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Novembre 2012

Numero 11 - Anno I

Notiziario Enti Locali

della CGIL FP Piemonte N. E . L

Ci trovi su Facebook NEL FP CGIL Piemonte

La grande partecipazione popolare alle primarie del centrosinistra ha dimostrato che, indipendentemente dal risultato ottenuto dai singoli candidati, vi è grande voglia di “partecipare” nel nostro Paese. Per i lavoratori della Pubblica Amministrazione questa non è una novità. Solo pochi mesi fa hanno dimostrato una grande voglia di essere protagonisti andando a votare alle elezioni delle RSU che si sono tenute in tutti i luoghi di lavoro lo scorso marzo 2012. Elezioni che hanno visto ancora una volta la CGIL - e adesso è certificato anche dall’ARAN - risultare la prima Organizzazione per voti ottenuti nel nostro Paese. Alle elezioni delle RSU si votava non solo per eleggere i propri rappresentanti sindacali ma anche per dare una risposta a chi, in questi anni, ha pensato che la democrazia nei posti di lavoro sia un inutile orpello da sostituire con il solo voto degli iscritti - e spesso neanche con quello - per alzata di mano.

Facendo le debite proporzioni, anche la grande partecipazione al voto alle primarie del centro sinistra rappresenta un grande risultato per una speranza di cambiamento nella politica italiana.

Occorre però che ci sia un ulteriore sforzo, passando dal semplice voto di rappresentanza alla partecipazione attiva sia nella attività politica che in quella sindacale, nei luoghi di lavoro e non solo. Se questo non accadrà avremo perso un’altra occasione per cambiare le cose nel mondo del lavoro, nei nostri quartieri, nelle nostre città e, ovviamente, in tutto il nostro Paese. In questi anni, negli incontri con i cittadini, al lavoro, o nelle semplici chiacchere da bar, molti hanno convissuto con questa

LIBERTA’ E’ PARTECIPAZIONE !

convinzione: “Tanto non possiamo fare nulla”. Non è così.

Spesso singole persone hanno contribuito a cambiare radicalmente il mondo come lo straordinario e rivoluzionario gesto di Rosa Parks che nel 1955 decise di non alzarsi per cedere il posto a un bianco sull’autobus. È da quel momento che si diede vita alla più grande rivolta non violenta dei neri americani e fu l’inizio della conquista dei diritti civili. Oppure il coraggio straordinario di Iqbal Masih (bambino operaio, sindacalista e attivista dei diritti del lavoro) che ha soli 13 anni fu ucciso in Pakistan perché aveva denunciato la schiavitù in cui erano costretti i bambini pakistani. O ancora la rivolta delle operaie di Dagenham, in Inghilterra, che con la loro protesta per la parità salariale – fu il primo sciopero al femminile della storia - misero in ginocchio addirittura la Ford e il governo del Regno Unito, costretto a emanare una legge in favore della parità salariale peraltro tuttora in vigore. Gli esempi potrebbero continuare all’infinito. Ma quello che vogliamo ribadire è la necessità che ognuno di noi si riappropri del proprio futuro senza delegarlo a terzi, facendo propri i versi di una delle più belle canzoni di Giorgio Gaber: “La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.

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IN QUESTO NUMERO

interventi di

Cristina Bargero

Matteo Barbero

Nadia Bonsignore

Sara Brugo

Emanuela Ceolna

Claudia Piola

Luca Quagliotti

di Luca Quagliotti – segretario regionale FP CGIL Piemonte

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Pagina 2Pagina 2 LA RIFORMA ANNUNCIATAForse... siamo numeri?di Sara Brugo RSU Provincia di Novara

Esaurita l’inebriante fase della fissazione dei confini delle nuove Province, che in alcuni momenti ha preso i toni della conquista della prateria da parte dei coloni nel Far Far West e superate le convulsioni (forse, visto che l’iter parlamentare non si è ancora concluso) degli amministratori di Provincia, convulsioni non sempre dovute alla difesa del valore delle autonomie locali, adesso si torna al punto.

Non che sia di secondaria importanza il persistere di una ferita (un “vulnus” direbbero i colti) nel nostro ordinamento, portata dalla cancellazione di un Ente locale previsto “nella” e “dalla” Costituzione con lo strumento atipico del decreto legge. Per essere del tutto franchi, cambiare si può (e probabilmente si deve) anche la Costituzione ma almeno lo si faccia con gli strumenti della Legge costituzionale. Il fatto è che anche il ricorso alla Corte Costituzionale è parso in qualche momento uno strumento per consentire a chi doveva gestire bene le Province, di rifuggire dalle proprie responsabilità.

Torniamo al punto, dunque: chi garantirà che servizi importanti per i cittadini gestiti attualmente dalle Province continuino a essere prestati? E con quali risorse economiche e umane?

Neppure gli ultimi interventi normativi contribuiscono al chiarimento: di certo si sa che le Province avranno poche, specifiche e comunque rilevanti competenze; si sa anche che le restanti funzioni torneranno alle Regioni o verranno assegnate ai Comuni. E’ un leit motiv, questo

delle competenze alle Regioni e ai Comuni, che finisce per diventare persino stucchevole: viene continuamente ripetuto. E altrettanto continuamente Regioni e Comuni evidenziano tutte le difficoltà a prendersi in carico questi nuovi compiti che comunque comporterebbero, per essere gestiti in maniera dignitosa, disponibilità finanziarie, capacità gestionali e disponibilità professionali.

Senza contare che quanto stabilito dal D.L. 95/2012 in tema di funzioni non prende seriamente in considerazione quello che un mediocre studente di analisi delle politiche pubbliche si chiederebbe subito: qual è il livello di governo che deve assumere le decisioni per fornire i vari tipi di servizio pubblico? E’ una domanda alla quale il Governo non ha neppure tentato di rispondere, tanto l’unico interesse è quello di una riduzione immediata della spesa. E non conta se poi, nel medio periodo, quello che poteva sembrava un risparmio si rivelerà un incremento di costo.

In nome del pareggio di bilancio, figuriamoci se un occhio di riguardo poteva essere riservato al destino dei dipendenti delle Province! Peggio: non solo si tace sul loro destino, ma iniziano a essere poste in circolazione voci incontrollate sul numero dei possibili esuberi (pardon, eccedenze; altrimenti il Ministro Patroni Griffi mi bacchetta).

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che verranno ripianati con il riassorbimento tramite l’istituto della mobilità presso altri Enti o Pubbliche Amministrazioni. Non si capisce però come questo si incastri con la riduzione degli organici nelle amministrazioni dello Stato (per ora centrali ma certamente poi anche periferiche) e con l’impossibilità, dovuta anche al persistere dei vincoli del patto di stabilità, per i Comuni di assumere altro personale.

La situazione di confusione totale e di mancanza di risposte potrebbe persino risultare comica, visto che è stata ingenerata da un Governo di tecnici, se non inducesse alla preoccupazione e anche alla rabbia nel vedere come i lavoratori delle Province ma certamente anche del Pubblico impiego vengono trattati. Si parla con approssimazione di riorganizzazione degli Enti in base a non meglio definiti fabbisogni, senza considerare che dietro i servizi ci sono delle persone vere, con delle vite vere, dei problemi veri e questo sia sul fronte di chi i servizi li gestisce (i lavoratori delle Province, appunto) e chi dei servizi ha bisogno (i disoccupati in coda ai centri per l’impiego,

gli studenti nelle scuole, gli autotrasportatori sulle strade...).

L’accorpamento/cancellazione delle Province poteva essere un’occasione per migliorare almeno una parte della Pubblica Amministrazione (ammesso che si possa procedere per pezzi) ma il timore è che sia un’occasione persa, come tante. E’ pur vero che la partita non è chiusa, tutt’altro, per quello che riguarda chi nelle Amministrazioni provinciali lavora. Qui la presenza del Sindacato diventa essenziale.

La CGIL si è espressa chiaramente rispetto alla vicenda delle Province: ora il compito, non semplice, che l’attende è quello di intercettare gli interlocutori giusti a tutti i livelli per parlare di lavoratori, di professionalità e di servizi e portare a casa dei risultati. E’ un compito che non può assolvere da sola ma che richiede l’attenzione congiunta dei dipendenti delle Province e dei loro rappresentanti, chiamati a un impegno diretto per riaffermare il proprio diritto a essere considerate persone che lavorano, e non numeri sulle tabelle della spending review.

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Pagina 4 COMUNE DI TORINOLa maggiore azienda della Cittàdi Claudia Piola, responsabile FP-CGIL Ente Comune Torino

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La sua dimensione

L’Ente Comune Torino è - con i suoi 10.811 dipendenti - la più grande azienda della Città.

Più in dettaglio, l’organico effettivo degli occupati è di 10.773 (Cat A 42; Cat B 2.044; Cat C 5.589; Cat D 2.944; Dirigenti a ruolo 154) ai quali vanno sommati 1 direttore Generale, 1 segretario generale, 9 drigenti incaricati, 25 in staff agli assessori, 2 interinali.

Essendo la dotazione organica complessiva di 12.700 persone, i posti teorici disponibili sono, al settembre di quest’anno, 1.927.

Il non rispetto del patto di stabilità

Il Comune di Torino alla fine di dicembre 2011 ha dichiarato che nel 2012 usciva dal Patto di stabilità con la motivazione di non voler abbattere l’economia cittadina in quanto il rispetto del patto avrebbe voluto dire non pagare i fornitori.

Le ripercussioni per le assunzioni

Le conseguenze sono state drammatiche per il personale , ovvero il blocco delle assunzioni. Sin dal mese di gennaio 2012 non è stato possibile applicare l’accordo che prevedeva di effettuare 20 assunzioni di personale amminstrativo in Cat C, bandire concorsi per assistenti sociali e altri profili in carenza (tra cui i servizi educativi) applicare l’impegno ad assumere almeno 20 agenti di Polizia Municipale in contratto formazione lavoro attingendo dalla graduatoria ancora aperta.

Situazione difficile in particolare per i servizi educativi scolastici

Il divieto assoluto di assumere personale anche a tempo determinato ha aggravato la situazione dei servizi educativi scolastici, gestiti da sempre in forma diretta dal Comune.

Abbiamo assistitito all’incapacità programmatica e collegiale della

Giunta comunale, ci siamo assunti come OO.SS. delle responsabilità e abbiamo sottoscritto con sofferenza - non condividendo la scelta dell’Amministrazione di dare in concessione 9 nidi della Città - un accordo che garantirà con precise regole sia il processo di esternalizzazione sia quello che potrà succedere quando il Comune rientrerà nel patto di stabilità. Ci sono nell’accordo punti qualificanti: più dell’85 % delle strutture rimarrà pubblico e il personale comunale non sarà trasferito a terzi; la soluzione proposta è temporanea e i 9 Nidi dati in concessione dovranno avere il modello organizzativo del pubblico e il controllo pedagogico comunale. Ai lavoratori è applicato il Contratto Federcultura, simile al valore economico degli Enti Locali. Oltre a questo, l’accordo prevede anche una rimodulazione dell’utilizzo del monte ore da parte degli educatori e insegnanti per garantire il funzionamento dei servizi. Stiamo però assistendo a una situazione di emergenza che sta diventando continuativa.

Il pericolo del non rientro nel patto di stabilità nel 2013

Le notizie di questi giorni sono alternanti e preoccupanti. Il complicarsi delle dismissioni delle partecipate con il possibile secondo sforamento del Patto di stabilità potrebbe avere delle ripercussioni nella Città, nei servizi, sulle tariffe e sul personale comunale. Abbiamo di fronte la necessità che l’Amministrazione comunale dica con chiarezza qual è il percorso che vuole intraprendere nei confronti del Governo per poter garantire la qualità dei servizi e il lavoro dei dipendenti comunali.

I nostri obiettivi

Mantenere quantità e qualità dei servizi, ovvero realizzare un piano assunzioni e difendere le retribuzioni complessive dei lavoratori dell’Ente.

Dopo la pubblicazione della Legge

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n. 35/2012 di conversione del Dl 95 sulla Spending review, anche la Regione Piemonte si è affrettata ad applicare le disposizioni ivi contenute spingendosi, in alcuni casi, oltre a quanto richiesto. Da poco è stata presentata dai consiglieri Burzi/Vignale (fondatori della nuova forza politica, distaccata dal PdL: “Progett’azione”) una proposta “pensata” per la riduzione del costo del personale. Questa – che dovrebbe far parte della Delibera di Giunta sulla riorganizzazione dell’Ente ed è stata votata dalla maggioranza presente in 1^ Commissione consigliare – si basa sulla “ricognizione degli effettivi fabbisogni di personale, esterno e interno all’Ente”, definendo il personale in esubero che andrà a far parte di un unico registro di mobilità, gestito da una nuova direzione regionale: “Struttura per la mobilità”. Tale personale sarà obbligato a prendere servizio presso la nuova struttura individuata dalla Direzione. Il personale a Tempo determinato alla scadenza non verrà rinnovato se non per il 20%. E si effettuerà, inoltre, nel prossimo triennio, una riduzione del 10% del salario dei direttori, del 10% del salario accessorio (quindi non sull’intera retribuzione) dei dirigenti e del 30% del budget per le posizioni prganizzative.

Ma questa “ricognizione degli effettivi fabbisogni di personale interno all’Ente” su cosa si basa ? Su un’approfondita, precedente analisi, ovvero: a) sulle eventuali attività che torneranno in capo alla Regione a seguito dalle possibili riduzioni di Enti esterni (Enti strumentali, Agenzie regionali, Società a partecipazione regionale)? b) su un piano pluriennale che valuti il numero di personale che, previa apposita regolamentazione regionale, potrà essere collocato a riposo al raggiungimento dei requisiti per la pensione? c) sul numero di personale, dirigenziale e non, per il quale si potrà prevedere la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro? No. Niente di tutto questo. Si avanzano proposte a caso, prendendo spunto da un decreto, quello sulla spending review, che a oggi ha stabilito una percentuale di riduzione delle piante organiche solo per i Ministeri e gli Enti pubblici non economici, mentre per gli Enti locali come le Regioni si attende ancora un DPCM (entro il 31 dicembre 2012) che procederà a

definire i parametri di virtuosità per determinare le dotazioni organiche. In base a questi parametri (media nazionale calcolata per es.: sul rapporto numero abitanti/numero dipendenti) ogni Amministrazione potrà definire i propri margini di manovra. Potrebbe infatti accadere che la Regione: 1) risulti nella media nazionale, e in questo caso potrebbe addirittura accedere alla facoltà assunzionale sino al 20% nel triennio 2012/2014; 2) superi del 20% rispetto alla media nazionale, in questo caso non potrà procedere ad assunzioni; 3) superi del 40% rispetto alla media nazionale, e solo in questo caso dovrà attuare un percorso di riduzione del personale.

Anticipiamo quindi i tempi, lasciando da parte l’analisi per l’eliminazione dei veri sprechi? A quanto ammontano le spese per consulenze (comprese quelli di supporto agli organi politici) e per incarichi dirigenziali esterni? Non si potrebbe prevedere, da subito, la riduzione delle spese dei Consiglieri con conseguente risparmio anche degli emolumenti e dei costi legati alle dotazioni organiche dei gruppi? A queste si aggiungono le spese oggi a carico dei cittadini piemontesi per il pagamento degli assessori esterni che non ricoprono contemporaneamente la carica di consigliere = ca. 1.300.000 euro in più all’anno. Va poi sottolineata la totale assenza di contrattazione con le parti sindacali anche in questi casi : previsione di riduzione delle risorse economiche (posizioni organizzative, salario del personale di categoria e dirigenza); definizione di criteri per la mobilità; taglio delle risorse per rinnovo di contratti a tempo determinato. Non è più il momento per cercare le strade più facili e più comode che passano ancora una volta attraverso la riduzione del personale e, magari, anche di attività e di servizi che, al contrario, bisognerebbe fare di tutto per mantenere cercando risparmi alternativi .

REGIONE PIEMONTEQual è il disegno “organico”?di Nadia Bonsignore - RSU Regione Piemonte

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Il grido di allarme lanciato da CGIL- FP; CISL- FP e UIL FPL Piemonte in questi mesi sulla possibilità che i lavoratori delle Comunità Montane e degli Enti parco piemontesi rimanessero senza stipendio sembrava inesorabile a novembre. I lavoratori e le Organizzazioni sindacali hanno chiesto alla Regione Piemonte, seppure in difficoltà economiche per i mancati trasferimenti statali, di assumersi l’impegno di procedere agli stanziamenti necessari al pagamento degli stipendi del personale delle Comunità Montane e dei Parchi.

Gridando: “Basta con i rinvii, i tentennamenti e i balletti sul ‘rimpasto’ in Giunta” e chiedendo alla Regione di occuparsi dei servizi ai cittadini e dei salari dei lavoratori che li gestiscono, oltre 400 lavoratori si sono ritrovati sotto il Palazzo della Giunta Regionale e hanno dato vita a una manifestazione gioiosamente “chiassosa”. Durante la manifestazione una delegazione sindacale è stata ricevuta dagli assessori Ravello, Maccanti e Quaglia, assente giustificato l’assessore Casoni che ha inviato in rappresentanza del suo assessorato il dott. Molinari.

L’assessore Quaglia ha illustrato la drammatica situazione economica in cui versa la Regione Piemonte a causa dei mancati trasferimenti e della forte diminuzione delle entrate regionali. In questo clima di grande difficoltà ha assicurato ai dipendenti dei Parchi e delle Comunità Montane gli stipendi di novembre e dicembre, così come le tredicesime. L’assessore ha però evidenziato come per il 2013 non vi sia alcuna certezza non solo per questi Enti, ma per tutto il sistema

PARCHI E COMUNITA’ MONTANE

Conti in rossoHanno manifestato per difendere lo stipendio e le tredicesime a rischio. Lo scorso 26 novembre sono scesi a manifestare - sotto il Palazzo della Giunta regionale - i dipendenti dei Parchi e delle Comunità Montane piemontesi

dipendente, direttamente o indirettamente, dai finanziamenti regionali a causa degli ulteriori tagli del Governo centrale.

L’assessore Ravello e l’assessore Maccanti hanno assicurato la prosecuzione del tavolo di trattativa regionale sul personale delle Comunità Montane aggiornando l’incontro a dopo il 28 di novembre, data ultima per l’impugnativa della Legge regionale di riordino delle Autonomie locali da parte del Consiglio di Stato.

L’assessore Casoni ha provveduto a convocare un tavolo negoziale per il 29 novembre. Ci auguriamo che questo sia il passo definitivo per aprire una vera trattativa sul tema “Parchi” dove, ricordiamo, rimangono ancora da definire le dotazioni organiche, le risorse economiche per il funzionamento, le sedi, i fondi per la contrattazione decentrata.

È evidente che come Organizzazione sindacale siamo rimasti solo parzialmente soddisfatti. Rimangono ancora troppe incognite sul futuro degli Enti montani e delle Aree protette piemontesi, sia per il loro finanziamento - che ci rendiamo conto non dipende solo dalle volontà della Regione - sia per i futuri assetti dei servizi locali nella nostra Regione. Molto rimane ancora da fare: ma solo con un’alta partecipazione dei lavoratori coinvolti – come quella dello scorso 26 novembre – si potranno raggiungere risultati importanti.

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Bomba sociale. Così sono stati definiti dalla CGIL i precari del Pubblico impiego con i contratti in scadenza a dicembre 2012 che - uniti al numero complessivo dei precari impiegati nella Pubblica amministrazione – rappresentano un fenomeno imponente e radicato soprattutto nei settori della Sanità e degli Enti locali, dove sono il 20% del totale dei lavoratori.

La CGIL continua la sua ricognizione sul fenomeno del “precariato” nel Pubblico impiego e arriva a contare 200mila lavoratori precari nei due settori strategici. La ricognizione dovrebbe dare forza alla richiesta del sindacato che chiede un provvedimento legislativo per

prorogare i contratti in scadenza – come già venne fatto dal governo Prodi – e per affrontare seriamente il problema della precarietà lavorativa.

Nel comparto della Sanità sono – secondo i dati della CGIL – 60mila i lavoratori precari su un totale di poco più di 500mila mentre è negli Enti locali che si concentra il maggior numero di precari, ovvero 140mila (su un totale di 500mila lavoratori) che vivono realtà contrattuali molto disparate: 46mila hanno un contratto a tempo determinato, 18mila sono gli Isu, 13mila i cococo e 4mila gli interinali.

Il rischio di rimanere senza lavoro per questi dipendenti del Pubblico impiego eternamente “ricattabili”– e magari da anni impiegati nelle stesse funzioni essenziali del servizio pubblico - è fortemente alto soprattutto in seguito a manovre come la Spending review che – secondo la CGIL – “elimina posti di lavoro, tagliando il lavoro precario” e non risolve uno dei problemi più gravi e sempre più crescente nel nostro Paese.

PRECARIATO NELLA P. A. Una “bomba sociale”a cura di Emanuela Celona - precaria Regione Piemonte

NESSUN DORMA. OCCHIO ALLA RIFORMA CHE TOGLIE IL SONNO

È una guida alla riforma Fornero l’ultimo lavoro dei “Giovani Non + disposti a tutto” della CGIL. La riforma del lavoro (legge n. 92 del 28 giugno 2012) è entrata in vigore il 18 di luglio scorso con l’obiettivo di contrastare la precarietà ma, in realtà, non ha cancellato nessuna delle 46 tipologie contrattuali ed è intervenuta poco nella regolamentazione delle figure atipiche senza esndere ammortizzatori sociali di rilievo a chi ne era privo. Insomma, i Giovani Non + sostengono che non sia una riforma per giovani. E per difendersi, bisogna essere informati. Per questo è nata la guida Nessun dorma (scaricabile su: www.nonpiu.it/2012/10/04/guida-alla-riforma-2) che spiega le novità di ogni tipo di contratto, affinchè con l’ausilio del sindacato si possa godere di maggiori tutele. L’obiettivo non è impossibile: i Giovani Non + stanno infatti raccogliendo un almanacco di accordi positivi e chiedono di raccontare loro quello che accade nei vari posti di lavoro per costruire un’inchiesta collettiva sugli esiti della riforma Fornero. Partecipare è semplice: basta scrivere alla mail [email protected] e partecipare al sondaggio online www.nonpiu.it/2012/10/02/cosa-ti-accade-con-la-riforma-del-lavoro.

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Con due decreti del Ministero dell’Interno del 25 ottobre scorso - dall’art. 16 del dl 95/2012 sulla revisione della spesa - sono stati definiti i tagli a carico degli Enti locali previsti per l’anno 2012.

Per i Comuni soggetti al Patto di stabilità la sforbiciata potrà essere evitata a condizione che l’importo corrispondente venga destinato all’estinzione anticipata del debito nell’anno 2012. Gli stessi Comuni dovranno comunicare al Viminale, entro il 31 marzo 2013, l’entità delle risorse non utilizzate per la predetta finalità (ivi comprese le penali corrisposte agli Istituti di credito) che saranno decurtate nel 2013. In caso di mancata comunicazione, il recupero del taglio sarà integrale.

Nessuna deroga, invece, per gli altri Comuni e per le Province, per cui è stata disposta una riduzione secca delle spettanze del c.d. fondo sperimentale di riequilibrio.

Se quest’ultimo risulterà incapiente, la differenza sarà recuperata a valere sul gettito di Imu e imposta sulla Rc Auto.

Il dato più interessante, in prospettiva futura, è rappresentato dai criteri che sono stati utilizzati per operare il riparto della riduzione complessiva che valeva 500 milioni per ciascun comparto.

Per le Province, si è fatto riferimento alla spesa per consumi intermedi relativa all’anno 2011, come rilevata dal sistema SIOPE. Per i Comuni, invece, tale parametro è stato corretto in base ai dati raccolti nell’ambito della procedura per la determinazione dei c.d. fabbisogni standard relativi alle funzioni fondamentali.

I risultati sono sorprendenti: guardando ai dati pro-capite, il taglio varia da poche decine di centesimi a diverse decine di euro! Ecco perché alcuni Comuni con analoghe dimensioni demografiche si sono talora trovati a fare i conti con tagli molto diversi.

Tali differenze dovrebbero riflettere una logica di “meritocrazia”, che fa

pagare un prezzo più salato agli Enti più inefficienti rispetto a quelli identificati come benchmark.

È questo, infatti, il senso del passaggio dal criterio della spesa storica (ancora applicato alle Province) a quello dei fabbisogni standard. Quest’ultimo è stato introdotto dalla normativa sul federalismo fiscale e dovrebbe rappresentare la stella polare in grado di guidare i successivi step della spending review. Tuttavia, la variabilità dei dati pare eccessiva e spesso scollegata dai livelli di maggiore o minore efficienza dei singoli Enti: basti pensare che fra i Comuni colpiti più pesantemente vi sono alcuni identificati come “virtuosi” ai fini del Patto di stabilità.

Per i prossimi anni, quindi, è necessario che la metodologia di riparto venga rivista e raffinata, per evitare di generare ulteriori squilibri nei bilanci locali. Occorre tenere conto, infatti, che dal 2013 le riduzioni complessive da ripartire saliranno a 2 miliardi per i Comuni (2,1 dal 2015) e a 1 miliardo per le Province (1, 05 dal 2015) e che la Legge di stabilità 2013 dovrebbe aggiungere ulteriori 500 milioni a carico dei primi e 200 milioni sulle seconde.

Si tratta di numeri impressionanti (e difficilmente sostenibili), che vanno a sommarsi a quelli delle precedenti manovre correttive, rischiando di mandare non pochi Enti vicini al dissesto. Pertanto è sempre più necessario orientare i sacrifici laddove si concentrano i maggiori sprechi.

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ENTI LOCALI

Dove sono gli sprechi?di Matteo Barbero - funzionario Regione Piemonte

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I principali aspetti della normativa nazionale sul trasporto pubblico locale (tpl), ossia del dlgsl 422 del 1997, altrimenti detto decreto Burlando, riguardano l’unificazione delle responsabilità di programmazione e di finanziamento di tutti i servizi di trasporto locale in capo alle Regioni.

In tale quadro di ripartizione di competenze fra livelli di governo del territorio è posto il principio cardine della disciplina, la netta separazione tra le funzioni di programmazione e regolazione, riservate alle amministrazioni pubbliche e quelle di gestione industriale, attribuite a liberi operatori privati selezionati tramite procedure a evidenza pubblica, secondo il modello di concorrenza per il mercato.

Inoltre è prevista la copertura del 65% dei costi attraverso trasferimento pubblico, mentre il restante 35% deve essere ricavato dalle tariffe.

La Legge regionale piemontese n. 1 del 2000, di attuazione del Dlgs 422 del 1997, prevede che le funzioni di programmazione spettino a tre diversi livelli di governo: regionale, provinciale e comunale (Comuni con più di 30.000 abitanti); il finanziamento del servizio è in gran parte regionale e viene corrisposto in base agli obiettivi che ci si propone di ottenere, in base alla determinazione dei cosiddetti servizi minimi e agli investimenti. Oltre a rivoluzionare il quadro programmatorio, la legge piemontese introduce

l’obbligo di affidare il servizio mediante procedure concorsuali a evidenza pubblica (gare), al fine di promuovere la concorrenza del servizio e indurre a un riassetto dell’offerta. La normativa settoriale sulle gare si coordina con i principi comunitari, in materia di affidamento, meno restrittivi e preclusivi, con riferimento all’affidamento in house a società a capitale interamente pubblico, della legge nazionale, recentemente abrogata da una sentenza della Corte costituzionale.

Come strumento di regolazione ex-ante è previsto il contratto di servizio, volto a definire i rapporti e gli obblighi intercorrenti tra l’amministrazione concedente e il gestore del servizio, il quale viene stipulato, a seguito dell’espletamento delle gare.

La politica tariffaria è essenzialmente di competenza regionale, fatta salva la possibilità per Comuni e Province di introdurre agevolazioni tariffarie a proprio carico.

La Legge regionale ha istituito, inoltre, l’ Agenzia per la mobilità metropolitana e regionale - un consorzio tra Regione, Provincia e Comune di Torino e 31 Comuni dell’area metropolitana - che gestisce tutte le funzioni trasferite o delegate in materia di trasporto pubblico degli Enti aderenti.

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iTRASPORTO PUBBLICO LOCALE

La legge è legge!di Cristina Bargero, ricercatrice IRES Piemonte

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