Download - La scomparsa di Carlo Greppi accademico 6sir7 · tro,Attilia eGianna.Qui, eglimi accoglieva tra mobili antichi che mi apparivano come dei confes-sionali barocchi e, allora, Carlo

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| 39LUNEDÌ 30 OTTOBRE 2017 | Eco di Biella

VITA&ARTIE VENTO Il vocalist venerdì a Valdengo

Jimmy’s - La Peschiera,Shary nel “tour dei 50”Un tour nel tour, nel mese di novembrealle porte, e un’organizzazione capilla-re che conta dodici serate in altrettanteprovince, per festeggiare i cinquant’a n-ni di Shary (in foto, al centro). La prima

delle quali farà tappa nel Biellese ve-nerdì, 3 novembre, e precisamente alJ i m my ’s - La Peschiera di Valdengo.Roberto Picatto in arte Shary, origina-rio di Ciriè, è animatore, conduttore,ballerino, dj e vocalist. Nel 2004, hafondato il gruppo Sharyband e nel 2017ha pubblicato la sua prima autobiogra-fia artistica. Ingresso a euro 10 con con-sumazione. Alla consolle, dj Trope.

D E L E G ATO Carlo Greppi è stato tra i fondatori del-la Delegazione biellese dell’Accademia Italiana del-la Cucina: proverbiali la sua cultura e signorilità

C redo mi avesse studiatoper anni, prima di chie-dermi finalmente, nel

2008, di entrare nell’associazionepiù ermetica e selettiva del ter-ritorio: l’Accademia Italiana dellaCucina. Lo fece dopo avermi sot-toposto, a suo modo, all’ultimaprova, con la richiesta, apparen-temente banale in risposta a unodei miei inviti a pranzo, di tra-lasciare i miei cavalli di battagliaculinari che già fin troppo beneconosceva (la finanziera con il flandi carciofi, la charlotte di ananas oil cappon magro) per prepararepiuttosto un semplicissimo uovoal tegamino. Carlo Greppi - ri-cordo - apprezzò la mia accor-tezza di aver cotto l’albume se-paratamente dal tuorlo (scaldato aparte, a vapore leggero, e fatto poiscivolare, quasi all’ultimo mo-mento, sul bianco d’uovo fritto), diaver sgrassato l’insieme (monsieurRoger Vergé docet) spennellandoil piatto di portata con un velosottilissimo di aceto lieve e di non

aver assolutamente salato l’insie -me, ma di aver piuttosto servito ilsale, rigorosamente grosso, a par-te, in un apposito macinino. Solomolto più tardi, seppi che quelloera uno dei suoi “scherzi”, perché- diceva Carlo Greppi - le cosefacili sono le più difficili. Anzi: «Èfacile essere complicati - dicevatestualmente -. Difficilissimo es-sere semplici».

L’u o m o. Quell’uovo al tegaminomi è tornato in mente due set-timane fa, alla notizia della mortedi Carlo, avvenuta quasi alla vi-gilia del suo ottantanovesimocompleanno e alla vigilia della tra-dizionale Cena Ecumenica del-l’Accademia Italiana della Cucinache si celebra, ogni anno, il terzogiovedì di ottobre. Quasi cinquan-t’anni di vita ci separavano, ep-pure, la sensazione più netta e im-mediata, alla notizia del suo nonesserci più, è stata la reificazionedella perdita di un amico. Quellungo spazio di esistenza vissuta,che tra noi correva come un fiumemisterioso, carsico e profondo, cifaceva persone diverse: ma l’ami -cizia vera, non sta forse sempre nei“nonostante”? Fui, peraltro, io acercarlo per primo, grazie ai buoniuffici di Rosy Gualinetti e agli inizidella mia storta professione di gaz-

zettiere (come William Holden, in“Viale del Tramonto”, chiamaspregiativamente i giornalisti), do-po aver letto, su una rivista, un suoarticolo entusiasmante relativoagli agnolotti: una prosa bellissi-ma, nitida, rigorosa ma morbida,come rigoroso eppure morbidoera il suo stile nutritissimo di OldEngland, con il tratto impeccabiledi un gentleman di Oltremanicaoppure di un qualche personaggioche sarebbe potuto benissimouscire da un romanzo di Dickens odi Carrol.

Cultura. Era per volontà di que-sto sir (di animo e di sentire, inassenza - ahimé! - di una reginache qui conferisca il titolo) che leporte della Delegazione di Biella siaprivano. E lui, Carlo, non badavaa censo o a patrimonio, ma se-guiva, piuttosto, un fiuto tutto suo,molto british, per valutare il gusto,lo humour, la cultura delle recluteda arruolare in quel suo imma-ginifico esercito di golosi. CarloGreppi, di questo esercito, rias-sunto nella “sua” - è il caso discriverlo davvero - Delegazionebiellese dell’Accademia Italianadella Cucina, è stato il generale. Fuun punto di riferimento per quasimezzo secolo, sin da quando, nel1961, a 33 anni (era nato nel 1928),contribuì a fondare la Delegazio-ne di Biella, un sodalizio animatoda personaggi di spessore comePaolo Negri, Gustavo Buratti,Beppe Testa, Clelio Angelino, ifratelli Caucino, Pietro Minoli,Beppe Pallanza, Giorgio Perardi,Guido Rivetti, Sergio Serralunga,Luigi Sunder e Aldo Zegna. Se,nella vita civile (uso questo ter-mine perché l’accademicità culi-naria ha sempre un qualcosa divagamente sacerdotale), egli fu unimportante rappresentante delcommercio laniero biellese, tantostimato per le sue doti di signorilitàe onestà da presiedere anche, neglianni Settanta, il Lions Club BiellaHost di cui faceva parte, nel pri-vato egli coltivava, con passione, ilversante “goloso” del vivere, ap-procciandovisi però sempre dal la-to culturale, con una pubblicisticafervida in materia enogastronomi-ca, fatta di articoli, interventi, re-censioni e libri: tutte riconosciutecompetenze che lo portarono adiventare anche Consultore Ac-cademico e Coordinatore territo-riale per approdare poi, nel 1988,alla carica di Delegato. Una caricascandita, negli anni, da uno stileimpeccabile nel rigoroso rispettodegli orari di inizio e fine delleconviviali, nella scelta raffinatadelle occasioni di incontro e neimenù, nei suoi brevi e indimen-ticabili discorsi alle Cene Ecume-niche e alle Conviviali degli Au-guri, discorsi pieni di umorismo

britannico e, tuttavia, pronunciaticon la consumata impassibilità diun John Gielgud.

P r iva t o. Lo andavo, di tanto intanto, a trovare nel su vasto ap-partamento, fattosi sempre piùampio dopo la morte della moglie,l’indimenticabile signora Mirella,e il matrimonio dei suoi figli, Pie-tro, Attilia e Gianna. Qui, egli miaccoglieva tra mobili antichi chemi apparivano come dei confes-sionali barocchi e, allora, Carlo misembrava un inquisitore gaudentedi chef, cuochi e ricettari che esa-minava e giudicava, però, secondola stessa aurea regola che egli con-sigliava a ogni buon accademico:«Generosi con le lodi, avari con lecritiche”. La consigliava soprat-tutto a chi, come me, nel f u ro rgiovanile di chi non ha ancora vis-suto abbastanza, nei piatti - so-prattutto nei dessert - cercava laperfezione: «I piatti perfetti, se esi-stono, sono noiosi - mi diceva,allora, Carlo, con saggezza e iro-nia -: sono come le donne troppobelle. Le bruttine, invece, riserva-no sempre qualche sorpresa». E astemperare la mia vena critica, mimetteva sempre tra le mani qual-che libro bello e raro, che senzaCarlo, io non avrei mai letto, co-

me, per esempio, “Misticanze. Pa-role del gusto, linguaggi del cibo”di Gian Luigi Beccaria. Su queimobili, intanto, riluceva la sua va-stissima collezione di cavatappiantichi che, qualche volta, Carloimprestava a mostre e musei e nel-la quale si condensava una partedella sua vita, perché ha ragioneGadda: a contare davvero, alla fi-ne, sono le cose penultime. Negliultimi anni, la fatica e gli acciacchine avevano minato la fibra e, nel2016, aveva passato la “campanaaccademica” alla nuova delegata,Maria Luisa Bertotto, decretandosostanzialmente la fine di una par-te di sè rappresentata dall’impe -gno pubblico e assumendo la ca-rica di “delegato onorario”. Laparte sopravvissuta, invece, se ne èandata definitivamente un giornodi ottobre: una morte silenziosa ediscreta, in sintonia con lo stile delpersonaggio. Che leggera sia oraper lui la terra di questo autunno:leggera come il suo stile, fatto dimisura e di eleganza; leggera co-me la sua parola ricca di humour;leggera e piena di luce come lagioia che egli, nella sua vita lunga eoperosa, ha saputo sempre dona-r e.

l Giovanni Orsoor [email protected]

LA RECENSIONE Il nuovo libro di Alberto Girotto sulla cucina del riso edito da Aliberti

Il giro del mondo in trecento risottiSfoglio le pagine, indugio tra lefotografie golose, leggo, trasa-lendo, “Nasi Goreng” e la mentefugge lontano, a una cara figurafamiliare che, vissuta a lungo inOlanda con il suo secondo ma-rito, era poi tornata in Italia por-tando con sè, oltre a una culturamolto radical e a una collezionevasta di cappelli che indossavacon aristocratica nonchalance,anche una cucina fortemente im-pregnata di influenze indocinesi(l’Indocina fu, in passato, colo-nizzata dagli olandesi). Un pro-fumo di spezie, di salsa d’ostri -che e di pollo si leva, improvviso,da queste pagine scritte da Al-berto Girotto e mi ritrovo a in-seguire sapori che evocano ri-cordi. Capisco, allora, che ancheun ricettario, pur dotto e arric-chito di note etnologiche e an-tropologiche, può condurre mol-to lontano, ai confini del mondoo, come nel mio caso, addiritturaai confini di una vita quando lazia stupiva i suoi ospiti prepa-rando il “Nasi Goreng”, in que-gli anni Settanta sconosciuto al-l’Italia provinciale: erano gli an-ni in cui Mario Soldati ben po-teva ancora scrivere che a Ver-celli le spighe di riso si usavanocome a Saremo si usavano i fiori.Alberto Girotto, biellese, viag-giatore “del” mondo più che“nel” mondo, per motivi di la-voro oltre che di piacere, ha ca-pitalizzato le sue passioni neicampi della gastronomia, del-l’etnologia e della storia con que-sto “Tremila chicchi di riso”(Aliberti editore, 25 euro): unasorta di enciclopedia universaledella cucina a base di riso. Delresto, Girotto ha collezionato

ben 4.200 ricette a base di riso,raccolte in più di 170 Paesi delmondo, e ha un blog, dello stessotitolo del libro, che del riso tuttodice, compendia e divulga.

Pa s s i o n e. Della sua passione,Girotto scrive nell’introduzionedel testo, partendo dalla figuramaterna (“era una donna d’altritempi, era una massaia e unagrande cuoca” scrive) e paterna(“ricordo ancora con entusia-smo i racconti di mio padre sullasua lunga permanenza africa-na”) e dai menù familiari (“siconsumava soprattutto il riso,che veniva cucinato in molti mo-di come per le minestre, per lefrittelle, per alcuni soufflé anchese la parte del leone era recitatadai risotti”) identificando nellabuona tavola, nel viaggio e nelriso quell’imprinting su cui eglieserciterà, negli anni, la sua cu-riosità, viaggiando fra etnie eculture diverse e iniziando a sco-prire varietà rare di riso e a col-lezionare ricette. «Gli orientali -dice - sostengono che la loro cio-tola di riso contiene 3 mila chic-chi che corrispondono a circa 95grammi, che rappresentano la

porzione di un risotto di un oc-cidentale e sono all’incirca la ra-zione di un africano o un su-damericano».

Te s t o. Questo background, op-portunamente fermentato e col-tivato, ha oggi permesso a Al-berto Girotto di portare il lettoreper mano in un viaggio intornoal mondo scandito in circa 300ricette, corredata ciascuna da no-te e fotografie. Diviso in capitoliche fanno riferimento alle variezone del globo, il dotto ricettariorestituisce nomi esotici comequello giapponese del Butaniku

Chanan, il riso fritto con maiale,o quello indiano del Dhaniya Pu-lao, il riso al coriandolo, accen-dendo la curiosità del lettore, maanche nomi più “domestici” co -me quello del francese del riz à lap ro v e n ç a l e , riso alla provenzale, odel Radetzkyreis (il riso alla Ra-detzky: un dolce austriaco squi-sito) o del Chicken & Rice (il riso epollo) della Carolina del Sud: in-somma, dalla Cambogia allaNuova Caledonia, passando peril Congo, l’Iraq, il Giappone, gliStates e l’Europa, Girotto, nelle281 pagine “saporite” del suo“Tremila chicchi di riso”, riescenell’impresa di confermare ildetto di Alain Ducasse: cucinareè sempre un fatto di amore, unamore che comincia dalla ma-teria prima.

l G.O.

LIBRO & BLOG Alber toGirotto (sopra), biellese e ap-passionato di gastronomia èl’autore del nuovo libro di Al-iberti. Ha un blog in 4 lingue:“3000 chicchi di riso”

Lo scherzodell’uovo fritto,la cucina italianae una collezioned cavatappi

IL PERSONAGGIO

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