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LA SICILIALUNEDÌ 22 FEBBRAIO 2016

.57la PPOLITICA

4 Venerdì 8 Novembre 2019

Primo PianoVenerdì 8 Novembre

LA SICILIALUNEDÌ 22 FEBBRAIO 2016

.57la PPOLITICA

2019 5

Un trentennio di delusioneper quel sogno tradito

LA TESTIMONIANZA

La doppia missione nelle due cittàfiutando che nulla sarebbe rimasto com’era

ENZO TRANTINO

T rent’anni, inutilmente tren-t’anni. Abbiamo diritto di scri-verlo come risarcimento per le

trafitture prima, e le speranze quindi,subite dal sogno fibrillante, dilatato,sicuramente non eccessivo vissutodalla immensa comunità degli uominiliberi. Cadeva il “muro”, che non ave-va più bisogno di localizzazioni, era ilmuro che separava la sofferenza dallaciviltà.

Dopo la spietata esperienza deicampi di “lavoro” (eufemismo per“sterminio”), aleggiò un lungo giornonuovo che ci allontanava da una notteinterminabile, straziata persino dallamaledizione della vita, se quello eravivere. Era la vittoria degli assenti,bambini, donne, anziani, uomini tuttiridotti a un esercito di fantasmi chenon aveva più occhi perché mangiatidal pianto.

Cadeva il “muro”, come simbolo diuna raccapricciante enciclopedia de-gli orrori. La intensità della gioia ven-ne profetizzata - 1963 - dal PresidenteKennedy col memorabile “siamo tuttiberlinesi”.

E sì, perché il fenomeno non avevaconfini, almeno in Occidente, e perfissarlo occorreva la capitale di quelmiracolo della rigenerata umanità.Ma abbiamo scritto in premessa “inu -tilmente” per esprimere il contesto

progressivo di una serie di fallimenti,forse del potere collettivo, pentito diavere osato troppo puntando sullavittoria della espiazione divenuta ab-baglio di aurora. E a pochi piace alzarsipresto…

Pessimistica visione?Non è un nostro difetto. Invece è di

più e di peggio: tradimento di un so-gno, avvilimento del cuore, senso disconfitta della speranza collettiva.Perché in sostituzione di quella inter-minabile montagna di mattoni, sonostati eretti nel tempo, da operosi vi-gliacchi, tanti altri muri. Si è costituitain attività permanente la disumanità,e non potevano mancare i frutti: si-lenzi generazionali; egoismi contami-nanti, abbattimento dei valori essen-ziali in un feroce pauperismo di sensodel prossimo.

Reazioni? Speranze piatte. Si ricorreai luoghi comuni come bollettino del-la sconfitta: “ci spaventa il destinodelle nuove generazioni a cui abbiamosottratto mappe e cuore”. Inutile garadi belle parole. Se il “muro” non fossela rappresentazione del mondosquartato, verrebbe la nostalgia delmuro.

Per abbatterlo però. Avendo pro-grammato almeno la tolleranza atti-va, vergognandoci degli errori colti-vati. Ancora e non si sa per quanto.

Non riesco, infatti, a scorgere inno-centi. l

FRANCESCO ATTAGUILE

B erlino esercita sulla generazio-ne cresciuta nella “guerra fred-da” il fascino alimentato dalle

cronache di fughe rocambolesche, da-gli intrighi spionistici e dai film: ilponte aereo del ’48, gli esodi in massadegli anni ’50, il “muro” e il drammadella città divisa e isolata, i cruentitentativi di fuga. C’ero stato più voltedopo la prima drammatica esperienzavissuta nella Cecoslovacchia invasa il20 agosto del ’68 (v. il reportage su “LaSicilia” dell’epoca) e quando nel gen-naio del 1989 le organizzazioni agrico-le chiesero al Comune di portare leimprese catanesi alla Grune Woche, lafiera verde nella ricca Berlino Ovest,

come vicesindaco di Bianco con dele-ga al Bilancio e allo Sviluppo economi-co accolsi la richiesta. Partimmo conSalvo La Rosa e Fabio Albanese, un te-leoperatore (che fu poi bloccato alCheck Point Charlie per aver ripresoad Est siti proibiti), il gruppo folk dellasignora Corona (madre di Puccio eVittorio e nonna dell’oggi più noto Fa-brizio), Eleonora Consoli, maestra dicucina siciliana, imprese e rappresen-tanti di categoria, l’assessore Furnarie due dipendenti comunali. Si aggre-garono il sovrintendente del BelliniBusalacchi con il direttore Ferro e ilgiornalista Gregorio Arena, con l’in -tento di dare a Berlino la Norma delcentenario.

I pescatori di Ognina avevano im-

barcato il pesce appena pescato da of-frire alla cena di gala all’hotel Kempi-ski. Ma all’aeroporto di Francoforte,dove si trasbordava su aerei di unadelle 4 potenze occupanti, autorizzatiad atterrare a Berlino, il pesce frescofu bloccato ai controlli, perché sprov-visto dei prescritti bolli della sanitàpubblica. Consultata, Eleonora Con-soli escogitò di portarlo frazionato incabina un pezzo ciascuno, per uso per-sonale. Sarà stato per il profumo sulvolo Pan American o perché un incau-to parente dell’assessore, residente aBerlino, aveva mobilitato i siciliani e-migrati, ma la sera si presentarono alKempiski, oltre agli operatori e alleautorità invitate, un centinaio di cor-regionali attratti dal menu tipico.

I tedeschi erano paralizzati dall’im -previsto, ma i dipendenti comunali -fra i quali uno che la sera faceva il maî-tre al ristorante Tivoli - apparecchia-rono nella sala attigua un posto pertutti. Il Console Bosco (l’ambasciatorenella Rft stava a Bonn) aveva avvertitol’ambasciatore nella Rdt a Berlino est,il palermitano Roberto Indelicato, cheera accorso oltre il Muro con largo se-guito, compreso il sottosegretarioFiorino. Il successo della serata susci-

tò la sua richiesta di ripetere la missio-ne ad Est, dove i prodotti siciliani era-no ancor meno noti.

In realtà la differenza di tenore divita e di potere d’acquisto fra le dueparti della città erano stridenti ad oc-chio nudo, anche per i berlinesi che e-rano rimasti imprigionati ad Est mache vedevano alla tv l’opulenza irrag-giungibile della parte occidentale. Co-sì a fine settembre, poco prima dellacaduta del Muro, ci ritrovammo tutti aBerlino Est.

L’atmosfera era di grande tensioneed attesa. Nessuno poteva prevederequello che stava per accadere, ma laperestroika di Gorbaciov contagiavatutti i Paesi satelliti, dalla Polonia conSolidarnosc e Papa Wojtyla, alla Ro-mania di Ceausescu, dalla Cecoslovac-chia invasa vent’anni prima, all’Un -gheria, dove l’allentamento dei con-trolli adì frontiera con l’Austria atti-rava colonne di piccole Trabant dallaDdr, con la scusa della vacanza sul Ba-laton ma per fuggire in Occidente. Ilcorrispondente de L’Unità ci disse cheHonecker, privo del l’appoggio di Mo-sca dopo l’ultima fredda visita di Gor-baciov, non avrebbe resistito a lungo,anche se in Germania Est il controllo

sulla vita dei cittadini da parte dellaStasi, la polizia politica, era totale.

Ripartimmo per l’Italia convinti chela fine fosse inevitabile, ma non cosìimminente. Neppure i berlinesi losperavano, tant’è che quando la nottedel 9 novembre fu possibile attraver-sare il Muro, molti non ci credettero ele autorità dell’ovest dovettero incen-tivare i “visitatori” con 100 dollari daspendere in beni di consumo. Le scenedi entusiasmo fecero il giro del mondoe mi indussero a tornare a Berlino aCapodanno, con familiari ed amici,per partecipare alla più grande festanotturna che si possa immaginare,con la gente impazzita che si inondavadi spumante sotto la Porta di Brande-burgo, finalmente sgombra dai tetricavalli di frisia, o offriva da bere ai giàterribili Vopos ballando sul tetto delleloro auto.

L’Europa e il mondo erano cambiati:l’anno successivo la Germania sareb-be tornata unita, l’Unione Sovieticanon sarebbe più esistita e tutto l’Esteuropeo sarebbe entrato nell’Ue e nel-la Nato, ma il prevalere delle nostreragioni non è bastato a liberare ilmondo dai muri, perché altri ne sonosorti, come vediamo ancor oggi. l

L’eterno della veritàe la menzogna dell’idoloGIOVANNI CHIARAMONTE *

I l mio primo viaggio a Berlino risale agli ultimigiorni di dicembre del 1983. Nel lento atterraggioverso l’aeroporto di Tegel avevo sorvolato Pot-

sdam e i suoi laghi, circondati dalle copie degli edificiitaliani più famosi del Rinascimento lì fatti edificareda Federico il Grande e dagli altri re di Prussia. Sbarcaidal velivolo mentre i paracadutisti dell’82° AirborneDivision dell’esercito americano stavano compiendouna grande esercitazione di rischieramento. Mi ritro-vai così improvvisamente immerso nell’immane tra-gedia del secolo breve, dentro il cuore dei conflitti i-deologici che avevano diviso e ancora dividevano l’Eu-ropa e il mondo. Capitalismo borghese, Marxismo, Na-zismo e Capitalismo lì si erano sviluppati e lì stavanocombattendo la loro ultima battaglia.

Dicono che Adolf Hitler avesse chiesto all’architettoAlbert Speer di costruire gli edifici del Terzo Reich conpietre massicce. Il direttore nazista sognava infattiche, in un lontano giorno del futuro, Berlino potessecosì vantare rovine più grandi e maestose di Atene e diRoma.

Ero stato inviato da Pierluigi Nicolin, direttore dellarivista “Lotus”, che in quel momento era uno dei pro-tagonisti del piano dell’Iba di ricostruzione urbana deivuoti lasciati dalla guerra (l'Iba è l'ente berlinese cheprogettò e realizzò la ricostruzione della città dagli an-ni Settanta sino a dopo l'unificazione, ndr). Fotografaicosì l’edificio Bonjour Tristesse di Alvaro Siza, l’inse-diamento di Oswald M. Ungers a Lützow Platz, l’isolatodei fratelli Krier e Aldo Rossi a ridosso del Muro chesembrava segnare il confine perenne e insuperabiletra la libertà della democrazia e l’asservimento del to-talitarismo comunista che lì governava in continuitàtemporale col totalitarismo nazista.

Fotografai quelle architetture a partire da unosguardo posto sulla dimensione temporale di ciò chedavvero rimane della storia: l’eterno della verità e del-la libertà che si rivela in ogni istante della storia umanae la illumina. Le architetture di Siza, Ungers, Rossi misembravano scaturire dalla forza originaria della crea-zione e capaci quindi di far ricrescere la forma dellavita dentro le desolazioni più profonde inflitte alla cit-tà dalla guerra e dal male dei totalitarismi. Chiamatosuccessivamente dall’Iba di Josef Kleihues, nel marzodel 1984, scattai in totale libertà una sequenza d’imma-gini, alla ricerca dell’identità originaria di Berlino e delsuo drammatico destino. Trovai questa origine nel so-

gno di Roma imperiale eretto da Schinkel sulle rive dellaSprea a Glienicke e a Charlottenburg. Mi parve eviden-te, allora, che il cuore della tragedia tedesca, la Shoah,nascesse proprio lì, nel fondare la città sull’ideale di A-tene nella memoria dell’impero romano, eliminando o-gni figura della civiltà ebraica e cristiana. La forza chemuoveva la ricostruzione promossa dall’Iba mi sembròmolto più profonda di un semplice intervento urbani-stico e l’edificio di Aldo Rossi a Friedrich Strasse, davan-ti al piccolo bar “Land’s End”, mi parve affermare l’unitàindivisa e indivisibile della città, nella nuova figura diuna identità repubblicana e non più imperiale.

Per questo, anche negli anni successivi, il Muro di Ber-lino nelle mie fotografie è sempre stata una quinta lon-tana, perché già sconfitto e fatto cadere nel cuore di o-gni persona che cerca la libertà e la verità di se stessooltre e contro la menzogna dell’idolo e dell’ideologia.

Nella mostra che feci al Deutsches Architekturmu-seum, nel 1985, ebbi modo di affermare pubblicamentequesto personale punto di vista, ricevendone soloscherno e irrisione. Quando nel 1989 cadde il Muro,qualcuno si ricordò di quelle mie affermazioni e poteiriprendere le mie campagne fotografiche fino a oggi. Losguardo con cui ho fotografato Berlino, io penso si ren-da comprensibile nell’immagine della Elisabeth-Kirchedi Schinkel, ridotta a rovina senza tetto e tornata allanatura, in cui crescono gli alberi nel ritmo immutabiledelle stagioni. Un edificio in rovina, alla luce dellosguardo, è capace di rivelare una forza e una bellezza piùduratura di un edificio nuovo, appena costruito. Per mele città e le case corrono sempre il rischio di diventarecarceri piranesiane, emblematiche rovine di una deca-denza senza fine del genere umano. Il punto di fuga, laforma e la figura della libertà per le città e per le case è illoro essere vissute e viste come immagine: l’immagineinfatti è sempre immagine di un destino, è sempre aper-tura eterna e infinita al diverso e all’altro da sé. Come laluce, l’immagine, quando è tale, è trasparente, agisce in-visibilmente per rivelare la figura viva di ogni realtà. Eio, attraverso la fotografia, posso realizzare l’immaginedi un’architettura edificata nella città dell’uomo che vi-ve il proprio destino come immagine e somiglianza diDio.

* Giovanni Chiaramonte, nato a Varese da genitori di Gela, è fotografo edocente di Storia e Teoria della Fotografia allo Iulm di Milano

Nel 2005 l’Università di Palermo gli conferisce la laurea Honoris Causa inArchitettura. Nel 1984, su incarico dell’architetto Josef Kleihues,

Chiaramonte fotografa Berlino. Le immagini berlinesi vengono espostenelle più importanti gallerie europee e americane

UNA FOTO, UNA CITTÀ, UN MONDO LA RIFLESSIONE

L’ANALISI

Con il crollo ci fu anche la fine delle ideologieora ci affacciamo sul vuoto dell’“ognuno per sé”CARLO ANASTASIO

N on tutti i muri vengono pernuocere, e il Muro di Berlino,piaga purulenta per quasi tre

decenni nel petto dell’Europa, avevaperò anche una funzione portante.

Era venuto per nuocere, sì, il Murodi Berlino: grondava di oppressione emorte quando - trent’anni fa, alla vi-gilia della fine del Secolo breve - fufinalmente aperto e abbattuto. Maper il fatto che il diavolo fa le pentolee non i coperchi - potremmo dire perun’eterogenesi dei fini - la brutale e-sistenza fisica del Muro aveva gene-rato una sua utile esistenza mentale.Era come se il Muro di cemento e fer-ro, monumento di crudeltà, avessetuttavia, dentro le coscienze, un suogemello opposto di regole e compor-tamenti sul quale poggiava - ecco lafunzione portante - un’architetturacon elementi di moderazione, coe-sione e persino nobilitazione.

Sia a Est sia a Ovest, insomma, l’in-combere del Muro teneva a bada al-cuni demoni, era antidoto ad alcuniveleni. A Est, antichi livori sociali eculturali si depuravano ed elevavanoa patriottismo e resistenza, a volte a

eroismo o quantomeno a dissenso,contro la morsa del totalitarismo so-vietico.

A Ovest, la cappa della GuerraFredda induceva a stare insieme e acomprendersi tra europei, a elabora-re ideali sovranazionali e a mantene-re vitale il rapporto transatlanticotra il Vecchio Continente e gli StatiUniti. Questo equilibrio complessi-vo, per quanto scaturito da un’origi-ne malsana, era di contro un freno i-nibitore per tendenze anch’esse mal-sane.

Poi il Muro crollò, e si disfece il suosistema, e fu decretata la fine delle i-deologie e addirittura della storia, enel vuoto che il Muro, le ideologie e lastoria lasciarono sembrava dovessenascere, per miracolo, un interomondo di libertà e benessere. Invecein quel vuoto, non più vincolati dalsistema dei blocchi contrapposti, sisono scatenati gli “animal spirits” dientrambe le parti, i demoni hanno a-vuto campo aperto e i veleni si sonoricostituiti. A Est, lo spirito nazionaleforgiato dalla storia e indurito dall’o-dio per il tallone dell’Urss, è diventa-to il becero nazionalismo e la derivaautoritaria dei Paesi del gruppo di

Visegrad, Ungheria in testa, che lu-crano sul denaro dell’Europa e ne ri-gettano gli ideali e i doveri comuni-tari. A Ovest, gli egoismi nazionalihanno costruito le basi dell’aggressi-va America di Trump e minacciano didisgregare il nucleo dei Paesi fonda-tori dell’Europa unita.

Adesso, nel meschino e alla lungaautolesionistico “ognuno per sé”, di-laga l’illiberalismo politico perchélocalmente ricresce la voglia dell’uo-mo forte, e l’iperliberismo economi-co senza più controlli politici sovra-nazionali fa aumentare a dismisurale disuguaglianze con ricchi semprepiù ricchi, e pochi, e poveri semprepiù poveri e numerosi.

Non può essere compito di nessunmuro sostenere sentimenti umani,buone democrazie e sagge comunitàdi Stati. Tanto meno si può ricono-scere una qualsiasi attenuante per ilcrimine storico che è stato il Muro diBerlino, strumento e simbolo di fero-cia e dolore. Ma è un fatto che il Mu-ro, frantumandosi, ha ucciso anche ilsuo gemello opposto e, come unacreatura aliena, ha dato vita a tantialtri muri che ci stanno separando emettendo l’uno contro l’altro. l

DALLA PRIMA PAGINAL’URGENZADI RIAFFERMARE

L’UTILITÀ DELLA DEMOCRAZIAGIUSEPPE SCOGNAMIGLIO *

I l modello liberale, con al centrola forma di governo democrati-ca, trionfò sul sistema autorita-

rio comunista. L’assetto geopoliticoche aveva caratterizzato la GuerraFredda mutò radicalmente in pochianni, i Paesi si aprirono alla globa-lizzazione e in Europa l’integrazio-ne acquistò nuova forza. Alla finedel Novecento sono, infatti, più dicento i Paesi classificati come de-mocrazie, laddove ad inizio secolose ne contavano appena dieci.

Trent’anni dopo, lo scenario poli-tico globale vede riemergere nuovimodelli di contrapposizione, nuovimuri.

La gravissima crisi finanziaria deldecennio 2008-2018 ha minato cer-tezze, ha alterato equilibri, ha scon-volto politiche. Lo scoppio dellabolla speculativa ha colpito soprat-tutto i ceti medi, per un periodotroppo lungo per non avere riper-cussioni anche sulle scelte politi-che.

In Europa, in particolare, la crisidei debiti sovrani ha frenato il pro-cesso di integrazione e messo in lu-

ce le lacune strutturali della gover-nance europea. La letteratura acca-demica ha parlato di deteriora-mento della democrazia, di finedello slancio liberale, e i dati indi-cano un prevalere dei Paesi che re-gistrano un regresso democraticosui Paesi che registrano un miglio-ramento.

In un contesto internazionale nelquale Trump rivede, in ottica na-zionalista, il ruolo degli Stati Uniti enel quale Putin dichiara “obsoleto”l’ordine liberale, come si ritroveràlo slancio ideale che portò all’affer-marsi dei valori occidentali “a colpidi piccone”?

Con gli Stati Uniti che naviganoverso una gravissima deriva irre-sponsabile, l’Europa dovrà ritrova-re energia e coraggio per rilanciarela sua prospettiva federale, l’unicain grado di restituirle protagoni-smo e quindi ruolo per poter me-diare utilmente negli scenari diconflitti, commerciali e militari,politici e culturali.

Ma attenzione, per evitare disa-stri non abbiamo troppo tempo:cinque anni sì, cinquanta no...

* Direttore Eastwest

« BERLINO 1989-2019

IL RICORDO

Al di là del Muro i mitra dei Vogose quei viali solenni ma tetriENZO BIANCO

N ovembre 1989. Ero tornato avivere a Catania, stabilmen-te, da 18 mesi. Nel luglio del-

l’anno prima, inaspettatamente ilConsiglio Comunale (in cui sedeva-no, tra gli altri Marco Pannella, Em-ma Bonino, Adelaide Aglietta, Do-menico Modugno, Rino Nicolosi,Guido Ziccone, Giuseppe Azzaro,Salvo Andò, Anna Finocchiaro,Pao-lo Berretta, Franco Cazzola, BenitoPaolone e tanti altri) mi aveva eletto- e poi a settembre confermato –sindaco della mia Città. A novembredi quell’ anno 85mila catanesi ave-vano firmato un appello affinché iPartiti non mi mandassero via. Pro-prio a novembre i ragazzi dellescuole della Città scioperarono ecircondarono festosamente Palazzodegli Elefanti, chiedendo a gran vo-ce che io restassi. Roland Bergerconsegnava alla Città una preziosaricerca sulle strategie per la crescitadi Catania: turismo, insediamenti ecrescita di imprese hi-tech, aero-porto, porto, Metropolitana, inter-porto. Le linee guida di quello cheavrei realizzato negli anni successi-vi.

Ricordo con emozione le notizieche arrivavano da Berlino. Stentavoa crederci. Era un sogno che avevocoltivato da anni, sin da quando nel

1978 mi ero recato per la prima voltaa Berlino Est. Avevo attraversato ilMuro da una delle pochissime por-te, con i mitra spianati dai Vogos. Ri-cordo l’emozione di una Città gran-diosa e lugubre insieme. Con Ale-xander Platz e la Friederich Strasse,grandi viali solenni e tetri. C’era unincontro Mondiale della Gioventù; eio, come segretario nazionale deiGiovani Repubblicani e presidentedel Comitato Italiano Giovanile perle Relazioni internazionali, presie-devo la Delegazione Italiana. Tornaia Berlino (Ovest questa volta) nel1980, per un congresso della Eldr, laFederazione dei partiti liberali, de-mocratici e riformatori europei. U-n’atmosfera gioiosa piena di luci, diragazzi, di gioia di vivere.

Immaginare, vedere che quel mu-ro crollava; immaginare, vedere icittadini di Berlino unirsi, riunirsi,gioire insieme mi colpì con una for-za che ancora oggi, 30 anni dopo,sento fortissima. Chiamai i miei a-mici tedeschi, i diplomatici italianiche avevo conosciuto (l’ambasciato-re Ferraris e il giovane consigliereValenzise); gli italiani che vivevanoa Berlino (e tra questi Giuseppe Vi-ta). Gioimmo insieme. L’Europa erapiù forte! E dopo il Muro sarebbecrollato anche un regime, odioso einsopportabile. E con esso un siste-ma. Un’utopia che aveva fallito. l

Nella foto di Giovanni Chiaramonte la demolizione del Muro di Berlino lungola via a ridosso della Gropius Bau nei pressi della Friedrich Strasse e delCheck Point Charlie, che per oltre 30 anni fu l’unico punto di passaggio tra laparte occidentale e la parte orientale della città. Nel punto più caldo dellaguerra fredda, causata dal conflitto tra Comunismo e Capitalismodemocratico, la scelta di fotografare il muro in sezione rivela la nullità fisicadi quel confine e insieme la forza divisiva dell’ideologia. Solo lo spontaneoscendere in piazza di un milione di berlinesi permise di farlo cadere

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LA SICILIALUNEDÌ 22 FEBBRAIO 2016

.57la PPOLITICA

4 Venerdì 8 Novembre 2019

Primo PianoVenerdì 8 Novembre

LA SICILIALUNEDÌ 22 FEBBRAIO 2016

.57la PPOLITICA

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Un trentennio di delusioneper quel sogno tradito

LA TESTIMONIANZA

La doppia missione nelle due cittàfiutando che nulla sarebbe rimasto com’era

ENZO TRANTINO

T rent’anni, inutilmente tren-t’anni. Abbiamo diritto di scri-verlo come risarcimento per le

trafitture prima, e le speranze quindi,subite dal sogno fibrillante, dilatato,sicuramente non eccessivo vissutodalla immensa comunità degli uominiliberi. Cadeva il “muro”, che non ave-va più bisogno di localizzazioni, era ilmuro che separava la sofferenza dallaciviltà.

Dopo la spietata esperienza deicampi di “lavoro” (eufemismo per“sterminio”), aleggiò un lungo giornonuovo che ci allontanava da una notteinterminabile, straziata persino dallamaledizione della vita, se quello eravivere. Era la vittoria degli assenti,bambini, donne, anziani, uomini tuttiridotti a un esercito di fantasmi chenon aveva più occhi perché mangiatidal pianto.

Cadeva il “muro”, come simbolo diuna raccapricciante enciclopedia de-gli orrori. La intensità della gioia ven-ne profetizzata - 1963 - dal PresidenteKennedy col memorabile “siamo tuttiberlinesi”.

E sì, perché il fenomeno non avevaconfini, almeno in Occidente, e perfissarlo occorreva la capitale di quelmiracolo della rigenerata umanità.Ma abbiamo scritto in premessa “inu -tilmente” per esprimere il contesto

progressivo di una serie di fallimenti,forse del potere collettivo, pentito diavere osato troppo puntando sullavittoria della espiazione divenuta ab-baglio di aurora. E a pochi piace alzarsipresto…

Pessimistica visione?Non è un nostro difetto. Invece è di

più e di peggio: tradimento di un so-gno, avvilimento del cuore, senso disconfitta della speranza collettiva.Perché in sostituzione di quella inter-minabile montagna di mattoni, sonostati eretti nel tempo, da operosi vi-gliacchi, tanti altri muri. Si è costituitain attività permanente la disumanità,e non potevano mancare i frutti: si-lenzi generazionali; egoismi contami-nanti, abbattimento dei valori essen-ziali in un feroce pauperismo di sensodel prossimo.

Reazioni? Speranze piatte. Si ricorreai luoghi comuni come bollettino del-la sconfitta: “ci spaventa il destinodelle nuove generazioni a cui abbiamosottratto mappe e cuore”. Inutile garadi belle parole. Se il “muro” non fossela rappresentazione del mondosquartato, verrebbe la nostalgia delmuro.

Per abbatterlo però. Avendo pro-grammato almeno la tolleranza atti-va, vergognandoci degli errori colti-vati. Ancora e non si sa per quanto.

Non riesco, infatti, a scorgere inno-centi. l

FRANCESCO ATTAGUILE

B erlino esercita sulla generazio-ne cresciuta nella “guerra fred-da” il fascino alimentato dalle

cronache di fughe rocambolesche, da-gli intrighi spionistici e dai film: ilponte aereo del ’48, gli esodi in massadegli anni ’50, il “muro” e il drammadella città divisa e isolata, i cruentitentativi di fuga. C’ero stato più voltedopo la prima drammatica esperienzavissuta nella Cecoslovacchia invasa il20 agosto del ’68 (v. il reportage su “LaSicilia” dell’epoca) e quando nel gen-naio del 1989 le organizzazioni agrico-le chiesero al Comune di portare leimprese catanesi alla Grune Woche, lafiera verde nella ricca Berlino Ovest,

come vicesindaco di Bianco con dele-ga al Bilancio e allo Sviluppo economi-co accolsi la richiesta. Partimmo conSalvo La Rosa e Fabio Albanese, un te-leoperatore (che fu poi bloccato alCheck Point Charlie per aver ripresoad Est siti proibiti), il gruppo folk dellasignora Corona (madre di Puccio eVittorio e nonna dell’oggi più noto Fa-brizio), Eleonora Consoli, maestra dicucina siciliana, imprese e rappresen-tanti di categoria, l’assessore Furnarie due dipendenti comunali. Si aggre-garono il sovrintendente del BelliniBusalacchi con il direttore Ferro e ilgiornalista Gregorio Arena, con l’in -tento di dare a Berlino la Norma delcentenario.

I pescatori di Ognina avevano im-

barcato il pesce appena pescato da of-frire alla cena di gala all’hotel Kempi-ski. Ma all’aeroporto di Francoforte,dove si trasbordava su aerei di unadelle 4 potenze occupanti, autorizzatiad atterrare a Berlino, il pesce frescofu bloccato ai controlli, perché sprov-visto dei prescritti bolli della sanitàpubblica. Consultata, Eleonora Con-soli escogitò di portarlo frazionato incabina un pezzo ciascuno, per uso per-sonale. Sarà stato per il profumo sulvolo Pan American o perché un incau-to parente dell’assessore, residente aBerlino, aveva mobilitato i siciliani e-migrati, ma la sera si presentarono alKempiski, oltre agli operatori e alleautorità invitate, un centinaio di cor-regionali attratti dal menu tipico.

I tedeschi erano paralizzati dall’im -previsto, ma i dipendenti comunali -fra i quali uno che la sera faceva il maî-tre al ristorante Tivoli - apparecchia-rono nella sala attigua un posto pertutti. Il Console Bosco (l’ambasciatorenella Rft stava a Bonn) aveva avvertitol’ambasciatore nella Rdt a Berlino est,il palermitano Roberto Indelicato, cheera accorso oltre il Muro con largo se-guito, compreso il sottosegretarioFiorino. Il successo della serata susci-

tò la sua richiesta di ripetere la missio-ne ad Est, dove i prodotti siciliani era-no ancor meno noti.

In realtà la differenza di tenore divita e di potere d’acquisto fra le dueparti della città erano stridenti ad oc-chio nudo, anche per i berlinesi che e-rano rimasti imprigionati ad Est mache vedevano alla tv l’opulenza irrag-giungibile della parte occidentale. Co-sì a fine settembre, poco prima dellacaduta del Muro, ci ritrovammo tutti aBerlino Est.

L’atmosfera era di grande tensioneed attesa. Nessuno poteva prevederequello che stava per accadere, ma laperestroika di Gorbaciov contagiavatutti i Paesi satelliti, dalla Polonia conSolidarnosc e Papa Wojtyla, alla Ro-mania di Ceausescu, dalla Cecoslovac-chia invasa vent’anni prima, all’Un -gheria, dove l’allentamento dei con-trolli adì frontiera con l’Austria atti-rava colonne di piccole Trabant dallaDdr, con la scusa della vacanza sul Ba-laton ma per fuggire in Occidente. Ilcorrispondente de L’Unità ci disse cheHonecker, privo del l’appoggio di Mo-sca dopo l’ultima fredda visita di Gor-baciov, non avrebbe resistito a lungo,anche se in Germania Est il controllo

sulla vita dei cittadini da parte dellaStasi, la polizia politica, era totale.

Ripartimmo per l’Italia convinti chela fine fosse inevitabile, ma non cosìimminente. Neppure i berlinesi losperavano, tant’è che quando la nottedel 9 novembre fu possibile attraver-sare il Muro, molti non ci credettero ele autorità dell’ovest dovettero incen-tivare i “visitatori” con 100 dollari daspendere in beni di consumo. Le scenedi entusiasmo fecero il giro del mondoe mi indussero a tornare a Berlino aCapodanno, con familiari ed amici,per partecipare alla più grande festanotturna che si possa immaginare,con la gente impazzita che si inondavadi spumante sotto la Porta di Brande-burgo, finalmente sgombra dai tetricavalli di frisia, o offriva da bere ai giàterribili Vopos ballando sul tetto delleloro auto.

L’Europa e il mondo erano cambiati:l’anno successivo la Germania sareb-be tornata unita, l’Unione Sovieticanon sarebbe più esistita e tutto l’Esteuropeo sarebbe entrato nell’Ue e nel-la Nato, ma il prevalere delle nostreragioni non è bastato a liberare ilmondo dai muri, perché altri ne sonosorti, come vediamo ancor oggi. l

L’eterno della veritàe la menzogna dell’idoloGIOVANNI CHIARAMONTE *

I l mio primo viaggio a Berlino risale agli ultimigiorni di dicembre del 1983. Nel lento atterraggioverso l’aeroporto di Tegel avevo sorvolato Pot-

sdam e i suoi laghi, circondati dalle copie degli edificiitaliani più famosi del Rinascimento lì fatti edificareda Federico il Grande e dagli altri re di Prussia. Sbarcaidal velivolo mentre i paracadutisti dell’82° AirborneDivision dell’esercito americano stavano compiendouna grande esercitazione di rischieramento. Mi ritro-vai così improvvisamente immerso nell’immane tra-gedia del secolo breve, dentro il cuore dei conflitti i-deologici che avevano diviso e ancora dividevano l’Eu-ropa e il mondo. Capitalismo borghese, Marxismo, Na-zismo e Capitalismo lì si erano sviluppati e lì stavanocombattendo la loro ultima battaglia.

Dicono che Adolf Hitler avesse chiesto all’architettoAlbert Speer di costruire gli edifici del Terzo Reich conpietre massicce. Il direttore nazista sognava infattiche, in un lontano giorno del futuro, Berlino potessecosì vantare rovine più grandi e maestose di Atene e diRoma.

Ero stato inviato da Pierluigi Nicolin, direttore dellarivista “Lotus”, che in quel momento era uno dei pro-tagonisti del piano dell’Iba di ricostruzione urbana deivuoti lasciati dalla guerra (l'Iba è l'ente berlinese cheprogettò e realizzò la ricostruzione della città dagli an-ni Settanta sino a dopo l'unificazione, ndr). Fotografaicosì l’edificio Bonjour Tristesse di Alvaro Siza, l’inse-diamento di Oswald M. Ungers a Lützow Platz, l’isolatodei fratelli Krier e Aldo Rossi a ridosso del Muro chesembrava segnare il confine perenne e insuperabiletra la libertà della democrazia e l’asservimento del to-talitarismo comunista che lì governava in continuitàtemporale col totalitarismo nazista.

Fotografai quelle architetture a partire da unosguardo posto sulla dimensione temporale di ciò chedavvero rimane della storia: l’eterno della verità e del-la libertà che si rivela in ogni istante della storia umanae la illumina. Le architetture di Siza, Ungers, Rossi misembravano scaturire dalla forza originaria della crea-zione e capaci quindi di far ricrescere la forma dellavita dentro le desolazioni più profonde inflitte alla cit-tà dalla guerra e dal male dei totalitarismi. Chiamatosuccessivamente dall’Iba di Josef Kleihues, nel marzodel 1984, scattai in totale libertà una sequenza d’imma-gini, alla ricerca dell’identità originaria di Berlino e delsuo drammatico destino. Trovai questa origine nel so-

gno di Roma imperiale eretto da Schinkel sulle rive dellaSprea a Glienicke e a Charlottenburg. Mi parve eviden-te, allora, che il cuore della tragedia tedesca, la Shoah,nascesse proprio lì, nel fondare la città sull’ideale di A-tene nella memoria dell’impero romano, eliminando o-gni figura della civiltà ebraica e cristiana. La forza chemuoveva la ricostruzione promossa dall’Iba mi sembròmolto più profonda di un semplice intervento urbani-stico e l’edificio di Aldo Rossi a Friedrich Strasse, davan-ti al piccolo bar “Land’s End”, mi parve affermare l’unitàindivisa e indivisibile della città, nella nuova figura diuna identità repubblicana e non più imperiale.

Per questo, anche negli anni successivi, il Muro di Ber-lino nelle mie fotografie è sempre stata una quinta lon-tana, perché già sconfitto e fatto cadere nel cuore di o-gni persona che cerca la libertà e la verità di se stessooltre e contro la menzogna dell’idolo e dell’ideologia.

Nella mostra che feci al Deutsches Architekturmu-seum, nel 1985, ebbi modo di affermare pubblicamentequesto personale punto di vista, ricevendone soloscherno e irrisione. Quando nel 1989 cadde il Muro,qualcuno si ricordò di quelle mie affermazioni e poteiriprendere le mie campagne fotografiche fino a oggi. Losguardo con cui ho fotografato Berlino, io penso si ren-da comprensibile nell’immagine della Elisabeth-Kirchedi Schinkel, ridotta a rovina senza tetto e tornata allanatura, in cui crescono gli alberi nel ritmo immutabiledelle stagioni. Un edificio in rovina, alla luce dellosguardo, è capace di rivelare una forza e una bellezza piùduratura di un edificio nuovo, appena costruito. Per mele città e le case corrono sempre il rischio di diventarecarceri piranesiane, emblematiche rovine di una deca-denza senza fine del genere umano. Il punto di fuga, laforma e la figura della libertà per le città e per le case è illoro essere vissute e viste come immagine: l’immagineinfatti è sempre immagine di un destino, è sempre aper-tura eterna e infinita al diverso e all’altro da sé. Come laluce, l’immagine, quando è tale, è trasparente, agisce in-visibilmente per rivelare la figura viva di ogni realtà. Eio, attraverso la fotografia, posso realizzare l’immaginedi un’architettura edificata nella città dell’uomo che vi-ve il proprio destino come immagine e somiglianza diDio.

* Giovanni Chiaramonte, nato a Varese da genitori di Gela, è fotografo edocente di Storia e Teoria della Fotografia allo Iulm di Milano

Nel 2005 l’Università di Palermo gli conferisce la laurea Honoris Causa inArchitettura. Nel 1984, su incarico dell’architetto Josef Kleihues,

Chiaramonte fotografa Berlino. Le immagini berlinesi vengono espostenelle più importanti gallerie europee e americane

UNA FOTO, UNA CITTÀ, UN MONDO LA RIFLESSIONE

L’ANALISI

Con il crollo ci fu anche la fine delle ideologieora ci affacciamo sul vuoto dell’“ognuno per sé”CARLO ANASTASIO

N on tutti i muri vengono pernuocere, e il Muro di Berlino,piaga purulenta per quasi tre

decenni nel petto dell’Europa, avevaperò anche una funzione portante.

Era venuto per nuocere, sì, il Murodi Berlino: grondava di oppressione emorte quando - trent’anni fa, alla vi-gilia della fine del Secolo breve - fufinalmente aperto e abbattuto. Maper il fatto che il diavolo fa le pentolee non i coperchi - potremmo dire perun’eterogenesi dei fini - la brutale e-sistenza fisica del Muro aveva gene-rato una sua utile esistenza mentale.Era come se il Muro di cemento e fer-ro, monumento di crudeltà, avessetuttavia, dentro le coscienze, un suogemello opposto di regole e compor-tamenti sul quale poggiava - ecco lafunzione portante - un’architetturacon elementi di moderazione, coe-sione e persino nobilitazione.

Sia a Est sia a Ovest, insomma, l’in-combere del Muro teneva a bada al-cuni demoni, era antidoto ad alcuniveleni. A Est, antichi livori sociali eculturali si depuravano ed elevavanoa patriottismo e resistenza, a volte a

eroismo o quantomeno a dissenso,contro la morsa del totalitarismo so-vietico.

A Ovest, la cappa della GuerraFredda induceva a stare insieme e acomprendersi tra europei, a elabora-re ideali sovranazionali e a mantene-re vitale il rapporto transatlanticotra il Vecchio Continente e gli StatiUniti. Questo equilibrio complessi-vo, per quanto scaturito da un’origi-ne malsana, era di contro un freno i-nibitore per tendenze anch’esse mal-sane.

Poi il Muro crollò, e si disfece il suosistema, e fu decretata la fine delle i-deologie e addirittura della storia, enel vuoto che il Muro, le ideologie e lastoria lasciarono sembrava dovessenascere, per miracolo, un interomondo di libertà e benessere. Invecein quel vuoto, non più vincolati dalsistema dei blocchi contrapposti, sisono scatenati gli “animal spirits” dientrambe le parti, i demoni hanno a-vuto campo aperto e i veleni si sonoricostituiti. A Est, lo spirito nazionaleforgiato dalla storia e indurito dall’o-dio per il tallone dell’Urss, è diventa-to il becero nazionalismo e la derivaautoritaria dei Paesi del gruppo di

Visegrad, Ungheria in testa, che lu-crano sul denaro dell’Europa e ne ri-gettano gli ideali e i doveri comuni-tari. A Ovest, gli egoismi nazionalihanno costruito le basi dell’aggressi-va America di Trump e minacciano didisgregare il nucleo dei Paesi fonda-tori dell’Europa unita.

Adesso, nel meschino e alla lungaautolesionistico “ognuno per sé”, di-laga l’illiberalismo politico perchélocalmente ricresce la voglia dell’uo-mo forte, e l’iperliberismo economi-co senza più controlli politici sovra-nazionali fa aumentare a dismisurale disuguaglianze con ricchi semprepiù ricchi, e pochi, e poveri semprepiù poveri e numerosi.

Non può essere compito di nessunmuro sostenere sentimenti umani,buone democrazie e sagge comunitàdi Stati. Tanto meno si può ricono-scere una qualsiasi attenuante per ilcrimine storico che è stato il Muro diBerlino, strumento e simbolo di fero-cia e dolore. Ma è un fatto che il Mu-ro, frantumandosi, ha ucciso anche ilsuo gemello opposto e, come unacreatura aliena, ha dato vita a tantialtri muri che ci stanno separando emettendo l’uno contro l’altro. l

DALLA PRIMA PAGINAL’URGENZADI RIAFFERMARE

L’UTILITÀ DELLA DEMOCRAZIAGIUSEPPE SCOGNAMIGLIO *

I l modello liberale, con al centrola forma di governo democrati-ca, trionfò sul sistema autorita-

rio comunista. L’assetto geopoliticoche aveva caratterizzato la GuerraFredda mutò radicalmente in pochianni, i Paesi si aprirono alla globa-lizzazione e in Europa l’integrazio-ne acquistò nuova forza. Alla finedel Novecento sono, infatti, più dicento i Paesi classificati come de-mocrazie, laddove ad inizio secolose ne contavano appena dieci.

Trent’anni dopo, lo scenario poli-tico globale vede riemergere nuovimodelli di contrapposizione, nuovimuri.

La gravissima crisi finanziaria deldecennio 2008-2018 ha minato cer-tezze, ha alterato equilibri, ha scon-volto politiche. Lo scoppio dellabolla speculativa ha colpito soprat-tutto i ceti medi, per un periodotroppo lungo per non avere riper-cussioni anche sulle scelte politi-che.

In Europa, in particolare, la crisidei debiti sovrani ha frenato il pro-cesso di integrazione e messo in lu-

ce le lacune strutturali della gover-nance europea. La letteratura acca-demica ha parlato di deteriora-mento della democrazia, di finedello slancio liberale, e i dati indi-cano un prevalere dei Paesi che re-gistrano un regresso democraticosui Paesi che registrano un miglio-ramento.

In un contesto internazionale nelquale Trump rivede, in ottica na-zionalista, il ruolo degli Stati Uniti enel quale Putin dichiara “obsoleto”l’ordine liberale, come si ritroveràlo slancio ideale che portò all’affer-marsi dei valori occidentali “a colpidi piccone”?

Con gli Stati Uniti che naviganoverso una gravissima deriva irre-sponsabile, l’Europa dovrà ritrova-re energia e coraggio per rilanciarela sua prospettiva federale, l’unicain grado di restituirle protagoni-smo e quindi ruolo per poter me-diare utilmente negli scenari diconflitti, commerciali e militari,politici e culturali.

Ma attenzione, per evitare disa-stri non abbiamo troppo tempo:cinque anni sì, cinquanta no...

* Direttore Eastwest

« BERLINO 1989-2019

IL RICORDO

Al di là del Muro i mitra dei Vogose quei viali solenni ma tetriENZO BIANCO

N ovembre 1989. Ero tornato avivere a Catania, stabilmen-te, da 18 mesi. Nel luglio del-

l’anno prima, inaspettatamente ilConsiglio Comunale (in cui sedeva-no, tra gli altri Marco Pannella, Em-ma Bonino, Adelaide Aglietta, Do-menico Modugno, Rino Nicolosi,Guido Ziccone, Giuseppe Azzaro,Salvo Andò, Anna Finocchiaro,Pao-lo Berretta, Franco Cazzola, BenitoPaolone e tanti altri) mi aveva eletto- e poi a settembre confermato –sindaco della mia Città. A novembredi quell’ anno 85mila catanesi ave-vano firmato un appello affinché iPartiti non mi mandassero via. Pro-prio a novembre i ragazzi dellescuole della Città scioperarono ecircondarono festosamente Palazzodegli Elefanti, chiedendo a gran vo-ce che io restassi. Roland Bergerconsegnava alla Città una preziosaricerca sulle strategie per la crescitadi Catania: turismo, insediamenti ecrescita di imprese hi-tech, aero-porto, porto, Metropolitana, inter-porto. Le linee guida di quello cheavrei realizzato negli anni successi-vi.

Ricordo con emozione le notizieche arrivavano da Berlino. Stentavoa crederci. Era un sogno che avevocoltivato da anni, sin da quando nel

1978 mi ero recato per la prima voltaa Berlino Est. Avevo attraversato ilMuro da una delle pochissime por-te, con i mitra spianati dai Vogos. Ri-cordo l’emozione di una Città gran-diosa e lugubre insieme. Con Ale-xander Platz e la Friederich Strasse,grandi viali solenni e tetri. C’era unincontro Mondiale della Gioventù; eio, come segretario nazionale deiGiovani Repubblicani e presidentedel Comitato Italiano Giovanile perle Relazioni internazionali, presie-devo la Delegazione Italiana. Tornaia Berlino (Ovest questa volta) nel1980, per un congresso della Eldr, laFederazione dei partiti liberali, de-mocratici e riformatori europei. U-n’atmosfera gioiosa piena di luci, diragazzi, di gioia di vivere.

Immaginare, vedere che quel mu-ro crollava; immaginare, vedere icittadini di Berlino unirsi, riunirsi,gioire insieme mi colpì con una for-za che ancora oggi, 30 anni dopo,sento fortissima. Chiamai i miei a-mici tedeschi, i diplomatici italianiche avevo conosciuto (l’ambasciato-re Ferraris e il giovane consigliereValenzise); gli italiani che vivevanoa Berlino (e tra questi Giuseppe Vi-ta). Gioimmo insieme. L’Europa erapiù forte! E dopo il Muro sarebbecrollato anche un regime, odioso einsopportabile. E con esso un siste-ma. Un’utopia che aveva fallito. l

Nella foto di Giovanni Chiaramonte la demolizione del Muro di Berlino lungola via a ridosso della Gropius Bau nei pressi della Friedrich Strasse e delCheck Point Charlie, che per oltre 30 anni fu l’unico punto di passaggio tra laparte occidentale e la parte orientale della città. Nel punto più caldo dellaguerra fredda, causata dal conflitto tra Comunismo e Capitalismodemocratico, la scelta di fotografare il muro in sezione rivela la nullità fisicadi quel confine e insieme la forza divisiva dell’ideologia. Solo lo spontaneoscendere in piazza di un milione di berlinesi permise di farlo cadere