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Il povero Isacco Il racconto è crudo e realistico: “Giunti sul luogo dove Dio gli aveva detto, Abramo vi costruì un altare e accomodò la legna; legò poi Isacco, suo figlio, e lo mise sull’altare sopra la legna. Stese quindi Abramo la mano e prese il coltello per scannare suo figlio” (Gen 22,9.10). Isacco è un ra‐gazzino già cresciuto che parla correttamente e con cognizione : “Ecco il fuoco e la legna, soggiunse Isac‐co, ma l’agnello per l’olocausto dov’è?”. Si rende conto quindi di tutta la situazione e si meraviglia di questo strano atteggiamento, di questo strano pa‐dre anziano (Abramo ha superato largamente i cen‐to anni) che da sempre gli avrà raccontato di questo strano dio che non si vede ma che parla e promette futuri radiosi. Immaginatevi il trauma di questo bim‐bo (quattro‐sei anni?) che si ritrova legato con il col‐tello del padre alla gola per essere scannato. E quale sarà stata la reazione della madre Rebecca quando il figlio le avrà certamente raccontato il fatto? Sarà stata la causa alla base del futuro inganno per l’eredità e la primogenitura? E’ evidente il richiamo all’uso antico dei popoli semiti, di sacrificare (“rendere sacro” nel senso etimologico del termine) il figlio primogenito alla divinità per riceverne in cambio i favori. Fatto attestato in epoca storica dai tophet di ambiente fenicio. Allora, forse, questa sto‐ria giustificò l’eliminazione di tale offerta del figlio, almeno per la tribù di Abramo e poi per il popolo ebraico. Non si parla più di Isacco fino al giorno del suo matrimonio, quando do‐vrà accettare una moglie scel‐ta dal padre tra i suoi parenti. “E Isacco condusse Rebecca nella tenda di Sara, sua madre, e la prese e divenne sua mo‐glie e l’amò; e Isacco si conso‐lò dopo la morte di sua ma‐dre” (Gen 24,67). Lunghi anni dunque di malinconica solitu‐dine, rifugiato nelle braccia consolatrici della madre, e do‐po la sua morte, nella tristezza più solitaria? Questa dunque la vita della Promessa? Con Rebecca, alla fine, si consolò. “Rebecca, sua moglie, concepì e i figli si urtavano nel suo se‐no” (Gen 25.22). Triste sorte quella dei fratelli discendenti
da Abramo: Ismaele viene allontanato per non fare ombra ad Isacco, mentre Esaù e Giacobbe si litigano ancor prima di nascere. E dopo? L’inganno, compli‐ce Rebecca, per togliere al figlio prediletto di Isacco, Esaù, la primogenitura e la benedizione del padre; e meno male che Isacco era il figlio della Promessa! Trascurato dal padre dopo un matrimonio combina‐to, e pure raggirato dalla moglie. E’ vero che diven‐ne molto ricco “possedeva greggi di pecore, man‐drie di bovi e numerosa servitù” (Gen 26,14), ma ebbe un’esistenza molto travagliata e passò parte della vita a scavare pozzi che altri gli portavano via. “E Isacco scavò di nuovo quei pozzi d’acqua … poi scavarono in quella valle … scavarono poi un altro pozzo … vennero a riferirgli del pozzo che stavano scavando”. Insomma, una vita dura, nonostante il benessere, essendo il pozzo elemento fondamenta‐le nell’organizzazione dell’esistenza dei popoli no‐madi. Il povero Isacco non ha potuto neppure desi‐gnare come proprio erede il figlio prediletto Esaù, “buon cacciatore e uomo della campagna”, “mentre Rebecca amava Giacobbe” che infatti si impone co‐me destinatario della promessa fatta da Dio. “Imprescindibili sono le vie del Signore” e così, Gia‐cobbe l’ambiguo, che amava stare sotto le tende con le donne, vince la lotteria della storia e diventa il vero capostipite del futuro popolo ebraico, gene‐rando i dodici figli che daranno nome alle tribù che si rafforzeranno in Egitto sotto Faraone.
POVERO ISACCO di Marco M.
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Medicina e Dialisi... Esperienze e novità da questo particolare universo che ci lega
IL PRURITO NEL PAZIENTE UREMICO a cura di Jessica S.
Il Prurito Uremico (UP) rimane una delle manifesta‐zioni di patologia cutanea più frequenti e più fru‐stranti nell'uremico cronico in trattamento sostituti‐vo, interessando oltre il 50% dei pazienti, siano essi in trattamento con terapia extracorporea o con dia‐lisi peritoneale. Il prurito associato alla malattia re‐nale cronica è stato quasi unicamente definito come “uremico”; tuttavia, esso risulta essere solo una del‐le tante possibili manifestazioni dell'uremia cronica, ed è tipicamente assente nelle forme acute di insuf‐ficienza renale. Per questo, alcuni autori ritengono che non essendoci una chiara relazione di causa‐effetto con l'uremia sarebbe meglio definirlo “prurito associato all'uremia”. Un secondo aspetto che può ancor meglio sottoline‐are l'importanza di questa distinzione è che nell'ure‐mia si associano spesso diverse altre condizioni che, di per sé, si associano a prurito: patologie epatiche come le infezioni da HBV e HCV, endocrine quali i‐pertiroidismo e diabete mellito. Queste patologie vanno attentamente valutate per una corretta dia‐gnosi differenziale. Esistono diverse teorie sull'origi‐ne di UP. La teoria immunologica si basa sul fatto che nei pazienti emodializzati si riscontrano una se‐rie di fenomeni che indicano un'alterazione dello stato immunitario e che esista una condizione di infiammazione cronica. La teoria neuropatica dice che, come per il dolore, anche per il prurito è stata identifico un gruppo di fibre tipo C specificamente deputate alla condizione di tale stimolo, in grado di attivare i neuroni midollari che poi trasmettono il segnale alla regione talamica. Queste fibre sono presenti negli strati profondi dell'epidermide ove
interagiscono con i mastociti i quali influenzano la mediazione del prurito rilasciando sostanze come l'istamina. Nei dializzati queste fibre specifiche per UP possono mostrare un pattern abnorme di inner‐vazione cutanea. La teoria dermatologica sostiene che nello stato uremico la cute va incontro a nume‐rose alterazioni che possono dar esito a cari quadri clinici. Il più comune è la xerosi cutanea, causata dall'atrofia delle ghiandole sudoripare e sebacee, da una difettosa produzione di sudore, dall'alterata idratazione cutanea probabilmente da un tipico e abnorme pattern di innervazione della cute. Una ulteriore tipica alterazione della cute uremica è un pH cutaneo maggiore rispetto ai soggetti sani, che renderebbe ragione dell'alta prevalenza di sec‐chezza cutanea nell'uremia. Sicuramente però un elevata presenza di calcio‐fosforo si correla in ma‐niera significativa con UP, verosimilmente tramite elevata concentrazione di ioni di calcio negli strati profondi dell'epidermide e la formazione di cristalli di fosfato di calcio che sono in grado di stimolare i recettori del prurito e la cui entità si correla con l'in‐tensità del sintomo. Il rilievo che oggi si attribuisce a UP deriva dal fatto che esso, benché ancora sotto‐stimato e scarsamente trattato, influenza grande‐mente sia la qualità che l'aspettativa di vita del pa‐ziente uremico. Il Prurito Uremico, specie quando persiste ed è in‐trattabile, è un sintomo con impatto potenzialmen‐te negativo sullo stato psico‐fisico del paziente, con conseguente peggioramento dell'astenia, dello sta‐to di agitazione sino a quadri di depressione. D'altro canto UP influenza grandemente la qualità del son‐
no, i pazienti affetti dichiarano fre‐quentemente di non riuscire a dor‐mire la notte e di avere di conse‐guenza sonnolenza delle ore diurne, con la chiara percezione di non riu‐scire a dormire abbastanza per ripo‐sare adeguatamente. Il trattamento di UP rimane tuttora una sfida non risolta. Come per tutte le patologie che caratterizzano lo stato uremico, una condizione preliminare del trat‐tamento è una buona depurazione
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attraverso la dialisi, anzi, è stata spesso usata come unico trattamento per controllare il sintomo. Per le strategie dialitiche e la terapia farmacologica do UP vanno prima di tutto modificati i possibili fattori ag‐gravanti del sintomo con un possibile ruolo causale. Per tanto andrà corretta l'anemia e controllati al meglio i disturbi del metabolismo minerale, con par‐ticolare attenzione alla fosfatemia, la celcemia e il loro prodotto: i valori di Paratormone PTH. Fatto ciò, il Prurito Uremico non va considerato una con‐
seguenza inevitabile dell'uremia, ma va pianificata una strategia di intervento a passi successivi a parti‐re dai trattamenti topici e da quelli impegnativi. Struttura Nefrologica e Dialisi Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza – Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, San Giovanni Rotondo
Cosa è il diabete? Questa malattia è abbastanza subdola, spesso in apparenza non da sintomi quindi ci sono per‐sone diabetiche che non sanno di esserlo fino a quando non fanno un esame del sangue. Specialmente per i dia‐betici di "tipo II", chiamato anche diabete mellito, che si manifesta in età adulta. Chi ha il diabete sa che corre il rischio di avere problemi cardiaci ed anche renali, arte‐rosclerosi, cecità, disfunzioni nervose, infezioni, difficoltà nella guarigione di eventuali lesioni o ferite. Ciascuno reagisce a modo suo al diabete e questo significa che ogni persona affetta da diabete deve essere seguita diretta‐mente da un medico specialista e deve essere costante‐mente tenuta sotto controllo. Non bisogna assoluta‐mente sottovalutare questo punto. Quello che fa bene ad una persona, non è detto che vada bene anche ad un'altra, perché forse potrebbe non essere indicata o addirittura farle del male.
L'obbiettivo di ogni diabetico è quello di mantenere il più normale possibile il livello di zucchero e di grasso nel sangue. Per il diabetico sono importanti, come tre pietre miliari, l'alimentazione, il controllo del peso e l'esercizio fisico. C’è però una una piacevole notizia: si può elimina‐re diversi sintomi del diabete se si riesce a controllarlo bene e se si segue con attenzione il regime di terapia concordato con il Medico. Sono tre le complicanze del diabete potenzialmente pericolose che richiedono l'at‐tenzione sia del paziente, sia del Medico, e sono:
l'IPOGLICEMIA,
l'IPERGLICEMIA
DIFFICOLTA' DI CICATRIZZAZIONE delle ferite.
L'ipoglicemia si ha quando il livello di zucchero nel sangue scende troppo, per tanto mantenere il giusto livello di zucchero nel sangue richiede un'azione di equilibrio ali‐mentare ed un esercizio fisico, perché i diabetici sono particolarmente esposti alle ipoglicemie. Di solito le per‐sone in cui il diabete si sia manifestato in età adulta han‐
no la possibilità di cadere in ipoglicemia quando ritarda‐no o addirittura saltano i pasti o quando l'esercizio fisico risulta eccessivo. I sintomi sono cute fredda o umida, un leggero sudore in tutto il corpo con un senso di agitazio‐ne ed anche di fame. In questi casi, trattandosi di ipogli‐cemia in forma leggera, basta prendere dello zucchero o bere una bibita dolce, come succo d'arancia o una bibita gassata, o mangiare una caramella, ma è sempre impor‐tante e possibile portare con se qualche zolletta di zuc‐chero o qualche caramella. L'iperglicemia è l'eccesso di zucchero nel sangue, da qui sintomi come sete e fame eccessive, visione confusa e vertigini. Si può essere ipergli‐cemici e non avere sintomi, ma possono anche presentarsi disidratazione, affaticamento, respiro rapido o profondo fino al coma.
L'80% dei diabetici di "tipo II" é in sovrappeso e tende a vivere in modo sedentario e mangiare abbondantemen‐te. L'obesità può danneggiare i recettori dell'insulina, per cui lo zucchero non riesce ad entrare nelle cellule e rimane nel sangue. Se un diabetico è in sovrappeso deve dimagrire sia con una dieta appropriata, sia con l'eserci‐
IL DIABETE DI Franco R.
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Si parla poco di Parkinson. L'opinione più diffusa è che si tratti della malattia che provoca tremori alle mani, ma in realtà, persino gli Specialisti hanno difficoltà a riconoscere precocemente questa malattia neuro‐degenerativa che in Italia conta ben oltre 200 mila malati, a cui si aggiungono ogni anno altri 9 mila nuovi casi, con un costo complessivo, per il Servizio Sanitario Nazionale, pari a 2 Miliardi e mezzo di Euro l'anno. Il Par‐kinson si manifesta con tremori in fase di riposo, peraltro assente in molti pazienti, ma più ancora, con una serie di sintomi a precoce insorgenza come stipsi, depressione, ridotta sensibilità agli odori, crampi oltre a sonno disturbato. Sull'importanza di questi sintomi, Neurologici e Ricercatori hanno focalizzato una certa attenzione, solo da qualche anno a questa parte. Non a caso, chi è colpito da questo,morbo, esita parec‐chio, a volte di mesi ed a volte di anni, prima di presentarsi dal Medico, perché ignorano i "segnali" iniziali della malattia, ed in certi casi,è successo che qualcuno abbia dovuto addirittura smettere di lavorare. Insuf‐ficienti conoscenze e scarsa attenzione delle istituzioni, unite poi a risorse inadeguate, completano il resto. Il Parkinson è complesso, colpisce diverse parti prima che compaiono problemi o disturbi motori, e quando
tutto questo succede, parte dell'area cerebrale, ha già perso una buona parte dei suoi neuroni. La ricerca punta a farmaci neuroprotettivi, che rallentino l'evoluzione della malattia. Anche le terapie riabilitative, miglio‐rano le condizioni dei pazienti, che in questo modo riescono a proporsi in modo concreto a se stessi ed agli altri. Ma vediamo di conoscere me‐glio questa malattia del sistema nervoso centrale caratterizzata da tremori e rigidità muscolari progressive. Il morbo di Parkinson è molto raro in persone al di sotto dei 50 anni di età ed è più comune nel sesso maschile. I Sintomi all’inizio, sono graduali, essi sono dovuti a lesioni degenerative cerebrali, quelle che controllano i movimenti. Queste le‐sioni portano alla diminuzione di un trasmettitore cerebrale, la dopami‐na, e questo permette la somministrazione, nella terapia del precurso‐re della dopamina, la levodopa. La levodopa viene trasformata in dopami‐na all'interno dello organismo. Non si conoscono però le cause della de‐generazione delle vie che trasmettono gli impulsi nervosi mediante la dopamina anche se in alcuni casi sono conseguenze di arteriosclerosi o
encefaliti. Come sintomi i muscoli degli arti diventano rigidi, ed il camminare diventa faticoso oltre che diffi‐coltoso, per cui il paziente cammina a piccoli passi e tende ad aumentare la velocità, mentre l'equilibrio è instabile, ma nonostante ciò le facoltà mentali non subiscono danni restando completamente integre. E' importante che il paziente venga seguito dal Medico, ma è altrettanto opportuno che si sia seguito anche dai familiari, per‐ché va incoraggiato ed anche aiutato in modo che collabori con la terapia che consiste nella somministrazione della levodopa che va associata con un inibitore che impedisca la sua distruzione nel sangue permettendo così un maggiore ingresso nel cervello. La risposta dei pazienti ai farmaci è molto individuale e vanno sperimentati fino a trovare il dosaggio ottimale. Anche la Chirurgia, per meglio dire la Neurochirurgia, può essere utile in casi partico‐lari, perché sebbene il Morbo di Parkinson rientri tra le malattie inguaribili, una adeguata terapia per mettere una vita accettabile sotto tutti gli aspetti per 15‐ 20 anni, perché se anche è difficile riconoscere il morbo, ciò è possibi‐le. Il nome di questo morbo deriva dal medico inglese James Parkinson (1755‐1824) che per primo la studiò.
IL MORBO DI PARKINSON, DIFFICILE RICONOSCERLO di Franco R.
zio fisico; la vita sedentaria è veramente un nemico, per‐ché a volte basta perdere dai 4 ai 5 KG per sentirsi già bene. L'esercizio fisico migliore e che non richiede spe‐ciali equipaggiamenti è quello semplicemente di cammi‐nare di buon passo ed è di gran lunga il più sicuro ed il più efficace di tutti gli esercizi fisici perché camminare da
un senso di benessere e basta circa un 1 Km e mezzo, meglio 2 Km, al giorno per bruciare molte calorie. Ma certamente, sono particolarmente importanti i " Test" del sangue, che non vanno mai tralasciati, anche se, a volte, vanno ripetuti più volte in un giorno, ma ne vale veramente la pena.
Ritratto del Dottor James Parkinson
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PARADOSSI DELL’INFINITO di Marco M.
Pensieri a mente libera Una rubrica dove esprimersi e condividere le proprie idee
Sembra che il primo che abbia affrontato il proble‐ma dell’infinito sia stato Zenone di Elea (V sec aC.) famoso discepolo di Parmenide. Noi tutti conoscia‐mo il paradossale racconto della sfida tra Achille e la tartaruga, dove il grande eroe greco, per quanto veloce, non riesce mai a raggiungere il lentissimo animale in una avvincente corsa dove lo spazio per‐corso in successione ma all’infinito è sempre divisi‐bile in parti, sia pur piccolissime. Lo stesso proble‐ma è alla base delle teorie matematiche del caos, in quanto le nostre misurazioni non sono mai così precise da essere vincolanti per le leggi di una fisica deterministica ma che rimane indeterminata a cau‐sa della insufficienza delle nostre misure. Ricorda‐te? Piccole variazioni iniziali portano ad enormi dif‐ferenze finali. Gli antichi preferirono parlare di indefinito piuttosto che affrontare i misteri dell’infinito! Sappiamo, per esempio, che i numeri da 1 a 10 sono composti da cinque numeri pari e da altrettanti numeri dispari; la loro somma dà sempre dieci numeri interi iniziali. Così è anche per i numeri da 1 a 1000; ma all’infinito, che cosa suc‐cede? Il numero dei numeri interi è senza fine, questo è evidente anche ai ragazzi: non si finisce
mai di contare e sempre è possibile aggiungere un’unità all’ultimo numero pensato per continuare così la serie all’infinito, appunto. Immaginatevi, per esempio, di voler confrontare il numero dei numeri interi con il numero dei numeri pari su due righe affiancate: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 … … 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 … … Per ciascun numero intero esiste un corrisponden‐te numero pari e scopriamo, così, che i numeri pari sono della stessa quantità di quelli interi, cioè infi‐niti. Ma allora il totale (gli interi) è uguale alla sua metà, essendo i pari la metà degli interi. Allora, nell’infinito, quale significato acquista la normalità? E la verità?
DIALISI A VILLA ULIVELLA di Marco M.
Potremmo considerarlo come un circolo esclusivo, quasi un Private English Club con soci a iscrizione selet‐tiva per qualità di sangue. La quota di iscrizione è abbastanza modesta in rapporto ai vantaggi che se ne ricavano, dato che le eventuali alternative sono tutte pessime, anche se, rifacendosi ad Alberto Eco: “se ti convinci che nel mondo sei circondato solo da cretini, la morte non è soltanto consolazione ma premio”. E’ comunque innegabile che da quando la gestione è passata in mani femminili si respira un clima più gen‐tile, un’armonia che stabilizza i rapporti e rende piacevole il tempo passato nel “circolo”, dove graziose biancovestite passano per distribuire caffè, thè, yogurth, dolcetti e salatini, avendo finalmente eliminato quella rozza tradizione delle grosse fette di pane “casareccio” con prosciutto salato, che ricordavano il dopolavoro ferroviario. Tra i nuovi arrivati, due gentili personaggi: uno con due spalle di armadio che renderebbero ragionevoli anche i più cattivi, somiglia al Bronzo di Riace più anziano; l’altro sembra il sosia di John Malkoviċ e pos‐siede una sottile autoironia che lo rende simpatico e benvoluto da tutti. La parte più innovativa della nuo‐va gestione consisterà nell’apertura di una biblioteca circolante che, insieme alla già acquisita pubblicazio‐ne di una rivista interna di acclarato successo, incrementerà ancor più quella dimensione culturale che caratterizza questo istituto fiorentino. Per il futuro auspichiamo anche la possibilità di un salottino dove i “soci” possano trascorrere l’intera giornata a leggere quotidiani, a giocare a scacchi, a conversare delle bellezze dell’arte e a discutere dei temi generati dal “dialysismo” o “dialiticismo” (movimento di pensiero ideologico‐sociale nato dalla consuetudine alla dialisi o azione dialitica).
Che dire... Sono passati solo 19 mesi da quando l'undici febbraio del 2009 ho messo piede per la prima volta nel reparto di Dialisi di Villa Ulivella. Sono poco più di un “lattante” dentro que‐sto mondo, ma mi sento pienamente parte di questa realtà. In questo periodo sento di essere cresciuto da un punto di vista professionale, ma sopratutto da un punto di vista umano. Ho attraversato questa piccola realtà – la dialisi di Villa Ulivella – cercando di dare il meglio di me, anche se sono consapevole che non sempre è stato così! Anzi... Mi sono dovuto confrontare con tante mie debolezze, con tante mie mancanze e, alle volte, con un Alberto che non cono‐scevo. Percorrere quella stanza, quel corridoio in mezzo a quei quindici letti... Quindici pazien‐ti, quindici persone, quindici sguardi, che ti seguono, ti scrutano ti interrogano... E se in mezzo a questi sguardi non ti chiedi da dove vieni e dove vuoi andare, difficilmente potrai compren‐dere a pieno qual è il tuo vero compito. L'infermiere in dialisi deve rivestire molteplici figure e svariati ruoli, deve accogliere e comprendere, educare e gestire, sostenere e informare. Tanti aspetti da tenere sotto controllo dalle tecniche dialitiche, alle emozioni, dalla gestione della seduta alla percezione della sicurezza. Non sempre sono stato all'altezza di questi compiti, però ho sempre messo un po' di cuore nel provarci e credo che questo lenisca tante altre mie pecche. Non è facile lasciare questo lavoro, ma soprattutto non è facile lasciare le persone: colleghi e pazienti. E' difficile abbandonarvi. Lo so che tanti lo percepiranno come una perdita, uno strappo... anch'io la vivo così! Il tempo condiviso insieme – ed in dialisi si parla di mesi non di ore – crea sempre un legame e sento che mi mancherà alzarmi la mattina e pensare di prendere la macchina e venire qui assonnato e confuso, ma pronto a lavorare per voi, con voi! Si dice che “quando si chiude una porta si apre un portone” e speriamo che sia davvero così... Questa porta che si chiude per me è stata il primo luogo dove far maturare la mia professio‐nalità ed è stato quindi una base di partenza importante. Comunque vada, ovunque vada, vi porterò con me perché ormai fate tutti parte del mio bagaglio di ricordi ed emozioni. Sono consapevole del fatto che vi rimpiangerò molto cari colleghi e cari pazienti e sono altrettanto sicuro che non smetterò di ricordarvi, però adesso sento importante percorrere questa nuova strada che mi si è aperta davanti! Vostro, Alberto
UN GROSSO ARRIVEDERCI!
Grazie!