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News 24/SA/2015

Lunedì,22 Giugno

2015

Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi

Allerta per mercurio in pesce spada e Listeria in salmone affumicato. Ritirati dal mercato europeo 78 prodotti

Nella settimana n°24 del 2015 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 78 (12 quelle inviate dal Ministero della salute italiano).L’elenco dei prodotti distribuiti in Italia oggetto di allerta comprende tre casi: mercurio in pesce spada (Xiphias gladius) spagnolo; Listeria monocytogenes in salmone affumicato refrigerato dalla Danimarca; mercurio in filetti di pesce spada (Xiphias gladius) refrigerato sottovuoto dalla Spagna.Nella lista delle informative sui prodotti diffusi in Italia che non implicano un intervento urgente troviamo: mercurio in pesce spada (Xiphias gladius) spagnolo; sostanza non autorizzata (E450 – difosfato) in tonno pinna gialla confezionato sotto vuote e refrigerato dalla Spagna.Contenuto troppo alto di coloranti in caramelle tipo marshmallows dalla CinaTra i lotti respinti alle frontiere od oggetto di informazione, l’Italia segnala: Salmonella anatum in filetto di petto di tacchino refrigerato dalla Francia; contenuto troppo alto di coloranti (E102 – tartrazina, E122 – azorubina, E129 – rosso allura AC, E133 – blu brillante FCF) in caramelle tipo marshmallows dalla Cina; peperoni rossi dalla Tunisia in cattivo stato igienico; mercurio pesce spada fresco (Xiphias gladius) dalla Spagna; eccesso di solfiti in gamberetti rosa

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(Parapenaus longirostris) dalla Croazia; aflatossine in nocciole sgusciate dalla Turchia.Questa settimana tra le esportazioni italiane in altri Paesi che sono state ritirate dal mercato, l’Italia segnala presenza di DNA di ruminante in mangime completo per trote distribuito in Bulgaria. (Articolo di Valeria Nardi)

Fonte: ilfattoalimentare.it

La carta etica del packaging e l’elogio sfrenato dell’imballaggio: una storia d’amore disinteressato? Secondo alcuni la plastica può nutrire il pianeta.

Il 22 maggio è stata presentata la “Carta etica del Packaging”È stata presentata il 22 maggio nel corso della fiera Ipack-Ima, la “Carta etica del Packaging – Principi condivisi per progettare, produrre, utilizzare gli imballaggi in modo consapevole”. Il documento articolata in 10 punti punta a essere “una dichiarazione di principi, una forma di richiamo all’impegno collettivo, per rilanciare l’imballaggio secondo una visione che lo proietti in una prospettiva futura” (responsabile, equilibrato, sicuro, accessibile, trasparente, informativo, contemporaneo, lungimirante, educativo, sostenibile).I punti sono più che condivisibili e l’impegno per la realizzazione del documento è lodevole (sulla carta). Stiamo parlando un progetto ambizioso visto che si tratta di un decalogo scritto per aprire un confronto fra tutti gli attori della filiera produttiva/distributiva e i cittadini/consumatori.

Nella carta etica si  legge che gli imballaggi “hanno una responsabilità sociale, devono creare un rapporto di fiducia immediato con il consumatore, devono informare con coraggio, consapevoli del fatto che le informazioni sul prodotto sono un diritto e una priorità per il consumatore attento; riflettono la cultura della società e contribuiscono a loro volta a crearla, ne trasferiscono modelli, partecipando all’evoluzione della contemporaneità”.Nella carta etica si legge che gli imballaggi “hanno una responsabilità socialeProseguendo nel documento si assiste ad una  sorta di elogio dell’imballaggio. “Dal packaging passano modelli di alimentazione, modelli del lusso, modelli di vita sociale, l’imballaggio partecipa alla diffusione dell’estetica quotidiana e all’interno di essa deve svolgere una funzione esemplare; esso deve farsi portatore di qualità estetica, in grado di educare il nostro sguardo; deve parlare con un linguaggio modello, senza farsi complice di linguaggi deformati.”

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Un elogio che il consumatore è fortemente invitato a condividere come raccontano alcuni articoli sul sito Wearepackagingfans.com in cui l’elogio del packaging si spinge ben oltre. Su questo sito  promosso da un noto istituto italiano, si leggono titoli come: “La plastica salvasprechi: il packaging che tutela l’ambiente” o “Packaging e sostenibilità: il contributo degli imballaggi per l’ambiente”.In un articolo si fa un improbabile esempio di confronto tra succo d’arancia fatto in casa e succo d’arancia pronto e confezionato. Nel primo articolo in un improbabile esempio di confronto tra succo d’arancia fatto in casa e succo d’arancia pronto e confezionato (così come lo troviamo sugli scaffali del supermarket, per esempio) si arriva a sostenere che la bilancia di “prodotto più sostenibile” pende a favore del prodotto imballato.

Le motivazioni?“Se scegliessimo di preparare noi la spremuta, dovremmo considerare il diverso impatto ambientale delle arance locali/nazionali e di quelle di importazione: più è lontano il luogo di produzione maggiore è l’impatto ambientale. E l’imballaggio delle arance, quanto pesa sulla sostenibilità del prodotto? L’imballaggio più sostenibile è senza dubbio la “sporta della nonna”, e l’acquisto a peso è in linea generale più sostenibile rispetto a quello in “vaschetta” perché c’è meno unità di imballaggio per unità di prodotto. E lo scarto della spremitura? Obbligatoria la raccolta differenziata, tra gli altri residui alimentari nella raccolta della frazione umida. E se invece decidessimo di acquistare un succo d’arancia già pronto? Avremmo l’imbarazzo della scelta: vari tipi di arance e combinazioni di succhi e nettari. E la stessa cosa si può dire per il packaging: bottiglia in vetro o in plastica, lattina in alluminio o contenitore in cartoncino, etc. Anche questa scelta sotto alcuni punti di vista può essere sostenibile. Spesso le industrie sono attente a limitare al massimo gli sprechi e le perdite di prodotto durante la lavorazione, ad acquistare le materie prime in prossimità degli stabilimenti, etc. Inoltre, i succhi e i nettari di arancia confezionati sono progettati e realizzati per essere conservati e sono acquistabili in formati che rispondono alle esigenze di consumo dei singoli o delle piccole comunità familiari. Sono quasi sempre richiudibili e ciò permette una preservazione del prodotto anche in stagioni dell’anno in cui non sarebbe disponibile e il loro trasporto in sicurezza in altri luoghi. [..] Inoltre, poiché è scientificamente dimostrato con studi di Life Cycle Assessment che per produrre un alimento si determina un alto impatto ambientale, potrebbe essere

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persino più sostenibile eccedere in packaging pur di evitare la perdita del prodotto.”E per non far mancare nulla l’articolo si chiude con lo slogan: “Quindi godetevi la vostra spremuta di stagione in tranquillità, ma non sottovalutate il contributo del packaging che vi permette di gustarla in modo efficace, sicuro e sostenibile. ”Ci sono affermazioni molti discutibili come “la plastica non solo è un antidoto allo spreco ma potrebbe “nutrire il pianeta”.

Sarà pur vero che nella miriade di prodotti alimentari commercializzati nel mondo, ne esisteranno alcuni più convenienti (sotto diversi profili quali quello nutrizionale/salutare, per l’impatto ambientale, o sulla sicurezza chimica e microbiologia) se venduti già elaborati e pronti all’uso rispetto a quelli preparati in casa, ma stiamo parlando probabilmente di un ago in un pagliaio.

Nel secondo articolo invece si sostiene che: “C’è un filo rosso che unisce il cibo alla plastica (quella “buona”, biodegradabile, sviluppata per usi alimentari e che non inquina) e che potrebbe lasciare perplessi i consumatori più attenti all’ambiente e alla tutela dell’ecosistema.”E con varie argomentazioni, che spaziano da studi condotti dalla FAO fino ad arrivare a parlare di una diffusione degli imballaggi in plastica che potrebbe contribuire a salvare parte dei 3 milioni di bambini che muoiono a causa della malnutrizione, si finisce ad affermare che “la plastica non solo è un antidoto allo spreco ma potrebbe “nutrire il pianeta”.” Vero è che nell’articolo si cerca di far passare il concetto che una soluzione simile potrebbe essere realizzata mediante Plastica buona, biodegradabile e che non inquina, ma è bene precisare che plastiche di questo tipo (bioplastiche) rappresentano vere e proprie nicchie di mercato come quelle degli alimenti biologici o dei beni di lusso ed è piuttosto fantasioso pensare che dall’oggi al domani stravolgano il mercato delle plastiche tradizionali.

Più fantasioso pensare che plastiche ecologiche, poco diffuse nei Paesi industrializzati, possano rappresentare una soluzione nei Paesi in via di sviluppoAncor più fantasioso pensare che plastiche ecologiche, poco diffuse nei Paesi industrializzati, possano rappresentare una soluzione nei Paesi in via di sviluppo dove i problemi legati all’alimentazione dipendono da numerosi fattori. In conclusione, se un imballaggio ideale dovrebbe essere, come sostiene la carta

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etica, responsabile, trasparente, equilibrato, educativo…sarebbe opportuno che lo fosse anche l’informazione che viene fatta in merito. (Articolo di Luca Foltran)

Fonte: ilfattoalimentare.it

Acrilammide: l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare conferma il rischio cancerogeno. I nostri consigli.

Quando il cibo acquista una sfumatura di colore marrone scuro aumenta la quantità di acrilammide.

Sulla sicurezza dell’acrilammide – una sostanza tossica che si forma durante i processi di cottura ad alte temperature – l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) è tornata a esprimersipoche settimane fa, confermando il rischio cancerogeno per l’uomo. Si tratta di una posizione analoga a quella espressa dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc), che definisce il composto un «probabile cancerogeno per l’uomo». Il parere ha riportato l’attenzione su questo problema di salute pubblica, sollevato per la prima volta da un gruppo di ricercatori svedesi nel 2002.

Prima di quella data, i rischi correlati all’esposizione erano stati valutati soltanto in ambito professionale. Dall’inizio del secolo, invece, si sa che l’acrilammide – di cui sono stati provati gli effetti tossici sul sistema nervoso centrale e l’apparato riproduttivo in diversi studi condotti su animali – può essere prodotta anche in cucina. Il problema si pone a causa della reazione (di Maillard) che avviene tra un amminoacido, l’asparagina, e i monosaccaridi, quando si cuoce a elevate temperature (oltre 120 gradi ) soprattutto nel corso di fritture e grigliate.  Tra le fonti alimentari più esposte ci sono soprattutto le patatine fritte, ma anche il caffè e tutti i farinacei: dal pane ai toast, dai cracker ai biscotti e ai cereali per la prima colazione. Rilevante è anche il tempo: più lungo è il processo di cottura, maggiore è la quantità di acrilammide che si forma. In altre parole quando il cibo acquista una sfumatura di colore marrone scuro (reazione di Maillard), tipica delle patatine fritte in questo frangente aumenta la quantità di acrilammide (per questo motivo il colore della frittura è un parametro da tenere in considerazione per valutare la salubrità).Anche il caffè è molto esposto alla contaminazione chimica da acrilammide

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Su indicazione della Commissione Europea, l’Efsa è tornata a esprimersi dopo aver valutato i risultati analitici di oltre 43mila campioni di alimenti raccolti e analizzati in 24 Paesi europei tra il 2010 e il 2014. Dall’indagine è emerso che quelli più esposti alla contaminazione chimica da acrilammide sono i succedanei del caffè (come la bevanda solubile), il caffè in polvere e le patatine fritte. Più bassi, invece, i valori riscontrati nei cereali per la prima colazione, nel pane morbido e negli alimenti destinati ai bambini. Nonostante il primato del caffè, però, a preoccupare è soprattutto la contaminazione diffusa riscontrata nelle patate, che risultano consumate con frequenza tra i bambini (a differenza del caffè), più esposti ai danni dell’acrilammide in ragione del peso inferiore. I dati provenienti dagli studi condotti sull’uomo sono ancora insufficienti per esprimersi circa una correlazione diretta tra la sua assunzione e l’insorgenza di alcuni tumori, ma «vista la positività a diversi test di cancerogenicità e genotossicità, da parte del metabolita glicidamide, abbiamo deciso di non individuare una dose giornaliera tollerabile di acrilammide», hanno messo nero su bianco gli esperti dell’Efsa. Di fatto nessuno se la sente di indicare un valore di consumo “sicuro”, al di sotto del quale si possono escludere conseguenze per la salute. 

In attesa che i decisori europei e nazionali utilizzino il parere dell’Efsa per valutare possibili misure finalizzate a ridurre l’esposizione dei consumatori all’acrilammide, ci sono diverse indicazioni da mettere in pratica. A rammentarle è Alberto Ritieni, docente di chimica degli alimenti all’Università Federico II di Napoli: «Le patate devono essere conservate al buio ma mai a basse temperature, perché il freddo le rende più dolci: dunque più ricche di zuccheri liberi in grado di reagire con l’asparagina. Da escludere, di conseguenza, è la collocazione in frigorifero. È da evitare anche la germinazione dei tuberi: con questo processo la patata riattiva il proprio metabolismo e si arricchisce dei nutrienti, zuccheri liberi e amminoacidi. Per la cottura, se non si può fare a meno di friggere le patate, meglio usare l’olio di arachidi o quello di oliva e completare il processo immergendo gli ingredienti per un tempo rapido: non oltre il momento in cui il tubero appare dorato. Le patate vanno fritte dopo averle tenute in acqua e sale per almeno venti minuti. Il sale favorisce la disidratazione del tubero, che con l’acqua perde pure gli zuccheri semplici. L’amido, invece, non si solubilizza: così il potere nutritivo rimane invariato».Sono stati sviluppati dei tuberi che rendono sfavorevole la sintesi di acrilammide.Oltre a queste raccomandazioni, c’è da dire che la comunità

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scientifica negli ultimi anni ha affrontato la questione, con l’obiettivo di ridurre la sintesi di acrilammide durante la cottura delle patate ad alta temperatura. Sono così stati sviluppati a partire dal 2008, come riferisce questo studio pubblicatosu Plant Biotechnology Journal, dei tuberi a ridotto contenuto di asparagina e zuccheri semplici (fruttosio e glucosio): ovvero gli ingredienti necessari per dare il via alla reazione di Maillard. La produzione è stata possibile dopo aver silenziato il gene asparagina-sintetasi. Un passaggio che, come riportato quattro anni dopo sulla stessa rivista, non ha comportato una compromissione dei raccolti né della qualità dei tuberi. Al momento questi prodotti non sarebbero ancora disponibili nei banchi frigo dei supermercati italiani. Il condizionale è doveroso perché le aziende non hanno alcun obbligo di indicare l’utilizzo di varianti di patate a ridotto contenuto di zuccheri o asparagina. Vincoli a parte, però, gli esperti dell’Efsa suggeriscono alle imprese che lavorano e commercializzano tuberi «di migliorare la comunicazione dei dati sulla presenza di acrilammide e sulla modalità di cottura per ridurne la sintesi». Necessari sono anche studi che valutino in maniera diretta l’esposizione attraverso la dieta, i livelli di concentrazione del composto nelle urine, la correlazione epidemiologica tra l’assunzione di acrilammide a tavola e il rischio di sviluppare diversi tumori: nel caso specifico a carico di endometrio, ovaio e reni. (Articolo di Fabio Di Todaro)

Fonte: ilfattoalimentare.it

Clonazione,stop da Parlamento Europeo

Un voto preliminare, con emendamenti che tendono a garantire maggiore sicurezza e tutela per le scelte dei cittadini europei: questo il risultato del voto del PE della giornata del 17 giugno. In base alle valutazioni di Efsa di tipo scientifico e a quelle di tipo etico del Gruppo Europeo sull’Etica (EGE), la clonazione degli animali non è conforme alla Direttiva del Consiglio 98/58/CE sul benessere degli animali e va quindi fermata- sostiene il Parlamento europeo. Non semplicemente sospesa, in attesa di nuovi ed ulteriori elementi- come proposto dalla Commissione, ma proprio vietata in via indefinita. L’obiettivo del regolamento sarà quello di rispondere alle preoccupazioni in materia di salute e benessere degli animali nonché alle percezioni dei consumatori e alle considerazioni etiche riguardanti la tecnica della clonazione, tenendo in considerazione quanto pensano i cittadini europei secondo i dati Eurobarometro. Quali i punti qualificanti del voto di ieri?

Regolamento e non direttiva

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Un primo passo in avanti deriva dallo strumento giuridico che sarà un regolamento e non una direttiva. Garantendo così una maggiore certezza del diritto ed una armonizzazione del mercato interno, senza punti deboli di entrata per Stati membri che volessero perseguire gli stessi fini con mezzi diversi-e quindi, con una frammentazione normativa.Estesa la definizione di clonazioneLa stessa definizione di clonazione viene allargata a tutte le tecniche diverse, oltre al Trasferimento di Nucleo di Cellula Somatica (Somatic Cell Nuclear Transfer -SCNT) sul quale Efsa aveva effettuato, a più riprese, proprie valutazioni circa il benessere animale, la sicurezza alimentare e l’equivalenza nutrizionale.Tutti gli animali d’allevamentoLa normativa inoltre estenderebbe il divieto su tutti gli animali d’allevamento e non solo su bovini, suini , ovicaprini ed equini-come proposto inizialmente dalla Commissione.Progenie e materiale germinaleLa progenie di animali clonati, nonché il materiale germinale, sono parimenti sottoposti a divieto, come anche alimenti e mangimi provenienti da cloni e loro progenie.ImportPer le importazioni, sarà necessario un certificato di importazione che attesti che gli animali non sono cloni o progenie di animali clonati e che i prodotti non sono derivati da animali clonati o dalla loro progenie. Con un aggiornamento nell’ambito del reg. 882/2004 circa i controlli ufficiali e le garanzie ritenute adeguate.Questioni in sospesoTra le questioni ancora in sospeso, la tracciabilità di cloni e progenie nonché di materiale germinale di cloni e progenie è affidata a misure della Commissione, tramite atti delegati – al fine di meglio entrare nel dettaglio tecnico- entro 6 mesi dall’adozione del regolamento.   Un secondo punto in sospeso e rimesso alla futura valutazione della Commissione riguarda la richiesta di una Relazione da parte della Commissione sull’esperienza acquisita in merito all’applicazione del regolamento, cinque anni dopo la sua entrata in vigore; mentre agli Stati membri è chiesto di riferire alla Commissione non solo sull’applicazione, ma anche tutte le prove scientifiche e tecniche disponibili dei progressi avvenuti(riguardanti in particolare aspetti della clonazione legati al benessere degli animali e alle questioni di sicurezza alimentare) così come sui sistemi di tracciabilità e l’evoluzione delle percezioni e delle preoccupazioni dei consumatori nei confronti della clonazione. A questo riguardo, è stato infine adottato un emendamento volto a chiedere alla Commissione europea unaconsultazione pubblica volta a verificare eventuali nuove tendenze nella percezione dei consumatori relative ai prodotti alimentari ottenuti da cloni animali.

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Fonte: :sicurezzaalimentare.it

Approfondimenti. RSPO. Promuovere la sostenibilità dell’olio di Palma attraverso la Certificazione.

La cosa certa è l'ampia diffusione di questo prodotto.L'Olio di Palma è al centro di un dibattito molto acceso. L'Olio di Palma è oggi l'olio vegetale più diffuso nel mondo con una produzione che si attesta oltre i 40 milioni di tonnellate annue; è utilizzato oggi in più della metà dei prodotti che troviamo nei nostri supermercati.Inoltre, milioni di persone lavorano nella filiera dell'Olio di Palma e le economie di interi Paesi sono fortemente basate sullo sfruttamento economico di questa risorsa. Proprio per la crescita esponenziale della superficie delle coltivazioni di questo vegetale ha portato la comunità internazionale a riflettere su come proteggere l'ambiente circostante e favorire metodi di produzione ed utilizzo sostenibili.Lavorare per la sostenibilità di una coltivazione così diffusa è fondamentale. RSPO - Roundtable on Sustainable Palm Oil è una Organizzazione non-profit fondata nel 2004 con lo scopo di promuovere la sostenibilità dell'Olio di Palma.RSPO riunisce gli stakeholders di sette differenti settori della filiera dell'Olio di Palma.Già nel 2011, aderivano al Tavolo RSPO 650 Organizzazioni appartenenti a 50 diversi Paesi. Lo Schema RSPO è stato progettato per la certificazione della Sostenibilità dell'intera filiera nella produzione dell'olio di palma, è pertanto rivolto a tutti gli elementi di filiera: frantoi, raffinatori, trasformatori, produttori, commercianti e altri stakeholder della filiera produttiva, anche non food (questo prodotto è ampiamente utilizzato infatti anche nel settore cosmetico). La Certificazione RSPO ha come obiettivo lo sviluppo e lo sfruttamento sostenibile di questa risorsa. Con la Certificazione RSPO l'Organizzazione che opera nella filiera dell'Olio di Palmadimostra il proprio impegno per la sostenibilità, proteggendo le comunità e l'ambiente circostante con la sua biodiversità.

Fonte:bureatuveritas.it

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Filiera mangimi “OGM-free”, via al progetto Coldiretti-CA

Con un vero marchio, in grado di comunicare ai produttori che usano mangimi, Coldiretti insieme a Consorzi Agrari d'Italia gioca una nuova carta sul tavolo: del resto, il mercato dei mangimi senza Ogm è cresciuto in Italia del 15 per cento negli ultimi tre anni. Il marchio, presentato ad Expo ha dietro la conversione di tutti i mangimifici aderenti alla CAI, alla produzione di mangimi No Ogm. Dalla conversione si prevede la produzione di 280.000 tonnellate di mangimi No Ogm che saranno tutte commercializzate con l’unico marchio di Consorzi Agrari d’Italia-  che rappresentano una quota produttiva importante pari a circa il 8 per cento sul totale nazionale, a significare che l'elemento valoriale del No Ogm assume sempre più un ruolo strategico a salvaguardia della qualità e della distintività del Made in Italy.   “Recenti studi dimostrano che la disponibilità a pagare di più per prodotti ogm free è spesso elevato e raggiunge negli usa in media tra il 14 ed il 21 per cento” ha affermato il Professor Felice Adinolfi nel sottolineare che peraltro “i valori sono più elevati per la carne per la quale i consumatori statunitensi spenderebbero 7 dollari in più al chilo per averla certificata come proveniente da alimentazione priva di ogm”. “Di fronte alle incertezze legislative comunitarie abbiamo avviato con responsabilità un percorso di trasparenza unico in Europa per rispondere alle nuove domande che vengono dal mercato” ha affermato il presidente di Consorzi Agrari d’Italia Mauro Tonello nel sottolineare che “i Consorzi Agrari di Cai con questa scelta si pongono l’obiettivo di diventare leader di mercato nello specifico settore”.

Fonte: sicurezzaalimentare.it