LA FORMAZIONE CULTURALE DI ELSA MORANTE
Elsa Morante il 7 aprile del 1983 è stata ricoverata in una clinica
romana,per tentato suicidio, (La Domenica del Corriere,n.5, anno 86,
Rizzoli, Milano, 1984); da allora la scrittrice ha alternato momenti di
lucidità ad altri di totale incoscienza, fino alla morte sopraggiunta il 25
novembre 1985 in seguito ad un infarto.
Elsa Morante era profondamente cattolica,ma con il suo gesto non ha
voluto rinnegare nulla della sua fede,ma,malata,debole e sola,ha sperato
solo nella misericordia di Dio,non vendicatore,giudice inflessibile,ma
padre,che nella sua immensa bontà,potesse capirla.amarla ancora di più
che perdonarla.Forse aveva bisogno in quel momento estremo di prati
verdi,di musiche celestiali, aveva nostalgia di ciò che noi uomini non
conosciamo,ma in cui crediamo dal profondo del cuore.
I suoi libri,il suo successo,sono l’essenza di tutto questo ed hanno un
profumo che non si dissolve mai.
Orgogliosa e diffidente come i gatti siamesi che ha sempre amato e
considerato gli unici,veri,autentici amici,Elsa Morante,chiudendosi in un
ostinato silenzio,ha finito per alimentare intorno a sé le più fantasiose
leggende.
Elsa è un personaggio che,implacabilmente,fino alla fine,è stato alla
ricerca della dimensione ottocentesca dello scrittore totale.
Difatti,pochi hanno nascosto così gelosamente la vita privata come lei.
Sappiamo che è nata a Roma nel 1918,da padre siciliano e da madre
modenese,che trascorse la sua fanciullezza(in anni decisivi per la nostra
storia civile,quelli a cavallo tra le due guerre) nel popolare quartiere del
Testaccio,dove abitava la sua famiglia.
La giovanissima Elsa non portò avanti un regolare corso di studi,ma
attinse alle più varie esperienze in modi profondamente risentiti.
Nel 1942 sposa lo scrittore Alberto Moravia,la cui amicizia,insieme con
quella di Saba, Penna Pasolini,ebbe grande importanza nella sua vita.
Si trasferisce ad Anacapri.
Poi,durante l’occupazione tedesca si trasferisce nella zona di Cassino,dove
viene a contatto con il mondo meridionale.
Dopo la liberazione di Roma,ritorna nella capitale.
Nel 1948 pubblica “Menzogna e sortilegio”,con cui vince,assieme a
Palazzeschi,il Premio Viareggio.
Nel 1957 pubblica”L’isola di Arturo”,con cui vince il Premio Strega.
In questi anni viaggia molto,visitando i paesi europei,la Persia,l’India,la
Russia,la Cina e l’America.
Nel 1974 pubblica”La Storia”.
L’ultimo suo romanzo è “Aracoeli”,che ha suscitato molte polemiche.
Ma forse,le parole che meglio possono servire a decifrare la dimensione
mitica nella quale vive il so personaggio,sono quelle che accompagnano
una delle sue opere più significative”Il mondo salvato dai
ragazzini”(1968),e sicuramente da lei stessa stilate”…attualmente vive
sola a Roma. A chi le domandi il suo ideale politico,risponde che è
un’anarchia,dalla quale si esclude ogni forma di potere e di violenza.Essa
non ignora naturalmente che si tratta di un’utopia,ma è convinta,d’altra
parte,che l’utopia è il motore del mondo e la sola.reale giustificazione
della Storia.
Anche il suo ideale privato è utopistico come ha già confessato nella prima
edizione di questo libro, andare in giro per il mondo a fare il cantastorie.
Questo mestiere infatti le permetterebbe fra l’altro di incontrare l’unico
pubblico che oramai sia forse capace di ascoltare la parola dei poeti.
L’ultimo suo romanzo,al quale essa pensa e lavora da anni e che va
procedendo verso la fine,porta come dedica il seguente verso di Cèsar
Vallejo:”por el analfabeto a quien escribo”. (“Nota introduttiva”,a”Il
mondo salvato dai ragazzini”,Einaudi,Torino,1968.)
La formazione culturale di Elsa Morante avviene negli anni tra il’30 e il
‘40,in un’epoca di grande sperimentalismo nella cultura italiana.
In quegli anni si viene affermando,tra gli scrittori italiani,una diffusa
tendenza realista,l’esigenza di un racconto oggettivo,l’interesse ad una
problematica non strettamente individuale, ma più largamente umana.
Ma proprio in quel periodo viene meno del tutto,senza alcun dubbio in
relazione ai nuovi eventi storici,insieme ad una stabile concezione del
mondo,la visione ottocentesca della società come qualcosa di organico,in
cui ogni parte tenda necessariamente al tutto r si esaurisce ogni fiducia
nella possibilità di un’organica concezione della realtà e si accentua la
coscienza di una insuperabile condizione di solitudine e di isolamento.
I narratori”realisti” non danno un giudizio della società alla luce di una
chiara concezione del mondo,non ci rappresentano la vita dell’uomo come
una complessa trama di rapporti con gli altri uomini,ma ritraggono la
realtà come qualcosa di disgregato,come un insieme di momenti distinti;la
vedono alla luce del loro isolamento,della solitudine,della sfiducia;fissano
l’occhio sugli aspetti più dolorosi ed inquietanti delle società con un senso
di umana pietà,ma senza speranza.
Il libro che apre questa nuova tendenza può essere considerato”Gli
indifferenti” di Alberto Moravia.
Senza alcun dubbio,la Morante ha vissuto intensamente il suo legame con
Moravia,tanto è vero che,dopo tanti anni dalla loro separazione,lei lo
considerava ancora suo marito e,senza alcun dubbio,la forte personalità
dello scrittore e i suoi continui interventi nel dibattito culturale di quegli
anni hanno molto influenzato la scrittrice nella sua formazione culturale.
Moravia mette in luce nelle sue opere,nonostante una certa apparente
adesione neorealistica,la condizione dell’individuo alienato,senza
contatti,in rivolta contro il mondo borghese e i suoi lavori.
L’inafferrabilità della realtà concreta e l’impossibile relazione con gli
altri,genera un senso di sfiducia,di carcere,che lo scrittore accetta,non per
fare il punto di ricerca di una nuova dimensione etico -ideologica,ma per
scandagliarne tutte le possibili inclinazioni psicologiche,fino a giungere,su
questa strada,alla demistificazione dell’arte ed alla desublimazione
dell’ideologia.
La caratteristica di Moravia è sempre stata un costante
sperimentalismo:che va dall’atmosfera esistenzialistica-kafkiana di
solitudine dell’uomo,sorretta dall’influsso delle contemporanee esperienze
francesi e dal peso crescente della scienza psicoanalitica,alla tematica
popolareggiante dei neorealisti,alla rielaborazione del tema della politica
nel rapporto con la società,al rifiuto del’ideologia e alla disponibilità del
romanzo-saggio.
Sono questi dei motivi,che,se pure affrontati con spirito diverso,sono
fondamentali nelle opere di Elsa Morante,e che devono molto ai lungi anni
di convivenza e di simbiosi intellettuale con lo scrittore.
Basti pensare all’importanza che,come precisa adesione ad una
politica,acquista nei romanzi morantiani lo schema del romanzo-
saggio,dove l’intreccio tende a lasciare il posto all’indagine
teorica,all’”estraniamento”dell’Autrice e del lettore.
La tendenza realista si accentua nell’immediato dopoguerra,nel nuovo
clima di democrazia,quando,caduta la dittatura,rinasce una vigorosa
speranza di rinnovamento sociale e si diffonde l’ideologia della sinistra
politica.
Era appena finita la guerra che,in Francia,lo scrittore-filosofo,Jean Paul
Sartre,preludeva a una sua rivista”Temps modernes”,con pagine che
avrebbero avuto eco in Italia,e teorizzava la partecipazione attiva dello
scrittore alla vita sociale,coniando il termine felice e fortunato
di”impegno”,come un richiamo alle responsabilità dell’uomo.
Nel’47 cominciò la pubblicazione delle opere di Gramsci .
L’idealismo,come ideologia della riscossa borghese che aveva avuto inizio
negli anni dell’800 ,entra in crisi.
Alcuni giovani filosofi italiani Abbagnano, Paci(Gli Autori sono citati in
Petronio - Martinelli.”Novecento letterario in Italia”,”I
Contemporanei”Palumbo,Palermo,1975)introdussero nuovi
sistemi.l’esistenzialismo,le fenomenologie.
Eccopure ilo marxismo,che, quasi ignorato nel primo quindicennio del
secolo,respinto poi dalla cultura ufficiale,è stato il fatto culturale più
rilevante di quel periodo.
Infatti il fenomeno nella politica,che caratterizzò quegli anni,fu il
ricostituirsi contro il fronte borghese di un fronte antagonistico delle classi
subalterne ,e,parallelamente,il costituirsi di una cultura antagonista a
quella borghese,che si richiamò al marxismo e che si pose soprattutto,e
questo è uno dei nodi centrali del pensiero marxista,quale rapporto
tra”cultura”e “società” e vide la cultura quale momento ineliminabile della
lotta politica,premessa necessaria alla rivoluzione.
Si viene così a riscoprire,la funzione “civile” della cultura e la
responsabilità civile e politica dell’intellettuale.
Mentre l’arte”ermetica” era stata”borghese”,l’arte”neorealista” voleva
essere”popolare”,o meglio,utilizzando il termine proprio di Gramsci
:”nazional popolare”;un’arte che parlasse a quel che di comune c’era in
tutti gli italiani.
A questa diffusa tendenza al”vero”,al”reale”,si ispirò Elsa
Morante,che,pur aderendo alla moda del”neorealismo”,cercò,di uscire
fuori dagli “standard” culturali canonizzati.
Le opere di Elsa Morante nascono da una precisa esperienza
autobiografica e dalla sua partecipazione attiva alla vita storica e culturale
del Paese.
Effettivamente,quello della guerra,della Resistenza,della lotta per la libertà
è un tema profondamente vissuto dalla scrittrice come esperienza
autentica;dalla sua biografia leggiamo,infatti,che,nel 1943,la guerra la
costrinse a vivere per circa un anno,tra i contadini fuggiaschi del fronte del
Cassino.
E da tale avventura,e dalle origini etniche paterne,trasse un grande amore
per il Sud d’Italia.
Si tratta di un “Meridione” visto sotto il segno della rassegnazione e del
luogo comune,che già nell’impasto linguistico dialettale,vuole
rappresentare gli spazi chiudi di chi vive in una situazione fin dai tempi
assegnata e pessimisticamente non ribaltabile.
Eppure ella sfugge ai limiti della produzione”meridionalistica”,come
espressione del pessimismo esistenziale”borghese”,perché annuncia la
denuncia di quella società e di quel mondo,attraverso la discussione
ironica di modelli e miti.
L’indicazione dei limiti,dell’ottusa difesa di poveri interessi,della totale
mancanza di politicizzazione dei contadini meridionali,si risolve nella
consapevolezza delle responsabilità colpose della classe dominante.
Ad esplicare i complessi rapporti della scrittrice con la politica
del”neorealismo”,vale la profonda amicizia che la legò ad un”grande”
quale fu Pier Paolo Pisolini,del quale,come indimenticabile
testimonianza,ci sono rimasti libri e film.
Ma l’Autrice,pur sviluppando la sua tendenza realista,non riesce ad
accettare totalmente un’idea politica,una chiara concezione del mondo
della storia,non riesce a liberarsi di un temperamento fondamentalmente
decadente,nella sua visione pessimistica di amarezza e di sfiducia.
Elsa Morante,così,non può essere considerata l’interprete di una
società;chi,infatti,scrive con intenti puramente sociologici,ha in genere un
alto senso della storia e della società civile e denuncia i mali della società
nella speranza di sanarli. E’ così,profondamente politicizzato e di
conseguenza profondamente radicato nella storia.
Invece,nella Morante,non c’è nulla di tutto questo:ella rifiuta della storia
dottrine,strutture e istituzioni,e non è fermamente ancorata ad una qualche
ideologia politica e sociale.
C’è la volontà di scoprire un rapporto di solidarietà tra gli uomini;una
profonda e sconsolata pietà;una simpatia per le condizioni di vita e per i
valori morali delle classi lavoratrici;ma al fondo rimane la tragedia di chi
ha l’amara consapevolezza dell’impossibilità di trovare il senso della vita.
Dobbiamo quindi riportare Elsa Morante ad uno più stretto contatto,data la
sua natura essenzialmente pessimistica,con una matrice esistenzialistica a
contatto con il lavoro di uomini che,prima e in quegli anni,operavano
all’estero(Jean-Paul Sartre, Jaspers, Heidegger…),e in relazione alla
tematica dei romanzi di Kafka,soprattutto per il sogno e nel senso
dell’angoscia.
Non a caso i romanzi della Morante nascono e vivono sotto il segno della
morte;i riti sociali e sacrificatori con i quali i protagonisti travestono un
intimo bisogno di fuga dalla realtà e dalle loro responsabilità ,offrendosi in
esibizioni di esaltazioni sado-masochistiche,spingono inesorabilmente alla
morte,psicologica e fisica.
Come i suoi protagonisti,incapaci di accettare la loro squallida realtà,si
creano una zona di privilegio e di fantasia,così lì’Autrice,convinta della
non - conoscibilità e del mistero dell’esistenza,rappresenta questa con
l’invenzione,consapevolmente fittizia,di storie convenzionali,di avventure
illusorie e assurde,di menzogne seducenti,con le quali cerca di esercitare
l’illusione di coordinare soggettivamente una oggettività non coordinabile.
Da questo atteggiamento ambiguo e ambivalente,nasce un intreccio di
realtà e di mito,di descrizione oggettiva e di deformazione surreale,di
affascinanti suggestioni per le ricche fantasie di un mondo putrefatto e la
loro condanna e dal quale deriva un intersecarsi di Passato di favola e di
Presente di morte.
Nello spirito decadentistico della Morante si inserisce la sua adesione ai
temi della”psicologia del profondo”.
Rifiuto della oggettività del reale,infatti,significa anche appello alle forze
oscure dell’inconscio individuale e collettivo,a cercare le origini
dell’uomo nei meandri bui dell’inconscio,nelle leggi interne che
regolano,fin dall’inizio,la società umana.
Ciò del resto non contrastava con la contemporanea battaglia svolta dal
marxismo contro la società capitalistica,i suoi tabù e le sue repressioni.
Spesso,nei libri della Morante,l’argomento diretto è il”mito”,come
incontro tra le proiezioni interiori del personaggio e il retaggio di arcaiche
e ancestrali superstizioni;esso,poi,si rivela la metafora sublimatrice della
realtà,alla quale la scrittrice vuole alludere,e spinge a fuggire nel campo
dell’inconscio .di allucinazioni non controllate,di passioni non domate.
Data,quindi,la funzione del”mito” nell’Autrice,si può essere tentati di
determinare un rapporto tra i personaggi
morantiani:Elisa,Arturo,ei”fanciulli divini”della psicologia junghiana.
Per Jung (L’Autore è citato in Venturi Gianni.”Elsa Morante”,”Il
Castoro”,n.130,la Nuova Italia,Firenze,1977)la funzione del”fanciullo
divino”,è quella di far trionfare la coscienza sull’oscurità
dell’inconscio:”Diventare coscienti è certamente la più grande esperienza
primordiale,perché è per mezzo di essa che è sorto il mondo,della cui
esistenza nessuno sapeva”.(Jung”Prolegomeni allo studio scientifico della
mitologia”Torino,1948,pag.130).
Per la Morante,compito dei suoi protagonisti è svelare la realtà dalla
menzogna o dal sonno dell’irrealtà.Alla fine della sua produzione,la
scrittrice affiderà addirittura ai fanciulli divini,ai”ragazzini”,la salvezza
del mondo. Se l’inconscio collettivo,affine al mito,ritorna
sull’archetipo”fanciullo”,vuol dire che esiste una contraddizione e una
minaccia con le proprie condizioni di infanzia in
pericolo;dunque,l’infanzia collettiva che si esprime nel mito del fanciullo
divino,ha per Jung,necessità di questo giovane eroe che conosce il
mondo,cioè la realtà.;la Morante,di fronte ad un mondo irreale,minacciato
dalla morte atomica,potrà e dovrà opporre il”ragazzino”.
In “Menzogna e sortilegio”,Elisa rappresenta la voce dei fanciulli
divini,che con la loro”Immaginazione ragionante”,salvano la”realtà del
mondo”.
Ma il mito,come dice chiaramente Jung,si apparenta alla fiaba,ma
soprattutto al sogno.Nelle teorie junghiane,la psicologia del sogno è
situata come”terra intermedia”tra la psicologia normale e quella
patologica.
Ed Elisa,nel momento della cattura della menzogna,non esita a rifiutare la
realtà per il rifugio nel”sogno”.
Vediamo cosa dice l’Autrice in “Risposta” alle”Nove domande sul
romanzo”,del 1959:”…la posizione dello scrittore è fondamentale per
assolvere il compito di stabilire contatto con la verità e debellare i mostri
del’irrealtà per mezzo della parola. “E poi “anche nei miti,appunto,si legge
che il protagonista solare ossia la immaginazione ragionante,consapevole
del destino risale sempre dalla prova della notte,portando la liberazione
alla civiltà devastata.
A lui si richiede di affondare l’angoscia non per ubbidire alla morte o per
dare spettacolo di se stesso;ma per una “assoluta conoscenza”,conoscenza
che è poi la verità poetica(“Risposta”alle”Nove domande sul
romanzo”,in”Nuovi argomenti”,1959).
“L’immaginazione ragionante” è dunque la poesia ovvero la salvezza dalla
menzogna e dall’errore.
La fiducia della Morante nella parola,allora,è totale:la parola nella sua
massima accezione di comunicabilità .è cioè la poesia,si carica del
massimo di realtà.
Ad esplicare l’originalità della soluzione morantiana tra realismo e
fantasia,occorre rifarsi,ancora,alle sue dichiarazioni di poetica
della”Risposta” alle”Nove domande sul romanzo”.Teorie che possono
essere confrontate con quelle di Giorgio Lukàcs(L’,Autore è citato in
Venturi Gianni”Elsa Morante”,n.130, La Nuova Italia,Firenze,1977) sul
romanzo.
Non bisogna dimentica il giudizio espresso da Lukàcs sulla Morante,in
quanto per lui è uno dei massimi talenti di scrittore del Novecento,perché
esprime una rivolta,ancora solitaria e individuale,alla forma
dell’alienazione e alla sclerosi borghese della società.per la Morante la
tecnica adottata da uno scrittore non è determinante ai fini del grado di
realismo dell’opera:sia essa in prosa o in versi,favola o racconto
oggettivo,è sempre ricerca assoluta della realtà:è questo il suo
necessario”realismo”.
Sentiamo le parole stesse dell’Autrice:””Romanzo” sarebbe ogni opera
poetica nella quale l’autore,attraverso la narrazione inventata di vicende
esemplari(da lui scelte come pretesto,a simbolo delle”relazioni” umane nel
mondo)dà “intera”una propria immagine dell’universo reale(e cioè
dell’uomo,nella sua realtà)”.(Risposta,pag.18 opera citata)
Alle”vicende esemplari”di cui parla la Morante si può accostare la formula
del”tipico”lukàcsiano,specie quando nello scritto “Marxismo e critica
letteraria”,il filosofo afferma che:”La fedeltà alla realtà,l’appassionato
sforzo di restituirla nella sua integrità,furono per ogni grande
scrittore,(Shakespeare,Goethe,Balzac,Tolstoj) il vero criterio della
grandezza letteraria”.
Pure vicina all’estetica del filosofo ungherese è la proposta morantiana
sullo stile e sul linguaggio artistico.
Se per Lukàcs”ogni nuovo stile,sorge come necessità storico-sociale nella
vita”,ed è”Il necessario prodotto dell’evoluzione sociale”,e mai”da una
dialettica immanente alle forme artistiche”;(Lukàcs”Marxismo e critica
letteraria”),per la >Morante,la risposta della verità nella realtà scatta nel
linguaggio”E’ l’esercizio della verità che porta all’invenzione del
linguaggio,e,”non”viceversa”(”Risposta” Opera citata).
Si pensi poi alla funzione del narratore e alla giustificazione dell’io
narrante come garanzia di”di stanziamento”,e nello stesso tempo come
possibilità di una visione totale del reale.
Anche Lukàcs crede nel”di stanziamento”,come”L’apriori” di ogni
possibile selezione degli avvenimenti posti dalla prassi;con l’uso della
prima persona è possibile distanziare in un passato anche recente gli
avvenimenti e sottoporli a selezione.
Per la Morante l’uso della prima persona è anche il modo di filtrare la
realtà,per cui lo scrittore diventa il”centro sensibile” del suo tempo e si
pone come medio tra l’uomo e il destino. Un’affermazione che può
ricordare Lukàcs:”la tensione propria dell’arte veramente etica concerne
dunque sempre destini umani”.
Ma notiamo,come,nelle sue dichiarazioni di poetica,e poi nei suoi
romanzi,la scrittrice ha sentito l’esigenza di credere ad un realismo che
non si identificasse con una scuola letteraria(il neorealismo),né con
l’adesione supina alle parvenze della realtà(il realismo sociale).
Nell’equivoco tra la tendenza al”vero”,al”reale” e una sostanziale matrice
esistenzialistica,si esaurì il nostro”realismo”.
Forse il tratto del carattere che meglio svela la natura”decadente” di questa
letteratura,è l’incapacità dello scrittore di affrontare le condizioni
del”popolo”,per rifugiarsi in personaggi nevrotici e schizofrenici,idonei a
metaforizzare la rabbia dell’intellettuale borghese.
“Borghese”,appunto,fu quella letteratura per l’incapacità di rappresentare
altre alternative al mondo odierno,nella persuasione che non esiste altra
società fuori di quella,e che,quindi,il futuro,non lo si può preparare sulla
base di un’analisi che nell’oggi prefiguri il domani,ma lo si può solo
sperare,semmai,ed utopizzare irrazionalmente,come il frutto di una
eversione totale.
Il sistema di pensiero e la visione del mondo più congruente con questo
stato d’animo si attuò nella scuola di Francoforte con uomini
quali:Theodor Adorno,Marx Horkheimer, Herbert Marcuse.
Come già detto,costoro condannarono la società attuale e,contro
il”sistema” e il”potere”,esaltarono un’arte che,rifuggendo sia dall’impegno
contenutistico,dalla speranza,perciò,di influire attraverso l’arte nella vita
sociale,sia dal gioco formalistico dell’arte per l’arte,assunsero
come”impegno”,la lacerazione e il caos della società di oggi.
Una visione,quindi,dell’artista che vede il mondo come una macchina
mostruosa che tutto ingloba;e conduce come ultima soluzione,non
l’organizzazione politica,non il proletariato ma l’arte,come estremo tributo
pagato alla società.
Da ciò,verso la fine degli anni’50 e nel corso degli anni’60,si ebbe
l’esplodere di una ribellione anarcoide,caratterizzata da una sfiducia
assoluta nelle forze politiche tradizionali e dall’odio verso il”sistema”,e
che investì tutti i settori della vita associata.
In relazione a questa tematica e fiduciosa nella funzione dell’arte,la
Morante si condusse ad un diretto intervento pubblico:la conferenza”Pro e
contro la bomba atomica”,e poi a scrivere un libro,che rappresenta un
momento centrale nella sua poetica,a segnare una svolta fondamentale
nella sua visione del mondo.
C’è la funzione della poesia come strumento espressivo privilegiato di un
momento di crisi e di sfiducia,provocato da strazianti avvenimenti pubblici
e privati.
Se nella”Risposta” la scrittrice insisteva sul realismo dell’arte,in questa
conferenza cerca di definire le qualità di quel reale,oggetto
dell’arte,discostandosi dai precedenti modelli di critica marxista.
Altre esperienze intervengono nella sua riflessione:l’accostamento a
culture diverse,lo”Zen” e altre filosofie orientali e la scelta ideologica che
l’avvicina all’anarchismo umanitario o all’evangelismo latamente
paleocristiano,che trae origine dalla constatazione di una comune
sofferenza umana che ha per modello Cristo.
Se la verità poetica è bellezza,è grazia,non può assolutamente coincidere
con la nozione di storia;anzi,la storia appare come l’estremo inganno,la
totale”irrealtà”.
Il nostro tempo,asserisce la Morante,è espresso dalla bomba atomica,quasi
che l’umanità si compiaccia della”occulta tentazione di
“disintegrarsi”raggiunta con la”disintegrazione della coscienza per mezzo
dell’ingiustizia e demenza organizzate,dei miti degradanti,della noia
convulsa e feroce”(Pro e contro la bomba atomica”,in “L’Europa
letteraria”,VI,n.34,1959).
La storia contemporanea è tesa alla disintegrazione del mondo,l’arte è il
contrario della disintegrazione;è il mezzo di restituzione della realtà-
Lo scrittore ,che conosce il caos,la mania di annientamento degli
uomini,sceglierà di denunciare la irrealtà della storia,di proclamare,per un
fine sociale,i valori della realtà-verità.
In altre parole,lo scrittore restituirà la realtà,non modificata
e”innocente”,che lo porta a schierarsi accanto ai dominati e a rifuggire dai
dominanti,in quanto il concetto di”dominio” è il “maximum”dell’irrealtà
ed è assente dalla mente degli scrittori come da quella dei fanciulli e dei
giovani ,non ancora infetti dal morbo della storia.
L’autobiografia è il “primum” poetico che si organizza subito come
giudizio sulla realtà.
Si spiega così il rifiuto dell’Autrice a farsi riconoscere fuori dai libri,a
sentirsi risolta solo nelle opere,secondo l’immagine a lei cara del poeta-
eroe.
Ad esemplificare l’ultima posizione della scrittrice può servirci un breve
scritto del 1970,”Il beato propagandista del Paradiso”.Il saggio nasce
come presentazione ad un volume sul Beato Angelico;difatti,trattandosi di
un pittore,l’attenzione della Morante si imposta subito sull’arte,come
capacità di difesa contro l’infezione della storia e contro l’irrealtà del
mondo contemporaneo.
Il parallelo santo-pittore ribadisce questa convinzione:”Difatti i santi
dell’arte mi si fanno riconoscere perché portano sul corpo i comuni segni
della croce materna,la stessa che inchioda noi tutti.Solo per aver scontato
in se stessi,fino alla consumazione,la strage comune,i loro corpi hanno
potuto,a differenza dei nostri,rendersi al colore luminoso della salute”(“Il
beato propagandista del Paradiso”presentazione a “L’opera completa
dell’Angelico”,Rizzoli,Milano,1970).
La strage è ipotizzata come risultato della storia,ma, prosegue la
Morante,nella nostra epoca la bruttezza a cui ci ha abituato il secolo
atomico,diventa l’inevitabile sbocco dell’irrealtà.
L’opposizione bellezza-bruttezza qui si prospetta legata alla diversa
valutazione del presente e del passato;in quest’ultimo,infatti,pur afflitto
dai mali della storia,il concetto del brutto artistico non esisteva.
Oggi,invece la bruttezza,che significa propriamente”negazione della
realtà”o”alienazione”totale dall’intelletto e dalla natura,è il prodotto del
secolo atomico,perché ,secondo una ferrea
deduzione,bruttezza,irrealtà,mancanza di intelletto,segnano la nostra
epoca,la peggiore della storia.
Unica possibilità di arginare questo processo di degradazione è di opporre
la natura alla Storia;solo nella natura c’è la salvezza,poiché l’infezione
della storia corrompe anche le vittime.
La Morante,si inserisce nel movimento letterario di quegli ultimi anni,di
chi,sulla delusione degli avvenimenti politici,ha perduto la fede in un
rinnovamento collettivo,per riconfermare il senso di solitudine e di
isolamento dell’uomo nella società moderna,perché non crede più nella
possibilità di comprendere.Si ha così,nella tendenza comune che si
rispecchia nella Morante, il”ritorno” a temi e motivi
dell’esistenzialismo,in un risorgente stato di scetticismo,che si riflette in
un ripiegamento dello scrittore su se stesso,per affermare solo la sua
solitaria protesta.
I CONTENUTI FILOSOFICI DEL PENSIERODI ELSA MORANTE
Fiabesca e fantastica fu,fin dall’inizio,l’opera di Elsa Morante,fra i cui
molti scritti(fiabe,versi,libri per l’infanzia),spicca il suo primo
romanzo”Menzogna e sortilegio”.
Alla composizione di questo libro la Morante si dedicò pochi anni dopo la
Liberazione. Alcuni,tuttora,la considerano come il suo
capolavoro,riportandone interpretazioni discordanti,o addirittura opposte.
Una parte dei critici lo ha collocato,infatti,fra i classici del”realismo
sociale”;mentre altri lo hanno sistemato nel regno onirico della fiaba e
dell’inconscio,o dentro le fantasie nere alla Poe.
La trama è costituita dal racconto che Elisa,ragazzina
meridionale(volontariamente segregatasi in casa,alla morte dei genitori),fa
della storia della sua famiglia,autoannientatasi nell’inseguimento di
impossibili sogni di grandezza e di amore,con i quali i personaggi
stendono un velo d pietosa menzogna sullo squallore della loro esistenza e
creano una zona di sortilegio della immaginazione e della fantasia.
In questa zona essi si sottraggono alla storia e alla realtà e vivono
un’esistenza illusoria e fittizia,in cui la volontà,la consapevolezza sono
sostituite da forze irrazionali e incontrollabili.
Meccanismo inventivo dell’Autrice è tale da far slittare il piano della
realtà in quello del surreale,e, attraverso tale meccanismo ella
contemporaneamente condanna lo schema mentale mistificato di una
società regressiva e immutabile,che si nutre di sentimenti,di illusioni e di
idolatrie distruttive.
Una società che si rifugia in una realtà fiabesca e remota,fuori dal tempo
dello spazio e della storia,intrisa di magia e di superstizione,alimentata
dalla fantasia che nasce dai sogni di grandezza e dalle ambizioni di
affermare una società immobile nella realtà;insieme,però,dominata dalle
inclinazioni e dalla sensibilità moderna,che tende a proiettare l’oggettività
nell’interno profondo dell’”Io”,e che sottrae i propri sentimenti all’impatto
impietoso con il mondo esterno,per cercare una loro estrinsecazione nella
zona libera del surreale.
Da qui il tono letterario,che da una parte appare una reviviscenza
dell’epica cavalleresca e della mitologia classica,dall’altra introduce nella
crisi esistenziale dell’uomo moderno.
Ma si deve riconoscere che il pretesto dell’illusione,del gioco,non è
altro,in verità,che una specie di pudore per difendere ,l’intimità troppo
scoperta di una straordinaria confessione attuale,che coinvolge l’Autrice
stessa.
Appunto,in”Menzogna e sortilegio”,c’è già tutto il nucleo della poetica e
della struttura letteraria utilizzate da Elsa Morante.
Osservando lo svolgersi delle vicende,vediamo che,fatalmente,il destino
dei personaggi si ripete in modo quasi ossessivo:tutti tesi alla ricerca,ad un
tentativo di rottura dagli spazi ristretti,fin dai tempi ancestrali assegnati,nei
quali ciascuno è costretto a muoversi.
L’Autrice ha quindi,una concezione profondamente pessimistica e
desolata del destino dell’uomo.ogni sforzo,infatti,risulta vano,perché
ognuno appare inchiodato al proprio destino,che non consente gesti
autonomi;tutto è condizionato dalle ferree leggi della società civile,che
negano all’uomo un effettivo potere autodeterminante,che lo chiude in una
prigionia assurda.
Nel romanzo,sembra,dunque,che la sofferenza sia un prodotto inevitabile
dell’attitudine umana a generare illusioni che sono poi fatalmente deluse
dalla realtà:condizione universale dell’uomo,eterno Tantalo,che non può
raggiungere i fantasmi delle sue dolorose mitizzazioni.
Unica vera voce che rifiuta di entrare nel cerchio degli inganni,che rifiuta
l’aspirazione illusoria dell’autonomia(perché acquista la consapevolezza
dell’impossibilità di ottenerla nello spazio dell’uomo e si pone al di fuori
di esso),è quella di Elisa,(nome carico di sottintesi:l’Eliso è il compenso
mitologico dei giusti),colei che si fa adoratrice della menzogna,ma che in
realtà va ad indagare la storia che le grava sulle spalle o per demistificarla.
Bisogna fare attenzione al significato della “menzogna”,come sostitutiva
della verità e della vita;la menzogna è si delirio,ma è ciò che permette di
andare a caccia della verità,di evocare attraverso il ricordo di Elisa,dopo la
delusione della menzogna,una realtà,dove tutti i personaggi smettono la
loro parte e recuperano il senso”reale”,la”verità”.
Solo attraverso la”pietà”,non nel senso cattolico,ma in quello del rapporto
umanamente attivo,scatta la molla dell’operare pratico. La
“menzogna”è,così,il segno negativo che permette il recupero della
coscienza reale,travolta dall’irrealtà della menzogna stessa.
Alla disingannata Elisa resterà un’ultima speranza e un ultimo sogno della
sua pietà verso i morti,:narrarne la vita e ricercare i destini,per liberare
dalla finzione la verità.
La concezione dell’Autrice deriva dagli influssi che ella ebbe dalla
filosofia del secondo Ottocento e in particolare dalla psicologia di
Freud,che già aveva rivelato la necessità,per una effettiva comprensione
del reale,di un’analisi che vada oltre i confini delle apparenze
fenomeniche.
Determinante è l’uso particolare che la Morante fa delle categorie del
tempo e dello spazio,che costituiscono gli elementi portanti della
narrazione,entro cui l’Autrice colloca la sua visione del mondo.
Ben precisa infatti è la sua concezione dello”spazio”.in quanto esso
delimita i confini umani,conclusi.Abbiamo cioè lo spazio come la
metafora di un mondo spinto,dall’impossibilità di relazione e di
svolgimento,verso il nulla.
L’ambiguità del romanzo deriva allora dal contrasto apparente tra spazio e
tempo;lo spazio è ristretto,l’uomo è costretto a muoversi in un luogo
concluso,in assoluta impossibilità di comunicare con il resto del mondo
che lo condiziona;la sua autonomia è puramente illusoria,serrato come è
nell’intrigo di eventi e nell’angoscia della sua solitudine;ogni suo gesto e
parola si disperdono,si vanificano per l’impossibilità di una destinazione
diversa dal carcere in cui l’uomo è rinchiuso.
Il tempo,allora,non può che assistere alla negazione della conquista di
relatività che gli è opposta da uno spazio che si rivela assoluto e che rende
suddito di un oscuro tirannico dominio il suo abitante.
C’è in Elsa Morante,così,una credenza arcaica,simbolista,per cui un
amuleto è lo specchio di una realtà,cosicché può fugarla o favorirla.
Infatti,come Enzo Siciliano(“Morante e l’amuleto del mondo”,in
“Letteratura italiana 900”vol. VIII, Marzorati,1980) ha giustamente
osservato per Elsa Morante il mondo è un”Amuleto”.
La struttura di”Menzogna e sortilegio”raccoglie infatti in sé i moduli
narrativi della tradizione,fusi con grande sapienza,ad emblema stesso del
romanzo.
Ma nell’Autrice c’è la volontà di ricondurre alla ,loro radice stellare i
paradigmi,le funzioni di questo genere letterario.
Questo proposito fa sì che il suo romanzo sfugga ad una classificazione di
puro manierismo,per cui tutto è bello,clonato di grazia.Quando invece ciò
che in sostanza viene narrato è tutt’altro che grazioso e fiorito-Lo scopo
espressivo di tutto è allora sostanzialmente contrario all’apparenza.
Accade cioè che la prima persona che racconta, proietti in una dimensione
di ricevuta bellezza l’intera vicenda,non per acriticità ma al contrario.
Tale contraddizione è risolta nel simbolo ottenuto:la vita è morte,è pazzia
è non vita.Ma questo simbolo si rafforza,oltre che per il senso che hanno
gli avvenimenti narrati,per la forza con cui essi sono raccontati.
Le scelte linguistiche,infatti,ricordano una prosa ottocentesca,ma a
capovolgere la passiva accettazione di un modello di remota
derivazione,interviene una chiara consapevolezza della consumazione cui
l’uso letterario ha sottoposto le parole e,di conseguenza,un’organizzazione
di segni gravida di un’ironia acre,i cui esiti diventano correttivi ed
edificanti.
Efficacissimo,in tal senso,l’intervento dello”speaker” che si qualifica in
senso ironico,cioè,porta avanti un discorso allusivo in forza del quale le
cose sono affermate,ma subito dopo corrette o addirittura negate.
Il doppio ironico del romanzo,proprio in quanto oil significato stesso della
vita è solo nella morte. E in ciò raggiunge la smagliante bellezza degli
amuleti,balugina come questi di presagi.
La Morante ha utilizzato il modulo narrativo del romanzo-
saggio,realizzando qualcosa di esemplare nella narrativa italiana del
dopoguerra,perché esprime uno stato di sonnambulismo evocante,che si
pone davanti agli eventi per leggerli con distacco.
Il saggio di moralità,allora,non verte solo sulla vanità di ogni tentativo di
evadere dalla prigionia alla quale l’uomo è inchiodato;il potere
demistificante del romanzo agisce ad un livello più sottile,quello del
linguaggio e in ciò è il merito maggiore dell’Autrice;aver saputo
contestare dall’interno,con fine ironia,un consumato strumento di
comunicazione.
Concludendo,come Angelo Raffaele Pupino(“Struttura e stile della
narrativa di Elsa Morante”,Longoni Angelo,Ravenna,1968)ha scorto,tema
essenziale di questo romanzo è la rappresentazione dei ferrei
condizionamenti che regolano la vita della società,che nascono da un
costume fatto di costrizioni e di idee distorte e nella demistificazione e
condanna delle mitologie piccolo-borghesi.
E tuttavia questo romanzo è ben lontano dall’essere soltanto la denunzia di
una struttura sociale e di una mentalità odiosa.
I personaggi della scrittrice non sono esclusivamente esponenti di una
forma mentis meridionale, ma anche emblemi dell’incapacità degli uomini
di sopportare la propria condizione terrestre ,il libro ha perciò accanto ad
un significato sociologico,uno esistenziale ed autobiografico.
Può valere a rappresentare lo schema narrativo utilizzato da Elsa
Morante,un breve racconto del 1937;”La nonna”.Il tema è abbastanza
tradizionale:la gelosia di una madre per il figlio andato sposo;in questo
schema,che è niente di più che un’occasione,la narrazione si orienta verso
un’atmosfera trasognata.
La volontà definitoria che presiede alla rappresentazione degli spazi e
della ritrattistica esprime un bisogno di definire,esaurire i tratti fisionomici
di ogni figura,senza nulla lasciare alla libera immaginazione del
lettore,quasi per inchiodare i personaggi al loro destino.
Ognuno obbedisce ad una propria logica,tuttavia condizionata, sicché il
senso della definizione dei luoghi nel racconto morantiano è che lo spazio
serra le persone,le determina,le racchiude in una prigionia senza speranza
e le esclude da ogni possibilità di comunicazione.
Il gesto,la parola,privati da un’effettiva autonomia,subiscono forze
estranee che costruiscono un sistema tanto più irrazionale quanto più
razionali sono gli strumenti utilizzati;la cura estrema e la grande
attendibilità del particolare si contrappongono all’assurdo slegamento dei
gesti,immettendoci in un clima surreale.
Il corso del tempo allora,non può che registrare l’impossibilità di
autonomia dello spazio,nel quale perciò l’azione si rivela sempre
condizionata.
Gli uomini sono avvolti da un’angoscia,inflitta ogni giorno ed ogni
momento dal di fuori,che costituisce la dimensione spirituale,costante di
un’esistenza assurda e senza speranza.
Questa è in parte,anche la struttura del secondo romanzo“L’isola di
Arturo”.
Si è parlato,per questo libro,di adesione alla moda del neorealismo;in
realtà,la vicenda si mimetizza nel paradigma di un’avventura inizialistica,
senza alcun rapporto con il neorealismo.
La favolosa e libera infanzia di Arturo a Procida,l’eroica e avventurosa
scoperta dell’isola,il mistero che circonda la casa,la luminosità quasi
sacrale della natura mediterranea,l’idolatria per il padre,il suo narcisismo
sfrenato sono le componenti di un”mito archetipo”,che rappresenta lo
stadio fantastico e prelogico della coscienza e che si contrappone alla triste
realtà che sta per giungere,con la maturità(che arriva di lì a poco con
l’amore,con il sesso,con la scoperta della squallida verità)Il libro ebbe
grande successo ,vincendo anche il premio Strega, e grossa fortuna presso
il pubblico.
Il reale viene colto in due momenti privilegiati:.l’adolescenza come tempo
e occasione del destino e l’isola come luogo e spazio assoluti.la
disgregazione del reale che insidia le”Certezze Assolute” di
Arturo,proietta il protagonista nella storia,cioè nella maturità
.”Fuori dal limbo non v’è Eliso” è il verso rivelatore che conclude la
dedica ad apertura di libro,quasi che,”l’Eliso” ed il”libro”del
destino,rappresentino l’irripetibile momento offerto al protagonista.
Dietro tutto ciò c’è la volontà saggistica dell’Autrice.
Il romanzo appare costruito su di uno schema in cui,fin dal principio,sono
imprigionati gli avvenimenti..In esso si innestano poi considerazioni,
riflessioni,motivi critici del saggio di moralità e soprattutto l’esercizio di
una capacità analitica in grado di penetrare nelle più riposte pieghe della
mente del personaggio,reso però nella sua statica psichica.
La lettura del romanzo infatti può avvenire in chiave psicoanalitica:Arturo
è inconsciamente innamorato della matrigna Nunziatina,ma il suo super
ego respinge la passione,che trova soddisfazione a livello onirico:questo
è,in generale,il gioco che in modi preordinati e calcolati si avvolge
nell’animo dell’adolescente,e che,una volta rivelatosi pienamente alla
coscienza,comporterà la disintegrazione dei superbi miti dell’infanzia.
Ma quello che qui interessa osservare è la visione del mondo e degli
uomini,desolata e sconsolata,che l’Autrice simboleggia in questo testo.
Come nel primo romanzo,anche qui,lo spazio occupa un posto di rilievo
sempre opprimente. E le ampiezze che talvolta esso
nasconde,sono,però,deludenti,nascondono inganni e condizionamenti che
inducono all’angoscia di una esistenza automatica.Scomparsa l’isola,il
luogo concluso dove si sono svolte la fanciullezza e l’adolescenza di
Arturo,ideologicamente possiamo immaginare il mondo in cui vivrà il
protagonista;quello che attende Arturo uomo è uno spazio immobile,nel
quale un non meglio identificato potere impedirà una vita autonoma;allora
l’ossessività dell’inutile scorrere del tempo che regola ogni cosa con le sue
leggi immutabili,non lascia,come sola alternativa,che la volontà di
annullarsi in una”notte senza durata e senza coscienza”come”unica
tollerabile conclusione”del giorno.
Anche qui,quindi,la presa di coscienza,tramite l’assolutezza dello spazio e
del tempo,della prigionia assurda dell’uomo dentro le leggi imposte
dall’esterno e alle quali è impossibile sfuggire.
Poco prima dell’”Isola di Arturo”Elsa Morante aveva composto un
romanzo breve,dal titolo”Lo scialle andaluso”,annunciante già il tema
proposto nel romanzo del disinganno e del passaggio dalla realtà
dell’infanzia all’irrealtà del mondo adulto.
La storia narra di Andrea,figlio di Giuditta Campese, ballerina del teatro
dell’Opera di Roma,e della sua educazione sentimentale condotta sulla
progressiva delusione e sul conseguente distacco dalla figura materna,fino
alla soglia della giovinezza,quando il ragazzo costruirà improvvisamente
la sua maturità sulle rovine del legame che lo univa visceralmente con la
madre.le affinità con la storia del piccolo Arturo sono molte:come succede
per il padre di Arturo,sarà anche per Giuditta lo scacco che permette al
figlio l’ingresso nella maturità,ma,mentre Arturo,fugge nella storia e nella
vita per cercare un senso al suo destino,anche affrontando la
guerra,Andrea accetta con la madre un destino ripetitivo che lo configge
nella desolata solitudine di un mondo privo di grazie e di ideali.
Unico elemento emblematico un oggetto,uno scialle andaluso,che avvolge
il ragazzo,uno scialle che raccoglie tutto un senso del teatro e delle sue
illusioni e falsi splendori.
Un’educazione è compiuta;l’eroe privo di illusioni,potrà affrontare la vita
senza lo scudo della fantasia che lo protegge dall’irrealtà del mondo.
”Lo scialle andaluso”è totalmente chiuso alla realtà esterna.Ma la storia,la
futura irrealtà,pur non apparendo mai,ha avuto ragione della giovinezza e
delle illusioni.
Ma c’è in Elsa Morante,al di fuori del mondo consolante del mito,delle
fantastiche”certezze”,o del regno onirico delle fiabe,una qualsiasi
possibilità di salvezza,di decisione del proprio destino,di rapporto salvifico
con gli altri uomini;e cioè,in altre parole,come risolve la Morante il
rapporto,la dipendenza,lo scontro dell’uomo con il Reale,con il mondo
della Storia?
Uno spiraglio,un barlume di luce,anche se,ed ella lo sa,quanto mai
utopistico sorge in quella,che, a mio avviso, vorrei definire come la
seconda fase della narrativa morantiana,ove si tenta un superamento del
primitivo pessimismo totale e del nullificarsi dell’esistenza in un’angoscia
senza fine.
Il libro più significativo da questo punto di vista,dove l’Autrice canta il
suo dolore interiore come testimonianza di un dolore universale, è”Il
mondo salvato dai ragazzini”.
Tale tematica poi si allargherà,per aprirsi.ed affrontare,alla fine un
incontro diretto col proprio tempo,ne”La Storia”.
“Il mondo salvato di ragazzini” fu scritto tra il 1966 e il’67,e apparve nella
primavera del 1968,cioè nel clima della contestazione giovanile dilagante
nel mondo occidentale.
L’opera,infatti,con tutta la sua carica violenta e accusatoria nei confronti
del mondo e della storia,coincide in pieno con ilo vento di negazione
radicale e ,nei suoi aspetti estremi,anarchico del periodo.
Comprendiamo perché Elsa Morante definisce i suoi libri come”romanzo
e autobiografia”,non intendendo questo come un seguito di fatti
personali,ma come l’avventura di una coscienza che tende,nel suo
processo,ad identificarsi con tutti gli altri viventi della terra.
Questo è un libro funebre,scritto sotto il,segno ossessivo della morte,dove
la Morante esprime chiaramente lo”scandalo della storia”,ed oppone ad
esso il conforto della arte e la purezza dei ragazzini,i salvatori del mondo.
Così la fiaba,l’umorismo,l’allegria dei giovani,diventano i mezzi stilistici
ed ideologici con i quali la scrittrice denuncia la sua sfida all’irrealtà,alla
storia.
Espressione della nuova dimensione ideologica dell’ Autrice,il libro si
presenta come una rivolta contro la morte,la”vera” morte ,cioè
l’annientamento della personalità umana.
Approfondendo alcuni motivi del misticismo orientale e dell’evangelismo
cristiano,la Morante è convinta che la morte dei sensi è illusoria,una
trasformazione della vita.
La morte corporale è così solo un gioco:la”vera”morte è quella provocata
dall’alienazione:è una sorta di morte morale.
Se Arturo illusoriamente attende ancora il”giorno”della vita,nel mondo
contemporaneo la condizione adulta diventa un rischio mortale a cui i
ragazzini,ancora immuni dal morbo dell’irrealtà,rispondono con
l’impegno,o con “la fuga della vita”.
L’inabilità del mondo è colpa degli adulti,che adoperano il loro potere per
spingere i ragazzini a fare uso della droga e del suicidio(la fuga dalla
vita),e conservare in questo modo il dominio.
Il grande tema del”Mondo”è la morte.la lotta,l’accettazione e il rifiuto
della morte fisica e morale sono il filo da cui nasce il libro,prendendo lo
spunto da un fatto privato:il suicidio del poeta-pittore,da lei amato,Bill
Morrow.
Nell’Addio” al giovane,che ha scelto la”fuga dalla vita”,non c’è solo il
dolore per la sua morte,ma viene cantata anche la”causa”di quella fuga,che
viene identificata nel potere adulto che ha permesso tutto ciò.
Ma la Morante conclude,e in ciò consiste la grande novità di quest’opera
rispetto alle precedenti,che non è possibile abbandonare gli altri,ritirarsi
sconfitti dalla storia.
Questo libro,’,che accusa tanto aspramente la”storia”,è in realtà
più”storicistico” dei precedenti.la scrittrice ha abbandonato il mondo delle
chimere e dei miti e dell’avventura,per,di fronte al pericolo
dell’alienazione generale,rinunciare alla fantasia,per calarsi in un discorso
impegnato e doloroso.
La gioia,la pazzia dei personaggi di quest’opera rassicurano
l’Autrice,tormentata dal dubbio dell’inutilità della poesia intesa come
salvifica,ed esaltano l’istinto vitale della giovinezza che si oppone al
mondo alienato.
Da questa sicurezza,la Morante sarà disponibile alla”pietà”che è il credito
dato agli altri,l’apertura alla storia.
Anzi,è lo stesso poeta-cavia,che assume su se stesso il compito di scoprire
nel caos dell’irrealtà,la realtà-vita,che l’uomo della categoria degli”Infelici
Molti”tenta di uccidere.
La risposta che il poeta cerca per sé e per gli altri,induce l’Autrice a
un’identificazione totale dell’individuo con il cosmo e con gli altri,tanto
da poter riprendere la massima evangelica.”Amerai il prossimo tuo come
te stesso”.
Il poeta,perciò,qui si identifica con l’eroe che sconfigge i mostri della città
assediata,usando,contro la morte interiore,la nemica,due lucenti armi per
la difesa della realtà:la poesia e i ragazzini.
Non è più il poeta da solo a combattere:gli si affianca la stessa essenza
della giovinezza;in tal modo poesia e autobiografia coincidono.
Quindi,solo i ragazzini,la giovinezza della vita,avranno la possibilità di
salvare il mondo,unico modo,anche di assicurarsi un posto nella storia.
In conclusione,vediamo che,dinanzi alla”fabbrica della morte”,(come
precisa la nota introduttiva),che,”con parziale eufemismo”viene
definita”alienazione”e che edificano gli adulti,i “detentori del potere”sia
esso finanziario, ideologico,o familiare,o militare”(“Nota introduttiva”
a”Il mondo salvato dai ragazzini”),o di qualsiasi altra forma,l’unica
possibile soluzione è al di fuori della storia,la”Grande Opera” ,e dei suoi
mostri:e cioè in un utopico stato d’innocenza,di cui è simbolo la parabola
di Pazzariello.
Egli è l’apolide assoluto,l’uomo allo stato puro,al di qua di ogni
determinazione politica,sociale ed economica.Benché sottonutrito e
sottosviluppato,è sano e allegro,ha aria da respirare e luce e colori di cui
rallegrarsi .e’ un “felice unico”,un mal sopportato dagli altri,perché
sconvolge l’ordine sociale,condannato,appunto,alla morte fisica,per
decreto della storia stessa.
Dalla nascita alla morte il ciclo,sulla terra,si compie inevitabilmente.la
salvezza sta fuori:è,cioè,un’idea,un’utopia.
Ma,per Elsa Morante,l’utopia è il solo” motore della storia”
.”Il mondo salvato dai ragazzini”è nato,dunque,dalla profonda
disperazione della scrittrice per il mondo così com’è,da un momento di
nausea universale ed incontenibile.
In generale,esso ha esercitato una forte suggestione su tutti i
critici,indipendentemente dal loro orientamento ideologico,perché è stata
avvertita la carica di dolore e di umanità che esso conteneva.
Il rifiuto della Morante nasce da un profondo sentimento religioso della
vita,sentita come qualcosa di elementare ed assoluto:in questo senso il
libro diventa atto d’amore.
Un romanzo come”La Storia”,ha calamitato l’attenzione del grosso
pubblico,suscitando incredibili polemiche tra i critici.
Infatti la trama,con tutti i protagonisti che alla fine muoiono,è molto
commovente,ed è naturale che il pubblico abbia trovato in esso materia
atta ad avvincerlo,cosicché il prodotto,confezionato per il”successo”,ha
creato un vero “caso”letterario.
Questo romanzo riassume in sé elementi del romanzo storico e del
romanzo popolare di estrazione ottocentesca italiano e straniero.
La dimensione popolare si avverte anche nei fatti di una epoca che va dal
1941 al 1947;questi fatti sono filtrati con una”interpretazione
dolorosa”della storia italiana,che induce alla commozione e al
sentimentalismo,insieme ad una spiccata cadenza nazionale e patriottica.
Ma l’impianto narrativo,pur richiamando elementi del romanzo storico e
popolare,non per questo sbocca nel deteriore romanzo d’appendice.
Elsa Morante compie un salto di qualità e la crudeltà e il patetico,cardini
fondamentali del successo del romanzo di appendice,sono fusi nel
romanzo con una destrezza superiore al pur abile mestiere del narratore
popolare.
Essendo,infatti,come dice l’Autrice stessa in copertina,un libro che
vorrebbe parlare a tutti,assume,di conseguenza,larga valenza comunicativa
un linguaggio letterario-codificato nella tradizione natural-neorealistica e
soprattutto la tecnica
della
Persuasione
Commotiva.
Il pubblico viene così emotivamente coinvolto e,abbattuta ogni resistenza
alle lacrime,accoglie la lezione sul Potere.
Non a caso vediamo che,all’inizio di ciascun capitolo,l’Autrice premette
una cronologia di risoluzioni politiche internazionali,sfociate in
guerre,massacri,rivoluzioni;è sempre “l’élite” del potere che decide la vita
di milioni di uomini,di infelici,inconsapevoli vittime passate,presenti e
future.
E’”uno scandalo che dura da diecimila anni”(“La
Storia”,Einaudi,Torino,1974) la Storia e non accenna ad arrestarsi.
La guerra,con i suoi terrori senza fine,con la montagna di morti da essa
provocati, costituisce il grandioso e tragico controcanto alle vicende del
romanzo.
Per Elsa Morante esiste,così,la Storia dei Potenti e la Storia degli umili:la
Grande Storia è tuttuno con l’ inganno a spese della piccola storia.
La degenerazione del Male è realizzata,quindi,da quelle stesse forze e con
gli stessi strumenti che avevano costituito la borghesia in classe di
potere,anzi,per la Morante,l’intero processo storico si identifica con la
borghesia vista come fascismo ed intesa come corruzione.
La storia è il non-essere e in quanto tale non permette di rinvenire al suo
interno un movimento positivo,solo chi si pone al di fuori
dimessa,”idiota”,o”subalterno”,è il depositario della speranza di salvezza.
Per la Morante,lo spiraglio della salvezza è l’utopia,come il solo legame
possibile con la realtà. Eppure l’allegria è possibile in quel luogo di
disperazione che è la storia;ma solo gli analfabeti avvertono la presenza
della felicità.
Secondo l’Autrice, per combattere il vizio della storia
occorre,allora,scrivere per gli analfabeti,gli unici,che potenzialmente
possono percepire il messaggio del romanzo,perché,appartengono alla
classe dei diseredati,non sono ancora stati contagiati dall’irrealtà del
progresso tecnico. C’è nella Morante una sorta di populismo
istintuale,quasi che i personaggi del popolo sono sempre salvi”ab
aeterno”,mentre i borghesi sono sempre destinati al male,solo per il fatto
di appartenere alla classe abortita.
Così mentre lo scandalo che è il potere dei forti sui deboli, in atto anche
con la distruzione dell’equilibrio ecologico,la scrittrice oppone una sorta
di anarchismo liberatorio,espresso in quella stupenda creazione che è il
personaggio di Useppe,che rappresenta la dimensione favolistica del
romanzo,alla quale ella non può e non vuole sfuggire.
Useppe è l’innocenza,la poesia,il mito,la purezza,il bene e la semplicità,la
vittima inconsapevole del”Grande Male”,ma soprattutto la vera vittima
della”Storia”,e,con il suo sacrificio e la sua morte,sembra aprirci l’unica
possibilità di riscatto.
Osservando lo schema di questo romanzo non può sfuggire l’originalità di
Elsa Morante nel risolvere il suo rapporto con la realtà e con il mondo
storico.
“La Storia”,è,così,un libro che,senza alcun dubbio,si mostra molto
sensibile alla divisione di classe dei suoi personaggi e ai problemi della
società,ma ricostruisce narrativamente una fascia sociale che va dal
sottoproletariato alla borghesia,descrivendo la storia di individui marginali
,dove ,però,da questa fascia il proletariato è assente..
”La Storia”si deve perciò riportare al filone del romanticismo utopistico e
rivoluzionario ottocentesco,premarxiano e rimane quindi al di fuori delle
soluzioni del marxismo scientifico,dell’organizzazione sindacale,della
lotta di classe,riconfermando ancora una volta la dimensione
mitica,favolistica in cui si proietta l’Autrice,e l’insopprimibile scarto tra
realtà e fantasia ,tra la vita e il sogno.
Ancora una volta sono la fantasia,il sogno,che vincono sulla realtà –
irrealtà e sulla vita-non-vita.
Possiamo allora concludere,che,seppure esteriormente il grosso successo
del romanzo è dovuto al fatto che rappresenta i connotati di una realtà
nella quale il lettore può facilmente identificarsi,il libro non si colloca nel
filone neorealistico,perché,seppure in maniera più concreta rispetto alle
opere precedenti,l’Autrice manifesta apertamente la sua estraneità alla
dimensione della storia, la sua radicale sfiducia nella razionalità e
conoscibilità degli eventi,la sua estrema contestazione del muro
insormontabile che divide inesorabilmente le ragioni e le giustificazioni di
ciò che accade dalle sue conseguenze incontrollate sui poveri e sui
semplici,che subiscono la violenza di una forza che li falcia spietatamente.
Tenendo presente,infatti,che molti critici hanno rilevato la debolezza
ideologica del libro,si nota come la Morante abbia enucleato,così,tanti
fenomeni del processo storico,utilizzando gli elementi dell’analisi
filosofica,per farne emblemi di un”Male assoluto”,che coinvolge per il
fatto stesso di essere nati.
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