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Le 5 domande di questo mese hannoun destinatario molto speciale, chemagari qualche vostro fratello piùgrande ha già conosciuto al “C’è dipiù”, la festa dei giovanissimi... Sitratta di don Luigi Ciotti: non solo unsacerdote, ma anche un onesto citta-dino al servizio della gente, semprepronto a portare un segno di spe-ranza, di amore e di pace a tutti co-loro che ne hanno bisogno. Ecco l’oc-casione per conoscerlo meglio!

Ciao don Luigi, parlaci un po’di te, di quando eri ragazzo, dicome è nata la tua vocazione,

del perché ti sei sempre impe-gnato a favore degli ultimi...

La vocazione è qualcosa che nascedentro di te, ma che scopri solo seimpari a guardarti intorno: a con-frontarti con gli altri e a capire cosasuccede nella realtà in cui vivi. Io abi-tavo a Torino, dove mi ero trasferitoda piccolo con la mia famiglia, origi-naria delle montagne del Cadore, inVeneto. Quella grande città avevadato a mio padre, come a molte altrepersone arrivate da lontano, un la-voro e la possibilità di farci vivere di-gnitosamente. Ma a una certa età hocominciato ad accorgermi che nontutti avevano avuto le stesse oppor-tunità: forse perché più fragili e soli,o soltanto più sfortunati, alcuni re-stavano “esclusi” dal benessere edalla felicità. Vedevo intorno a me

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Don Luigi Ciotti

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grandi magistrati, Falcone e Borsel-lino, con la moglie del primo Fran-cesca e i poliziotti incaricati di pro-teggerli: Vito Schifani, Rocco Dicillo,Antonio Montinaro, Agostino Cata-lano, Emanuela Loi, Vincenzo LiMuli, Walter Eddie Cosina e ClaudioTraina (è importante citarli tutti, per-ché il primo diritto di ogni persona èquello di essere chiamata per nome).Era stato anche pensando al sacrifi-cio di persone come loro che l’annosuccessivo Papa Giovanni Paolo II,da Agrigento, aveva lanciato un“grido” contro la mafia, definita “ci-viltà di morte”, incompatibile colVangelo. Il suo appello ai mafiosi af-finché si convertissero non avevaperò fermato la violenza, che anziaveva cominciato a rivolgersi anchecontro coraggiosi uomini di Chiesa,come don Pino Puglisi e don PeppeDiana. Mentre alcune bombe piaz-zate a Roma, Milano e Firenze man-davano il segnale che nessuno, in Ita-lia, poteva sentirsi al sicuro dallacriminalità organizzata.Di fronte a tutto questo, molti italianiavevano sentito il bisogno di mobili-tarsi, di fare la propria parte accantoai magistrati e alle forze di polizia perdifendere la legalità e rafforzare lademocrazia. Ma mancava un coordi-namento, una comunicazione capacedi trasformare le singole iniziativesparse sui territori in un impegno col-lettivo, e dotato di continuità. Come prima cosa, abbiamo pensatoservisse l’informazione: la gente do-veva avere gli strumenti per capirecosa stava succedendo, per reagire nelmodo più efficace. È nata così “Nar-

tante povertà, ingiustizie, e la grandedisuguaglianza fra chi aveva tutto echi nulla, o quasi, dalla vita. E sen-tivo che erano situazioni inaccettabili:situazioni che potevano cambiaresolo se tutti, me compreso, si fosserorifiutati di accettarle. A 17 anni, tornando da scuola, ho no-tato un uomo anziano sempre sedutoalla stessa panchina, che gli faceva dacasa. È dall’incontro con lui - un me-dico che aveva rinunciato alla suaesistenza tranquilla perché sconvoltodall’aver involontariamente provo-cato la morte di una paziente - che ènata la scelta di fondare, insieme adalcuni amici, il Gruppo Abele: perdare una mano alle persone in diffi-coltà e far capire agli altri, ai “fortu-nati”, quanto fosse importante pertutti costruire una società più giustae più responsabile. Poi ho sentito che,per vivere pienamente il mio deside-rio di “saldare la terra col cielo”,l’amore per gli “ultimi” e l’amiciziacon Dio, avrei dovuto farmi sacer-dote. È accaduto qualche anno dopo,e il ricordo più bello della mia ordi-nazione è quando padre Pellegrino -Arcivescovo di Torino e mio grandemaestro - mi ha affidato come par-rocchia “la strada”.

Quando e perché hai fondatol’Associazione “Libera”? “Libera” è nata nel 1995. Negli

anni precedenti, un susseguirsi di at-tentati e stragi mafiose aveva pro-fondamente colpito l’opinione pub-blica. Nel 1992, a pochi mesi didistanza, erano stati ammazzati due

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legalità e soprusi, devono tornare adessere “bene comune”, produrre be-nessere e opportunità per tutti. Gra-zie a quella legge, oggi alcuni degliedifici confiscati alle mafie diventanoscuole, caserme, centri sportivi, asili,case per anziani. E delle cooperativedi giovani coltivano le terre un tempoappartenute ai boss, dove con un la-voro pulito, generoso e responsabile,producono cibi doppiamente “buoni”:con il “gusto” di ciò che è “giusto”.Sono questo tipo di iniziative che ser-vono a “cambiare le persone”: perchédimostrano anche alle più indiffe-renti, o spaventate, che insieme è pos-sibile sconfiggere la violenza dell’in-ganno e delle armi, e vivere tutti piùsicuri.Un’altra cosa importante è l’educa-zione: per questo, come “Libera”, se-guiamo molti progetti nelle scuole.E cerchiamo di dimostrare ai bambinie ai giovani che la legalità non solo è“giusta”, ma “conviene”, perché di-fende i diritti di tutti dalla “legge delpiù forte”. Quando incontro tanti ra-gazzi in giro per l’Italia che, grazie aquei progetti, sono diventati cittadinipiù consapevoli, pronti a giocare nonda spettatori, ma da protagonisti, la“partita” della democrazia, posso direche sì, l’obiettivo è raggiunto. Vieneraggiunto ogni giorno, ogni volta chequalcuno prende coscienza che l’in-giustizia, l’illegalità e le mafie sonoanche un suo problema, e insiemeagli altri è chiamato a impegnarsi peraffrontarlo. Poi certo non bisogna mai illudersi diavere fatto “abbastanza”: molto di piùsi può e si deve ancora costruire.

comafie”, una rivista che racconta ilmondo del malaffare e lo sforzo dellagente onesta per contrastarlo. Poi, in-sieme ad alcuni amici, abbiamo datovita a “Libera”, una rete di gruppi eassociazioni che unisce oggi più di1.600 realtà in tutta Italia. Per non la-sciare solo nessuno di coloro che sibattono contro l’illegalità e le mafie,e dare più forza, incisività e coraggioall’impegno di ognuno.

L’obiettivo che ti eri prefis-sato è stato raggiunto? È cam-biato qualcosa nelle persone?

Quali gesti concreti sono nati?La prima scommessa di “Libera” èstata proprio la concretezza. Ab-biamo voluto dimostrare ai mafiosiche gli italiani erano in grado di farequalcosa di molto concreto per op-porsi alle loro prepotenze. Per que-sto, attraverso una grande raccolta difirme, abbiamo incoraggiato l’appro-vazione della legge 109 del 1996, chedice che i beni sottratti alla crimina-lità organizzata devono essere resti-tuiti ai cittadini attraverso un “usosociale”. Che significa? Che le ric-chezze di pochi criminali, frutto di il-

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Qual è lo scopo della“Giornata della Memoria edell’Impegno in ricordo delle

vittime delle mafie” che ogni anno èorganizzata da “Libera”? E perchéogni anno è in un posto diverso, an-che al nord, dove si può pensare chela mafia non ci sia?Gli scopi sono due, strettamente in-trecciati. Il primo è ricordare le per-sone innocenti uccise dalle mafie: iloro nomi, le loro storie, il bisogno diverità e giustizia delle loro famiglie,che quel giorno vogliamo stringere inun ideale, grande abbraccio di solida-rietà e gratitudine. Il secondo è ri-chiamare tutti i cittadini a un mag-giore impegno contro l’illegalità, laviolenza e le ingiustizie. La “memo-ria” infatti non è autentica se si fermaalle “parole di circostanza”, alle cele-brazioni di un giorno. È invece unsentimento che deve vivere nella quo-tidianità, guidarci nelle nostre scelte,stimolarci a una maggiore responsa-bilità. Questo vogliono testimoniare lemigliaia di persone che ogni anno sidanno appuntamento in una data vi-cina al 21 marzo, primo giorno di pri-mavera: che per cambiare le cose chenon vanno, per far sbocciare una sta-gione nuova della sicurezza e dei di-

ritti, serve il contributo di tutti. Ilfatto di scegliere ogni volta una cittàdiversa è per coinvolgere il più pos-sibile tutta l’Italia. Non è più vero damolto tempo che le mafie siano soloin certe regioni. Oggi i loro affarisporchi e i loro metodi brutali “inqui-nano” l’economia e la vita pubblica danord a sud, con conseguenza dram-matiche sulla vita di tanta gente cheviene minacciata, sfruttata, derubata.Sono un problema di tutti, e tuttidobbiamo ribellarci.

Cosa possiamo fare noi ra-gazzi nella nostra vita ditutti i giorni per “combat-

tere” l’illegalità?Studiare. So che non è la rispostache molti di voi avrebbero volutosentire, eppure è davvero così. In-tanto perché studiare è il principaledovere dei ragazzi della vostra età, efare il proprio dovere è il primopasso per difendere i diritti, nostri edegli altri. Poi perché solo la cono-scenza, la cultura, ci permette di ra-gionare con la nostra testa, di non la-sciarci “abbindolare” dalle falsepromesse di chi vuole convincerciche le scorrettezze e gli imbrogli ren-dono la vita più facile. “Legalità” nonvuol dire solo rispetto delle leggi, ma“responsabilità”, attenzione agli altri,capacità di comportarsi corretta-mente anche quando non c’è nessunalegge a imporcelo: è rispettare l’am-biente, evitare gli sprechi, non co-piare i compiti dai compagni, nonraccontare frottole ai genitori, nonapprofittarsi di chi è più debole ma,anzi, essergli amico.

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