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Non c’è dubbio che esista-no famiglie talentuose. Lostesso Allesina ne citaalcune all’inizio del suoarticolo, Measuring Nepo-

tism Through Shared Last Na-mes: The Case Of Italian Aca-demia, pubblicato lo scorso ago-sto su “Plos One” rivista scienti-fica open-access della PublicLibrary Of Science: i Bernoulli sisono passati il dono della mate-matica per tre generazioni enella famiglia Curie il talento perla fisica e per la chimica era con-tagioso. Queste sono eccezioniperò e se, entrando in un dipar-timento, ci imbattiamo nellostesso cognome scritto su trop-pe porte, dovremmo sentirepuzza di bruciato, ovvero dinepotismo.Nel Medioevo i papi, non poten-do ufficialmente avere figli,riservavano posti prestigiosi efavori ai nipoti - da qui il terminenepotismo. Poco importa se ilnipote avesse qualità o no. Allostesso modo, oggigiorno, que-sta pratica invade come unametastasi l’università italiana,dove la parentela e il clienteli-smo hanno sostituito le compe-tenze. Il barone è il protagonistadi questa distopia reale: crea edistrugge carriere a suo piaci-mento. “La situazione accademi-ca italiana” racconta Allesina “èafflitta da vari problemi tra cui ilnepotismo, sebbene non ci sianodati certi della sua diffusione.Davanti al database del Cineca

(www.cineca.it) mi sono chiestose fosse possibile pesare il nepoti-smo, andando oltre i casi isolatidi denunce. Tutti quelli che cono-sco sanno di uno, due o tre casi,ma quanti sono in totale?L’evidenza raccolta è fatta daaneddoti. Io volevo i numeri”. E i

NEPOTISMOMONAMOURNegli Stati Uniti esce un articolo di Stefano Allesina sul nepotismoaccademico italiano: è una desolante fotografia del nostro sistemauniversitario che fa arrabbiare molti baroni indigeni. Ci siamo fattiraccontare da Allesina, assistant professor all’Università di Chicago,

come si misura il nepotismo e a che punto siamo arrivati.testo e foto di Chiara Lalli

ILMUCCHIOSELVAGGIO

numeri disegnano un sistemaprofondamente basato su prati-che nepotistiche. Ci sono oltre61.000 professori divisi in disci-pline, circa un accademico ogni1.000 persone. “Se fossero as-sunti in base al merito” prosegueAllesina “la distribuzione dei

cognomi per ogni disciplina do-vrebbe essere equivalente alladistribuzione nazionale dei co-gnomi. Ho contato i cognomidistinti e li ho confrontati conquanti dovrebbero essere. Cosapenseremmo se tirassimo undado mille volte e uscissero soloquattro numeri?”.Allesina non si è concentratosulle università, ma sulle disci-pline che sono distribuite inmodo abbastanza uniforme sulterritorio. “C’è una distribuzionenaturale dei cognomi, anche perla particolare geografia italiana.Per vedere cosa succede in unauniversità, bisognerebbe fare ilconfronto con il contesto locale - èciò che hanno fatto Durante,Labartino, Perotti e Tabellini nel2008, in Academic Dynasties:Nepotism And Productivity InThe Italian Academic System. Iovolevo condurre un’analisi menoambiziosa: far emergere la scar-sezza sospetta dei cognomi neisettori disciplinari”.Molti hanno puntato il ditoverso il rischio che gli omoni-mi potrebbero passare per rac-comandati. Allesina precisa:“Io mi aspetto che il numero diomonimi in una disciplina sia lostesso presente nel contestonazionale. Il rischio che corro èdi sottostimare il fenomeno, per-ché non vedo la maggior partedei casi di nepotismo: amanti,amici, mogli, figli e nipoti concognome diverso - tutte personenon favorite in base al merito e

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QUESTIONI

che non riesco a misurare”.Unesempio: a medicina mancanotrecento cognomi. Allesinaspiega che non basterebbeassumerne trecento (scelti se-condo criteri di merito): perraggiungere la media naziona-le dei cognomi ne servirebbeseicentocinquanta circa, cioè ilsei percento dei professori.Siccome il metodo rileva soloun caso su due, il dieci percen-to di quelli in carica andrebbelicenziato e rimpiazzato.Al di là di strumenti, leggi, rime-di, l’unico vero argine al nepoti-smo è cambiare mentalità.Come si fa? “Provare a sradicarealcune idee assurde: che tutte leuniversità siano altrettanto buo-ne, per esempio. È una follia comelo sarebbe dire che le squadre dicalcio di serie A sono tutte allostesso livello, indipendentementeda chi ci gioca. I finanziamenti inItalia seguono questa logica e i cri-teri andrebbero completamentecambiati. Poi abolire il valorelegale del titolo. Perché non dare isoldi agli studenti, sotto forma diprestito? Incentivarli così a cerca-re l’università migliore e non unpezzo di carta?”.Il sistema della ricerca, poi,andrebbe profondamente cam-biato: invece di dare fondi scarsia molti, sarebbe più utile sele-zionare meglio i destinatari efinanziarli sul serio. SecondoAllesina in Italia è ossessiva-mente diffusa l’idea della neces-sità di una regolazione dall’alto:arriva unministro che samegliodi tutti, fa leggi complesse eincomprensibili e tutto permagia si risolve... Invece rimanetutto come prima. La chiave ètrovare un modo per far sì checonvenga promuovere i piùbravi. Se tu non vali nulla, nonconviene a nessuno che diventiordinario: non a chi raccoman-da - che dovrebbe risponderne,non agli studenti e quindi all’u-niversità che si accolla il costo diun mediocre. “Io sono ecologo epenso in termini di sistema: unsistema in cui il vantaggio del sin-golo è anche un vantaggio delsistema è perfetto. Si potrebbepartire da questa idea semplice.Non servono leggi impossibili -qualsiasi legge può essere aggira-ta”. Una idea semplice, in effet-ti, che sembra schiacciata da

una gestione claustrofobica etipicamente di casta. O dai ten-tativi di imitare altri sistemi uni-versitari, per poi rimanere im-pantanati in discussioni infinitesu cosa voglia dire “buon ricer-catore” o “buona università”.“Ci sono situazioni paradossali incui un paper su “Nature” è consi-derato alla pari di un pezzo sullarivista del Museo tridentino discienze naturali... Però non pos-siamo passare anni a discutere sucome stabilire i criteri biometricimantenendo tutto fermo. Il siste-ma utopico non esiste, il metodoperfetto di misurazione è difficileda realizzare, ma si potrebbecominciare magari prendendoispirazione dal sistema statuniten-se. Creare un team con compe-tenze diverse, distinguere i ricerca-tori puri da chi insegna - come ilecturers, che sono valutati eassunti per insegnare - incentivaregli scambi disciplinari”.

Sembra difficile indicareuna soluzione in Italiaanche immaginando diavere i superpoteri. “Se cifosse un magnate che vuole

finanziare l’università italiana,mi piacerebbe fondarne una pri-vata d’eccellenza. 60 milioni diitaliani meritano almeno unauniversità di gran calibro. Siamoormai l’unica nazione del G7 anon averne nemmeno una tra leprime cento. Questo si riflettesulla classe dirigente, sul pubbli-co, sulla formazione in generale.Farei una specie di MIT, il presti-gioso Massachusetts Institute OfTechnology, prendendo i più braviin giro per il mondo. La mia rifor-ma si fonderebbe su un solo con-cetto: chiunque può essere assun-to come associato o ordinario seha una posizione equivalente inuna delle prime cento universitàdel mondo. Oggi se uno volesseinsegnare in Italia, provenendomagari da una prestigiosa univer-sità estera, inciamperebbe in unincubo. Non c’è permeabilità.Non ci sono i visti, che fai vieni daHarvard e vai a fare la fila in que-stura? O alla segreteria dellaSapienza? Non ci sono nemme-no le infrastrutture”.Per questa ragione molte per-sone sono partite e non hannovoglia di tornare. “Sono andatovia nel 2004. A livello universita-

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rio non mi sono mai pentito,tutto è filato liscio e in fretta. Sulpiano personale mi dispiace chemio figlio di due anni e mezzoveda poco i nonni. Non è facilenemmeno lasciare gli amici. Mainsomma se avessi fatto l’astro-nauta non avrei potuto micafarlo in provincia di Modena.Faccio il mio lavoro dove ci sonole condizioni per farlo. Vivo inuna società multiculturale, quasiuna società a parte, separata dalmondo. Rischia di essere unabolla, un mondo ideale in cui sifinisce per perdere di vista la real-tà. Penso sempre a mio figlio ealla possibilità di questa prospet-tiva limitante. Certo è anchearricchente. All’asilo tutti i bam-bini parlano lingue diverse, cin-quanta lingue per venti bambini!Qui alla University Of Chicago tiprendi un caffè e incontri unastrofisico, un filosofo o un mate-matico: sembra l’accademia pla-tonica. In Italia è impossibileimmaginarselo. In Italia se hai la

fortuna di diventare ricercatore, tipagano talmente poco che deviavere anche la fortuna di averemamma e papà che ti pagano lacasa. Poi magari diventi associatoquando hai un piede nella fossa; èangoscioso, ti viene l’ansia al solopensiero”.La pubblicazione su “Plos One”ha suscitato molte reazioni.Manco a dirlo, in patria moltesono state livorose. “Si vede cheha funzionato! Se Luigi Frati (ret-tore dell’università di Roma “LaSapienza” e capostipite di unafamiglia talentuosa: moglie edue figli ordinari nello stessoambito disciplinare, nda) siarrabbia, è la prova che hai fattocentro! Mi ha fatto ridere che miabbia attaccato personalmente:‘questo sfigato che ha solo trentapubblicazioni...’. Si risponde dasolo. Io sto a Chicago - che è trale prime dieci università almondo, e vanta tra i suoi studen-ti ottantacinque premi Nobel -che altro dire?”.�