Download - p MASSIMO FINI Il calcio moderno nacque con i tulipani di ......Leopoldo Brizuela L'intervista p MASSIMO FINI Il calcio moderno nacque con i tulipani di Cruyff e la loro cultura hippy

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    CULTURAcultura@gazzet tadiparma.it

    Nel suo nuovo saggio il celeberrimoenigmista cede il passo al semiologo

    Bartezzaghi Rifuggire i luoghi comuni?Attenzione, si rischia di diventare banali

    LIBRI

    Il premioRigoni Sterna «Resto qui»di Balzano

    LUTTO

    È morto ierilo scrittoreargentinoLeopoldo Brizuela

    L'intervista pMASSIMO FINI

    «Il calcio moderno nacque con i tulipanidi Cruyff e la loro cultura hippy e libertaria»FRANCESCO MANNONI

    p«Abbiamo intitolato «rea-zionaria» la nostra storia per-ché in entrambi è vivo il con-vincimento che il passato, cal-cistico e sociale, sia più av-vincente del presente, anchese meno preciso dal punto divista tecnologico, ma proprioper questo più affascinante».La «Storia reazionaria del cal-cio» (Marsilio, 263 pagine, 17euro) che i giornalisti e scrit-tori Massimo Fini e GiancarloPadovan hanno scritto perraccontare «I cambiamentisociali vissuti attraverso ilmondo del pallone», sonou n’analisi delle vicende calci-stiche italiane nell’ottica diuna passione delusa, critica.Fini, tifoso ed esperto di cal-cio per «averlo intensamentevissuto» come scrive AntonioPadellaro nella postfazione, ePadovan che «insegna calciodopo averne scritto sui piùimportanti giornali italiani»,in una serie di racconti chesono altrettanti profili auto-biografici di ardenti tifosi,espongono «il loro legame disangue con il calcio, alimen-tato da una catena infinita diansie, di gioie, di delusioni, disempre rinnovate speranze».Abbiamo intervistato Massi-mo Fini.

    Storia reazionaria ma anchenostalgica del calcio: quale ilmaggior rimpianto rispettoal calcio di oggi?«Direi che il calcio da stadio èstato sostituito dal calcio te-levisivo. Il calcio da stadio haperso dal 1982 ad oggi il 40%degli spettatori. Ma chiunquemastichi un po’ di calcio saquale differenza ci sia - tec-nica ma soprattutto emotiva –a vedere una partita allo sta-dio e in TV. Il calcio televisivoè un’altra storia e un altros p o rt » .

    Il libro si compone di rac-conti che spiegano come ilmondo del calcio si sia in-nestato nella grande storia:un modo nuovo di raccon-tare i cambiamenti epocalidel nostro Paese?«Sì, non solo del nostro paese,ma in senso lato, Occidentale.Un esempio: il calcio moder-no nasce con la grande Olan-da dei Neeskens e dei Cruijff;un calcio totale che però hapoco a che vedere con quellodi oggi: era l’espressione li-bertaria di un momento in cuila cultura hippy e libertariaaveva un suo peso e un suosenso. Oggi il calcio riflette icambiamenti del nostro tem-po e i suoi demoni sono glistessi della nostra società:economia e tecnologia».

    Il fattore economico ha pre-so il sopravvento?«Certamente. Basta pensareagli acquisti di giocatori pa-gati centinaia di milioni, chemagari cambiano squadra an-che durante i campionati. Acausa della globalizzazione,siamo schiavi non di un dit-tatore, ma di un meccanismoanonimo chiamato ''mercato''da cui dipendiamo».

    Il mercato ha eliminato an-che il rapporto affettivo tracalciatore e squadra?«I calciatori, a parte poche ec-cezioni, non sono più legati auna squadra come un tempoTotti con la Roma o Riva colCagliari, ma solo a ingaggieconomici, e questo si è vistobene negli ultimi campionati

    mondiali. I giocatori croatihanno fatto una grandissimaperformance perché animatida un profondo senso patriot-tico, ma ritornati nell’a m bi todelle squadre che li hanno in-gaggiati, giocano a un livelloinferiore, perché non hanno ilsacro fuoco che dovrebbe ani-mare ogni giocatore che hacuore le sorti della sua squa-d ra » .

    Per i tifosi italiani, il calcio èuno sport o una religione?«Il calcio è una religione per-ché è l’unico sport riservato alsacro di una società diventatatutta materialista».

    E come si fa ad affezionarsi aun giocatore che cambiasquadra ogni anno?

    «I motivi identitari, simbolici,mitici che hanno fatto la for-tuna di questo gioco sono statispazzati via dalla filosofia deldenaro e dagli episodi di cor-ruzione che hanno delusotanti tifosi. Nel libro non fac-ciamo una sociologia del cal-cio, ma per trovare qualcosadi epico dobbiamo andaresempre più indietro».

    Sui campi di calcio sono natimolti miti ma anche moltetragedie: quali quelli che lavostra memoria ricorda conmaggiore tristezza?«La più grande tragedia è sta-ta quella della squadra delTorino il cui aereo cadde sul-la basilica di Superba e di cuisi è celebrato il settantesimoanniversario il 4 maggio. Poic’è la tragedia di Bruxellesdell’Heysel Stadium nel 1985durante la finale della coppadei campioni tra la Juve e ilLiverpool; e ce n’è un’a l trameno ricordata che accaddea San Siro negli anni cin-quanta quando ancora c’e ra -no le tribune in metallo. E poil’ultima di due anni fa a To-rino dove ci furono più di mil-le feriti».

    Con la sua esperienza, comevede il futuro del calcio?«Nel 1982 scrissi che il calciosarebbe morto per overdose.C’è calcio tutti i giorni, e an-che questo è un riflesso dellanostra società che si basa sul-le tecniche esponenziali cheesistono in matematica manon in natura. Il calcio, unalucente macchina nata in In-ghilterra nell’Ottocento, è ar-rivata oggi a grande velocitàdavanti a un muro ma nonpuò superarlo e continua adare gas: alla fine cozza. Noncredo che questo avverrà intermini brevi, ma che avvengaè sicuro».

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    Storia reazionariadel calcio di Massimo Fini e GiancarloPadoanMarsilio, pag.263, A 17,00

    DA SINISTRA Gerrie Muhren, Dick van Dijk, Johan Neeskens and Johan Cruyff nel 1971.

    RITA GUIDI

    pNulla di banale in questo«Banalità» di Stefano Bartez-zaghi (Bompiani).Il celeberrimo enigmista cedeil passo al semiologo (è docen-te allo IULM di Milano) e ilrisultato è questo saggio pon-deroso (anche e soprattutto)di contenuti. Una sfida che so-

    miglia a un ossimoro, certo:come parlare di luoghi comu-ni senza restarne invischiati?Come uscire dalla rete (!) dibanalità dei social networkper offrirne una non banale(di nuovo !) interpretazione?Così: analizzandone i segnicomunicativi, attingendo aUmberto Eco, ridisegnandoconfini e giudizi; appunto, co-

    struendo un saggio. E scon-figgere la superficialità, intempi di Facebook, è già di persé decisamente non banale...Ma Bartezzaghi, ovviamente,sorprende ben oltre, e sveladue sostanziali paradossi diquesto nostro comunicarevolto a una (desiderata e pre-sunta) originalità.Il primo è che banalizzare iproblemi può essere davveropericoloso: «Salvini ha reso ilrazzismo accettabile – ha af-fermato in un’intervista al-

    l’Huffington Post riprenden-do un passaggio del libro -Non dichiaratamente, perchénessuno si proclama razzistain Italia, ma banalizzando:cioè, lasciando passare pernaturali associazioni mo-struose. Per esempio, quellatra i neri e i comportamenticriminali. È così che il raz-zismo è diventato, di fatto, piùpossibile di prima».Non sorprende allora che, nelsentire comune come tra gliintellettuali, si insista sul bi-

    sogno di distinguersi, di es-sere originali.Ma, ahimè, eccoci alla secon-da nota dolente.Perché è un po’ come con l’ab -bigliamento: dobbiamo avereproprio quei jeans perchéquella marca ci «distingue»come ganzi?Già. Peccato, però, che li por-tino tutti…Con le parole è lo stesso. Cisono i tormentoni, cioè i luo-ghi comuni modaioli.Ma soprattutto ci sono le per-s o n e.Perché non è vero che dietrolo schermo nessuno sa che seiun cane (ricordate la famosav i g n etta? ) .L’analisi dell’autore sui social,invita a distinguere tra ciò chesi scrive e chi lo scrive.

    Nel senso che se a twittare un«buonasera» è il Papa, possia-mo davvero definirlo un sa-luto banale???Detto questo, nel nostro pic-colo, non sforziamoci troppo,o come direbbe Bartezzaghi,non demonizziamo la bana-lità (che deriva dal francese«ban», ciò che nel villaggiosanno tutti).Per essere originale, qualcu-no ha scritto che la terra èpi atta .Di follower ne ha guadagnatiparecchi, ma spesso è saggiopreferire una rotonda, banaleve r i tà .

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    Banalitàdi Stefano BartezzaghiBompiani, pag. 272, A 17,00

    pE’andato a «Resto qui» di Marco Balzano, edito da Einaudi, ilpremio Mario Rigoni Stern per la letteratura multilingue delleAlpi. Ieri la decisione unanime da parte della giuria riunitasi alMuse di Trento. Ricevono la menzione della giuria anche - inordine alfabetico - «Il pastore di stambecchi» di Louis Oreillercon Irene Borgna (Ponte alle Grazie-Cai), «La Strada delleGallerie ha 100 anni» (Club Alpino Italiano Sez. di Schio) a curadi Claudio Rigon e «Veloce la vita» (trad. di F. Filice, Keller) diSylvie Schenk. La cerimonia di premiazione si terrà il 15 giugnoa Palazzo Labia, a Venezia e il 16 al Teatro Millepini di Asiago.

    pLo scrittore, giornalista e traduttore argentino LeopoldoBrizuela è morto ieri a Ensenada, in provincia di BuenosAires, all’età di 55 anni al termine di quella che i famigliarihanno definito una «delicata malattia». Nato a La Plata nel1963, Brizuela ha vinto numerosi premi letterari fra cui, nel2012 il Premio Alfaguara con «Una stessa notte», consi-derato un romanzo sulla memoria nell’Argentina fra passatoe presente. Scrittore affermato e giornalista, Brizuela hatradotto anche molti testi di autori americani da Henry Ja-mes a Flannery O’Connor e Eudora Welty.

    40-41 Cultura (DOPPIA) - 15/05/2019 Quotidiano 1505_gdp_Par (Right)�����’KLU����À�Jm����°�����������������Jm�������À«�������������������°��������X�•����ÉÓIm����°Äg7�����ã¯Y����’{ŁY�����Ø"m����°šÎZ����Rô�•����°šÎZ����°šÎZ����À�Jm���������������À«���l…•����