CONSIGLIO SUPERIORE della MAGISTRATURA
BREVI NOTE IN TEMA DI RAPPORTI FRA
GIUDIZIO POSSESSORIO E GIUDIZIO PETITORIO
Relazione tenuta in Roma, il 15 aprile 2004
dott. Fulvio Troncone
Magistrato presso il Tribunale di Napoli
Rapporti fra il giudizio possessorio ed il giudizio petitorio
Parte Prima
Divieto di cumulo del giudizio petitorio con il giudizio possessorio
1) Cenni storici
L’art. 705 c.p.c., nella formulazione precedente alla sentenza manipolativa-additiva della Corte
Costituzionale1, disciplinava il rapporto fra il giudizio possessorio ed il giudizio petitorio, disponendo
che l’azione petitoria fosse sempre preclusa a chi fosse stato convenuto con azione possessoria, fino a
quando il giudizio possessorio non fosse definito e la relativa decisione non fosse eseguita.
In tal guisa il codice di rito attuale si discostava dalla disciplina posta dal codice di rito antevigente (artt.
443 ss. c.p.c. 1865), la quale prevedeva il divieto, oltre che per il convenuto, anche per l’attore non
soltanto per la proposizione del petitorio durante il possessorio, ma anche per la inversa proposizione
del possessorio durante il petitorio, con l’esclusione unicamente del caso relativo alla insorgenza di fatti
possessori dopo la introduzione del petitorio.
In altre parole trovava applicazione il principio electa una via non datur recursus ad alteram; infatti, pendente
il petitorio, l’attore non poteva proporre azione possessoria (art. 443) e l’attore in giudizio possessorio,
finché pendente, non poteva promuovere il giudizio petitorio, a meno che non rinunziasse agli atti e
pagasse o depositasse le spese (art. 445, co. IV).
Per il convenuto la limitazione doveva intendersi fissata solo per il caso di pendenza del giudizio
possessorio che gli impediva la possibilità di proporre il petitorio (art. 445, co. I); nessun divieto era
però fissato al convenuto in petitorio, che era libero di proporre l’azione possessoria. Il cumulo delle
due azioni era previsto per entrambe le parti per i fatti successivi all’instaurazione del giudizio petitorio,
salva l’ipotesi di attentato violento o clandestino, per la quale restava ferma, solo per l’immediata
reintegra, la competenza del pretore che avrebbe poi dovuto rimettere le parti dinanzi al giudice del
petitorio
21 Corte Cost. 25 febbraio 1992, n. 25.
2) Ratio
La ratio di siffatto divieto è da rinvenirsi nelle finalità pubblicistiche proprie della difesa possessoria:
non può assicurarsi immediata tutela petitoria a chi ha violato la legge, facendo ricorso alla ragion
fattasi, sì venendo meno ad un dovere sociale, prima che giuridico.
Quindi, finché l’esigenza espressa dal principio spoliatus ante omnia restituendus non è pienamente e
definitivamente soddisfatta, con il conseguente ripristino dello status quo ante all’eventuale illecito
possessorio, non è possibile assicurare tutela petitoria al convenuto in possessorio rispetto alla pretesa
attorea.
3) Inquadramento sistematico
Quanto innanzi impone di qualificare il divieto di cumulo come un impedimento temporaneo alla
proposizione della domanda petitoria e non un difetto di giurisdizione2. Viene in altre parole in rilievo
una condizione di procedibilità o presupposto dell’azione giudiziaria, la cui carenza impedisce la
corretta instaurazione del rapporto processuale e la cui sopravvenienza in corso di giudizio è irrilevante,
dovendo, viceversa, sussistere già prima della vocatio in ius 3.
Ne segue, nonostante diverse opinioni dottrinali4, la rilevabilità ex officio, anche in mancanza di
eccezione di parte, della violazione in discorso.
Così si esprime sul punto Cass., 17 novembre 1990, n. 111225:
L'art. 705 c.p.c., in cui è sancito (per il convenuto nel giudizio possessorio) il divieto di proporre azione
petitoria fino a quando il giudizio possessorio non sia definito e la decisione non sia stata eseguita, non
ripete la regola ordinaria che attiene al divieto della "mutatio libelli", ma, ispirato all'esigenza di ordine
pubblico del ripristino immediato della situazione possessoria lesa o compromessa, sancisce
l'improponibilità assoluta del petitorio per ragioni che vanno anche al di là del mero interesse delle parti
private, e, quindi non è una norma disponibile.
Il rilievo della violazione del divieto in oggetto, perciò, deve essere fatto anche d'ufficio ed
indipendentemente dell'eccezione, tempestiva o meno, della controparte (Conf. Cass. 8/4/77 n.
2 Secondo Cass., Sez. Un., 19 maggio 1982, n. 3086, si tratta di un impedimento temporaneo alla proposizione della domanda petitoria, il quale non è riconducibile nell’ambito del difetto di giurisdizione, ricorrente nel diverso caso in cui la potestas iudicandi spetti ad un altro giudice o non competa ad alcun giudice. Il che quindi implica che il giudice di appello, poiché non si verte in un caso di difetto di giurisdizione ex art. 354 c.p.c., non può rimettere la causa al primo giudice, bensì deve decidere definitivamente nel merito. 3 Così Cass., 22 gennaio 2002, n.687; Cass., 23 maggio 1985, n. 3116, che, al riguardo, parla di improponibilità della domanda petitoria. 4 GIACOBBE, Spoglio, in Enc. Dir., XLIII, Milano, 1990,499; MAZZOLETTI, I procedimenti possessori, in I procedimenti cautelari, a cura di Tarzia , Padova, 1990, 154; SACCO, Il possesso, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da CICU, MESSINEO, MENGONI, Milano, 1988, 289
35 Così anche Cass., 15 aprile 1999, n. 3755
1353; v. anche, nel senso della rispondenza del divieto ad esigenze di ordine pubblico, Cass. 16/12/83 n.
7419).
4) Profili processuali
Mette a questo punto conto di esaminare i più rilevanti aspetti di ordine eminentemente processuale
conseguenti alla disciplina in commento.
La rilevabilità ex officio, di cui si è detto sopra, presuppone, ovviamente, la verifica della litispendenza.
E si ritiene che, anche agli effetti dell’art. 705 c.p.c., la pendenza della lite vada delibata tenendo a
mente la data di deposito del ricorso6 e non già quella in cui effettivamente si radica il
contraddittorio7 8.
Così Cass., 5 novembre 1992, n. 11988:
Conforme alla legge risulta, infatti, l'avversata interpretazione della norma dell'art. 705 primo comma cod. civ., che
l'impugnata sentenza ha dato con lo statuire che il divieto, per il convenuto in causa possessoria di proporre
domanda di natura peritoria finché esso non sia definito e la decisione non sia stata eseguita, produce effetti già
dal momento del deposito del ricorso e non soltanto della successiva notificazione del provvedimento
possessorio interinale, emesso dal giudice "inaudita altera" parte, e che fissa l'udienza di comparizione, non
essendo applicabile, stante la diversità delle situazioni processuali, la regola posta dall'art. 39 ult. comma e dall'art.
643 ult. comma cod. proc. civ. in materia, rispettivamente, di prevenzione della litispendenza e continenza e di
pendenza della lite nel procedimento monitorio.
Il problema di causa, rileva la Corte, s'inquadra nel più ampio tema ricorrente nei procedimenti speciali o
specializzati introdotti con ricorso (art. 651 secondo comma, 617 secondo comma, 688 - 691; 700 - 702; 703 - 705
etc. cod. proc. civ.), e consiste nella questione, se, ai fini del divieto posto dal citato art. 705 primo comma,
analogamente a quanto avviene nel processo introdotto con citazione (artt. 163 e seguenti cod. proc. civ.) debba
valere la garanzia del contraddittorio, quale nel processo ordinario è assicurata dalla contestualità della "editio
actionis" e della "vocatio in ius".
Nella particolare struttura della fattispecie introduttiva del procedimento speciale o specializzato, la quale si articola
nei due elementi, formalmente e cronologicamente distinti, costituiti dal deposito del ricorso nella Cancelleria del
giudice e dalla successiva notificazione al convenuto del provvedimento che fissa la comparizione delle parti,
invero, difetta quella ottimale concomitanza di effetti sostanziali e di effetti processuali che si ottiene, invece, con la
citazione, nel processo ordinario.
6 Si ricorda che nelle controversie assoggettate al rito del lavoro occorre far riferimento al giorno della proposizione della domanda, che si identifica con il deposito del ricorso: Cass., Sez.Un., 11 maggio 1992, n. 5597, in Foro It. , 1992, I, 2089. 7 Così anche App. Salerno, 30 novembre 1987, in Arch. Civ., 1988, 1332; Contra, Pret. Arce, 10 gennaio 1969, in Giur. agr. It., secondo cui, in virtù dell’art. 643 cpv. c.p.c., norma non di carattere eccezionale, applicabile, in via analogica, anche al procedimento possessorio, deve tenersi conto della data di notificazione del ricorso e del pedissequo decreto.
4
8 Si rammenta che Cass., 4 febbraio 1959, n. 333, in Giur. It., 1959, I,1,165 ha risolto il problema della contemporanea notifica del ricorso per il giudizio petitorio e della citazione per il giudizio petitorio, affermando che il criterio della prevenzione va determinato tenendo conto della data di comparizione indicata nell’atto introduttivo, intendendo, così, far riferimento non già alla data di deposito del ricorso, ma a quella della sua comunicazione o notificazione.
Per ciò che riguarda, in particolare, gli effetti sostanziali, l'interruzione della prescrizione estintiva si verifica
soltanto con la notificazione della citazione giudiziale (artt. 2943 - 2945 cod. civ.) mentre, per quanto concerne la
decadenza, è sufficiente ad impedirla il solo deposito del ricorso introduttivo del procedimento speciale o
specializzato, (ius receptum), tra gli effetti processuali, la prevenzione nella litispendenza e continenza di
cause (art. 39 ult. comma co. proc. civ.), la "perpetuatio jurisdictionis" (art. 5) e l'impedimento della decadenza
dell'impugnazione (artt. 324, 327 e 434 cod. proc. civ.) si producono, a loro volta, in virtù del solo deposito del
ricorso introduttivo e senza che debba previamente costituirsi il contraddittorio, atteso il carattere non
recettizio degli atti da cui essi derivano, regola, questa, che soffre eccezione soltanto nel procedimento per
ingiunzione, là dove, per evidenti ragioni relative alla particolare struttura del medesimo, soltanto la notificazione
del decreto può determinare la pendenza della lite (art. 643 terzo comma).
Analogamente, il rilevato carattere oggettivo, proprio della prevenzione preclude al litisconsorte, chiamato ad
integrare il contraddittorio dopo la udienza, la possibilità di eccepire la connessione di cause ex art. 40 secondo
comma cod. proc. civ., quando già le altre parti abbiano omesso di farlo.
Nella specie, osserva la Corte, la formulazione letterale dell'art. 705 primo comma cod. proc. civ. non pone, d'altra
parte, in evidenza una diversa "ratio legis" che sia invece ispirata dall'esigenza di tutela del contraddittorio, avendo
la norma riguardo al solo fatto obiettivo della prevenzione quale si verifica per effetto del deposito del ricorso
possessorio, atto da solo sufficiente a fare assumere alla parte la posizione di "convenuto".
In applicazione di tali principi questa s.c. ha già del resto già avuto occasione di avvertire che, nel caso previsto
dall'art. 704 c.p.c., l'anteriorità della domanda petitoria rispetto a quella possessoria deve essere riscontrata sulla
base della data di deposito del ricorso (cfr. sez. II 19.9.1985 n. 4705).
Il cennato fondamento del divieto di cumulo tra giudizio petitorio e giudizio possessorio spende effetti
anche ai fini della risoluzione delle problematiche processuali che seguono.
Si è affermato che l’onere di provare il temporale ed eccezionale impedimento all’esercizio della
giurisdizione sia a carico del convenuto, che, in ossequio ai principi generali regolanti la soggetta
materia, deve dare la prova del fatto impeditivo, ove, ovviamente, non già acquista al processo9.
La tesi non può essere condivisa, atteso che appare ben più convincente la opposta opinione che, in
replica all’allegazione sul punto del convenuto, sia onere dell’attore dare la prova della piena e
tempestiva ricorrenza delle condizioni di proponibilità dell’azione petitoria esperita.
Inoltre, sempre il principio spoliatus ante omnia restituendus porta a concludere che il divieto de quo abbia
carattere soggettivo e non possa spiegare effetto nei confronti di persone diverse da quelle convenute
in sede possessoria10.
Appare, però, interessante richiamare le precisazioni in merito offerte da Cass., 20 giugno 2001, n.8367,
secondo cui:
Nella giurisprudenza di questa Suprema Corte è stato enunciato il principio di diritto (accolto anche in dottrina)
che il divieto di cui all'art. 705 c.p.c. ha carattere puramente soggettivo e non può spiegare effetto nei confronti di
9 Così LEVONI in Azioni possessorie. Parte terza: il procedimento possessorio, in Riv. Trim, Dir. Proc. Civ., 1976, pg. 1262.
510 Cass., 5 novembre 2002, n. 15466; Cass., 24 febbraio 2000, n. 2106; Cass. 7 febbraio 1992, n. 1392
persona diversa da quella convenuta in sede possessoria (vedi sentt. nn. 2106/2000, 1392/1992). Da tanto si è
ricavata la regola speculare che al convenuto in possessorio sia inibito attivare lo stesso tipo di tutela petitoria solo
nei confronti dell'attore in reintegra o in manutenzione; ovverosia, che il limite soggettivo della preclusione stabilita
dall'art. 705 c.p.c. implica l'accertamento che il giudizio possessorio verta tra le stesse persone tra le quali si agita la
lite petitoria. Nella sua assolutezza, neanche tale conclusione è tuttavia corretta, palesandosi necessarie in
proposito le seguenti precisazioni.
Quando, ad esempio, più soggetti, ciascuno proprietario di un diverso fondo, esercitino il possesso di una
servitù di passaggio su un fondo contiguo, coesistono, parallelamente, più possessi di servitù di passaggio
diversificati fra loro, ciascuno a favore di uno dei fondi dominanti e gravante sull'unico fondo servente. E stante la
diversificazione tra più possessi coesistenti, in ipotesi di spoglio compiuto dal proprietario del fondo servente, se il
giudizio possessorio è promosso da alcuni soltanto dei possessori, i quali ottengono sentenza di reintegrazione,
soltanto nei loro confronti è preclusa, dalla norma di cui al primo comma dello art. 705 c.p.c., la proponibilità della
domanda petitoria da parte del proprietario del fondo servente finché non sia stata eseguita la sentenza di
reintegrazione. Domanda petitoria che, invece, deve ritenersi proponibile nei confronti di quei possessori che non
hanno partecipato al giudizio possessorio.
Di contro, nel caso in cui sussistano più possessori di una servitù di passaggio a vantaggio di uno stesso
fondo e solo uno di essi agisca in sede possessoria, il convenuto in tale giudizio non può agire in petitorio nei
confronti dei soggetti che non hanno promosso la lite. Diversamente opinando, si ammetterebbe, in contrasto con
la ratio della preclusione prevista dalla norma in commento, la possibilità di una pronuncia sulla titolarità giuridica
del bene in grado di vanificare quella preventivamente richiesta sulla relazione di fatto con lo stesso bene.
Ad avviso di questa Corte, dunque, con riferimento alla sfera di applicazione soggettiva della preclusione
processuale posta dall'art. 705 c.p.c., per ammettere la proponibilità del petitorio avente a oggetto la negazione di
una servitù (di passaggio, di veduta, ecc.) é necessario verificare non tanto se tale giudizio venga instaurato nei
confronti di soggetto diverso da colui che ha agito in possessorio, quanto piuttosto se esso riguardi un fondo
preteso dominante diverso da quello in nome del quale si è invocata la tutela possessoria.
Il che non significa che, in caso di domande scindibili, ossia di più domande contestuali e
scindibili in sede petitoria, la preclusione in discorso operi per tutte, di modo che è da ritenersi
consentito al giudice dichiarare inammissibile una della domande perchè proposta in violazione dell’art.
705 c.p.c. e, al contempo, conoscere le restanti, in alcun modo ricollegabili, in via oggettiva, alla
situazione che aveva indotto l’attore ad esercitare l’azione possessoria11.
Sempre alla luce di quanto precede è stato ripetutamente affermato che la preclusione processuale in
discorso opera, sia pure con le limitazioni processuali di cui alla sentenza della Corte Cost., nei soli
confronti del convenuto, e non anche dell’attore, il quale ben può attivare, pendente il possessorio, il
giudizio petitorio12
Nè tale proposizione può legittimamente interpretarsi come fatto incompatibile con la volontà di
proseguire nel giudizio possessorio, onde ottenere la più rapida tutela ad esso riconducibile. Il divieto di
11 Cass., 12 febbraio 1968, n.461, in Giust. Civ., 1968, I, 1932.
612 Cass., 29 gennaio 2004, n. 1666; Cass., 6 novembre 1990, n. 10655.
cumulo delle due azioni è, difatti, normativamente sancito per il solo convenuto, sì che l'inizio del
giudizio petitorio, da parte dell'attore, in pendenza di quello possessorio, non è che indice della volontà
di quest'ultimo di rafforzare, e non già di limitare, la difesa del diritto che si assume violato13.
Si è in epigrafe detto che la preclusione in discorso opera sino a quando il processo possessorio non
sia definito (con sentenza non più soggetta ad impugnazione ovvero con declaratoria di estinzione
dello stesso14) ed il provvedimento possessorio preso all’esito dello stesso non sia stato integralmente
eseguito.
La giurisprudenza ha dato un’interpretazione elastica del disposto normativo, avendo cura di precisare
che la esecuzione della statuizione sul possesso riguarda il provvedimento possessorio in senso stretto,
di modo che il divieto non inerisca la condanna ai danni ed alle spese.
Coerentemente, con quanto già sopra affermato, è a convenirsi che la prova dell’effettiva esecuzione
della statuizione possessoria deve essere data dall’attore, al quale incombe dare la prova di tutte le
condizioni necessarie per la costituzione del rapporto processuale15.
Lo spontaneo ripristino dello stato dei luoghi antecedente ed indipendente da un provvedimento
giurisdizionale che glielo abbia imposto consente al convenuto in giudizio possessorio di instaurare
giudizio petitorio, venendo a cadere ogni contestazione da parte del medesimo sulla pretesa in
possessorio avanzata dall’attore16.
Tale fattispecie non è equiparabile al caso di reintegra avvenuta in esecuzione di un ordine
provvisorio emesso dal giudice in pendenza del procedimento17.
Se l’attore non renda possibile l’esecuzione del provvedimento possessorio, ovvero se il medesimo
rinunzi allo stesso18, accettando il contraddittorio in sede petitoria19, trova applicazione il secondo
comma dell’art. 705 c.p.c., integrandosi la ivi menzionata condizione di procedibilità alternativa.
13 Così espressamente: Cass., 22 maggio 1998, n.5110; cfr. anche Cass., 16 febbraio 1994, n. 1501. 14 Trib. Messina, 22 febbraio 1984. Ad opinione di PROTETTI’, in L’acquiescenza come definitività ed esecuzione della decisione possessoria ai fini della proposizione del giudizio petitorio, in Giur. Agr. It., 1968, 226, il possessorio deve ritenersi definito ed eseguito non solo dal giudicato della relativa sentenza, dal verbale di conciliazione, dall’estinzione del giudizio, dalla compromissione in arbitri della questione sostanziale, ma anche dalla spontanea reintegrazione del possesso, con conseguente estinzione del procedimento possessorio; sebbene Cass., 6 luglio 1976, n. 2503 richiede anche un provvedimento, che prendendo atto dell’acquiescenza nella quale si risolve l’esecuzione medesima, definisca il procedimento possessorio . 15 Trib. Cosenza, 30 novembre 1961. 16 Cass., 29 maggio 1967, n.1172. 17Cass., 20 giugno 2001, n.8367, in Foro It., 2002, I, 1114. 18 E’ irrilevante che i possessori spogliati abbiano lasciato decorrere il termine di efficacia del precetto senza iniziare l'esecuzione forzata: Cass., 23 maggio 1985, n.3116.
719 Cass., 5 luglio 1974, n.1947, in Giust. Civ., 1974, I, 1374.
5) Profili sostanziali
Il divieto di cumulo opera solo allorchè il convenuto in possessorio intenda agire avverso l’attore,
esperendo un’azione di contenuto petitorio.
E’ tale quella in cui si controverta in ordine all’appartenenza del diritto di proprietà o di altro
diritto reale sulla cosa rispetto alla quale sia stata sollecitata la tutela possessoria e non già una
qualunque altra controversia che possa avere come oggetto la cosa stessa20.
Non incorre, pertanto, nel suddetto divieto il convenuto con azione possessoria, il quale proponga
un'azione diretta ad ottenere una sentenza sostitutiva di un obbligo contrattuale non adempiuto21,
ovvero produttiva degli effetti di un contratto preliminare non concluso, avente ad oggetto il medesimo
bene di cui al giudizio possessorio22, od ancora una pretesa di restituzione in base ad un dedotto
rapporto obbligatorio23.
Costituisce indubbiamente giudizio petitorio, quello divisorio, che presuppone il vanto del diritto
reale sul bene in comunione24.
Del pari è a ritenersi che il convenuto nell’azione di manutenzione per inosservanza di distanze legali
non possa chiedere, in via riconvenzionale, la comunione forzosa del muro ex art. 875 c.c.,
trattandosi di azione petitoria La Suprema Corte ha sul punto ben chiarito che ha tale valenza la
domanda intesa ad ottenere la comunione sul muro di confine, perché preordinata ad una pronuncia
costitutiva, che incide direttamente e sostanzialmente su una situazione di diritto reale25.
Medesima natura devesi convenire abbia l’azione di regolamento dei confini, essendo diretta a
stabilire nell’incertezza a chi spetta la proprietà della zona contestata fra i confini.
Si è così negato al convenuto nel giudizio possessorio di promuovere un'istanza diretta ad ottenere
l'autorizzazione al sequestro giudiziario, in quanto questa ha natura strumentale rispetto alla
proposizione della causa petitoria relativa al bene sequestrato26
20 Così LEVONI, op. cit.., 1255. La giurisprudenza di legittimità, n uno a quella di merito, e con la condivisone della dottrina PROTETTI’, Le azioni possessorie, Milano, 1995, 623, ha ritenuto che non è petitoria: a) l’azione generale di rescissione per lesione; l’azione relativa alla cessione di un contratto di locazione; la convalida di licenza per finita locazione; la controversia avente per oggetto il rapporto di affitto di fondo rustico.. 21 Cass., 8 settembre 1994, n.7701: nella specie, costituzione di una servitù volontaria di passaggio. 22 Cass., 8 settembre 1997, n. 8716. 23 Cass., 15 marzo 1995, n. 3035; Cass., 24 novembre 1999, n.13037. Si rammenta che Cass., 18 febbraio 1985, n.1383 ha ritenuto che l'appaltatore, fino alla consegna dell'opera al committente, detiene l'opera stessa in virtù di un rapporto obbligatorio, onde egli, quale detentore qualificato, è legittimato all'azione di reintegrazione anche nei confronti del committente, con la conseguenza che nel relativo giudizio non può il giudice accertare la legittimità o meno del rifiuto dell'appaltatore di consegnare l'opera al committente, poiché questo accertamento può formare oggetto solo del giudizio petitorio, a norma e nei limiti previsti dall'art. 705 c. p. c., attenendo alla sussistenza o meno di un diritto del committente. 24 Così PROTETTI’ in Detenzione dell’ospite e natura del giudizio divisorio, in Nuovo Dir., 1964, 247. 25 Cass., 20 aprile 1968, n.1213; di diverso avviso si era mostrata remota giurisprudenza di merito, sul presupposto che la relativa pronunzia avesse carattere di mero accertamento, perchè acclarante un diritto già espressamente sancito dalla legge: Pret Borgomanero, 22 febbraio 1962, in Nuovo Dir.,1964, 198, con nota adesiva di DELLE SEDIE.
8
26 Nella specie: la Suprema Corte, alla stregua del suesposto principio, ha ritenuto che correttamente il giudice del rinvio aveva revocato il provvedimento di sequestro giudiziario concesso al convenuto nel giudizio possessorio, in pendenza del
All’opposto si è opinato che colui che è convenuto con l'azione di manutenzione per asserita
violazione di distanze rispetto alla preesistente costruzione dell'attore, non viola il divieto di cumulo
del petitorio con il possessorio se contesa che, a causa dell'illegittimo esercizio del diritto di prevenzione
compiuto dall'attore nell'erigere la sua costruzione, egli non era tenuto al rispetto delle distanze27.
Nel medesimo senso si è affermato che qualora, in relazione al perduto godimento di acqua affluente da
una vasca di raccolta in fondo rustico, venga esperita azione di reintegrazione nel possesso, la
deduzione del convenuto, rivolta a sostenere il suo esclusivo diritto di disporre di detta acqua, integra
eccezione petitoria, e, quindi, incorre nel divieto di cui all'art. 705 c. p. c.28.
Ben può il convenuto in possessorio contestare la legittimazione ad agire fatta discendere dall’attore ex
art. 460 c.c. a mezzo di disconoscimento del testamento, di guisa che è ammissibile l’istanza di
verificazione della scheda testamentaria, mezzo probatorio necessario per confermare l’assunto
attoreo29
Da ultimo, non incorre nel divieto in discorso il convenuto con la azione di manutenzione nel possesso
di una servitù di passaggio, il quale, come proprietario del fondo servente, abbia chiesto l'accertamento
della compatibilità in concreto dell'esercizio della servitù con la facoltà di chiudere il proprio fondo
mediante l'installazione di un cancello e la consegna all'attore di una copia delle chiavi, non
comportando una controversia sull'esistenza della proprietà e non essendo diretto il suddetto
accertamento a contrastare la tutela possessoria, della quale anzi presuppone le condizioni30.
Occorre a questo punto esaminare la connessa questione della proponibilità nel giudizio possessorio
dell'eccezione feci, sed iure feci.
In detto giudizio l'eccezione feci sed iure feci non è ammissibile quando tenda a fare valere non già lo ius
possessionis, cioé l'esistenza di un possesso nello spogliatore, ma lo ius possidendi, e cioé il diritto di
possedere dello spogliatore medesimo31
In altre parole, è consentita se il convenuto tende a dimostrare di aver agito nell'ambito della sua
relazione di fatto, esclusiva o comune, con il bene, mentre deve ritenersi inammissibile se il convenuto
mira a fare accertare il suo diritto sul ben medesimo, non potendo essere desunta in sede possessoria la
ricorso per cassazione proposto contro la sentenza di appello emessa nel detto procedimento: Cass., 10 marzo 1981, n.1339. Coevamente, però Trib. Catania, 24 marzo 1981 ha escluso che il divieto di cumulo riguardi anche il sequestro giudiziario, data la strumentalità del sequestro rispetto alla situazione sostanziale cautelanda. 27 Cass., 12 marzo 1994, n. 2391; Cass., 10 febbraio 1987, n. 1420. Invero, il divieto di proporre il giudizio petitorio da parte del soggetto convenuto nel giudizio possessorio non rileva quando i due giudizi non riguardano la stessa questione e hanno ciascuno un "petitum" diverso, come nel caso in cui i proprietari di due fondi confinanti si contestino reciprocamente d'avere costruito a distanza inferiore a quella regolamentare: Cass., 29 maggio 1999, n. 5242. 28 Cass., 7 agosto 1990, n.7982. 29 Pret. Roma, 26 febbraio 1973, in Giust. Civ., 1974, I, 842. 30 Cass.,, 5 novembre 1990, n.10609
9
31 Cass., 24 maggio 2002, n.7621; Cass., 22 giugno 1995, n. 7067; Cass. 24 marzo 1995 n. 3434; Cass. 24 gennaio 1984 n. 580.
prova del possesso dal regime legale o convenzionale del corrispondente diritto reale, occorrendo,
invece, dimostrare l'esercizio di fatto del vantato possesso indipendentemente dal titolo32.
6) Pronunzia della Corte Costituzionale e problematiche conseguenti
Il primo comma dell’art. 705 c.p.c. è stato in passato più volte tacciato di incostituzionalità in
riferimento agli artt. 42 cpv., 3, 24 II co. Cost33.
La Corte, investita nel 1974 delle relative questioni, le ha ritenute infondate, in quanto, tenuto conto
della ratio dell’istituto rinvenibile nell’interesse pubblico di evitare e limitare al massimo il turbamento
della convivenza civile, non appariva irragionevole in relazione alla diversità della posizione nel giudizio
possessorio dell’attore e del convenuto, sia perchè il convenuto, comunque, non era privato del suo
(eventuale) diritto di proprietà, di cui era solo regolato solo l’esercizio34.
Tale arresto non ebbe una eco del tutto positiva in dottrina.
Difatti, alcuni commentatori35 ebbero a segnalare che
«un giudizio immaginato per difendere un attore qualificato contro un convenuto che si è macchiato di una colpa
grave, e costruito in modo da arrecare a questo convenuto solo sacrifici transeunti, finisce per premiare attori di
qualsiasi tipo, privi di un diritto vero, muniti di un possesso in virtù di un’usurpazione violenta, per mettere in
difficoltà convenuti che solo oggettivamente, ma quasi innocentemente, sono in contrasto con la distribuzione
legale delle situazioni di appartenenza dei beni, e per infliggere a questi sacrifici prolungati e in alcuni casi
irreversibili»; per cui, considerato che vi sono «casi in cui l’esecuzione del giudicato possessorio frustra l’eventuale
futuro giudizio petitorio, il quale disponga in modo diverso e opposto»;
Pertanto palese era, sempre per costoro, l’irrazionalità del principio del divieto del c.d. cumulo, dovuto
alla mera circostanza accidentale della priorità di una domanda rispetto all’altra; irrazionalità che si
traduceva allora in una sostanziale menomazione del diritto di difesa, di cui all’art. 24 della Costituzione.
32 Cass., 3 febbraio 1998, n.1042 33 Pret. Sondrio, 3 dicembre 1971, in Foro It., 1972, I, 1895; Pret. S. Elpidio a Mare, 20 agosto 1971, in Sent. e ord. Corte Cist., 1971, II, 207). 34 Corte Cost., 27 febbraio 1974, n. 41, in Foro It., 1974, I, 987.
1035 SACCO op. cit., 260 ss.
Sulla scorta di tali sollecitazioni36, il 3 febbraio 1992, la Corte Costituzionale ha pronunciato la sentenza
n. 25, che così suona:
3. - Così definita, la questione è fondata in riferimento agli art. 3 e 24, 1° comma, Cost.
Nell’alveo della tradizione del diritto romano comune il giudizio possessorio è organizzato dalla legge come
procedimento speciale, con una prima fase di tipo interdittale improntata alle forme del processo cautelare, e con
un carattere complessivo di celerità. La cognizione sommaria del giudice è giustificata dall’urgenza di intervento del
braccio della legge per ripristinare uno stato di cose alterato dal comportamento arbitrario del terzo, ma è costruita
in modo da arrecare al convenuto, che sia titolare di un diritto sulla (o alla) cosa, un sacrificio transeunte e
reversibile, cui porrà riparo il successivo giudizio petitorio.
Con questa concezione non è coerente – e perciò contrasta col principio di razionalità di cui all’art. 3
Cost. – l’assolutezza del divieto di invocare il proprio diritto che l’art. 705 impone al convenuto,
impedendogli non solo la proposizione di eccezioni ex iure proprio nello stesso processo possessorio, ma
anche, fino a quando il processo non sarà conchiuso e la decisione eseguita, la proposizione di un
separato giudizio petitorio davanti al giudice competente. La norma non tiene conto che, secondo la ratio
sottesa ai procedimenti regolati dagli art. 703 ss. c.p.p., l’autonomia della tutela possessoria è bilanciata, e quindi
limitata, dalla condizione che il pregiudizio arrecato al convenuto possa essere riparato mediante un altro giudizio.
Quando si tratta di cose mobili non registrate, un pregiudizio definitivo e irrimediabile incombe soprattutto
(ma non solo) quando lo spogliato risulti essere un ladro, un ricettatore, un ritrovatore indefele o, come nella
specie, un indiziato di truffa. Rientrato in possesso della cosa, in esecuzione della sentenza di reintegrazione, egli
potrà alienarla a un terzo di buona fede, che ne diventerà proprietario in virtù dell’art. 1153 c.c., applicabile anche
alle cose rubate o smarrite.
In materia immobiliare, l’esecuzione del provvedimento possessorio arreca un danno irreparabile quando lo
spoglio si concreta nella costruzione di un manufatto. In tal caso l’onere di eseguire la decisione prima di proporre
il giudizio petitorio costringe il convenuto a distruggere un’opera che, come risulterà dal successivo giudizio
petitorio, aveva diritto di costruire. Qui l’irrazionalità della deroga portata dal divieto dell’art. 705 al principio di
economia processuale (dolo facit qui petit quod mox redditurus est) è talmente evidente che in passato la Corte di
cassazione, con giurisprudenza pretoria, non esitò ad ammettere in qualche occasione che l’azione possessoria
potesse essere paralizzata dall’esercizio contemporaneo, in separato giudizio, di un’azione petitoria, con
conseguente sospensione dell’ordine di demolizione, anche allo scopo – aggiunse la corte – di evitare all’economia
nazionale «un inutile spreco di ricchezza»37. Sotto quest’ultimo profilo si può notare una incoerenza sistematica tra
l’art. 705 c.p.c. e la disciplina dell’esecuzione in forma specifica degli obblighi di non fare prevista dall’art. 2933 c.c.,
il quale vieta che sia ordinata la distruzione di ciò che è stato fatto in violazione dell’obbligo, «se la distruzione della
cosa è di pregiudizio all’economia nazionale».
4. - Nei casi di irreparabilità del danno inflitto all’avente diritto, l’esecuzione del provvedimento
possessorio, cui è subordinata dall’art. 705 la proposizione del giudizio petitorio, frustra questo giudizio, o
consentendo che nel frattempo il proprietario venga privato del diritto per effetto della regola «possesso vale titolo»
o riducendo l’esito del giudizio al riconoscimento della facoltà di ricostruire ciò che in precedenza egli era stato
36 E previa nuova rimessione della questione da parte di Pret. Messina - Francavilla di Sicilia, ord. 6 aprile 1991, G.U., 1ª s.s., n. 24 del 1991
1137. Cass. 29 gennaio 1929, n. 405, in Foro It.., 1929, I, 242.
costretto a demolire. Si rende così manifesta anche la violazione dell’art. 24 Cost., non essendo qui possibile
sostenere che la tutela possessoria non preclude la tutela giurisdizionale del diritto del convenuto, ma soltanto la
differisce a un giudizio successivo.
Le problematiche poste dal sopra riportato arresto sono essenzialmente di due ordini:
a) quali siano le modalità processuali tramite le quali far valere il pregiudizio irreparabile;
b) che connnotazioni deve avere il pregiudizio per poter esser qualificato come irreparabile.
Le soluzioni offerte dalla dottrina al primo problema sono state le più varie, anche perché il giudice
delle leggi rimane abbastanza ermetico sul punto38,
Esse sono sostanzialmente due: l’una ammette la deducibilità del pregiudizio in via di eccezione nel
corso del giudizio possessorio, l’altra, invece, richiede l’esperimento di un autonomo giudizio, che
sembra essere quella suggerita dalla Consulta.
La tesi della eccezione è stata fatta propria da Proto Pisani39, secondo il quale
a) la portata, normativa, del dispositivo manipolativo di accoglimento della sentenza in rassegna è chiaramente nel
senso di consentire che il convenuto in possessorio possa instaurare giudizio (anche cautelare) petitorio nel caso in
cui al convenuto stesso derivi o possa derivare pregiudizio irreparabile dall’esecuzione del provvedimento
possessorio; b) costituisce principio elementare che l’eccezione di merito ha la funzione di garantire il convenuto
dal pregiudizio che potrebbe derivargli dall’accoglimento della domanda dell’attore; c) è principio generalissimo del
processo che tramite l’eccezione possa farsi valere (oltre ai meri fatti anche) tutto ciò che può costituire
oggetto di una autonoma domanda; ove si consideri tutto ciò mi sembra che si possa ragionevolmente
desumere questa conseguenza – una volta venuto meno il divieto per il convenuto nel giudizio possessorio di
proporre giudizio petitorio finché il primo giudizio non sia definito e la decisione non sia stata eseguita – ed una
volta consentito, come la sentenza consente, che il convenuto in possessorio possa instaurare giudizio petitorio allo
scopo di impedire il pregiudizio irreparabile che gli derivi o possa derivargli dall’esecuzione del provvedimento
possessorio; non sussiste più ragione alcuna perché il convenuto in possessorio, ove ricorra l’estremo
dell’irreparabilità del pregiudizio più volte ricordato, non possa far valere in via di eccezione nel corso
dello stesso giudizio possessorio quelle proprie ragioni petitorie che la sentenza lo legittima a far valere in un
giudizio petitorio allo scopo di impedire il pregiudizio irreparabile che gli derivi o possa derivare dall’esecuzione del
provvedimento possessorio.
Tale opzione ha trovato l’adesione di parte della dottrina40.
Si rammenta come Chiarloni41 evidenzi come non sia accoglibile
38 Secondo PROTO PISANI,in Diritto sostanziale e processo nelle ragioni di Corte cost. 3 febbraio 1992, n. 25 e nelle possibili ricadute sul processo possessorio della applicazione degli art. 669 bis e seguenti c.p.c., in Foro It., 1993, 2011, la sentenza è perplessa nella indicazione della strada attraverso cui neutralizzare un simile pericolo 39 PROTO PISANI in La Corte costituzionale fa leva sull’irreparabilità del pregiudizio per attenuare il divieto di cumulo del petitorio col possessorio, in Foro It., 1992, I, 617; soluzione, questa elaborata a caldo, ma confermata e ribadita nel commento di cui alla nota che precede.
12
40 Implicita è quella di CHIANALE, in Il divieto di cumulo tra possessorio e petitorio, in Giur. It., 1992, I, 1, 1635; esplicita è quella di VACCARELLA, in Azioni possessorie e nuovo procedimento cautelare, in Giust. Civ., 1994, II, 226.
una soluzione per cui il provvedimento di reintegra viene in ogni caso emesso, anche se per andare incontro al
destino di venir paralizzato da un provvedimento successivo
L’autore sottolinea che il controllo dei provvedimenti giudiziari si esercita solo all’interno del medesimo
giudizio, se del caso con l’esperimento dei mezzi di gravame e che è impensabile che il medesimo
giudice adito in possessorio debba, prima disporre la reintegra e, poi, impedire l’attuazione del dato
provvedimento, concedendo il sequestro giudiziario in favore dello spoliator.
Più adesiva al dato letterale della pronunzia della Consulta si presenta la seconda delle cennate
soluzioni.
Cian42 opina che la sentenza de qua, la quale presenta una antinomia nella motivazione e nel dispositivo,
non consente al proprietario di paralizzare il corso del giudizio possessorio, offrendogli unicamente la
possibilità di richiedere un sequestro giudiziario, sia dopo la restituzione del bene allo spoliatus, sia prima
di tale momento, sempre che sia ammissibile un sequestro nelle mani di chi è tuttora in possesso del
bene.
Secondo Pototschnig43 il convenuto in possessorio non può esperire l’azione petitoria fino a che non vi
sia stata almeno la definizione della fase interdittale del giudizio possessorio e la relativa decisione non
sia stata eseguita; egli (lo spoliator che sia anche proprietario), qualora possa subire, a causa di tanto, un
danno irreparabile, potrà sempre proporre – dopo l’emanazione del provvedimento possessorio ma
prima della sua esecuzione – autonoma azione petitoria allo scopo di paralizzare l’efficacia del
provvedimento possessorio attraverso la richiesta di un sequestro giudiziario o di un provvedimento
d’urgenza.
Occorre, a questo punto, riportare talune pronunce della giurisprudenza di merito, che, per essere
state emesse in prossimità della sentenza della Consulta e per la originalità delle soluzioni offerte,
meritano di essere segnalate.
In primo luogo, va menzionata Trib. Verona, ord 16 febbraio 199344, secondo cui il destinatario
passivo del provvedimento possessorio, ove dalla esecuzione di provvedimento possessorio possano
derivare pregiudizi irreparabili alle sue ragioni petitorie, può chiedere al giudice del petitorio
l’emanazione di un provvedimento d’urgenza ex art. 700 allo scopo di paralizzare l’esecutività del
provvedimento possessorio45.
41 CHIARLONI, in Note minime sui procedimenti possessori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, 69. 42 CIAN; in Eccezione ed azione petitoria, in Le nuove leggi commentate, 1992, 790. 43 POTOTSCHNIG in Riv. dir. proc., 1992, 1184 ss.: il quale accetta come fisiologica la possibilità di conflitto tra provvedimenti sommari, posto che costituisce «lo strumento necessario per garantire l’effettività di una autonoma tutela giurisdizionale che non possa trovare rimedi e soluzioni istituzionali nell’ambito del primo procedimento». 44 Foro It., 1993, I, 2010
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45 In tal senso cfr. anche Trib. Milano, 27 luglio 1998, in Giur. It., 1999, 40, nota di GHINETTI, secondo cui è ammissibile esperire il procedimento cautelare d'urgenza, prodromico al giudizio petitorio ordinario, pur in presenza di un giudicato possessorio cautelare ed in
La ordinanza così è motivata sul punto:
La questione riguarda in primo luogo la portata precettiva della sentenza di incostituzionalità relativa all’art. 705
c.p.c. Anche se il dispositivo di essa sembra solo introdurre la possibilità per il convenuto in possessorio, che
dimostri come l’esecuzione della decisione possa per lui essere fonte di un irreparabile danno, di iniziare il petitorio
anche prima della esecuzione stessa, e provocare così nulla di più che la contemporanea pendenza dei due giudizi,
tuttavia la parte motiva della sentenza impone di ritenere che al giudice del petitorio sia concesso di
emettere pure quei provvedimenti cautelari idonei a paralizzare la decisione possessoria, incidendo se del
caso sulla sua esecutività. Ciò perché l’interpretazione contraria finirebbe per mettere nel nulla l’utilità pratica
della pronunzia stessa e frustrare gli scopi apertamente perseguiti dal giudice delle leggi, dato che manca nel nostro
ordinamento una norma che consenta di ritenere assorbita ogni questione relativa allo ius possessionis nel
sopraggiunto giudicato petitorio, come invece esiste in altri ordinamenti, e manca pure una pregiudizialità in senso
tecnico che consenta di sospendere la causa possessoria in attesa del giudizio sulla petitoria. La consolidata e
perfettamente condivisibile giurisprudenza anteriore che, con note motivazioni, nega la possibilità di utilizzare il
provvedimento cautelare atipico per sospendere la esecutività di provvedimenti giurisdizionali, a parere di questo
giudice subisce dunque, in materia di possesso, una necessaria scalfittura per effetto della pronunzia in esame, una
volta accertata la condizione del pregiudizio irreparabile richiamata dalla corte.
Indubbiamente originale è, poi, la soluzione proposta da Pret Monza, 15 ottobre 1993, secondo cui il
convenuto nel giudizio possessorio, in ipotesi di pregiudizio irreparabile, può promuovere
immediatamente il giudizio petitorio anche in via cautelare, ma sarà eseguibile l’eventuale
provvedimento favorevole soltanto dopo l’attuazione della misura resa in sede possessoria.
Quella che segue è la parte motiva che interessa più strettamente il tema in discorso:
Il nuovo 705 c.p.c. può benissimo essere letto nel senso che, nel caso che dalla attesa dell’esecuzione del
possessorio possa derivare un pregiudizio irreparabile al convenuto in possessorio sia consentita
l’instaurazione del petitorio non già per porre nel nulla la tutela possessoria, bensì per consentire
immediatamente dopo l’attuazione di questa, una sollecita attuazione della tutela petitoria. Così
nell’esempio fatto dalla Corte Costituzionale della cosa mobile registrata, la quale sarebbe alienabile dallo spoliator
che non sia titolare dello ius possidendi, con gli effetti propri dell’art. 1153 c.c., una volta che, ad esso fosse
riconsegnata in attuazione della tutela possessoria, l’instaurazione del giudizio petitorio pendente il possessorio o la
sua fase esecutiva e la formazione in esso, a seguito del suo svolgimento, di una situazione probatoria in ordine allo
ius possidendi favorevole al convenuto in possessorio, potrebbe consentire a costui di far valere le sue ragioni
immediatamente dopo la consegna della res in esecuzione del provvedimento di tutela possessoria,
eventualmente anche in base ad un provvedimento di sequestro giudiziario del bene, nei confronti dell’attore in
possessorio, destinato ad avere effetti non appena il bene ad esso fosse stato consegnato in ottemperanza al
provvedimento possessorio .....
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pendenza del merito possessorio, quando l'esecuzione del provvedimento interdittivo sia lesiva in termini definitivi della situazione "qua ante" e di manufatti edificati che dovrebbero essere distrutti, mentre per essi si pone il fondato dubbio che vi fosse diritto di costruirli. In tal senso va letto, con interpretazione costituzionalmente orientata, l'art. 705 c.p.c. come modificato dalla sent. C. cost n. 25 del 1992.
Nell’altro esempio addotto dalla Corte Costituzionale....se gli si consente di ottenere l’accertamento prima
dell’esecuzione del provvedimento possessorio, egli, non appena avvenuta tale esecuzione è nella condizione
di procedere subito all’esecuzione ex novo dell’opera distrutta, posto che il titolare dello ius possessionis è
soggetto all’accertamento avvenuto frattanto nel petitorio oppure all’esercizio di un’azione cautelare inibitoria ex
art. 700 c.p.c., nel caso in cui accertamento con sentenza non sia ancora sopravvenuto
La proposta ricostruzione, d’altro canto, laddove ipotizza una consistente restrizione del significato
dell’irreparabilità in modo che essa non debba essere intesa nel senso che debba discendere di per sé direttamente
dall’esecuzione della misura possessoria, ma dal ritardo dell’attuazione della tutela petitoria scaturente dall’attesa
dell’inizio del giudizio petitorio fino al momento della definizione ed esecuzione del giudizio possessorio...
Non può però non segnalarsi che la dottrina46 non ha del tutto condiviso tale soluzione, prospettando
come la stessa possa condurre a cesure logiche e, comunque, a risultati incongruenti rispetto alla
sentenza della Consulta.
La giurisprudenza di legittimità ha optato per la soluzione della proponibilità delle eccezioni anche
nel corso del giudizio possessorio, di modo che il convenuto in detto giudizio possa opporre le sue
ragioni petitorie quando dalla esecuzione della decisione sulla domanda possessoria potrebbe derivargli
un danno irreparabile, purché l’eccezione sia finalizzata solo al rigetto della domanda possessoria (e non
anche ad una pronuncia sul diritto con efficacia di giudicato) e non implichi, quindi, deroga delle
ordinarie regole sulla competenza.
Così motiva Cass., 22 aprile 1994, n. 3825, che così argomenta la propria tesi:
Con sentenza 3 febbraio 1992, n. 25 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità, per contrasto con gli art. 3
e 24 Cost., dell’art. 705/1 c.p.c. (nella parte in cui subordina la proposizione del giudizio petitorio alla definizione
della controversia possessoria ed alla esecuzione della decisione) nel caso che ne derivi o possa derivarne un
pregiudizio irreparabile al convenuto.
La corte, nella specie da essa esaminata, ha ritenuto che ricorre il caso del pregiudizio irreparabile quando l’onere
di eseguire la decisione possessoria prima di proporre il giudizio petitorio costringe il convenuto a distruggere un
manufatto che potrebe aver avuto diritto a costruire.
La corte – sebbene abbia contemporaneamente dichiarato inammissibile la questione d’incostituzionalità dell’art.
1168/4 c.c. nella parte in cui, prescrivendo che si deve ordinare la reintegrazione «senza dilazione», esclude che il
giudice possa tener conto delle ragioni di natura petitoria opposte dal convenuto nel medesimo giudizio
possessorio – lo ha però fatto – a bene intendere questa parte della motivazione – solamente per l’ipotesi in cui la
cognizione di dette «ragioni» comporterebbe deroga «alle regole (ordinarie) di competenza e di procedura che
governano i «giudizi petitori».
15
46 In Giust. Civ. 1994, 3331, con nota di DELLA PIETRA, secondo il quale la logica della sentenza sovverte le premesse della pronunzia di incostituzionalità. Secondo l’estensore il danno al costruttore – proprietario non discenderebbe dalla distruzione dell’opus, ma dal tempo che questi dovrebbe attendere per sentir accertato il suo diritto ove gli fosse precluso di iniziare il giudizio petitorio prima dell’esecuzione del provvedimento possessorio. .Non è pensabile che il proprietario costruttore, già munito di un provvedimento che accerta – sia pure in base ad una cognizione sia pure sommaria- il suo diritto di mantenere la fabbrica, debba assistere inerte alla distruzione dell’opera, per poi accingersi subito dopo alla riedificazione di un manufatto del tutto identico a quello abbattuto. E’ il buon senso, prima ancora che il diritto, a suggerire che non può essere questo il significato da attribuire alla recente manipolazione dell’art. 705 c.p.c.
La corte – in altre parole – ha inteso escludere che rientri nei suoi poteri una declinatoria d’illegittimità dell’art.
1168/4 tale che, una volta fatta, l’art. 1168/4 si legga nel senso che permette al convenuto nel giudizio possessorio
di opporre nello stesso giudizio le proprie ragioni petitorie e di vedersele riconosciute dal pretore anche se la
cognizione di esse, secondo le ordinarie regole, appartiene ad un giudice diverso.
Così intesa la declaratoria d’inammissibilità della questione d’incostituzionalità dell’art. 1168/4, il
raccordo che deve farsene con la declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 705/1, nella parte in cui
subordina la proposizione del giudizio petitorio alla definizione della controversia possessoria ed
all’esecuzione della decisione», non può non condurre alla conclusione (sulla base della surriportata
interpretazione dell’art. 1168/4 e di quella data all’art. 705/1, che secondo il giudice costituzionale impedisce al
convenuto non solo la proposizione di un separato giudizio ma anche la proposizione di eccezioni ex iure proprio
nel medesimo processo possessorio) che il convenuto è legittimato a far valere le proprie «ragioni» petitorie,
sempre che la tutela chiesta dall’attore sia da attuarsi mediante distruzione di un bene immobile alla sola
condizione che la cognizione di tali ragioni, per la sede processuale e la forma in cui sono dedotte, non
implichi deroga alle ordinarie regole di competenza.
Se così non fosse, se, cioè, non si potesse pervenire a tale conclusione, non si comprenderebbe perché nella
normativa che attualmente regola la materia, come effetto della sentenza della Corte costituzionale, dovrebbe essere
ritenuto legittimo ordinare la distruzione di un immobile già con l’ordinanza di cui al 5° comma dell’art. 689, se non
addirittura con il decreto di cui al 1° comma, nonostante che il convenuto abbia contestualmente opposto il
proprio diritto di costruirlo, diritto il cui azionamento, in separata sede e nelle dovute forme (con citazione e con i
tempi lunghi che ciò comporta per notificazione, costituzione e così via), non raggiungerebbe ormai più quello
scopo, di evitare un pregiudizio immediato e irreversibile, che ha ispirato la declaratoria d’incostituzionalità della
normativa precedente per contrasto e con l’art. 3 Cost. (irrazionalità) e con l’art. 25 Cost. (il giudizio petitorio si
ridurrebbe – sottolinea il giudice costituzionale – al riconoscimento al proprietario «della facoltà di ricostruire ciò
che in precedenza egli era stato costretto a demolire»).
Nella specie, ricorre puntualmente la condizione suddetta, perché le «ragioni petitorie» dei convenuti hanno
assunto la forma di semplice eccezione, finalizzata al solo rigetto della domanda possessoria dell’attore e non anche
ad una pronuncia con efficacia di giudicato sul diritto.
Il giudice del processo possessorio emetterà pertanto una sentenza limitata alla definizione della sola controversia
sul possesso.
E nel medesimo senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità successiva47, la quale ha ribadito che
il convenuto in giudizio possessorio può opporre le sue ragioni petitorie quando dalla esecuzione della
decisione sulla domanda possessoria potrebbe derivargli un danno irreparabile, purchè l'eccezione sia
finalizzata solo al rigetto della domanda possessoria (e non anche ad una pronuncia sul diritto con
efficacia di giudicato) e non implichi, quindi, deroga delle ordinarie regole sulla competenza..
L’accoglimento di tale opzione comporta che, nella, invero, improbabile ipotesi in cui siffatta eccezione
non sia sollevata già nel corso della fase sommaria, tale facoltà processuale resta soggetta alle
16
47 Cass., 30 ottobre 1998, n. 10862: Le ragioni petitorie del convenuto devono poi assumere, in detta ipotesi, la forma di semplice eccezione, finalizzata al solo rigetto della domanda possessoria e non anche ad una pronuncia con efficacia di giudicato sul diritto e il giudice del processo possessorio dovrà pertanto emettere una sentenza limitata alla definizione della sola controversia sul possesso; Cass.3 febbraio 1998, n. 1042; Cass., 26 gennaio 1995, n.951; Cass., 6 dicembre 1995, n.12579
preclusioni assertive ora vigenti, per cui rimane non esercitabile, superato il termine di cui al secondo
comma dell’art. 180 c.p.c..
Può ora passarsi all’esame della seconda questione conseguente alla pronuncia del giudice delle
leggi: quali connotazioni deve avere il pregiudizio per definirsi come irreparabile, dando così la
stura alla deroga al divieto di cumulo fra possessorio e petitorio.
E’ chiaro che arduo è il compito dell’interprete, il quale, in mancanza di parametri certi (al di là degli
esempi già prospettati dal giudice delle leggi) deve far ricorso al suo prudente apprezzamento per
sussumere la fattispecie concreta alla disposizione come risultante dalla sentenza manipolativa-additiva
del 1992.
Rientra allora fra i poteri-doveri del giudice di merito prendere in esame le eccezioni petitorie proposte
dal convenuto, verificando in modo puntuale la sussistenza dei presupposti che, ai sensi della citata
sentenza della corte costituzionale, lo consentono nel giudizio possessorio (senza con ciò pronunciare,
con efficacia di giudicato, sul "diritto" delle parti, atteso che il "thema decidendum" verte sul possesso).
In mancanza si contravviene all'esigenza di ordine pubblico - integrante la "ratio" dell'art. 705 c.p.c., pur
dopo la pronuncia di parziale illegittimità costituzionale della norma - di evitare che l'azione petitoria,
diretta ad accertare l'inesistenza dello "jus possidendi" in capo all'attore in possessorio, possa essere
esercitata dal convenuto nel giudizio possessorio prima che la tutela della situazione di fatto ("jus
possessionis") sia integralmente attuata.
E’ poi parimenti logico che siffatta attività ermeneutica deve essere condotta in guisa tale da non
svuotare il contenuto di una tutela bimillenaria, rendendola così meramente canzonatoria48
Si è così affermato che il pregiudizio irreparabile va limitato ai danni materiali e non può essere esteso al
danno giuridico derivabile al convenuto dalla pendenza, oltre il limite del ragionevole, del giudizio
possessorio e dal connesso approssimarsi del termine per il compimento dell'usucapione
Così sul punto Cass. 20 giugno 2001, n.836749:
Quanto all'individuazione del pregiudizio irreparabile, cioé del limite all'operare del divieto di cui all'art. 705
c.p.c., nella richiamata sentenza n. 25 del 1992 si riconosce esplicitamente che l'esecuzione di un
provvedimento possessorio può determinare un pregiudizio di tale specie: a) in ipotesi di beni mobili non
registrati "soprattutto (ma non solo) quando lo spogliato risulti essere un ladro, un ricettatore, un ritrovatore
infedele o un indiziato di truffa; rientrato in possesso della cosa, in esecuzione della sentenza di reintegrazione, egli
potrà alienarla a un terzo di buona fede, che ne diverrà proprietario in virtù dell'art. 1153 c.c., applicabile anche alle
cose rubate"; b) in materia immobiliare "quando lo spoglio si concreta nella costruzione di un manufatto; in tal
caso l'onere di eseguire la decisione prima di proporre il giudizio costringe il convenuto a distruggere un'opera che, 48 In ciò non può non sottoscriversi l’affermazione di Pret. Monza, 15 ottobre 1993, che, altresì, evidenzia il rischio, già prospettato in dottrina, di recare svantaggio all’attore in possessorio in tutti i casi in cui questi, pure titolare dello ius possidendi, si trovi nella impossibilità di dimostralo senza lo svolgimento di adeguata cognizione . 49 in Giur. It., 2002, 45
17
come risulterà dal successivo giudizio petitorio, aveva diritto di costruire". Quindi, come correttamente rilevato
dal giudice a quo, la nozione di irreparabilità del pregiudizio è stata dal giudice delle leggi
inequivocabilmente individuata nella perdita materiale e irreversibile del bene.
Sul punto, è opportuno soggiungere che i pregiudizi giuridici sono dedotti dal ricorrente in maniera estremamente
generica quanto alla loro effettività e incombenza. Non viene specificato neanche quando maturerebbe la paventata
prescrizione acquisitiva. Peraltro, è appena il caso di rilevare che tanto l'azione, quanto l'eccezione petitoria,
ancorché irritualmente esperita o sollevata nel corso del giudizio possessorio nonostante il divieto posto dall'art.
705, primo comma, c.p.c., sul piano sostanziale sono idonee ad interrompere l'usucapione a norma degli articoli
1165 e 2943 c.c., costituendo esercizio del diritto di proprietà e manifestazione della volontà del suo titolare di
evitarne la perenzione (cfr. Cass. n. 379/1995).
Analogamente non viene specificato dall'esercizio di quali "azioni di annullamento" si teme la decadenza né quando
questa si verificherebbe.
Difetta quindi di rilevanza la eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 705 c.p.c., sollevata in tesi di subordine
dal ricorrente con la memoria illustrativa sotto il profilo che detta norma, ove interpretata nel senso indicato dal
giudice a quo, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, comma primo, 24 e 42, commi secondo e terzo, Cost.
Passando ad una più stretta casistica, non è stata preclusa la tutela di tipo petitorio al convenuto in un
giudizio per la manutenzione dell'esercizio del possesso di una servitù di passaggio qualora dalla
definizione della controversia possessoria e dall'esecuzione della decisione effettivamente derivi o possa
derivare un pregiudizio irreparabile al convenuto stesso50.
Mette conto segnalare, poi, due pronunce del Tribunale di Napoli, con le quali, in una, è stata negata la
sussistenza delle condizioni per fare applicazione del decisum della Consulta, e nell’altra, viceversa, la
proposta eccezione è stata ritenuta fondata.
Così nel primo caso ha motivato, Trib. Napoli, 31 ottobre 2001
Con i primi due motivi di appello il Longobardo assume l’erroneità della sentenza per non avere tenuto
conto del proprio buon diritto, a tutela del quale avrebbe agito apponendo la rete all’arco dal quale il Serpe
esercitava il passaggio dalla sua proprietà al viale privato, assumendo che tale condotta costituirebbe l’esercizio di
una propria facoltà legittima.
Ha sostanzialmente proposto l’eccezione tradizionalmente definita come “ feci sed iure feci “, la cui
ammissibilità è stata ampiamente dibattuta in giurisprudenza, stante il divieto di cui all’art. 705 c.p.c. di proporre
azione petitoria in pendenza del giudizio possessorio.
Infatti sebbene tale ultima norma faccia espresso riferimento al divieto di proporre domanda petitoria
sinchè il giudizio possessorio non sia stato definito e la decisione non sia stata eseguita, e quindi in linea astratta
possa ammettersi la possibilità di avanzare una siffatta eccezione, si è però precisato che la stessa deve essere
unicamente finalizzata a verificare se con la propria condotta il resistente non abbia superato i limiti del proprio
possesso, nell’ambito di una coesistenza di possessi analoghi e quindi di conflitto tra i medesimi ( cfr. ex multis
Cassazione civile 11 luglio 1974 n. 2069; Cassazione civile 11 febbraio 1977 n. 614; Cassazione civile 30 giugno
1850 App. Cagliari, 11 gennaio 1994, in Riv. Giur. Sarda, 1994, 728, con nota di TUVERI.
1982 n. 3939). Viceversa laddove tramite tale eccezione tenda non già a far valere lo ius possessionis bensì lo ius
possidendi, viene ad essere imposta un’indagine di carattere prettamente petitorio, preclusa, per quanto detto, nella
fase possessoria; ciò sicuramente accade laddove il convenuto non si limiti a negare di avere invaso l’altrui
possesso, essendo la propria condotta estrinsecazione di un possesso ( o di norma compossesso) precedentemente
esercitato, ma intenda far valere il proprio diritto alla modificazione della situazione possessoria preesistente
(Cassazione civile 29 maggio 1986 n. 3645).
Tale situazione ricorre indubbiamente nella fattispecie, nella quale il Longobardo non ha assunto di avere
con la propria condotta continuato a manifestare uno ius possessionis già in precedenza esercitato, bensì di avere
inteso riaffermare il proprio diritto di proprietà, con una palese modificazione dello status anteriore (chiusura
dell’arco).
L’eccezione in oggetto è quindi inammissibile con la conseguenza che devono essere rigettati i primi due
motivi di appello, apparendo sul punto corretta la statuizione appellata nella parte in cui non ha ritenuto di dare
ingresso alle deduzioni petitorie sollevate dal Longobardo.
In ogni caso anche a voler diversamente opinare, il diritto petitorio dell’appellante non avrebbe giammai
potuto spingersi sino al punto di arrivare ad intercludere totalmente il diritto di passaggio tramite l’arco de quo,
potendo al più ottenere la cessazione dei comportamenti delle appellate idonei a porre in essere un aggravamento
del diritto di passaggio.
Analogamente deve essere rigettato il terzo motivo di appello attinente alla declaratoria di inammissibilità
della domanda riconvenzionale proposta dal Longobardo e finalizzata ad ottenere l’adozione da parte del Pretore
dei provvedimenti per il rispetto del diritto a non vedere aggravata la servitù di passaggio, essendo chiaramente
un’azione di natura petitoria e come tale improponibile fino all’esito del giudizio possessorio, secondo quanto
statuito dal richiamato art. 705 c.p.c.
Né l’intervento della Consulta sul dettato di tale ultima norma è destinato ad avere influenza nel presente caso,
posto che la deroga al divieto in questione può trovare spazio solo laddove derivi o possa derivare al resistente un
pregiudizio irreparabile, pregiudizio assolutamente non dedotto e comunque non ravvisabile per effetto
dell’accoglimento della domanda possessoria, ben potendo l’appellante far valere in un momento successivo le
proprie ragioni in un autonomo giudizio petitorio.
Viceversa tale è il tenore della seconda pronuncia, Trib. Napoli, 21 novembre 2001: Ebbene, sempre facendo riferimento alla vicenda che ci occupa, appare prima facie la fondatezza delle
ragioni petitorie del Bullo, in quanto a voler ritenere preclusa per il vicino la possibilità di edificare in aderenza al
fabbricato del confinante, e nel caso in esame chiudendo le luci esistenti tra i pilastri, si introdurrebbe un comodo
sotterfugio per consentire al preveniente che abbia edificato sul confine di impedire al vicino di poter anche egli
porsi con la propria costruzione sul confine, così come è previsto dalla disciplina generale in tema di distanze tra
fabbricati.
Infatti, basterebbe al preveniente, che in un primo momento arresti la propria costruzione prima del
confine, realizzando una veduta a distanza superiore al metro e mezzo ed inferiore a tre metri, e poi prolunghi la
propria costruzione fino al confine, mantenendo una pretesa veduta che costringa il vicino a rispettare la distanza di
tre metri dalla stessa senza quindi potersi avvalere della facoltà di edificare sul confine.
L’irrazionalità cui porta tale soluzione rende appunto evidente la fondatezza delle ragioni petitorie del
Bullo.
A ciò deve poi aggiungersi che nelle more del giudizio, la costruzione dell’appellante è stata portata a
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termine – così come si evince dalle foto allegate alla perizia giurata in atti, sicché l’accoglimento della domanda
possessoria implicherebbe l’ordine di abbattimento della stessa, nonostante sul piano petitorio possa reputarsi
legittima la decisione del Bullo di costruire in aderenza. Ricorre pertanto quale pregiudizio irreparabile cui fa
riferimento l’intervento additivo della Consulta all’art. 705 c.p.c., che impone quindi, anche sotto tale profilo –
esaminato peraltro solo ad abundantiam – il rigetto della domanda possessoria.
La sentenza di primo grado deve essere quindi riformata, dovendosi pervenire al rigetto della domanda
avanzata dagli appellati.
20
Parte Seconda
Domande di provvedimento possessorio nel corso del giudizio petitorio
L’art. 704 I co. c.p.c. prevede che ogni domanda relativa al possesso, per fatti che avvengono durante
la pendenza del giudizio petitorio, deve essere proposta davanti al giudice di quest’ultimo.
E’ di tutta evidenza che con l’introduzione del giudice unico di primo grado tale disposizione ha perso
la gran parte della sua rilevanza, venendo, in passato, applicata in funzione di deroga della competenza
funzionale attribuita al pretore in materia possessoria51.
Non è pleonastico qui rammentare che della citata disposizione si è data un’interpretazione restrittiva,
di modo che essa non possa implicare il sacrificio del doppio grado di giurisdizione52 (è dunque non
configurabile che il giudice in composizione monocratica del tribunale declini la propria competenza in
favore della corte di appello, presso cui penda la controversia petitoria).
Resta allora solo la solo teorica ipotesi di azione petitoria avente ad oggetto un bene mobile, di valore
inferiore a cinque milioni (€ 2582,28), di competenza del giudice di pace.
Secondo la giurisprudenza53, la disposizione ora in commento attribuisce al petitorio la competenza in
ordine alle controversie possessorie per fatti verificatisi successivamente alla proposizione del giudizio
petitorio54, che deve pendere fra le stesse parti coinvolte nel giudizio possessorio, restando, comunque,
irrilevante soltanto che a quest’ultimo partecipino anche altri soggetti.
Nessun ostacolo alla devoluzione ex art. 704 c.p.c. al giudice della causa petitoria della cognizione del
merito possessorio può derivare dall'avvenuta definizione della prima, essendo soltanto necessario,
onde determinare lo spostamento di cui alla menzionata norma, che il ricorso per interdetto possessorio
sia stato proposto nella "pendenza" del giudizio petitorio55.
Per la nozione di giudizio petitorio possono qui richiamarsi le osservazioni in epigrafe esposte in
relazione ai profili sostanziali conseguenti al divieto di cumulo ex art. 705 c.p.c..
f t
51 E’ chiaro che, in virtù del disposto di cui all’art. 21 c.p.c., non è usualmente (quanto meno per i beni immobili) ipotizzabile alcun differente criterio di radicamento della competenza territoriale per le controversie petitorie e per quelle possessorie. 52 Onde il pretore non poteva declinare la propria competenza a favore del giudice del petitorio quando questo penda in grado di appello: Cass., 26 febbraio 1993, n. 2444, in Arch. Civ., 1993, 693; nei medesimi termini Cass., 12 dicembre 2000, n. 15659. 53 Cass., 21 luglio 2003, n. 11346; Cass., 11 agosto 1990, n. 8203; Cass., 29 settembre 1994, n. 7954; L'art. 704 c.p.c., derogando alla generale regola della competenza funzionale del pretore in materia possessoria (art. 8 e 703 c.p.c.), riserva al giudice del giudizio petitorio la competenza sulla domanda possessoria solo quando questa sia relativa a atti successivamente commessi dalle par i del predetto giudizio e presuppone, pertanto, non solo la connessione oggettiva delle due cause e l'anteriorità del giudizio petitorio rispetto all'accadimento dei fatti dedotti come lesivi del possesso ma anche l'identità soggettiva delle parti, la quale ricorre solo se tutte le parti del giudizio possessorio siano presenti in quello petitorio ed esclude, conseguentemente, la possibilità di estendere al giudice del giudizio petitorio la competenza sulle domande possessorie proposte da una delle parti del giudizio petitorio contro i terzi estranei a tale giudizio, così: Cass. , 5 ottobre 1993, n. 9843 54 Si rammenta, però, che Cass., 24 gennaio 1983, n. 684, in Giust. Civ., 1983, 2408 ha ammesso l’applicabilità della norma in rassegna anche al caso di denunzia in pendenza di petitorio di fatti insorti anteriormente alla proposizione di tale giudizio. Tesi non condivisa da D’ATTOMA, in id., 1983, 2411 e da NICOTINA, in ibidem., 1983, 3008-3010.
2155 Cass., 24 novembre 1999, n.13037.
Si avverte, però, che si è esclusa la operatività di siffatta norma, solo allorchè il giudizio petitorio sia
stato instaurato per contestare, con finalità recuperatorie della cosa (o del godimento pieno o della
libertà della stessa), che il soggetto, con cui questa è in rapporto (jus possessionis), abbia anche il diritto
di possederla ed i fatti lesivi successivamente verificatisi abbiano inciso su quella situazione di possesso,
e non anche nel caso in cui abbia ad oggetto il ripristino di una detenzione cosiddetta autonoma o
qualificata, in corrispondenza ad un rapporto solo obbligatorio56.
22
56 Cass., 25 agosto 1990, n.8744; Contra Cass., 15 maggio 1990, n.4174, secondo cui L'equiparazione del cosiddetto detentore qualificato al possessore vero e proprio ai fini della legittimazione all'azione di reintegrazione (art. 1168 c. c.), non trova deroga con riguardo alla disciplina disposta negli art. 703 segg. c. p. c., sicché ai fini della discriminazione della competenza nelle ipotesi previste dall'art. 704 c. p. c. il termine <giudizio petitorio> contenuto nello stesso art. 704, va interpretato estensivamente, ricomprendendo in esso anche le cause in cui il diritto relativo alla cosa oggetto della tutela ex art. 1168 c. c. abbia natura non reale, in conformità alla ratio ispiratrice della norma (art. 704 2° comma c. p. c.) che attribuisce la rivedibilità dei provvedimenti temporanei indispensabili concessi dal pretore al giudice che, per essere stato investito della cognizione piena della controversia, si trova nelle condizioni migliori per attuarla .
Parte Terza
Efficacia del giudicato possessorio nel giudizio petitorio
E’ dato pacifico che il giudicato possessorio non può spendere alcun effetto giuridicamente rilevante
rispetto allo ius possidendi, anche se i titoli siano stati presi in esame ad colorandam possessionem.
Il giudicato possessorio ha rilievo unicamente con riguardo al preteso spoglio, ovvero all’assunta
turbativa, ma non può essere invocato nel giudizio destinato ad accertare l’esistenza effettiva del diritto.
Dal che consegue che fra giudizio possessorio e giudizio petitorio non possono sussistere nè
litispendenze, nè continenza, nè connessione e, neanche, vi sono gli estremi per disporre la sospensione
ex art. 295 c.p.c. del primo giudizio a seguito della instaurazione di quello petitorio, non correndo un
rapporto di pregiudizialità fra le cause57.
Nè l’acquiescenza che la parte abbia eventualmente prestata ad un provvedimento possessorio di
reintegrazione contro di essa pronunciato spiega alcuna influenza sul successivo giudizio petitorio58
E’ interessante richiamare quanto nella soggetta materia statuisce Cass., 13 giugno 1994, n. 573259:
I ricorrenti deducono, inoltre, che non poteva la Corte di Appello, senza violare il disposto dell'art. 2909 c.c.,
ritenere una insistente preclusione nascente dall'art. 705 c.p.c. circa il costituirsi di un giudicato implicito od esterno
in ordine ai fatti che costituivano le necessarie premesse dell'accertamento relativo alla pronunzia.
Neppure questo motivo può essere accolto.
Correttamente, invero, la Corte di Appello ha disatteso l'eccezione di giudicato proposta in appello con riferimento
al precedente giudizio possessorio sulla base del principio affermato da questa Corte, secondo cui le azioni
proposte rispettivamente, in sede possessoria e petitoria, pur nella eventuale identità soggettiva, sono
caratterizzate dalla assoluta diversità degli ulteriori elementi costitutivi (causa petendi e petitum) e,
conseguentemente, i procedimenti e le soluzioni adottate in sede possessoria, lasciando impregiudicata ogni
questione sulla legittimità della situazione oggetto di tutela, non possono influire sull'esito del giudizio
petitorio, né le prove acquisite nel giudizio possessorio possono essere richiamate nel giudizio petitorio,
in favore dell'una o dell'altra parte (v. sent. 16 dicembre 1986 n. 7557; 9 ottobre 1979 n. 5240; 12 maggio 1979
n. 2741; 24 maggio 1977 n. 2152).
Puntuale è il rilievo del giudice d'appello, per il quale nella fattispecie concreta ben può dirsi formato il giudicato
sulla qualità del possesso idoneo all'esperimento delle azioni possessorie, ma non sulla qualità di un possesso ad
usucapionem, il cui accertamento non era stato devoluto al giudice del possessorio
57 LEVONI; op. cit., 1263; CIAN, op. cit., 790; Pret. Roma, 28 marzo 1968, in Temi Rom,1968, 517.. 58 Cass., 9 maggio 1987, n. 4291.
2359 Nel medesimo senso cfr. Cass., 20 luglio 1999, n. 7747
Su tali presupposti si è affermato che i provvedimenti possessori emessi dal giudice del petitorio o dal
pretore a norma del comma 2 dell'art. 704 c.p.c. hanno carattere puramente incidentale, ed essendo
destinati a venir assorbiti dalla sentenza definitiva che decide la controversia petitoria e che costituisce
l'unico titolo per regolare in via definitiva i rapporti di natura possessoria e o petitoria in contestazione
tra le parti, con la conseguenza che il giudice del petitorio, una volta esclusa l'esistenza del diritto da cui
si pretende derivare il possesso, deve necessariamente negare che quest'ultimo sia suscettibile di
protezione giuridica con la conseguente revoca degli stessi provvedimenti possessori interinali60.
All’inverso la parte vittoriosa in petitorio non può ex se invocare gli accertamenti compiuti con la
relativa sentenza, nel giudizio possessorio, in cui è stata convenuta da un terzo estraneo al giudizio
petitorio61.
Interessante è poi il caso esaminato dal tribunale partenopeo, riguardante l’ipotesi in cui, emessa in
sede petitoria una sentenza di accertamento negativo, prima che essa passi in giudicato, la parte
vittoriosa in sede petitoria spogli, in virtù di detta pronuncia, la parte soccombente del possesso
corrispondente al diritto, proprio oggetto del detto arresto.
Così sul punto, accogliendo la richiesta di interdetto, ha statuito Trib. Napoli, 23 aprile 2002:
Reputa lo scrivente che in primo luogo mette conto di esaminare i rapporti fra il giudicato possessorio in atti e
la sentenza resa dal Tribunale di Napoli, nel cui dispositivo è dato di leggere: accoglie per quanto di ragione la
domanda attrice e dichiara il fondo di Buono Anna di cui in narrativa esente da servitù di passaggio pedonale
a favore del fondo del convenuto.
Si tratta, dunque, di vagliare i rapporti fra giudizio possessorio e giudizio petitorio, onde, segnatamente,
verificare se sia sufficiente una pronuncia petitoria non ancora caduta in giudicato di mero accertamento
negativo per porre nel nulla la statuizione possessoria
Occorre vagliare i rapporti fra giudizio possessorio e giudizio petitorio, onde, segnatamente, verificare se sia
sufficiente una pronuncia petitoria non ancora caduta in giudicato di mero accertamento negativo per porre nel
nulla la statuizione possessoria.
Invero, è noto il principio generale per cui l’accertamento contenuto in una sentenza resa in un giudizio
possessorio è recessivo rispetto a quello pronunciato a conclusione di un giudizio petitorio, dovendo la
situazione di fatto adeguarsi a quella di diritto, e non viceversa.
Da ciò segue la condivisibile affermazione contenuta nella comparsa di risposta della Buono, per cui la
sentenza che accerta con forza di giudicato la inesistenza della servitù di passaggio, esaurendo interamente la
tutela giuridica richiesta, consente di conseguire direttamente la cessazione della condotta antigiuridica posta in
essere dal confinante, la cui situazione possessoria, per intrinseca forza del giudicato, rimane priva di tutela nei
confronti del titolare del diritto. Dacché questo ben può apporre nell’esercizio delle proprie facoltà di pieno
60 Cass., 29 aprile 2003, n. 6648; Cass., 19 aprile 1994, n.3718.
2461 Cass., 18 giugno 1973, n. 1776.
proprietario del fondo apporre un cancello a protezione del proprio fondo, senza perciò violare la sfera
giuridica del precedente possessore, salvo un eventuale quid novi (Cass., 26 giugno 1987, n. 5637).
E’, però, da ritenersi che tale principio non possa nella fattispecie trovare applicazione, non essendo assistita la
sentenza petitoria dal giudicato.
Assume parte resistente che tale circostanza sarebbe in ogni modo irrilevante, attesa la novella formulazione
dell’art. 282 c.p.c..
La tesi, benché condivisa da dottrina autorevole, ma minoritaria, non convince.
Invero, si deve osservare che, secondo l'orientamento prevalente della dottrina e condiviso dalla Corte di
Cassazione (Cass. 26 gennaio 1972, n. 185; Cass, 21 dicembre 1977, n. 5670; Cass. 12 aprile 1979, n. 2163;
Cass. 21 giugno 1985, n. 3738; Cass., 6 febbraio 1999, n. 1037, nonché Cass., 12 luglio 2000, n. 9236, secondo
la quale, nonostante le indicazioni ricavabili dai lavori preparatori, la soluzione di segno restrittivo merita
adesione) e dalla giurisprudenza di merito (Corte d’Appello Venezia, 28 giugno 1996; Trib. Como, 2
novembre 1999), l'anticipazione dell’efficacia della sentenza rispetto al suo passaggio in giudicato riguarda la
sola esecutività della sentenza, con la conseguenza, per la necessaria correlazione tra condanna ed esecuzione
forzata, che la disciplina dell'esecuzione provvisoria ex art. 282 c. p. c. trova espressione solo nella sentenza di
condanna, poiché è l'unica che possa, per sua natura, costituire titolo esecutivo. Il concetto stesso di esecuzione
postula, infatti, un’esigenza di adeguamento della realtà al decisum, che, evidentemente, manca sia nelle
pronunce di natura costitutiva che in quelle di accertamento. In queste ultime, segnatamente, l’efficacia di
accertamento altro non è che la cosa giudicata materiale che, come dispone l’art. 2909 c.c., non si manifesta
prima del passaggio in giudicato della sentenza.
Sotto questo profilo occorre ribadire che il giudicato sostanziale sia condizionato alla sussistenza del giudicato
formale: e, quindi, va escluso che l’accertamento contenuto in una sentenza non passata in giudicato abbia
comunque un’autonoma autorità, se non per limitatissimi effetti.
La diversa tesi, che argomenta dall’art. 337 co. secondo comma c.p.c. (norma che, nel riproporre il contenuto
degli artt. 504, 515 c.p.c. 1865, non è stata ben coordinata con l’art. 295 c.p.c.), non risulta essere stata fatta
propria dalla migliore dottrina oltre che dalla giurisprudenza (Cass., 3 luglio 1987, n. 5840), la quale, appunto,
ha denegato alla sentenza non ancora passata in giudicato un’efficacia di primo livello: una sorta di grado
prodromico dell’autorità definitiva.
In particolare, non va sottaciuto che, già argomentando dagli artt. 297 c.p.c., 2909 c.c. e dall’espressione
“autorità”, alcuna dottrina esclude che la sentenza abbia efficacia dichiarativa vincolante in un diverso
processo sin dalla sua pubblicazione.
Il sin qui detto, vale a dire che l’efficacia vincolante della sentenza è propria solo della sentenza non più
impugnabile con i mezzi indicati dall’art. 324 c.p.c., conferma la bontà dell’opzione interpretativa sopra
esposta in ordine alla non sussumibilità nell’ambito applicativo dell’art. 282 c.p.c. della sentenza di mero
accertamento.
Passando, dunque, alla fattispecie in esame, non può sottacersi che parte resistente obietta che la sentenza resa
dal Tribunale di Napoli possa annoverarsi fra le pronunce di accertamento mero, perché emessa a seguito
dell’esperimento dell’azione di cui all’art. 949 II co. c.c.
Invero, è però da evidenziarsi che nell’arresto agli non vi è traccia di alcuna condanna rivolta a parte istante (e
ciò né nella parte motiva, né tantomeno nel dispositivo); il che, pur – eventualmente - risolvendosi in una
violazione del principio espresso dall’art. 112 c.p.c., non consente, appunto, allo scrivente di assegnare al
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cennato dictum il valore di pronuncia di condanna, ex se provvisoriamente esecutiva. La stessa odierna
resistente dimostra di essere consapevole di ciò: diversamente, non avrebbe interposto sul punto appello
incidentale (neanche condizionato) alla sentenza del giudice del petitorio.
Da tanto deriva l’irrilevanza giuridica ai fini che occupano della sentenza petitoria, perché essa allo stato non
può neutralizzare gli effetti della precedente sentenza possessoria, non essendo idonea né a rendere
oggettivamente antigiuridica la pratica di passaggio, che il Pesce assume di esercitare, né a legittimare la
condotta che la Buono riconosce di aver posto in essere.
Fulvio Troncone
Magistrato presso il Tribunale di Napoli
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