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Una società di narcisisti

Il mito di Narciso, il più famoso mito dell’antichità, narra di un gio-vane di rara bellezza, ammirato ed amato da tutti ma incapace di corri-spondere all’amore di alcuno. Nello stupendo quadro del Caravaggio viene rappresentato mentre si in-namora della propria immagine ri-flessa nello stagno dove cadrà an-negandovi.Il significato di questo mito secon-do l’odierno senso comune vuole indicare la persona che è innamora-ta di se stessa, priva di veri legami affettivi, egoista ed esclusivamente interessata alla propria affermazio-ne personale.Dicono gli esperti che oggi questa sia la cifra caratteristica della nostra società in cui «il primo santo del calendario postmoderno non è più Prometeo… ma Narciso… che vive

dell’amore dell’altro, ma se ne attri-buisce il merito esclusivo…».� La nostra civiltà ci consegna dun-que un uomo autocentrato e inte-

L’ombra di NarcisoRenza Guglielmetti

BUON NATALE A TUTTI!

...vorremmo che passasse sulle strade

come uno di noi.

E dietro gli andrebbe perfino la pietra, in

questo bisogno d’amore

(Davide M. Turoldo)

Noi lo cerchiamo e...

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ressato esclusivamente alla propria, personale, autorealizzazione. Il narcisismo, sempre secondo le attuali analisi sociologiche, nasce dal bisogno di emergere, di conta-re, di uscire dall’anonimato, di crea-re eventi in cui esibirsi davanti ad un pubblico plaudente. Un bisogno che oggi i social media e internet alimentano e favoriscono creando continue occasioni di visibilità; un

bisogno più indotto che naturale quindi, prodotto dalla enorme pos-sibilità di pervadere la Rete con il mettere al centro il proprio sé, nel completo disinteresse per l’altro. Un aspetto sintomatico del fenome-no sono i selfie postati a dismisura, dove l’io si mette in vetrina alla fin fine per contemplare se stesso.

Ama il prossimo tuo

Nel recente saggio di Pierangelo Sequeri «La cruna dell’ego»� l’ipo-tesi che l’autore propone, dopo aver considerato l’attuale orizzon-te narcisista, caratterizzato da una sostanziale incapacità ad amare, è quella «di rovesciare il tavolo del soggetto moderno»3 non tanto nel senso di sollevare una critica di ori-gine morale all’egoismo imperante ma piuttosto, più radicalmente, nel-la prospettiva di sostituire alla do-manda di fondo: «chi sono?» che genera solo frustrazione, un’altra davvero più creativa: «per chi sono io?»4 Una domanda questa che, a suo avviso, «ci rende esploratori di terre sconosciute e creatori di rap-porti fecondi».5Questa, afferma l’autore, è la vera strada della realizzazione di sé. Si cresce e ci si perfeziona quando le proprie qualità vengono poste a ser-vizio dell’altro e in questo donarsi si finisce per comprendere meglio se stessi.6

EdITOrIALE pag. �L’ombra di Narciso dOMANdE & (qualche) rISPOSTA Riscopriamo Cristo! pag. 4

fLASh dAI cENTrI pag. 6• Il vangelo secondo l’avversario• Sempre in movimento!• Veglia dei Santi• Campagna pubblicitaria• Gazebo in città

L’EcO dEL dIO NAScOSTO pag. ��L’eredità dei nostri padri

dIcIAMOLO cON L’ArTE pag. �7Madonna del parto

rELIgIONI cULTI MAgìA pag. �0Tradizioni natalizie QUI PUBBLIcITà pag. ��

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L’evento dell’incarnazione del Verbo è davvero la smentita assoluta di ogni impostazione di vita fondata sull’autoreferenzialità. Scrive ancora Sequeri: «Quando il cristianesimo con una mossa che non si era mai vista nella storia – e nella stessa storia religiosa – del-l’uomo, porta l’amore del prossimo (non il compare, ma il chiunque) alla stessa altezza dell’amore di Dio, sul fondamento del figlio fat-to Uomo, sbarra la strada per ogni impostazione narcisistica del fonda-mento dell’essere e del senso».7Noi allora crediamo nella forza dell’amore perché Dio continua ad operare nella so-cietà e nella storia, in ogni uomo che nasce alla vita, e ad attrarre tutto e tutti con il suo amore. Questa fede ci impedisce di disperare di noi stessi, dei tratti narcisistici che ognuno di noi innegabilmente si ritrova, e della stessa umanità che avvertia-mo così disumana. E non solo, ma ciò che ci incoraggia è sapere

che Dio continua a seminare nel cuore degli uomini la vocazione ad amare. Questo è il messaggio che ogni Natale porta con sé: solo Lui infatti possiede la chiave dell’arte di amare.

� Pierangelo Sequeri, Uscire da se stessi, in «Osservatore Romano – �7-�8 febbraio �0�7.

� Id., La cruna dell’ego. Uscire dal mono-teismo del sé, Ed. Vita e Pensiero, Milano �0�7.

� Ivi, �54 Ivi, �5-�65 Ivi, �66 Ivi, �67 Ivi, �7

caravaggio:NarcisoPalazzo Barberini - roma

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DOMANDE & (qualche) RISPOSTA

riscopriamo cristo!a cura di Fiorella Danella

Sono molti che, pur non credendo, considerano gesù un uomo eccezio-nale, un grande maestro di morale, l’iniziatore della religione che da lui prende il nome, ma non lo riconosco-no come figlio di dio. Tra i credenti invece è più facile la posizione oppo-sta, quella di sottovalutare la concreta umanità di gesù, vedendone soprat-tutto i tratti divini, miracolosi, prodi-giosi. È dunque essenziale, di fronte a quest’Uomo, sentirsi rivolgere la domanda che Egli fece ai suoi: «…e voi chi dite che io sia?». Le parole di Enzo Bianchi, possono aiutarci a riflettere e a dare la nostra risposta.

La più bella storia mai raccontataPerché da duemila anni cristiani e non cristiani sentono il bisogno di raccon-tare o di riascoltare la storia di Gesù di Nazaret? Perché questa singolarità di Gesù tra i grandi maestri iniziatori delle vie religiose? La risposta potreb-be essere semplice: la sua singolarità di uomo-Dio attira certamente i credenti che diventano suoi discepoli, e la sua umanità così autentica ed esemplare intriga anche uomini e donne che non sono attratti da vie religiose. Mi sento di poter dire che quanti sono impegnati a cercare Dio (quaerere Deum) e quan-ti cercano l’uomo (quaerere hominem) si sentono attirati da Gesù Cristo.Gesù non ha scritto nulla, ma altri

hanno scritto di lui, hanno tentato dei ritratti, lo hanno narrato, e così ne han-no tramandato la storia: una narrazione plurale, che ha colto aspetti e accenti diversi nelle sue parole, che ha dato di-verse interpretazioni delle sue azioni.Si pensi ai quattro vangeli, agli scritti del Nuovo Testamento, ma poi a tanti altri tentativi, non ritenuti autentici dal-la chiesa ma che rappresentano comun-que narrazioni “altre” di Gesù. Anche perché Gesù di fatto ha chiesto a chi voleva seguirlo di diventare lui stesso, con la propria vita, un suo narratore, capace di portare la buona notizia del Vangelo tra gli uomini: con la sua pa-rola e la sua vita Gesù ha voluto nar-rare Dio agli uomini (exeghésato: Gv �,�8), e ogni suo discepolo cerca lui pure di narrare agli altri la vita di Gesù. Narrazioni senza fine!Ma la figura di Gesù e i testi dei van-geli hanno sollecitato e sollecitano, ieri e oggi, letterati, artisti, registi anche di-chiaratamente non cristiani. Perché? Se vi può essere un elemento di interesse a motivo di un mercato “religioso” che vende, vi sono però anche riletture e riscritture della figura di Gesù di alto spessore letterario e artistico (come di-menticare Il vangelo secondo Matteo di Pasolini?), che richiedono ben altra spiegazione.Mi pare che spesso esse si insinuano nella distanza, a volte sentita come

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DOMANDE & (qualche) RISPOSTA

abissale, esistente tra il Gesù dei van-geli e la presentazione che per secoli ne è stata fatta in ambito ecclesiastico, per interessi dottrinali, teologici, mora-li, pedagogici. Spesso si coglie in que-ste riscritture una simpatia per Gesù e una denuncia dell’“addomesticamento” che di lui è stato fatto. Queste riletture non a caso oggi valorizzano la dimen-sione umana che per secoli a Gesù è stata negata a favore della sua qualità divina.Si rilegge e si racconta di nuovo la vicenda di Gesù perché in essa si per-cepisce la presenza di un’umanità vera, profonda, semplice, praticabile: abbia-mo bisogno di una nuova grammatica dell’umano, di riscoprire l’umano, di reimparare l’abc delle relazioni umane e delle pratiche di umanità. E la figura di Gesù, anche quando è rinarrata in maniera molto distante dal testo evan-gelico, appare come simbolo di umani-tà e di senso, appare indicatrice di una via che coglie l’essenziale dell’esisten-za e aiuta a orientarsi nella vita.In quest’opera di riattualizzazione della figura di Gesù viene paradossalmente e forse inconsapevolmente rimessa in valore l’originale dimensione della Bibbia, del Vangelo come specchio: specchio dell’umano che consente a chi vi si riflette di passare dal rifles-so alla riflessione. In ogni secolo si è dipinto Gesù con i vestiti dell’epoca, attuando un’appropriazione del perso-naggio, una sorta di sua annessione alla contemporaneità.È probabile che il film Son of God pre-

senti tratti molto discutibili sul piano storico o teologico; può darsi che in esso abbondino elementi banalizzanti; può darsi che l’industria editoriale e quella cinematografica vedano in Gesù un marchio che rende e poco più. Ma il fatto che si continui a ritornare a que-sta figura è indicativo di una sete che l’uomo, nonostante tutto, non riesce a placare ad altre fonti.È il segno di un bisogno di verità, di umanità, di servizio agli altri, di amo-re, tratti che caratterizzano il fascino e la simpatia suscitati universalmente e trasversalmente, tra cristiani e non cri-stiani, dalla figura di papa Francesco. È anche vero che su Gesù si sono fatte e si fanno molte proiezioni, a seconda delle stagioni culturali, e così viene ideologizzato di volta in volta come un Gesù hippy, un Gesù rivoluzionario, un Gesù guru, e significativamente oggi addirittura come un Gesù culinarius, esperto di cucina. Ma questi sono dei Gesù manufatti per il nostro consumo, non è il Gesù dei vangeli!Secondo i vangeli Gesù un giorno ha chiesto ai suoi discepoli: “Chi dite che io sia?”. A quella domanda gli uomini e le donne di oggi tentano e ritentano di rispondere con passione, mai con indifferenza. Oggi Dio interessa poco le nuove generazioni, la chiesa può an-che sembrare un ostacolo alla fede: ma Gesù Cristo continua a intrigare e ad affascinare.

(Enzo Bianchi, fondatore della comunità di Bose, www.monasterodibose.it)

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TorinoRenza Guglielmetti

Il Vangelo secondo l’avversarioLa nuova serie degli Incontri-cafè, iniziata il �� ottobre e seguita da al-tre due serate, il �� novembre e il 4 dicembre, ha avuto come oggetto di riflessione la riscrittura che Gabrie-le D’Annunzio fece di tre parabole evangeliche: il figliol prodigo, le dieci vergini e il ricco epulone. Il prof. Fabio Rondano, con grande competenza e capacità comunicati-va, ha condotto le serate. Il famoso scrittore e poeta vissu-to tra ottocento e novecento, pose mano a tale rielaborazione secondo una propria prospettiva di salvezza rintracciabile, a suo parere, in un piacere sempre rinnovato. All’opposto, le narrazioni evangeliche sottolineano l’impossibi-lità per l’uo-mo di una auto salvez-za perché solo nella fiducia in-staurata dal riconoscersi figli di Dio

si creano le condizioni per una vita piena e matura, capace di spendersi per il bene dell’altro.L’opera dannunziana in generale si rivela profetica per questo nostro tempo sia nel denunciare lo smar-rimento dei grandi valori sia nella costante coscienza di come la morte erode continuamente la vita. Perdu-to ormai il senso eroico della vita che la rende degna di essere vissuta, ai grandi ideali si sostituisce la ri-cerca del piacere. Una cifra quanto mai attuale quella dell’uomo chiuso in se stesso, nella ricerca spasmo-dica della propria autorealizzazione, attraverso la ricerca continua della novità espressa dal consumismo.

FLASH DAI CENTRI

dibattito in sala al secondo Incontro cafè

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FLASH DAI CENTRI

Sempre in movimento!

Alla sede di Cuneo intensa attività a settembre. Dopo il gazebo orga-nizzato a Genova, abbiamo realiz-zato quello della festa patronale di Cuneo il �5 di settembre con la partecipazione della socia Magda e di Massimiliano. Quindi, la prepara-zione della mostra Grafie dell’ani-ma a Collegno il �° ottobre con un grande pannello sul sito dell’esposi-zione. Esperienza bellissima perché la mostra è stata esposta nella cripta

paleocristiana della parrocchia di San Massimo in coincidenza con la festa del Santo fondatore della Chiesa di Torino che lì a Collegno aveva un centro di spiritualità e dove dovette trovare sepoltura. Sono fat-ti del quarto secolo e quindi paleo-cristiani. La mostra è stata davvero suggestiva in un clima di vera ca-tacomba. Numerosi i visitatori che affluivano a gruppi di dieci. È stata cosa molto bella poter presentare le origini della Chiesa di Torino e del suo primo santo vescovo.

CuneoMirella Lovisolo

grafie dell’anima a collegno

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La mostra è poi stata portata con una conferenza e il dvd nella ac-cogliente Associazione «Chi cerca trova» di Torino in due incontri successivi.

Nell’evenienza dell’uscita del nuovo manifesto su Cristo abbiamo voluto allargare le campagne dei manifesti ad alcuni dei centri raggiunti dalla mostra Grafie dell’anima: Cuneo, Saluzzo, Novara, Vercelli, Savo-na, Finale Ligure, Bu-sca, Verzuolo in modo da dire il più ampia-mente possibile il nome di Gesù ai passanti. A proposito dell’annuncio, un’esperienza recentis-sima: la «stracôni» di Cuneo con ventimila per-sone. C’eravamo anche noi con il manifesto con la scritta «Riscopriamo Cristo», disposta a sand-wich, con distribuzione del relativo dépliant. In-credibile la gioia di poter dire il nome di Gesù a tutte queste persone!!! Un’esperienza bellissima che ha dato molte idee per il prossimo anno (se Dio vuole).

È iniziato il primo dei corsi or-ganizzati dalla sede di Cuneo. A Busca incontri sul tema: «Un in-terrogativo inquietante: perché il male?» Tre incontri condotti da Fabio Rondano: Il male mistero del la storia umana; Dio e il male nel mondo; Quale speranza di salvezza per l’umanità? Partecipanti entusia-sti per la completezza della tratta-zione.

FLASH DAI CENTRI

Alla «stracôni»

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AlbAElena Cillario

Veglia dei Santi�8 ottobre �0�7. È ancora tempo di Fiera ad Alba e le vie della città sono gremite. Tra i vari eventi della serata c’è la Veglia dei Santi nella chiesa di San Giovanni (Piazza Per-tinace), in centro storico: una sera-ta di preghiera, evangelizzazione e perdono, organizzata da GAM, In-formaCristo e «La Comunità». Noi di InformaCristo rimaniamo fuori, davanti alla chiesa, per distribui-re il materiale dell’Associazione e per spiegare a chi chiede, lo sco-po della serata. Guardo la piazza piena di gente, sento il vociare di tanti giovani che cercano evasio-ne e divertimento e penso che Tu, Gesù, sei vicino ad ognuno di loro, cammini con loro… e sicuramente li aiuterai a capire, a dare un senso vero e giusto alla loro vita. Alcuni ragazzi fotografano il tavolino e il portale della Chiesa, altri si ferma-no per leggere e parlare con noi… Diversi giovani vanno in missione a volantinare nelle periferie di Alba per invitare altri giovani a pregare. Intanto alle ore �� la Veglia ha ini-zio. Tante persone entrano in chiesa:

preghiera, adorazione, silenzio, canti. Durante la serata si riflette sulla grande figura del Beato Pino Puglisi, sacerdote ucciso a Paler-mo dalla mafia in piazzale Anita Garibaldi, il 5 settembre ����. È un martire di oggi; sapeva che lo avrebbero ucciso perché dava fasti-dio con la sua onestà e fedeltà a Cristo. La sua vita e la sua morte sono state testimonianza della sua fedeltà all’unico Signore e hanno disvelato la malvagità e l’assoluta incompatibilità della mafia con il messaggio evangelico. «Padre Pino Puglisi – ha detto Papa Francesco – è stato un sacerdote esemplare, de-dito specialmente alla pastorale gio-vanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo vissuto, li sottraeva alla malavita e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà però è lui che ha vinto con Cristo risorto». «Sì, ma verso dove?» era uno degli slogan preferiti da padre Pino: verso dove vogliamo che vada la nostra vita? Riportiamo ancora una delle sue frasi più significative: «Venti, sessanta, cento anni… la vita. A che serve se sbagliamo direzione?

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FLASH DAI CENTRI

Ciò che importa è incontrare Cristo, vivere come Lui, annunciare il suo Amore che salva. Portare speranza e non dimenticare che tutti, ciascu-no al proprio posto, anche pagando di persona, siamo i costruttori di un mondo nuovo».

La Veglia di preghiera ha avuto un buon riscontro. Tutti noi presenti abbiamo ringraziato don Pino per la sua testimonianza e per il suo luminoso esempio. Tu don Puglisi, che hai amato senza misura, aiuta ognuno di noi ad essere non solo credente, ma credibile, nella pro-

pria situazione di vita, per essere autentico testimone del Vangelo.

campagna pubblicitariaDal 6 ottobre al 6 novembre ses-santa manifesti grandi e grandissi-mi sono affissi sui muri della città (e dintorni). Il messaggio RISCO-PRIAMO CRISTO è un invito per i passanti a riflettere su chi è Gesù, sulla buona notizia del Vangelo che illumina di senso l’esistenza e dà forza per affrontare le difficoltà e i momenti più duri della vita.

cristo... per le strade di Alba

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GenovAMagda Brunofranco

gazebo in città

Per favorire l’incontro e il dialogo con le persone, nel settembre scor-so abbiamo allestito un gazebo di InformaCristo in Piazza Campetto, zona pedonale nel centro storico di Genova, con non poche perplessi-tà ed incertezze proprio alla vigilia della sua realizzazione: per lo stato di allerta arancione-rosso annuncia-to dal meteo proprio per quel gior-no e per la prevedibile difficoltà a montare il nostro piccolo chiosco.L’indomani mattina, cielo nuvoloso, non pioggia; giunti sul luogo, con l’aiuto dell’autista del trasporto e anche di qualche passante, fatico-samente, l’abbiamo messo in piedi e, una volta aperto, ci è sembrato addirittura… maestoso. Il sole ha rotto le nubi e ne è seguita una bella giornata.Il passaggio di gente andava au-mentando, turisti con le mappe in mano e tanti passanti frettolosi e indifferenti. Qualcuno però si fer-mava anche per parlare con noi di ciò che gli stava a cuore, magari per raccontare com’è avvenuta la propria conversione e, sia pure con

molta discrezione, anche per avere qualche messaggio o pubblicazione, già visti da qualche parte in città. Come quella ragazza che ci ha chie-sto la locandina “Cristo Speranza”, poiché diceva: mi piace proprio tan-to! E in cambio della locandina di cui si erano esaurite le scorte… le abbiamo offerto il manifesto!Un signore, seduto all’esterno del bar dirimpetto a noi, si è messo a canterellare a bassa voce. Allora l’abbiamo invitato ad avvicinarsi e ad esprimere le sue doti artistiche, era un cantante! Allora vedevi la gente rallentare il passo incuriosita e… fermarsi… Ne è nato un insieme armonico: la musica, il gazebo e il desiderio di far conoscere Gesù Cristo mediante i nostri messaggi. L’intento è sem-pre quello: risvegliare le coscienze sulle questioni decisive dell’esi-stenza che sono in fondo all’animo umano, magari anestetizzate ma non possono morire. Penso al senso della vita, al suo destino, al futuro oltre la morte, al grande problema del male e dei mali che feriscono l’umano e che violentano la vita e il cosmo.

FLASH DAI CENTRI

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L’ECO DEL DIO NASCOSTO

L’eredità dei nostri padriTeresa Testa

Ricordare per vivere

«Ascolta, o Israele. Il Signore è il no-stro Dio… », così recita lo Shemà, la preghiera che l’ebreo osservante ri-pete due volte al giorno e insegna ai propri figli. «Lo ripeterai ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli…»: è il pre-cetto del Deuteronomio, il Libro della memoria di Israele.L’eredità del passato è espressione della nostra appartenenza e ci costi-tuisce come la parte più vera: farne memoria significa ricuperare ogni giorno il nostro io profondo, che si è formato prima della nostra nascita ed è origine del nostro essere. Farne me-moria raccontando e raccontandoci è utile al nostro agire umano e socia-le, poiché la condivisione riaccende la speranza di possibili cambiamenti nella storia dell’uomo, è fonte di co-

raggio nel presente, di speranza per il futuro.Il romanzo di Ferdinando Camon, “Un altare per la madre”�, vuole es-sere proprio questo: uno sguardo sul passato perché possa nutrire ancora il presente. Già vincitore del premio Strega ��78, torna in libreria per l’editore Garzanti in occasione del conferimento del Premio Fondazione Campiello �0�6, e numerose intervi-ste e articoli lo hanno riproposto alla nostra riflessione. Giustamente merita di essere conosciuto o, magari, rilet-to. È un libro breve e toccante, denso di poesia e semplicità, dove la madre scomparsa rivive in tutti i dettagli, nel contesto di un mondo di fatiche e di fede, suscitando commozione e partecipazione, e lasciandoci qualche interrogativo.

Ferdinando Camon

Io sono un vivente e non riesco a pensare che non lo sarò.

Ferdinando Camon

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L’ECO DEL DIO NASCOSTO

Fede e fierezza nel mondo di Camon

Ferdinando Camon è nato nel ���5 a Urbana, un piccolo paese della cam-pagna veneta, in provincia di Padova. Si definisce un “narratore della crisi”: ha raccontato la crisi e la morte della civiltà contadina nei primi romanzi e nelle poesie, quindi la crisi che si chiamò terrorismo, la crisi dell’urba-nizzazione e le sue conseguenze psi-cologiche, infine lo scontro di civiltà, con l’arrivo degli extracomunitari. Un altare per la madre fu riunito, in-sieme a Il quinto stato e La vita eter-na nel “Ciclo degli ultimi” e per in-teressamento di Pier Paolo Pasolini e J. Paul Sartre venne subito tradotto in Francia. Con essi Camon si accorse di aver descritto la fine di una civiltà, la civiltà contadina, quella che il poe-ta francese Charles Peguy chiamerà “il più importante avvenimento del-la storia, dopo la nascita di Cristo”.

Geno Pampaloni, nell’inserire questi romanzi nella “Storia della Letteratura Italiana”, li definì “tre libri che sen-tiamo radicati come pochi altri nella cultura dell’ultimo ventennio”, testi-monianza di un Cristianesimo solido ed originario, la cui memoria il tempo non può cancellare, pena restare or-fani di genitorialità, figli di nessuno. «Noi siamo nostra madre», afferma l’autore, e ancora: «Noi fummo nei padri prima di nascere e saremo nei figli dopo la morte»�.Prendendo avvio dal momento del commiato, nel ricordo di quel cam-minare lento dietro la bara ondeg-giante in un sentiero polveroso, tra campi di frumento e rossi papaveri, l’autore rivede atteggiamenti e volti dell’amata madre. «Ora la madre era morta… Anche a nostra madre ave-vamo sempre pensato come a qual-cosa d’immortale, almeno quanto il mondo. Anche mia madre doveva farne parte per sempre… Ora tocca a noi rimediare, richiamarla in vita, non rassegnarci…»�. A questo fine, tutta la famiglia si mette al lavoro per ricostruire un piccolo edificio pubblico ormai in rovina, luogo dove la madre, con un gesto di eroico co-raggio, aveva nascosto uno straniero, uno «che non parlava la sua lingua»4, salvandolo dal nemico. Quindi, con commovente ostinazione e l’aiuto dei compaesani, il padre vi erige un “alta-

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re di rame” e ve lo colloca: perché «il ricordo diventasse di tutti, e servisse a qualcosa, e fosse sacro»5. L’altare in seguito sarà destinato a diventare l’altare della chiesa del paese, per es-sere una memoria collettiva. Gesto di fiera riconoscenza che il figlio scrit-tore manderà alla memoria con un “altare di parole”, appunto. «Non ho più paura della morte. Questo mi ri-concilia con la vita»6.

L’ECO DEL DIO NASCOSTO

poiché di quel volto «non esisteva ancora che il sorriso della bocca e, in qualche immagine, degli occhi»7. Affetto e nostalgia si mescolano ai molti ricordi. Da questo libro straordinario stralcia-mo qualche scena, capace di evocare la figura della donna.Un giorno, mentre mangiava povera-mente polenta e zucchero, arriva in casa un mendicante, al quale offre lo stesso cibo, sorridendo. Ma questi lo rifiuta e getta in terra il cartoccio of-ferto. La donna lo guarda andar via con dispiacere, poi si china per rac-coglierlo e lo mangia. Aveva un animo sensibile, le piace-vano le cose strane, le scoperte, le parole in italiano che riusciva a ca-pire: «Le stelle me guardano, escla-mò», suscitando lo stupore del padre. Era attaccata al lavoro, fino a perdere le ultime forze e cadere a terra. Poi, lentamente, si rialzava, facendosi aria col cappello di paglia e sorrideva. «Mai nessuno sorriderà così»8. Quando il padre era soldato, riempiva il vuoto in famiglia radunando i figli attorno al focolare, con un modo roz-zo, popolaresco, ma potente, di inven-tare e di raccontare, aiutandosi con la mano destra, con dei gesti ieratici come quelli del prete quando spiega il vangelo. Quello probabilmente era il suo modello.

Ebbe una strana sensazione: come se non lui costruisse qualcosa, ma qualcosa costruisse lui. E si sentiva umile come un regalo senza valore: “Grazie”, disse.

Nei ricordi del figlio la madre pove-rissima rivive attraverso i suoi umili gesti di virile coraggio e, insieme, di dolce femminilità: l’arte del truccar-si con un po’ di cipria color mattone, tingersi i capelli che troppo presto erano diventati bianchi, darsi un’oc-chiata furtiva allo specchio: “i suoi piccoli peccati di vanità”. Ne nasce un ritratto pieno d’amore, che nes-suna foto aveva potuto esprimere,

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L’ECO DEL DIO NASCOSTO

Si respira nel testo un’atmosfera di sacralità nei gesti e negli oggetti, di umanità innata e naturale, quella del-le persone umili, ma dignitose nella loro fisicità e nella loro sana moralità di principi. E un sentimento dell’im-mortalità, che trova il suo segno nel tentativo di andare oltre la morte. La morte è un episodio della vita, così come la nascita, e chi pensa così non muore, perché il suo ricordo rimane scolpito nella memoria di quanti ven-gono dopo. «Si dice che la morte ro-vini la vita: al contrario, la salva»�.

Valori di ieri per l’oggiIl romanzo di Camon, letto e riletto per l’uomo d’oggi, ci delinea una so-cietà totalmente diversa dalla nostra, in cui i valori erano completamente diversi dai nostri e pertanto quasi ir-riconoscibili come tali. Proprio per questo esso ha la potenza di un pre-ciso messaggio: Camon non sostiene che il passato fosse meglio del pre-sente, né che occorra ritornare al pas-

sato; non denuncia il progresso, ma il prezzo del progresso.In una conversazione con lo scrittore Renzo Montagnoli, nel luglio �0�4, lo scrittore afferma: «Ora noi stiamo attraversando una storia in cui tut-to viene buttato via… che ha ucciso una civiltà… che soffoca i sentimenti con gli interessi, la vita serena con la frenesia, che uccide la natura che poi finisce sempre per vendicarsi». Abbiamo perso la memoria e sono venuti meno il valore della persona in quanto tale e la certezza dei criteri morali.Con l’abbandono dei campi e la vita in città, l’autore si sente espropriato della sua dimensione più vera. Sente una profonda nostalgia del senso del sacro che avvolgeva quelle campagne e «quasi si toccava col dito». Questo nuovo mondo di città «non è fatto per superare la morte perché non è fatto per conservare la vita, perché non è fatto per i bisogni dell’uomo. Che non hanno fine»�0. E questo è una perdita. L’uomo che non sa cos’è il sacro manca di qual-cosa di essenziale. Fare memoria ci avvicina a Dio. «Cristo c’è ed è ine-guagliabile. Se non ci fosse Lui, vi-vere sarebbe un’insulsa pazzia».��

Riferendosi alla nascita di Cristo, nell’intervista citata Camon afferma: «Il cristianesimo è fondato su questo evento, e credere vuol dire credere

Cristo c’è ed è ineguagliabile. Se non ci fosse Lui, vivere sarebbe un’insulsa pazzia.

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in questo evento. Non è un principio filosofico o culturale, è un evento. Da questo evento derivano la fede e la religione che hanno riempito la let-teratura e la cultura. Un ragazzo non può capire niente di quella letteratura se non sa di quell’evento». I giovani hanno tutto a portata di mano eppure avvertono un continuo vuoto dentro.

Il romanzo di Ferdinando Camon esercita in chi lo legge una potente forza di immedesimazione, una fun-zione di aggancio alla memoria di sé e dei propri legami familiari. Ci vengono incontro le parole di Goethe nel Faust: «Ciò che hai ereditato dai tuoi padri, riguadagnatelo per posse-derlo». Abbiamo urgente bisogno di riguadagnare quello che abbiamo, cioè l’eredità, ciò che non dipende da me e di cui dispongo: la famiglia, la storia e anche il mio cuore, cioè le domande sulla vita, il bisogno di co-struire, il bisogno di bene, il bisogno di andare verso gli altri. Impastarci con l’eredità che abbiamo ricevuto ci aiuterà ad affrontare le sfide di oggi. E arriveremo a un nuovo incontro col passato, all’incontro della grati-tudine.��

L’ECO DEL DIO NASCOSTO

Note�. Ferdinando Camon, Un altare per la

madre, Garzanti, I ed. ��78 �. op. cit. p.���. ib. p. �74. ib. p. 675. ib. p. 846. ib. p. �07. ib. p. �88. ib. p. 68�. ib. p. �04�0. ib. p. �8��. ib. p. �05��. cfr. Intervento di Emilia Guarnieri al

Meeting di Rimini, agosto �0�7

Andare verso la morte è come camminare tenendosi per mano e formando una catena.L’umanità sarà giusta quando la catena stringerà tutti gli uomini.

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Madonna del partoMirella Lovisolo

Il Natale, con la celebrazione della na-scita del Verbo incarnato, ricorda anche il tenero e gioioso, ma travagliato evento che ogni donna vive nel dare alla luce un figlio, il parto insomma. “Anche se partorire è doloroso, è l’inizio di qual-cosa di straordinario, qualcosa di nuo-vo, qualcosa di imprevedibile, qualcosa di vero, qualcosa da amare, qualcosa che ti cambierà la vita, per sempre” dice Meredith Grey. Anche Maria a conclusione della dol-ce attesa del Figlio annunciatole da Gabriele, “Darai alla luce un figlio e lo chiamerai Gesù” ha vissuto l’espe-rienza di ogni donna, con quelle emo-zioni – così forti come nessun’altro – e le sofferenze che comporta la maternità. Lei ha però vissuto l’evento con l’ag-giunta di quelle vicende drammatiche che ricorda il Vangelo di Luca: il lungo viaggio per il censimento, il rifiuto degli albergatori e il parto in un precario im-provvisato ricovero di campagna, infine la fuga da Erode. «Si parla molto del Bambino – appena nato e pure già Dio – che vagisce in una capanna riscaldata soltanto (secondo la popolare tradizione) dal bue e dall’asinello – e si parla de-gli angeli e dei pastori – scrive Antonia Arslan in Luoghi dell’infinito – poco invece si parla della Madre e pressoché niente del fatto che ha davvero appena partorito, che la sua gloriosa maternità è passata attraverso la reale sofferenza del dare alla luce una creatura».

Se molto note sono le dolcissime raffi-gurazioni della Natività di Gesù, meno diffuse sono le opere d’arte che raffigu-rano Maria nell’approssimarsi di questo evento. Film bellissimi come Nativity e altri hanno saputo rendere in un connu-bio di realismo e di alta poesia l’even-to della nascita di Gesù da Maria. In epoca bizantina l’icona della Madonna del segno si può considerare un anti-cipo della raffigurazione dell’attesa di Maria “Il Signore vi darà un segno: Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio” (Is 7,�4) Tra i dipinti, più numerosi quelli medievali. In Toscana già dalla prima metà del Trecento era raffigurata realisticamente la Vergine in-cinta, un soggetto che mostra l’appros-simarsi dell’evento e venne denominato “Madonna del parto”Di solito il soggetto rappresenta Maria da sola, in pie-di, con un libro chiuso appoggiato sul ventre gravido. Il libro allude alla Parola di Dio, il Verbo che, nella Vergine, si

DICIAMOLO CON L’ARTE

Madonna del segno

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DICIAMOLO CON L’ARTE

incarna e discende tra gli uomini.Artisti che si sono cimentati su questo tema sono Bernardo Daddi, il Maestro di San Martino alla Paola, Nardo di Cione ecc. Per Thomas Marton l’im-magine fu creata per mostrare che la natura umana del Cristo era veramente umana, e non creata prima in Paradiso e poi inviata dal Padre a Maria. Infatti secondo le concezioni ereticali del tem-po, il piccolo Gesù sarebbe stato invia-to su un raggio di luce nel corpo della Vergine. Questa concezione è visibile in diverse opere pittoriche della provin-cia di Cuneo. Pensiamo alla bellissima Annunciazione di SanPeyre di Stroppo, a quella di S. Maria del Monastero a Manta e a Ostana. Tale concezione venne poi definitivamente dichiarata eretica dal Concilio di Trento nel sec. XVI. L’iconografia della Madonna del parto si oppose quindi teologicamente a queste raffigurazioni.Tra le interpretazioni più alte e più note di questo tema è certamente la Madonna del Parto di Piero della Francesca – realizzata tra il �455-60 nella Chiesa di Santa Maria di Momentana a Monterchi (AR), luogo natale della madre dell’ar-tista. La Madonna rappresentata non possiede attributi regali, non ha il libro in mano ed è colta nel gesto naturale di darsi sostegno all’altezza dei fianchi, mentre la mano destra riposa sul grembo nell’atteggiamento che ogni gestante ben conosce; gesto di protezione, di posses-so, di felicità. Maria sta al centro della tenda, damascata a melograni simbolo della fertilità; la tenda è un vero taber-

nacolo che due angeli aprono scostan-done i lembi. Gli angeli perfettamente simmetrici, guardano verso lo spettato-re richiamandone l’attenzione, come se stessero spalancando un sipario proprio per lui, per offrire all’adorazione dei cre-denti l’ostensorio con dentro il “Corpo di Cristo”, un ostensorio che è il corpo splendente di giovinezza di una ragazza di campagna.La bella Madonna di Piero del-la Francesca, definita da Charles de Tolnaya «una pensosa Demetra cristia-na, testimone del mistero eterno della generazione», ha il volto di una bellezza che non ha confronti; sa unire l’assoluta

Annunciazione - SanPeyre di Stroppo

naturalezza di una semplice fanciulla di paese a qualcosa di regale, ma soprattut-to di soprannaturale, forse per la lumino-sità perlacea dell’incarnato che sembra emanare luce propria. Tuttavia Maria è una donna come tutte le altre, incinta, giovanissima e immersa nell’attesa del nascituro che cambierà la sua vita; ma è anche la prescelta da Dio come strumen-

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Piero della francesca: Madonna del partoMonterchi

DICIAMOLO CON L’ARTE

to di redenzione e salvezza. Maria è la donna della Genesi (�-�5) “la cui stir-pe schiaccia la testa del serpente”; è la “donna vestita di sole incoronata di do-dici stelle” dell’Apocalisse ��, “era in-cinta e gridava per le doglie del parto”, insidiata dal drago, è salvata da Dio. La Madonna incinta del dipinto di Piero sta al centro di un vero e proprio tabernaco-lo, il quale ha la forma di una tenda che due angeli aprono scostandone le falde, è la foederis arca (arca dell’Alleanza), è la vas electionis (vaso di elezione), il suo corpo ospita il Verbo Incarnato, il Dio Vivente. E gli angeli offrono al-l’adorazione dei credenti l’ostensorio con dentro il Corpus Christi. Solo che l’ostensorio è il corpo forte della giova-ne Maria (A. Paolucci).La forma geometrica del tendag-gio rimanda alla tenda del Sogno di Costantino, sottolinea la spazialità del dipinto e offre riparo e protezione, come il corpo di Maria a Gesù. L’immagine della Madonna di Piero è un’esaltazio-ne della maternità: la mano accarezza il ventre in un gesto di amore, lo sguardo, nel bel volto giovanile dalla fronte alta e nobile, è abbassato pensoso, la veste della Vergine è slacciata all’altezza del ventre tondeggiante, come aperti sono i lati della tenda. Maurizio Calvesi lesse nella tenda una precisa illustrazione del tabernacolo dell’Arca dell’Alleanza (Es �6,�7). Per altri la tenda rappresenta la Chiesa e la Vergine il Tabernacolo eu-caristico in quanto contiene il corpo di Cristo. Per Antonio Paolucci la Madonna del parto è l’esatta traduzione figurativa

dell’Ave Maria: “Benedicta tu in mulie-ribus et benedictus fructus ventris tui”. Altrettanto stretto sembra il riferimento all’invocazione altissima di Dante nel canto XXXIII del Paradiso: «Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile et alta più che creatura, termine fisso d’eterno consiglio; tu se’ colei che l’umana na-tura nobilitasti sì, che l’suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Nel ventre tuo si raccese l’amore per lo cui caldo nell’eterna pace, così è germinato que-sto fiore».Sono versi di una sconcertante modernità per la realtà di ogni donna: “nel ventre tuo si raccese l’amore”. «Se tornassi in-dietro – dice Erma Bombeck – invece di non vedere l’ora che finissero i nove mesi della gravidanza, ne avrei amato ogni attimo, consapevole del fatto che la cosa stupenda che mi viveva dentro era la mia unica occasione di collaborare con Dio alla realizzazione di un miracolo».

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Tradizioni natalizie Laura Rossi

Nel mondo ogni Paese festeggia il Natale con propri riti e tradizioni. Nei Paesi nordici le luci, le cande-le che illuminano la lunga e fredda notte invernale, gli addobbi, i canti, i dolciumi e tutte le celebrazioni di questi luoghi comunicano un fa-scino speciale. Al Nord il periodo delle feste di Natale è molto sentito, dalle celebrazioni per Santa Lucia, in Svezia a quelle per l’anno nuovo. Qui si svolgono riti antichi e solen-ni, con le feste religiose che si sono sovrapposte a quelle arcaiche di ce-lebrazione della luce, nel periodo con le giornate più corte dell’anno. E nella Lapponia finlandese, nel Santa Claus Village di Rovaniemi, c’è anche la casa di Babbo Natale.In Norvegia il Natale è arrivato solo nel X-XI secolo. Prima, a fine di-cembre, intorno al solstizio d’inver-no, si celebrava lo Yule o Yuletide, antica festa pagana in onore delle divinità locali e di buon auspicio per la fine dell’inverno e il ritorno della luce che portava stagioni più calde. Alcuni aspetti di questa anti-

ca festività sono rimasti nel Natale norvegese, ancora oggi chiamato yuiletide o juletid. Nella tradizione folkloristica scandi-nava c’è un folletto chiamato “nis-ser”. Si tratta di un personaggio che viene spesso associato al Natale in Norvegia, ma anche in Danimarca. Ci sono nisser dei fienili e nisser rossi e anche Babbo Natale viene chiamato Julenissen. Durante il pe-riodo natalizio questi pupazzetti ci sono ovunque, nelle vetrine dei ne-gozi, nelle case, sui davanzali delle finestre e appesi sui muri di tutte le case (qualche anno fa sono arrivati anche da noi i babbi natale appesi all’esterno delle case). Secondo la tradizione, i nisser sono i guardiani delle case di campagna. In passa-to si pensava che fossero gli spiriti dei primi abitanti delle case. Questi folletti sono raffigurati con un cap-pello rosso a cono e alle volte anche con barba lunga. Oggi i nisser sono protagonisti delle favole e, come il nostro Babbo Natale, sono entrati nelle decorazioni natalizie, nelle

RELIGIONI CuLTI MAGìA

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RELIGIONI CuLTI MAGìA

cartoline e nei biglietti di auguri.E l’albero di Natale? È una tradi-zione nordica. In molti Paesi nor-deuropei si festeggiava il passaggio dall’autunno all’inverno piantando davanti a casa un abete addobbato con alcune ghirlande. Col passare del tempo, alle ghirlande si aggiun-sero nastri e candele fino all’Otto-cento, quando alcuni artigiani sviz-zeri e tedeschi crearono decorazioni in vetro soffiato che diventarono le classiche sfere colorate che oggi appendiamo al nostro al-bero.In Finlandia, oltre al classico abete di Natale, all’esterno delle case si prepara un alberello per gli uccellini, semplice-mente un covone di gra-no legato ad un palo e addobbato con semi ap-petitosi.In Lapponia Babbo Nata-le vive con Mamma Nata-le e tanti piccoli aiutanti, all’interno di una monta-gna chiamata Korvatun-turi. Questa montagna ha tre orecchie, così Babbo

Natale può ascoltare i messaggi che gli arrivano da tutto il mondo. L’albero di Natale ha un profondo significato cristiano. Le luci che si accendono facendo sfavillare le ghirlande colorate intrecciate ai rami dell’abete, rappresentano sim-bolicamente Gesù, Luce di straordi-naria bellezza che illumina le nostre ghirlande.

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FOGLIO DI COLLEGAMENTO - Semestrale di informazione dell’Associazione Informazioni su Cristo �0��5 TORINO Corso Marconi � Tel. e Fax 0�� 54068� - Cell. ��� 8�84��6 �6��4 GENOVA Piazza Bandiera �7r Tel. e Fax 0�0 �465085 ���00 CUNEO Corso Giolitti �� Tel. ��� ��0�05� Internet: www.informacristo.org E-mail: [email protected] ccp 31717101Direttore Responsabile Renza Guglielmetti - Registrazione Tribunale di Saluzzo n. ��4 del 4-4-���� ROC n. ����0

Via Cavour (chiesa Madonnadegli Angeli) TorinoVia Nizza 56 TorinoVia Nizza 92 TorinoVia delle Orfane (ang. Via Garibaldi) TorinoPiazza San Carlo (chiesa di S. Cristina) TorinoVia San Francesco d’Assisi (chiesa di San Rocco) TorinoVia XX Settembre 81 TorinoVia San Domenico 0 (chiesa di San Domenico) TorinoVia Marco Polo 8 (parrocchiaB.V. delle Grazie - Crocetta) TorinoC.so Racconigi 28 (chiesa di San Pellegrino) TorinoC.so Giulio Cesare (chiesa di Maria Regina della pace) TorinoAutoscuola Canta OrbassanoVia Torino Chivasso Piazza Galimberti 12 CuneoPiazza Europa CuneoCorso Nizza Cuneo

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