atto d’appello, le conclusioni del Procuratore Generale, nonché gli altri
atti e documenti della causa;
Uditi, alla pubblica udienza del 10 febbraio 2009, il Consigliere relatore Dott.
Davide Morgante, l'Avv. Angelo Rao per la parte appellante, nonché il Pubblico
Ministero nella persona del Vice Procuratore Generale Dott. Antonio Ciaramella;
Ritenuto in
FATTO
Con sentenza n. 67/2006 la Sezione Giurisdizionale Regionale della Corte dei
conti per il Veneto ha disposto la condanna del Dott. Gianni Magnan, Presidente nel
periodo dall'11 novembre 1998 al 23 luglio 2001 della Società Consortile Eurobic
Adige Po (S.r.l.), destinataria di fondi comunitari, al pagamento dell'importo di
Euro 1.100.000/00 quale danno erariale causato dall'avvenuta appropriazione da parte
del Magnan di parte dei fondi medesimi, nonché per la mala gestio dei finanziamenti
regionali, attuati con gli indicati fondi, senza svolgere l'attività dovuta.
Con la medesima sentenza il convenuto è stato, altresì, condannato al
pagamento dell'importo di Euro 50.000/00 per il grave discredito arrecato
all'immagine della Regione Veneto in ragione delle indicate appropriazioni e
dell'illecita gestione di risorse pubbliche, determinato, in via equitativa, ex art. 1226
cod. civ.
In particolare, le imputazioni lesive contestate dal Requirente Contabile e
riconosciute fondate dalla Corte Territoriale attengono all'appropriazione e
distrazione, da parte del Magnan, quale presidente di Eurobic S.r.l., di somme
apparentemente destinate a consulenze nell'ambito di progetti finanziati con fondi
comunitari (contratti: Precisvalle, Conser, Project scard, Turcato, Faccioli, Bertoli, De
Stefani, Ideal Look), nonché all'improduttività, in ragione della descritta mala gestio
dell'attività finanziata dalla Regione, con conseguente discredito della sua immagine.
Emerge dagli atti di causa che la Eurobic con puntuali delibere regionali era
stata designata quale soggetto attuatore degli interventi comunitari e che, in forza della
Convenzione sottoscritta con la Regione in data 24.6.1999, aveva il compito di
realizzare alcuni interventi strutturali comunitari nella Regione Veneto, nell'ambito
dell'obiettivo 2-1997/1999-Asse 5 Polesine, tramite la misura 5.3 (volta a promuovere
lo sviluppo dell'imprenditorialità nell'area meridionale del Veneto) e la misura 5.4,
complementare alla 5.3 (destinata a svolgere azioni di formazione professionale
integrata aula-stage).
Tra il novembre 1999 e l'aprile 2000 in Eurobic erano entrati a far parte nuovi
soci, alcuni costituenti società a prevalente partecipazione pubblica, altri
costituenti società private, di cui alcune collegate con il convenuto.
La società Eurobic veniva, poi, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di
Rovigo del 17 dicembre 2003.
In relazione alle menzionate consulenze ed alle somme erogate, al riguardo,
dalla Regione Veneto il Magnan è stato rinviato a giudizio in sede penale, anche in
concorso con altri soggetti, per vari reati, nonché per associazione a delinquere allo
scopo di commettere più delitti di truffa aggravata e continuata per il conseguimento
di erogazioni pubbliche, malversazioni a danno dello Stato, frodi fiscali attraverso
l’emissione di fatture per operazioni inesistenti e l’ utilizzo delle stesse nelle
dichiarazioni dei redditi, falsi in bilancio, mendacio e falso interno bancario, false
comunicazioni agli organi di vigilanza bancaria, appropriazioni indebite, falsi in
scrittura privata, riciclaggio di denaro, usura, concussione, nonché bancarotte
fraudolente relative alla Società Marlow S.p.a. e Invenitalia S.r.l. (società poi fallite).
I procedimenti penali sono tuttora pendenti.
In ragione del descritto evolversi della vicenda lesiva è intervenuta la revoca del
contributo da parte della Regione Veneto, l’intervento della stessa nel fallimento di
Eurobic e la sua costituzione in giudizio del processo penale azionato nei confronti del
Magnan.
Avverso la sentenza della Corte Veneta ha interposto appello il Magnan,
rappresentato e difeso dagli Avvocati Beatrice Aureli ed Angelo Rao i quali ne hanno
dedotto l'illegittimità ed erroneità, formulando le seguenti doglianze:
- difetto di giurisdizione per essere stato il proprio assistito amministratore di
una società avente natura privata ed in quanto tale assoggettata a procedura
fallimentare. La giurisdizione sarebbe carente, anche ove si ritenesse la natura
pubblica della società, in ragione dell'attività imprenditoriale dalla stessa svolta,
alla stregua degli orientamenti in tal senso espressi dalla Cassazione in tema di
aziende municipalizzate.
Inoltre, l'impugnata sentenza non avrebbe tenuto conto della distinzione fra
attività di indirizzo (spettante agli organi di vertice politico-amministrativo) ed attività
dirigenziale, nel caso di pertinenza del Magnan al quale potrebbe essere imputata la
sola responsabilità dirigenziale, ma non una responsabilità amministrativo-contabile,
né la qualifica di agente contabile di fatto, in quanto il medesimo non era legato da
rapporto di impiego con la Pubblica Amministrazione;
- inammissibilità dell'azione contabile, per pendenza di un giudizio penale sui
medesimi fatti, con intervenuta costituzione nello stesso della Regione Veneto quale
parte civile; donde, secondo la giurisprudenza cassatoria risulterebbe prevalente la
giurisdizione ordinaria (cfr. Cassaz. Sez. unite civili: sent. n 22277, del 26 nov. 2004),
con, altrimenti, violazione dei principi del giusto processo ex art. 111 Cost.;
- erroneità della non riconosciuta esigenza di sospensione ex art. 3 cod. proc.
civ. del giudizio d'appello in attesa della conclusione dei processi penali instaurati a
carico del Magnan per gli stessi fatti, sia per accertare l'esistenza di altri soggetti
responsabili, anche essi imputati del processo penale, sia per vagliare la legittimità
delle prove poste a base della condanna contabile;
- omessa acquisizione, da parte del Primo Giudice, dell'integrale
documentazioni in originale, derivante dalle vicende penali in cui è rimasto coinvolto
il Magnan e, più genericamente, degli atti della Guardia di Finanza, ai fini di una
compiuta istruttoria;
- insussistenza nel merito della responsabilità, poiché nessuna delle motivazioni
della sentenza impugnata troverebbe riscontro nelle carte processuali, con riferimento
ai poteri straordinari detenuti dal proprio assistito in seno al Consiglio di
Amministrazione, all’asserita distrazione di fondi comunitari regolarmente
rendicontati ed approvati dalla Regione Veneto, al coinvolgimento nel reato di
bancarotta (essendo stato annullato il capo d'imputazione) e non essendo addebitabile
al Magnan la revoca del contributo in ragione del suo comportamento e risultando i
conferimenti di incarichi ai consulenti, nonché i pagamenti, approvati e seguiti con ed
a regolari delibere del Consiglio di amministrazione.
Inoltre, la società Eurobic non era soggetto attuatore del programma
comunitario, ma mero soggetto di animazione economica in relazione al quale
l’ elevato numero di consulenze conferite non costituivano uno strumento, ma lo
svolgimento stesso della missione affidata;
- illogicità della sentenza impugnata, poiché le contestazioni della Regione
Veneto vennero formulate in epoca (2002) successiva alla cessazione dalla carica del
Magnan e lo stesso fallimento di Eurobic avvenne nel 2003, mentre le perdite anteriori
erano state ripianate già nel 2001.
Quanto alle specifiche vicende contestate, oppone la difesa, che le stesse si
riferiscono solo ad otto contratti su quarantotto e la somma relativa ammonta ad Euro
365.945/865 e non all’importo richiesto in citazione, non potendo le considerazioni
relative alle singole vicende estendersi all'intero finanziamento e non essendo emersa
alcuna mala gestio al riguardo;
- insussistenza di responsabilità e mancanza di prova con riguardo ai singoli
contratti contestati;
- insussistenza del danno all'immagine, in quanto la produzione degli articoli di
stampa non proverebbe il danno patrimoniale conseguente e la Parte Pubblica, avrebbe
dovuto accertare in concreto, al pari del Giudice, che il costo delle operazioni illecite
sia ricaduto sull’Ente pubblico e che la lesione d’immagine abbia comportato
maggiori oneri economici per la Regione Veneto.
Conclude, pertanto, la difesa per l’accoglimento delle eccezioni preliminari di
rito e nel merito per la riforma della sentenza impugnata con assoluzione del proprio
assistito ed, in subordine, con la riduzione della pretesa attorea a solo otto e non
quarantotto contratti con condanna del medesimo al pagamento di soli Euro
365.945/865 e disattendendo la richiesta risarcitoria del danno all'immagine.
Nelle proprie conclusioni, depositate in data 10 ottobre 2006, il Procuratore
Generale ha come appresso dedotto in ordine alle doglianze della parte appellante:
- sussistenza della giurisdizione contabile, dappoichè, alla stregua della più
recente giurisprudenza cassatoria il discrimen jurisdictionis si fonda sull'esistenza di
un danno a risorse finanziarie pubbliche, a prescindere dall'utilizzazione di tali risorse
con strumenti del diritto pubblico (jure autoritatis) o del diritto privato (jure
privatorum) (cfr, Cass.SS.UU. ord. n. 19667 del 22.12.2003; n. 335/2004; n.
3899/2004).
Peraltro, nella specie la Società consortile presieduta dal Magnan, pure
rientrando formalmente nell'ambito dello schema societario privatistico, aveva una
natura sostanzialmente pubblica per essere prevalentemente pubblico il capitale
sociale, come, peraltro, ammesso dallo stesso appellante che richiama, a propria
difesa, il regime delle imprese municipalizzate (ed, in proposito andrebbe, in modo
pertinente, citata Cass. SS.UU. civili n. 3351 del 19 febbraio 2004 relativamente ai
componenti la commissione amministratrice dell'Azienda municipalizzata pubblici
servizi di Parma).
Inoltre, nella specie si discute del non corretto utilizzo di risorse interamente
pubbliche, di origine comunitaria, in ordine alle quali è stata più volte affermata la
giurisdizione contabile (Cass. SS.UU. civili, sent. n. 8143/2002 del 12 ottobre
2001).
Va, altresì, dichiarata in capo al Magnan la qualificazione di agente contabile di
fatto, assunta in ragione della materiale apprensione, al di fuori di legittime procedure
contabili, delle risorse pubbliche contestate, nonché del maneggio, in via di fatto, del
denaro pubblico che prescinde da qualsiasi rapporto di impiego con l’ente pubblico,
come riconosciuto dalla Cassazione in vicende relative proprio all'utilizzo di fondi
comunitari (Cass., SS.UU. civ. sent. n. 14473 del 10 ottobre 2002);
- infondatezza dell'eccezione di inammissibilità dell'azione contabile per
pendenza del giudizio penale sui medesimi fatti e della relativa istanza di sospensione
del giudizio contabile, in ragione della diversità delle situazioni soggettive che, al
riguardo, fanno capo all'Ente danneggiato ed al Pubblico Ministero Contabile, anche
quando in sede penale vi sia costituzione di parte civile dell’Amministrazione.
Ciò, in ragione della complementarità e non alternatività delle due azioni,
nonché dell'obbligo informativo del P.M. penale nei confronti di quello contabile
previsto dall'art. 129 disp. att. cod. proc. pen. e ribadito dall’art. 7 della più recente L.
n. 97/2001; di modo che la coesistenza dei due giudizi pone eventualmente un
problema di promovibilità dell'azione contabile, ma non di giurisdizione.
Tale costrutto è in linea con il principio di autonomia e di separatezza dei due
giudizi affermato dalla Corte di Cassazione inequivocamente (cfr., in termini, Cass.: 3
febbr. 1989, n. 664; ord. 21 magg. 1991, n. 369; ord. 23 nov. 1999, n.822 S.U.); donde
non appare sostenibile la lamentata lesione dei principi costituzionali in tema di giusto
processo ex art. 111 Cost., nonché la rappresentata esigenza sospensiva del giudizio
contabile.
Nel caso di specie, poi, ad avviso del Procuratore Generale, non si
ravviserebbero ragioni di sospensione neppure facoltativa, risultando le
acquisizioni probatorie raggiunte nelle indagini penali e quelle della polizia
giudiziaria, sufficienti onde pervenire al convincimento del Giudice Contabile;
- conseguenziale non condivisibilità dell'istanza della difesa volta
all'acquisizione di tutti i documenti del processo penale, anche in originale;
- quanto al merito della responsabilità la Parte Pubblica contrasta le doglianze
della difesa sia in ordine ai singoli episodi di appropriazione per cui è stata condanna,
sia in ordine all'addebito relativo alla complessiva scorretta gestione del finanziamento
comunitario da cui è, poi, scaturita la revoca del contributo comunitario.
In ordine ai singoli fatti appropriativi, evidenzia il Procuratore Generale
l’ indicazione, da parte del Primo Giudice, di plurimi elementi di riscontro dei fatti
medesimi, consistenti in primo luogo nelle dichiarazioni rese dagli stessi soggetti
interessati ed a vario titolo imputati in sede penale, compreso lo stesso Magnan, per le
quali le ritrattazioni avvenute successivamente non possono elidere la loro incidenza
probatoria in quanto esplicative di un sistema ripetuto di comportamenti illeciti che
faceva perno proprio sul Magnan.
Tali condotte risulterebbero, inoltre, confermate dagli accertamenti sui titoli di
pagamento che fornirebbero un quadro convincente delle modalità di gestione posta in
essere dal Magnan, risultando, peraltro, ininfluenti i richiami a pretese inesattezze
della sentenza (i due contratti alla Bertoli, la non formulazione dell'imputazione di
bancarotta al Magnan).
Per quanto riguarda l’addebito relativo alla complessiva scorretta gestione,
l'Organo Requirente ne conferma la validità, risultando la stessa posta in essere con
inosservanza della convenzione, da cui è conseguita la revoca del contributo
comunitario alla Società Eurobic.
Tale revoca si è tradotta in un danno diretto per i soggetti componenti la
comunità destinataria dei finanziamenti e non potrebbe negarsi che sia stata la
conseguenza dei fatti posti in essere dal Magnan.
Al riguardo, il Procuratore Generale pone l'accento sui seguenti fatti:
- nel decreto che dispone il rinvio a giudizio avanti al Tribunale di Rovigo al
Magnan è stato contestato il reato di associazione a delinquere (ex art. 416 cod. pen.)
con altri concorrenti e Renato Maghini per essersi associati fra loro e con persone non
identificate allo scopo di commettere più delitti di truffa aggravata e continuata per il
conseguimento di erogazioni pubbliche, malversazioni ai danni dello Stato, frodi
fiscali, falsi in bilancio, mendacio, falso interno bancario, false comunicazioni agli
organi di vigilanza bancaria, appropriazioni indebite, falsi in scrittura privata,
riciclaggio di denaro, usura, concussione, nonché bancarotte fraudolente;
- il ruolo del Magnan all'interno di organismi chiave nella realtà economica e
politica della Regione Veneto e della Provincia di Rovigo, nonché agganci a livello
politico ed economico centrale;
- la congruità della quantificazione del danno operata dalla Procura Regionale,
pari ad Euro 1.392.474/8, corrispondente ai contributi erogati dalla Regione
(maggiorati di interessi);
- l'attribuzione, da parte della Comunità Europea, di fondi comunitari alla
Regione Veneto, funzionale alla realizzazione di una finalità pubblica (sviluppo di
un'area meno sviluppata del Veneto: il Polesine);
- la mancata realizzazione di alcuno degli obiettivi pubblici; di tal che dalle
evidenze penali emergerebbe che tutta l'attività di Eurobic potrebbe essere definita una
grande impostura.
Infatti, dall'istruttoria della Procura Regionale emergerebbe che la scelta dei
consulenti da parte del Magnan, sia avvenuta non in base alla loro competenza
professionale ma in forza della colleganza politica con il Magnan od all’enturage dello
stesso;
- molte delle somme (Euro 365.945/865) che avrebbero dovuto essere versate ai
consulenti per le pretese prestazioni, risultano per dichiarazioni dello stesso
convenuto, nonché dalle indagini di polizia giudiziaria, incassate dal convenuto, senza
obiezioni dei consulenti; donde alcun rapporto di consulenza esisteva, quanto piuttosto
un pactum sceleris fra il Magnan ed i consulenti per locupletarsi sui finanziamenti
regionali senza svolgere l’attività dovuta;
- dall'indicato quadro emergerebbe, pertanto, che tutta l'attività di Eurobic è
stata resa improduttiva e sviata rispetto al fine pubblico istituzionalmente perseguito;
donde la Società non meritava alcuna parte del finanziamento pubblico ricevuto e
correttamente la Corte Territoriale ha statuito la responsabilità amministrativa,
quantomeno a titolo di colpa grave del convenuto nello sperpero dei finanziamenti
pubblici erogati dalla Regione Veneto e nella mala gestio di Eurobic;
- correttezza della sentenza impugnata ove, ai fini della determinazione del
quantum dovuto dal Magnan per la mala gestio di Eurobic, ha tenuto conto del
generico comportamento omissivo dei componenti il Consiglio di Amministrazione
della Società, che ha dato completa libertà al convenuto nel gestire (male) i
finanziamenti, come se fosse dominus assoluto di Eurobic, riconoscendone il ruolo
autorevole e indiscusso quale proponente e risolutore delle questioni di strategia e di
operatività nella gestione della stessa (cfr. relazione dell’ispettore giudiziale del
Tribunale di Rovigo).
Quanto al danno all’immagine, reputa il Procuratore Generale che l’an dello
stesso sia provato dai numerosi articoli di stampa sullo scandalo Eurobic e richiama la
giurisprudenza contabile che ascrive tale danno alla categoria del danno
esistenziale, riconducibile all’ambito dei danni non patrimoniali, configurabile come
danno-evento, risarcibile indipendentemente dall’esistenza di una fattispecie di reato.
Tale lesione, secondo l’Organo Requirente ed il Primo Giudice, comporterebbe
un pregiudizio al patrimonio pubblico che sarebbe comprensivo anche del diritto
dell’ente alla propria identità ed onorabilità e va liquidata in via equitativa ex art. 1226
cod. civ., tenuto conto delle indicate conseguenze negative che, per dato di comune
esperienza, sono riferibili al comportamento lesivo dell’immagine e che, in ragione del
discredito arrecato alla immagine della Regione dalla mala gestio posta in essere dal
convenuto, il Primo Giudice ha ritenuto di determinare in Euro 50.000/00.
Contesta, pertanto, il Procuratore Generale la progettazione della difesa secondo
cui il Procuratore Regionale Contabile ed il Primo Giudice avrebbero dovuto accertare
in concreto che il costo delle operazioni asseritamene illecite sia ricaduto sull’Ente
pubblico e che la lesione all’immagine abbia comportato maggiori oneri economici
per la Regione Veneto.
Conclude, pertanto, il Procuratore Generale per la reiezione dell’appello con
condanna dell’appellante alle spese del secondo grado di giudizio.
Venuta in discussione la causa all’udienza dell’8 aprile 2008, il Pubblico
Ministero ha chiesto un rinvio onde poter acquisire copia integrale della sentenza
penale in data 22 gennaio 2008 del Tribunale di Rovigo, attinente ai fatti di causa,
della quale l’Avv. Angelo Rao, difensore dell’appellante ha depositato all’udienza
medesima solo un estratto del dispositivo.
La causa è stata, pertanto, rinviata alle successive udienze del 21 ottobre 2008 e
del 10 febbraio 2009 per l’acquisizione del testo integrale della sentenza penale e per
consentirne l’appropriato esame.
Allo stato figura versata al fascicolo processuale, in esecuzione del commesso
adempimento, copia autentica della sentenza n. 47/08 in data 22 gennaio – 18 luglio
2008 del Tribunale di Rovigo.
Alla pubblica udienza del 10 febbraio 2009, l'Avv. Angelo Rao per la parte
appellante ed il Pubblico Ministero hanno confermato le considerazioni e le richieste
conclusionali rese nei rispettivi atti scritti.
Considerato in
DIRITTO
Osservano i Giudicanti che l’appellata sentenza ha pronunciato la condanna del
convenuto Gianni Magnan, Presidente nel periodo dal novembre 1998 al luglio 2001
della Società Consortile Eurobic Adige Po, destinataria di fondi comunitari per lo
sviluppo dell’imprenditorialità nell’area meridionale veneta, al pagamento
dell’importo di Euro 1.100.000/00 per l’appropriazione e distrazione di somme
all’apparenza collegate al pagamento di consulenze strumentali alla realizzazione
degli obbiettivi comunitari, nonché per la mala gestio, in ragione degli indicati e di
altri fatti appropriativi, nonché di varie operazioni irregolari, dei finanziamenti
pubblici ottenuti dalla Società.
Il Magnan è stato, altresì, condannato al pagamento della somma di Euro
50,000/00 per il danno arrecato all'immagine della Regione Veneto in ragione del
cattivo e distorto uso dei finanziamenti comunitari.
Per tali illiceità gestorie di pecunia publica risulta celebrato a carico del
convenuto e di altri soggetti procedimento penale per una molteplicità di reati (truffa
aggravata, malversazioni a danno dello Stato, frodi fiscali, falsi in bilancio, mendacio
e falso interno bancario, false comunicazioni agli organi di vigilanza bancaria, falsi in
scrittura privata, appropriazioni indebite, concussione, usura, riciclaggio di danaro,
nonché bancarotta fraudolenta) definito dal Tribunale di Rovigo con sent. n.
47/2008 che, per quanto ne occupa ed in relazione a fattispecie lesive introdotte nel
presente giudizio, hanno riconosciuto la penale responsabilità del Magnan per il reato
di truffa aggravata, in talune ipotesi assorbita nell'imputazione di bancarotta
fraudolenta.
Avverso la sentenza della Corte Territoriale Contabile ha interposto appello il
Magnan, censurandone l'illegittimità, erroneità e ingiustizia, opponendo oltrechè una
serie di doglianze a carattere pregiudiziale e preliminare, l'assenza di elementi
probatori in ordine ai fattori costitutivi della responsabilità amministrativa, anche in
ordine al danno all'immagine, chiedendo pronuncia assolutoria e comunque riduttiva
dell'addebito.
Poiché talune eccezioni pregiudiziali e preliminari hanno incidenza sulla
legittima introduzione del giudizio di responsabilità e sono rilevabili d'ufficio, il
Collegio, in ragione dell'ordine logico-giuridico di trattazione, reputa di dover dare
prevalenza all'esame delle stesse, la cui fondatezza, ove riconosciuta, precluderebbe
l'ulteriore esame dell'atto d'appello,
Prioritaria è, al riguardo, l'indagine sulla dedotta eccezione di giurisdizione del
Giudice Contabile, argomentata dalla difesa appellante sotto il duplice profilo
dell'intervenuta costituzione dell'Amministrazione quale parte civile nel parallelo
processo penale e dell'assenza di una rapporto d'impiego tra il proprio assistito e
l'Amministrazione Pubblica che escluderebbe in radice il trascinamento del medesimo
in un giudizio di responsabilità anche di natura contabile, tenuto conto, altresì, che il
Magnan era amministratore di una Società avente natura privatistica, tanto è vero che
la stessa è stata assoggettata a procedura fallimentare.
L'eccezione, nell'evidenziata duplice prospettazione, si appalesa infondata.
Al riguardo, reputa il Collegio di dover chiarire che, avuto riguardo al titolo di
responsabilità, di natura sostanzialmente contabile, per la quale il Magnan è stato
evocato in giudizio, il proposto libello si appalesa perfettamente in linea con la
disciplina legislativa e con l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale di
settore.
Costituisce, invero, giurisprudenza pacifica che, alla stregua del vigente
ordinamento, la qualificazione di agente contabile risulta meramente correlata al c.d.
“maneggio” di denaro, beni mobili, materie e/o valori di “pertinenza pubblica”, inteso
quale disponibilità materiale, concreta ed effettiva degli stessi, nel senso che l'attuato
maneggio genera ex se l'imprescindibile obbligo dell’agente a rendere “giudiziale”
ragione della gestione, attraverso la presentazione di un documento contabile che dia
contezza della stessa e delle sue risultanze e che l’ attuata gestione, ove ne ricorrano i
presupposti, si rende suscettibile di valutazione, da parte del Requirente Contabile, per
una sottoposizione dell’agente al giudizio di responsabilità.
In tale ottica, è proprio l’attuata gestione di denaro e valori pubblici che è
idonea all'instaurazione, con automatismo giuridico, di un “rapporto di servizio” tra
l'autore della gestione ed il soggetto pubblico alla cui “pertinenza” (Stato od altro
Organismo pubblico) quel denaro e/o valori sono riconducibili.
Proprio in relazione alla gestione anche di fatto di pecunia pubblica, la
giurisprudenza ha unanimamente esteso alle risorse comunitarie entrate nella
disponibilità dello Stato italiano, la giurisdizione contabile, anche nei confronti dei
soggetti privati, sia persone fisiche che giuridiche, attuatori dei previsti programmi ed
indipendentemente dalla connessione dell'attività gestoria con fenomeni di frode,
appropriazione o distrazione di fondi.
Ciò, dovendosi applicare ai soggetti gestori di principi giuridici relativi agli
agenti contabili, anche di fatto, in relazione al maneggio comunque attuato di
denaro pubblico, nonché tenuto conto che il baricentro per il discrimen tra la
giurisdizione ordinaria e quella contabile va spostato, in favore di quest'ultima, dallo
stretto riferimento alla qualità del soggetto attuatore della gestione, che ben può essere
un privato od un ente pubblico economico o meno, alla natura dei beni oggetto di
gestione e degli scopi perseguiti, sotto il profilo ordinamentale, per l'utilizzo di tale
denaro e/o valori; di modo che, ove l'operatore (pubblico o privato) affidatario, anche
di fatto, della pecunia pubblica, se ne appropri o svii dalle finalità a cui l'utilizzo della
stessa è destinato, realizza un danno all'ente pubblico affidante e/o affidatorio di quelle
risorse, del quale deve rispondere avanti al Giudice Contabile (cfr,, al riguardo, per
tutte, Cass. Sez. uu. civ. sentt.: n. 8143/2002; n. 14473/2002; n.8450/1998; n.
926/1999; n. 11309/1995).
Va, altresì, rigettata per infondatezza la proposta eccezione di difetto del potere
cognitorio contabile, argomentata dalla difesa appellante con la pendenza, in ordine ai
medesimi fatti di causa, di un giudizio penale nel quale è intervenuta la costituzione,
quale parte civile, della Regione Veneto; di talchè la contemporanea permanenza delle
giudizio contabile costituirebbe un inammissibile e non giustificato duplicato, che
consiglierebbe, quanto meno la sospensione di quest'ultimo giudizio.
Invero, va confermata sul punto l’altrettanto consolidata giurisprudenza della
Corte dei conti, dalla quale il Collegio reputa non sussistono presupposti per
discostarsi, secondo cui il processo contabile si sviluppa ordinariamente in modo
autonomo rispetto al procedimento penale eventualmente pendente per fattispecie,
quale quella l'esame, correlate alla frode comunitaria od altre ipotesi criminose
(concussive, corruttive, di bancarotta fraudolenta, etc.) per le quali sia intervenuta, da
parte dell'Amministrazione assertivamente danneggiata, costituzione di parte civile e
non subisce, del pari, nemmeno gli effetti sospensivi che si realizzano, con
riguardo ai procedimenti amministrativi, per effetto degli stessi procedimenti penali.
Invero, come correttamente rimarcato dal Procuratore Generale, ostano al
riguardo la diversità delle situazioni soggettive che fanno capo, rispettivamente al
Pubblico Ministero Contabile ed all'Ente danneggiato, nonché l'evidente e mera
“complementarità” e” non alternatività” delle due azioni; di modo che l'avvio
dell'azione contabile potrebbe trovare un plausibile arresto solo nella verificata
realizzazione, da parte del Requirente e del Giudice Contabili, della pretesa erariale,
con una formazione di un giudicato sull'an e sul quantum e conseguente liquidazione e
reintegrazione del patrimonio erariale (cfr., in termini, di questa Sezione Centrale:
sentt. n.109/2002 e n.210/2003): il che non è dato constatare nella fattispecie l'esame.
Per tali motivi l’exceptio jurisdictionis, nella proposta triplice prospettazione,
viene rigettata.
Il superamento delle eccezioni pregiudiziali e consente un'ora al Collegio di
discendere all'esame delle censure afferenti al merito della contestata responsabilità.
Alle riguardo, lamenta la difesa appellante che la condanna del proprio assistito
è stata disposta dalla Corte Territoriale nell'assenza degli elementi costitutivi della
responsabilità amministrativo-contabile, non avendo il Requirente fornito adeguata
dimostrazione dell’asserita distrazione dei fondi comunitari, regolarmente rendicontati
ed approvati dalla Regione Veneto, non essendo al medesimo riconducibile la revoca
del contributo comunitario e dovendo essere limitata l'eventuale contestazione a solo
otto contratti di consulenza, a suo dire, legittimamente posti in essere e non potendosi
le contestazioni, anche di natura penale al massimo rivolte, estendersi all'intero
finanziamento, sì da configurare una “mala gestio” dello stesso.
La doglianza si appalesa del tutto destituita di plausibile fondamento.
Emerge, invero, inequivocamente dal fascicolo processuale e trova conferma
nella sentenza penale resa sulla vicenda dal Tribunale di Rovigo (cfr.,sent. n. 47/08 del
22.1 - 18.7.2003), per quanto attiene all'addebito lesivo conseguente all'affidamento,
da parte del Magnan, di consulenze necessarie alla realizzazione del progetto affidato
all'Eurobic dalla Regione Veneto, l'attività truffaldina svolta dal medesimo, in modo
da far assegnare ad amici e soggetti della sua cerchia una serie di consulenze
apparentemente rientranti nell'oggetto della relativa convenzione e, quindi,
potenzialmente ammissibili al contributo regionale, ma che, nella sostanza,
costituivano solo uno schermo formale per nascondere un continuo drenaggio di
denaro da Eurobic e dalla Regione a vantaggio del Magnan e dei consulenti.
Emergono, altresì, dal celebrato processo penale gli artifici e raggiri posti in
essere dal Magnan, al fine di trarre in inganno gli Organi Societari ed il Collegio dei
revisori, ed impedirne i poteri di controllo e vigilanza, giustificando i trasferimenti di
denaro comunitario ai consulenti, quale compenso per l'attività professionale resa che,
in realtà non era stata realizzata e/o di valore inferiore all'esborso sostenuto dall'Ente,
quand'anche, in talune ipotesi, tale trasferimento non fosse mai avvenuto, rimanendo
le somme trattenute, in tutto od in parte, dal Magnan che compensava i consulenti con
altri favori (cfr., infra pagg. 380, 385, 386, 409 e 431 o della menzionata sentenza
penale).
Risulta, infine, il ruolo determinante avuto dal convenuto nella gestione delle
consulenze de quibus, rispondente piuttosto a suoi tornaconti personali che alla
realizzazione dei fini pubblici posti a base della programmazione regionale di
riferimento, per i quali la contribuzione comunitaria veniva dalla Regione Veneto
assegnata alla Società alla quale il Magnan era preposto.
Siffatta personalistica gestione delle consulenze, condotta in palese dispregio
della normativa contabile (assegni tratti sui conti personali del Magnan,
quietanze datate con riferimento al momento dell'uscita delle somme dalle casse
dell'Eurobic S.r.l. e non dell'effettiva consegna del denaro ai consulenti, scelta del
privato contraente al di fuori dell’espletamento di una pubblica gara e con compensi
estranei ai tariffari di categoria e non in proporzione all'opera professionale resa,
vistose differenze tra valore reale e pattuito delle consulenze, falsità, irregolarità e
carenza documentale della rendicontazione contabile: cfr. pagg. 379, 380, 395, 4 09,
431, 432 e 449 della citata sent. del Tribunale penale di Rovigo), induce il Collegio ad
escludere in radice che alla stessa possa riconnettersi qualsivoglia utilitas per l'Ente
regionale erogatore della contribuzione comunitaria.
Ne segue che in fattispecie l'impiego della pecunia pubblica quale attuata dal
Magnan si è nella sostanza tradotta in danno per l'indicato Ente, secondo la nota
conformazione della responsabilità contabile, non avendo il convenuto fornito alcuna
valida prova in ordine all'insussistenza del danno ed alla non imputabilità al
medesimo del fatto lesivo (cfr. art. 194 del R.D. 23 maggio 1924, n. 827).
Per quanto attiene, poi, all'imprescindibile profilo soggettivo dell’ascritta
responsabilità (che quanto ad elementi costitutivi, espunta ormai ogni responsabilità di
tipo formale, si modella sullo stesso paradigma della responsabilità amministrativa:
cfr., per tutte, Corte Cost., sent. n. 371/1998) è innegabile la connotazione, per la gran
parte dolosa, o quantomeno, per talune ipotesi, gravemente colposa tenuta nella
vicenda dal convenuto, ben consapevole della perpetrata finalizzazione delle
consulenze in discorso a propri scopi e non della Società, degradata a suo strumento
nella realizzazione dell'illecita attività truffaldina ed appropriativa dei contributi
comunitari; donde, per tale capo di imputazione lesiva la sentenza di condanna,
assunta dal Primo Giudice, merita di essere confermata.
Del pari, condivisibile e suffragata dalle risultanze penali, si appalesa
l'imputazione mossa dal Requirente Contabile e confermata dalla Corte Territoriale,
secondo cui, anche al di là delle enucleate ipotesi di consulenza, la generalità
dell'attività finanziata all'Eurobic dalla Regione con contribuzioni comunitarie si è
concretata in una mala gestio per la mancata realizzazione e sviamento degli obiettivi
prefigurati nell’apposita Convenzione stipulata con quell'Ente Territoriale e per il
cattivo uso di quei finanziamenti: tanto è vero che la stessa Regione, con decreti della
Direzione Industria nn. 60/2003 e 131/2003, ha disposto l'intera revoca, pur se allo
stato non attuata, dei contributi, per la mancata realizzazione degli obiettivi posti dalla
Convenzione regionale ed il cattivo uso dei finanziamenti comunitari.
È innegabile, invero, che la mancata realizzazione di quegli obiettivi costituisce
danno per la Regione pari all'intero importo finanziato, tenuto, altresì, conto del
pregiudizio patrimoniale diretto recato ai soggetti componenti la comunità destinataria
dei finanziamenti.
Sotto il profilo soggettivo l’ascrivibilità della mala gestio di risorse pubbliche al
Magnan, anche al di fuori delle enucleate ipotesi di consulenza, traspare evidente dalla
menzionata sentenza penale.
Invero, in tema di consulenze, diverse dalle otto oggetto della specifica
contestazione contabile, il pronunciato penale dà contezza, al riguardo, di una serie di
imputazioni (truffa aggravata, consumata e tentata ai danni di Eurobic S.r.l., talora
assorbite nel reato di bancarotta fraudolenta documentale) per le quali è stata
dichiarata la penale responsabilità del convenuto (cfr. infra pagg. 459-460 della
sentenza penale).
Al di là delle ipotesi consulenziali, il pronunciato penale dà contezza di
un'intensa attività di falsificazioni e di irregolare tenuta delle scritture contabili, tale da
non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli
affari della Società, agli Organi societari e di controllo, anche a mezzo di
scritturazione di crediti non realizzabili, di rapporti fittizi e false rappresentazioni
contabili (cfr. pag. 461 della sent. pen.).
La falsità e l’erroneità delle scritture e delle sottese operazioni contabili risulta,
altresì, quasi sempre condotta dal Magnan onde celare, anche agli Organi fallimentari
a cui la Società venne sottoposta, e con strumentalità delle omissioni, l’illeceità delle
operazioni, nell'ottica del poi ascritto reato di bancarotta fraudolenta (cfr. pagg. 466 e
467 della sent. pen.).
Emerge, infine, dal pronunciato penale, la commissione, da parte del Magnan,
nell'ambito della gestione Eurobic, involgente la contribuzione comunitaria che ne
occupa, di una serie di reati (taluni appropriativi, sottrattivi e distrattivi del
patrimonio) in buona parte, anche qui assorbiti nel reato di bancarotta (cfr. infra pagg.
552, 553 e 539, 540 della sent. pen.); di tal che l'attuata gestione non può essere
ritenuta utile al soddisfacimento e perseguimento degli scopi cui quella contribuzione
era finalizzata e, come tale, secondo quanto anche ritenuto dal Giudice penale,
causativa di danno per la Regione.
Alla stregua delle estese considerazioni, anche per tale posta di danno, questi
Giudici, avuto, altresì, riguardo al ruolo avuto nella vicenda da altri soggetti, non ben
evidenziati ed evocati in responsabilità, non può che concordare con la pronuncia di
condanna e la quantificazione lesiva operata dalla Corte Territoriale che resta,
pertanto, confermata.
Per quanto riguarda, poi, l'ascritto danno da compromissione d'immagine
cagionato dal convenuto alla Regione Veneto in ragione della descritta condotta e per
la diffusione data dalla stampa giornalistica al c.d. scandalo Eurobic, pur non potendo
convenire il Collegio con la costruzione del danno-evento operata dal Primo
Giudice e rimanendo, pertanto, ancorato sul punto alla tradizionale costruzione del c.d.
danno-conseguenza elaborata dalla Corte di Cassazione a Sezioni Riunite nella nota
sentenza n. 5668/1997, concorda comunque, sul rilievo dato dalla Corte Regionale,
onde sostenere la pretesa erariale, ai gravi fatti delittuosi, penalmente accertati a carico
dell'attuale appellante che, in quanto lesivi del decoro dell'Amministrazione regionale
alla quale il medesimo era legato da rapporto gestorio contabile, ha comportato, anche
in prospettiva, l'assunzione di costi ai fini della reductio ad integrum della propria
immagine, decoro e prestigio lesi, in violazione e dispregio di precisi obblighi di
servizio.
Invero, anche per il richiamo operato dal Primo Giudice alla nota sentenza n.
10/S.R./Q.M./2003 delle Sezioni Riunite della Corte dei conti (cfr. infra pag. 43 della
sentenza impugnata) è intuitivo il riferimento all'onere finanziario ed ai costi
aggiuntivi approntandi dalla Regione per il chiarito ripristino, nonché per correggere
gli effetti distorsivi e la diminuzione di potenzialità organizzativa ed operativa indotta
dalla condotta del convenuto.
L’ intuitivo riferimento del Primo Giudice agli indicati costi, oltrechè alle
conseguenze negative in termini di immagine riconducibili alla illecita condotta del
convenuto, appare, poi, sufficiente, ai fini quantificatori del corrispondente danno
onde giustificare il ricorso all'art. 1226 cod. civ. ed a soddisfare l'onere probatorio ivi
imposto con riguardo ad elementi parametrali di una quantificazione equitativa.
Ne segue, anche sotto l'indicato profilo, la conferma della sentenza impugnata,
anche per quanto attiene alla statuizione delle spese del giudizio.
Le spese del presente grado seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dei conti - Sezione Prima Giurisdizionale Centrale - definitivamente
pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione reiette, respinge l'appello e
conferma la sentenza impugnata in epigrafe.
Le spese del grado seguono con la soccombenza e si liquidano in Euro 337,65
(trecentotrentasette/65)
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 10
febbraio 2009.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Davide Morgante f.to Giuseppe David
Depositata in Segreteria il 15/10/2009
LA DIRIGENTE LA SEGRETERIA
f.to Dott.ssa Maria FIORAMONTI
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