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Pellegrinaggio e ricerca di guarigione:
la rete poliambulatoriale dei santuari abruzzesi
Ernesto Di Renzo
«Quando la malattia va in lungo s’ha da andare in votivo pellegrinaggio a S. Mauro, e bisogna pur dire che queste gite producono spesso eccellenti effetti». (G. Finamore, Tradizioni popolari abruzzesi).
«Se non andassi ogni anno alla Fonte di san Franco mi sentirei più insicuro per la mia salute. Perché ogni volta che ritorno a casa sono finalmente certo che niente di grave potrà succedermi». (Antonio S., pellegrino)
Premesse
Questo saggio trae i presupposti da una ricerca di documentazione etnografica condotta
in Abruzzo a cavallo degli anni 1997-20001. Il lavoro, dal contrassegno distintivo del
work in progress, ha avuto come oggetto d’indagine la repertorizzazione dei culti
pellegrinali attualmente in uso nello spazio dell’intero territorio regionale. I risultati
acquisiti, del tutto inopinati rispetto ai dati precedentemente disponibili, hanno
consentito di censirne e di documentarne oltre centoventi. A questi, la successiva
prosecuzione degli studi portata avanti fino ai nostri giorni ha permesso di sommarne
almeno un’altra quindicina, sfuggiti in prima battuta per via delle loro piccolissime
dimensioni o della perifericità geografica delle aree di svolgimento.
Tutti i dati relativi ai pellegrinaggi e ai rispettivi luoghi santuariali, dopo essere stati
attentamente vagliati e schedati, sono stati immessi all’interno di un archivio
informatico appositamente progettato per lo scopo. Lavorando analiticamente su tale
strumento, e utilizzando opportune chiavi di ricerca, si è potuto ricavare una serie
rilevante di indicazioni che hanno permesso di cogliere evidenti connessioni tra alcuni
pellegrinaggi e pratiche di tipo magico-terapeutico, altrimenti difficili da determinarsi
con l’impiego dei tradizionali strumenti di comparazione.
Di queste connessioni mi propongo di fornire un brevissimo resoconto il cui obiettivo
non vuole essere quello di stabilire se e in quale misura le pratiche del sacro terapeutico
siano da ritenersi realmente efficaci, bensì quello di cogliere le possibili motivazioni
che, ancora oggi, inducono un numero affatto considerevole di persone a conformarsi a
certe prassi magico-religiose riconducibili all’interno di un discorso salute-malattia.
Motivazioni che, a mio avviso, non si collocano tanto sul piano della ricerca di una
sanatio dalle varie forme di patologie mediche quanto piuttosto su quello della loro
prevenzione-immunizzazione; ciò all’interno di un universo simbolico fortemente
permeato di credenze arcaiche e nel quadro di un “bilinguismo” culturale che coniuga,
in fatto di malattia, antico e moderno, sacro e scienza, santità e sanità. 1 I risultati di questa lunga e laboriososa indagine sono esposti nel saggio collettaneo curato da G.
Marucci, Il viaggio sacro. Culti pellegrinali e santuari in Abruzzo, Teramo, Andromeda, 2000.
2
Ire per agros: breve fenomenologia del pellegrinaggio
La pratica del pellegrinaggio rappresenta una delle più antiche e diffuse espressioni del
sentimento religioso che l'umanità intera abbia saputo concepire: una sorta di lessico
universale che accomuna sotto un unico schema di comportamento quanto di più
culturalmente lontano, o diverso, si possa ritenere. Non vi è infatti popolo della terra, o
epoca della storia, che non abbia espresso i propri bisogni di entrare in contatto con il
mondo del sacro mediante il ricorso a una simile forma di «rito cinetico»2.
Ma cosa sono di preciso i pellegrinaggi e a quale campo del comportamento religioso
appartengono? Qualunque dizionario di storia delle religioni si consulti al riguardo li
definisce come azioni rituali consistenti nel fare meta presso un santuario, o un luogo
ritenuto soprannaturale, con lo scopo di compiervi atti di devozione, di espiazione o di
supplica; compresi il chiedere la remissione dalle colpe, la garanzia di salvezza per la
propria anima o il rimedio dalle malattie del corpo3.
A tale scopo, poco importa per la mentalità del pellegrino se il traguardo da guadagnare
sia collocato a pochi chilometri dal luogo in cui risiede o se si trovi all'altro capo del
mondo; poco importa se nel perseguirlo si proceda pedibus calcantibus oppure mediante
l'ausilio di mezzi meccanizzati di locomozione; poco importa se si impieghi un tempo
limitato ad alcune ore di tragitto o se invece occorrano giorni, settimane o addirittura
mesi di marcia; poco importa, infine, se la meta da raggiungere sia rappresentata da una
grande cattedrale, custode delle più sacre reliquie, o da una semplice immagine pittorica
raffigurata su una roccia. Ciò che per lui effettivamente conta è la volontà di farsi
temporaneamente "viaggiatore" con l'intenzione di ottenere, attraverso il sacrificio del
cammino intrapreso, tutti quei meriti necessari per vedere realizzate le proprie
aspettative di cambiamento, di purificazione o di guarigione.
Dichiara in proposito Gabriella Marucci:
Le motivazioni che da secoli sollecitano migliaia di pellegrini a lunghi e talvolta
spossanti viaggi verso luoghi dove il sacro sembra farsi percepibile sono molteplici
e non sempre necessariamente di ordine spirituale […] Il contrassegno della
maggior parte dei pellegrinaggi è proprio la ricerca della salute fisica e il miracolo
cui si vorrebbe assistere, o di cui si vorrebbe essere i protagonisti, riguarda per lo
più una guarigione4
2 Cfr. V. Turner, E. Turner, Il pellegrinaggio, Argo, Lecce, 1997.
3 Cfr. R. Barber, Pellegrinaggi. I luoghi delle grandi religioni, Genova, ECIG, 1991; Morinis A. (a cura
di), Sacred Journeys. The Anthropology of Pilgrimage, London, Greenwood Press, 1992; A. Rossi, La
festa dei poveri, Palermo, Sellerio, 1986; H. Stoddard, A. Morinis, Sacred Places, Sacred Spaces. The
Geography of Pilgrimage, Los Angeles, Luoisiana State University, 1997J. Sumption, Monaci, santuari e
pellegrini: la religione nel Medioevo, Roma, Editori Riuniti, 1981.
4 G. Marucci, op. cit.,p. 23. Anche secondo Roberto Lionetti, pellegrinaggi e affrancamento dalle malattie
si trovano a tal punto associati nelle pratiche religiose tradizionali che nella ricerca della guarigione può
essere colto uno dei tratti caratterizzanti della religiosità popolare itinerante. Del resto, considera lo stesso
Lionetti, che la salute del corpo abbia costituito, e costituisca tuttoggi, la grazia per eccellenza da
domandarsi in dono alla divinità nei luoghi in cui essa si manifesta non deve destare stupore, poiché «la
forza e il benessere fisico hanno sempre rappresentato il cardine della società contadina tradizionale, ed
anche in ambito urbano essa era in passato condizione fondamentale della sopravvivenza: la salute viene
3
Oggi sappiamo che di pellegrinaggi si può parlare già a partire dalle fasi più remote
della storia dell'uomo. Ce lo documenta l'archeologia, ce lo spiega la paletnologia, ce lo
tramandano gli antichi testi sacri. E se riguardo i più lontani momenti della preistoria si
può ipotizzare l'esistenza di simili pratiche soltanto sulla base del rinvenimento di ex-
voto e di votivi all'interno di grotte e santuari rupestri, riguardo i periodi
cronologicamente successivi la certezza basata sui documenti scritti non lascia dubbi di
sorta circa una loro generalizzata diffusione su scala mondiale. Soprattutto in relazione
alle grandi religioni storiche: Cristianesimo, Ebraismo, Buddismo, Induismo,
Islamismo. Sono state proprio queste, infatti, a dare il più incisivo impulso allo sviluppo
dei pellegrinaggi, proponendoli come una imitazione umana delle vicende di vita vissute
dai rispettivi fondatori durante la loro permanenza in terra. Un’imitazione che, dando
luogo ad una piena identificazione di sofferenza tra la divinità stessa e il pellegrino,
permette a quest'ultimo di guadagnarsi il riscatto dalle colpe o il risanamento dai mali
dello spirito e del corpo.
Tuttavia, se alcune religioni hanno investito il pellegrinaggio del carattere
dell’obbligatorietà - si pensi al riguardo a l'hagg islamico - altre hanno lasciato che si
esprimesse come atto di libera volontà da parte del credente. Anzi, non soltanto non lo
hanno deliberatamente prescritto come pratica necessaria di fede, ma spesso si sono
dimostrate piuttosto indifferenti, se non addirittura refrattarie, al suo imporsi tra le
masse. Ciò è da porsi in relazione a due ordini di fattori: il primo è che ritenendo certi
luoghi come sedi di forze soprannaturali in cui si può sperare, più facilmente che
altrove, di ottenere un aiuto prodigioso, si viene a contraddire quella nozione
dell'onnipresenza della divinità propria della teologia di molte religioni5; la seconda, in
qualche modo direttamente collegabile alla prima, è che potendo questo tipo di fede
dispiegarsi ovunque, cioè in qualsiasi luogo della natura e dello spazio dove il
sovrumano decida di rivelarsi agli uomini, le gerarchie ufficiali non sempre sono in
grado di esercitare un pieno e diretto controllo sulla ortodossia dei comportamenti messi
in atto dai credenti. E infatti l'eterodossia, vale a dire l'insieme delle condotte non
pienamente corrispondenti ai canoni di fede stabiliti dalla “vera” dottrina, assieme alla
gestione fondamentalmente laica dei riti, sembra connotarsi come una della qualità
maggiormente distintive di questo genere di pratica. E' per tale ragione che molti
pellegrinaggi, soprattutto a destinazione terapeutica, sono stati spesso avversati nel loro
svolgimento6. Ed è inoltre a causa della loro costante e a volte eccessiva spinta verso la
così a identificarsi, in ultima analisi, con la capacità di lavorare; la malattia, per contro, porta con sé
disgrazie, povertà, emarginazione». (R. Lionetti, Religione e guarigione, «La ricerca folklorica», n. 8,
1983, p. 137) 5 Cfr. A. Bertholet, Dizionario delle religioni, Roma, Editori Riuniti, 1972, p. 334.
6 Nei quadri del Cattolicesimo, fa notare Roberto Lionetti, il rapporto tra pellegrinaggi terapeutici
popolari e religione ufficiale è «questione complessa e meno di ogni altra riconducibile a un discorso
unitario». Per comprenderla, infatti, «occorre tener presente il carattere reciproco della relazione» e
occorre interrogarsi «non solo sul modo in cui la Chiesa si rapporta ai culti popolari ma anche sul ruolo e
sull’importanza attribuita in tali pratiche alla partecipazione del prete e allo svolgimento della cerimonia
religiosa ufficiale». A questo proposito «un dato di rilievo emerge in numerose ricerche, ed è quello della
sostanziale non indispensabilità del prete allo svolgimento (e alla riuscita) di molte pratiche terapeutiche,
4
ricerca di una “linea medica diretta” con i numina loci che molti, pur non potendo essere
aboliti, si sono visti imporre una serie di restrizioni e di controlli serrati da parte
dell’autorità religiosa7.
Terapie e profilassi sacre nei pellegrinaggi abruzzesi
Il fatto che numerose pratiche della demoiatria abbiano individuato nel pellegrinaggio
uno dei momenti più idonei del loro attuarsi non è da ritenersi un fenomeno recente, né
tantomeno marginale. Ce lo ricorda Luigi Lombardi Satriani quando, esponendo le sue
considerazioni introduttive al celebre saggio dei Turner, nota che:
L’antropolgia medica ha più volte sottolineato la connessione tra la malattia, nella
più ampia accezione del termine, e le strategie culturali elaborate per contrastarla e
sconfiggerla. Tra queste, il pellegrinaggio come il ricorso ad altre richieste di
intervento soprannaturale occupano un posto di indubbia rilevanza8.
In Abruzzo, i pellegrinaggi a scopo terapeutico hanno dietro di sé una lunga e
complessa storia di svolgimento che dalle fasi più tarde del Paleolitico superiore ha
condotto fino ai nostri giorni, praticamente senza soluzioni di continuità e, in diversi
casi ben documentati, senza variazione di sede. Laddove ciò che è costantemente mutato
sono stati gli orizzonti religiosi e le figure divine cui si è fatto di volta in volta
riferimento.
Come già segnalato in esordio di trattazione, sono ben oltre il centinaio i culti
pellegrinali tuttora attivi nel panorama regionale e, nell’insieme, mostrano una
distribuzione spaziale (fig. 1) che possiamo ritenere pressochè uniforme in relazione
all’intero territorio9.
Naturalmente non tutti i pellegrinaggi manifestano i medesimi contrassegni morfologici
e funzionali. Alcuni, ad esempio, sono molto praticati e famosi anche a livello nazionale 10
mentre altri hanno una dimensione strettamente locale; alcuni si svolgono
esclusivamente in coincidenza di precise cadenze calendariali mentre altri, soprattutto
quelli più celebri, fanno registrare un afflusso costante di fedeli in ogni periodo
dell’anno; alcuni vengono effettuati esclusivamente a piedi mentre altri con l’ausilio di
pullman o automobili; alcuni implicano complesse ritualità sia di tipo liturgico che para-
liturgico mentre altri si esauriscono nella semplice visita al luogo santo; alcuni hanno
che possono compiersi anche a sua insaputa e giungere a rivestire un carattere di vera e propria
clandestinità. Avviene così che pratiche ritenute dalle autorità ecclesiastiche poco ortodosse continuino a
compiersi anche senza di esso, su diretta iniziativa popolare. Si arriva talvolta fino al rifiuto della Chiesa,
quando quest’utlima rifiuta di garantire certi riti divenuti, nella coscienza popolare, essenziali». (R.
Lionetti, op. cit., p. 140). 7 Fatte salve quelle situazioni, Lourdes ad esempio, in cui è stata la stessa autorità religiosa a farsi carico
in prima persona della gestione e del “potere di verifica” dei miracoli di guarigione. 8 Cfr. L.M. Lombardi Satriani, Introduzione, in V. Turner, E. Turner., Il pellegrinaggio, Lecce, Argo,
1997, p. 15 9 Cfr. E. Di Renzo, Si parva licet componere magnis. Forme minime di pellegrinaggio in Abruzzo, in G.
Marucci, op. cit., pp. 39-63. 10
Mi riferisco ai pellegrinaggi di S. Gabriele dell’Addolorata a Isola del Gran Sasso (TE), la Madonna dei
Miracoli a Casalbordino (CH), la Sacra Spina a Vasto (CH), il Volto Santo a Manoppello (CH).
5
come destinazione grandi chiese ricche di reliquie e di oggetti artistici mentre altri
hanno come meta piccole cappelle di campagna o discoste grotte di montagna; alcuni,
infine, manifestano caratteri più che altro devozionali mentre altri evidenziano delle
vocazioni a sfondo prevalentemente miracolistico.
In alcun caso i pellegrinaggi abruzzesi mostrano caratteristiche o evidenziano situazioni
in qualche modo assimilabili a quelle che si possono riscontrare a Santiago de
Compostela, Czeçstochowa, Montserrat o Lourdes in cui, come fa osservare Clara
Gallini
le reali protagoniste sono le folle: masse grandiose e potenti, messe in scena come
in un kolossal, in tutti i momenti cerimoniali, e anche ludici, della vita del
pellegrinaggio11
.
Inoltre, in alcun caso gli stessi pellegrinaggi, fatto salvo sporadiche eccezioni, si
segnalano per una rinomanza taumaturgica di particolare rilievo. Ciò non toglie che
ogni santuario possieda una piccola casistica di miracoli che ne qualifica la sua natura di
11
C. Gallini, Il miracolo e la sua prova, Napoli, Liguori, 1988, p. 80.
6
luogo prodigioso12
. Tuttavia si tratta di miracoli non eclatanti e dunque non esposti - ed
esponibili - al sensazionalismo della notizia. Se vogliamo possiamo definirli prodigi di
modesta straordinarietà, così come modeste ed ordinarie sono le richieste che vengono
rivolte al santo taumaturgo: la remissione dei peccati; il buon esito di un raccolto; il
successo nelle attività lavorative o negli studi; l’armonia familiare; la dispensazione
della prole; la salvaguardia dalle avversità fisiche e dalle negatività.
Tra i numerosi pellegrinaggi censiti, circa una quarantina si segnalano per una valenza a
sfondo miratamente magico-terapeutico e, ragionando in termini partecipazionistici,
quasi tutti sono pellegrinaggi di piccole o piccolissime dimensioni, ciascuno dei quali
specializzato nella risoluzione di specifiche patologie: otiti, odontalgie, cefalee,
epilessie, reumatismi, coliche addominali, disturbi della vista. Tali patologie si
inseriscono in un quadro nosografico che in passato si presentava assai più articolato di
quanto oggi non appaia, comprendendo idrofobia, pellagra, tubercolosi, difterite, gozzo,
pediculosi, itterizia e altri generi di affezioni oggi non più di frequente diffusione.
Complessivamente, l’intera rete dei pellegrinaggi terapeutici traccia sul territorio una
griglia a maglie fitte al cui interno le mete santuariali si pongono come presidi
ambulatoriali - permanenti ed efficaci - in grado di sovvenire ai bisogni di salute
espressi in relazione all’intero spazio regionale. Inoltre, la duplicazione delle medesime
specialità curative detenute da differenti luoghi di culto (fig. 2) fa sì che alcuni di essi,
fungendo da polo gravitazionale di un bacino d’utenza circoscritto, siano in grado di
soddisfare in loco eventuali richieste di guarigione senza obbligare i residenti a
spostamenti eccessivi13
. In base a tale principio, i balsoranesi che desiderano porre
rimedio ai dolori cefalalgici non devono necessariamente effettuare un lungo
pellegrinaggio fino al santuario di San Tommaso ad Ortona, ma è sufficiente che si
rechino al vicino paese di San Giovanni Vecchio per “segnarsi” con l’olio di san
Diodato. I Celanesi che sperano di guarire dalle patologie della vista non devono
arrivare fino al santuario di Prezza, di cui probabilmente ignorano perfino l’esistenza,
ma è sufficiente che facciano visita all’omologo santuario di Castelnuovo per
conseguire i medesimi vantaggi. I raianesi che attendono di guarire dalle epilessie non
devono peregrinare fino alla lontana chiesa di san Donato a Castiglion Messer
Raimondo, ma è bastevole che facciano meta verso l’effigie del santo conservata nella
più vicina località di Castel di Ieri.
12
Questo fatto lo si apprende tanto considerando le numerose leggende di fondazione, tanto spogliando le
fonti documentarie, tanto raccogliendo le testimonianze fornite dai diretti interessati. 13
Questo fenomeno, a suo tempo definito dal Di Nola in termini di «localismo topografico», secondo
l’interpretazione dello stesso autore avrebbe evidenziato in passato un carattere assai più marcato di
quanto non appaia oggi. La ragione della sua residualità sarebbe effetto di un processo mutazionale «che
assegna oggi ai grandi santuari meta di pellegrini una funzione polivalente, secondo un modello ben
rappresentato da Lourdes»; sarebbe inoltre da ascriversi ad un comportamento dei pellegrini «destinato
sempre più ad interiorizzarsi e spiritualizzarsi nella crescita di una richiesta protettiva e garante di una
protezione totale del sé esposto non solo fisicamente». ( A. M. Di Nola, Le terapie magico-religiose, in
Seppilli T. (a cura di), Le tradizioni popolari in Italia. Medicine e magie, Bergamo, Electa, 1989, p. 96).
7
Questa rete poliambulatoriale del sacro terapeutico, che fino a tempi non molto distanti
esprimeva un’articolazione assai più complessa e capillare di quella attualmente
riscontrabile, oltre a mostrare emblematiche analogie strutturali e funzionali con il
moderno sistema sanitario pubblico ne ha anticipato di gran lunga la nascita.
Ma ciò non basta a caratterizzarla nella sua specificità. Analizzando più da vicino il
fenomeno, è infatti emerso un dato assai rilevante che gli conferisce sembianze del tutto
distintive.
I pellegrinaggi in questione, cioè, pur connotandosi come atti devozionali volti a
favorire il perseguimento di guarigioni, si segnalano soprattutto come pratiche
profillattiche finalizzate a scongiurare l’insorgenza delle malattie stesse e, più
estesamente, delle negatività. Meglio ancora, si segnalano come operazioni di
vaccinazione collettiva in grado, con l’ausilio indispensabile della fede, di conferire la
8
copertura immunitaria dalle più disparate forme di patologia14
. Una copertura che non è
detto funzioni per sempre, o subito, e che perciò ha bisogno di continui richiami volti a
favorire l’effetto profilattico esercitato dal vaccino sacro.
A confortare questa mia interpretazione dei fatti concorrono le riflessioni di Bartoli e
Falteri secondo cui la demoiatria, specie quella associabile ai culti pellegrinali
Riguarda soprattutto credenze e pratiche di tipo precognitivo, propiziatorio e
preventivo che scandiscono le fasi più rilevanti della vita individuale e collettiva
rispondendo alla costante preoccupazione di prevedere e allontanare il male. […]
Una prevenzione rivolta non soltanto alla malattia in sé quanto ai rischi del
«negativo» in generale [poichè] appare assai labile il confine tra difesa dalle
malattie e difesa dalla sfortuna, tra tutela della salute come integrità psicofisica e
propiziazione di uno stato positivo15
.
Sul versante del riscontro etnografico, il deciso orientamento alla prevenzione come
tratto distintivo dei pellegrinaggi trova espressione in una varietà di indizi che possono
essere così sommariamente condensati:
- il carattere prevalentemente collettivo-comunitario con il quale si aderisce ai
pellegrinaggi nel giorno della loro ricorrenza ufficiale;
- la natura reiterativa con la quale gli stessi pellegrini compiono il medesimo rito, nel
medesimo posto, a cadenza ciclica;
- la (relativamente) scarsa presenza di ex-voto riscontrabile presso i luoghi di culto; - la circoscritta e selettiva frequentazione dei santuari terapeutici che contrasta con il
clamore che eventi di guarigione prodigiosa sono altrimenti in grado di produrre a
livello di masse;
- le testimonianze dirette raccolte tra i molti protagonisti dei riti che, pur nutrendo la
memoria di guarigioni miracolose avvenute in quel luogo, giustificano la loro
presenza con la speranza che il male, quel particolare tipo di male, non insorga nelle
loro persone.
In vista del raggiungimento di tale scopo i comportamenti rituali messi in atto dai
pellegrini mirano sostanzialmente ad esporre il proprio corpo, o parti specifiche di esso,
al potere taumaturgico promanante dal luogo sacro e dagli elementi che vi sono
contenuti: rocce, polveri, acque (di stillicidio, di scorrimento, di trasudazione), reliquie,
suppellettili varie16
.
14
Al carattere preventivo e terapeutico evidenziato dai culti in oggetto fa oggi difetto un’altra
fondamentale funzione “medica” un tempo ad essi frequentemente associata: la diagnosi. Incentrata sulle
pratiche dell’incubatio e della mensuratio corporis oggi la diagnostica sacra risulta del tutto in disuso per
via dell’atteggiamento di ostilità che la Chiesa ha costantemente manifestato nei riguardi del carattere
eccessivamente paganeggiante dei suoi metodi. 15
P. Bartoli, P. Falteri, Il corpo conteso, «La ricerca folklorica», n. 8, 1983, pp. 57-58 16
Cfr. in proposito le numerose informazioni contenute nel saggio di E. Giancristofaro, Tradizioni
popolari abruzzesi, Roma, Newton Compton, 1995.
9
I farmaci del pellegrino: rocce, acque, oli miracolosi.
Come si esplica la prevenzione e come si acquisisce l’immunità dalle malattie? Benchè
le modalità siano differenti da sede a sede i presupposti logici e i procedimenti
simbolico-operativi sottesi sono pressochè i medesimi: i pellegrini si recano, in gruppo
o singolarmente, presso la meta santuariale e qui, dopo aver espletato le prassi previste
dal protocollo liturgico “ufficiale”, eseguono gesti e attuano comportamenti
riconducibili a consuetudini eterodosse che si procrastinano praticamente immutate da
generazioni17
. Si tratta di pratiche che rinviano, in filigrana, a principi di magia di
contagio e che si inscrivono nei quadri di una “logica delle intenzionalità” oscillante tra
possibilità di prevenzione e necessità di cura. Alcuni esempi concreti, desunti
dall’ampio repertorio realizzato sull’argomento dal sottoscritto e da Rita Salvatore18
,
aiuteranno a definirne meglio i caratteri distintivi.
A Pretara, sul versante teramano del Gran Sasso, i pellegrini che la prima domenica di
settembre ascendono al santuario montano di santa Colomba, al termine delle liturgie
officiate dal sacerdote pongono il capo all’interno di una cavità anatomica posta al lato
dell’altare affinchè il contatto con la pietra sacralizzata dalla presenza dei resti mortali
della santa allontani l’insorgenza delle cefalee. Allo stesso scopo depositano in un
apposito spazio dell’altare forcine e pettini perchè si carichino della potenza
taumaturgica contenuta in quella pietra. Tali oggetti verranno successivamente utilizzati
a scopo terapeutico, per sé o per i propri congiunti, nei casi in cui le crisi cefalalgiche
dovessero manifestarsi.
A Cocullo, grosso paese dell’aquilano noto al grande pubblico per la festa dei serpari
che vi si celebra annualmente19
, i pellegrini che il primo giovedì di maggio si recano
nella chiesa parrocchiale di san, dopo aver ascoltato la messa e pregato dinanzi al
simulacro di San Domenico, prima di lasciare il l’edificio sacro afferrano con i denti la
cordicella di una piccola campana provocandone un’oscillazione sonora con lo scopo di
prevenire il mal di denti. Inoltre, al fine di debellare gli stati febbrili al loro primo
Come ha fatto oppurtunatamente notare Giovanni Sole, i procedimenti rituali messi in atto dai pellegrini
rinviano ad una grammatica di comportamenti ovunque identica: «I pellegrini compiono diversi
movimenti circolari, incessanti, ripetitivi, interrotti da soste, tutte effettuate secondo formule fisse.
Camminano e pregano in processione, seguono percorsi rituali in cui compiono una serie di riti catartici
per poter ricevere maggiori benefici. Si lasciano irradiare per ore dalle ossa miracolose del santo o
dall’icona della madonna […] Prima di tornare a casa, lasciano alcune cose che avevano portato con sé
come simbolo del negativo esorcizzato. In cambio sottraggono qualcosa alla potenza miracolosa, portano
con sé qualcosa che fa parte del santuario: candele benedette dell’altare, olio santo delle lampade votive,
pezzi di roccia della grotta, bottiglie d’acqua della fonte miracolosa, pezzi di legno del portone della
chiesa, immagini del santo o della madonna. Questi oggetti sacri, poiché provenienti dal luogo del
santuario, hanno il potere di tenere lontane le disgrazie e le malattie. [A tal riguardo] molti bevono anche
l’acqua santa, la quale produce miracoli libera il corpo dalle influenze nefaste, genera e rigenera» (G.
Sole, Il viaggio dei pellegrini, Rende, Centro editoriale Università della Calabria, p. 86) 18
E. Di Renzo, R. Salvatore, Repertorio dei culti pellegrinali abruzzesi in epoca contemporanea, in G.
Marucci, op.c it., pp. 183 segg. 19
Questa festa, che ogni anno coinvolge migliaia di pellegrini e richiama numerose televisioni di diverse
nazionalità, ha ricevuto la sua più attenta analisi interpretativa nel saggio di A. Di Nola, Aspetti magico-
religiosi di una cultura subalterna, Torino, Boringhieri, 1976.
10
insorgere, si muniscono della polvere che si deposita nella zona absidale della chiesa e
la conservano con scrupolo per poterla ingerire disciolta nell’acqua.
A Roccamorice, nel massiccio montuoso della Maiella, i pellegrini che il 25 agosto
salgono all’eremo di S. Bartolomeo in Legio, dopo aver preso collettivamente parte ad
una messa officiata dal sacerdote, discendono una scala “santa” che conduce sul greto
del torrente sottostante; qui raccolgono dell’acqua sorgiva, la mescolano con quella
scaturente dalle pareti del santuario e la bevono con lo scopo di immunizzarsi
dall’insorgenza di qualsiasi forma di patologia del corpo e della psiche. La stessa acqua,
riportata a casa in appositi contenitori, verrà utilizzata come analgesico laddove se ne
dovesse verificare l’esigenza.
A Sulmona, alle pendici del Morrone, i pellegrini che il 12 giugno si recano all’eremo
celestiniano di S. Onofrio, compiuti gli atti di fede previsti dalla liturgia ufficiale, prima
di partire dal luogo santo discendono in una grotta sottostante il santuario e praticano lo
strofinio (struscio) del corpo su di una parete rocciosa con lo scopo di prevenire, e
all’occorrenza curare, l’insorgenza di dolori artitrici. Un comportamento del tutto
identico a questo si può riscontrare, in piena corrispondenza di gesti e di simboli, presso
l’eremo di san Venanzio, lungo il medio corso dell’Aterno20
.
Ad Assergi, sul versante aquilano del Gran Sasso, i pellegrini che nelle date del 5
giugno e del 13 settembre ascendono alla chiesetta semirupestre di san Franco,
effettuano una doccia rituale nelle acque che scaturiscono dai vani inferiori dell’edificio.
Lo speciale "protocollo" in uso presso il santuario prevede che i devoti si tolgano le
scarpe e gli indumenti più ingombranti e si rechino in una delle due cabine di pietra da
cui sgorga l'acqua miracolosa per bagnarsi l'intero corpo. Quindi, senza attendere che ci
si asciughi, salgono al piano superiore per suonare l'apposita campanella e recitare una
preghiera al cospetto del santo. L'intera operazione, affinchè il processo di
immunizzazione possa essere considerato efficace, dovrà essere ripetuta per tre volte
continuando a indossare gli abiti bagnati. A riti compiuti, si provvede a riempire
bottiglie e borracce da riportare in casa o da donare a coloro che, per i più disparati
motivi, non hanno potuto recarsi di persona alla sorgente.
Conclusioni
Alcune considerazioni finali mireranno a far risaltare certe componenti identificative
dell’argomento trattato che non possono rischiare di scivolare via inosservate.
Chi sono le persone che ai nostri giorni partecipano a questi pellegrinaggi cui
riferiscono il potere di intervenire efficacemente nel discorso salute-malattia, e a quali
categorie mentali si conformano nel porre in atto i loro comportamenti?
Specifichiamo subito che non è quel popolino che, come dichiarava all’incirca cento
anni fa il medico-folklorista Gennaro Finamore «invoca l’opera del medico tardi e
d’ordinario quando si è già trovata inefficace l’azione dei rimedi superstiziosi o
20
Un’attenta analisi di questo rituale litoterapeutico costituisce l’oggetto dell’articolo di G. Marucci, Le
pietre taumaturgiche e l’eremita bambino, «Storia, Antropologia e Scienze del Linguaggio», XV, 1-2,
2001, pp. 57-74.
11
empirici».21
Nè è quel volgo contadino e analfabeta che ritiene la malattia «una
punizione temporale» e la guarigione un «indicatore della remissione del peccato»22
. Nè
tantomeno è quella massa dolorante e priva di soggettività che, come scrive Clara
Gallini «non ha altra storia che quella del proprio male»23
.
La partecipazione diretta a molti pellegrinaggi terapeutici abruzzesi mi ha permesso di
valutare come nella quasi totalità delle situazioni si tratti di individui di età media ed
avanzata, uomini ma soprattutto donne, che svolgono attività lavorative sostanzialmente
nel settore primario e secondario: agricoltori, muratori, operai, casalinghe, ma anche
impiegati, commercianti e artigiani. Tutte persone che, non potendosi sbrigativamente
definire “disagiate” nel loro psichismo, “retrograde” nei comportamenti o “deficitarie”
di senso del moderno vivono immerse in una condizione esistenziale - diciamo così - di
bilinguismo culturale che viene sperimentato senza eccessivi conflitti o contraddizioni
di sorta.
Si tratta di persone che vanno ordinariamente dal medico e dallo specialista, che
eseguono indagini diagnostiche presso gli ambulatori ospedalieri, che assumono farmaci
comuni come Aspirina, Buscopan e Voltaren ma che nello stesso tempo trovano del
tutto naturale strofinarsi con le cicciole di S. Martino, mangiare i pani di sant’Agata,
bagnarsi con l’ acqua di san Franco, bere l’acqua di san Bartolomeo, umettarsi con l’
olio di S. Diodato.
Si tratta, in sostanza, di persone assolutamente “normali” che vivono il presente storico
in maniera realistica e concreta e che, dinanzi al discorso della malattia, della
prevenzione e della cura si recano prima dal medico, poi anche dal santo. Certi che
entrambi, con i poteri conferitigli dalle rispettive scienze, possano fare qualcosa di
efficace per il benessere della propria salute.
Persone, quindi, che non trovano per nulla contraddittorio o straordinario aderire a
modelli di pensiero contrapposti ed antitetici ma che ritengono che dalla loro
integrazione si riescano ad esaltare gli effetti che ciascun modello - quello della fede e
quello della medicina - è in grado di garantire.
21
G. Finamore, Tradizioni popolari abruzzesi, Torino-Palermo, Clausen, 1894, p. 34. 22
V. Turner, E. Turner, op. cit., pp. 244-245. 23
C. Gallini, op. cit., p. 56.
12
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