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CAPITOLO 1 – Caratteri generali delle politiche retributive
1.1 - La retribuzione e le politiche retributive
Il sistema retributivo può essere definito come un complesso meccanismo attraverso il quale viene
regolato lo scambio economico tra una persona e l’organizzazione in cui essa opera.
Il sistema retributivo risulta efficace quando armonizza la remunerazione (ossia l’insieme della
retribuzione e delle altre componenti del sistema retributivo) con le esigenze di equità interna e di
competitività con il mercato esterno di riferimento. L’obiettivo dell’equità interna è rivolto ad
assicurare una giusta comparabilità a livello dell’intera impresa nell’ambito di ogni unità
organizzativa (posizioni, professioni) pur nel rispetto delle varie specificità. La competitività può
essere perseguita solo tramite un continuo raffronto dei dati rilevabili sul mercato del lavoro.
A dispetto della semplicità di queste prime notazioni il “pianeta retribuzione” è ricco di
sfaccettature che lo rendono argomento molto articolato, inserendosi in un contesto caratterizzato da
molti attori; non solo l’azienda è la diretta interessata come percettore della retribuzione, ma anche
sindacati a vari livelli, organi legislativi primari e secondari, enti previdenziali, fiscali, ecc. Ognuno
di questi induce cambiamenti continui, ma non sempre nella stessa direzione, che rendono il quadro
di riferimento fortemente instabile.
La retribuzione è un tipico e strutturale terreno di conflitto tra azienda e lavoratore, che vengono ad
avere interessi tra loro antitetici, così la retribuzione è la contrapposizione più naturale della
prestazione lavorativa. In considerazione di questa sua caratteristica e della posizione centrale che
ricopre nel rapporto di lavoro, è necessario che sulla stessa si soffermi l’attenzione dei vertici
aziendali. Questo per due motivi. Uno è interno all’azienda, nel senso che deve sussistere una certa
correlazione/proporzione tra la posizione ricoperta e il livello retributivo (comprensivo questo
anche dei benefit aggiuntivi concessi, quali macchina, casa, ecc). Infatti è un atteggiamento naturale
dell’uomo confrontare la propria posizione retributiva con quella dei colleghi all’interno
dell’azienda. Sono altresì naturali la demotivazione e le frustrazioni che seguono quando si rilevano
disequità. L’altro motivo è esterno, ed è relativo al mondo del lavoro, vista la necessità di essere
competitivi con le altre aziende per quel che riguarda la controprestazione fornita. Infatti il
fenomeno della mobilità interaziendale è molto diffuso e quindi è necessario, per evitare di perdere
risorse non facilmente sostituibili, conoscere quali siano i range retributivi e gli standard di
mercato. In tal senso si tratterà di effettuare un confronto tra la situazione riscontrata all’esterno e la
situazione aziendale. Inoltre occorre precisare che questa omogeneità è relativa al sistema
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retributivo nel suo complesso e non va verificata rispetto alle singole posizioni. Infatti la posizione
A di una azienda potrebbe non essere immediatamente avvicinabile e confrontabile con la posizione
A di un’altra azienda per il diverso contenuto che le stesse potrebbero avere pur presentandosi
formalmente identiche, il riferimento alla singola posizione, d’altra parte, non è significativo perché
potrebbe esistere un gap per questa, ma non per l’andamento complessivo della politica retributiva.
Se lo scollamento tra la situazione di mercato e quella interna dovesse essere elevato, è chiaro che
l’azienda dovrà intervenire per migliorare la situazione esistente e porsi in linea col mercato del
lavoro. Il rischio, in caso contrario, potrebbe essere quello di un esodo consistente del personale.
Quando si effettua la scelta della politica retributiva da adottare, vi sono una serie di elementi che
debbono essere tenuti in considerazione, utili per orientare le decisioni:
L’andamento della gestione, nel senso che se il risultato economico della società è
buono si dovrebbero avere degli effetti sulla politica retributiva, per motivare ed
incentivare le persone;
Il settore nel quale si va ad operare, dove se è fortemente competitivo, con alti tassi
di sviluppo ed impiega professionalità di difficile reperimento, è necessario, per
riuscire a mantenere la manodopera, adottare una politica retributiva adeguata.
Mentre diverso è il caso di un’azienda che opera in un settore maturo dove la ricerca
delle risorse umane non costituisce un problema. In questo caso la politica retributiva
potrebbe anche non essere in linea con gli standard di mercato, non costituendo il
turn over un problema;
La cultura aziendale, nel senso che una struttura di tipo burocratico non adotterà mai
una politica retributiva di tipo aggressivo. Quest’ultima è più adatta ad una società
fortemente orientata al business.
L’importo della retribuzione può variare sia:
1. in relazione alla anzianità; in questo caso non c’è alcuna possibilità di scelta
da parte dell’azienda, perché lo scatto della retribuzione avviene
indipendentemente dalla volontà della società;
2. con riferimento al potenziale; si tratta, in questa ipotesi, di andare a fare
un’indagine caso per caso perché a volte può essere opportuno prevedere un
aumento della retribuzione anche se non si è assegnata la persona alla nuova
posizione per la quale è potenzialmente idonea. Questo per evitare fenomeni
di demotivazione e frustrazione;
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3. in base alla prestazione; nel senso che vi deve essere una correlazione tra
incremento della retribuzione e risultati conseguiti.
Questi fattori sono alla base della “dinamica retributiva” che rappresenta la parte della politica
retributiva che definisce le variazioni salariali nel tempo, questo concetto verrà approfondito meglio
nei paragrafi seguenti.
1.2 - Le finalità delle politiche retributive
Le politiche retributive hanno “la finalità generale di attirare, trattenere e motivare il personale con
le caratteristiche idonee al perseguimento degli obiettivi aziendali”; inoltre esse “sono chiamate ad
assolvere alla cruciale funzione di regolare i rapporti tra impresa e mercato del lavoro e alla non
meno decisiva funzione di regolare il sistema organizzativo interno”.
Infatti, le decisioni di politica retributiva scaturiscono dalla mediazione e dalla conciliazione di
forze spesso contrapposte quali, ad esempio le esigenze di efficienza economica dell’organizzazione
e le esigenze di consenso dei prestatori di lavoro, regole organizzative e regole competitive di
valorizzazione delle risorse umane.
Per poter capire le ragioni delle singole scelte di politica retributiva bisogna scomporre le finalità o
obiettivi di ordine superiore delle politiche stesse in quattro sottobiettivi:
controllo del comportamento dei lavoratori;
motivazione dei lavoratori;
gestione del conflitto;
attuazione e consolidamento della strategia aziendale.
A questo proposito Magnifichi1 fa notare come, nel quadro delle scelte di politica retributiva attuate
negli ultimi anni dalle aziende italiane, l’attenzione si sia progressivamente spostata dalla finalità
del controllo del comportamento, alla finalità della motivazione dei lavoratori; e dalla finalità della
gestione del conflitto, al perseguimento e consolidamento della strategia aziendale.
In definitiva dunque le quattro finalità prima individuate si possono ricondurre a due dimensioni di
sintesi:
la “valenza” attribuita alla natura del rapporto impresa-lavoratori (dal controllo alla
motivazione);
1 Magnifichi M., “Gestione della dinamica retributive: I contratti di flessibilità salariale” in Costa G., (1992)
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l’orizzonte temporale della gestione delle risorse umane (dalla gestione del conflitto nel
breve-medio termine all’attuazione del disegno strategico di lungo termine).
1.3 - I requisiti delle politiche retributive
Le politiche retributive devono per prima cosa garantire un certo grado di interazione con le altre
politiche d’impresa, ovvero devono essere concepite e realizzate in una prospettiva sistemica.
Inoltre, se da un lato richiedono un elevato grado di strutturazione organizzativa, data la complessità
degli elementi che contribuiscono alla loro definizione, dall’altro, necessariamente, devono
conservare un buon livello di flessibilità che permetta loro di reagire istantaneamente ai
cambiamenti interni e di mercato, se non, meglio ancora, di anticiparli.
Da qui si comprende come il sistema retributivo debba tenere conto della posizione competitiva
dell’impresa, in modo da agire come strumento di supporto sia per mantenere sia per rinforzare i
fattori di successo, ma anche per attenuare i punti di debolezza.
Molto interessante è capire come le aziende sviluppano le cosiddette politiche di compensation2,
ovvero quella capacità dell’impresa di ricompensare adeguatamente, con riconoscimenti aggiornati
ed adeguati, i contributi forniti dalle persone che entrano in contatto con la società stessa. Tali
politiche, infatti, per poter essere efficacemente implementate e realizzate, hanno bisogno di un
certo consenso: gli “utenti” del sistema retributivo dovranno percepire l’equità e la razionalità del
sistema stesso.
A supporto di tale affermazione, infatti, definiamo la retribuzione come un “compenso per i servizi
resi o una somma pagata per ottenere la disponibilità temporale di una persona”. Pur essendo solo
uno degli elementi che costituiscono il complesso delle condizioni di impiego di un lavoratore, la
retribuzione rappresenta il fattore quantitativamente meglio misurabile con un conseguente forte
impatto sul comportamento del lavoratore stesso.
L’equità percepita dalle ricompense è definita da quello che i lavoratori ritengono equo e corretto
come corrispettivo della loro performance posto in relazione al rapporto performance/ricompensa
applicato a loro stessi e ai colleghi.
L’equità può essere:
distributiva: quando il paragone è fatto sui valori relativi delle
ricompense;
2 Si rimanda a http://www.compensation.it/kit/ come esempio pratico di realizzazione di politiche retributive aziendali.
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procedurale: quando viene valutato il grado in cui vengono rispettate le
regole per stabilire le ricompense.
L’equità percepita dipende:
dalla percezione di giustizia nelle relazioni interpersonali;
dal rapporto tra contributo e ricompensa;
dalla comparazione con i rapporti tra contributo e ricompensa applicati ad
altri soggetti.
In situazione percepita come non equa, la persona mette in atto comportamenti volti a ripristinare
l’equità quali:
riduzione del proprio contributo;
richiesta di aumento della ricompensa;
distorsione cognitiva rispetto ai dati di fatto del proprio contributo e
risultato;
azione sugli altri affinché modifichino la loro percezione del rapporto
contributo-ricompensa;
cambiamento dei termini di confronto.
Possiamo dire che il modello visto basa l’equità su un’idea di scambio equilibrato tra contributi e
ricompense o comunque su un’idea di giustizia distributiva. Quando non sono disponibili sufficienti
informazioni sui contributi e ricompense, l’equità si basa su un’idea di giustizia procedurale
secondo cui è percepito come equo ciò che è stabilito attraverso una procedura.
C’è da dire che qualsiasi organizzazione andrebbe certamente incontro a gravi problemi se le
persone dovessero percepire incoerenze nella determinazione della loro ricompensa.
Le imprese, quindi, onde evitare questa spiacevole situazione devono apportare modifiche sempre
più tempestive: la concreta possibilità di migliorare la retribuzione, costituisce un incentivo a
sostegno dei processi motivazionali, rivelandosi come meccanismo di rinforzo dei comportamenti
attesi dell’organizzazione3.
Tuttavia non tutti gli studiosi sono convinti delle capacità motivanti del sistema retributivo; inoltre,
il solo sistema retributivo non è sufficiente a motivare le persone.
3 Kahn R.L. e Katz D., The social psychology of organization, Wiley Interscience, New York, 1966
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Il corretto impiego delle politiche retributive consente di orientare le persone dell’organizzazione
verso gli obiettivi e le priorità dell’azienda, in quanto esso rappresenta comunque un aspetto
centrale della gestione delle risorse umane.
Un altro requisito fondamentale del sistema retributivo, oltre a quelli di equità all’interno e di
competitività all’esterno, è la selettività: un efficace sistema retributivo deve essere tarato sui
diversi comportamenti da rinforzare, sui risultati delle prestazioni, sulla struttura motivazionale
degli individui e sui livelli di professionalità.
Da qui si capisce come le organizzazioni devono cercare di differenziare e segmentare le politiche
retributive in funzione dei destinatari di esse, mantenendo comunque attiva la coerenza del sistema
retributivo con la cultura e le strategie aziendali.
1.4 - La composizione del pacchetto retributivo
La retribuzione è la risultante di molti fattori tra loro interagenti che insieme costituiscono la
totalità di quanto corrisposto da un’organizzazione a fronte del contributo prestato dal lavoratore.
Questi fattori dipendono da “stratificazioni” normative, caratteristiche del lavoratore e dell’azienda
nonché da condizioni di mercato.
Solitamente la più importante voce del pacchetto retributivo è la paga base, che viene definita sia
dalla contrattazione collettiva (definizione dei minimi salariali per la qualifica o la mansione del
lavoratore) che dalla contrattazione aziendale (che può stabilire eventuali superminimi).
Parlando di paga base esistono elementi variabili nel tempo (basati sull’anzianità lavorativa presso
la stessa organizzazione) che sono gli scatti di anzianità.
Essi rappresentano un riconoscimento sia della fedeltà del lavoratore verso l’azienda, sia della
maggiore esperienza che dopo molti anni il lavoratore acquisisce nello svolgimento del proprio
ruolo: esperienza che si traduce, a livello ipotetico, in una maggiore capacità di contribuire al
raggiungimento degli obiettivi aziendali; si tratta di una specie di corrispettivo a fronte delle
cosiddette economie di esperienza generalmente collegate alla riduzione dei costi unitari di prodotto
per effetto della crescita degli addetti 4
.
C’è da dire che secondo la tendenza attuale, nelle varie contrattazioni collettive, sta andando verso
un loro progressivo ridimensionamento.
4 Gli scatti di anzianità possono, in alcuni casi, assumere anche un peso monetario significativo rispetto alla paga base,
quando quest’ultima è relativamente bassa.
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Esistono anche altri elementi che fanno parte della retribuzione base e sono quelli connessi a forme
di indicizzazione legate al costo della vita5, i quali però non sono sufficienti a permettere ai
lavoratori un recupero dei costi derivanti dalla perdita di potere d’acquisto della moneta.
Secondo il principio di equità, la retribuzione base, a parità di contratto, di mansione e di anzianità
nell’organizzazione, è la stessa per tutti gli individui che in quell’azienda si trovano nelle stesse
condizioni.
Oltre a quelle già citate, la retribuzione può contenere anche altre voci: una di esse è il cosiddetto
superminimo individuale che può derivare da una contrattazione specifica del singolo lavoratore o
dall’accumulo di precedenti riconoscimenti a titolo individuale per meriti professionali (denominati
anche aumenti di merito).
Tutti questi elementi messi insieme formano la Retribuzione Annua Lorda (R.A.L.).
Può essere presente comunque nelle aziende, e lo è nella quasi totalità dei casi, un piano di
“retribuzione variabile” che costituisce un riconoscimento una tantum a favore del lavoratore per la
qualità di prestazione derivanti da sforzi e risultati individuali o di gruppo.
Se alla R.A.L. si aggiunge la retribuzione variabile si ottiene la Retribuzione Globale Annua
(R.G.A.).
Essa può variare nel tempo per ciascun individuo, in funzione, ovviamente, dei premi una tantum
che ottiene durante l’anno (la R.G.A. può raggiungere anche valori pari al 150% della R.A.L., ma
non può mai scendere al di sotto di quest’ultima).
Esistono, infine, altri elementi che possono modificare la retribuzione annua di un lavoratore: sono i
cosiddetti benefits ovvero veri e propri benefici aggiuntivi di diversa forma e contenuto (auto
aziendale, telefonino, viaggi premio, pacchetti assicurativi, contributi sanitari, sostegno scolastico,
acquisti agevolati, …).
Le modalità di erogazione di tali benefici sono anch’esse diverse: possono essere riconosciuti in
quantità uguale per tutti o in forma differenziata in funzione del ruolo delle persone e delle loro
prestazioni. Benché il loro valore convenzionale sia peri al costo sostenuto dall’azienda, il loro
valore d’uso viene percepito in modo diverso da persona a persona, a seconda, naturalmente, dei
bisogni, delle esigenze, alla cultura e alle attese di ogni individuo.
Aggiungendo, quindi, i benefits alla R.G.A. si ottiene la Retribuzione Totale Annua (R.T.A.).
5 Ad esempio l’indennità di contingenza: tale istituto tuttavia è stato soppresso nel 1993, anche se possono esistere
ancora forme di indennità simili, la cui applicazione è però temporanea.
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(Figura 1.1)
Le componenti della retribuzione
Tutte queste voci possono essere raggruppate in base alle seguenti modalità:
rispetto al soggetto erogante: si può distinguere tra retribuzione aziendale (pagata
dall’impresa) e retribuzione sociale (pagata dallo Stato o dai suoi enti previdenziali);
rispetto al soggetto che la percepisce: si può distinguere tra retribuzione pagata al lavoratore
e retribuzione pagata per conto del lavoratore ad altri soggetti (oneri o contributi sociali);
rispetto al tempo di erogazione: si può distinguere tra retribuzione attuale e differita ( TFR,
mensilità addizionali);
rispetto alla prestazione: retribuzione diretta (commisurata a una prestazione lavorativa) e
indiretta (ferie, festività);
rispetto alla modalità di fissazione: retribuzione contrattuale, aziendale, individuale;
rispetto alla variabilità: retribuzione fissa e variabile (associata al rendimento o altre forme
di commisurazione ai risultati).
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Per il lavoratore ha maggiore rilevanza la retribuzione netta annuale, mentre ne ha minore, ma pur
sempre significativa, verso la retribuzione indiretta, differita e sociale. Certamente la retribuzione
non è l’unica determinante che influisce sulla risposta lavorativa del lavoratore, in quanto questo
reagisce al complesso della sua esperienza sia lavorativa che sociale.
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CAPITOLO 2 – Le scelte di politica retributiva
Le politiche retributive sono sottoposte ad una serie di pressioni a volte contrastanti:
La globalizzazione costringe le imprese a restare competitive sul piano del costo del lavoro
posizionandosi sui mercati a più bassi salari e nel contempo cercando di attrarre, trattenere e
motivare le persone con le migliori competenze;
Le nuove tecnologie di produzione e di trattamento delle informazioni hanno attenuato le
differenze tra lavoro manuale e lavoro intellettuale mettendo in crisi i tradizionali sistemi di
classificazione delle posizioni e di costruzione delle scale retributive;
Le nuove forme di organizzazione del lavoro hanno esaltato il lavoro di gruppo e la
flessibilità richiedendo sistemi retributivi più centrati sulle competenze delle persone;
L’uso di sistemi di forte incentivazione per attrarre le persone più qualificate ha aumentato i
differenziali retributivi creando problemi di equità;
La crisi dei sistemi pensionistici e mutualistici ha aperto spazi per la previdenza integrativa
alla quale le aziende sono chiamate a contribuire offrendo pacchetti retributivi comprendenti
piani pensionistici e assicurativi di varia natura.
In questo quadro la gestione delle politiche retributive si è fatta più complessa e richiede l’uso di
strumentazioni sofisticate. Tradizionalmente la politica retributiva è sintetizzabile attraverso tre
parametri:
1. posizionamento retributivo (o livello retributivo): è il saggio medio di retribuzione
che l’impresa decide di pagare dunque assicura la competitività esterna delle
retribuzioni, ma trova un limita nella ability to pay dell’impresa la quale impone un
vincolo di economicità;
2. la struttura delle retribuzioni: dovrebbe assicurare l’equità interna attraverso la
gestione dei differenziali retributivi tra i vari ruoli e posizioni;
3. la dinamica delle retribuzioni: dovrebbe sollecitare e riconoscere i contributi di
ciascuno, assicurando un elevato livello di soddisfazione.
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2.1 - Il livello retributivo
Il livello retributivo è un indicatore della scelta operata dall’azienda in termini di posizionamento
sul mercato delle retribuzioni, ovvero rappresenta “il saggio di retribuzione che l’impresa intende
pagare, tenuto conto della contrattazione collettiva, di ciò che fanno le altre imprese e della
capacità di pagare dell’impresa”6.
Tale scelta viene operata tenendo presente tre fattori di riferimento:
Il livello stabilito dalla contrattazione, rappresenta l’obbligo dell’organizzazione riferito al
livello stabilito dalla contrattazione collettiva, che impone il limite sotto cui l’azienda non
può andare;
Andamenti del mercato del lavoro, che è rappresentato dal livello retributivo medio adottato
da aziende similari sul mercato, nel rispetto del principio di competitività all’esterno. È
l’azienda stessa poi a scegliere in quale posizione collocarsi rispetto alla media di mercato,
su tale concetto si tornerà in seguito;
Il livello definito della “ability to pay”, o capacità contributiva dell’impresa. È un limite che
l’azienda non deve superare per non mettere in pericolo l’equilibrio economico-finanziario,
se ne deduce che l’obiettivo di posizionamento andrà calcolato in base alle proprie esigenze
rispettando però, le reali disponibilità economiche che si hanno.
Riprendendo il concetto sull’andamento del mercato del lavoro, se l’azienda sceglie di collocarsi in
una posizione al di sotto della media di mercato, ha meno possibilità di attrarre personale capace,
inoltre riscontra alti tassi di turnover e un basso coinvolgimento delle proprie risorse umane
nell’attività d’azienda. Tale situazione può anche essere accettata dall’azienda se l’attività svolta dai
lavoratori non comporta alti costi di formazione e se l’offerta sul mercato del lavoro è elevata
rispetto alla domanda. Per contro le organizzazioni che tendono a collocarsi al di sopra della media
di mercato, attrarranno professionalità elevate, esercitando politiche volte a far ricoprire stabilmente
dalle stesse persone le posizioni chiave “il proprio core business”. L’azienda può infine scegliere la
possibilità di collocarsi su un livello di retribuzione medio del mercato, confidando di poter
realizzare la propria attrattiva mediante altri fattori tra cui la possibilità di formazione, prospettive
di sviluppo, situazione logistica favorevole, ecc… L’azienda compie le proprie scelte di
posizionamento in base a dei rapporti tra parametri specifici fondati su una attendibile e corretta
definizione dei mercati di riferimento e su adeguate indagini retributive per l’acquisizione delle
informazioni necessarie. Per compiere tali indagini, soprattutto riguardo alle così dette “posizioni
6 Paneforte S., “La gestione delle persone nell’impresa”, CEDAM, Padova, (1999)
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chiave”, devono rispettare alcune regole: confrontare posizioni di uguale peso e importanza sul
mercato, includere informazioni rilevanti rispetto al sistema premiante nella sua totalità,
comprendere tutte le variabili retributive e non, contemperare cadenza periodica con accertata
affidabilità. Può accadere che l’azienda non riesca ad attuare immediatamente il posizionamento
auspicato dovendo distinguere tra il posizionamento desiderabile e quello effettivamente
conseguibile. È infine da segnalare che spesso le imprese leader nel mercato sono anche leader nel
livello retributivo soprattutto perché la possibilità di selezionare e coinvolgere il personale con le
caratteristiche migliori è uno dei presupposti del loro successo, della loro capacità innovativa e del
buon clima interno. Può darsi comunque che imprese di successo non sentano la necessità di
assumere la leadership nei livelli retributivi in quanto affidano la loro capacità di attrazione alla
solidità, alle prospettive di sviluppo e alle possibilità di professionalizzazione dei lavoratori.
(Figura 2.1)
Livello retributivo di impresa. Fonte: Paneforte S., “La gestione delle persone nell’impresa”, CEDAM,
Padova, (1999)
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2.2 - La struttura retributiva
La struttura retributiva anche detta curva retributiva aziendale, “consiste in una scala di valori che
un’organizzazione utilizza come metodologia per retribuire i propri dipendenti”7.
Stabilisce l’ammontare della retribuzione per le diverse posizioni di lavoro o per le diverse
qualifiche. Per definire la struttura, una volta scelto il posizionamento tendenziale del livello
retributivo, vengono individuate le classi retributive corrispondenti alle diverse classi di posizione
del lavoro o classi di qualifiche.
Il primo passo da compiere è quindi quello di individuare le classi retributive, le quali comprendono
tutti i ruoli che presentano mediamente lo stesso ordine con conseguente livellamento sul piano
retributivo.
(Figura 2.2)
Struttura retributiva di impresa. Fonte Costa G.,“Manuale di gestione del personale”, Torino, UTET, 1992
Ognuna delle classi retributive è interessata da un livello minimo e un livello massimo; il livello
medio viene riconosciuto dall’azienda come una prestazione normale.
La politica retributiva ha il compito di definire la modalità retributiva all’interno di una stessa
classe, anche detta mobilità retributiva orizzontale, cioè definire le condizioni di passaggio da un
punto retributivo ad un altro all’interno della stessa classe, mentre la mobilità retributiva
verticale, rappresenta le condizioni di passaggio da una classe retributiva ad una superiore.
La politica retributiva esplicita dunque i differenziali retributivi rispetto a:
7 Hay Management Consultants Group (a cura di), “Il personale”, Pirola, Milano, (1990)
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posizioni di lavoro uguali (o qualifiche uguali): queste differenze si originano da norme
legislative o contrattuali (scatti di anzianità, assegni familiari) o da scelte aziendali (aumenti
di merito, incentivi);
posizioni di lavoro differenti entro la stessa azienda: queste differenze, che si originano da
differenze nei contenuti delle posizioni o nelle caratteristiche professionali, contribuiscono a
definire il livello di equità percepita e di incentivazione;
posizioni di lavoro di altre imprese: queste differenze incidono ancora sull’equità percepita
e sull’incentivazione ma, soprattutto, sul grado di competitività della struttura retributiva.
Nella costruzione delle classi, rimane sempre valido il principio di correttezza e coerenza questo per
rendere accettabile agli operatori aziendali i differenziali retributivi, garantendo così sia l’equità
interna che l’equità esterna.
L’entità di tali differenziali retributivi deve essere calcolata in modo da non essere troppo elevata,
ciò per non generare un’idea di non equità. Infatti bisogna evitare che la soddisfazione degli
appartenenti alle classi superiori generi una profonda insoddisfazione degli appartenenti alle classi
inferiori. I differenziali, quindi, devono essere nel contempo abbastanza elevati da generare nelle
inferiori il desiderio di percorrere una carriera organizzativa e nelle superiori l’idea che le loro
maggiori competenze e responsabilità siano adeguatamente apprezzate.
Inoltre oggi c’è una tendenza, il broadbanding, a ridurre il numero delle classi retributive per
comprendere al loro interno un numero maggiore di posizioni e persone con diverse caratteristiche.
Ciò è in parte dovuto alla riduzione dei livelli gerarchici, in parte alla maggiore attenzione alle
competenze delle persone. Si può coprire una posizione a banda larga con diversi livelli di
competenza e quindi sviluppare una carriera retributiva senza cambiare ruolo. Questa
tendenza consente una maggiore flessibilità ed è più semplice da gestire anche se lascia più margini
alla discrezionalità.
Infine una struttura retributiva dovrebbe comunque avere le seguenti caratteristiche:
assicurare equità interna
assicurare competitività esterna
essere contrattualmente e legalmente corretta
essere comprensibile e accettabile
essere semplice da amministrare
essere in grado di proteggere e sviluppare l’investimento in capitale umano
garantire flessibilità
rispondere alle specificità dell’organizzazione
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E’ anche importante sottolineare che le differenze retributive avranno un effetto incentivante e
motivante perché ad incrementi di responsabilità, autonomia e professionalità corrisponderanno
incrementi di retribuzione, tenendo sempre ben presenti però i criteri di equità. In tema di equità
non è in discussione l’esigenza di attrarre, trattenere e motivare i manager con le migliori
competenze con buoni compensi. Più spesso è stata varcata però la soglia dell’equità nello stabilire i
relativi differenziali retributivi: J.P. Morgan fornì, negli anni ’20, una ricetta per assicurare l’equità
dei compensi e per evitare che i differenziali retributivi aumentassero al punto da diventare
socialmente intollerabili. Secondo Morgan lo stipendio del presidente di una società non deve mai
superare quello dei suoi operai, moltiplicato per 20. Il rapporto, mediamente rispettato fino agli ’70,
subì un forte boom con la grande esplosione dei compensi dei manager americani arrivando perfino
a toccare picchi di 531 per scendere a 273 nel 2002. Questo non è successo nei Pesi Europei che
sono riusciti a mantenersi su valori modesti o comunque non troppo superiori8.
2.3 – Le dinamiche retributive
La dinamica retributiva “sintetizza l’atteggiamento aziendale nei confronti delle variazioni salariali
nel tempo”9, e si basa su fattori automatici, come le indicizzazioni retributive e gli scatti automatici
di anzianità, fattori contrattuali come la remunerazione della produttività, e fattori aziendali o
discrezionali come i piani di incentivazione.
La dinamica retributiva aziendale si inserisce negli spazi lasciati dalla contrattazione
collettiva e dagli automatismi, a questa compete di anticipare e controllare eventuali tensioni sul
mercato del lavoro riconducibili ad alcune categorie che hanno una notevole forza contrattuale,
inoltre segue e sostiene il ciclo di vita professionale dei lavoratori andando a correggere anche
eventuali distorsioni prodotte dagli automatismi e dalla contrattazione sindacale.
Prendendo in considerazione i sindacati, questi, attraverso la contrattazione collettiva negoziano
variazioni retributive per ridistribuire incrementi di redditività o per migliorare la quota dei salari
rispetto ai profitti o ancora per compensare gli effetti inflazionistici.
L’aspetto più rilevante della dinamica retributiva aziendale rimane quello motivazionale ed
incentivante che ha l’intento di favorire l’incontro tra gli obiettivi individuali e quelli aziendali.
La dinamica retributiva viene alimentata essenzialmente dal meccanismo di adeguamento
all’incremento del costo della vita. Per tale adeguamento vi sono due modalità perseguibili:
8 Costa G., “Economia e direzione delle risorse umane”, UTET, Torino, 1997
9 Costa G., “Manuale di gestione del personale”, Torino, UTET, 1992
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1) clausola di revisione automatica secondo la quale in presenza di una variazione superiore ad
una certa soglia, le parti si incontrano anche prima della scadenza del contratto e definiscono
un certo aumento;
2) clausola di aggiustamento automatico secondo la quale la variazione dei prezzi dà luogo, a
scadenze fisse e sulla base di parametri predeterminati, a variazioni retributive che possono
essere definite sia in misura percentuale sia in misura fissa.
Alcuni di questi incrementi sono negoziati una tantum alle scadenze contrattuali, altri sono definiti
con una certa stabilità e operano in maniera automatica. I fattori contrattuali comportano di solito
aumenti generalizzati di retribuzione in misura fissa o proporzionale e, differenziata per le diverse
categorie di lavoratori. La dinamica retributiva contrattuale è stata caratterizzata in Italia da
automatismi e da incrementi in misura fissa.
Inoltre, per la parte libera da vincoli normativi, l’impresa gestisce la dinamica retributiva con le
seguenti finalità:
correggere le alterazioni della struttura retributiva indotte da automatismi o effetti della
contrattazione;
anticipare o comunque controllare eventuali tensioni del mercato del lavoro riguardanti
particolari categorie di lavoratori con posizione di particolare forza contrattuale;
seguire e sostenere il ciclo di vita professionale del lavoratore;
sollecitare e remunerare livelli alti di prestazione o il raggiungimento di obiettivi aziendali o
funzionali.
Particolare importanza assume l’aspetto motivazionale e incentivante della dinamica retributiva che
può permettere al lavoratore di identificarsi negli obiettivi aziendali e all’impresa di regolare e
controllare la variabilità dei comportamenti di questo. Affinché ciò avvenga la dinamica retributiva
va inserita nel contesto del sistema premiante, che comprende anche le ricompense organizzative e
sociali.
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CAPITOLO 3 – Gli strumenti della retribuzione
Gli strumenti per la gestione della dinamica retributiva e per compiere un’azione incentivante sono
molti e vari, e possono essere classificati in due categorie:
1. Variabilità della differenziazione retributiva:
differenziazione retributiva variabile, quando la dinamica salariale dà luogo ad
aumenti reversibili poiché sottoposta ad un legame con taluni parametri di
riferimento come il rendimento o le vendite;
differenziazione retributiva fissa, quando la dinamica salariale dà luogo ad aumenti
definitivi e irreversibili della base retributiva legati alla valutazione dei meriti o a
passaggi di qualifica.
2. Orientamento temporale dello strumento:
al passato quindi riferito ad una prestazione specifica
al futuro quindi riferiti ad un ruolo da svolgere nell’organizzazione
Variabilità degli aumenti
Orientamento Temporale
Aumenti
Reversibili/Variabili Aumenti Irreversibili/Fissi
Orientamento Passato
Cottimo
Provvigioni
Profit sharing
Gain sharing
Goal Sharing
Bonus
Promozioni e aumenti di
merito basati sulla prestazione
Stock Options
Orientamento Futuro
Sistema di incentivi per
obiettivi (MbO)
Benefit di status
Aumenti di merito basati sul
potenziale
Carriera retributiva
(Tabella 3.1)
Gli strumenti di differenziazione retributiva ordinati secondo la variabilità e l’orientamento temporale.
Fonte: nostre elaborazioni su Costa G., 1992, op.cit.
18
3.1 - Incrementi retributivi variabili
Laddove i fattori retributivi tradizionali non arrivano, sono state studiate forme di retribuzione
variabile, che rispondono a molteplici esigenze sintetizzabili in tre fattori di fondo:
Addivenire alla riforma della struttura del salario;
Ridefinire, nell’ambito del sistema delle relazioni industriali, le materie delegate ai diversi
livelli di contrattazione;
Controllare la dinamica del costo del lavoro in un contesto internazionale sempre più
competitivo.
A livello “micro”, le motivazioni che spingono le singole aziende a sistemi variabili di retribuzione,
possono rinvenirsi nella flessibilizzazione di una parte della retribuzione in funzione
dell’andamento aziendale (con riferimento costante alla specifica ability to pay); ovvero nella
ripartizione delle erogazioni salariali aggiuntive secondo criteri oggettivi e trasparenti;
nonché nell’esigenza di sviluppare la motivazione dei collaboratori. Tali formule di variabilità
retributiva legata ai risultati, viene progettata e implementata in base a dei fattori contingenti come,
ad esempio,la dimensione aziendale, le caratteristiche del management, lo stato delle relazioni
sindacali, le richieste del mercato, ecc.. tra i vari fattori contingenti è bene menzionare anche la
cultura aziendale, che può porre dei grossi limiti di compatibilità con la struttura adottata.
Vista la molteplicità e complessità tecnica, giuridica e fiscale di dette formule retributive variabili,
vogliamo ricordare brevemente quelle più significative.
3.1.1 – Il cottimo
Il cottimo fa parte delle retribuzioni a rendimento, o incrementi retributivi reversibili, di cui
costituisce l’applicazione più rilevante, insieme alle provvigioni. Sono entrambi compensi legati al
rendimento del lavoratore nello svolgimento di un singolo compito, e si aggiungono solo
occasionalmente alla retribuzione di base.
Per quanto riguarda il primo strumento, il cottimo, questo consiste nel legare parte della retribuzione
ad un certo risultato produttivo predeterminato attraverso standard, quindi si avranno premi
proporzionalmente crescenti ad aumenti di quantità di produzione. L’impresa ha interesse ad
utilizzarlo quando esiste una relazione significativa tra l’intensità dell’impegno ed il risultato
produttivo, oppure quando questa relazione è misurabile, cioè quando è possibile valutare
l’incremento dello sforzo e dell’intensità di lavoro necessario per incrementare un certo risultato
produttivo. È infine consigliato all’impresa, quando sia ipotizzabile un certo vantaggio economico,
19
in termini di maggiore produzione, idoneo a compensare i costi di standardizzazione e misurazione
del lavoro da sostenere per definire i livelli di rendimento da incentivare10
.
Quando esistono le condizioni generali e specifiche di applicabilità, al cottimo si attribuiscono i
seguenti vantaggi:
Costituisce un fattore importante per l’incremento della produttività e per la riduzione dei
costi di produzione;
Richiede un minor livello di sipervisione per mantenere il flusso di produzione
programmato;
Incentiva i lavoratori a ridurre i tempi morti e a usare con maggiore efficienza macchine e
strumenti;
Consente, attraverso le razionalizzazioni organizzative e le misurazioni del lavoro che
implica, di adottare sistemi di costi standard e di controllo;
Per contro può presentare i seguenti svantaggi:
Possibile deterioramento della qualità della produzione indotto dalla incentivazione al
risparmio di tempo e dalla difficoltà di attribuire responsabilità in ordine alla qualità in un
sistema di lavoro ripetitivo e parcellizzato: si possono verificare situazioni in cui i costi
addizionali di un sistema di controllo della qualità assorbono i vantaggi del cottimo;
Errori nel calcolo degli standard produttivi o nella curva di incentivazione possono produrre
situazioni di conflittualità, danni fisici e psichici, deterioramento del clima aziendale;
I costi di introduzione e amministrazione del cottimo, spesso mal valutati, possono assorbire
potenziali benefici in termini di produzione;
Si può accentuare la rigidità dei lavoratori nei riguardi dei cambiamenti e della tecnologia o
dei metodi che implicano una ridefinizione delle loro abilità.
3.1.2 – Le provvigioni
Passando al secondo strumento, le provvigioni ai venditori, possiamo dire che anche queste sono
stabilite con gli stessi criteri proporzionali del cottimo. È da sottolineare però che a differenza del
cottimo, gli incrementi di produzione, quindi di ordini trasmessi dai clienti, possono essere dovuti
non necessariamente a incrementi di impegno da parte dei venditori, ma a circostanze particolari
non derivanti dalle loro abilità. Anzi è addirittura possibile osservare risultati inversamente
10
Costa G., “Economia e direzione delle risorse umane”, UTET, Torino, 1997
20
proporzionali all’impegno profuso, ovvero, assistere a disinteresse verso la relazione da parte del
cliente, in seguito a un troppo profuso impegno al risultato da parte del venditore.
Questo ultimo aspetto, insieme alla raggiunta sicurezza della retribuzione, e alla automazione dei
processi produttivi (che hanno portato alla trasformazione di aziende di prodotto in aziende di
processo), hanno fatto progressivamente perdere importanza a questi primi strumenti basati su
risultati più quantificabili o tangibili, in contrasto con il crescente sviluppo di imprese di servizi11
.
3.1.3 – Il gain sharing
Il gain sharing comprende le formule che assegnano una parte della retribuzione sulla base di certi
indici di risultato, quali il contenimento di certe classi di costo e il miglioramento della qualità.
Rispetto ai metodi precedenti, queste forme di incentivazione collettiva non puntano a sollecitare e
a premiare direttamente la prestazione individuale ma, in quanto fanno riferimento ad un risultato
complessivo, puntano a sollecitare la collaborazione tra i vari lavoratori. Inoltre, contrariamente ai
precedenti che prevedevano una standardizzazione dei metodi e dei tempi, non sono legate a
standard produttivi predefiniti, ma a indicatori di efficienza e di efficacia chiaramente dipendenti
dall’impegno dedicato dagli addetti.
La gestione di questi strumenti può presentare i seguenti problemi:
- bassa valenza motivazionale quando risulti elevata la distanza tra il contributo
individuale e il risultato aggregato;
- rigidità delle formule usate per la distribuzione del premio;
- difficoltà a comprendere che produttività ed efficienza sono condizioni necessarie ma
non sufficienti per un risultato economicamente significativo;
- rischio di premiare chi parte da una situazione di inefficienza e di frustare coloro che
già operavano a livelli elevati di efficienza.
Il primo ha come obiettivo il risparmio nel costo del lavoro necessario a raggiungere un determinato
risultato produttivo. Ogni risparmio rispetto a questo costo viene poi distribuito tra lavoratori e
azienda. Inizialmente si calcola un costo del lavoro teorico come percentuale ottimale del valore
della produzione, quindi, l’eventuale risparmio ottenuto riducendo il costo del lavoro costituiva la
base di riferimento per calcolare un bonus con il quale compensare i lavoratori interessati. Questo
metodo ha subito affinamenti nel corso degli anni, passando da semplice “lotta contro gli sprechi”
11
Aru A., Tasso F., “Organizzazione e risorse umane. Modelli teorici e strumenti operativi.”, Jackson, Casale
Monferrato, 1989
21
(in specie ritenuti ai consumi come spese amministrative, cancelleria, elettricità, ecc…), a indici più
qualitativi, quali l’impatto sulla sicurezza del lavoro o il grado di soddisfazione della clientela12
.
Il piano Rucker è invece realizzato collegando una parte della retribuzione all’andamento del valore
aggiunto dell’azienda, confrontato con l’andamento del costo del lavoro. Il bonus è quindi in
funzione dell’incremento del rapporto tra valore aggiunto e costo del lavoro.
3.1.4 – Il profit sharing
Il profit sharing si differenzia dalle altre forme di dinamica retributiva, basate sul rendimento o sui
risultati, in quanto assume come base di riferimento il risultato economico nel suo complesso e non
l’esito di prestazione individuale o di gruppo. Ciò pone il problema dell’individuazione delle
variabili che influenzano il risultato economico generale e del loro collegamento con la
retribuzione. Le posizioni lavorative in grado di influenzare direttamente il profitto e di sopportare
il rischio di legare una parte consistente della loro retribuzione al risultato economico, sono poche e
sono collocate ai massimi livelli della gerarchia. Naturalmente tutti i lavoratori contribuiscono al
risultato economico ma questo contributo non è direttamente evidenziabile. La partecipazione agli
utili può far parte del pacchetto di ricompense riservato ai massimi dirigenti anche se esistono casi
in cui queste politiche sono diffuse con successo a tutti i livelli.
Nel profit sharing, il risultato aggregato d’impresa, è preso a base per la variabilità retributiva senza
tentare di premiare il lavoratore per specifiche attività che incrementano la produttività e
l’efficienza. Si riscontrano i seguenti problemi:
basso impatto sui comportamenti quando è elevata la distanza tra contributo individuale e
performance economico-finanziaria d’impresa;
rigidità dello strumento che impedisce di mobilitare risorse per altre forme di incentivazione
più legate ai comportamenti individuali o di gruppo;
bassa flessibilità strategica in quanto impedisce di focalizzare il sistema premiante su altri e
più specifici obiettivi strategici;
limitate possibilità di controllo del profitto, sempre maggiori via via che si scende nella
scala gerarchica.
In ogni caso l’uso dello strumento ha maggiori probabilità di successo quando:
esiste una elevata interdipendenza tra le varie unità organizzative;
nelle fasi di avvio e sviluppo dell’azienda;
in imprese che operano in mercati del lavoro dove tale pratica è diffusa;
12
D’Anna R., “La gestione programmata delle risorse umane”, Giappichelli Editore, Torino, 2007
22
in aziende in grado di offrire un mix di incentivi individuali e collettivi.
3.1.5 - Il goal sharing
Oltre ai già citati strumenti di gain e profit sharing, possiamo citare i goal sharing, che fissano
traguardi il cui raggiungimento determina incrementi retributivi. Questi sono basati
sull’assegnazione ad individui responsabili o a settori dell’organizzazione di specifici obiettivi da
raggiungere, facendo a questi corrispondere l’erogazione di premi variamente misurabili.
3.1.6 – I bonus
Passiamo quindi ad analizzare i bonus, definiti come: “premi in denaro conferiti individualmente o
a gruppi a fronte di uno o più risultati che vengono giudicati ex-post eccezionali o comunque
rilevanti”13
.
In questo caso il processo di riconoscimento dei risultati ha un carattere maggiormente
discrezionale, al contrario del caso degli incentivi dove l’obiettivo e il premio ad esso correlato sono
stabiliti a priori. Nel nostro caso infatti è evidente l’importanza delle caratteristiche di equità e
coerenza che si devono mantenere nella valutazione dei risultati utilizzando parametri facilmente
riconoscibili come validi e credibili dai collaboratori.
3.1.7 - Gli incentivi per obiettivi
Un ulteriore metodo di flessibilizzazione della retribuzione è quello di adottare premi di vario tipo
collegati al sistema di incentivi per obiettivi; gli incentivi sono riconoscimenti retributivi legati a
risultati significativi o standard di prestazioni prestabiliti. Le ricompense relative si perfezionano
con il raggiungimento e il superamento di obiettivi-target predefiniti, è qui implicito il riferimento
al Management by Obiectives (MbO), con il quale si dà piena forza all’azione e alla responsabilità
individuale e nel contempo si configura un indirizzo comune di visioni e sforzi.
Semplificando il loro funzionamento si basa sul rendere preventivamente noto (ex-ante) quali sono
le aspettative dell’azienda, in termini di risultati, e i rispettivi incentivi collegati al raggiungimento
di detti risultati, questo grazie a controlli ex-post sugli outputs tramite opportuni feed-back14
.
13
Hay Management Consultants Group (a cura di), “Il personale”, Pirola, Milano, (1990) 14
Fontana F., “Lo sviluppo del personale”, Giappichelli, Torino, 1994
23
3.1.8 – I fringe benefits
L’ultimo strumento di retribuzione variabile che vogliamo analizzare sono i fringe benefits, che
costituiscono benefici integrativi della retribuzione che svolgono una funzione di rinforzo dei
comportamenti richiesti dall’organizzazione. I fringe benefits possono essere previsti per la totalità
dei dipendenti, assumendo, in tal caso, la configurazione di incentivi di sistema. Quando sono
previsti soltanto per determinati livelli di qualifica, essi tendono a caratterizzare lo status associato
al livello di qualifica o al ruolo. Spesso sono erogati selettivamente, in funzione del tipo di incarico
o dei risultati delle prestazioni. In molti casi i fringe benefits sono nati come sostitutivi di una parte
della retribuzione fissa o di rendimento che, se erogata direttamente, avrebbe causato distorsioni
dell’assetto retributivo. In altri casi, soprattutto nella realtà italiana, sono sorti per allentare la
pressione fiscale e contributiva su una parte della retribuzione. In realtà, gran parte dei fringe
benefits devono considerarsi come componenti della retribuzione e, quindi, dovrebbero subire il
trattamento fiscale e contributivo come altre voci retributive.
I fringe benefits più diffusi sono:
il garage per l’automobile: generalmente è previsto per gli appartenenti a determinate
funzioni o a determinati livelli gerarchici;
l’automobile anche per uso privato;
periodi di aggiornamento retribuiti all’estero, con estensione ai componenti della famiglia
delle spese di viaggio e soggiorno;
disponibilità della casa di civile abitazione;
assicurazione sulla vita;
prestiti a tasso d’interesse agevolato;
pagamento delle quote d’iscrizione ad associazioni culturali o scientifiche;
polizze integrative dell’assistenza sanitaria.
È infine da sottolineare l’importanza di questi strumenti oltre certi livelli retributivi, per i quali il
premio in denaro non ha sufficiente carica motivante, pure per la misura che percentualmente risulta
essere assai contenuta rispetto alla retribuzione di base. In questi casi infatti si incide sullo status
individuale, poiché si sancisce l’appartenenza del beneficiato a certe categorie aziendali
privilegiate.
24
3.2 - Incrementi retributivi fissi
Passiamo quindi ad approfondire le forme di dinamica retributiva che assegnano stabilmente
incrementi retributivi in base a una valutazione globale del coinvolgimento del lavoratore
nell’organizzazione e delle sue caratteristiche individuali.
In base alla tabella 3.1 abbiamo individuato tre principali strumenti di incrementi retributivi fissi:
gli aumenti di merito (basati sulla prestazione e basati sul potenziale), la carriera per anzianità, e le
stock option.
3.2.1 – Gli aumenti di merito
Per quanto riguarda gli aumenti di merito, si tratta di forme congruenti con strategie d’impresa di
lungo periodo, volte al consolidamento del business, al raggiungimento di specifici obiettivi
commerciali, di ricerca e di sviluppo. Sono collegati a processi di valutazione dei meriti della
prestazione o del potenziale, e si propongono da un lato di conferire sistematicità e coerenza alla
dinamica retributiva, dall’altro di coinvolgere il management diretto (line) nella gestione di una
parte della retribuzione. L’uso di procedure di valutazione dei meriti e del potenziale, associate ad
aumenti di merito e gestite con il concorso determinante della line, consente di rafforzare il ruolo
della gerarchia, delimitandone tuttavia la discrezionalità entro spazi definiti e controllabili.
3.2.2 – La carriera per anzianità
La carriera per anzianità è gestita attraverso curve retributive di anzianità (seniority) le quali
prefigurano itinerari retributivi con un numero predeterminato di salti (da non confondere con gli
scatti automatici di anzianità propri della contrattazione collettiva).
La carriera consente una fusione tra dimensione oggettiva (parametri di prestazione e
comportamento) e dimensione soggettiva (valutazione discrezionale da parte della linea gerarchica),
e favorisce un’integrazione del lavoratore nel proprio ruolo e la sua proiezione nel futuro. Inoltre
pur sollecitando forme limitate di competizione, esclude possibili conflitti tra lavoratori più anziani
e meno anziani, conflitti che sarebbero particolarmente negativi nelle situazioni nelle quali la
collaborazione risultasse più importante della prestazione individuale e nelle quali la
professionalizzazione dei più giovani avvenisse con il concorso determinate dei più anziani.
La programmazione delle carriere è essenzialmente un strumento di programmazione del personale
volto ad assicurare la disponibilità del personal necessario, nei tempi e con le modalità, espresse
25
dall’azienda. Si basa sull’utilizzo del mercato interno del lavoro e sulla valorizzazione di quella
particolare forma di investimento costituita dall’acculturazione aziendale, intesa in senso sia sociale
che tecnoco-professionale.
Essa però, può essere efficacemente usata anche come strumento di incentivazione e integrazione
del personale volto ad associare alla dinamica retributiva una dinamica sociale ed organizzativa.
Infatti rispetto ad altre forme di incentivazione, che si basano su un miglioramento del rapporto
prestazione/retribuzione monetaria, in una visione statica, la programmazione delle carriere rede
articolato il concetto di prestazione e remunerazione, oltre a dilatare l’orizzonte temporale di
riferimento.
Infine è importante evidenziare che questo strumento è applicabile solo a compiti e personale le cui
caratteristiche sono suscettibili di evoluzione e di crescita, e tende a valorizzare quelle forme di
mobilità che non implicano necessariamente passaggi di livello gerarchico ma solo passaggi di
funzioni (a parità di livello gerarchico) o avvicinamento a funzioni e compiti ritenuti più gradevoli o
più prestigiosi.
3.2.3 – Le Stock Options
I piani di Stock Options sono caratterizzati per l’offerta dell’opzione d’acquisto da parte di una
società delle proprie azioni ai suoi dipendenti, entro un determinato periodo di tempo e ad un prezzo
prefissato, di norma inferiore del (10-20%)15
al corso borsistico del titolo. Questo metodo che offre
piani di partecipazione all’azionariato, presenta due vantaggi fondamentali: il primo di natura
motivazionale e gestionale, in quanto si instaura un più stretto collegamento tra interesse dei
beneficiari al valore dell’azienda e alle sue prospettive di lungo periodo; il secondo di natura
strettamente economica, poiché le persone potranno valutare, in sede di diritto d’opzione, la
convenienza all’acquisto in ragione del valore di mercato delle azioni.
Sono contratti di incentivazione che assegnano al manager la facoltà di acquistare o di sottoscrivere
titoli rappresentativi del capitale di rischio dell’impresa. Le opzioni attribuite al manager concedono
il diritto di acquisire le azioni entro un dato intervallo di tempo e ad un dato prezzo.
I piani di stock options sono ritenuti tra i meccanismi retributivi più efficaci per l’incentivazione di
lungo periodo in quanto allineano gli interessi dei manager a quelli degli azionisti, incentivano la
creazione di valore nel medio-lungo periodo, attraggono e fidelizzano i collaboratori chiave
dell’impresa e favoriscono l’identificazione dei manager con l’impresa. Il funzionamento è
semplice: il manager è motivato a compiere scelte di gestione che incrementano il valore delle
15
D’Anna R., “La gestione programmata delle risorse umane”, Giappichelli Editore, Torino, 2007
26
azioni perché, nel caso questo sia superiore al prezzo di esercizio delle opzioni, può comprarle e
cederle successivamente sul mercato guadagnando sul differenziale tra il prezzo di acquisto e quello
di vendita.
Il comportamento dei dirigenti che usufruiscono del diritto è raramente in grado di esercitare
un’influenza apprezzabile sul corso del titolo nel breve periodo, attraverso l’impostazione e
l’attuazione di brillanti scelte strategiche. Ne consegue che l’intervallo di opzione deve essere
collocato in un arco di tempo che va dai due ai cinque anni, ciò perché, si tende ad impedire ai
managers manovre speculative sul titolo, prevedendo vincoli al trasferimento di proprietà delle
azioni acquistate attraverso l’esercizio dell’opzione16
.
16
D’Anna R., “La gestione programmata delle risorse umane”, Giappichelli Editore, Torino, 2007
27
Conclusione
Qualunque siano i metodi utilizzati per riuscire ad incentivare un certo comportamento, è necessario
che le politiche retributive riescano a generare una relazione tra l’impegno del lavoratore e la
ricompensa addizionale, cioè che questi attribuisca, ad un dato comportamento una relativa
ricompensa. Per riuscire ad avere questo, è importante che il piano di variabilità retributiva sia
compreso dal personale, quindi che i parametri presi in riferimento siano noti e confrontabili
facilmente in modo da calcolare il risultato retributivo, inoltre tali parametri devono essere
direttamente influenzabili dai comportamenti del lavoratore.
E’ altresì importante che i feedback siano frequenti, dato che sono importanti nel controllo del
comportamento e che l’impatto retributivo sia significativo.
28
Bibliografia
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29
Sitografia
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www.lavoropa.it
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