L’ACQUA SCORRE
NELLA BIBBIA
Classi IA, IB, ID, IIA, IIB, IID, IIE, IIID
LICEO CLASSICO ‘G. PRATI’ – TRENTO
Anno Scol. 2017-18
2
Parole precipitano come pioggia su queste pagine. Parole si infrangono come onde del mare.
Parole leggere alleviano i miei dolori. Queste sono parole d'acqua.
Luisa Longobucco, Silvia Lorenzin IIE
3
Tra acqua e cielo
L'argomento è l'acqua, scorrono parole
educo i miei figli, annaffio la mia prole
millecinquecento volte nell'Antico Testamento
l'acqua ricorre come un'oasi nel deserto
le gocce del mare, bere, sognare
l'apertura del mare Rosso, la paura dell'abisso
il mare come un mostro, un passaggio senza costo
il pensiero fisso, l'incontro in un riflesso
la conoscenza al pozzo, conoscere me stesso.
La cesta della salvezza, Noè e la sua fede
il giudizio universale, nessuno che ci crede
il diluvio devastante, lo scontro con un iceberg
l'umanità che cede alla morte più scioccante.
Ma poi in un istante accade l'inaspettato
la colomba apparve: «Dio ci ha salvato!»
L'ὕδωρ della vita non si esaurirà
ci disseterà, l'arca è ricostruita.
Giacomo Degasperi, Alessandro Bassetti, Federica Imoscopi, Valentina Filippi Adelina Todica, Nicolas Defant, Benedetta Pedrolli IIB
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DAVIDE E BETSABEA
Video: https://drive.google.com/open?id=1jxUte4yV31FBcu6YHdzPiDchHgYLY3q-
Betsabea: Le gocce d’acqua brillavano sul corpo di Betsabea come cristalli, mai Davide avrebbe
immaginato che quella donna vestita di stelle lo avrebbe portato a compiere l’errore più atroce della
sua vita
Davide: Un re forte e coraggioso sa sempre quello che vuole e, soprattutto, sa come ottenerlo. Spesso
per rimediare ai propri sbagli se ne compiono di ancora più grandi. Crolla Davide come un castello di
sabbia in balia dell’alta marea e cerca di pulire le mani dal sangue che per lui lontano è stato versato.
Amore: L’amore che ha inondato i cuori di Betsabea e Davide non era un semplice amore. I due infatti
sono stati sorpresi da una passione travolgente come le onde del mare durante una tempesta.
Tempesta che cambierà per sempre le loro vite.
Tristezza: Lacrime salate rigano il viso dei due amanti, come ha fatto un sentimento tanto dolce e
tanto nobile a trasformarsi in un errore mortale?
Vergogna: Goccia dopo goccia la consapevolezza sale e la vergogna inizia a divorare l’anima
dall’interno, vorresti sprofondare in un mare di solitudine ed isolamento e non riemergere più.
Paura: Come i fulmini che violenti squarciano il cielo durante un temporale e il rumore assordante
della pioggia che cade fitta, la paura di essere scoperti colpisce i due amanti, portandoli
inevitabilmente alla follia.
Morte: Le lacrime di Betsabea disegnavano sul volto migliaia di strade che lei avrebbe voluto
percorrere per tornare indietro e cambiare le cose. La morte di Uria, suo marito, le aveva distrutto il
cuore in un modo che lei non poteva neanche immaginare e rivoli di salato dolore scorrevano
incessanti dai suoi occhi.
Redenzione: Dall’unione di Davide e Betsabea nasce comunque Salomone. Inutile risulta puntare il
dito su Davide per il suo errore “un albero si giudica dai frutti” (Dal Talmud)
Testo: Sara Moi, Aurora Librandi IIE Fotografia: Noemi Paoli - Istituto grafico ‘Artigianelli’ Sottofondo musicale: Coro Agora del Liceo ‘Prati’ diretto dalla Maestra Clara Lanzinger (arrangiamento dell’Hallelujah di L. Cohen a cura di L. Benini e C. Lanzinger)
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I DUBBI AFFLIGGONO ANCHE DIO
Stanze composte di 8 versi (ottave) con schema di rime AB AB AB CC. Lo schema metrico è lo stesso che si trova nell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto e nella Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. Alla notte dei tempi un diluvio Dio mandò sulla Terra
poiché per l’operato dell’uomo molto si era adirato:
tra le persone infatti c’era continua guerra;
Lamech a causa di un graffio la morte di un ragazzo aveva causato.
Noè per la sua ricerca degli animali erra
perché questo era il compito per il quale da Dio era stato designato.
Conduceva nell’arca da lui costruita tutta la sua discendenza
e alle fiere pure ed impure garantiva accoglienza.
Una seconda volta dopo il diluvio Dio si era pentito
per la forza distruttiva della pioggia che aveva mandato,
dunque decise che il mondo andava subito ricostruito.
Non c’è dato sapere se per la disperazione abbia gridato
quando vide che il progetto della sua creazione era fallito,
quindi si mise d’impegno ed una nuova terra aveva plasmato.
Alla fine del suo operato spera che questo dall’uomo ben accolto venga
ma, turbato ancora da molti dubbi, tra sé pensa “purché tenga”.
Leonardo Hausbergher, Leonardo Lenzi, Alessandro Ugolini IIE
6
APOLOGIA DEL MARE
Non so, o uomini, che impressione vi sia rimasta dei miei accusatori; io, davvero, mi sono quasi
dimenticato di me stesso da quanto parlavano persuasivamente. Dai tempi che furono, date a me la
colpa delle vostre disgrazie: alluvioni, tempeste, maree. Mi accusate anche di divorare uomini in cerca
di salvezza come una bestia affamata, non curante delle vite che sprofondano negli abissi delle mie
braccia impetuose.
Non ricordate forse quando quel popolo straniero in fuga dall’Egitto mi venne incontro? Concessi loro
la salvezza. E ora voi mi accusate di essere un omicida per aver chiuso le mie acque sopra le teste degli
egiziani? Fui obbligato a compiere una scelta, e, qualunque essa fosse stata, in ogni caso un popolo ci
avrebbe rimesso.
Pensate davvero che io stesso scelga di strappare la vita agli innocenti e distruggere le loro case con
l’impeto delle mie acque? Non credete forse che come tutti voi ci sia un lato irrazionale nel mio
carattere? Anche la vostra natura iraconda è incontrollabile come la mia.
Inoltre, vi pare che sia solo per mano mia che accadono certe disgrazie? Non sono l’unico a dover
essere accusato: la Terra è soggetta anche agli istinti degli altri elementi.
Nei momenti in cui vi sono sembrato magari ingiusto, in realtà era Dio che, attraverso di me,
esprimeva il suo disappunto nei vostri confronti. Anche Giona veniva meno al volere del Signore e ho
deciso di condurlo io stesso sulla via per lui stabilita. Per non parlare del diluvio universale che non è
stato altro che una terribile conseguenza voluta da Dio per punire le vostre ignobili azioni.
Ma invece di puntare il dito contro di me, perché non esaminate prima voi stessi? In tutti questi anni
ho subito svariati abusi da parte vostra: dimenticate forse di tutto il petrolio che state mischiando alle
mie limpide acque? Tutti quei rifiuti che oltre ad inquinarmi, sono letali per le vite che abitano i miei
abissi e che nuotano nelle mie onde?
Ma è già l’ora di andarsene, io per la mia strada, voi per la vostra; sta a noi adesso decidere quale
intraprendere: voi se continuare a inquinarmi, io se gestire la mia natura iraconda. Ma nonostante
tutto io continuerò a riempire le vostre reti e voi, se vorrete, con fiducia le getterete.
Emma Trenti, Nicole Martemucci, Noemi Cologna, Elena Tamanini ID
7
JESUS ON THE WATER
He came down from the sky
https://drive.google.com/file/d/1DnP_jvUyi24CBJ9_HpCNSexO2o9KQF1j/view?usp=sharing
Canzone scritta sulla base musicale: Smoke On The Water
Tutti l'abbiamo visto
Camminare sulle acque
A parlare ai pescatori
Con stupore sulle facce
Lui disse: "Io vi renderò
Pescatori di uomini
Dovete solo seguire me”
Venite uomini!
Rit: Jesus on the water
He came down from the sky (x2)
Lui viene su dalla Giudea
Ora si trova in Galilea
Aveva sfamato un intero popolo
Di pani e pesci, un miracolo
Eravamo in balìa delle onde
Perché Gesù non risponde?
Ma ecco un uomo camminare sopra il mare
È il Messia, ci è venuto a salvare!
Rit.
Assolo
Rit.
Luca Cestari, Gabriele Andretti, Lorenzo Passerini IIA
8
Per il mare la liberazione
Metro: sei terzine incatenate di endecasillabi e due versi sciolti alla fine del testo.
Agli orecchi giunge il clangore delle armi,
ma il timore l'animo non colpisce;
so che il Signore è pronto ad aiutarmi.
D'improvviso l'acqua i piedi lambisce,
tosto dalla paura il cuore è preso
e dentro di me il dubbio si acuisce.
«Il Signore» - disse Mosè ciò appreso -
«è con voi: il mare ci potrà aiutare!»
La profezia non ho ben compreso
ed ecco che continuo a tentennare,
solo un miracolo mi convincerà.
Ma Mosè stende la mano sul mare
proclamando: «L'acqua si dividerà!»
Sospira, romba, ulula il vento,
scorgo la costa; eccola là!
Trattengo il respiro e con sgomento
guardo il mar inghiottire quei soldati
che non provarono alcun pentimento.
Il mare ha liberato i credenti,
e le catene continua a spezzare.
Eleonora Caldonazzi, Elisa Dalvai, Irene Bellin, IID
9
Scorre il tempo, sfoggi un sorriso.
Scorre il tempo, ascolti l’altro.
Scorre il tempo, tendi la mano.
Scorre il tempo, offri amore.
Scorre il tempo, ti sorridono.
Scorre il tempo, vieni ascoltato.
Scorre il tempo, accogli l’aiuto.
Scorre il tempo, ricevi amore.
Come l’acqua il tempo scorre,
tutto ciò che hai lasciato andare
ritornerà alla fonte,
placherà la tua sete,
lascerà un segno
“perché viva tu e la tua discendenza”. (Dt 30,19b)
Martin Fedrizzi, Chiara Giovanetti, Emanuele Tessadri, Gabriel Boninsegna, Michele Manzin IA
Getta il tuo pane sul volto delle acque, perché con il tempo lo ritroverai.
Qo 11,1
10
HO SETE Ho sete,
Ho bisogno di bere,
Di bere acqua, che è sorgente di vita.
Ed una spugna sulle mie labbra,
Mi illude di vivere ancora,
Ma è solo un inganno che fa male,
E mi lascia l'amaro in bocca.
Ma l'acqua è vita, dono di Dio,
E bisogna sempre avere sete,
Perché quando brami la vita,
Anche l'aceto ti disseta.
"Perdonali padre, perché non sanno ciò che fanno".
Matteo Mussari , Giacomo Zanetti IIID
11
IL SALMO DELL’ACQUA La cerva l'acqua desidera
e la mia sete solo te considera
All'ombra di una candela,
l'anima mia a te anela
Quando vedrò il volto tuo, Signore
riuscirai ad aprire il mio cuore?
Spero in Dio
e rendo l'acqua il mio unico desio.
Giovanni Arighi , Giulia Nollo, Emanuela Stamer IID
12
TEMPESTA
Tempesta di vento
flutti e onde
paura e terrore.
Egli dormiva.
Richieste d'aiuto
racchiuse in bisbigli.
Flebili lamenti
di dolore profondo
dall'abisso marino,
crudele, inghiottiti.
Dov'è la vostra fede?
Minaccia il mare.
E si sente solo
il tranquillo gocciolio
delle vele.
Tempesta di vento
per ricordarsi
l'odore di sole.
Camilla Dalfovo, Luisa Longobucco, Sara Predelli IIE
13
DE AQUA
Acqua su di noi, attorno a noi, dentro di noi
Acqua che scorre e diventa vino
Acqua che disseta la cerva
Acqua sorella, fonte di vita
Acqua sulle gote di Cristo
Acqua che uccide, avvolge le anime
Acqua che spegne il fuoco devastatore
Acqua che sferza la terra malata e risana
Acqua che salva, toglie il peccato
Acqua che genera vita, Vita Nuova
Giulia Torghele, Patrizia Cadonna, Martina Gasparrini e Silvia Lorenzin IIE
L’ACQUA
L’Acqua
lei è incolore, inodore, insapore
pura, trasparente, semplice
è ossigeno e idrogeno uniti assieme
acqua è ovunque
acqua è salvezza come fiume che culla Mosè.
Chiara Giovanetti, Maria Vittoria Birsa IA
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Bertoldi Pini Tea IA, Nostalgia dell’acqua che disseta
15
IL DILUVIO
Tra le integre rovine
di una società perduta
la bellezza non ha vita
in questa terra di confine
Tra la morte e il pentimento.
Sodoma e Gomorra perse,
colme di vite sommerse
morirono nel lamento.
Ma tra l'infuriar dei venti
e il fragore delle onde
cessa la rabbia e le sponde
riaffiorano clementi...
E riaffiora anche l'ulivo,
una candida speranza
or leggera, lieve avanza,
ora il mondo torna vivo.
Paolo Delaiti, Laura Dafrancesco, Sofia Ruele IIA
16
VERSO IL CUORE DEL COMPAGNO
Inchinati,
spogliati,
e specchiati in quest'acqua.
Spogliati d'orgoglio
e di egoismo.
Inchinati,
spogliati,
specchiati.
Vedrai il nostro riflesso.
«Come nell'acqua
si riflette l'immagine
del volto, così è
del cuore dell'uomo
verso il cuore del compagno». (Pr 19)
Elena Zanella, Laura Acquaviva, Elia Toscana IIE
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“EGLI SPANDE LA PIOGGIA SULLA TERRA” (Gb 5,10)
Giorgia Pagnusat, Sara Torresani, Stefania Coletti, Francesco Magaletti , Mattia Sartori IIID
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GIACOBBE E RACHELE AL POZZO
Un giorno, Giacobbe, dopo l’ennesimo litigio con il fratello, si diresse al pozzo per dissetarsi. Dopo
aver bevuto ed essersi bagnato la fronte con un po’ d’acqua si appoggiò sconfortato al bordo del
pozzo, facendo un respiro profondo.
Pozzo: “Ma Giacobbe, qual è il tuo problema?”
Giacobbe: “Non sopporto più mio fratello Esaù!”
P: “Cosa ti ha fatto?”
G: “Viene sempre prima di me, caccia meglio, mio padre lo adora, erediterà tutto e mi tratta con
sufficienza… e perché? È solo uscito dal grembo di nostra madre pochi istanti prima di me!”
P: “Vedrai che un giorno arriverà il tuo momento!”
G: “Mi piacerebbe tanto trovare qualcuno che mi metta al primo posto e che mi veda per ciò che sono
veramente - e che non sia mia madre!”
Nel frattempo giunse dalla parte opposta del pozzo una giovane ragazza, Rachele, la più bella di
Carran; anche lei sembrava avere un’aria piuttosto contrariata.
Pozzo: “Figliola, cosa ti turba?”
Rachele: “Sempre la solita storia! Tutta colpa di Lia, non ne posso più! Ho tantissimi corteggiatori che
chiedono la mia mano, ma finché mia sorella non decide di sposarsi, io sono costretta a restare
nubile!”
Pozzo: “Porta pazienza, vedrai che l’amore è davanti a te!”
Non appena Rachele smise di riempire il secchio, l’acqua si calmò e i due videro i propri volti riflessi.
Fu amore a prima vista.
Giacobbe le corse incontro e ‘la baciò’ (Gen 29,11).
Beatrice Cattani, Fabiana Di Felice, Sveva Mattivi IIID
19
THREATEN OR HOPE
Greta Ravelli, Laura Pellegrini IIID
20
ὕδωρ ῥεῖ
Scorre per colmare la sete degli animi:
non vi sarà più in eterno.
Scorre a liberare il peccato degli uomini
si ricongiungeranno a Lui.
Scorre nel profondo Giordano,
riemergeremo limpidi nel cuore.
Scorre nel miracoloso Mar Rosso:
saremo finalmente liberi.
Scorre, purifica, libera: l'acqua.
Francesca Flori, Maddalena Baruchelli, Giorgia Vulcan, Giorgia Vinante IIB
21
MOSÈ, GIONA, NOÈ E GESÙ
Un bimbo, geme protetto
da una cesta, blocca i flutti
del fiume, placido, fangoso
si snoda sinuoso nel deserto
E la cesta
lo protegge
Giona, pescatore nella rete del pesce
La parete del rifugio respira
Ritmicamente anche i pensieri
svolazzano sulla superficie
velata, del mare
Trave su trave,
passo su passo
goccia su goccia, è giunto il diluvio
ma ora felice, protetto, sicuro
piange i neri cavalloni da cui
è fuggito, tra i sommersi
salvato
Tocco leggero su acqua pesante
sul fiume, sul lago, sul mare cammina
E l'acqua lo sfiora, lo regge, lo segue
assetata, anela alla luce, terra riarsa
senz'acqua
Andrea Bazzoli, Cornelia Marafante, Matilde Margoni IIA
22
“Ha forse la pioggia un padre? Chi genera le gocce della rugiada?” (Gb. 38,28)
All’alba il luccichio del primo sole
si riflette nelle lacrime
pianto della notte
Si risveglia la natura
e il mondo muto
contempla la soave danza della pioggia
Con passi leggeri
rende fertile il suolo
che freddo accoglie il nuovo giorno
“ Ha forse la pioggia un padre?
Chi genera le gocce della rugiada?“
Valerio Macchiarella, Alice Mazzetto, Elena Gasperotti, Christian Malacarne IIA
23
IL POZZO DI GIACOBBE L'ACQUA RACCONTA
Sembra una giornata come le altre, il sole splende, i raggi accarezzano dolcemente la mia superficie.
Le voci mi arrivano attutite, non riesco a distinguere le parole dei discorsi, che si mescolano, si
intrecciano, giocano tra loro. All'improvviso dei passi. Inconfondibili. Delicati e leggiadri. Si affaccia,
canticchia un motivetto allegro con espressione serena, quasi distante. La corda inizia a tendersi,
scricchiolando il secchio si immerge. Sento il calore del legno esposto a lungo al sole cocente. Pochi
istanti dopo la samaritana, a fatica, risolleva il secchio verso di sé e sbuffando lo stacca dal gancio,
appoggiandolo ai suoi piedi. Il tonfo sordo interrompe il silenzio, rotto solo dagli ormai lontani
mormorii di quelli che, salutando la donna con un cenno del capo, si incamminano verso casa.
Non potrei dire di essermi accorta del suo arrivo, Gesù incede con passo rapido e in pochi istanti è alle
sue spalle. La donna, accortasi solo ora della sua presenza, senza nemmeno girarsi, alza gli occhi al
cielo stancamente e senza convinzione. Quante volte avevo visto quella scena! Eppure sta volta, per
qualche ragione, mi pare diverso. Dopo un attimo di silenzio, Gesù le dice: "Dammi da bere". Non
avevo mai visto un giudeo rivolgersi ad una samaritana, di solito non erano degnate nemmeno di uno
sguardo. Gesù risponde alla diffidenza della donna con queste parole: "Se tu mi conoscessi, non
avresti aspettato che fossi io a chiederti dell'acqua, anzi tu per prima me ne avresti domandata. Se
berrai la mia acqua non avrai più sete. Essa sarà per te fonte di salvezza in eterno". Con una punta di
invidia, sono costretta a riconoscere il valore di quell'acqua a cui non posso nemmeno sperare di
somigliare.
Elena Gius, Sofia Lionello, Pietro Boschini II D
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DIARIO DI BORDO
Primo giorno:
Oggi è il grande giorno, il giorno in cui la mia vita cambierà.
Non ho idea di come sarà questo viaggio, non l’ho mai immaginato prima, ormai ho imparato a vivere
senza aspettative, giorno per giorno, da quando il conflitto é iniziato e i miei fratelli non hanno più
fatto ritorno. Con le aspettative è anche svanita l’idea di “casa” come quella di famiglia: sono solo.
La barca è piccola, e noi siamo in troppi. Lentamente ci imbarchiamo. Do le spalle al muro della cabina
di guida, la testa è appoggiata sulle ginocchia mentre osservo la donna che prende posto accanto a
me. Con una mano si tiene la pancia. Emette un gemito quando con fatica si siede. Distolgo lo sguardo
e, dopo aver lanciato un’ultima occhiata alla piccola rientranza sulla costa, che funge ora da porto,
chiudo gli occhi e mi addormento col rombo del motore.
Secondo giorno:
Un giorno che siamo in viaggio, un giorno in meno alla mia salvezza. Ne mancano sei, di giornate, lo
hanno detto oggi. Il sole é alto e in cielo non ci sono nuvole, procediamo spediti e non abbiamo paura.
La donna accanto a me dorme, con un sorriso sul volto, guarda il mare e si accarezza il ventre,
canticchia un motivetto che non conosco. Il giorno passa in fretta.
Terzo giorno:
Sento una mano sulla mia spalla, apro gli occhi. Sollevo la testa e noto che due occhi neri mi fissano
insistentemente. La sua mano non lascia la presa sul mio braccio, con un movimento brusco mi
sposto. Il sole è alto e non si scorge più la costa. Devo aver dormito molto. Mi volto di nuovo verso la
donna. Il suo sguardo è ancora fisso su di me. Inizio ad innervosirmi, prima che ne renda conto un
veloce ed irritato “cosa vuoi” interrompe il silenzio tra noi. Lei, sorpresa dalla mia reazione, aggrotta
le sopracciglia mentre mi chiede se ho dell’acqua. Alzo la testa e scuoto le spalle con un gesto veloce,
sperando che le basti come risposta. Con la coda dell’occhio noto il suo disappunto, mi guarda storto
e si volta. Passa qualche minuto, mentre mi concentro sul mare di fronte a me, e un singhiozzo mi
distrae, la vedo piangere silenziosamente, quasi di nascosto come se non volesse essere vista. Un
senso di colpa mi invade, in fretta mi alzo e scendo dalle scalette mentre cerco un posto dove
coricarmi.
Quarto giorno:
Non si riesce a dormire, il vociare concitato mi tiene sveglio, non vedo il mare ma posso capire dai
movimenti bruschi della barca che oggi è mosso. Qualcuno piange, altri dormono, non capisco come,
altri ancora guardano fisso nel vuoto, forse spaventati. Appoggio la schiena alla parete dietro di me e
mi guardo intorno, deve essere sera perché è piuttosto buio. Dopo qualche ora riesco di nuovo a
dormire. Sogno.
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Quinto giorno:
Al mio risveglio la situazione non è migliorata, anzi forse è addirittura peggiore. In molti piangono e
invocano il loro dio. Inizio ad aver paura quando tra la gente si fanno spazio due di loro, hanno un telo
bianco, vedo come, con violenza, afferrano un corpo inerme e, dopo averlo avvolto, se lo caricano in
spalla e lo portano via. Una volta spariti qualcuno afferma che verrà buttato in mare. Questa scena si
ripete almeno cinque volte nel corso della giornata. Ora piango, ed era da tanto che non lo facevo.
Hanno preso almeno tre bambini.
Dormo.
Sesto giorno:
Non ne posso più! Non voglio più vedere bambini morire. Sono disposto a sopportare tutto, anche la
morte ma non voglio più vedere una persona morire, non riesco, non posso. Mi alzo e velocemente
raggiungo le scale. Corro verso il bordo e in pochi secondi rigetto tutta la mia ansia ed agitazione in
mare. Mi pulisco la bocca e guardo la terra in lontananza. Manca poco. Cerco un posto dove sedermi.
Vedo la donna di qualche giorno fa, mi siedo accanto a lei e la osservo. La vedo triste, ha il volto
stanco, e la sua mano è sulla pancia. Ha abbandonato, per lei questa è una sconfitta.
Forse lo è anche per me, si vedrà. Nel frattempo contemplo il mare.
Settimo giorno:
Oggi è il grande giorno, il giorno in cui la mia vita cambierà.
Mi sveglio, vorrei essere felice ma non riesco. La terra è sempre più vicina e la guerra ormai è lontana.
La donna accanto a me però non sembra averlo notato, se non vedessi il suo petto muoversi, penserei
che sia morta in realtà. La sua mano, lentamente, accarezza la pancia. Non so per quale motivo, forse
per quel senso di speranza o felicità che iniziava a muoversi in me, oppure semplicemente perché era
la cosa giusta da fare, iniziai anche io lentamente ad accarezzare la sua pancia. E nonostante la
tristezza del momento mi accorgo di come lì, in quel ventre, ci sia più vita di quanta c’è ne possa
essere in tutta l’imbarcazione. Sorrido, tolgo la mano, e volgo lo sguardo al mare, blu.
Passano alcune ore, una sirena suona, in lontananza, loro arrivano e ci fanno cenno di sbrigarci,
affermano che la spiaggia è vicina, e che basta qualche bracciata e arriveremo alla spiaggia, di non
avere paura. Ci alziamo. Tirano fuori una pistola e iniziano a spingersi verso il bordo, ci sono due
canotti, sgonfi e rovinati. Non ci penso, mi butto. Siamo in venti almeno, sempre troppi. Con le mani ci
spingiamo, qualcuno batte i piedi. Vedo la barca girare velocemente e tornare i indietro, dall’altra
parte. Loro se ne vanno. Vedo la spiaggia, ci sono quasi. Mi volto rapidamente quando sento qualcuno
urlare, una donna, quella donna. Sta scivolando verso fondo, non ha avuto la fortuna di poter stare su
un canotto, e probabilmente non sa nemmeno nuotare. Non ho il tempo di fermarmi a pensare. Mi
butto e per un secondo il tempo si ferma: non sento nulla, intorno a me il silenzio, non riesco a tenere
gli occhi aperti, sento gli occhi bruciare. Le mie braccia si muovono in modo sgraziato. L’adrenalina mi
dà la forza che non sentivo da giorni. Apro gli occhi. Vedo una sagoma vicina a me, più in basso.
Chiudo gli occhi. Le mie mani si fanno avanti. Cercano il contatto con il suo corpo. La corrente è forte
in questo punto. Faccio fatica. L’acqua mi ostacola. Le mie dita sfiorano qualcosa. Riesco a stringere il
suo braccio. Tiro, e poi ancora. Batto i piedi. È una lotta continua contro il mare. Quel mare che mi
aveva promesso la salvezza, ora me la nega. Ma continuo. Sento la presa sul polso affievolirsi. Stringo
e tiro.
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Aria.
Una. Due. Tre boccate.
Alzo l’altro braccio. Urlo.
Vedo una mano.
Chiudo gli occhi.
Con tutte la forza che ho cerco di portare la donna verso la mano.
Tiro.
La afferrano.
La tirano fuori.
Io osservo, e ,piano piano, scendo, gli occhi non fanno più male, e l’acqua rende la scena piacevole, e
come se la guardassi dall’esterno. Piano piano non riesco più a vedere la donna, e nemmeno la mano.
Chiudo gli occhi.
Il mare è freddo, ma non è fastidioso.
Apro la bocca e provo a respirare.
Ci provo di nuovo.
Poi non ci provo più.
Oggi è il grande giorno, il giorno in cui ho cambiato la vita di qualcun altro.
Gaia Zanutto, Bianca Maria Rigotti, Ludovica Manara, Sara Rossini IB
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De profundis clamavi ad te
Ovunque sento raffiche travolgermi.
Una forza sconosciuta mi trascina verso il basso, mi sta chiamando.
È la profondità.
D’improvviso vedo il bianco tramutarsi in nero.
Scopro la lotta fra luce e buio essere non solo sopra di me ma anche dentro di me. Perpetua.
Temo l’ignoto, come ogni essere umano fa. La cecità mi confonde.
Sento la mente ribellarsi all’impotenza. E il corpo la segue, scosso da ripetute convulsioni.
Sono io o l’acqua? Esiste ancora una differenza, un confine a cui io possa aggrapparmi?
Eppure cerco ancora di lottare, anche se non ha alcun senso, ormai.
Io e i miei abissi siamo ormai un inscindibile uno. Non appena realizzo questo mi sento libero.
Avverto una sensazione di completa appartenenza e accettazione di me. Comprendo così che ciò che
mi attirava verso l’abisso non era male ma una mera, seppur sconosciuta, parte di me.
Il turbinio degli scrosci è incessante e, mentre tutto intorno a me si fa scuro e bagnato, cado.
Sento il mio corpo abbandonarsi alla corrente e adagiarsi sul fondo. Comprendo che oramai ho
accettato tutto questo. Comincio a vedere ciò che prima mi faceva paura sotto una chiave diversa.
Il buio si fa da disarmante ad avvolgente. L’ignoto da spaventoso che era diventa interessante, velato
dal mistero.
Così comincio a comprendere.
È l’incompreso enigma della mente umana dominata dal paradosso: la diversità ci repelle e al
contempo l’impulsiva attrazione verso le novità, la curiosità insita così profondamente nella nostra
psiche, ci sprona alla scoperta di ciò che è diverso.
Questo si manifesta chiaramente in situazioni che rasentano il quotidiano: chiunque faccia
immersione subacquea è perfettamente conscio dei numerosi rischi che corre, avverte una certa
agitazione prima di una qualsiasi sessione, ma rimane più forte la curiosità di scoprire qualcosa di
nuovo, di esplorare e gettare luce su mondi sconosciuti come possono essere quelli degli abissi marini.
La stessa forza che spinse i primi avventurieri ed esploratori a superare i confini del mondo
conosciuto, attraversare le alte colonne d’Ercole e navigare verso l’ignoto assetati di nuovo sapere,
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poiché dentro di loro sapevano, come più tardi Qualcuno saprà abilmente spiegare, che fatti
non erano a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza. Rimane un mistero irrisolto quello
della doppia valenza della diversità per la mente umana. Non è quindi da considerarsi insolita la
cosiddetta xenofobia che in questo particolare periodo storico è così frequente. Quella attuale è
un’epoca di cambiamenti: immigrazione, scambio culturale, globalizzazione, terrorismo e minacce
nucleari, lotte per diritti che ancora non vengono riconosciuti ad alcune comunità tutt’altro che mal
inserite all’interno della struttura sociale dei paesi occidentali. La gente ha paura. Paura di perdere
quei pochi privilegi che faticosamente si è conquistata, di destabilizzare una posizione sociale già
pericolosamente instabile, teme che un cambiamento possa minare le fondamenta di una società in
bilico come la nostra e farla collassare su se stessa. Le menti si chiudono. Le porte vengono sbarrate.
Le frontiere chiuse. Intere comunità vengono ridotte a generalizzazioni razziali sistematicamente
negative. Ma nonostante tutto, questa reazione è estremamente difficile da condannare: la paura
protegge le persone. Temere ciò che non si conosce fa parte di quel processo cognitivo che è l’istinto
di sopravvivenza. Ed è risaputo che l’essere umano è naturalmente votato al preservare la propria vita
e quella degli individui a lui cari. Perciò questa chiusura mentale e sociale verso la diversità culturale è
così diffusa: perché è parte integrante di ognuno di noi, direttamente innescata dalla volontà
imperante nella nostra mente, quella di sopravvivere. Sopravvivere anche grazie alla paura, paura che
è tenebra, che è morte, che è antica quanto il Signore, che ospita i demoni e i mostri più spaventosi e
che li imprigiona per consentirci di proseguire nella nostra esistenza il più indisturbati possibile.
Leviatano e Behemoth si aggirano nelle profondità degli abissi marini così come nei meandri del
pensiero umano. Queste creature potrebbero essere la rappresentazione biblica dei nostri timori più
nascosti. L’abisso e i mostri che esso imprigiona non sono da ricercarsi però solo esternamente
all’uomo. Infatti la presenza di questi mostri, la profondità insondabile dei meandri della psiche
umana, l’incapacità che riscontra l’uomo nel razionalizzare ciò che non è domabile con il solo uso
dell’intelligenza, ci destabilizzano e ci fanno temere ciò che non conosciamo. Quindi la causa della
xenofobia che l’uomo manifesta esteriormente risulta infine essere da ricercare niente meno che
nell’insicurezza, nell’inconsapevolezza, e nel conseguente rifiuto, della semplice presenza dell’ignoto
all’interno dell’uomo stesso. Sarà quindi compiendo una ricerca, un cambiamento interiore che
riusciremo a maturare come persone prima di tutto e a contemplare il cambiamento intorno a noi. Il
potenziale per migliorarci e per migliorare la nostra società è racchiuso nell’uomo stesso e grazie ad
un cammino introspettivo potremmo essere capaci di sfruttarlo e apportare modifiche a ciò che ci
circonda rendendolo, almeno sperabilmente, migliore.
Arianna Stech, Erina Puka, Alessandro Dallalibera IB
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BATTESIMO Miracolosa
Acqua portami con te
Trasformami tu
Federica Imoscopi, Valentina Filippi IIB
GOCCE Gocce di pioggia che rigano i vetri della finestra,
le avverto e l’acqua pare infinita, illimitata.
Il deserto però, un po’ come parte di noi, ne sente la mancanza.
Angela Cuni, Federica Botto, Benedetta Aureli ID
Bianca Codecà, Camilla Faccioli, Eleonora Letizia, Francesca Capobianco, Sofia Battisti, Valentina Girardi IB
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ACQUA, DISTRUTTRICE E CREATRICE
E Dio separò le acque dalle acque.
Sperimentarono la vita il bene e il male,
il vero e il falso, la luce e il buio.
Prima la separazione, poi l’ordine.
Un ordine troppo perfetto, troppo permissivo.
Dio creò l’uomo a sua immagine,
maschio e femmina li creò.
Li dominava un istinto sconsiderato
amore carnale, passioni, peccati.
Si scrisse il destino
Un intreccio infinito
Ora domina uno, ora domina l’altro
Una corsa eterna tra bene e male.
Francesca Antonelli e Gabriele Nardin ID
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SETE CHE CRESCE
Ho sete,
ho sete fratello.
Attraverso i secoli io soddisfo la tua sete,
ricordi? Sai? Vedi?
Ma ora io
ho sete.
E davvero vuoi offrirmi aceto,
fratello?
Ma cosa hai nel cuore,
fratello?
Sabbia arida,
che supplica,
prosciuga,
e null’offre.
Fratello,
non stare davanti a me,
potrei non guidarti;
non stare dietro di me,
potrei non seguirti;
sta’ al mio fianco,
e sii mio amico.
Sii mio amico, fratello,
perché Amore è questo.
Dallapè Caterina, Gardelli Valeria, Pezzè Federico IB
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SIGNORE, LA TUA ACQUA IO CERCO
Dopo tanta strada percorsa in terra arida,
la sete.
Come il popolo ebraico a Mosè,
nel deserto del mondo moderno
l’umanità
assetata
continua a gridare.
Una sorgente d’acqua
fresca, pura, viva
zampilla, purifica, appaga:
Dio è il pozzo profondo
che soddisfa
l’inesauribile
sete degli uomini.
L’acqua è necessità di Gesù sulla croce,
l’umiltà di Gesù,
Maestro
che lava i piedi ai discepoli.
L’acqua è l’oro blu
su cui Dio aleggiava
mentre la terra era informe
e deserta.
Gardelli Valeria, Dallapè Caterina, Pezzè Federico IB
33
Filippo Struffi IIID, Ma l’uomo è veramente al centro?
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DILUVIO
Portò il diluvio di acque sulla terra;
per quaranta giorni e quaranta notti le acque continuarono a prevalere sulla terra1
Ma come era mescolato al pianto il sorriso di Dio sulla generazione del diluvio!2
Lo spirito di Dio aleggia sulle acque3.
Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra4,
cosí il Signore apre per te
il suo benefico tesoro, il cielo, per benedire il lavoro delle tue mani5.
Dio castiga e usa misericordia: è la sua bontá.
Alissia Ravanelli, Laura Dal Rí IIB
1 Gen 6-9
2 Pesiqta de Rav-Kahana, Omelie Rabbiniche
3 Gen 1,2
4 Is 55,1-11
5 Dt 28,12
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Come diceva Talete
l'acqua è ciò che voi siete
e spesso ti placa la sete
Non sempre ha questa funzione
può portare anche distruzione
ma Noé ci salvò dall'estinzione
Quando l'ira di Dio si placò
la pace nel mondo ritornó
e l'acqua a scorrere nei fiumi ricominció
E Mosè che nel Nilo è nato
dividendo il Mar Rosso gli Ebrei ha liberato
e la Terra promessa ha conquistato
Di acqua loro avevano bisogno
per bere e per farsi un bel bagno
da una roccia fuoriuscí come in un sogno
E quando il mare era in piena
il caro Giona divenne la cena
di una vorace balena
Da dove viene non sai
ma sempre bisogno ne avrai
dell'acqua non ti stancherai mai
E come in un bel lieto fine
l'arcobaleno comparve sulle rovine
dando speranza a creature terrestri e marine
Insomma questo è il finale
l'acqua fa bene e anche male
che sia dolce oppure col sale.
Valeria Fent, Alessandro Betti e Ilaria Annachiara Pinamonti IB
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SAMARITANA WAY canto
Siamo in Samaria, a Sicar precisamente
Ci sono una samaritana e Gesù, figlio del Dio vivente.
Andarono al pozzo senza fondo;
Gesù veniva da Gerusalemme in capo al mondo.
Lui disse alla samaritana: “Dammi da bere”
lei rispose: “Sono una donna lo devi sapere”,
ma Gesù disse: “ Chiunque beve l'acqua viva
è dissetato e diventa una sorgente di acqua viva infinita
Hai avuto cinque concubini
E non hai avuto bambini”
Lei rispose: “Sei un profeta
Sai tutto dalla A alla Z.
Ma noi adoriamo su questo monte da sempre
Mentre tu preghi a Gerusalemme”
Lui rispose: “Questo è un racconto mitico
Dio bisogna amarlo attraverso lo Spirito”
“Quando verrà il messia
Ci mostrerà la retta via”
“Non c'è scritto sopra un manoscritto
Ma il Messia è qui, è il sottoscritto”
Adesso avete capito la lezione insegnata:
Dio purifica l'anima come una ferita l'acqua salata
Domenico Florenzano, Bartolomeo Nesi, Margherita Russo, Marco Roncador IB
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DANZA BIBLICA DELL’ACQUA
Il sole è già calato
e un altro giorno è ormai passato.
Non basta una piccola barca
ma servirà una grande arca
per portare gli animali
al sicuro da tutti i mali.
Noè si è già imbarcato
nessun altro uomo è stato perdonato,
che il corvo se ne sia andato un po' dispiace
ma la colomba è tornata audace simbolo di pace.
Ecco l'arcobaleno
un segno ultraterreno
e ora il tuo destino
è salvo nelle mani del divino.
Chi è questa che viene
che presto se ne andrà con le anfore piene?
Una donna a cui già vuoi bene
e a guardarla ti ribolle il sangue nelle vene.
Tu trattienila Giacobbe, è Rachele tua cugina
il vostro incontro è voluto dalla provvidenza divina.
Libera il pozzo dalla pietra e festeggerai le nozze con la cetra.
Così ad attingere l'acqua vi siete incontrati
e benedetti da Dio vi siete amati.
Tommaso Zendron, Giacomo Pangrazzi ID
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ROMANZO BREVE
39
COME
GOCCE
IN UN
OCEANO
Maddalena Zambon
Giacomo Rinaldo ID
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Lo percepì non appena scese. La vecchia corriera ripartì, cigolante, e l'afa piombò su di lui. Nel caldo,
la puzza di gasolio si mischiava al profumo della menta selvatica e dell'eucalipto, eppure, in quella
moltitudine di odori, quel sentore gli arrivava forte. Era una nota intensa e salata, e proveniva da sud.
Si guardò intorno: una strada dissestata, cicatrice che squarciava la distesa bionda del grano, qualche
arbusto rachitico e rinsecchito, un casale che emergeva tra le spighe, un latrare lontano di qualche
randagio, il cielo tanto azzurro da sembrare un sogno.
Musah si incamminò nell'aria tremolante di calura, seguendo verso meridione l'odore. Lo aveva tanto
evitato, vi era sfuggito a lungo come una volpe cerca di seminare i cani da caccia, lo aveva temuto
quando aveva popolato i suoi incubi ma, stranamente, ora ne era attratto. Quella fragranza salmastra
che si intrufolava nelle narici, che impregnava i vestiti, che lasciava un sentore salato sulla pelle ora lo
guidava come una calamita, gli apriva la via sull'asfalto consumato. A nulla era valsa la sua debole
resistenza, ormai camminava inevitabilmente sedotto.
E poi gli comparve, l'odiato. Eccolo, dietro una curva, sbucare beffardo e pieno di grida di gabbiani. Il
Mare, distesa azzurra e placidamente pigra, lo guardava pieno di sfida con l'occhio infuocato del sole
che di lì a poco si sarebbe tuffato nei suoi abissi. Si dovette fermare per trattenere l'ansia che gli era
esplosa nel petto. Era lì, ancora come nei ricordi sbiaditi di bambino: in tutti gli anni che l'aveva
evitato non era cambiato affatto, persino le onde gli sembravano uguali all'ultima volta. Lui, però, non
era più lo stesso di quella notte... Scacciò i pensieri e riprese il cammino.
Gli ci volle mezz'ora per scorgere le prime case del paese. Attraversò rapidamente le strette viuzze,
evitando i contadini che tornavano a casa stanchi dopo una lunga giornata di lavoro e le comari che
berciavano con le loro voci nasali degli affari altrui. Infine giunse alla sua meta: un piccolo spiazzo si
apriva davanti a lui, circondato su tre lati da una folta siepe di mirto. Sul quarto si affacciava una
piccola casetta dalle mura di pietra, sul cui grigio opaco spiccavano macchie di colore: le imposte e la
porta azzurre, il glicine lilla sul tetto della veranda antistante l'ingresso, le tegole di cotto rosso.
Profumi, odori, suoni lo investirono, così familiari, nonostante i vent’anni ormai passati. Si ricordava
ogni singolo dettaglio di quel luogo: l'albero di fico su cui si arrampicava da bambino, lo stretto
sentiero sassoso che scendeva fino alla scogliera. E là, oltre i cespugli polverosi, c'era ancora Lui.
Amico, Nemico, la sua più grande paura e, al contempo, fratello e compagno di mille giornate,
Maestro di vita. Essere spietato, che distruggeva tutti coloro che cercavano di andare contro le sue
regole. E Musah lo sapeva bene. Aveva provato sulla sua stessa pelle la Sua ira, la furia ancestrale del
Mare più nero, le Sue urla cieche, la schiuma rabbiosa, le onde simili a sferzate. Rivedeva quella scena
mille volte, ogni notte. Una mareggiata più forte delle altre lo aveva sbalzato fuori da un barcone
carico di altri come lui, in cerca di un futuro nel continente dei ricchi e così aveva perso di vista i suoi
genitori e suo fratello Samir, che erano probabilmente affogati nelle gelide acque del Mare. Nei suoi
incubi ricordava con chiarezza quell'attimo terribile in cui si era sentito perduto, acqua dappertutto,
intorno a lui, dentro di lui. Non esisteva più, era un tutt'uno con la massa liquida. Una cupa
disperazione si era impadronita di lui, la sensazione di non aver fatto abbastanza, di essere inutile. La
sua vita senza senso era giunta al termine e forse quella era la punizione adatta per il suo egoismo.
Nero ovunque. Si era abbandonato alle Sue braccia, soccombendo al suo destino ineluttabile.
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Poi, però... era stato trovato. Aprendo gli occhi, ne aveva incrociati un paio del blu più profondo e
cristallino, puri e sinceri. Ed era stato allora che una vaga speranza si era fatta strada fra le macerie del
suo cuore, un tepore che risanava, portando pace. Un pescatore che aveva da poco ereditato questo
mestiere da suo padre, uscito con la sua barchetta per ritirare le reti, scortolo in mezzo ai cavalloni
ruggenti si era gettato in acqua per andargli incontro e, nuotando come un forsennato, lo aveva tratto
al sicuro. Da allora Salvatore aveva cresciuto Musah come un figlio, insegnandogli tutto quello che
sapeva. L'odio del ragazzo nei confronti del Mare, che gli aveva portato via la famiglia, era tanto
grande che l’uomo aveva rinunciato a fare di lui un pescatore, preferendo trasmettergli la sua
passione per la terra e le piante. Musah era diventato adulto, tuttavia il suo senso di colpa non lo
aveva mai abbandonato: ancora si vergognava di aver abbandonato il suo nucleo familiare in balia
delle onde e di essere lui l’unico, indegno, sopravvissuto.
Un rumore di passi frettolosi, seguiti da un fastidioso cigolio, lo distrassero dai suoi pensieri
tormentati. La porta si aprì
lentamente, una testa fece
capolino. Folte onde castane
incorniciavano un volto dai
lineamenti soavi e uno sguardo
sospettoso si posò su di lui. Dopo
qualche istante le rughe intorno
agli occhi si distesero e la bocca
si rilassò in un sorriso luminoso:
lo aveva riconosciuto. La donna
sulla soglia era Monica,
premurosa vicina di casa, che
ormai da anni si occupava con
pazienza delle faccende più
importanti, quelle che, dopo la
morte dell'amata moglie del
padrone della dimora, nessuno
aveva più fatto. Lavava, stirava,
cucinava... e tutto per una misera
paga e qualche sporadico
ringraziamento. Faceva il suo
lavoro con passione e ogni volta
che entrava in quella umile casa
in cui da anni regnava la più
completa tristezza, portava una
ventata di buonumore. Anche
adesso sembrò non fare caso alla
«La porta si aprì lentamente, una testa
fece capolino. (…) Era Monica.»
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faccia tetra di Musah e lo accolse con gentilezza, offrendogli un bicchiere di limonata fresca, che
alleviò un po' l'arsura che gli bruciava in gola. Poi, dopo avergli fatto qualche domanda sul suo lavoro
di botanico e la famiglia che aveva lasciato in una fredda città del nord, lo scrutò con apprensione e
disse:
- Sei qui per lui, non è vero? Sei qui per Salvatore?
Musah la guardò, abbassò lo sguardo e annuì. Sì, aveva compiuto quel lungo viaggio con quello scopo,
poter rivedere un’ultima volta il suo padre adottivo, l’unico che lo avesse mai amato senza pregiudizi,
senza fermarsi al colore bronzeo della sua pelle e ai suoi occhi pieni di vergogna e rammarico, che lo
aveva accudito con cura, lasciandolo andare solo quando lo aveva giudicato pronto. Il suo salvatore,
l’uomo che lo aveva tratto fuori dall’inferno che imperversava intorno a lui e dentro di lui, quella
notte di ventisette anni fa.
Ed ancora, dopo tutto quel tempo, sentì una profonda tristezza per quell'uomo tanto solo, che stava
terminando la sua vuota esistenza in un letto, con l'unica consolazione di una finestra spalancata sul
cielo estivo da cui, se con le poche forze rimanenti si metteva a sedere, riusciva ad intravvedere una
striscia argentata di acqua. Lo trovò proprio così, il vecchio pescatore, nella sua minuscola stanzetta
bianca: il volto scavato dai solchi delle rughe, i radi e candidi capelli, l'onnipresente pipa che lasciava
uscire uno stentato filo di fumo, la coppola bisunta che non toglieva nemmeno per dormire. Del lupo
di mare che conosceva Musah rimanevano solo gli occhi cobalto che brillavano, lucidi e vividi, come
quelli di un bambino.
Il suo stupore nel vedere il giovane fu talmente grande che fece un salto sul letto, mandando all'aria il
lenzuolo. Sembrò ringiovanire di una decina d'anni, e le parole che forse aveva pensato per anni,
pregustando il momento in cui il suo ragazzo sarebbe tornato, e che aveva mandato a memoria gli
morirono in gola. Fu strano, ma anche a Musah accadde lo stesso: quei due, che tanto avevano
sofferto distanti l'uno dall'altro, provando, invano, a dimenticarsi a vicenda, poi cercandosi
nuovamente senza mai avere il coraggio di compiere il passo decisivo, ora erano immobili, l'uno di
fronte all'altro.
-Che fai, non raccogli nemmeno la pipa ad un vecchietto che, come vedi, non può farlo da sé? Ragazzo
mio, tutti gli insegnamenti che ti ho dato, dove li hai messi?
Quelle parole spazzarono via il grigio dai pensieri di Musah; si chinò per prendere l'oggetto e lo porse
a Salvatore, che lo strinse forte. Rimasero abbracciati per qualche minuto, felici, poi vennero interrotti
da Monica, che chiedeva se, per caso, lorsignori gradivano una tazza di caffè bollente appena versato.
Il vecchio pescatore le fece l’occhiolino e la ringraziò e, non appena la donna fu uscita dalla stanza,
invitò il figlio a sedersi al suo fianco sulla sponda del letto. Lo guardò a lungo con occhi velati dalla
commozione, poi, dopo un lasso di tempo che a Musah parve durare ore, lo pregò di ragguagliarlo su
tutti gli avvenimenti più recenti, riguardanti sia la famiglia del giovane, sia sul mondo che, fuori da
quella piccola camera, si evolveva e mutava continuamente. Rimase incantato ad ascoltare le storie
che il ragazzo intesseva per lui, parole affascinanti, ammalianti, che andavano a toccare tasti a lui
sconosciuti celati nelle profondità del suo cuore. Si commosse nel venire a sapere della nascita del
secondo figlio di Musah, di come gli occhi del piccolo fossero perennemente spalancati, avidi di
novità. Rise nell’apprendere dei goffi tentativi del suo protetto di imparare a cucinare e aggrottò le
sopracciglia quando gli fu raccontata l’ennesima mossa falsa dell’ennesimo politico arrogante.
Alla fine, quando quel fluire di suoni che si accavallavano uno sull’altro, si rincorrevano e si
diffondevano melodiosi nell’aria profumata di alloro, si spense, Salvatore distolse lo sguardo da
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Musah, si appoggiò al cuscino lindo e prese un bel respiro. Poi fissò il giovane uomo dritto negli occhi,
con una espressione perforante, che non aveva perso nulla, nel corso degli anni, della sagacia e della
profondità che la caratterizzavano. Diede un colpo di tosse, si schiarì la gola e disse:
- Musah, figlio mio, guardami. Vedi queste rughe, questi solchi che prima non c’erano, le mie mani tremanti e la cataratta che mi oscura la vista? Ascolta il mio cuore, batte lentamente, a scatti, senza più il vigore di un tempo. La testa mi gira e dormo, dormo troppo. Ormai è giunta la mia ora. Sono vecchio e stanco, ho vissuto a lungo e felicemente, ma la mia fine è vicina. Me lo sento. Perciò non piangere se ti dico queste cose. Vederti oggi è stato un momento molto lieto per me, esattamente
come la prima volta che ti ho scorto, là in mezzo al mare, sbatacchiato dalle onde. Tu sei stato la mia più grande gioia e per sempre lo sarai. Sei cresciuto ormai, ma hai ancora molta strada da percorrere. Compi il tuo viaggio, Musah, con i valori che ti ho insegnato, l’Amore, la Pace, la Giustizia, e trasmettili ai tuoi figli. Siamo come gocce in un oceano, ricorda, ma se ognuno di noi fa qualcosa nel suo piccolo, c’è la possibilità di creare un mondo migliore, un Mare più bello. Io ormai non ho più nulla da dare, sono solo un vecchio pescatore rincitrullito. Ma tu hai incredibili possibilità, lo so, perché vedo la passione e il coraggio illuminarti gli occhi. E allora fatti forza, mio giovane uomo, e fa’ che la tua vita abbia uno scopo. Vivi, vivi ogni giorno, ma, prima di tutto, perdonati. So quello che è successo alla tua famiglia e sono sicuro che lassù in cielo i tuoi genitori ti amino dell’amore più puro. Siamo esseri umani, imperfetti, ed è normale per noi sbagliare. Ti prego, quindi, smettila di tormentarti, perché quella notte
di ventisette anni fa tu hai sì perso i tuoi cari, ma in compenso hai trovato altre persone disposte a volerti bene e ad accettarti così come sei.
Il ragazzo lo fissò, poi una lacrima rotolò sulla sua guancia, la prima dopo anni passati a imporsi di essere forte. Un singhiozzo a lungo represso si fece strada nella sua gola ed esplose, violento. -N-non puoi m-morire. T-tu sei la mia famiglia. Senza di te io s-sono solo. Salvatore sorrise e gli prese dolcemente la mano. -No, Musah, io sarò sempre nel tuo cuore e non ti abbandonerò mai. Su, non abbatterti. La mia vita è durata moltissimo, ma ora sento il Signore che mi chiama.
«Compi il tuo viaggio, Musah, con i valori
che ti ho insegnato, l’Amore, la Pace, la
Giustizia.»
«Compi il tuo viaggio, Musah, con i valori
che ti ho insegnato, l’Amore, la Pace, la
Giustizia.»
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-T-ti prego, dimmi cosa posso fare per te. Io s-sono qui e non voglio abbandonarti proprio ora. Il ragazzo lo guardò con convinzione, asciugandosi con un lembo della camicia la faccia rossa di pianto. -In effetti, avrei un ultimo desiderio. So che presto dovrò lasciare questo mondo, perciò mi piacerebbe molto vedere un’ultima volta il mare. È troppo tempo che non vado a passeggiare sulla spiaggia, non sento le onde infrangersi contro la chiglia della mia barca e non inspiro l’aria salmastra. Le mie ossa sono così deboli e i miei muscoli talmente indolenziti, che Monica non mi permette nemmeno di andare da solo sulla veranda. Ma tu sei forte, so di potermi fidare. Musah fissò lo sguardo su un punto imprecisato sopra la spalla di Salvatore. Si sentiva stordito. Mai era stato così combattuto, nemmeno quella terribile notte di ventisette anni prima, quando l’istinto di sopravvivenza era prevalso sulla ragione. In quel momento, però, non sapeva se acconsentire alla richiesta del vecchio pescatore o rifiutare. Da una parte c’era la sua fobia per il Mare, una paura che gli impediva anche solo di avvicinarsi, mentre dall’altra il suo buon cuore lo spingeva a portare a termine l’istanza del vecchio. Alla fine il desiderio di compiacere per un’ultima volta Salvatore fu più forte del suo timore e promise, seppur titubante, di portarlo a fare un ultimo giro sulla sua barca. Si rifiutava di tornare a essere il ragazzino egoista che aveva abbandonato i propri genitori su un barcone alla deriva. E mentre, incerto, guardava quel vecchio lupo di mare, ecco che Salvatore ruppe nuovamente il silenzio che regnava nella stanza: -Sono consapevole, Musah, che ti sto chiedendo uno sforzo immenso. Conosco bene il tuo odio profondo verso il Mare, quindi sta a te la scelta. Devi sapere che anch’io quando mi sono ammalato ero un uomo pieno di incubi e terrore, e la paura di morire mi attanagliava. Poi però Monica mi ha portato una vecchia Bibbia: all’inizio la leggevo per ingannare il tempo, poi sempre più appassionato, riscoprendo così il suo fascino. Una storia in particolare mi ha fatto riflettere e mi ha ricordato la tua: è quella di Mosè, il bambino ebreo salvato mentre veniva sballottato dalle acque del Nilo in una cesta, che Dio scelse come suo messaggero per salvare un popolo intero! Pensa quante prove ha dovuto superare, quante paure vincere, per portare a termine il suo compito…
Il pomeriggio scivolò via tramutandosi ben presto in un tramonto infuocato, colmo del frinire delle cicale e
interrotto ogni tanto dall'urlo del cuculo. A Musah sembrava di essere tornato ragazzino, mentre scendeva a
perdifiato lo stretto e ripido sentierino che portava alla spiaggia, incurante dei sassolini che gli si infilavano tra
le ciabatte, delle spine che gli graffiavano le braccia e del peso del borsone pieno di attrezzi che aveva trovato
rovistando nel capanno di Salvatore. In pochi attimi si trovò sulla sabbia ancora calda per la giornata appena
trascorsa. Il panorama era mozzafiato, dovette riconoscerlo: l'acqua si fondeva con la spiaggia con riccioli e
sbuffi bianchi di spuma, per poi trasformarsi, appena qualche metro più in là, in una distesa piatta e calma
come levigata da una mano invisibile. Solamente qualche raro uccello che si tuffava rompeva quella tavola
uniforme. Il sole, che si stava immergendo nel Mare, tingeva le acque di riflessi ramati e sanguigni, formando
davanti a sé una scia simile ad una strada verso l'infinito.
Al limite della spiaggia con i cespugli della macchia sorgeva un vecchio capanno, le cui assi erano cotte dal sole
ed intaccate dalla salsedine. Alla spinta del ragazzo, il portone cigolante si mosse sui cardini e una lama di luce
penetrò all’interno. Dentro, tra cumuli di reti, lenze, ami, galleggianti, barattoli di vernici, gli anni avevano
depositato una generosa coltre di polvere. Al centro della stanza, su due piedistalli, troneggiava una sagoma
coperta da un telone. Con una sorta di timore di rovinare la quiete che da tempo regnava in quel luogo, Musah
si accinse a sollevare il telone. Sotto comparve la forma affusolata e aggraziata del gozzo, che il giovane
accarezzò con una mano. Quella barca recava con sé la storia di Salvatore, di suo padre e di suo nonno, che più
di cent’anni prima l’aveva abilmente costruita: centinaia le miglia che aveva solcato con la sua chiglia nelle
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prosperose acque del Mare, migliaia i pesci che le sue reti avevano preso e che il suo ventre aveva accolto,
milioni le ore che aveva trascorso in silenziosa compagnia con i suoi proprietari. Quando venne del tutto
scoperta dal telo, sembrava osservare Musah con l’occhio spento della lampara, la grossa e potente lampada a
gas montata a prua che serviva ad attirare i pesci la notte, per poi pescarne a tonnellate, facilmente. Con uno
sforzo, il ragazzo riuscì a sospingere lo scafo su un carrello, con cui poi trascinò il gozzo fuori dal capanno.
“Controlla innanzitutto che non ci sia del legno marcio! È fondamentale… Ricordati anche di riverniciare gli
scalmi dei remi. Non dimenticare di ungere le cerniere del timone!”. I consigli del vecchio Salvatore gli
ronzavano per la testa mentre si apprestava a rendere nuovamente funzionale la barca. Lavorava alacremente,
incurante del tempo che scorreva e della notte che stava sopraggiungendo: quando il buio si fece tale da non
poterci più vedere, Musah accese una torcia e continuò. Grattò via la vernice vecchia dove il legno si stava
rovinando, ne diede di nuova, riparò qualche piccola falla nello scafo, dotò il gozzo di due remi trovati fra il
ciarpame del deposito, revisionò il motore e fece il pieno di nafta. Per ultima cosa, con della vecchia vernice
disegnò a prua un grande occhio rosso, come aveva visto fare ai pescatori da bambino. Soddisfatto, rimirò
l’opera appena finita e, stanco, andò a dormire.
Gli sembrarono passati una manciata di minuti quando si sentì scrollare gentilmente da una mano ossuta. Fuori
l'oscurità ancora regnava, anche se ormai la luna stava cominciando la sua lenta discesa e le stelle impallidivano
lentamente, lasciando il loro posto alle prime luci dell'alba.
Musah non rimase ad oziare nel letto, anzi, scalciò subito via le coperte e si precipitò nella piccola cucina della
casa, dove preparò due tazze di caffè e servì in tavola la torta preparata il giorno prima da Monica. Salvatore si
affacciò sulla porta, vestito di tutto punto: la sua cerata gialla, la coppola e la pipa che mandava un filo di fumo
giocoso. Sorrideva, il viso scavato dalle rughe illuminato da una gioia così profonda, che Musah sentì stringersi
il cuore.
Perchè mai non era tornato in tutti quegli anni lì nel paesino assolato della sua adolescenza? Voleva
indipendenza, desiderava diventare un uomo libero, lontano dai luoghi che potevano suscitare in lui ricordi
terribili...eppure in quel momento provò una fitta di rimorso.
Si riscosse improvvisamente, rifiutandosi di rimuginare sui propri errori. Il giorno prima non era forse ritornato
a bagnarsi nelle Sue acque, dopo ventisette anni di lontananza, durante i quali aveva giurato a se stesso che
non lo avrebbe più fatto?
Si concentrò invece sulla colazione e meccanicamente finì di compiere gli ultimi preparativi per quella giornata
speciale.
I due uscirono dalla porta che era ancora notte. Il ragazzo si mise lo zaino con il pranzo sulle spalle e,
sorreggendo il vecchio per un braccio ossuto, si apprestò a scendere al mare.
Quando ormai mancava poco al sorgere del sole, Musah e Salvatore salirono a bordo della barca e spinsero il
motore al massimo, dirigendo la prua là dove i colori del cielo indaco si confondevano con quelli del mare. Per
circa mezz'ora stettero in silenzio, inspirando il profumo dell'aria salmastra, assaporando la brezzolina frizzante
contro la faccia e ascoltando il rumore delle onde che si infrangevano a ritmo regolare contro la carena. Per
Musah era come ritornare a casa dopo una giornata frenetica ed estenuante: si sentiva talmente a suo agio,
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mentre guidava dolcemente il mezzo, che si domandò più e più volte perché avesse rinunciato a quella parte
della sua vita per lui così importante: da ragazzino, suo padre, prima di cadere in disgrazia impoverendosi, lo
portava a pescare tutte le domeniche lungo la costa del Paese da cui veniva. La sua passione per il Mare era
nata allora, quando, innocente bambino, non si stancava mai di gettare reti pesanti in acqua e di pulire i pesci
dalle interiora. Nonostante quello che era successo, ricordava con chiarezza i consigli di costui. Ora gli
rimbombavano nella testa, sommandosi a quelli di Salvatore, inscindibili, quasi come se le voci di colui che lo
aveva messo al mondo e del vecchio pescatore fossero una sola. “Vai - dicevano - lasciati andare al richiamo del
Mare, perché Esso è te e tu sei Esso. I suoi gorghi sono come i meandri della tua mente, la purezza delle sue
acque è uguale a quella della tua anima, i pesci che lo popolano sono i tuoi pensieri e i tuoi gesti, dalle mille
forme e colori. Con le reti “tira su” solo quelli migliori, i più buoni ed edibili. Donali alla gente più sfortunata di
te, cosicché la loro felicità sia il tuo massimo compiacimento. Perché tu sei pescatore, di pesci e di anime, ed
hai la facoltà dare al prossimo un futuro migliore. Non lasciarti sopraffare da una banale tempesta, ma abbi
coraggio e segui il tuo cuore, la tua bussola nelle intemperie. Semplicemente sii te stesso e, soprattutto, ama
ciò che fai."
Quando il piccolo gozzo, uscito dalla
baia da cui era partito, doppiò il
promontorio su di cui stava
abbarbicata la casetta di Salvatore i
due videro il Sole: apparve, arancio
ed accecante, come un perfetto
semicerchio emergente dalle acque.
Veniva a spazzare via la notte e
donare ancora nuova luce al mondo.
I suoi riflessi giocavano con le onde e
creavano guizzanti miraggi nella
liquida distesa. Salvatore, che stava
seduto sulla panca, salutò l’alba
voltandosi con la mano sulla fronte,
mentre Musah, quasi accecato,
rallentò l’andatura della barca.
Complici il lavoro fino a tardi della
sera precedente e la sveglia
anticipata, sentì le palpebre pesanti
e trattenne a stento uno sbadiglio.
Osservando la spuma che
sciabordava lungo la fiancata del
gozzo, vide un branco di sgombri che
si immergeva ed emergeva
nuovamente in superficie, facendo
quasi a gara con la barca: le loro
movenze eleganti, i loro corpi
affusolati, la forza incredibile in
confronto alla loro piccolezza lo
fecero sprofondare di nuovo nei suoi
pensieri. Si chiese ancora una volta
cosa avesse spinto Salvatore, quella notte, a trarlo in salvo rischiando anche la vita –l’acqua era fredda e non
«Musah e Salvatore salirono a bordo della
barca e spinsero il motore al massimo,
dirigendo la prua là dove i colori del cielo
indaco si confondevano con quelli del
mare.»
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aveva vestiti con cui cambiarsi-. Avrebbe poi potuto semplicemente consegnarlo, una volta a riva, alle autorità
e mettere una pietra sopra a quella vicenda. Eppure, armato di una inesauribile pazienza e amore verso quel
fagottino trovato fra le onde, aveva affrontato una trafila di pratiche, riunioni, attese negli uffici per tenerlo con
sé. Ed osservandolo, fragile com’era, provò una gratitudine così grande che mollò la barra del timone e corse
ad abbracciarlo, sussurrandogli all’orecchio un flebile grazie.
-Musah, non sei stanco?-. La voce roca di Salvatore ruppe il silenzio che regnava a bordo del piccolo gozzo.
Erano ormai le undici di mattina e si erano allontanati ormai di una decina di miglia dalla spiaggia da cui erano
salpati, seguendo prima la costa e poi andando verso il largo. Attorno alla barca, ora che il ragazzo aveva
spento il motore, regnava la calma, interrotta solo dallo stridio di qualche gabbiano. D’accordo con il vecchio, il
giovane prese l’ancorotto e, legatolo ad una bitta, lo gettò nelle acque verdi del Mare. Poi prese lo zaino da
sotto la panca e ne estrasse del pane secco, un pugno di pomodori e un fiaschetto di olio. Consegnato tutto al
vecchio pescatore, lo osservò preparare il pasto che sempre gli cucinava da bambino: bagnatosi una mano con
l’acqua, la spruzzò sul pane, poi aggiunse l’olio e i pomodori tagliati. Consumarono quelle bruschette
improvvisate in silenzio, lanciandosi lunghi sguardi. Non sapeva il motivo, ma Musah sentiva che stava per
accadere qualcosa di significativo di lì a poco. Non sapeva dire se ciò fosse positivo o negativo, ma il sentore lo
avvertiva, e ben forte. Gli sguardi di Salvatore erano strani, intensi, come se veramente si preparasse per un
addio. Mentre lui si preparava la pipa per la consueta fumata dopo il pasto, Musah si sdraiò sul pagliolato del
gozzo, fissando come ipnotizzato il fumo della pipa che si avvitava nell’azzurro intenso del cielo, avvolte spire
che incrociavano traiettorie di volo dei gabbiani. I suoi occhi stanchi trovavano finalmente riposo e ben presto
iniziarono a socchiudersi, le palpebre a farsi pesanti, finché non sprofondò in un sonno profondo…
Probabilmente fu proprio il sentore dell’accadimento imminente che lo svegliò, molte ore più tardi. Quando si
sollevò, indolenzito, gli si sbarrarono gli occhi: dov’era Salvatore? Era scomparso, come volatilizzato! Si alzò in
piedi, ansimando, voltandosi da ogni parte per cercare di scorgerlo, ma per miglia e miglia c’era solo il Mare.
Del vecchio nessuna traccia. Urlò tante e tante volte il suo nome, trovò nello zaino un binocolo e si mise a
perlustrare all’orizzonte, cercando invano qualche segnale della sua presenza. Tutto fu vano.
Poi però, mentre aveva già perso ogni speranza e l’ansia stava lasciando lo spazio al pianto, scorse un oggetto
non identificato a qualche centinaio di metri dall’imbarcazione. Senza esitare si gettò in acqua. Il contatto fu
come una scarica elettrica: dopo tutti quegli anni, finalmente entrava a contatto con le sue paure più profonde.
Vacillò per un secondo, spiazzato, poi, meccanicamente, si mise a nuotare.
Il Mare aveva vinto, era riuscito nell'impresa di ricondurlo a sé.
Non pensava fosse così facile: il metodo più efficace per vincere le sue angosce era stato proprio quello di...
gettarcisi dentro a capofitto! Amò il modo con cui veniva trasportato dalla lievissima corrente, gioì
nell'immergersi insieme ad un gruppo di occhiate, ammirò l'eleganza di una purpurea stella di mare adagiata su
uno scoglio. Emerse, ansimando per lo sforzo delle bracciate, e ristette. Poi due gocce gli rigarono le guance.
Erano salate, sì, ma non era acqua di mare. Stava piangendo per suo fratello che non poteva avere al suo
fianco? Forse per la gioia? Per la commozione? Non seppe dirlo.
Fendeva la massa liquida con ampie bracciate, senza timore, semplicemente mulinando gli arti come gli aveva
insegnato il padre anni e anni prima. Gli sembrò di tornare bambino, quando faceva a gara con suo fratello
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Samir. In quel momento, dopo tutti quegli anni passati ad aborrire quell’attività, improvvisamente provò un
immenso sollievo, fu quasi una liberazione, ritornare a respirare dopo aver trattenuto a lungo il fiato. Il Mare lo
chiamava a sé, accogliendolo con dolcezza e Musah si lasciò andare, traendo vigore dalla freschezza delle Sue
acque e gustando il sapore del sale sulla punta della lingua. Nuotò come mai aveva fatto prima d’ora e in
pochissimo tempo si ritrovò lì dove aveva notato quella nota stonante sulla distesa piatta e scintillante. Si
guardò intorno nervosamente, quando tutto ad un tratto udì un grido, che sovrastava nitido le urla dei
gabbiani. Era uno strillo di sicuro prodotto da voce umana, uno strepito che pareva una richiesta di aiuto, tanto
era implorante. E fu allora che lo scorse. Era un piccolo cestino di vimini, che galleggiava in superficie, sbalzato
in qua ed in là dalle onde, al cui interno giaceva, avvolto in fasce, una neonato. Il piccolo aveva gli occhi
sbarrati, le labbra bluastre dal freddo, la pelle bronzea quasi cianotica, eppure respirava ancora, anzi aveva
abbastanza fiato per gridare tutto il suo dolore e la sua paura.
Musah si stupì della forza del bambino e, come in un déjà vu, rivide se stesso in balia delle onde, disperato e
bisognoso di aiuto, distrutto. Eppure, grazie alla bontà e generosità di Salvatore, gli era stata data una nuova
occasione e, ricomposti i cocci rotti che avevano sostituito il suo cuore, era come rinato.
Allora prese repentinamente una decisione e con fermezza strinse il cesto fra le braccia e lo riportò, insieme al
suo occupante, alla barca ancorata. Salito a bordo, si mosse velocemente per compiere le prime operazioni di
soccorso, massaggiando con energia il petto della creatura e avvolgendolo ben bene con delle coperte trovate
sul fondo del gozzo. Il bimbo non urlava più e il silenzio calò come una coltre pesante sulla piccola
imbarcazione. Musah volse la testa da ogni parte, tormentato.
Spirava una leggera brezza, che gli scompigliava i capelli e nell’aria vibrava un senso di attesa fremente. I minuti
passavano incessanti, il tempo scorreva inclemente, ma di Salvatore nessuna traccia. Fino a quando... Il ragazzo
si diresse a prua, dove teneva dei vestiti di ricambio e trovò appoggiato su un asse un libro logoro, dalla
copertina consunta che odorava di vecchiume. Era un manoscritto di grande preziosità, una Bibbia per la
precisione, aperta a metà.
L’occhio del giovane cadde sulla pagina ingiallita nel corso degli anni che probabilmente il vecchio lupo di mare
stava leggendo prima di sparire misteriosamente. Il testo era corredato da numerosi appunti vergati con una
calligrafia minuta e svolazzante, che Musah riconobbe come quella di Salvatore. In particolare, le parole finali
catturarono la sua attenzione. Recitavano così:
“Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”.
(Lc 5, 10)
A fianco, Salvatore aveva scritto:
“In un Mare inquinato da mille veleni, non scoraggiarti e getta comunque le tue reti. Accetta con entusiasmo la
sfida della vita ed abbi fede. Va’ oltre le apparenze, al di là delle acque contaminate da pregiudizi, e cerca la
verità nel profondo”.
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