XXXI CONFERENZA ITALIANA DI SCIENZE REGIONALI
LO SVILUPPO SOSTENIBILE DELLE TERRE ALTE: EVIDENZE DAL CASO DEL PIEMONTE
Alberto CRESCIMANNO1, Fiorenzo FERLAINO1, Francesca Silvia ROTA2
SOMMARIO
Nel 2009 l’IRES Piemonte, con il supporto del CSI-Piemonte, ha sviluppato per conto
dell’Assessorato regionale “Sviluppo della Montagna e Foreste” una metodologia di analisi dei
sistemi territoriali di montagna, basata su variabili socio-economiche, infrastrutturali e ambientali e
l’identificazione di otto tipologie di territori. Nel presente contributo, l’applicazione di questa
metodologia al caso del Piemonte costituisce l’occasione per sviluppare una riflessione più ampia
sui modelli/schemi utilizzati per descrivere i territori di montagna e i processi di sviluppo che in essi
si realizzano. Nella programmazione comunitaria e regionale la montagna sembra infatti emergere
unicamente come ambito di azione e riflessione in quanto “contraltare” o complemento funzionale
ai sistemi urbani e produttivi localizzati in pianura. In pratica, la montagna diventa l’“altro” su cui
questi ultimi, improntati a un modello di sviluppo capitalistico urbano-industriale, costruiscono la
propria identità. Ne consegue che molti dei discorsi sulla montagna fanno riferimento a valori,
processi, dinamiche non-urbani, in una sorta di memoria del radicamento e dello stile di vita
sostenibile. Tuttavia, l’analisi dei comuni piemontesi mostra una realtà diversa, in cui l’obiettivo
dello sviluppo bilanciato (tra istanze socio-economiche, territoriali e ambientali) e di lungo periodo
in montagna passa anche attraverso il conseguimento di connotati di moderata urbanità.
1 IRES Piemonte, via Nizza 18, 10125 Torino, [email protected] 2 EU-POLIS, Politecnico e Università di Torino (DITer), Viale Mattioli 39, 10125 Torino, [email protected]
1 INTRODUZIONE: QUALE SVILUPPO PER LE TERRE ALTE?3
Nelle analisi e nelle politiche territoriali, la montagna costituisce oggi un ambito territoriale
peculiare, distinto rispetto alla pianura. Questo è possibile perché le montagne sono porzioni di
superficie terrestre fortemente connotate dal punto di vista fisico-geografico. Ma non solo. La
peculiarità dei territori di montagna, quali ambiti di riflessione e azione politica, dipende anche dal
fatto che si tratta di contesti connotanti rispetto ai processi di sviluppo che in essi si realizzano. In
pratica, la montanità di un territorio non si limita alle condizioni altimetriche e clivometriche, ma si
lega a certi modi di vivere e produrre che oggi, nell’epoca della glocalizzazione, sembrano
strutturare non tanto le nazioni e le regioni quanto i territori geografici: la pianura quale luogo
prescelto dalle attività produttive e residenziali, la collina quale spazio paesaggistico a forte
componente antropica, la montagna quale spazio della naturalità e di uno stile di vita sostenibile.
Gli stessi ambiti relazionali dei prodotti e del mercato sembrano muoversi verso articolazioni in cui
il gioco delle specializzazioni produttive non è lasciato alla comparazione dei vantaggi competitivi,
quanto alla comparazione dei mercati territoriali: la pianura quale generatore dei prodotti e delle
tecnologie di massa; la collina quale mercato della qualità, del gusto, della differenziazione e
dell’ancoraggio locale; la montagna quale nicchia del radicamento e bacino di risorse sostenibili da
tutelare e valorizzare. In montagna si localizzano preziose risorse minerali e naturali, indispensabili
per alimentare lo sviluppo alle diverse scale territoriali. A livello globale, per esempio, le montagne
forniscono preziosi “meccanismi regolatori” dell’equilibrio eco sistemico, mentre a livello regionale
sono importanti leve di competitività e sostenibilità.
In ambito politico-amministrativo (sia europeo che nazionale) la montagna è invece ancora
associata alla rappresentazione (ISTAT, 2007) di territorio svantaggiato, verso cui indirizzare
misure speciali di intervento. Tra i rischi comunemente associati ai contesti di montagna vi sono: lo
spopolamento delle borgate, la marginalizzazione socio-economica, la perdita di biodiversità,
l’impoverimento culturale e paesaggistico, gli effetti negativi del cambiamento climatico.
Tale rappresentazione si forma nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, quando la
quasi totalità delle montagne in Europa apparivano segnate da povertà, devastazione e abbandono.
In alcuni paesi europei, tra cui l’Italia (Ferlaino e Rota, 2010), l’equazione “montagna=area
svantaggiata/marginale” è precocemente istituzionalizzata (in Italia questo avviene con la legge n°
991 del 1952), divenendo così un elemento strutturante dell’immaginario collettivo e dell’intervento
sulle terre alte. Qualche decennio più tardi, il carattere svantaggiato dei contesti di montagna è
sancito anche dalla legislazione europea: negli anni Settanta, la Commissione europea descrive la
montagna nei termini di territorio, le cui specifiche condizioni fisiche e morfologiche sono associate
3Le riflessioni sviluppate in questo articolo prendono spunto dai risultati di un recente studio sulla montagna piemontese (Crescimanno, Ferlaino e Rota, La montagna del Piemonte. Varietà e tipologie dei sistemi territoriali locali, IRES, Torino, 2010), condotto dall’IRES Piemonte e CSI-Piemonte per conto della Regione Piemonte. Dal punto di vista della redazione dell’articolo, i paragrafi 1, 2 e 5 sono da attribuirsi a Francesca S. Rota, il paragrafo 3 a Alberto Crescimanno, mentre i restanti paragrafi 4 e 6 a Fiorenzo Ferlaino.
a svantaggi gravi e permanenti. Questi, favoriscono a loro volta l’abbandono delle attività agricole e
forestali e lo spopolamento dei centri abitati. Per tale ragione, con la direttiva 75/268/CEE (art. 3,
par. 3), si decide di destinare a questi territori misure speciali di sostegno delle attività agricole, di
forestazione e difesa del suolo. Analogamente, nella politica agricola comunitaria si prevedono
agevolazioni per le imprese localizzate in montagna rispetto a quelle della pianura.
Solo sul finire del XX secolo si afferma invece la rappresentazione della montagna come bacino di
naturalità e risorsa strategica. Con l’inizio del nuovo millennio acquistano nuovo rilievo nella
riflessione comunitaria intorno alla montagna la questione ambientale e l’obiettivo dello sviluppo
sostenibile. Si afferma cioè la convinzione che la montagna non sia svantaggiata tout court, ma
presenti risorse e specifiche peculiarità, che vanno preservate e valorizzate (Maxwell e Birnie,
2005). A tale riguardo, il Consiglio europeo aveva elaborato nel 2000 una bozza, poi non approvata,
per una Convenzione europea per le regioni di montagna, in cui si sanciva la necessità di bilanciare,
in questi contesti territoriali, obiettivi di sviluppo socio-economico con il soddisfacimento dei
bisogni delle popolazioni e la salvaguardia dell’ambiente. Un’esperienza importante in tal senso
resta la Convenzione delle Alpi, che affronta la questione montana nei termini di “territorio
speciale” su cui operare con norme differenti, in genere più restrittive, di quanto è possibile nel
resto dei territori.
Nel mondo dei mercati globali sembra cioè sorgere una sorta di mercati differenziali che non
trovano più la base della loro specializzazione nella struttura settoriale nazionale o regionale, quanto
nelle macrovalenze geografiche che differenziano i territori di montagna, collina e pianura.
Superare l’ottica della marginalità è pertanto importante entro questo nuovo contesto socio-
economico. Il Secondo Rapporto sulla Coesione economica e sociale riconosce l’esistenza,
all’interno di una montagna in genere problematica, di alcune aree economicamente floride e
integrate nel resto del sistema produttivo dell’Unione europea (CEC, 2001). Evidenze in questo
senso arrivano anche dallo studio Mountain Areas in Europe (Nordregio, 2004)4. Ne emerge un
quadro diversificato, in cui le regioni alpine e i massicci tedeschi (Selva Nera, Giura Svevo, Giura
Francone, Selva di Turingia) registrano le migliori performance socio-economiche (probabilmente
comparabili con quelle di molte regioni di pianura), mentre le regioni scandinave settentrionali e la
Scozia risultano marginali.
Anche a seguito di tali analisi, lo sviluppo delle montagne è sempre più messo in relazione con il
loro ruolo di “cisterne” di risorse naturali e energetiche, centri di diversità biologica e culturale,
luoghi di destinazione della domanda per il tempo libero e il turismo, nonché “cartine di tornasole”
per capire l’entità degli effetti del cambiamento climatico (Nordregio, 2004). In pratica, si afferma
la possibilità di utilizzare i contesti di montagna come “laboratori” in cui sperimentare nuove forme
di sviluppo, improntate a modelli “green” e sostenibili.
Nonostante ciò, l’equazione “montagna=area svantaggiata/marginale” continua a essere l’elemento
portante nei “discorsi” sulla montagna. La varietà interna delle montagne europee e il loro “elevato 4 In questo lavoro, commissionato dall’Unione europea, le montagne europee sono scomposte in unità territoriali più piccole (aggregati sovraregionali di comuni di montagna) e analizzate sulla base del capitale socio-economico, del livello di infrastrutturazione, accessibilità e servizi, e dell’uso del suolo e delle coperture.
valore potenziale” (Nordregio, 2004) si riflettono solo in parte sugli strumenti della politica
comunitaria inerenti la montagna (politica agricola, regionale, ambientale, di ricerca e sviluppo e i
programmi Leader ed Interreg): oltre a mancare un riconoscimento territoriale della montagna, la
giustificazione dell’intervento comunitario continua ad essere legata prevalentemente a una
rappresentazione dei territori montani come aree svantaggiate, in larga parte soggette alle
problematiche dello sviluppo rurale, e affette da “gravi e permanenti svantaggi demografici e
naturali”, che richiedono “attenzione particolare” da parte delle istituzioni comunitarie (Trattato di
Lisbona). “Le aree montane non sono un territorio particolare da difendere (come per esempio le
zone umide, ritenute sensibili) quanto un ambito di intervento e, sebbene nel Libro verde sulla
coesione territoriale le montagne siano considerate – insieme con le regioni insulari e a minore
densità abitativa – tra le regioni che pongono le sfide maggiori verso l’obiettivo della coesione
territoriale, la politica europea considera queste le aree al pari delle zone rurali critiche per lo
sviluppo coeso e equilibrato dell’Unione” (Crescimanno, Ferlaino e Rota, 2010, pp.23-24).
Le ragioni del perdurare della visione marginalizzante della montagna non sono completamente
chiare e andrebbero maggiormente indagate. L’ipotesi che qui si formula è che tale visione sia
fortemente costitutiva delle identità regionali caratterizzate dalla presenza montana. In particolare,
tale visione è complementare e costitutiva della stessa identità dei territori di pianura, più sviluppati.
La montagna sembra costituire il luogo di riferimento delle radici culturali e dell’ancoraggio
identitario ed emerge come “territorio idealizzato”, matrice storica cui si richiama la gran parte
della “soggettività reticolare”, della popolazione mobile che struttura il pendolarismo giornaliero
per motivi di lavoro e di studio e il pendolarismo urbano dei ‘city users’, più inerenti la sfera della
riproduzione.
Certamente si tratta di una problematica, quella della marginalità montana, sentita da chi opera e
legifera sulla montagna, che è stata più volte affrontata a livello di Unione e singoli Stati, e che è
oggi associata a un profondo ripensamento dell’orientamento comunitario per le zone di montagna.
Una problematica che è al contrario quasi assente nella riflessione scientifica.
2 LA MONTAGNA: UN’INVENZIONE DELLA PIANURA?
A tale riguardo, un approfondimento interessante riguarda la relazione tra rappresentazioni
geografiche e realtà. Secondo quanto sostenuto dalla geografia post-strutturalista5, qualsiasi
tentativo di rappresentare la realtà è sempre fallace, in quanto non esiste una singola e obiettiva
realtà, ma una molteplicità di esperienze, prospettive e discorsi. Detto in altri termini, le categorie
5 Il post-strutturalismo è un tipo di approccio che, originatosi a partire dai lavori di Deridda sull’analisi del linguaggio, ha trovato negli ultimi decenni grande diffusione presso alcuni filoni delle discipline sociali. Alla base della visione post-strutturalista vi è la convinzione che il modo in cui le descrizioni, le rappresentazioni, i discorsi costruiti intorno a quanto accade nel mondo nascondano al loro interno dei significati latenti (valori, credenze, discorsi, obiettivi, relazioni di potere) che non solo determinano il risultato finale della rappresentazione ma finiscono con l’influenzare il modo stesso in cui si sviluppano i processi descritti. Per questo, i post-strutturalisti, anche definiti teorici critici, rifiutano qualsiasi teoria che sostenga di aver individuato la verità sullo sviluppo e sottosviluppo, mentre sostengono la pluralità di interpretazioni, la descrizione della diversità e la ricerca di spiegazioni e teorie contestuali, differenziate, specifiche.
concettuali che impieghiamo per interpretare i fenomeni, così come i medium che utilizziamo per
descriverli (linguaggio, rappresentazioni grafiche, elaborazioni ecc.) sono sempre l’esito di discorsi
soggettivi o comunque costruiti socialmente. Per questo è importante saper riconoscere le meta-
narrazioni, sottese alle rappresentazioni geografiche, e sottoporle a pratiche di de-costruzione dei
significati latenti. Secondo questa impostazione, anche la rappresentazione della montagna può
essere intesa come l’esito di specifici discorsi sullo sviluppo, elaborati con riferimento a un dato
contesto socio-economico e, per questo, riferibili solo ad alcuni territori. Per esempio, è palese che
modelli descrittivi del tipo centro-periferia e nord-sud, spesso usati per spiegare lo sviluppo
regionale, non funzionano bene in un contesto di montagna. In montagna, come si dirà anche in
seguito, la stessa struttura orografica per vette e valli condiziona le comunicazioni e, quindi, la
diffusione dei processi. In sintesi, servono nuovi quadri concettuali e approcci metodologici inediti,
che siano pensati e costruiti per studiare specificatamente i territori di montagna.
La rappresentazione della montagna, così come emerge dai documenti legislativi, di indirizzo e di
analisi prodotti a livello europeo dal 1975 ad oggi6, è qui sottoposta ad un preliminare esercizio
decostruzionista (cfr. 1). Più specificatamente le descrizioni inerenti lo sviluppo in contesti di
montagna sono scomposte in funzione di quattro principali elementi o “chiavi di lettura”
(condizioni fisico-territoriali, processi, risorse, dinamiche) e confrontate con quelle che, nel
medesimo periodo, sono state prodotte sui sistemi urbani e industriali di pianura7.
L’ipotesi alla base di questo esercizio è che, nonostante gli appelli per una considerazione più
innovativa della montagna e delle sue potenzialità8, essa continui ad emergere (nella riflessione
comunitaria e di alcuni Stati membri) come ambito di sviluppo periferico in contrapposizione alla
centralità della pianura. A questo riguardo, esponenti della geografia postmoderna (Minca, 2001)
mostrano con chiarezza come l’identità territoriale tenda a costruire i propri contorni e i propri
contenuti sulla base di rappresentazioni che sanzionano la ‘differenza’, la lontananza rispetto
all’altro. Nel caso qui indagato, la montagna emergerebbe cioè come il contraltare dei sistemi
urbani e produttivi localizzati in pianura, l’altro su cui questi ultimi costruiscono la propria identità,
spesso quale identità negata (dello stress, dei ritmi non umani, dal movimento disancorato), in una
6 In questa prima fase esplorativa, si considerano i soli documenti europei e italiani, ma è intenzione degli autori allargare la riflessione a altri contesti geografici 7 In realtà, nella letteratura geografica esercizi di decostruzione delle rappresentazioni sono in genere condotti con riferimento a grandi partizioni geoeconomiche e culturali quali: Nord e Sud del Mondo, Oriente e Occidente, Primo Secondo e Terzo Mondo, la Triade Globale, Centro e Periferia ecc. In questo caso risulta anche possibile verificare fino a che punto le rappresentazioni suddette siano il risultato di elites intellettuali che appartengono a una certa porzione del mondo (dove si sono formate, lavorano e di cui condividono i valori). Nel caso qui proposto, una simile operazione risulta molto difficile. In primo luogo perchè i documenti analizzati sono in prevalenza documenti di piano, di cui spesso è difficile attribuire la paternità (è l’esito del contributo di molti). In secondo luogo, perchè non esistono al momento evidenze che permettano di certificare l’esistenza di un modello di sviluppo urbano o di pianura, contrapposto/distinto rispetto a quello rurale o di montagna. 8 Questo il contenuto, per esempio, del “Manifesto per lo sviluppo della Montagna”, documento che configura le aree rurali come località centrali per un nuovo modello di sviluppo del Paese, sempre più "green"». Il Manifesto parte dai vincoli di Kyoto intesi non come costo a carico di imprese e consumatori, ma come opportunità per una strategia di innovazione per un nuovo e più sostenibile modello di sviluppo. Efficienza energetica, bioedilizia, produzione di energie rinnovabili, green technology, turismo culturale e naturalistico, agricoltura biologica, nuove tecnologie della comunicazione: attività produttive che possono trovare nella montagna il territorio ideale per crescere e sulle quali si potrebbero inserire con successo molte imprese.
sorta di memoria del radicamento e dello stile di vita sostenibile. Il modello di sviluppo capitalistico
urbano-industriale, che si è diffuso soprattutto nei territori pianeggianti e, in Italia, soprattutto nei
territori del pedemonte, trova nella montagna lo sfondo rispetto al quale stagliarsi, la differenza
rispetto cui rintracciare i propri confini, la propria fisionomia.
Applicata al caso della montagna questa riflessione porta a domandarsi se il modo in cui il discorso
sulla montagna è stato inquadrato non contenga già l’indicazione, latente e improntata ai valori
dell’urbanità, di quali siano i problemi della montagna e quali le forme di azione da intraprendere.
Sia pure in via sperimentale e parziale, l’analisi da noi condotta dimostra la ragionevolezza di
queste ipotesi.
Tabella 1- La rappresentazione dei sistemi di pianura e dei territori di montagna: un confronto
Sistemi di pianura Territori di montagna
caratteri fisico-
territoriali
Centralità Perifericità
Accessibilità Isolamento
Urbanità/infrastrutturazione Ruralità/naturalità
processi Trasformazione di risorse, innovazione Fornitura di risorse/servizi
Attività manifatturiere e di servizio Attività agricole e turistiche
risorse Capitale umano, conoscenze, creatività Saperi tradizionali, risorse naturali
Diversificazione Specializzazione
dinamiche
Agglomerazione Rarefazione
Polarizzazione De-polarizzazione
Spirale positiva; possibili lock-in Spirale negativa
Flessibilità Resilienza
Fonte: nostra elaborazione
Come si vede da quanto riportato nella Tabella 1, le due rappresentazioni appaiono in netta
contrapposizione. Sono l’una il complemento dell’altra. Da un punto di vista pratico, ciò suggerisce
che anche gli interventi su questi territori debbano essere separati. E, effettivamente, le politiche per
la montagna hanno in genere obiettivi prioritari nella coesione e sostenibilità, da raggiungere
attraverso il potenziamento delle progettualità locali; mentre, per i sistemi urbani e produttivi della
pianura, gli obiettivi individuati sono prevalentemente quelli della competitività economica e
dell’internazionalizzazione.
Poichè la letteratura che ha indagato questi sistemi urbani ne ha legato il successo al cospetto di
fattori quali l’accessibilità, la centralità e la presenza di dotazioni e servizi di carattere urbano, per
contrapposizione, alla montagna sono attribuiti caratteri di isolamento perifericità e elevata
naturalità. Analogamente, mentre ai sistemi di pianura si riconoscono dinamiche positive di
agglomerazione e polarizzazione, alimentate da processi innovativi di tipo terziario e
manifatturiero, in montagna si riconosce il verificarsi di situazioni inverse di rarefazione e
depolarizzazione e le attività prevalenti sono quelle agricole e legate al turismo.
La rappresentazione che ne deriva della montagna e dei suoi problemi è quindi, in un certo senso,
un’invenzione della pianura, di un certo modo di intendere lo sviluppo e il sottosviluppo9.
Questo, però, produce delle associazioni che mal si prestano a descrivere le condizioni dello
sviluppo in montagna. Per esempio, il fatto di descrivere la montagna nei termini di territorio
periferico ha un senso solo se si fa proprio il punto di vista dei territori pianeggianti. Mentre se si
assume come scala di analisi l’Europa, ci si rende subito conto dell’elevata centralità e strategicità
di molte regioni montane (alpine, per lo più), nonché dell’importante ruolo di cerniera che esse
svolgono. Riflessioni analoghe riguardano anche il ricorso estensivo alle dinamiche socio-
economiche in cui, con riferimento alla situazione europea, le Alpi emergono come contesto ricco e
dinamico (Nordregio, 2004). Secondo Morandini e Reolon le Alpi sono il centro d’Europa, motore
di innovazione, nonché entità autonoma dotata di coesione sociale ed economica, anche se non
ancora politica (2010).
Nella rappresentazione dei territori di pianura e di montagna si rileva quindi una visione dicotomica
dello sviluppo, del tipo dentro/fuori, che anima ancora oggi parte del dibattito politico in Europa
(Minca, 2001). In quest’ottica, si spiega infatti la tendenza da parte del legislatore comunitario a
intervenire nei territori di montagna con una finalità prevalentemente assistenzialistica.
Analogamente a quanto si è verificato per altri territori considerati come sottosviluppati (politiche
per il Sud del Mondo, per il Meridione d’Italia, per le regioni marginali), l’intervento pubblico per
la montagna, pur presentandosi come azione/strumento razionale, si è rivelato fallimentare tanto
nell’intento di delimitazione della montagna quanto nella capacità di sostenerne efficacemente lo
sviluppo. In particolare, si critica il fatto che non si sia riusciti a attivare in modo diffuso percorsi di
sviluppo che siano realmente espressione delle istanze della montagna. Sebbene in alcuni contesti
particolari è oggi possibile intravedere segnali di un nuovo modello emergente, più vicino a
un’interpretazione postmoderna10 dello sviluppo (sviluppo dal basso, sviluppo sostenibile,
decrescita, autodeterminazione delle società locali o empowerment), si tratta di episodi virtuosi ma
isolati, che occorrerebbe poter mettere in rete. Inoltre, in alcuni casi, questo intervento è stato
veicolo di forme più o meno latenti di ingerenza e controllo.
L’approccio “pianuracentrico” ai temi della montagna fa sì che la montagna non sia considerata
positivamente, in ciò ch’ella è per sé; ma negativamente, come altro rispetto ai sistemi urbani e
produttivi della pianura11. Questo ha agevolato una serie pericolose stereotipizzazioni concettuali
9 Il concetto di sottosviluppo non esiste se non in contrapposizione a una visione univoca di sviluppo, inteso come un percorso lineare di crescita, accumulazione e espansione. Questo significa che qualsiasi territorio esuli da questa visione è associabile a una condizione di sottosviluppo, ritardo o marginalità. 10 Il post-modernismo è un movimento culturale che, nato intorno agli anni 80, propone una propria interpretazione della contemporaneità che si allontana dall’idea di modernità (progresso, crescita, sviluppo tecnologico), sino ad allora egemonica. Secondo questa visione diventano importanti vincoli di obbligo e “fatti sociali” (reciprocità, spontaneità, amicizia, solidarietà, responsabilità, generosità), difficilmente spiegabili in un’ottica economica. Secondo Latouche, il “dopo-sviluppo” dovrebbe necessariamente essere plurale, cercando modi di crescita collettiva che non privilegino un progresso materiale devastante per l’ambiente e per i legami sociali (2001). 11 Sul tema dell’alterità e della costruzione dell’”altro” esiste una vasta letteratura, che non è però possibile approfondire nei limiti ristretti del presente articolo. Di questa letteratura qui basta ricordare la convinzione che qualsiasi testo sullo “sviluppo”, sia esso descrittivo o legislativo, è il frutto di stereotipizzazioni ideologiche, legate a una precisa visione del mondo (Latouche, 2001).
sulla marginalità socio-economica della montagna e forzature nella delimitazione delle aree di
montagna che, in alcuni casi, hanno rasentato il paradossale. In Italia, in particolare, l’equazione
“montagna=aree svantaggiate/marginali”, inizialmente sancita dalla prima legge sulla montagna in
risposta a una condizione contingente di difficoltà del Paese e mai abbandonata del tutto, è alla base
dell’abnorme allargamento dei confini della montagna “legale” (stabilita per legge) e del
conseguente suo allontanamento da quella che è l’immagine della montagna “statistica” (delimitata
in base a criteri altimetrici) (Ferlaino e Rota, 2010). Inoltre, in Italia come nel resto d’Europa
l’inserimento nelle politiche comunitarie per le aree svantaggiate e per l’agricoltura di riferimenti a
condizioni particolari di azione per le aree di montagna ha favorito il diffondere dell’associazione
tra montagna e marginalità socio-economica o territorio agrorurale12.
Ciò è stato possibile, o quanto meno si è potuto reiterare sino quasi ai giorni nostri, quando è
esploso lo scandalo che ha portato a minacciare la cancellazione definitiva delle Comunità montane,
perchè, comunque, era forte tra i pianificatori e i politici la tendenza a pensare alla montagna come
periferia della pianura terziarizzata. Oggi, però, questa impostazione non è più realistica. Occorre
intervenire per sviluppare una riflessione sul modello di sviluppo delle terre alte. Manca una teoria
generale sullo sviluppo che, pur nel rispetto delle differenze interne ai territori montani, sia in grado
di descriverne in positivo e in modo quanto più possibile libero da pregiudizi (legati a visioni
“pianuracentriche” dello sviluppo) le peculiarità dello sviluppo. E’quello che abbiamo iniziato a
fare con questo lavoro di analisi dei contesti montani, in cui differenti peculiarità della montagna
sono individuate entro uno schema metodologico che, oltre ai fattori socio-economici, ha assunto
anche altri due fattori quali elementi costitutivi del “discorso montano”: l’accessibilità e cioè
l’essere “cerniera” tra territori culturali e produttivi diversi; le risorse ambientali, quale ricchezza
peculiare e importante dello spazio montano.
3 L’ANALISI DELLO SVILUPPO IN MONTAGNA: TIPOLOGIA, INTENSITÀ E
ARTICOLAZIONE SPAZIALE
Le montagne rimangono per molti aspetti delle “terrae incognitae”, dove, oltre alla carenza
strutturale di dati comparabili, manca un quadro interpretativo unitario, attraverso cui dare coerenza
ed elaborare opportune politiche. L’IRES Piemonte, insieme alla Regione Piemonte (tra cui anche
rappresentati degli enti di montagna) e al CSI-Piemonte, hanno costituito un tavolo tecnico13 che ha
elaborato un particolare metodo d’indagine, attraverso cui rilevare: tipologia, intensità e
12 La montagna è spesso oggetto di stereotipizzazioni paesaggistiche che ne enfatizzano i caratteri rurali (si trascura, salvo in rari casi, le realtà urbane presenti in montagna) e “della tradizione” (i borghi di montagna sono etichettati come isole più o meno felici di resilienza alla globalizzazione, avamposto della difesa delle tradizioni culturali). 13 Al tavolo tecnico del progetto hanno partecipato responsabili e tecnici della Direzione Economia Montana e Foreste della Regione Piemonte, del CSI, dell’IRES Piemonte, dell’Arpa Piemonte, della Protezione civile regionale. Hanno invece contribuito in modo indiretto: i ricercatori che hanno preso parte alla discussione scaturita dalla presentazione preliminare del modello alla Conferenza Aisre del 2009 (Firenze); diversi sindaci dei comuni di montagna che, in forma singola o associata, hanno in passato lamentato la scarsa sensibilità del legislatore nel riconoscere tanto i problemi contingenti quanto la centralità della montagna all’interno delle strategie di sviluppo regionale e nazionale.
articolazione spaziale dello sviluppo e delle peculiarità espresse dalle terre alte. L’approccio
concertativo con cui è stata costruita la metodologia è di particolare interesse in quanto ha permesso
di maturare una critica alle rappresentazioni della montagna (spesso nate in contesti metropolitani e
industriali, tipici della pianura; cfr. 2) e ottenere una più veritiera fotografia della stessa, che ha
tenuto conto delle diverse visioni elaborate alle differenti scale. Presupposto del metodo così
elaborato è la convinzione che la montagna non sia solo un territorio marginale indifferenziato ma,
che al contrario, contenga eccellenze a livello regionale spesso non (ri)conosciute14.
Attraverso una procedura in due step, il modello d’indagine sviluppa una classificazione dei territori
di montagna, secondo alcune tipologie territoriali prevalenti.
Nel primo passaggio, le montagne sono state scomposte nelle unità territoriali costitutive. L’unità è
rappresentata dal comune amministrativo15 e, non esistendo un “ritaglio montano” condiviso nelle
analisi e politiche sulla montagna16 (Ferlaino e Rota, 2010), lo studio dell’IRES ha preso in
considerazione l’insieme dei comuni montani che presentano una connotazione “prevalentemente
montana e completamente montana”, secondo quanto stabilito dal Legislatore nazionale e regionale
(cfr. DCR del 1988 n. 826-6658). Si tratta di 515 comuni montani, su 1206 complessivi presenti in
Regione.
Le unità territoriali sono quindi state analizzate alla ricerca di differenze e analogie, tanto in termini
di vantaggio socio-economico (o, in senso contrario, di marginalità), quanto in termini di
accessibilità (o isolamento) e di qualità (o vulnerabilità) delle condizioni ecologico-paesaggistiche.
La letteratura ha infatti dimostrato come, a differenza di altri contesti, in montagna le condizioni
geografico-territoriali, oltre che sociali ed economiche, abbiano un peso rilevante nell’attivare e
alimentare processi di sviluppo (Nordregio, 2004).
A differenza dei contesti di pianura, dove i divari si spiegano prevalentemente in ragione degli
aspetti demografici (forza lavoro e capitale umano) e della dotazione economico-istituzionale
(attività produttive, capacità innovativa, capitale sociale ecc.), in montagna appaiono centrali anche
altri fattori, relativi all’integrazione territoriale. L’accessibilità interna e gli aspetti “cerniera”, in
particolare, hanno definito nel passato la gran parte dell’economia e dell’organizzazione montana.
Ma anche gli aspetti fisico-ambientali giocano un ruolo parimenti importante e inscindibile dagli
altri due, in quanto serbatoi di risorse e biodiversità.
Di qui la scelta di adottare un modello analitico articolato attorno a tre assalità17 (socio-economica,
infrastrutturale, ambientale) o attanti principali dello sviluppo della montagna (Figura 1), a loro
volta scomponibili in indici e indicatori quantificabili (cfr Tabella 2). 14Molti dei problemi di sviluppo che coinvolgono i sistemi territoriali rimandano a un mancato riconoscimento, una mancata consapevolezza, delle risorse presenti localmente, per questo chiamate “latenti”. Questa condizione si traduce in un mancato progetto di territorio e, quindi, mancato sviluppo locale. E questo è particolarmente vero in contesti di montagna, dove sono numerose le realtà minori incapaci di attivare una propria progettualità endogena. 15 Tuttavia, secondo la scala geografica adottata (regione, nazione, macroregione alpina, Europa, ecc.) il metodo è utilizzabile anche con altre unità, quali le comunità montane, le province o le regioni. 16 Quanto piuttosto tante montagne diverse espressione di istanze differenti (assistenzialismo, sviluppo, conservazione). 17 Altre analisi territoriali della montagna adottano una distinzione in tre assi delle variabili. Per esempio, l’istituto di ricerca Nordregio (2004), nell’analizzare la montagna europea su mandato della Commissione europea, distingue le regioni montane in funzione delle variabili: i) capitale economico e sociale, ii) infrastrutture, accessibilità e servizi, iii) uso del suolo e tipologia di copertura.
Figura 1 - Schema del modello di analisi dello sviluppo dei territori di montagna
ASSE
SOCIO-ECONOMICO
ASSE
INFRASTRUTTURALE
ASSE
AMBIENTALE
DEMOGRAFIA RETI CAPITALE NATURALE
REDDITO
NODI
VULNERABILITA'
DOTAZIONI FLUSSI PAESAGGIO
ATTIVITA' IMPEDENZA PRESSIONI
tempi medio-corti tempi medi tempi medio-lunghi
Fonte: elaborazione da Crescimanno, Ferlaino e Rota, 2010, p. 56.
In generale, gli attanti sono elementi costituenti, tra di loro spesso in conflitto, che definiscono, con
temporalità diverse, la dinamica analizzata. Nel caso qui analizzato, dei tre attanti, quello socio-
economico rende ragione dei processi di attivazione e integrazione che si modificano in periodi
piuttosto brevi. Individua, cioè, determinanti di tipo congiunturale. Gli altri due, infrastrutturale (o
dell’accessibilità) e ambientale (o delle risorse naturali e paesaggistiche), connotano al contrario
situazioni giocate su tempi medi e medio-lunghi, individuando costituenti di natura strutturale.
L’interconnessione tra gli assi è evidente e assume esiti diversi a seconda dei contesti considerati.
Da un lato, buoni livelli di accessibilità e infrastrutturazione sono condizioni favorevoli allo
sviluppo socio-economico, così come valori elevati di qualità ambientale possono essere sfruttati
per attivare virtuosi processi di sviluppo locale. Nello stesso tempo, condizioni socio-economiche
favorevoli generano ricchezza e le risorse attraverso cui finanziare azioni di infrastrutturazione e
salvaguardia ambientale. Non si possono escludere casi di interazione negativa, per cui, per
esempio, elevati livelli di infrastrutturazione e sviluppo economico sono ottenuti a scapito della
salvaguardia della qualità dei quadri ambientali naturali. Individuare a priori l’esito, sinergico o
dirimente, dell’interazione tra gli assi non è possibile: si tratta di considerazioni che possono essere
sviluppate solo attraverso un’analisi condotta caso per caso.
In base alla lista dei tre valori, gerarchicamente ordinati attraverso il calcolo di indici sintetici
(indice socio-economico, indice infrastrutturale e indice ambientale), si distinguono le situazioni di
vantaggio e svantaggio che si producono all’interno della montagna18.
18 Per un approfondimento degli aspetti metodologici (metodi di calcolo, standardizzazione e composizione degli indici sintetici, verifiche di attendibilità del metodo, ecc.) si rimanda a Crescimanno, Ferlaino e Rota, 2010.
Tabella 2 - Le variabili dell’analisi
indicatore struttura fonte produttore fonte
erogatore anno
ASS
E I
SO
CIO
-EC
ON
OM
ICO
DE
MO
GR
AF
IA Popolazione numero abitanti ISTAT GeoDemo ISTAT
GeoDemo 2008
Crescita demografica (Pop 2008- Pop 1998) * 100 Pop 1998
BDDE BDDE 2008/ 1998
Ultrasessantacinquenni Popolazione >64 / popolazione totale
BDDE (1) BDDE (1) 2008
RE
DD
ITO
Reddito imponibile Reddito imponibile / popolazione tot
Minist. Interno Min. Interno 2006
Gettito ICI ICI_standardizzato / (abitazioni+UL)
Oss.Finanza Locale - IRES
MEF 2007
Rifiuti Rifiuti (t) prodotti annualmente / popolazione totale
Reg.Piem. Direzione Ambiente
BDDM 2007
DO
TA
ZIO
NI
Servizi alle famiglie Presenza servizi alle famiglie (2) BDDM (1) BDDM 2007(2) Presenze turistiche Presenze Turistiche (Alberg.+
Extra alb.)/ popolazione totale Reg.Piem. Direzione Turismo
BDDM 2008
Connettività 1/ distanza km dal più vicino (svincolo AA*3/4 + stazione FFSS*1/4)
Reg.Piem. - carta tecnica
CSI 2005
AT
TIV
ITÀ
Manifattura UL manifattura (addetti / popolazione totale )
ISTAT BDDM 2006
Peso del commercio Medie-Grandi strutture, n° esercizi, posti banco
Osservatorio Reg.Commercio
ORC 2008
ASS
E I
I IN
FR
AS
TR
UT
TU
RA
LE
RE
TI
Densità stradale II livello
Km di rete strade reg.prov./ superf.comunale
CSI su dati Reg.Piem. - carta tecnica
CSI 2008
Densità stradale III livello
Km di rete strade comun.minori/ superf.comunale
CSI su dati Reg.Piem. - carta tecnica
CSI 2008
Corse trasporto pubblico
Numero medio corse annuali/popolazione *100
CSI su dati Reg.Piem. - piani dei trasporti
CSI 2008
NO
DI
Distanza svicoli autostradali.
Distanza in km (1) dal più vicino svincolo autostradale
CSI su dati Reg.Piem. - carta tecnica
CSI 2008
Distanza stazioni ferroviarie
Distanza in km(1) dalla più vicina stazione ferroviaria
CSI su dati Reg.Piem. - carta tecnica
CSI 2008
Fermate trasporto pubblico
Numero fermate / Km strade (II e III livello)
CSI su dati Reg.Piem. - piani dei trasporti
CSI 2008
FL
US
SI
Attrattività scolastica Flussi di studenti in ingresso – in uscita/ (ingresso + uscita)
CSI su dati Reg.Piem. CSI 2009
Pendolarità Pop. residente che si sposta giornalmente (in ingresso + in uscita) / popolazione
ISTAT Censimento 2001
ISTAT 2001
Turisti in ingresso Turisti in ingresso (arrivi)/ abitanti*100
Reg.Piem. Direzione Turismo
BDDM 2007
IMP
ED
EN
ZA
Altimetria 1 / quota altimetrica al centro ISTAT BDDM 2008 Dispersione abitativa Ab.(cs+na) /superficie comunale ISTAT BDDE 2001 Pendenza 1/ Pendenza media del comune Reg.Piem. CSI 2008
ASS
E I
II
AM
BIE
NT
AL
E
CA
P.N
AT
UR
AL
E Biocapacità agricola (Sup aree agricole x rese unitarie)
/ popolazione IRES su dati IPLA-ISTAT
IRES 2001
Biocapacità pascoli (Sup aree pascoli x rese unitarie) / popolazione
IRES su dati IPLA-ISTAT
IRES 2001
Biocapacità foreste (Sup aree foreste x rese unitarie) / popolazione
IRES su dati IPLA-ISTAT
IRES 2001
VU
LN
ER
AB
ILIT
À
Rischio idrog. Sup.aree PAI / sup.comunale Reg.Piem. Direzione Opere Pubbliche
Reg.Piem. 2008
Persone non in sicurezza
Num.persone non in sicurezza per 7 tipi di rischio ogni 1000 abitanti
Reg.Piem. Direzione Opere Pubbliche
Reg.Piem. (2) 2007
Aree non protette superficie aree non protette/ superf. aree protette
Reg.Piem. Direzione Ambiente
CSI 2008
PA
ES
AG
GIO
Paes.abiotico Sup.tot. - sup.degr.antrop.- Sup.(agric.,foreste,pascoli)
IPLA -ISTAT IPLA-ISTAT 2001
Paes.verde (Sup aree pascoli + foreste ) / superficie comunale
IPLA -ISTAT IPLA-ISTAT 2001
Paes.antropizzato (Sup aree agricole) / superficie comunale
IPLA -ISTAT IPLA-ISTAT 2001
PR
ES
SIO
NI Carico ambient. densità usi diretti IRES IRES 2008
Sup.degradata superficie degradata CSI su dati Reg.Piem. Direz.Ambiente
CSI 2005
Siti contaminati numero siti / popolazione ARPA ARPA 2008
Il secondo passaggio consiste in una classificazione delle unità territoriali in funzione di una
valutazione complessiva dei posizionamenti relativi dei tre indici sintetici. Si tratta di attribuire a
ciascuna unità territoriale una connotazione specifica in funzione del fatto che registri livelli di
sviluppo socio-economico, accessibilità e qualità ambientale superiori o inferiori rispetto al
comportamento medio del campione. Più specificatamente, applicando lo schema classificatorio
illustrato in figura, si ottiene una classificazione a otto tipologie.
Figura 2 - Schema classificatorio dei sistemi territoriali montani
Fonte: Crescimanno, Ferlaino e Rota 2010 p. 56.
Le tipologie individuate sono rappresentative di altrettanti tipi di sviluppo territoriale:
1. Sistemi in equilibrio economico e ambientale. Identificano sistemi territoriali sviluppati,
accessibili e connotati dal punto di vista ambientale;
2. Aree rurali di elevata montanità e nicchie turistiche. Si tratta di territori sviluppati e con valori
elevati di pregio ambientale, ma isolati;
3. Zone paesaggistiche e di pregio ambientale. In questo caso condizioni favorevoli di qualità
ambientale e accessibilità si accompagnano a una situazione di depotenziamento socio-
economico rispetto al resto della montagna piemontese;
4. Aree naturali interne e a bassa densità abitativa. Elemento distintivo di questi sistemi territoriali
è l’elevato valore dei quadri ambientali. Per il resto, si tratta di realtà poco accessibili e poco
sviluppate;
5. Città e sistemi urbani montani. All’elevato sviluppo e accessibilità si contrappone a una
situazione di fragilità delle risorse ambientali;
6. Centri interstiziali e aree di riconversione produttiva. Nonostante si tratti di contesti piuttosto
isolati e svantaggiati dal punto di vista ambientale, in questi sistemi di montagna si realizzano
positivi processi di sviluppo socio-economico;
7. Sistemi marginali di transito. L’elevata accessibilità è l’elemento di maggiore connotazione di
questi sistemi, altrimenti sottosviluppati e ambientalmente fragili;
8. Sistemi marginali isolati. Si tratta della condizione peggiore di tutte. Questa tipologia identifica
territori isolati, non sufficientemente sviluppati e compromessi dal punto di vista dei quadri
ambientali.
Applicato a livello di singole municipalità, questo metodo permette di identificare la trama fine
dello sviluppo in montagna. In funzione delle diverse tipologie di comuni presenti è possibile
tratteggiare un profilo diverso e specifico di montagna, per il quale si richiedono politiche mirate e
progettualità endogene.
Ai fini del presente articolo, tuttavia, più che la metodologia interessano i risultati dell’applicazione
empirica condotta con riferimento al caso dei comuni montani del Piemonte. L’analisi, oltre a
fornire elementi che convalidano la bontà del metodo in sé19 fornisce, infatti, una fotografia
complessa e aggiornata della realtà montana piemontese20, che contrasta con molti degli stereotipi
che animano i discorsi sulla montagna e il suo sviluppo (cfr. 1). Permette cioè una riflessione critica
sulla natura dei determinanti (cfr. 4) e dei modelli spaziali (cfr. 5) dello sviluppo montano, che è un
primo importante passo per l’affrancamento dalle più tradizionali rappresentazione dalla montagna.
19 Come si legge da Crescimanno, Ferlaino e Rota (2010), “l’analisi delle correlazioni dei tre assi sottolineano l’efficacia del modello utilizzato, espressa dalla forte indipendenza degli stessi assi (con indici di correlazione di Pearson inferiori a 0,43), entro un quadro relazionale tuttavia congruente con quanto la letteratura economico-sociale ha da tempo evidenziato “ (p. 137). 20 Per esempio, emergono con chiarezza i connotati paesaggistici ma marginali di molta parte delle montagne appenninche, l’esistenza di alcuni principali corridoi alpini di sviluppo, i problemi ambientali delle porte di valle, la valenza incontaminata delle parti più inaccessibili delle alpi cuneesi.
4 L’EQUILIBRIO DEGLI ATTANTI
Come detto, la montagna piemontese è stata analizzata adottando un modello triassiale (cfr. 3), che
attribuisce ai costituenti infrastrutturali (o dell’accessibilità) e ambientali pari importanza di quelli
socio-economici nella spiegazione dei divari di sviluppo che si producono internamente ai territori
di montagna21.
L’analisi delle correlazioni dei valori registrati dai comuni montani piemontesi per questi tre
“attanti” dello sviluppo territoriale consente quindi di fare alcune scoperte interessanti circa il modo
in cui essi si combinano reciprocamente.
Innanzitutto, si verifica come le correlazioni rimangano sempre su valori molto bassi, a
testimonianza di una situazione di tendenziale indipendenza dei quadri socio-economico,
infrastrutturale e ambientale. Dei casi analizzati, la correlazione maggiore è quella tra l’indice
socio-economico e quello relativo alle dotazioni infrastrutturali. Come si può vedere dalla Figura 3,
la correlazione resta comunque nel complesso su valori molto contenuti: in contrasto con alcune
convinzioni consolidate, esiste una forma debole (R-quadro di 0,428) di mutualismo tra
l’accessibilità e il livello di sviluppo socio-economico raggiunto.
Figura 3 - Correlazione tra l’asse socio-economico (x) e l’asse infrastrutturale (y)
Fonte: Crescimanno, Ferlaino e Rota 2010 p. 138.
Questo significa che non è cioè possibile ricondurre il complesso rapporto tra sviluppo e
infrastrutturazione ad una causalità immediata e diretta. E’ un risultato importante perché, se per un
21 Nel modello dell’IRES (Crescimanno, Ferlaino e Rota, 2010) le variabili raccolte sono dapprima standardizzate e utilizzate per calcolare alcuni indici intermedi (per esempio, per l’asse socio-economico, sono calcolati gli indici: demografia, reddito, dotazioni e attività; cfr. fig.1), I valori così ottenuti sono quindi riportati, attraverso il calcolo delle medie aritmetiche, a un valore sintetico, senza che vengano introdotti pesi.
verso è coerente, data la correlazione positiva, con quanto più volte sostenuto dalla letteratura geo-
economica, cioè col fatto che l’infrastrutturazione e l’accessibilità siano agenti di
territorializzazione e sviluppo, soprattutto nelle aree svantaggiate (Dematteis e Governa, 2002), per
altro verso evidenzia una causalità debole e, cioè, il fatto che (almeno in montagna e, sicuramente,
nella montagna piemontese) l’accessibilità e la relativa infrastrutturazione non sono elementi
fortemente determinanti e fondanti dello sviluppo socio-economico.
Un secondo importante risultato inerisce la presenza di altre condizioni, di carattere tipicamente
urbano, necessarie per attivare forme positive e rilevanti di sviluppo locale.
Rispetto agli economisti, tradizionalmente impegnati a esaminare il nesso fra investimenti in
infrastrutture e crescita, i teorici della nuova geografia economica (NEG) hanno dimostrato, sul
piano teorico e empirico, che la geografia degli insediamenti produttivi tende a privilegiare le
località in cui la densità di imprese e di lavoratori è più elevata. L’ubicazione di un sistema
economico rispetto ai mercati più rilevanti (cui si accede anche attraverso un’efficiente rete di
trasporti) diviene in tal modo un requisito essenziale per la creazione di un ambiente favorevole alla
realizzazione dei processi produttivi, stimolando la competitività e lo sviluppo delle imprese
(Messina, 2007). Nella nostra analisi tutto ciò resta valido, ma sotto particolari e importanti
condizioni: l’urbanizzazione richiesta deve essere relativamente bassa (poco superiore alla media
dell’intera montagna) per poter attivare processi ambientali sostenibili.
Spostando l’attenzione sull’attante ambientale, dall’analisi risulta che il capitale naturale è correlato
negativamente sia con l’infrastrutturazione che con la crescita socio-economica. Ciò significa che la
crescita e l’infrastrutturazione “erodono”, tendono a far diminuire, il capitale naturale, quantunque
nell’insieme in modo piuttosto debole (Figura 4).
Si tratta di un risultato coerente con molte delle teorie sviluppate in seno alla teoria geo-economica
contemporanea, tese a mettere in luce le ricadute potenzialmente negative delle infrastrutture
sull’ambiente (cfr., tra gli altri: Himanen, Nijkamp e Padjen, 1992). Meno immediata è invece la
comprensione delle cause che portano all’antagonismo, sia pur leggero, tra le dotazioni
ambientali/paesaggistiche e lo sviluppo socio-economico (Figura 5). Si tratta infatti di una
situazione che è in apparente contrasto con i presupposti e gli assunti delle recenti teorie “green”
dello sviluppo, che forse necessitano di maggiori articolazioni e specificazioni territoriali (Lélé
2002).
Particolarmente suggestivo è il fatto che l’infrastrutturazione, sebbene giochi sui quadri ambientali
un ruolo negativo, non incida significativamente. L’infrastrutturazione non esprime cioè, se non in
contesti particolari (definiti ‘sistemi marginali di transito’; cfr. 3), quella pressione negativa così
diretta e dirompente sui quadri naturali, deterritorializzante, come “vorrebbe” molta letteratura
dell’antagonismo sociale22. Nello stesso tempo essa non esprime nemmeno una correlazione
positiva con lo sviluppo tale da poterla considerare sicura foriera di sviluppo dei territori, tesi questa
sostenuta dalla gran parte della copiosa letteratura della “pianificazione strategica” dei territori.
22 Ci riferiamo alla copiosa letteratura indicata giornalisticamente con l’appellativo dell’”antagonismo sociale”, che si oppone in modo piuttosto radicale alla costruzione di nuova infrastrutture di trasporto, soprattutto in montagna.
Questi risultati, letti con quelli relativi alla correlazione infrastrutture-sviluppo socio-economico,
tendono per un verso a confermare alcune causalità relative all’infrastrutturazione in ambito
montano, evidenziandone tuttavia la scarsa valenza e invitando gli “apocalittici” (dalla celebre
definizione di Umberto Eco, 1964) a moderare i termini del catastrofismo che l’infrastrutturazione
delle reti genererebbe (e presente solo nei pochi casi di utilizzo passivo del territorio). Per un altro
verso, sono di monito per i cosiddetti “integrati”, che tendono al contrario a generalizzarne le
“magnifiche sorti e progressive” (che esistono solo se accompagnate da altre condizioni che sono
state sintetizzate con il termine di “urbanità”).
Figura 4 - Correlazione tra l’asse o infrastrutturale (x) e ambientale (y)
y = -0,5065x + 4E-16
R² = 0,4147
-1,500
-1,000
-0,500
0,000
0,500
1,000
-1,500 -1,000 -0,500 0,000 0,500 1,000 1,500 2,000
Fonte: Crescimanno, Ferlaino e Rota 2010 p. 139.
Figura 5 - Correlazione tra l’asse socio-economico (x) e ambientale (y)
y = -0,33x + 4E-16
R² = 0,3754
-1,500
-1,000
-0,500
0,000
0,500
1,000
-2,000 -1,000 0,000 1,000 2,000 3,000
Fonte: Crescimanno, Ferlaino e Rota 2010 p. 139.
Un’altra considerazione che è possibile sviluppare a partire dal caso piemontese riguarda il modo in
cui gli assi sopramenzionati si combinano all’interno delle singole realtà comunali. In pratica,
secondo la classificazione adottata dall’IRES, la condizione ottimale di sviluppo, quella a cui
ambire, è rappresentata dalla tipologia territoriale dei ‘sistemi in equilibrio economico e ambientale’
(cfr. 3). In questi comuni, infatti, si registrano condizioni superiori al comportamento medio dei
comuni montani piemontesi sia per quel che attiene i livelli di sviluppo socio-economico, che per
l’accessibilità e l’infrastrutturazione, che ancora per quel che riguarda la qualità del capitale
naturale e paesaggistico. Dunque, per sviluppo ottimale si intende qui la condizione più vicina
possibile al modello dello sviluppo sostenibile (o di lungo periodo), tradizionalmente descritto dalla
letteratura come lo sviluppo che risulta dal soddisfacimento contemporaneo di condizioni di
efficienza economica, equità sociale e integrità ambientale.
Tuttavia, se si analizzano nel dettaglio i dati si possono cogliere alcune indicazioni importanti.
Innanzitutto, si tratta di realtà poco numerose: sono solo 18 (sui complessivi 515 attraverso cui si è
analizzata la montagna piemontese) i casi che ricadono in questa classificazione (circa il 3,5%).
Questo perché, come dimostrato dall’analisi delle correlazioni riportata nel paragrafo precedente, si
tratta di dinamiche di sviluppo spesso in contrasto tra di loro. E’ il caso delle relazioni tra l’attante
di tipo ambientale e quello socio-economico, nonché tra il costituente ambientale e quello
infrastrutturale.
Inoltre, questi casi non sembrano rispondere a nessuna evidente logica spaziale. Le condizioni non
sono cioè territorialmente determinate, ma dipendono dalle diverse interazioni tra le variabili in
gioco di difficile costituzione, data l’esiguità dei comuni con tali caratteristiche.
Infine, i valori registrati per le tre assialità non esprimono pesi tali da poter far rientrare le
performance di questi comuni nella sfera delle “eccellenze”: sono sì superiori alla media, ma il
vantaggio che dimostrano è di minima entità. Dei 18 comuni ‘in equilibrio economico e ambientale’
(cfr. 3) la maggior parte (11) sono municipalità con un numero di abitanti compreso tra 1.000 e
5.000 abitanti (solo Anzola d'Ossola nel VCO supera questa soglia), le cui performance nei tre
indici sintetici si attestano su posizioni di media classifica. Sono invece pochi i comuni con valori
elevati per uno o più assi: Fenestrelle, Pevragno, Borghetto di Borbera, Tagliolo Monferrato e
Condove emergono nell’asse socio-economico, Molare in quello infrastrutturale, Rosazza in quello
ambientale. Anzola d'Ossola ha buone performance sia economiche che di accessibilità. Sala delle
Langhe di accessibilità e qualità ambientale.
Se ne ricava che, per raggiungere una condizione di sostenibilità (almeno teorica) dello sviluppo,
non occorre eccellere a “pieni voti”, quanto superare le dimensioni di soglia dello sviluppo entro un
gioco di equilibri che invita a perseguire livelli intermedi in tutte le dimensioni. E’ questo un
risultato che contrasta con la rappresentazione dell’eccellenza a cui siamo soliti pensare. Come
indicato nella Figura 2 (par. 2), infatti, i contesti eccellenti sono in genere visti come ambiti il cui
sviluppo si basa sulla presenza di molteplici ed elevate specializzazioni territoriali (nel turismo,
nell’agricoltura, nell’allevamento, nell’industria estrattiva e della produzione energetica da fonti
rinnovabili, delle condizioni ambientali, dell’accessibilità). Le stesse strategie regionali e nazionali,
finanziate dai fondi strutturali europei, tendono a incentivare questo tipo di morfologia, soprattutto
per le aree montane, che, però (almeno stando agli esiti piemontesi), potrebbe rivelarsi
concettualmente sbagliato. E’ cioè il gioco di equilibrio tra le differenti componenti che
determinano la situazione economica, quella infrastrutturale e quella ambientale, a definire
l’eccellenza e non, come spesso si pensa, la straordinarietà delle performance in ogni indicatore.
5 L’ETEROGENEITÀ DELLE DINAMICHE SPAZIALI
Oggetto di approfondimento di questo paragrafo è la distribuzione degli indici socio-economico,
infrastrutturale e ambientale, ottenuta per i comuni piemontesi. È opinione degli autori, infatti, che
dalla lettura comparativa di questi risultati sia possibile ricavare indicazioni utili alla comprensione
dell’articolazione spaziale dello sviluppo in montagna, della sua geografia. In quest’ottica, nelle
figure che seguono (6a, 6b, 6c) a una rappresentazione puntuale (comune per comune) dei valori
degli indici sintetici, suddivisi in quartili, è affiancata una rappresentazione coremica dell’ipotetico
modello/schema spaziale soggiacente.
Con riferimento all’indice socio-economico, i comuni con le migliori performance si distribuiscono
secondo un modello spaziale a “nodi e assi indipendenti” (Figura 6a). Si tratta di cluster formati da
poche municipalità, in genere poste in corrispondenza degli accessi (porte di valle) e delle
terminazioni (terminali di valle, passi e valichi alpini) dei principali assi infrastrutturali che
segmentano radialmente l’arco alpino. I comuni di media valle e appenninici, al contrario, sono in
genere ambiti di evidente marginalità socio-economica (fanno eccezioni alcuni centri urbani
specializzati in attività terziarie, come Susa, o manifatturiere). Tra le porte di valle spiccano
concentrazioni di Comuni a vocazione produttivo-manifatturiera, localizzati lungo i tratti torinese,
biellese e verbanese del fronte pedemontano. Tra i comuni di alta quota, si distinguono importanti
comprensori sciistici (la “via lattea” nell’alta val Chisone, il “distretto olimpico” nell’alta valle di
Susa) e rinomate località turistiche attrezzate (nei pressi del Monte Rosa, nel Parco dell’Argentera,
nella zona termale di Vinadio e presso i laghi d’Orta e Maggiore).
Nel caso dell’accessibilità, le località della montagna che sono maggiormente accessibili sono
quelle che si trovano in corrispondenza dei principali assi infrastrutturali trans-regionali (verso il
tunnel del Frejus, il passo del Sempione, il Colle di Tenda, il Colle di Nava, e lungo la linea ideale
che corre lungo il fronte pedemontano. In altre parole, s’individua un modello spaziale di tipo
lineare (Figura 6b) coerente con il fatto che l’accessibilità in montagna è influenzata in larga misura
dalla localizzazione della rete viaria principale e ferroviaria. Tra le situazioni più isolate emergono
alcune porzioni remote delle vallate alpine al confine con la Francia (alte valli del Torinese e del
Cuneese), la Svizzera (le vette che chiudono la valle Cannobina nel VCO) e la Valle d’Aosta (Alto
Canavese e i rilievi occidentali del Vercellese).
Figura 6 - Distribuzione dei valori per gli indici socio-economico (6a), infrastrutturale (6b) e ambientale (6c). Mappe e rappresentazioni coremiche
Fonte: elaborazione da Crescimanno, Ferlaino e Rota, 2010
20
Le situazioni di elevata qualità ambientale, invece, seguono un modello spaziale di tipo
areale. Esse tendono infatti a distribuirsi a livello regionale in maniera aggregata, a formare
cluster di area vasta, tra loro separati, nella montagna alpina, da corridoi di elevata
edificazione e infrastrutturazione (Figura 6c). Dalla mappa si osserva una tendenziale
concentrazione delle situazioni più qualificate in corrispondenza di alcune tipologie principali
di territori: comuni scarsamente accessibili con elevati connotati di montanità, quali le
porzioni più remote delle valli Maira e Grana, dell’alta Valle Stura di Demonte e di tutta la
porzione sudoccidentale della provincia di Cuneo. Al contrario, le aree a ridosso dei valichi
alpini (Frejus e Sempione) presentano valori di elevato degrado e vulnerabilità. Così come
condizioni di elevato degrado e vulnerabilità contraddistinguono la maggior parte delle
bocche delle vallate alpine, dove maggiore è stata la pressione esercitata dall’azione
dell’uomo (a livello di infrastrutturazione, compromissione dei suoli e inquinamento).
Diverso è il caso dell’area appenninica, dove si esprime una elevata qualità ambientale in
molti comuni appenninici al confine con la Ligura, anche in corrispondenza di valichi e di
passi.
Dal punto di vista della teoria dello sviluppo in montagna, ne consegue che, come già
anticipato nell’introduzione di questo lavoro (cfr. 1), modelli tradizionalmente utilizzati nelle
analisi geo-economiche del tipo “centro-periferia” e “nord-sud”, che certamente, possono
trovare applicazione a livello regionale, , mal si prestano alla lettura della montagna. In
alternativa, l’analisi dell’IRES suggerisce l’utilità di adottare altri modelli, più complessi e
articolati.
Un’ultima riflessione concerne il carattere dell’urbanità che emerge quale leva per lo sviluppo
in contesti di montagna. Come si è visto, l’analisi delle correlazioni tra gli indici sintetici
suggerisce un debole mutualismo tra le performance infrastrutturali e socio-economiche (cfr.
4). Questo si realizza, probabilmente, perché l’infrastrutturazione e l’accessibilità sono sì
condizioni importanti della crescita economica, ma non sufficienti. Esse sono significative se
accompagnate da altre attività e servizi, che nel caso del Piemonte sono rappresentati da
elementi propri del carattere urbano. È il caso di comuni di medie dimensioni quali Susa
(6.806 abitanti al 2009), Baveno (4.858), Vigliano Biellese (8.482), Omegna (16.074),
Domodossola (18.452). Qui, la presenza di una ricca offerta - tipica dei contesti urbani - di
dotazioni e funzioni specializzate (nei trasporti e nei servizi per Susa e Domodossola, nelle
attività manifatturiere per Omegna e Vigliano Biellese, nel turismo e nella residenzialità delle
seconde case per Baveno), insieme con la presenza di un consistente mercato locale fanno
sistema con l’elevata accessibilità nel sospingere la crescita economica e il livello di vita dei
residenti. In quest’ottica, la correlazione evidente tra sviluppo socio-economico e reti di
connessione interregionale che si realizza in Piemonte in corrispondenza di alcuni dei corridoi
storici dell’attraversamento alpino (in valle di Susa, nel passo del Tenda, nel Verbano, nel
corridoio della val d’Ossola, nelle aree di più urbane di connessione con la valle d’Aosta) si
21
spiega in parte in virtù della concentrazione di centri urbani lungo questi assi, in parte per la
presenza di attività e servizi su questi stessi assi gravitano per la presenza di specifiche
esternalità.
Anche il comune sciistico di Sestriere, pur non avendo una dimensione urbana rilevante (900
abitanti), è in grado di attrarre consistenti flussi economici e finanziari grazie alla
compresenza di elevate accessibilità (indice normalizzato: 0,93; valore max: 1,53) e urbanità
per assicurarsi posizioni alte di sviluppo socio-economico (1,83; max 2,43) anche se a scapito
della qualità del capitale naturale (-0,75; max 0,83).
Come si può rilevare dai dati, l’”urbanità” è necessaria e sufficiente per lo sviluppo ma se
elevata determina condizioni sfavorevoli di sostenibilità e qualità ambientale. E’ pertanto in
questo trade-off tra urbanizzazione e qualità ambientale che va cercata e individuata la
peculiarità dello sviluppo montano.
Tuttavia, una simile condizione contrasta in modo evidente con la rappresentazione dei
contesti montani quale negazione dell’urbano, spazio della micro ruralità opposta alla
morfologia sociale ed economica della pianura descritta nel par. 2. Ne consegue una conferma
della necessità di elaborare nuovi schemi interpretativi dei territori di montagna, in quanto
quelli attuali non sono adeguati a descriverne le dinamiche in atto. Schemi in cui dotazioni di
urbanità (presenza di servizi, attività innovative, ecc.), sebbene definite entro determinate
soglie, siano riconosciute come leve di sviluppo e espressione di crescita economica
sostenibile della montagna.
6 CONCLUSIONI
La recente ricerca dell’IRES sulla montagna del Piemonte offre numerosi di spunti di
riflessione sulla montagna e sullo sviluppo dei sistemi territoriali piemontesi. Oltre alle ricche
evidenze empiriche fornite, è stata anche l’occasione per riflettere sulla classificazione di
questi territori in Italia e in Piemonte, proponendone una faticosa sistematizzazione.
In quest’ottica una prima considerazione che emerge riguarda la relazione tra montagna e
pianura. I risultati sul Piemonte sembrano infatti rimandare all’ipotesi che, nel contesto delle
reti globali competitive, comincino a emergere nuove specializzazioni produttive e territoriali,
che si connotano (con i relativi mercati) più dal punto di vista geofisico che politico-
amministrativo. Con riferimento al contesto europeo, la pianura sembra infatti essere il luogo
delle reti più globalizzate e dei nodi della produzione avanzata e dei settori di massa. La
collina esprime caratteristiche di radicamento territoriale e paesaggistico entro tuttavia reti
globali consistenti e potenzialmente forti. La montagna sembra invece emergere, all’interno
del contesto glocale, come territorio della “naturalità” che si pone in termini contestuali di
differenziazione con i territori circostanti. All’interno di questo scenario emergono tuttavia
montagne diverse, espressione di istanze differenti e, spesso, in conflitto tra loro. Il modello
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dell’IRES fornisce a questo riguardo una classificazione secondo alcune tipologie prevalenti
di territori montani, relative allo sviluppo socio-economico, all’accessibilità e alla qualità
ambientale. L’analisi empirica del caso piemontese mette quindi in evidenza la varietà e
complessità di situazioni che caratterizzano i territori di montagna, tratteggiandone un profilo
specifico, per cui si richiedono politiche mirate. Per esempio emergono con chiarezza i
connotati paesaggistici ma marginali di molta parte delle montagne appenninche, l’esistenza
di alcuni principali corridoi alpini di sviluppo, i problemi ambientali delle porte di valle, la
valenza incontaminata delle parti più inaccessibili delle alpi cuneesi. Sebbene non
generalizzabile nell’equivalenza “montagna=marginalità” in Piemonte la montagna
svantaggiata dal punto di vista socio-economico è una realtà che interessa il 58% dei comuni
analizzati. Ciò richiede di continuare a implementare le politiche attive di sviluppo, a partire
dalla consapevolezza dei fattori specifici indagati. Occorre tuttavia prendere atto che il
restante 42%, cioè 218 comuni dei complessivi 515 che formano la montagna piemontese,
registrano buone performance, in alcuni casi raggiungendo valori di ricchezza del tutto
confrontabili con le altre aree dello sviluppo regionale.
La ricerca consente anche di fare alcune scoperte interessanti circa il modo in cui le
determinanti dello sviluppo territoriale (socio-economico, ambientale e infrastrutturale) si
combinano reciprocamente. In contrasto con alcune convinzioni consolidate, sembra infatti
esistere una forma di mutualismo debole tra l’accessibilità e lo sviluppo socio-economico.
Questo significa che nei contesti di montagna non basta l’infrastrutturazione a determinare lo
sviluppo territoriale: essa è una condizione forse necessaria, certo non sufficiente.
L’infrastrutturazione e l’accessibilità diventano al contrario leve importanti se accompagnate
da altre attività e servizi, quali elementi del carattere urbano, che in montagna (e non soltanto)
sono espressione di crescita economica. A sostegno di questa ipotesi, la ricerca sul Piemonte
mostra che le aree più sviluppate interessano i contesti urbani localizzati in corrispondenza di
alcuni dei corridoi storici dell’attraversamento alpino (in valle di Susa, nel passo del Tenda,
nel Verbano, nel corridoio della val d’Ossola, nelle aree di più urbane di connessione con la
valle d’Aosta) o in zone dove maggiore è la presenza di attività e servizi che su questi stessi
assi gravitano. Sempre dall’analisi risulta poi che il capitale naturale è correlato
negativamente sia con l’infrastrutturazione che con la crescita socio-economica. Ciò significa
che la crescita e l’infrastrutturazione “erodono”, tendono a far diminuire il capitale naturale,
quantunque nell’insieme in modo piuttosto debole e non tale da costituirne una determinante
diretta.
Da ultimo, è certamente interessante rilevare come la rappresentazione della montagna come
luogo della naturalità e della sostenibilità, in qualche modo contrapposto alla pianura, presenti
in realtà diversi elementi in comune con quest’ultima. In Piemonte, infatti, i comuni
maggiormente sostenibili (che registrano cioè performance superiori alla media per le tre
assialità, socio-economica, dell’accessibilità e ambientale) non sono aree singolari o
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particolarmente “virtuose”. Sono comuni in cui i vari indicatori normalmente non
primeggiano ma raggiungono, tuttavia, situazioni positive. E’ cioè il gioco di equilibrio tra le
differenti componenti a definire l’eccellenza e non, come spesso si pensa, la straordinarietà
delle performance in ogni indicatore. Questo significa che, sebbene la risorsa ambientale
continui ad essere di gran lunga l’atout principale su cui puntare nei processi di sviluppo
futuro dei territori di montagna (in termini di biocapacità prodotta e di bene paesaggistico), è
tuttavia evidente che tale risorsa non può essere data per scontata. Essa è infatti soggetta a
fattori di vulnerabilità territoriale, di pressione, nonché dalla impedenza nell’accessibilità dei
territori. Inoltre, per essere ben utilizzata, necessita che si verifichino condizioni particolari di
‘urbanità’ e equilibrio degli attanti che non sono date da performance eccezionali, quanto
piuttosto da un gioco complesso tra le differenti componenti. Questa particolare forma di
‘urbanità’ (di piccola dimensione, integrata con il contesto territoriale, non avulsa dalle
condizioni di modernità) in gran parte nega l’immagine idealizzata della montagna quale
spazio di una naturalità perduta. Ma è da qui che occorre partire per far rivivere questo
territorio “speciale”.
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ABSTRACT
On behalf of the regional Councillorship “Development of the Mountain and Forests”, IRES
Piemonte has recently developed (with the support of the CSI-Piemonte) a methodology for
the classification of different typologies of mountain municipalities, which is based on several
variables organized according to three axes (socio-economic, infrastructural and
environmental). In the paper the application of this methodology to Piedmont’s mountain is
the opportunity to reason upon the development models/patterns usually develop to describe
the mountain territories and their development process. Within the European and regional
planning the mountain only seems to emerge as the “counterpart” or functional complement
of the urban and economic systems on the plain. In other words, the mountain is the “other”
against which these systems, imprinted to capitalistic values and development, construct their
own identity. As a result, several discourses on mountain development make reference to non-
urban values, processes, and dynamics, as a sort of “memory” of local embedded and
sustainable style of life. However, the analysis of the Piedmont’s municipalities tells a
different story in which the objective of a long-term balanced development (i.e. socio-
economic, territorial and environmental) passes also through the attainment of urban
endowments.
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