artigianato alimentare trentino: la filiera dei piccoli
Rapporto di ricerca a cura di Sergio Remi
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CEii Trentino
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Artigianato Alimentare Trentino: la fi liera dei piccoli
Intervento a valere sul Fondo per gli interventi diretti a qualifi care l’attività artigiana,
ex L.P. 11/2002, art. 17.
Hanno collaborato alla realizzazione:
Sergio Remi - curatore della ricerca;
Luciana Melluso, Paola Piazzi;
Claudio Filippi - Area Studi, Associazione
Artigiani e Piccole Imprese della Provincia di Trento;
Silvia Gadotti, Sara Formolo e Massimo Zorzi
CEii Trentino.
Si ringraziano:
Paolo Spagni - Dirigente Generale
Dipartimento Industria, Artigianato e Miniere,
Provincia autonoma di Trento;
Daniele Bernardi - Dirigente Servizio Industria
e Artigianato, Provincia autonoma di Trento;
Vito Cofl er - Direttore Uffi cio Artigianato,
Provincia autonoma di Trento.
ARTIGIANATO ALIMENTARE TRENTINO:
LA FILIERA DEI PICCOLI
2010
In Trentino, così come in molti altri territori italiani, il settore ali-
mentare è una leva eccezionale. Laddove si punta su qualità ed
eccellenza, diviene trainante per l’ambito economico-produtti-
vo e per il turismo.
In questo comparto molto attive sono le imprese artigiane,
per loro natura caratterizzate da una forte “personalizzazione”
dell’attività svolta: la lavorazione artigianale – che coinvolge di-
rettamente l’imprenditore e i suoi collaboratori – implica un ap-
porto di creatività e originalità non standardizzabili. Sono tratti
questi che valorizzano la produzione, contribuendo a conferirle
quei caratteri di qualità ed eccellenza che vengono sempre più
spesso premiati da cittadini e turisti.
Le aziende di trasformazione alimentare iscritte all’Albo delle Imprese Artigiane della Provincia au-
tonoma di Trento sono oltre 400 e danno lavoro a più di 1.500 persone. Tra di esse vi sono pasticce-
rie, panifici, aziende che lavorano frutta, ortaggi, carni. Un panorama ricchissimo che fonda le sue
radici su robuste basi tradizionali, ma punta anche sull’innovazione. Un mondo descritto in questa
ricerca attraverso l’analisi di un campione di piccole imprese. Il lettore potrà così conoscere alcuni
tratti distintivi del settore come la distribuzione geografica delle aziende, i mercati e la clientela di
riferimento, il fatturato medio e la loro storia.
Questa ricerca ha un utile obiettivo: rappresentare le modalità che le imprese dell’artigianato adot-
tano per far fronte alla competizione. Tra le strategie vincenti utilizzate emergono l’attenzione alla
qualità dei prodotti ed il legame con il territorio. Un legame fatto di azioni concrete come la cre-
azione di reti di imprese (quali le affermate Strade del Vino e dei Sapori del Trentino e il progetto
ST.ART, Strade dell’Artigianato) o la partecipazione ad altri eventi promozionali.
L’impegno dell’Assessorato è da sempre rivolto alla promozione delle eccellenze. Ha voluto realizza-
re questa ricerca per approfondire la conoscenza di un settore di nicchia e farne emergere le poten-
Foto Magrone. Archivio Uffi cio Stampa
Provincia autonoma di Trento
Alessandro Olivi
Assessore all’Industria, Artigianato e Commercio
della Provincia autonoma di Trento
zialità interne come lo stretto raccordo fra il territorio, l’artigianato e il turismo ed il forte legame tra
l’artigianato e l’agricoltura in un’ottica di filiera corta per lo sfruttamento intelligente delle risorse.
Una localizzazione che non deriva certo da un ripiegarsi su se stessi per paura della globalizzazio-
ne, anzi. È invece ricerca e valorizzazione di eccellenze, tratti distintivi e originalità: tutti elementi in
grado di far conoscere le aziende trentine anche nel resto d’Italia e all’estero.
Questa ricerca è insomma uno strumento indispensabile per chi già lavora nel settore, per chi lo
promuove e per gli amministratori che lo regolamentano. Ma è un testo prezioso anche per i giova-
ni che vogliono conoscere questo mondo, magari per decidere un giorno di entrarvi.
È con grande piacere che mi appresto a scrivere queste righe di
prefazione alla ricerca sull’artigianato alimentare. Si tratta in-
fatti di un settore più che mai nevralgico non solo per la nostra
Associazione ma per l’intera economia provinciale.
In Trentino non potremo mai puntare sui grandi numeri ma,
sempre di più, sarà la qualità ad essere premiata e a risultare
vincente. E allora lasciatemi dire che sotto questo punto di vi-
sta non dobbiamo temere rivali: l’impresa artigiana proprio con
le sue produzioni alimentari di qualità è un pezzo importante
dell’identità di un luogo e, allo stesso tempo, un mezzo per tra-
smettere cultura. Cultura con la “C” maiuscola visto e considera-
to che ciò che viene proposto dai nostri associati è qualcosa che esprime secoli di tradizione, storie
trasmesse di generazione in generazione e che finiscono oggi, come tre secoli fa, sulle nostre tavole.
Dietro queste realtà produttive ci sono singole persone, intere famiglie, giovani, che hanno scelto
di difendere la propria storia e il proprio legame con la terra, attraverso produzioni alimentari di
qualità, radicate innanzitutto nella tradizione dei luoghi. A muovere queste persone è la passione
per il lavoro manuale, il piacere di gesti socialmente riconoscibili: il lavoro artigianale riflette infatti
il desiderio “di fare cose” che la gente capisce e apprezza. Il tutto senza dimenticare che chi opera in
Trentino è soggetto a rigidi controlli igienico-sanitari, garantiti dalla legislazione in materia.
Altro elemento da non sottovalutare riguarda il fatto che la maggior parte degli artigiani attribu-
isce ai prodotti di provenienza locale una maggiore qualità e sono quindi attivamente impegnati
nella costruzioni di legami di fornitura a livello provinciale: selezionando i fornitori, creando rela-
zioni stabili con le aziende agricole fornitrici e, in alcuni casi, investendo direttamente in attività
primarie. Proprio a tal proposito credo sia necessario considerare l’esigenza di promuovere per le
aziende uno sviluppo volto a una maggior conoscenza delle opportunità offerte dalla risorse agri-
cole locali determinando, per questa via, una convinzione condivisa della necessità strategica di
Roberto De Laurentis
Presidente Associazione Artigiani e Piccole Imprese
della Provincia di Trento
connettere la trasformazione alimentare “trentina” alla base produttiva agricola “trentina”.
Andando al di là del binomio che lega a doppio filo le imprese artigiane impegnate nelle produzio-
ni alimentari e le realtà agricole è fondamentale non dimenticare che tra turismo e gastronomia
in Trentino è in atto una forte sinergia e la valorizzazione dei prodotti locali rappresenta un impor-
tante valore aggiunto per il prodotto turistico. La ricchezza, l’unicità e l’identità del nostro territorio
passa non solo attraverso l’ambiente incontaminato, le bellezze naturali, i monumenti e musei ma
anche attraverso i sapori e i saperi che secolo dopo secolo di sono mantenuti intatti nelle nostre
vallate.
Indice
1. Qualità e tipicità alimentare come strategia di sviluppo del territorio 9
2. I valori dell’artigianato alimentare 13
3. La specifi cità trentina 17
4. Il campione delle imprese artigiane analizzate 21
4.1 Classe economica 21
4.2 Distribuzione territoriale 23
4.3 Forma giuridica delle imprese analizzate 24
5. Addetti e fatturato 27
6. Storie di imprese, famiglie e persone 37
7. Il mercato dell’impresa artigiana 45
7.1 I mercati serviti dall’azienda 45
7.2 I canali commerciali utilizzati dalle aziende 46
7.3 Tipologia di clientela 51
7.4. La percezione del mercato 54
8. I mercati di approvvigionamento dell’impresa 61
9. Le produzioni 75
9.1 Le produzioni che caratterizzano l’impresa 75
9.2 Le specifi cità della produzione artigiana 78
9.3 Produzione, utilizzazione e commercializzazione di prodotti tradizionali trentini 84
10. Reti d’impresa 95
11. Partecipazioni ad eventi 99
artigianato alimentare trentno: la filiera dei piccoli
12. Strategie d’impresa 105
12.1 I fattori di forza: la qualità come leva competitiva 106
12.2 Fattori di debolezza dell’impresa: il diffi cile equilibrio tra impresa e mercato 107
12.3 Gli obiettivi strategici e gli investimenti delle imprese 110
12.4 La domanda di politiche 112
13. Conclusioni 117
13.1 Comunità, territorio e mondo 117
13.2 La piattaforma agroalimentare tra luoghi e fl ussi 120
13.3 Chiudere la fi liera dei piccoli: comunicazione, garanzia e logistica 123
13.3.1 Comunicare le specifi cità dell’artigianato alimentare 123
13.3.2 Garanzia: la certifi cazione “dal basso” 125
13.3.3 Logistica: valorizzare il binomio artigianato di qualità/agricoltura di montagna 126
Ringraziamenti 129
Contatti 131
artigianato alimentare trentno: la filiera dei piccoli
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
9
Le produzioni agroalimentari rivestono un ruolo di particolare rilievo per il nostro Paese, non solo
dal punto di vista economico. Secondo comparto, dopo il metalmeccanico, per entità del valore
aggiunto, l’agroalimentare contribuisce in modo determinante a defi nire l’immagine del Made
in Italy nel mondo, con crescenti sinergie con lo sviluppo turistico, e ben rappresenta il mosaico
delle molteplici realtà territoriali che compongono l’identità culturale nazionale.
Il radicamento nel territorio costituisce l’elemento distintivo nella varietà della produzione ali-
mentare italiana e al tempo stesso la più importante risorsa per fronteggiare, con la qualità e la
specifi cità della gamma, la crescente globalizzazione dei mercati che ci vedrebbe senz’altro soc-
combere in materia di costi. Un’off erta fortemente caratterizzata sul fronte della tipicità è del resto
in grado di rispondere più effi cacemente alle tendenze emergenti nel consumo che premiano la
ricerca del gusto, della genuinità, del valore nutrizionale.
Il 70 per cento delle produzioni agroalimentari tradizionali italiane1 è espressione di sistemi territo-
riali marginali – in particolare montani e collinari – dove svolge un ruolo insostituibile di presidio
del territorio a partire da un bacino di conoscenze e di varietà produttive che costituisce, in questi
ambiti, una parte di assoluto rilievo dell’identità delle comunità locali. Conservare e valorizzare
le metodiche tradizionali di lavorazione signifi ca disegnare un futuro per quei contesti locali di
grande pregio.
La qualità italiana è fatta di tanti piccoli campanili disseminati nei piccoli comuni: le tante Città
della castagna, del miele, del vino, del tartufo, della nocciola. Città che hanno fatto della cultu-
ra “del buon vivere”, dell’ospitalità e della valorizzazione delle proprie tradizioni culturali ed eno-
gastronomiche, la cifra del proprio sviluppo. In un mix tra cultura urbana e cultura del contado
che fa sì che sul territorio si realizzi quel piccolo miracolo che chiamiamo Made in Italy, fatto di
oggetti, simboli che si fanno merce, che sono elementi distintivi di quel nodo gordiano tra cultu-
ra materiale e cultura alta.
Il tratto distintivo delle produzioni agroalimentari italiane è il coraggio di puntare sull’eccellenza:
per esempio quella dei 204 prodotti agroalimentari italiani certifi cati DOP e IGP che ci fanno gua-
dagnare il primato europeo e circa 9 miliardi di euro all’anno.
Il forte legame di queste produzioni con il territorio è testimoniato dalle più di duecento DE.CO.
(le Denominazioni Comunali nate dallo straordinario intuito di Luigi Veronelli ) con cui i Municipi
1. Qualità e tipicità alimentare come strategia
di sviluppo del territorio
1 Prodotti agroalimentari i cui metodi di lavorazione, conservazione e stagionatura sono consolidati nel tempo, secondo
regole tradizionali, per un periodo non inferiore ai venticinque anni (D.M. 18 luglio 2000). I prodotti tradizionali sono in
continua crescita. Quelli riportati nel censimento pubblicato nella Gazzetta uffi ciale del 2007 sono 4.377: tramandati da
agricoltori e artigiani i 1.301 tipi di pane, pasta e biscotti, le 1.230 verdure fresche e lavorate, i 730 salami, prosciutti, carni
fresche e insaccati di diverso genere, i 454 formaggi e le 147 bevande tra analcoliche, liquori e distillati. Il 50% ha un nome
che evoca il territorio anche attraverso locuzioni dialettali.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
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italiani hanno riconosciuto un prodotto agricolo, un prodotto dell’artigianato alimentare, un piat-
to tipico, come parte integrante della propria storia, della propria identità, delle proprie strategie
di marketing territoriale.
Il fi lo conduttore che unisce e qualifi ca queste esperienze è la valorizzazione della qualità e della
diversità a fronte di processi di omologazione. Se da un lato, infatti, il fenomeno della globalizza-
zione tende ad appiattire le diff erenze, proponendo modelli mediani che non appartengono a
nessuno e generano, inevitabilmente, mediocrità, dall’altro lato si va diff ondendo una domanda
ed un’off erta di nuove soluzioni che vanno nella direzione della ricerca e della diff usione dell’ec-
cellenza, senza farne necessariamente un fenomeno di élite, ma proponendolo come fatto cultu-
rale e in quanto tale universale.
È in quest’ambito che diventa strategico raff orzare i circuiti come quelli delle strade dei vini e dei
sapori, le azioni di certifi cazione e marketing dei prodotti tipici che sempre più, in tempi di un
sistema impazzito nello stressare la produzione agroalimentare, hanno spazi non solo economici,
ma di cultura e qualità della vita. Come evidenziato da una recente ricerca del Censis2 nessun
altro Paese, oltre l’Italia, può vantare 140 strade del vino e dei sapori che attraversano 1.300 co-
muni, contando più di 3.300 cantine, oltre 4 mila ristoranti, 33 mila prodotti vitivinicoli e quasi 400
denominazioni territoriali di vini.
Nel campo delle produzioni alimentari riaff ermare la propria specifi cità locale è il mezzo per tro-
vare un corretto spazio e ruolo in una globalizzazione che non sia omologante. Come già avve-
nuto con i nostri vini DOC conosciuti in tutto il mondo, tipicità e marchi di origine diventano i
mezzi per aff ermare una diff erenziazione dei sistemi produttivi, dei processi di trasformazione,
per aff ermare le specifi cità locali nel mercato globale.
Chiaramente, nessuno pensa che il nostro Paese possa reggere la sfi da della competizione in-
ternazionale con castagne, miele e nocciole, o “...di sostituire la Fiat con il barolo e i tartufi 3”. Ma
parlando di sviluppo territoriale nella globalizzazione varrebbe la pena di indagare il rapporto che
esiste tra una “Città della nocciola” come Alba e una multinazionale globale e leader nel sistema
agroalimentare come ormai è la Ferrero o la risonanza internazionale che ha avuto Carlo Petrini
con Slow food e la sua Università del Gusto o, ancora, il modello Chiantishire di gran moda nei
paesi anglosassoni.
Secondo la Federazione italiana dei pubblici esercizi sono almeno tre milioni e mezzo all’anno in
Italia le presenze straniere determinate dal turismo eno-gastronomico, un fl usso di fascia alta che
potrebbe essere maggiormente attirato nelle aree oggi a rischio di abbandono, con ricadute di
grande rilievo per la qualità dello sviluppo locale.
Sempre secondo una recente indagine di Coldiretti, il souvenir enogastronomico tipico del luo-
go di vacanza è il preferito dai quindici milioni di italiani e dagli stranieri che hanno trascorso le
festività natalizie in Italia. Una tendenza in rapido sviluppo favorita – si legge nell’indagine Coldi-
2 Censis 2009 - 7° Rapporto “Osservatorio sul turismo del vino e delle Città del vino”.
3 Il riferimento è ad una polemica apparsa qualche anno fa sulla stampa dove, ad un’aff ermazione di Giuseppe De Rita che
sosteneva che, a fronte della crisi del manifatturiero, gli italiani preferiscono investire “nel barolo e negli agriturismi”, Giulio
Sapelli rispose che “ ... De Rita pensa di sostituire la Fiat con i produttori di Barolo ed i cercatori di Tartufi ”.
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retti – dal moltiplicarsi delle occasioni di valorizzazione dei prodotti locali che si è verifi cata nei
principali luoghi di villeggiatura, con percorsi enogastronomici, città del gusto, feste e mercatini
di ogni tipo. Il turismo enogastronomico vale, infatti, – continua la Coldiretti – cinque miliardi e si
conferma il vero motore della vacanza Made in Italy.
Produrre buon cibo e intrattenimento nella competizione globale non è certo suffi ciente, ma
è anche vero che il defi cit di quantità nella globalizzazione è alla ricerca della qualità italiana
per reggere la sfi da. La strada delle produzioni tipiche e di eccellenza è una strada certamente
densa di retorica e luoghi comuni, ma allo stesso tempo potenzialmente capace di creare, per
le produzioni agroalimentari, spazi che non siano del tutto dipendenti dal potere commerciale
dell’industria e della grande distribuzione. Spazi cioè in cui possano essere valorizzate le produ-
zioni tipicamente regionali e locali, le sole che, a detta dei più, potrebbero assicurare la continuità
delle imprese esistenti e la nascita di nuove.
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In questo contesto, i processi produttivi dell’artigianato alimentare, con antica e diff usa tradizione
nel nostro Paese – pur non avendo una connotazione territoriale univoca – rivestono un ruolo
centrale e meritano una distinzione specifi ca al fi ne di salvaguardarne le caratteristiche a fronte
delle omologhe produzioni industriali.
L’imprenditoria artigiana del settore alimentare è un riferimento di qualità e prestigio. Si tratta di
un patrimonio apprezzato e ricercato in tutto il mondo che fonda le sue origini nella grande va-
rietà di prodotti regionali, nella genuinità delle materie prime, nel rispetto dei processi tradizionali
e nella rigida applicazione di regole a garanzia dei consumatori.
Homo faber, artefi ce, maestro d’arte, imprenditore di se stesso. Nelle sue diverse defi nizioni, l’ar-
tigiano ha attraversato la storia italiana, caratterizzandone l’evoluzione economica, artistica e
culturale ed imprimendovi la propria cifra stilistica. Ciò appare particolarmente evidente se si
pensa al ruolo che ha avuto l’artigianato nel tramandare, rielaborandole, le innumerevoli culture
gastronomiche del nostro Paese.
Alimentarsi senza l’artigianato signifi cherebbe oggi dover rinunciare ai mille gusti e sapori della
nostra tradizione: dai diversi tipi di pane, alle innumerevoli varietà di formaggi, alla pasticceria più
raffi nata, alle erbe sapientemente selezionate dall’erborista, ai salumi che arricchiscono le tavole
dei buongustai di tutto il mondo.
Sono stati gli artigiani, a seguito dei fl ussi migratori di fi ne ’800 e di tutta la prima metà del ’900,
che hanno diff uso la nostra cultura alimentare all’estero. Basta pensare alla diff usione di pizzerie
italiane in tutte le città del mondo o al fl usso migratorio di gelatieri italiani nei paesi di lingua
tedesca4. Ancor prima, si potrebbe parlare dei nostri maestri pasticceri nelle corti europee.
Oggi l’artigianato va oltre lo stereotipo che lo lega ai vecchi mestieri ricchi di tradizione e poveri
di futuro. L’impresa artigiana è moderna perché, recuperando valori della tradizione e rendendoli
spendibili nella produzione di valore e di senso, collega passato a futuro.
La qualità dell’ars artigiana torna al centro dell’evoluzione produttiva. Artigiano vuol dire autono-
mia, creatività, personalizzazione nella produzione di beni e servizi che sono moderni in senso
positivo, che usano la tecnologia per quello che serve, ma vi aggiungono il design, il gusto este-
tico, la disponibilità a capire e servire i bisogni specifi ci del cliente, il rapporto col territorio e con
la sua storia, la mediazione culturale con signifi cati che “fanno parlare” i prodotti con l’alfabeto
della moda, degli stili di vita, delle nuove tendenze di consumo. Artigianato vuol dire identità,
senso: rapporto tra il produttore che dà signifi cato al suo lavoro e l’utilizzatore che lo recepisce,
legandolo al proprio bisogno identitario.
2. I valori dell’artigianato alimentare
4 In Germania esistono circa 3.600 gelaterie italiane collocate nei luoghi più prestigiosi delle città tedesche. La gelateria
italiana è diventata un pezzo di storia tedesca, tant’è vero che a Bonn nel Museo nazionale della storia tedesca è stata
ricostruita l’ambientazione di una gelateria italiana degli anni ’50.
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Quello delle imprese artigiane del settore alimentare è un patrimonio di gusto e di creatività, ma
è anche serbatoio di occupazione. L’artigianato dell’alimentazione in Italia secondo dati Confar-
tigianato al 2005 contava 80.160 aziende (pari all’82% del totale delle imprese italiane del settore
alimentare) con 238.596 addetti (equivalenti al 54,5% del totale degli addetti del settore alimen-
tare). Imprese che crescono ad un ritmo del 4% annuo. L’ultimo dato disponibile al 2009 è di
83.216 aziende.
Tabella 1: Artigianato - Settore Agroalimentare in Italia
Fonte: Confartigianato (2005)
Sono le piccole imprese a portare avanti il buon nome dell’Italia in tavola. Il recente rapporto
Ismea - Federalimentare, a tale proposito parla chiaro: il 90% delle aziende del settore alimentare
sta sotto i dieci dipendenti.
Le tipologie dell’impresa artigiana alimentare possono, chiaramente, essere diverse:
• spesso si tratta di microimprese familiari – non strettamente individuali – dove l’artigiano fa
tutto. È il tipico tessuto dell’artigianato alimentare di immediata prossimità (panifi ci, pastifi ci,
pasticcerie, gastronomie,...) rivolto a servire in parte maggiore – se non esclusivamente – i
residenti del territorio in cui è insediato;
• numerose sono anche le imprese che, seppur di piccola dimensione, sono fortemente orien-
tate alla valorizzazione su larga scala di prodotti alimentari di eccellenza, raggiungendo il
mercato nazionale e presentando rilevanti proiezioni su quello estero, anche extra UE;
• consistente anche il numero delle imprese artigiane alimentari con caratteristiche distrettuali
che operano in rete e nelle fi liere di fornitura nell’ambito dei numerosi distretti agroalimentari
italiani;
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
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• signifi cative, dal punto di vista evolutivo del settore, sono le imprese artigiane che investono
verticalmente sull’intera fi liera, dalla produzione primaria (agricoltura, prevalentemente biolo-
gica) alle successive fasi di trasformazione, commercializzazione dei prodotti agro-alimentari
e servizi derivati (ristorazione, ospitalità).
Per tutte le tipologie d’impresa i fattori chiave di successo sono legati al rapporto fra locale e
globale, ovvero fra mantenimento dell’identità e capacità o possibilità di utilizzarla per “aprirsi” ai
mercati non di prossimità, restando al contempo “riparati” dalle minacce provenienti dall’esterno,
in primis sotto forma di omologazione dei comportamenti di consumo.
L’impresa artigiana, che è in sé spontanea espressione del “locale”, si trova dunque a confrontarsi
con dinamiche che, se da un lato ne premiano i propri caratteri originali e distintivi, dall’altro im-
pongono l’evoluzione delle sue capacità di rapporto con il nuovo sistema competitivo.
Il dato sulla piccola dimensione delle imprese appare un punto di debolezza, ma diviene un
punto di forza in un’ottica di rete e di legame con il territorio. Con questo approccio, la piccola
impresa ha maggiori chance di successo rispetto alla grande.
Le necessità di valorizzare la matrice fondamentalmente distintiva e non omologata delle pro-
duzioni artigiane, di esaltarne la dimensione territoriale e di fi liera e di accorciare la distanza tra
produttore e consumatore, rappresentano le priorità strategiche dell’artigianato alimentare.
Condizione importante è, a tale proposito, la valorizzazione del binomio “qualità artigianale
e agricoltura regionale” attraverso la costruzione di un rapporto più stretto con i produttori
agricoli che assicurano l’approvvigionamento di materie prime locali di qualità. Le aziende agri-
cole e quelle dell’artigianato di trasformazione devono legarsi tra loro. Occorre lavorare in questa
direzione, individuando strategie per dare notorietà al territorio inteso come integrazione tra
produzioni agricole e alimentari.
La tracciabilità, cioè la possibilità di risalire con precisione al produttore ed ai sistemi di produ-
zione utilizzati, sta diventando l’elemento che fa la diff erenza nel settore alimentare. Ciò è parti-
colarmente vero se si pensa che da qualche tempo la tutela delle produzioni artigiane subisce
continui e inquietanti attacchi, soprattutto da parte degli organismi europei e internazionali che,
nel nome dell’aspetto più negativo della globalizzazione, tendono a cancellare le peculiarità e le
originalità delle produzioni, consentendo la nascita di surrogati tra l’altro discutibili anche sotto
l’aspetto igienico-sanitario. Si pensi al cioccolato, alla pasta fatta in casa, a formaggi tipicamente
italiani che improvvisamente diventano realizzabili, in qualsiasi luogo, con processi industriali di
dubbia qualità.
Come dimostrato da diverse ricerche, le principali minacce alla tipicità delle produzioni dell’ar-
tigianato alimentare italiano non vengono dai cinesi – che in questo campo non sono ancora
capaci di imitarci – ma dalle industrie europee e statunitensi, che si appropriano indebitamente
di denominazioni di prodotti tipici italiani.
Altrettanto importante è la possibilità di collegarsi con i circuiti del turismo e della ristorazio-
ne di qualità. Le piccole imprese, che non dispongono di marchi forti, devono avere l’opportu-
nità di legarsi a marchi territoriali che coinvolgono le tipicità aff ermate da certifi cazioni europee
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come DOP e IGP, ma anche risorse turistiche, ristorazione, valorizzazione delle tipicità locali. Si
tratta di proporre in modo capillare la promozione dei prodotti alimentari artigianali ad ogni oc-
casione possibile, collegandoli con le politiche turistiche, economiche, di sviluppo territoriale, di
educazione alimentare nelle scuole.
Puntare sui valori qualitativi signifi ca anche far leva sugli aspetti salutistici e di genuinità dei pro-
dotti, così sentiti dai consumatori. L’artigianato alimentare per vincere la sfi da della competitività
deve essere in grado di immettere sul mercato prodotti e servizi che per qualità e tipicità, inno-
vazione o tradizione, abbiano un valore aggiunto, particolare e riconoscibile dal consumatore. Il
valore della qualità poggia sulla capacità delle imprese di cogliere le diverse esigenze dei consu-
matori e di evidenziare le caratteristiche distintive del prodotto proposto.
La maggior attenzione sviluppata nel corso dell’ultimo decennio dei consumatori verso prodotti
alimentari di qualità, normalmente prodotti dalle imprese artigiane, infl uenzano positivamente
le dinamiche settoriali. Ciò risulta evidente anche in un periodo di crisi economica come quello
attuale dove – secondo l’ultima rilevazione Coldiretti-SWG sulle abitudini alimentari degli italia-
ni – aumenta del 6 per cento la spesa delle famiglie in vini a denominazione di origine e cresce
dell’8 per cento la percentuale dei cittadini che acquista regolarmente prodotti a denominazione
di origine (sono il 28 per cento) e del 23 per cento di quelli che comperano cibi biologici, i quali
però interessano una fetta più ridotta della popolazione (il 16 per cento). A sostenere il consumo
di prodotti biologici – si legge nello studio della Coldiretti – è la ricerca di sicurezza alimentare a
fronte del ripetersi di emergenze alimentari – dal maiale irlandese alla diossina, al latte cinese alla
melanina, alla mozzarella “blu” – ma anche del diff ondersi di stili di vita più attenti all’ambiente,
che la crisi non sembra intaccare.
Il rapporto diretto con il consumatore è strategico per le imprese artigiane dell’alimentare, anche
sul fronte dei servizi. Da più parti – ma in particolare nelle località turistiche – emergono forti
istanze affi nché le imprese dell’artigianato alimentare possano eff ettuare la vendita diretta per il
consumo sul posto dei propri prodotti, utilizzando appositi locali ed arredi dedicati alla ristorazio-
ne. La necessità è quella di una maggiore integrazione dell’artigianato nella fi liera turistica e gli
artigiani chiedono semplicemente di accorciare la fi liera così come accade, per fare un esempio,
negli agriturismi e nelle aziende agricole dove la degustazione dei prodotti sul posto è quasi
d’obbligo.
La fi liera corta è un vantaggio per tutte le categorie e permette, oltre ad abbattere i costi legati ai
passaggi da produzione a distribuzione, di immettere sul mercato della vendita al dettaglio prodotti
freschi, quindi sicuramente più genuini. Estendere questa possibilità signifi ca anche permettere alle
imprese di capire le tendenze del mercato e di studiare strategie mirate ed intelligenti.
Gli interventi di valorizzazione dell’artigianato alimentare non possono, infi ne, non considerare
l’aspetto occupazionale e di promozione di nuova imprenditorialità giovanile, in un settore in
cui è diffi cile reperire mano d’opera e vi è un problema di ricambio generazionale pur a fronte di
una comprovata richiesta del mercato. I giovani non vengono per niente incentivati a conoscere
e a scegliere le tante specializzazioni del settore che pure garantiscono ottime professionalità e
consentono anche buoni guadagni.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
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Il settore agroalimentare nella Provincia di Trento appare piuttosto diversifi cato. Accanto a com-
parti che presentano risultati molto interessanti e che possono essere considerati trainanti per
l’economia trentina (in particolare quello aff erente alle fi liere agroalimentari in ambito cooperati-
vo), esiste un comparto di produzione primaria in cui a prevalere è la dimensione della microim-
presa agricola – spesso con ruoli di integrazione rispetto ad altri redditi familiari – in bilico tra
posizioni di marginalità (che sono tipiche dell’agricoltura di montagna) e processi di modernizza-
zione volti a ridefi nirne la funzione economica, sociale e territoriale.
Filiere agroalimentari e microimpresa agricola esprimono strategie speculari che, mettendo a
frutto il diff ondersi di una nuova cultura alimentare, ridefi niscono il rapporto con i mercati di
sbocco. Da una parte, si persegue un nuovo rapporto con la grande distribuzione organizzata
quale veicolo privilegiato di penetrazione di sempre nuovi mercati, ed in cui svolgono un ruolo
sempre più importante gli aspetti di qualità, tipicità e sicurezza alimentare. Dall’altra, si punta ad
accorciare la fi liera attraverso la costituzione di mercati locali che pongono in relazione diretta
produttore e consumatore, valorizzando i prodotti biologici e tradizionali in settori di nicchia
caratterizzati da una forte tipicità.
Ad esclusione di alcune aff ermate centrali cooperative – e aziende private – la trasformazione
alimentare trentina è fortemente caratterizzata dalla presenza di imprese di piccola e picco-
lissima dimensione aff erenti a diversi settori (commerciale, agricolo, artigiano). Secondo i dati
riportati dal “Piano della sicurezza alimentare 2008-2010” della Provincia autonoma di Trento su
1.445 imprese di trasformazione alimentare esistenti in Trentino, solo 59 superano i dieci
dipendenti. I dati di dettaglio riportati nel piano provinciale sono i seguenti:
• Nel comparto utilizzazione e trasformazione del latte5 operano 152 imprese, 10 delle qua-
li con più di 10 addetti. Il latte trentino è prevalentemente destinato alla trasformazione in
prodotti tradizionali; di 1.435.000 quintali di latte bovino prodotti e sottoposti al regime delle
quote, 19.000 quintali (0,8 per cento) rientrano nella vendita diretta da parte di n. 55 aziende,
mentre il restante è venduto per essere trasformato da terzi. Il latte ovino ha al momento sul
territorio provinciale scarso o nullo peso per l’alimentazione umana sia in forma diretta sia
trasformato; il latte caprino (5.000 quintali) prodotto da circa 51 allevamenti, viene utilizzato
direttamente presso le singole aziende per la produzione di formaggi tradizionali.
3. La specifi cità trentina
5 Il latte trentino è destinato alle seguenti tipologie di prodotti: Latte crudo - Latte trattato termicamente - Asiago DOP
d’allevo - Asiago DOP pressato - Caciotta - Caciotta a pasta fi lata - Canestrato - Caprino - Caprino di Cavalese - Casada - Ca-
solet - Dolomiti - Fontal - Grana Padano - Trentingrana DOP - Misto capra - Montagna - Monte Baldo - Monte Baldo primo
fi ore - Monteson - Mozzarella - Nostrano - Nostrano d’alpe - Nostrano de Casel - Nostrano di malga - Nostrano di Primiero
- Nostrano Fiavè - Nostrano misto capra - Nostrano semigrasso - Nostrano Valchiese - Nostrano Val di Fassa - Provola - Pro-
volone Valpadana DOP - Puzzone di Moena - Solandro di malga - Solandro magro - Spressa delle Giudicarie DOP - Tosela
- Tre Valli - Vezzena - Zighera - Ricotta aff umicata (o poina fumàda) - Ricotta di capra aff umicata (o poina de caòra fumada)
- Ricotta di capra fresca (o poina de caòra fresca) - Ricotta o poìna - Burro di malga. Rispetto a questo, peraltro incompleto,
catalogo delle produzioni trentine, non si dispone di una mappa dei siti di produzione, in quanto le autorizzazioni sono
state e vengono rilasciate agli stabilimenti in base a una categoria generale. Il principale e più rinomato prodotto lattiero
caseario della provincia è il Trentingrana al quale è destinato il 47,1 per cento del latte trentino (676.350 quintali).
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
18
• Le macellerie6 sono 380, di queste 254 con annesso laboratorio di produzione di prodotti a
base di carne. Le imprese con più di 10 addetti sono solo 10.
• La lavorazione di prodotti ittici comprende 16 aziende, tutte di dimensione contenuta. Gli
allevamenti sono 80. La pescicoltura trentina, con specifi co riferimento alla troticoltura, è as-
solutamente elevata e alimenta una crescente presenza oltreché di prodotti carnei anche di
uova, avannotti e soggetti adulti sui mercati del prodotto vivo. Il catalogo dei prodotti ittici
trasformati annovera: fi letti di salmonide, paté, sisam, fi letto aff umicato e marinato, polpette e
sugo, hamburger.
• Le aziende registrate per la lavorazione del miele7 sono 79, a fronte di molte centinaia di
aziende che comunque producono miele e altri prodotti dell’alveare come forma di inte-
grazione del reddito dell’azienda agricola. Secondo il più recente censimento del settore in
Trentino ci sono 1.512 apicoltori, in gran parte hobbisti e semiprofessionisti, che si prendono
cura di 23.057 alveari.
• Nel comparto pane, pasta e prodotti da forno8 troviamo 266 imprese. Solo 7 hanno più di
10 addetti. Una ripartizione per produzioni vede: 177 aziende autorizzate alla produzione di
pane, 71 aziende di prodotti di pasticceria, 14 aziende di produzione di pasta.
6 La trasformazione delle carni, principalmente suine, ma anche equine e ovi-caprine, fa riferimento generalmente a
più prodotti tra i seguenti a carattere tradizionale: Barbusto (moretto) - Brusti (baldonazzi) - Cacciatore nostrano all’aglio
di Caderzone - Cacciatori - Carèn de pégora en salamoia (carne di pecora in salamoia) - Carne aff umicata di asino - Carne
di cavallo aff umicata - Carne di pecora in salamoia - Carne “fumada” della Val di Cembra - Carne “fumada” di Siror - Carne
salada del Trentino - Carne salada di capra - Carne salada di pecora - Carne “salmistrada” della Val di Cembra - Carré aff umi-
cato - Ciuiga del Banale - Ciuighe - Coppa aff umicata - Cotechino di maiale trentino - Figadèt - Frìtole (sìzole) - Guanciale
aff umicato - Lardo - Lardo “fumà” trentino - Lonzino - Lucanica cauriota fresca o aff umicata - Lucanica di capra - Lucanica di
pecora - Lucanica mochena di cavallo - Lucanica mochena piccante - Lucanica mochena stagionata o aff umicata - Lucani-
ca secca della Val di Cembra - Luganega del Trentino - Mortadella Bologna IGP - Mortandela - Mortandela aff umicata della
Valle di Non - Pancetta aff umicata trentina - Pancetta arrotolata - Pancetta arrotolata all’aglio della Val Rendena - Pancetta
nostrana all’aglio di Caderzone - Pancetta stagionata - Pasta di lucaniche - Pezate di agnello (pezate de agnelo) - Probusto
- Salame - Salame all’aglio - Salame all’aglio della Val Rendena - Salame all’aglio di Caderzone - Salame di cavallo - Salamela
fresca all’aglio di Caderzone - Salsiccia trentina fresca (o luganegheta o salziza fresca) - Scorzèta - Sopressa - Speck del
Trentino - Stinco di maiale precotto - Wurstel.
7 I prodotti dell’apicoltura trentina sono: Miele di castagno - Miele di lampone - Miele di melata di abete - Miele di
melata di Metcalfa - Miele di melo - Miele di rododendro (miel di rasabèch) - Miele di rovo - Miele di tarassaco - Miele di
tiglio - Miele in favo - Miele millefi ori - Polline e pappa reale.
8 Il repertorio dei prodotti trentini appartenenti alle categorie pane e pasta comprende: Bastoncini al cumino - Bastoncini
al pomodoro - Bechi-panzalini - Bina - Chifel - Filone casareccio - Focaccia ai pomodori - Focaccia al coriandolo - Focaccia
pasquale - Focaccia schiacciata - Pan co’ le frìtole - Pan de sòrc - Pan de segàla - Pan di Molche (Pam de molche) - Pan di
segale al cumino - Pane alle castagne - Pane al papavero - Pane d’avena - Pan taià o Gramolato - Schiacciatina - Gratini
- Grissini salati - Krapfen salati - Schiacciatina - Ravioli trentini. La pasticceria tipica trentina comprende: Basini de Trent -
Beca - Biscotti di farina gialla di Storo - Brazedèl - Buzòla - Canederli dolci - Chifelini - Ciambella ai mirtilli - Cròfani - Crema
fritta - Crostata - Crostata di fi ori di zucca - Dolce di Trento - Fiadoni - Focaccia alla Trentina - Frittelle di mele - Frittelle di
mele alla Grappa giovane trentina - Fugassa di Varena - Gelato artigianale - Gnocchi al cioccolato - Grostoli - Krapfen - Lo-
sanghe fritte - Mele alla crema - Mele in camicia - Pane all’uva trentino - Pere agli amaretti - Pinza - Pinza de lat - Pinza de
peri - Pinza de pomi - Rosada - Stollen alle mele e cannella - Straboi - Stràuli (stràboli o fortaie) - Strudel - Teste di moro -
Torta al biscotto - Torta alle mandorla - Torta amaretti e ricotta- Torta bianca - Torta de erbe - Torta de fregolòti - Torta delle
rose - Torta di bozzoletti - Torta di carote - Torta di grano saraceno - Torta di mele - Torta di nocciole - Torta di noci - Torta
di pere - Torta di ricotta - Torta Sacher - Tortolèti coi puriòni - Zelten o Celteno o Pane di frutta.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
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• Le aziende registrate per la lavorazione/trasformazione di frutta e ortaggi9 sono 61. Solo 3
hanno più di 10 addetti.
• Le imprese oggetto di registrazione ai fi ni della produzione di distillati10 sono 55, delle quali
4 hanno più di 10 addetti.
• Le aziende di produzione del vino sono 215, delle quali 13 hanno più di 10 addetti. In Trentino
vengono prodotti annualmente circa un milione di quintali di uva interamente destinati alla
trasformazione nei vini DOC e IGT.
• Le imprese autorizzate alla produzione di acque minerali e altre bevande sono 3, tutte con
più di 10 addetti. Queste imprese producono 8 diverse acque provenienti da altrettante fonti.
• Le imprese autorizzate alla produzione di olio sono 5. La Provincia di Trento annovera al
momento un solo prodotto tutelato: DOP Olio extravergine di oliva “Garda-Trentino“.
• Oltre alle suddette tipologie di trasformazione alimentare, in Provincia di Trento sono presenti:
13 aziende che lavorano il caff è; 2 aziende che producono aceto; 2 imprese che lavorano e
confezionano spezie e condimenti.
Secondo i dati riportati nel documento della PAT “Strategie per lo sviluppo dei prodotti di qualità
nelle aree montane europee: il caso trentino” del giugno 2005, in Provincia di Trento si contano:
• 106 prodotti tradizionali ai sensi del Decreto Ministeriale 350/1999;
• 6 DOC e 3 IGT;
• 6 DOP e 1 IGP ai sensi del Reg. (CEE) 2081/1992;
• 1 STG ai sensi del Reg. (CEE) 2082/1992;
• più di 300 aziende la cui attività è certifi cata come “biologica” ai sensi del Reg. (CEE) 2092/1991;
• 10 prodotti inclusi nella lista di Slow Food.
Il logo territoriale “TRENTINO” distingue i prodotti delle fi liere agroalimentari che rientrano anche
tra queste tipologie. Le aziende che producono prodotti tipici sono 138, tra cui molte aziende
dell’artigianato.
9 Il catalogo dei prodotti tipici orto frutticoli trentini annovera: Marone trentino - Mela del trentino - Frutti di bosco del
trentino - Fragola del trentino - Noce del Bleggio - Pere antiche trentine - Susina di Dro - Mela Val di Non (DOP) Asparago
di Zambana - Broccolo di Torbole e S. Massenza - Carota della Val di Gresta - Cavoli Cappucci della Val di Gresta - Mais spin
o nostrano della Valsugana - Mais nostrano di Storo - Patata trentina di montagna - Sedano Rapa della Val di Gresta. Tra i
prodotti trasformati troviamo: Confettura di pomodori rossi - Confettura di pomodori verdi - Cotognata - Crauti - Crauti
trentini - Funghi essiccati - Lamponi sciroppati - Marmellata di frutti di bosco - Marmellata di lamponi - Marmellata di
mele cotogne - Marmellata di mirtilli - Marmellata di mirtilli rossi (conserva de garnètole) - Marmellata di ribes (conserva
de ùa spinèla) - Persecche - Persicata - Soppressata di persecche - Verde o verdòle - Peverada - Salsa ai funghi - Salsa alla
senape - Salsa al rafano - Salsa di cren; Salsa di mele - Sciroppo di lampone - Sciroppo di mirtillo nero - Sciroppo di ribes
nero - Sciroppo di sambuco (dulzen).
10 Il catalogo del distillati trentini comprende: Amaro Valle di Ledro - Distillato di ciliegie - Distillato di corniole - Distillato
di lamponi - Distillato di amarene - Distillato di mele - Distillato di mele cotogne - Distillato di pere - Distillato di ribes -
Distillato di sambuco - Distillato di sorbole - Distillato di susine - Genziana (acquavite di genziana) - Ginepro (acquavite di
ginepro) o Gin distillato - Grappa giovane trentina (metodo Tullio Zadra) - Imperatoria o acquavite di imperatoria - Nocino
- Picco Rosso - Stomatica Folletto.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
20
Nel complesso, le imprese di trasformazione alimentare iscritte all’Albo delle Imprese Arti-
giane della Provincia di Trento sono 410 e danno lavoro a 1.552 addetti. Tali aziende sono suddi-
vise nelle categorie produttive riportate nella tabella seguente.
Tabella 2: Imprese artigiane del settore alimentare in Provincia di Trento
Fonte: Albo delle Imprese Artigiane della Provincia di Trento - CCIAA di Trento
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
21
La presente indagine è stata rivolta a 100 imprese dell’artigianato alimentare trentino attraverso
la somministrazione di un questionario strutturato e un’intervista qualitativa volta a ricostruire il
caso aziendale. Le interviste sono state rivolte direttamente agli imprenditori (90% dei casi) o a
dipendenti, collaboratori o famigliari, a patto che fossero ben consapevoli degli aspetti indagati.
Considerate le tematiche dell’indagine e gli obiettivi conoscitivi riguardanti gli specifi ci casi azien-
dali le interviste sono state realizzate di persona in modo da chiarire all’istante ogni dubbio su
eventuali domande o modalità di risposta e di procedere ai necessari approfondimenti sul caso
d’impresa.
4.1 Classe economica
La defi nizione del campione di imprese da analizzare ha dovuto confrontarsi con un’articolazione
del settore dell’artigianato alimentare trentino resa complessa da dimensioni strutturali diverse
(classi di addetti) ma ancor più dall’appartenenza ad attività settoriali assai diff erenti (classi eco-
nomiche) e dalla preponderanza di alcune classi economiche su altre: si pensi, ad esempio, al
consistente numero di panifi ci, pasticcerie o pizzerie al taglio iscritte all’Albo delle Imprese Arti-
giane e, di contro, all’esiguità di altre classi – pur rappresentative delle tradizioni gastronomiche
trentine – che oltre all’artigianato possono fare riferimento anche ad altri settori quali il commer-
cio, l’agricoltura, la cooperazione e l’industria (macellerie, vini, formaggi, confetture, ecc.).
La scelta del campione è stata funzionale alle esigenze della ricerca che, se da un lato nascevano
dal bisogno di pervenire ad una conoscenza meno mediata dai dati statistici in merito ai compor-
tamenti imprenditoriali e di marketing delle imprese artigiane nella loro articolazione, dall’altro
aveva anche obiettivi divulgativi e promozionali riguardanti la presentazione di casi aziendali
signifi cativi nell’ambito di una guida turistico-gastronomica dell’artigianato alimentare trentino.
Questa seconda esigenza ha fortemente condizionato la defi nizione del campione portando
all’individuazione – attraverso la consultazione di esperti – di imprese che fossero in qualche
modo caratterizzate sul piano della qualità e tipicità del prodotto, del legame con il territorio, del-
le strategie produttive e commerciali. Ad infl uire sul campione delle imprese intervistate è stata
poi, naturalmente, la disponibilità delle stesse ad essere coinvolte nell’indagine.
Alla fi ne possiamo aff ermare che ne è risultato un campione comunque coerente con gli aspetti
conoscitivi che ci eravamo proposti di esaminare, ovvero con gli scopi della ricerca che sono
quelli di dare rappresentazione delle principali modalità di stare al gioco competitivo delle im-
prese artigianali trentine del settore alimentare.
Nonostante il campione non sia stato costruito con rigidi criteri di rappresentatività statistica
dell’universo delle imprese artigiane trentine del settore alimentare, il confronto tra le imprese
intervistate e quelle iscritte all’Albo provinciale delle Imprese Artigiane evidenzia come sia stato
mantenuto un criterio di proporzionalità.
4. Il campione delle imprese artigiane analizzate
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
22
Si rilevano chiaramente delle discrepanze in alcuni settori come ad esempio i panifi ci (dato il consi-
stente numero di queste aziende) o delle pizze al taglio, che sono comunque di scarso signifi cato ri-
spetto alle fi nalità di questa indagine, incentrata sugli aspetti di valorizzazione delle tipicità trentine.
Per altri settori, in cui si possono maggiormente individuare queste tipicità, si può anche indivi-
duare una buona rappresentatività del campione: abbiamo, infatti, intervistato il 75% delle azien-
de artigiane di lavorazione di frutta, verdura e funghi presenti in Provincia di Trento, il 71,4% delle
macellerie artigiane, il 63% delle distillerie, il 23,7% delle pasticcerie, ecc.
Come specifi cato precedentemente, non bisogna inoltre dimenticare la scarsa rappresentativi-
tà dell’artigianato in diversi settori di punta dell’agroalimentare della Provincia di Trento: basti
pensare al settore vinicolo dove operano solo due imprese artigiane o al settore caseario dove vi
sono solo 6 imprese artigiane a fronte di un grande numero di imprese appartenenti al settore
cooperativo, commerciale o agricolo.
Tabella 3: Imprese intervistate per classe di produzione alimentare
(confronto con dati imprese iscritte all’Albo Artigiani della Provincia di Trento)
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
23
4.2 Distribuzione territoriale
Per quanto riguarda la distribuzione territoriale del campione la fi gura 1 descrive la localizzazione
per comprensorio e per comune delle 100 imprese intervistate. Un confronto tra la localizzazione
delle imprese intervistate e la distribuzione per comprensorio della totalità delle imprese dell’ar-
tigianato alimentare trentino è riportata nella tabella 4.
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artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
24
Tabella 4: Imprese intervistate e totali per comprensorio
4.3 Forma giuridica delle imprese analizzate
Un altro fattore importante per caratterizzare il campione di imprese intervistate è la forma giu-
ridica che consente di studiare il percorso di “maturazione” organizzativa che va dalla forma in-
dividuale alle società di capitali. Le società di capitale non solo danno la possibilità di limitare il
rischio, ma consentono anche – nella forma della Srl pluripersonale – di acquisire con una certa
facilità soci e di modifi care la struttura societaria del rischio e del capitale. Naturalmente, le Srl e
le Spa sono strutture che richiedono una certa formalizzazione della contabilità, dei poteri e degli
atti societari, segnando un punto di distacco – almeno sul piano formale – dall’identifi cazione tra
azienda e persona che prevale ancora in molte microaziende. La forma giuridica, in questo senso,
è un indizio piuttosto rilevante di evoluzione organizzativa di un’azienda. Come si vede dalla se-
guente fi gura 2 la ditta individuale è nettamente maggioritaria: quasi la metà del campione (48
imprese). Abbiamo uno sviluppo in senso societario con la S.n.c. (32 aziende). Mentre le società
di capitali – esclusivamente Srl – sono solo 13. Limitate a solo 7 casi sono le Società in acco-
mandita semplice (S.a.s.): questo tipo di società, nasce solitamente quando ci sono dei soggetti
capitalisti che vogliono investire, ma limitare il proprio rischio, e soggetti imprenditori che sono
in possesso di una parte limitata di capitali.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
25
Figura 2: Percentuale imprese intervistate per forma giuridica
s.r.l. 13%
ditta individuale 48%
s.a.s 7%
s.n.c. 32%
Sui motivi di tale distribuzione di forme societarie il peso maggiore lo hanno la scarsa dimensione
delle imprese, la scarsa consapevolezza dei benefi ci connessi all’adozione di forme giuridiche più
avanzate e, probabilmente, anche una certa inerzia storica. In passato, infatti, dal punto di vista for-
male, l’impresa artigiana era costretta ad assumere la forma giuridica di società di persone, mentre
la microimpresa industriale poteva assumere anche la forma di società di capitali; questa diff erenza
formale oggi non sussiste più, ma l’eredità storica da una parte, e i minori costi dall’altra, fanno sì che
la quasi totalità delle microimprese artigiane assuma tuttora la forma giuridica della società di per-
sone. Ne deriva la frequente commistione tra la famiglia dell’imprenditore – con il coinvolgimento
del patrimonio familiare e dei familiari che prestano la propria opera – e l’impresa.
L’incrocio tra forma giuridica e classe economica delle aziende intervistate (tabella 5) non evi-
denzia specifi ci caratteri, anche per il fatto che la diversa consistenza numerica delle aziende
nelle diverse classi economiche non consente dei confronti. Anche l’incrocio tra forma giuridica e
numero di occupati nell’azienda (compresi titolari, soci e familiari coadiuvanti) non fa emergere –
come ci si potrebbe aspettare – una tendenziale evoluzione della forma giuridica con il crescere
degli addetti, al contrario si evidenzia il caso limite di due ditte individuali con più di 10 addetti.
Va comunque specifi cato che si tratta di attività in cui incide fortemente il lavoro part time e sta-
gionale (tabella 6). Esula da questo lavoro un ulteriore esame delle motivazioni di convenienza
giuridico-economica, vogliamo solamente ricordare che essa è espressione non solo del numero
di addetti ma anche del livello assoluto del fatturato e di motivazioni collegate ai rapporti di pa-
rentela all’interno dell’azienda.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
26
Tabella 5: Forma giuridica per classe economica
Tabella 6: Forma giuridica per classe di addetti
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
27
Tra le 100 imprese esaminate, il numero medio di occupati per impresa è di 5,9 persone,
comprendendo, oltre ai dipendenti, anche i titolari, i soci ed i familiari attivi.
5. Addetti e fatturato
Tabella 7: Valori minimi massimi e medi di occupati nelle aziende
In totale, nelle cento aziende analizzate lavorano 582 persone, di cui: 187 titolari e soci; 38
famigliari coadiuvanti, 256 dipendenti a tempo pieno e 114 dipendenti part-time o stagionali.
Le aziende con un solo addetto (il titolare) sono 5: un’azienda di produzione di specialità
gastronomiche, una distilleria, un’azienda di produzione di pasta alimentare, una torrefazione e
una gelateria. All’estremo opposto troviamo 3 aziende con più di 20 addetti: un’importante
catena di panetterie che, oltre al titolare e a un familiare coadiuvante, dà lavoro a 22 dipendenti
a tempo pieno e a 6 dipendenti stagionali; un’azienda di produzione gelati che, oltre al titolare,
occupa 12 dipendenti a tempo pieno e 10 dipendenti stagionali; un’azienda di macellazione che,
oltre ai due titolari, occupa 20 addetti a tempo pieno. La classe che raccoglie la maggiore per-
centuale di imprese (54%) è quella da 2 a 5 addetti. Una ripartizione delle aziende per numero
di addetti è schematizzata nella seguente fi gura 3.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
28
Figura 3: Percentuale aziende per classi di addetti (compresi titolari e famigliari coadiuvanti)
da 2 a 5 occupati 54%
1 solo occupato (il titolare) 5%più di 20 occupati 3%
da 11 a 20 occupati 8%
da 6 a 10 occupati 30%
L’89% delle imprese indagate rientrano nella classe delle microimprese (meno di 10 addet-
ti) mentre solo l’11% del campione può essere classifi cato come piccola impresa (fi no a 50
addetti).
La preponderanza di microimprese denota una resistenza alla crescita dimensionale. Nella mi-
croimpresa, infatti, l’imprenditore è in grado di controllare direttamente tutti gli aspetti della vita
aziendale, di assumere le decisioni in prima persona. Nella sua fi gura s’identifi cano sia il manage-
ment sia la proprietà: è assente la proprietà cui rispondere, mancano gli azionisti che chiedono
dividendi nel breve periodo e l’imprenditore può decidere liberamente, investendo o meno a
lungo termine, sacrifi cando delle entrate momentanee per stabilizzare relazioni e rapporti con
clienti e partner strategici. La crescita dell’impresa, motivo di fi erezza per l’imprenditore, può co-
stituire allo stesso tempo un trauma, dal momento che oltre una certa dimensione comporta la
delega di molte funzioni e la perdita del controllo totale e assoluto dell’impresa. Crescono inoltre
l’impegno e il rischio dell’imprenditore e le modalità di reperimento di nuove commesse: con pic-
cole dimensioni è più facile reperire il lavoro necessario per garantirsi un determinato ammontare
di fatturato, è spesso il cliente che cerca il fornitore e non viceversa; per elevati volumi di fatturato
e di lavoro, al contrario, diventa indispensabile un maggiore impegno per reperire un numero di
commesse suffi ciente a coprire tutti i costi: occorre che l’imprenditore distolga la propria atten-
zione e parte degli investimenti dagli aspetti produttivi e intensifi chi gli sforzi più strettamente
commerciali e di marketing. Questi aspetti contribuiscono a limitare la disponibilità dell’im-
prenditore a fare crescere la propria impresa, soprattutto oltre la soglia dei dieci addetti:
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
29
è proprio questa la soglia oltre la quale si rende indispensabile una riorganizzazione dell’azienda
con l’introduzione di nuove fi gure professionali cui delegare funzioni organizzative e gestionali e
cresce l’impegno commerciale necessario per mantenere più consistenti livelli di fatturato.
Nelle imprese considerate la media dei soli dipendenti a tempo pieno è di 2,6 addetti per
azienda, con un range che va da 44 aziende senza alcun dipendente a tempo pieno al già
citato caso di una catena di panetterie con più di 20 addetti. Un quarto del campione si colloca
nella classe tra 2 e 5 dipendenti.
Figura 4: Percentuale aziende per classi di dipendenti a tempo pieno
nessun dipendente
a tempo pieno 44%
da 11 a 22 dipendenti 5%
da 6 a 10 dipendenti 11%
da 2 a 5 dipendenti 25%
un solo dipendente 15%
Le aziende che utilizzano dipendenti part time o stagionali sono 45, a testimonianza del ca-
rattere stagionale di molte produzioni dell’artigianato alimentare e di carichi di lavoro che spesso si
concentrano in concomitanza di particolari ricorrenze, come le festività natalizie o estive. Il ricorso a
dipendenti part-time o stagionali – che come vedremo nei successivi capitoli vengono utilizzati sia
per funzioni di produzione sia per funzioni di vendita – riguarda tutte le classi economiche analiz-
zate. Il numero massimo di dipendenti part-time o stagionali lo troviamo in due gelaterie (10 e 11
addetti). Le aziende che utilizzano unicamente dipendenti part-time o stagionali sono 21.
I dati relativi alla distribuzione dei dipendenti per le principali classi economiche analizzate è sche-
matizzata dalla seguente tabella da cui si evince come il maggiore dato medio di dipendenti a
tempo pieno si individua nelle panetterie con 5,9 dipendenti a tempo pieno per azienda
(dato che però è condizionato dalla presenza di un’azienda che gestisce una catena di panifi ci),
mentre il maggiore dato medio di lavoratori part-time e stagionali è rilevabile nelle gelaterie
(2,3 dipendenti).
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
30
Tabella 8: Numero di dipendenti per le principali classi economiche
Nonostante le resistenze alla crescita dimensionale precedentemente descritte l’andamento
del numero degli occupati in azienda rappresenta un interessante indicatore dell’andamento
congiunturale del settore. Rispetto a tale dato solo il 14% delle aziende intervistate ha di-
chiarato una contrazione degli occupati in azienda nel corso degli ultimi tre anni. Per il 52%
delle aziende gli occupati sono rimasti stabili e per il 30% delle aziende gli occupati sono
cresciuti nonostante l’attuale situazione di crisi generale. Dato che conferma il carattere an-
ticiclico svolto dal settore dell’artigianato alimentare, evidenziato anche da diverse rilevazioni a
livello nazionale.
Una ripartizione per classe economica evidenzia come gli andamenti (positivi o negativi) dell’oc-
cupazione si distribuiscono in tutte le classi economiche analizzate: ciò porta a pensare che l’an-
damento positivo o negativo dell’occupazione non dipenda tanto dall’andamento generale del-
lo specifi co settore, quanto piuttosto dalla situazione di mercato e dalle strategie delle singole
aziende. Nel complesso si può rilevare una tendenza alla diminuzione degli occupati nelle panet-
terie, nella lavorazione frutta e verdura, nella produzione cioccolato. Mentre la tendenza all’au-
mento degli occupati è stata maggiormente segnalata da: pasticcerie, macellerie, pizze al taglio,
gelati, gastronomie, produzioni di pasta alimentare, caseifi ci, moliture cereali, lavorazione pesce.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
31
Figura 5: Andamento degli occupati in azienda negli ultimi tre anni
non risponde 4%
cresciuti 30%
diminuiti 14%
rimasti stabili 52%
Figura 6: Andamento degli occupati negli ultimi tre anni per classe economica
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
32
Dal punto di vista delle classi di fatturato, il gruppo si presenta estremamente eterogeneo, pas-
sando dai 30.000 euro di fatturato annuo agli oltre 3 milioni di euro. Il dato medio di fatturato
per azienda è di 600.513 euro (sulla base di 72 risposte su 100). Una ripartizione delle aziende
per classi di fatturato è schematizzata dal seguente grafi co da cui emerge, in primo luogo, l’alta
percentuale di aziende che non hanno fornito il dato. Per il resto le aziende si distribuiscono omo-
geneamente tra le varie classi di fatturato, con una leggera prevalenza delle classi da 500.000 al
milione di euro e da 100.000 a 200.000 euro.
Figura 7: Percentuale aziende per classe di fatturato
fatturato non dichiarato 28%
da 1 MLN di euro
a 3,5 MNL di euro 11%
da 500.000 a < di 1 MLN di euro
15%
da 200.000 a < 500.000 euro
15%
da 100.000 a < 200.000 euro
21%
< di 100.000 euro 10%
La classe economica di appartenenza non sembra avere particolare infl uenza sulla collocazione
delle aziende rispetto alle classi di fatturato. Tra le imprese che superano il milione di euro di
fatturato troviamo diversi settori: due panifi ci, una gelateria, due macellerie, due distillerie, due
aziende di lavorazione di frutta, verdura e funghi, un’azienda di lavorazione e conservazione pe-
sce, un’azienda di produzione aceti.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
33
Tabella 9: Numero aziende per classe economica per classe di fatturato
Il fatturato è anche espressione del numero di addetti, pur se il peso di questi ultimi sul fatturato
dipenda da molti altri fattori: dalla tipologia dei processi produttivi, dall’organizzazione del lavoro
e dal grado di automazione ed innovazione degli impianti e non da ultimo dall’età dell’impresa.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
34
Tabella 10: Numero aziende per classe di fatturato e numero di occupati
Il fatturato medio per addetto – calcolato sulle 72 aziende che hanno fornito il dato sul fattura-
to e dividendo tale dato per numero di addetti di queste 72 aziende – si attesta sui 78.000 euro,
con valori minimi di 25.000 euro e valori massimi di 375.000 euro.
Tabella 11: Fatturato medio per addetto
Considerando gli andamenti del fatturato negli ultimi tre anni emerge come quasi la metà
delle imprese intervistate – nonostante la fase di crisi economica iniziata nel 2008 – sia riuscita
ad incrementare i propri fatturati, con andamenti positivi che si attestano, nella maggioranza dei
casi, su crescite del 5% e 10%. Il 28% delle imprese dichiara di aver conseguito una stabilità nella
dinamica dei ricavi. Un più ridotto 14% lamenta, invece, recenti andamenti negativi dei fatturati
che si attestano sul 5% - 10%, con il caso limite di un’azienda che ha dichiarato un 70% di calo di
fatturato.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
35
Figura 8: Andamento del fatturato nei precedenti tre anni
non risponde 10% diminuito 14%
rimasto stabile 28%cresciuto 48%
Decisamente più ottimistiche le previsioni di crescita dei fatturati nei prossimi tre anni dove
ben il 63% delle aziende si aspetta una crescita del proprio fatturato che in 24 casi si attesta sul
10%, anche se non mancano numerose previsioni di crescita del fatturato del 20, 30 e 40%.
Figura 9: Previsione andamento fatturato nei prossimi tre anni
non risponde 12% diminuzione 1%
stabilità 24%
crescita 63%
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
36
Figura 10: Numero aziende per percentuali di crescita del fatturato negli ultimi tre anni
e per previsioni di crescita del fatturato nei prossimi tre anni
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
37
6. Storie di imprese, famiglie e persone
Le imprese esaminate nella loro consistenza attuale sono il frutto di una storia aziendale – che
quasi sempre è personale e familiare – e che ha come punto di riferimento principale la data di
fondazione dell’azienda (o di subentro rispetto ai veri fondatori).
Figura 11: Anno di fondazione dell’azienda
A parte le 13 aziende che non hanno comunicato la data di fondazione – quasi sempre perché
era diffi cile ricostruire l’anno preciso di inizio dell’attività avviata dai padri o dai nonni – il primo
dato di interesse è il carattere “storico” di alcune botteghe artigiane. Vi sono ben 10 aziende,
tra quelle intervistate, che nascono prima del 1910.
I più antichi laboratori artigiani coinvolti nell’indagine sono: una distilleria fondata nel 1849; un
panifi cio fondato nel 1850; una distilleria fondata nel 1852; una distilleria fondata nel 1872; e un
mulino fondato nel 1877. In sostanza, le produzioni di grappa e pane sono le attività artigiane
dell’economia di sussistenza che caratterizzava il Trentino alla fi ne dell’800.
Il periodo tra le due guerre vede la nascita di due imprese artigiane: un biscottifi cio, diventato poi
molto famoso in Trentino, e un panifi cio. Seguono gli anni della ricostruzione e del boom econo-
mico con la nascita di 6 imprese negli anni ’50 e di 10 imprese negli anni ’60.
Durante gli anni ’70 si rileva una leggera fl essione nel numero di imprese avviate e, successiva-
mente, un costante incremento che dagli anni ’80 prosegue fi no ai nostri giorni, confermando
una tendenza che si rileva anche a livello nazionale.
In verità, parte delle aziende sono state “rifondate” nel senso di un subentro ai vecchi titolari a
cui generalmente è corrisposto un cambiamento nella forma giuridica, un ammodernamento
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
38
dell’impresa e, certamente, dei cambiamenti nelle modalità gestionali, pur nel mantenimento
delle caratteristiche artigiane e qualitative. Tali subentri sono in prevalenza avvenuti in ambito
familiare, con il susseguirsi delle generazioni alla guida dell’azienda. Dato testimoniato dal 42%
degli attuali titolari che hanno dichiarato di avere ereditato l’impresa dal padre, o comunque
da congiunti.
Generalmente si tratta di seconde o terze generazioni che hanno sperimentato il lavoro già quan-
do studiavano e, con il passare degli anni, hanno acquisito sempre maggiori responsabilità e
margini di iniziativa, sino a diventare titolari dell’azienda, magari affi ancati dai padri con i loro
saperi taciti e con la loro esperienza. Dunque, più che di “passaggio generazione” nell’impresa
artigiana appare appropriato parlare di “convivenza generazionale”, intesa come fase di tran-
sizione dove è la cogestione l’aspetto più interessante e strategico. Ai saperi informali dei padri
si sono affi ancati quelli più “modernizzanti” dei fi gli che tendono a spostare la cultura artigiana
verso una matrice più “imprenditiva”.
Figura 12: L’attività è stata ereditata dal padre?
58%
42%
Sono ancora attivi imprenditori nati negli anni ’30, anche se la classe di età in cui si concentra il
maggior numero di risposte è quella degli imprenditori nati negli anni ’60, un terzo dei quali ha
ereditato l’attività paterna. Un maggior numero di casi di successioni nell’attività d’impresa carat-
terizza gli imprenditori nati negli anni ’70.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
39
Figura 13: Numero di imprenditori per anno di nascita dell’imprenditore
e successione imprenditoriale
Appare ancora ridotta la quota dei titolari d’impresa che hanno dai 20 ai 30 anni: solo 4 im-
prenditori, due dei quali gestiscono l’impresa ereditata dal padre. Comunque, tale dato non va
interpretato come una carenza assoluta di giovani nel settore dell’artigianato alimentare, ma più
semplicemente signifi ca che in diverse aziende non è ancora avvenuto il passaggio di testimone
nella conduzione dell’azienda: sono in totale 23 le aziende che dichiarano di avere uno o più
fi gli coinvolti nell’attività di impresa.
Il ruolo della tradizione familiare nel settore dell’artigianato alimentare è testimoniato anche dalle
risposte riguardanti la precedente occupazione dell’attuale titolare.
Tabella 12: Precedente occupazione dell’attuale titolare
La maggior parte delle precedenti posizioni lavorative – come autonomo o come dipendente – si
collocano nell’ambito della stessa impresa (44%), presumibilmente nell’impresa di famiglia visto
che il dato supera di soli due punti percentuali il numero di imprenditori che hanno dichiarato di
avere ereditato l’impresa dal padre (42%).
Signifi cativo anche il numero di precedenti posizioni lavorative in altre imprese dello stesso
settore – in particolare come dipendente – dato che conferma come lo spin off aziendale rap-
presenti un’importante modalità di formazione di nuove imprese nel settore dell’artigianato ali-
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
40
mentare. È, infatti, presumibile che la maggior parte di queste 23 segnalazioni si riferisca ad ex
dipendenti di imprese del settore alimentare che, una volta acquisita una certa professionalità
nell’ambito del lavoro dipendente, hanno deciso di avviare un’attività in proprio.
È alto anche il numero delle segnalazioni – circa un quarto del campione – di imprenditori che
provengono da imprese di altri settori, dato che testimonia l’appeal del settore dell’artigianato
alimentare come ambito per l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali.
Una ripartizione dei titolari d’impresa per titolo di studio è schematizzata dalla seguente fi gura
14 da cui emerge una relativa prevalenza di imprenditori con la licenza di media inferiore (32%)
seguita dal diploma di scuola professionale (29%) e di maturità (23%).
Nel complesso, tra le 100 imprese indagate, troviamo 13 artigiani che hanno svolto studi uni-
versitari (diploma di laurea breve o diploma di laurea). La presenza di laureati si riscontra in
aziende appartenenti alle seguenti classi economiche: 4 distillerie, 3 panetterie, 2 pasticcerie,
un’erboristeria, un’azienda di lavorazione di frutta e verdura, un’azienda di lavorazione del pesce,
una di molitura cereali.
La ripartizione del titolo di studio per classi di età (fi gura 15) evidenzia come la presenza di
laureati è riscontrabile già nella generazione dei nati negli anni ‘40. Con le generazioni degli anni
’70 e anni ’80 cominciano ad avere rilevanza i diplomi di laurea breve. Le tre licenze elementari
riguardano unicamente gli imprenditori nati negli anni ’30.
Figura 14: Imprenditori per titolo di studio
licenza elementare 3%
licenza media inferiore
avviamento 32%
laurea 9%
diploma laurea breve 4%
diploma maturità 23%
diploma professionale 29%
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
41
Figura 15: Numero imprenditori per anno di nascita e titolo di studio
Oltre ai summenzionati percorsi scolastici, ben 66 artigiani hanno dichiarato di avere parte-
cipato ad attività di formazione o specializzazione inerenti all’attività svolta. Ai tradizionali
corsi di specializzazione per panettieri, pasticceri, cioccolatieri, casari, macellai, molitori – in alcuni
casi svolti al di fuori del Trentino – si affi anca la partecipazione a corsi per degustatori ANAG11,
seguiti dai titolari di distillerie. Si rilevano alcune partecipazioni anche a corsi sulla valorizzazio-
ne di prodotti tipici (Accademia d’Impresa, Consorzio Produttori Trentini di Salumi, Slow food),
a corsi di sommelier e a corsi di dietetica e produzioni alimentari per celiaci. Abbastanza
diff usa è anche la partecipazione a corsi di formazione tenuti da ditte fornitrici di tecnologie per
la produzione alimentare e a corsi incentrati sulle metodologie di gestione d’impresa, svolti
in buona parte dall’associazione di categoria.
In totale sono 11 gli artigiani che hanno dichiarato di avere avuto esperienze di docenza
nell’ambito di corsi di formazione professionali, scuole alberghiere o altri istituti seconda-
ri. In alcuni casi si è trattato di esperienze che denotano un forte impegno sociale degli artigiani:
come nei citati casi di docenze eff ettuate presso istituzioni e associazioni che operano per il recu-
pero di giovani in diffi coltà (è il caso ad esempio dei corsi di formazione sull’artigianato alimen-
tare realizzati presso la Comunità di San Patrignano) o per l’inserimento lavorativo di immigrati
extracomunitari. Si tratta di esperienze che evidenziano il forte ruolo che l’artigianato svolge
nei processi di inclusione sociale.
11 Associazione Nazionale Assaggiatori Grappa ed Acqueviti.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
42
La partecipazione a corsi di formazione esterni continua ad essere una pratica consolidata di
aggiornamento professionale per un consistente numero imprese analizzate: il 47% dichiara di
acquisire competenze necessarie all’attività d’impresa partecipando a corsi di formazione
esterni ed il 29% a quelli organizzati dall’associazione di categoria.
Tabella 13: Canali attraverso i quali l’impresa acquisisce le conoscenze di cui ha bisogno
L’artigianato ha comunque una lunga storia e propri sistemi di sviluppo e trasmissione della co-
noscenza che gli consentono di innovare nel solco della tradizione. La quotidiana esperienza
fatta sul lavoro continua ad essere il principale ambito attraverso cui le imprese artigiane ag-
giornano e consolidano le proprie competenze produttive (82% delle segnalazioni). L’attenzione
alle tradizioni locali (66 segnalazioni) ed il passaggio generazionale delle tecniche produt-
tive (44 segnalazioni) sono le strade maestre che consentono storicamente all’impresa artigiana
di innovare le proprie produzioni e riprodurre i propri processi produttivi. Proprio per il suo fon-
damento pratico, l’artigianato costituisce una pratica sociale che si apprende sul campo, attra-
verso il rapporto diretto dell’apprendista con l’artigiano. Mentre nell’industria il sapere codifi cato
che viene incorporato in una macchina è facilmente moltiplicabile (riproducendo la macchina
in molti esemplari identici tra loro), il sapere posseduto da un artigiano si trasmette ad altri solo
attraverso il lungo e complesso processo di apprendistato (o di imitazione).
Ma oltre alle conoscenze contestuali – patrimonio di ogni artigiano e di ogni azienda, spesso
gelosamente custodito – oggi servono competenze che abbiano un carattere più formale e co-
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
43
difi cato, riguardanti tecnologie e mercati, per le quali le imprese analizzate si affi dano alla par-
tecipazione a fi ere di settore (44 segnalazioni) e al trasferimento di conoscenze da parte di
committenti, clienti e fornitori (34 segnalazioni).
La presenza di donne titolari d’impresa, nell’ambito del campione di imprese indagato, è del
22%. Solo 4 imprenditrici hanno ereditato l’impresa dal padre: la maggior parte ha sviluppato le
proprie competenze presso altre imprese alimentari e ha avviato, successivamente, una propria
attività. La distribuzione di imprenditrici nell’ambito delle varie classi economiche è illustrata nella
seguente fi gura.
Figura 16: Numero aziende per classe economica e sesso del titolare
Il ruolo svolto dalle donne nell’impresa artigiana non può certamente essere descritto unicamen-
te con il numero delle titolari di impresa, ma va ricondotto ai diversi ruoli che esse svolgono in
imprese che sono in buona parte a carattere familiare.
In totale sono 30 le aziende che hanno dichiarato di avvalersi dei familiari coadiuvanti
nello svolgimento di funzioni aziendali: la ripartizione di tali funzioni tra titolari, familiari co-
adiuvanti e dipendenti a tempo pieno e tempo parziale è schematizzata dalla seguente tabella.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
44
Tabella 14: Svolgimento delle funzioni aziendali (Chi fa cosa?)
Il primo aspetto macroscopico rilevabile da questa tabella riguarda l’assunzione di tutti i ruoli
di lavoro da parte del titolare (o dei titolari) che spesso è assunta come verità assiomatica
“l’artigiano fa tutto”. Un dato analogo riguarda i familiari anche loro coinvolti in tutte le funzioni
dell’azienda, con una leggera preminenza per le funzioni di vendita. Ai dipendenti – che siano
a tempo pieno o a tempo parziale – sono, invece, riservate le funzioni di produzione e vendita.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
45
7. Il mercato dell’impresa artigiana
7.1 I mercati serviti dall’azienda
La percentuale di composizione del fatturato, utilizzata per indicare i mercati di vendita, rappre-
senta il valore medio della percentuale di fatturato realizzata in una particolare destinazione di
vendita.
Nel complesso le 100 imprese intervistate realizzano mediamente il 53,7% del proprio fatturato
sul mercato strettamente locale – valle, città, paese – tale dato scende al 28,9% se si prende a
riferimento il mercato provinciale, per poi posizionarsi su valori inferiori al 10% riguardo ai mercati
extraprovinciali.
Tabella 15: Percentuale di fatturato a seconda della destinazione delle vendite
Le aziende che hanno dichiarato di realizzare la totalità del loro fatturato sul mercato stretta-
mente locale sono il 35%, si tratta in sostanza di imprese che svolgono un servizio di prossimità
rivolto a residenti e turisti ed usano quasi esclusivamente il canale commerciale costituito dal
proprio punto vendita (panifi ci, pasticcerie, gastronomie, pizze al taglio, ecc.).
Di contro le aziende che dichiarano di realizzare una parte del loro fatturato (fi no ad un massi-
mo del 50%) sui mercati esteri sono il 18%, tra queste aziende troviamo un buon numero di
distillerie, diversi produttori di specialità gastronomiche particolarmente rinomate, due impor-
tanti aziende artigiane di lavorazione di prodotti di macellazione, un biscottifi cio e un’azienda di
produzione aceti. A caratterizzare queste imprese sono in alcuni casi le produzioni di alta gam-
ma – solitamente associate alla capacità di agganciarsi a prestigiosi canali commerciali di livello
internazionale – e in altri casi la maggiore dimensione di impresa associata ai canali della GDO.
La presenza sul mercato provinciale caratterizza un’articolata tipologia di classi produttive, pra-
ticamente tutte le aziende del campione, ad esclusione di quelle che hanno dichiarato di operare
unicamente sul mercato strettamente locale. In particolare le imprese che fanno quasi esclusiva-
mente riferimento al mercato provinciale sono: le imprese che si caratterizzano per la produzione
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
46
di servizi (moliture, torrefazioni, catering); le imprese che più si avvicinano ad un tipo di produzio-
ne industriale e/o che hanno saputo conquistarsi una certa fama a livello provinciale e le imprese
maggiormente orientate alla fornitura di esercizi turistici in particolare alberghi e ristoranti. Sul
mercato prevalentemente provinciale troviamo anche aziende specializzate in settori di nicchia,
come ad esempio le produzioni biologiche, che pur essendo di piccolissima dimensione non
possono avere come riferimento il solo mercato di prossimità.
Sul mercato nazionale opera circa il 35% delle imprese analizzate. Il principale sbocco è chiara-
mente il mercato del Nord Est dove il 34% delle imprese analizzate dichiara di realizzare una quo-
ta del proprio fatturato (fi no ad un massimo del 50%), seguono il Nord Ovest, sbocco di mercato
per il 25% delle imprese, il Centro Italia 14% ed infi ne il Sud Italia con il 10%. Le imprese che
presentano una rilevante quota di fatturato sul mercato nazionale sono quelle capaci di utilizzare
circuiti commerciali specializzati in prodotti di qualità; quelle che commercializzano attraverso la
GDO e le imprese di subfornitura che forniscono semilavorati o prodotti fi niti ad altre aziende che
lo commercializzano con marchio proprio.
Anche la quantifi cazione dei volumi di vendita realizzati dalle imprese sui diversi mercati evi-
denzia l’assoluta preminenza dei mercati locali e provinciale.
Tabella 16: Volumi di vendita sui diversi mercati
7.2 I canali commerciali utilizzati dalle aziende
Relativamente ai canali commerciali utilizzati dall’azienda la strategia più percorsa (e anche quella
più vincente secondo quanto emerso dalla campagna di interviste) è quella di mixare diverse
formule di vendita. Infatti, la strategia multilivello permette di incontrare diverse “popolazioni” di
consumatori, diff erenziando i prezzi a seconda delle situazioni e, quindi, poiché si agisce su seg-
menti a valori aggiunti diversi, modulando la propria struttura di costi e ricavi.
Nel complesso le imprese che realizzano la totalità del proprio fatturato su un unico canale
commerciale (in prevalenza il negozio) sono solo 22. Tutte le altre operano su molteplici canali
con diversifi cate percentuali di vendita e in alcuni casi diversifi cando anche la produzione o il
packaging in funzione dei diversi canali.
In sostanza, accanto alla commercializzazione diretta si mettono in atto più strategie di commer-
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
47
cializzazione indiretta: quella del “B2B” (dove il margine è ridotto), quella d’élite (dove il margine
è alto) e quella della vendita tramite vetrine terze (dove il margine è spartito con il gestore dello
spazio). I rapporti con la GDO ci sono quando è necessario “smaltire” una certa quantità della
propria produzione.
Il dato medio di fatturato realizzato sui diversi canali commerciali è riportato nella seguente ta-
bella, da cui si rileva la preponderanza della vendita diretta al pubblico tramite negozio (46,3%).
Tabella 17: Percentuale di fatturato per canale commerciale
A distanza troviamo la vendita dei propri prodotti artigianali attraverso i supermercati su cui vie-
ne realizzato un dato medio di fatturato dell’11,1%. Le aziende che commercializzano attraverso i
supermercati sono 37. La percentuale di fatturato su questo canale si attesta, per la maggioranza
delle imprese, sul 10-20%. C’è solo un’impresa – una molitura cereali – che realizza su questo
canale il 90% del proprio fatturato.
Gli alberghi e ristoranti rappresentano il terzo canale per dato medio di fatturato (9,7%) ma il se-
condo canale per numero di imprese che lo utilizzano (49 imprese). Ne consegue che, nonostan-
te l’ampio utilizzo di questo canale, le quote di fatturato realizzato sono basse (inferiori al 10%).
Solo una torrefazione dichiara di realizzare su questo canale più del 90% del proprio fatturato.
La vendita ad altri esercizi commerciali al dettaglio produce una percentuale di fatturato me-
dio dell’8,1% e coinvolge 35 imprese. Anche in questo caso le quote di fatturato si attestano su
percentuali abbastanza basse. Le due aziende che dichiarano di realizzare almeno il 70% del pro-
prio fatturato su questo canale sono una gelateria e una produzione di cioccolato.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
48
Lo spaccio aziendale rappresenta un canale di vendita su cui viene realizzato il 7,8% del fat-
turato. Le aziende che utilizzano questo canale – principalmente le distillerie – solitamente as-
sociano alla vendita anche un’attività di accoglienza aziendale, ovvero, l’attività produttiva e
commerciale è assistita da un’attività di divulgazione culturale volta ad illustrare le caratteristiche
del prodotto e dei processi produttivi. Accogliendo visitatori è possibile interagire direttamente
con i potenziali consumatori che saranno maggiormente disposti a spendere, poiché alla soddi-
sfazione data dal prodotto “in sé” si somma quella esperienziale. L’importante è tenere sempre ali-
mentato il fl usso di presenze e l’estetica (e quindi la manutenzione) della propria sede. In questo
caso la localizzazione della propria impresa non è per niente secondaria, anzi più è attrattivo e
riconosciuto il territorio nel quale si opera e maggiori sono le possibilità di relazioni con operatori
depositari di know how, più l’impresa può essere inserita all’interno di circuiti e sistemi strutturati,
quindi costanti, rendendo meno aleatorio l’apporto di queste iniziative al fatturato aziendale.
La vendita attraverso negozi di prodotti tipici trentini coinvolge un terzo delle imprese inda-
gate (33) con un dato medio di fatturato realizzato su questo canale del 6,3%. Le aziende che
dichiarano di realizzare il 50% del proprio fatturato su questo canale sono: una distilleria, una
molitura cereali e una pasticceria.
La subfornitura è una modalità di vendita che coinvolge complessivamente 21 imprese. Sono
imprese che realizzano una quota del proprio fatturato vendendo semilavorati ad altre azien-
de (6) o vendendo prodotti fi niti ad altre aziende che lo commercializzano con marchio
proprio (15). Le percentuali medie di fatturato realizzati su questo canale sono contenute: rispet-
tivamente dell’1,2% e del 4,2%. Tra i subfornitori di prodotti fi niti che realizzano più del 50%
del loro fatturato con questa modalità troviamo: un’impresa dolciaria, un salumifi cio e un’azienda
di lavorazione funghi che lavora per un’importante multinazionale del settore agroalimentare.
Tra i fornitori di semilavorati che realizzano più del 70% del loro fatturato con questa modalità
troviamo unicamente un’importante impresa trentina di lavorazione carni.
La vendita tramite le cantine è un canale commerciale con importanti potenzialità di sviluppo,
dal momento che queste costituiscono una rete diff usa per tutto il Trentino a stretto contatto con
i fl ussi del turismo enogastronomico. Tale canale, per il momento, interessa solo 8 imprese: tre
distillerie, un caseifi cio, un salumifi cio, una pasticceria, un importante biscottifi cio e un’azienda
di produzione di specialità gastronomiche. Particolarmente interessante il caso di quest’ultima
azienda che vende il 100% della sua produzione – anche a livello internazionale – attraverso i
canali commerciali di un’importante azienda vinicola trentina.
Anche gli agriturismi e i bed & breakfast rappresentano un interessante canale commerciale
per il momento praticato da sole 8 aziende: due panifi ci, due aziende di molitura cereali, due
distillerie, un birrifi cio e un caseifi cio. Per tutte queste aziende la percentuale di vendita su questo
canale si attesta al di sotto del 20%.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
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Le vendite on line sono praticate da 7 aziende. Anche in questo caso le quote di vendita si atte-
stano al di sotto del 30%, mentre il dato medio sul fatturato riguardante questo canale commer-
ciale si attesta su un risicato 0,5%.
Tabella 18: Volumi di vendita realizzati sui diversi canali commerciali
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51
7.3 Tipologia di clientela
Il carattere prevalente locale delle aziende analizzate emerge anche dall’analisi della tipologia di
clientela. La percentuale media di fatturato per tipologia di clientela evidenzia il ruolo dei residenti
(38%) e degli esercizi commerciali locali (24%) come principali fruitori del prodotto dell’artigiana-
to alimentare trentino, un mercato che quindi si conferma come prevalentemente di prossimità.
I residenti rappresentano una tipologia di clientela per il 76% delle imprese intervistate. Le azien-
de artigiane che realizzano la quasi totalità del loro fatturato (più del 90%) vendendo ai residenti
sono 12, mentre le imprese che non fanno riferimento a questa tipologia di clientela sono 24.
Tabella 20: Percentuale di fatturato a seconda della tipologia di clientela
Le imprese commerciali (negozi e supermercati) sono clienti diretti per il 58% delle imprese ana-
lizzate. Le imprese che realizzano più del 90% del loro fatturato con questa tipologia di clientela
sono solo quattro: una nota impresa dolciaria che ha sviluppato due specifi che linee di produzio-
ne una dedicata a supermercati ed una dedicata ai negozi di prodotti tipici trentini; un panifi cio
che produce pane biologico; un’azienda di lavorazione cioccolato; un’azienda di sottaceti e sot-
tolio. Le imprese commerciali sono la principale tipologia di clientela rispetto al volume d’aff ari
realizzato (vedi tabella 21).
I turisti incidono sul fatturato delle imprese analizzate con un dato medio del 19%. I turisti sono
clienti diretti per il 65% delle imprese analizzate. Solo due imprese realizzano più dell’80% del loro
fatturato con i turisti: una pasticceria a Pejo ed un salumifi cio a Predazzo.
La clientela turistica viene raggiunta anche attraverso alberghi e ristoranti che rappresentano
clienti diretti per il 49% delle imprese analizzate (dato già emerso precedentemente). Con que-
sti clienti si realizza un dato medio di fatturato del 9,6%. Solo due imprese realizzano rilevanti
percentuali di fatturato con alberghi e ristoranti: un panifi cio di Andalo (70% del fatturato) e una
torrefazione – già incontrata precedentemente – che realizza con questi clienti più del 90% del
suo fatturato.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
52
Le imprese industriali sono un cliente diretto per il 16% delle aziende artigiane indagate e val-
gono il dato medio del 4,4% di fatturato. A rivolgersi a questo tipo di clientela per una quota di
fatturato superiore all’80% sono due imprese: una l’abbiamo già incontrata ed è l’azienda conser-
viera e di lavorazione funghi che lavora per un’importante multinazionale del settore agroalimen-
tare; l’altra è un’azienda che lavora frutta e verdura della Val di Gresta. Con quote inferiori dal 30%
al 50% del loro fatturato troviamo un’azienda di gastronomia che fornisce servizi di catering alle
imprese, un’azienda di lavorazione carni e un salumifi cio.
Il 17% delle aziende indagate vende anche ad altre imprese artigiane con un dato medio di
fatturato del 2,9%.
Le istituzioni pubbliche (mense, case di riposo, catering) hanno uno scarso peso come clienti
dell’artigianato alimentare. Il dato medio sul fatturato è inferiore all’1%. Solo 8 imprese si rivolgo-
no a questo tipo cliente: un pastifi cio, due panetterie, una pasticceria, due aziende di lavorazione
carni, un’erboristeria e una gastronomia che fornisce servizi di catering.
Tabella 21: Volume di vendita per tipologia di clientela
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7.4. La percezione del mercato
Come abbiamo avuto modo di evidenziare nei precedenti capitoli l’artigianato alimentare è uno
dei pochi settori produttivi che a livello nazionale, ma anche provinciale, ha saputo attraversare
con successo la crisi: è aumentata la produzione, è aumentato il numero di imprese, è aumentata
l’occupazione. C’è un semplice motivo che consente alle imprese dell’artigianato alimentare di
far fronte ai momenti di crisi economica: la qualità e la tipicità delle sue produzioni. Di questo i
consumatori sono consapevoli.
Rispetto alle scelte alimentari i consumatori italiani dimostrano di aver sviluppato un atteggia-
mento di costante arbitraggio tra qualità del prodotto alimentare e risorse familiari destinabili
all’alimentazione. Tutte le indagini eff ettuate sull’evoluzione dei modelli di consumo alimentare
dipingono il consumatore italiano come più parsimonioso rispetto ad altre realtà nazionali, ma
contemporaneamente attentissimo alla sicurezza ed alla qualità di ciò di cui si nutre.
Naturalmente i modelli di consumo alimentare seguono una deriva consolidata in tutto il mondo
occidentale. Da alcuni decenni, a fronte di un aumento della spesa per la casa, i trasporti, le co-
municazioni, i servizi in genere, l’incidenza della spesa alimentare sul totale delle spese familiari
si riduce, anche se, negli ultimi anni, si è assistito ad una stabilizzazione della quota di reddito da
destinare all’alimentazione, che è stata relativamente intaccata dall’attuale crisi (al di sotto una
certa soglia si cerca di non scendere).
Figura 17: I consumi delle famiglie - Incidenza della spesa per alimentazione sul totale
delle spese familiari – 1975-2008 (val.%)
Fonte: nostra elaborazione grafi ca su dati ISTAT
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
55
Tutte le più recenti indagini condotte da diversi istituti di ricerca sulle dinamiche dei modelli di
consumo alimentare nel nostro Paese evidenziano la tendenza del mercato a consumare meno,
ma meglio.
Secondo una recentissima indagine (Coldiretti-SWG) la spesa alimentare rappresenta la seconda
voce dopo l’abitazione ed assorbe il 19,1% della spesa mensile totale delle famiglie, per un valore
di 466 euro al mese. La crisi economica ha provocato una polarizzazione nei consumi alimentari
e se da un lato cresce il numero di quanti sono costretti a ricercare prodotti a più basso prezzo
dall’altro si assiste ad un consolidamento della domanda di prodotti di alta qualità tradizional-
mente acquistati da fasce di cittadini a più alto reddito. Sempre secondo questa fonte, gli eff etti
della crisi fi nanziaria non si fanno sentire sui prodotti di elevata qualità e cresce dell’8% il numero
di persone che acquistano regolarmente prodotti a denominazione di origine (sono il 28 per
cento) e del 23 per cento di quelle che comperano cibi biologici, i quali però interessano una fetta
più ridotta della popolazione (il 16%).
In questo periodo di crisi economica gli italiani riscoprono il piacere di gustare i prodotti ga-
stronomici nostrani, tra i più rinomati e apprezzati anche all’estero. Si recupera dunque il valore
di un’alimentazione all’insegna del gusto e della tradizione, la quale negli ultimi anni era stata
“trascurata” in favore della crescente curiosità nei riguardi dei prodotti etnici (Rapporto Coop 2008
Consumi e distribuzione).
Secondo le rilevazioni Ismea Ac Nielsen in Italia i consumi di pane nel 2008 hanno fatto registrare
un calo del 2,3%, confermando una tendenza che ha visto ridurre di un terzo gli acquisti di questo
prodotto dall’anno 2000 ad oggi. Pur tuttavia, l’indagine sottolinea come tale tendenza al ribasso
nei consumi non riguardi i pani a vocazione territoriale prodotti secondo l’arte e la tradizione
locale, nonostante i prezzi di vendita siano più elevati.
Sempre secondo Ismea gli acquisti domestici di prodotti biologici registrano nel 2009 un incre-
mento in valore del 6,9%, superiore a quello già segnato nel 2008 (+5,2%). Anche il consumo di
prodotti alimentari più di nicchia non ha risentito particolarmente della crisi, ad esempio i pro-
dotti salutistici risultano addirittura in crescita (Nielsen 2009).
A confermare il grande valore che il consumatore riserva alla qualità, pur in un periodo caratte-
rizzato da una grave recessione economica, è anche una ricerca condotta da Iri-Infoscan (2008),
per conto di Veronafi ere e presentata a Vinitaly 2009. Questa ricerca dimostra che il consumo di
vino si è ridotto ma questa fl essione riguarda principalmente i vini da tavola mentre è in aumento
l’acquisto di bottiglie di vino a denominazione di origine controllata. Si tratta di un’ulteriore dimo-
strazione della tendenza dei consumatori a non voler rinunciare alla qualità.
Questa tendenza della domanda verso prodotti di qualità si rifl ette sul sistema dell’off erta e pre-
mia la produzione artigianale. Secondo le rilevazioni di Confartigianato, in un anno diffi cile come
quello appena trascorso, il settore alimentare artigiano ha fatto registrate il record di nascite im-
prenditoriali: + 1,6%, pari a 1.318 aziende in più da settembre 2008 a settembre 2009. Una crescita
che porta a 83.216 le imprese artigiane del settore. Custodi della qualità gastronomica Made in
Italy, molti artigiani rientrano tra i 5.812 laboratori specializzati nella trasformazione dei 204 pro-
dotti DOP, IGP e STG.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
56
È sicuramente molto ampia la gamma di signifi cati e di valori che sono associabili in Italia ai
modelli di consumo alimentare e alla dimensione della gastronomia. Una dimensione che mai
ha mostrato di potersi ridurre unicamente alla sfera dell’alimentazione ma che è condizionata
da importanti riferimenti culturali. Infatti, a diff erenza di quello che è successo in altri paesi,
in Italia l’industrializzazione della produzione alimentare non si è sovrapposta alla cultu-
ra preesistente inventando e “imponendo” nuovi prodotti e modelli di consumo, ma si è
inserita nella cultura dell’alimentazione tradizionale, tentando di acquisirne, per quanto
possibile, l’intero patrimonio culturale. L’enorme numero di imprese artigiane nel settore è
d’altra parte l’eredità di un processo di industrializzazione tipicamente “dal basso”, di accompa-
gnamento puntuale di una domanda complessa ed esigente, fortemente radicata nelle culture
alimentari regionali.
Si può dunque a pieno titolo parlare di “osmosi” tra l’off erta del sistema produttivo e la domanda
proveniente dalle famiglie. Un’osmosi che ha generato quel paradigma alimentare italiano che
caratterizza il Made in Italy e rappresenta oggi il terreno di riferimento per le aziende che espor-
tano all’estero, per gli operatori della ristorazione e dell’accoglienza turistica, per tutti coloro che
operano in settori interessati o anche solo lambiti dal tema dell’enogastronomia.
L’esistenza di questo paradigma alimentare, oltre a garantire continuità e solidità ad alcuni proces-
si produttivi ed identitari del nostro Paese, rappresenta un formidabile freno a quella “volatilità”
dei comportamenti alimentari che sta caratterizzando aree geografi che molto meno stabili della
nostra da questo punto di vista. Con ciò non si intende certo sostenere che mutamenti nelle
abitudini alimentari del nostro Paese non siano avvenuti in epoca recente e non stiano ancora av-
venendo. Semplicemente, l’insieme dei dati e delle indagini di settore autorizzano a ritenere che
forme di totale “spaesamento alimentare” siano, nel nostro Paese, tutto sommato piuttosto rare.
Rimane, infatti, certo che la nostra diff usa cultura gastronomica, per quanto poliforme, mutevole
e contemporaneamente così legata al territorio, rappresenta il principale fattore di qualifi cazione
sia della domanda sia dell’off erta di qualità e costituisce un formidabile propulsore per lo sviluppo
del sistema agroalimentare nel suo complesso.
Di questo, gli artigiani trentini coinvolti nell’indagine sono pienamente consapevoli. Interrogati
su quali sono i principali fattori che, a loro parere, condizionano gli andamenti di mercato
dei prodotti dell’artigianato alimentare segnalano la maggior attenzione dei consumatori
alla qualità dei prodotti (55 segnalazioni) ed il minore potere di acquisto delle famiglie (49
segnalazioni) ad indicare quel processo diff uso di contrazione dei consumi alimentari che co-
munque non penalizza più di tanto i prodotti di qualità e l’attenzione costante dei consumatori
ai temi della sicurezza alimentare (14 segnalazioni).
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
57
Figura 18: Fattori che condizionano (in positivo o in negativo) l’attuale situazione
del mercato dei prodotti dell’artigianato alimentare (max tre risposte)
Del resto, tale andamento positivo dell’artigianato alimentare e dei suoi prodotti di qualità è
confermato – come abbiamo visto nei precedenti capitoli – dalle positive aspettative rispetto agli
andamenti dei propri fatturati.
L’approccio culturale che caratterizza i consumi alimentari e l’orientamento alle produzioni legate
al territorio sono testimoniati dalle risposte riguardanti la maggiore attenzione dei consumato-
ri alla tipicità del prodotto (26 risposte) e la crescita dei fl ussi del turismo eno-gastronomico
(17 risposte).
Gli intervistati non mancano, chiaramente, di segnalare anche un processo di omologazione
della produzione e dei modelli di consumo alimentare (15 segnalazioni) che rischia di pe-
nalizzare il mercato del prodotto artigianale, a cui possiamo affi ancare per analogia la crescente
concorrenza della grande distribuzione (23 segnalazioni) che si esprime sostanzialmente su
due fronti: da un lato la tradizionale off erta di prodotti industriali standardizzati, sia di marca, sia
del segmento low cost; dall’altro un’emergente strategia di marketing che punta su segmenti di
nicchia – dal biologico, al prodotto tipico locale – che fi no a non molto tempo fa erano di esclu-
sivo appannaggio della piccola produzione agricola e artigianale.
La forte attenzione che nel nostro Paese è riservata, anche a livello istituzionale, ai temi della
sicurezza alimentare se da un lato rappresenta una garanzia per i consumatori (e per gli stessi
produttori), dall’altro lato rappresenta anche un onere importante per imprese di piccole dimen-
sioni che spesso faticano a far fronte al consistente numero di adempimenti richiesti per essere in
regola con le diverse normative di settore. Secondo una rilevazione Censis del 2007 esistono 898
tra leggi, regolamenti, direttive di livello comunitario, nazionale e regionale dedicate alla materia
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
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alimentare: dato testimoniano dal 42% delle imprese che segnalano tra i fattori che condizionano
il mercato gli eccessivi vincoli normativi all’attività di impresa.
Signifi cativo è anche il numero di imprese (27%) che indicano nell’aumento dei costi delle
materie prime uno dei fattori vincolanti lo sviluppo del mercato dei prodotti dell’artigianato
alimentare. È questo forse l’unico fattore che espone il sistema delle imprese indagato alle dina-
miche dei mercati globali: basti in tal senso pensare alla fi ammata delle quotazioni internazionali
delle materie prime agricole a cavallo tra il 2007 e il 2008, collegato alla crescita della domanda
da parte dei paesi asiatici.
Per il resto, le dinamiche della globalizzazione non sembrano impensierire più di tanto le nostre
imprese di piccola dimensione che trovano nel mercato locale e nella valorizzazione delle tipi-
cità tradizionali le proprie opportunità di mercato: solo 2 imprese segnalano l’aumento della
concorrenza estera come fattore limitante la crescita del comparto dell’artigianato alimentare
trentino.
Per approfondire le specifi cità di mercato dell’artigianato alimentare abbiamo chiesto ai nostri in-
terlocutori di indicarci quali sono, secondo loro, i valori che i clienti attribuiscono al prodotto
dell’artigianato alimentare (fi g. 19).
Il maggior numero di risposte si sono concentrate su due caratteristiche del prodotto alimentare:
la genuinità (73 segnalazioni) ed il gusto (50 segnalazioni); in una parola “far gustare del buon
cibo senza impiegare sostanze estranee a quelle naturali su cui si è sempre basata la tradizione della
cucina e dell’alimentazione locale”. Possiamo ritenere che ciò corrisponda ad un comune sentire
dei produttori e dei consumatori di prodotti artigianali e che è inteso in rapporto alle produzioni
industriali viste spesso come eccessivamente manipolatrici dei prodotti.
Figura 19: Valori che i clienti attribuiscono ai prodotti dell’artigianato alimentare
secondo le aziende intervistate (max tre risposte)
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Comunque, in direzione ancora più esplicita si indica la sicurezza alimentare (27 segnalazioni)
che verrebbe garantita dalla produzione artigianale con sottostanti motivazioni riguardanti le
lavorazioni condotte secondo le regole della tradizione, l’uso di materie prime locali, l’assenza
presunta di additivi chimici, la vicinanza e la fi ducia tra produttore e consumatore.
I temi della genuinità e della sicurezza chiamano in causa il “fattore fi ducia” che in campo alimen-
tare assume un ruolo di straordinaria importanza, resosi particolarmente evidente a seguito dei
numerosi scandali alimentari – dalla BSE, all’aviaria – che hanno caratterizzato il mercato globale
dei prodotti alimentari negli ultimi anni.
Inoltre, all’aumentata distanza tra produttore e consumatore lungo fi liere di produzione alimen-
tare sempre più articolate, complesse e globalizzate, corrisponde anche una progressiva “sperso-
nalizzazione dei rapporti” che porta ad una sostanziale modifi ca del sistema informale di garanzie
che, un tempo, il contatto personale tra acquirenti e venditori, nei diversi stadi, era in grado di
assicurare.
Da questo punto di vista l’artigianato alimentare sembra poter ancora contare su un patrimonio
di fi ducia che si fonda sullo stretto rapporto personale che esiste tra consumatore e produttore
e su abitudini di acquisto e consumo consolidate nel tempo. L’azienda artigiana non è un’entità
anonima fatta di capitali, ma è una realtà socialmente riconoscibile fatta di persone che realiz-
zano, attraverso l’impresa artigiana, un proprio progetto di vita nell’ambito di una comunità e di
un territorio. È solo conoscendo le persone e la loro storia che si possono comprendere la serietà
e l’impegno che sta dietro le loro produzioni. È a questa personalizzazione dei rapporti che va
ricondotto il 23% delle segnalazioni che indicano come per il cliente sia importante la marca e
reputazione dell’azienda, ma anche il 14% delle risposte che sottolineano la capacità dell’arti-
giano di personalizzare il prodotto in base alle specifi che esigenze del cliente.
Se ciò vale in particolare per la clientela locale, un analogo discorso di tendenza deve essere fatto
per i consumatori occasionali come possono essere i turisti, che sempre più includono la ricerca
di prodotti tipici e la conoscenza delle tradizioni gastronomiche tra gli obiettivi delle proprie va-
canze. Il turismo del gusto è diventato un mezzo per conoscere a fondo i luoghi visitati, cresce la
partecipazione ad eventi, sagre, manifestazioni gastronomiche. Crescono i mercatini di prodotti
agricoli e artigianali. Sono sempre più i turisti che con un souvenir gastronomico si portano a
casa un pezzo di Trentino, della sua cultura e della sua ospitalità. È attraverso questi circuiti che
l’impresa artigiana riesce oggi a passare dalla dimensione di comunità alla dimensione di territorio,
allargando la reputazione dell’azienda e, di conseguenza, i propri mercati di sbocco.
All’importanza che il cliente attribuisce al fattore della tradizione fa riferimento un’altra serie di
risposte (34 segnalazioni) che si collocano coerentemente con il precedente discorso del gusto
per il palato: alla tradizione sono, infatti, riconducibili sapori che rischiano di andare persi nei
processi di omologazione alimentare. Alla tradizione si lega senza dubbio l’origine territoriale
del prodotto (28 segnalazioni) a tal punto che due aspetti – tradizione e origine territoriale – po-
trebbero essere tenuti insieme, arrivando a sommare il 62% delle risposte.
Il dato sull’origine territoriale risulta però decisamente incoerente con il dato sulla trac-
ciabilità del prodotto che permette di seguire il percorso dei singoli prodotti dalla fase di pro-
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
60
duzione a quella della commercializzazione fi nale. Solo tre artigiani intervistati ritengono che la
tracciabilità del prodotto sia un valore per la propria clientela (dato che contrasta con tutte le
indagini svolte sull’argomento).
Si tratta di un’incoerenza che, come vedremo nei capitoli successivi, rimanda a questioni più
ampie riconducibili da un lato ad una certa diffi coltà di approvvigionamento di materie prime
trentine e dall’altro al dibattito se i concetti di tipicità e origine territoriale debbano riferirsi alla
sola lavorazione artigiana o si debbano estendere anche alla provenienza locale delle materie
prime utilizzate.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
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8. I mercati di approvigionamento dell’impresa
In questi ultimi anni per il settore alimentare sono diventati sempre più importanti – e tra loro
sempre più fortemente connessi – due aspetti legati alla produzione: la qualità e la sicurezza. D’al-
tro canto, l’eccellenza qualitativa e la sicurezza dei prodotti sono spesso inscindibilmente connes-
si nella domanda dei consumatori.
L’artigianato alimentare gode ancora di un importante patrimonio di fi ducia presso i consumatori
che rischia comunque di essere eroso dagli scandali che coinvolgono il settore principalmente
a livello globale ma, purtroppo, sempre più spesso anche a livello nazionale con conseguenze
negative sulla credibilità e l’immagine del Made in Italy (si pensi ad esempio ai recenti casi della
mozzarella di bufala alla diossina).
Per capitalizzare questo patrimonio di fi ducia, riguardante la qualità e genuinità dei loro prodotti,
le imprese dell’artigianato alimentare devono oggi poter contare su un diverso rapporto con
chi fornisce loro la materia prima – il settore agricolo – e con chi rappresenta lo sbocco dei suoi
prodotti, il settore commerciale e/o turistico. L’ottenimento di prodotti di qualità e sicuri dal
punto di vista sanitario dipende in misura sempre maggiore dalla defi nizione di fi liere
produttive in cui a tutti i livelli questi obiettivi siano considerati primari.
Restando sul piano delle relazioni con il mercato, ci preme prendere in considerazione il fron-
te dell’approvvigionamento delle materie prime da parte dell’artigiano in considerazione
dell’importanza che hanno, o possono avere, le forniture per sostenere un’immagine di qualità
e di origine in senso esteso comprendente, cioè, anche il luogo di produzione dei prodotti
agricoli.
Si tratta di un argomento che forse è di maggiore interesse per gli agricoltori e che spesso viene
disdegnato da parte dei trasformatori attenti alla bontà qualitativa delle materie prime in sé e
soprattutto alla bontà delle proprie ricette e dei propri processi di lavorazione. Ci sono tentativi,
anche ben riusciti, di collegare i due mondi (ad esempio le iniziative trentine messe in campo per
fare incontrare allevatori e artigiani del settore carni) ma molta è la strada da compiere in tale di-
rezione, sempre che questa venga considerata strategica per il complesso del sistema dell’off erta
agroalimentare provinciale.
Nei fatti, l’origine locale dei prodotti e la conseguente tracciabilità degli stessi sono considerati
dai consumatori le principali garanzie di qualità: non si spiegherebbe altrimenti l’interesse cre-
scente che i consumatori mostrano per le denominazioni di origine e le indicazioni geografi che
e per i consorzi di tutela ed i marchi collettivi. L’attenzione dei consumatori non si riferisce solo
al prodotto fi nito ma anche agli ingredienti che lo compongono. Le indagini sui fenomeni di
contraff azione alimentare segnalano che per oltre i due terzi delle famiglie italiane gli ingredienti
rappresentano l’elemento più a rischio di contraff azione.
L’equazione “origine locale delle materie uguale a qualità dei prodotti trasformati” viene fat-
ta dagli stessi artigiani interpellati nel corso dell’indagine. Solo 10 imprese non utilizzano
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
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materie prime di origine trentina; le altre 90 imprese indicano come principale motivazione
dell’acquisto di materie prime trentine la maggiore qualità delle stesse (56%) o, comun-
que, l’origine locale (29%) intesa come valore a sé stante (conoscenza dei fornitori, raff orzamento
dell’economia locale, minori costi di trasporto, ecc).
Figura 20: Qual è la motivazione principale che determina l’acquisto di materie prime
trentine? (una sola risposta)
non uso materie prime trentine 10%prezzo più conveniente 2%
tradizionalità
nella produzione 2%
altro 3%
provenienza locale 27%
maggiore qualità
dei prodotti trentini
56%
Coerentemente con la propria convinzione che le materie prime trentine siano qualitativamente
superiori, le imprese artigiane esprimono un certo impegno nell’approvvigionarsi di prodotti pre-
valentemente locali, anche se va detto che le percentuali di acquisto per mercato di approv-
vigionamento lasciano un ampio spazio disponile per un ulteriore sviluppo della fi liera
agroalimentare a livello provinciale.
Interrogate su qual è la provenienza delle principali materie prime utilizzate, le aziende artigiane
hanno evidenziato i dati riportati nelle seguenti tabelle riferiti al numero di aziende che realizza-
no percentuali di acquisto sui diversi mercati di prodotti agricoli e zootecnici tradizionalmente
prodotti in Trentino.
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CARNI
Tabella 23: Numero di imprese che acquistano CARNI BOVINE per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 19 imprese)
Tabella 24: Numero di imprese che acquistano CARNI SUINE per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 16 imprese)
Tabella 25: Numero di imprese che acquistano CARNI EQUINE per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 9 imprese)
Tabella 26: Numero di imprese che acquistano CARNI OVO-CAPRINE per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 8 imprese )
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Tabella 27: Numero di imprese che acquistano CARNI AVICOLE per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 13 imprese)
Tabella 28: Numero di imprese che acquistano CARNI DI CONIGLIO per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 9 imprese)
Tabella 29: Numero di imprese che acquistano SELVAGGINA per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 10 imprese)
PESCE
Tabella 30: Numero di imprese che acquistano TROTE per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 6 imprese)
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Tabella 31: Numero di imprese che acquistano SALMERINO per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 3 imprese)
LATTE E DERIVATI
Tabella 32: Numero di imprese che acquistano LATTE per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 52 imprese)
Tabella 33: Numero di imprese che acquistano PANNA per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 36 imprese)
Tabella 34: Numero di imprese che acquistano BURRO per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 42 imprese)
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Tabella 35: Numero di imprese che acquistano YOGURT per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 21 imprese)
Tabella 36: Numero di imprese che acquistano RICOTTA per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 27 imprese)
Tabella 37: Numero di imprese che acquistano MOZZARELLA per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 13 imprese)
Tabella 38: Numero di imprese che acquistano ALTRI FORMAGGI FRESCHI per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 11 imprese)
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Tabella 39: Numero di imprese che acquistano ALTRI FORMAGGI STAGIONATI
per percentuale di provenienza degli acquisti (riferimento: 12 imprese)
Tabella 40: Numero di imprese che acquistano UOVA per percentuale di provenienza
degli acquisti (riferimento: 46 imprese)
Tabella 41: Numero di imprese che acquistano FARINA BIANCA per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 46 imprese)
FARINE
Tabella 42: Numero di imprese che acquistano FARINA GIALLA DI MAIS per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 26 imprese)
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Tabella 43: Numero di imprese che acquistano FARINA DI GRANO SARACENO
per percentuale di provenienza degli acquisti (riferimento: 13 imprese)
Tabella 44: Numero di imprese che acquistano MELE per percentuale di provenienza
degli acquisti (riferimento: 42 imprese)
VEGETALI
Tabella 45: Numero di imprese che acquistano PICCOLI FRUTTI per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 41 imprese)
Tabella 46: Numero di imprese che acquistano CONSERVE, GELATINE, MARMELLATE
per percentuale di provenienza degli acquisti (riferimento: 18 imprese)
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Tabella 47: Numero di imprese che acquistano SCIROPPI DI FRUTTA per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 9 imprese)
Tabella 48: Numero di imprese che acquistano FUNGHI FRESCHI E ESSICCATI
per percentuale di provenienza degli acquisti (riferimento: 11 imprese)
Tabella 49: Numero di imprese che acquistano ESSENZE E ERBE AROMATICHE
per percentuale di provenienza degli acquisti (riferimento: 16 imprese)
Tabella 50: Numero di imprese che acquistano OLIO DI OLIVA per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 19 imprese)
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Tabella 51: Numero di imprese che acquistano MIELE per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 22 imprese)
Tabella 52: Numero di imprese che acquistano LIQUORI E DISTILLATI per percentuale
di provenienza degli acquisti (riferimento: 18 imprese)
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71
Nella seguente tabella è evidenziata la percentuale delle imprese che acquistano esclusiva-
mente materie prime trentine per tipologia di prodotto. Le percentuali sono riferite al nume-
ro di imprese che acquistano quella specifi ca materia prima.
Tabella 53: Percentuale di imprese che acquistano esclusivamente materie prime
trentine per tipologia di prodotto (% sul totale delle imprese che acquistano lo specifi co
prodotto)
Da questa tabella possono emergere alcune considerazioni: balza subito all’occhio come le mag-
giori percentuali di acquisto di prodotto trentino da parte delle aziende indagate sono riferite
a due prodotti – le mele e i piccoli frutti – che rappresentano (oltre al vino) le produzioni più
aff ermate dell’agroalimentare trentino e che possono contare su un capillare sistema di distribu-
zione commerciale.
Anche un prodotto di nicchia come il miele trentino sembra raccogliere notevoli consensi da
parte delle aziende artigiane che ne fanno uso. Tale tipo di produzione in Trentino non si presenta
particolarmente organizzata, sia sul piano produttivo – data l’estrema frammentazione dei pro-
duttori – sia su quello commerciale. Ma forse è proprio la capillarità di questo sistema produttivo
– che attraverso canali di commercializzazione diretta rende disponibile a livello locale un pro-
dotto di qualità – ad incidere sulle scelte di acquisto delle aziende artigiane. Sono state diverse
le aziende che hanno dichiarato di approvvigionarsi direttamente “dall’apicoltore locale”. Tra le
aziende intervistate vi è anche il caso un’azienda – una pasticceria – che opera direttamente in
campo apistico.
Signifi cativo, date le ridotte produzioni provinciali, è l’utilizzo di olio di oliva Trentino (Garda
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
72
DOP). L’acquisto di tale prodotto presuppone da parte delle imprese artigiane la specifi ca volontà
di privilegiare un prodotto locale di nicchia e di elevata qualità, anche a scapito della convenienza
economica, data l’ampia disponibilità sul mercato di prodotti di minore qualità e maggiore con-
venienza economica.
Un analogo discorso può essere fatto per la farina gialla di mais che in Trentino è oggetto
di progetti di recupero e valorizzazione: si pensi all’ormai aff ermato mais di Storo, ma anche a
progetti di recupero di mais autoctoni, come ad esempio il mais Spin della Valsugana. Signifi ca-
tiva anche la percentuale di acquisto di farina di grano saraceno che vengono acquistate da
moliture locali, anche se le granaglie provengono chiaramente da altre aree. A tale proposito va
comunque sottolineato l’impegno della Provincia autonoma di Trento che, in collaborazione con
l’Istituto Agrario di S. Michele all’Adige, sta promuovendo la reintroduzione della coltivazione di
grano saraceno nelle zone di montagna del Trentino.
Più complesso appare il discorso sull’approvvigionamento di latte trentino. Le aziende che ac-
quistano il prodotto trentino sono il 57,6% del totale delle aziende che fanno utilizzo di latte. Il
dato è signifi cativo ma comunque sottodimensionato se rapportato alla produzione provinciale
di latte. Ad incidere sulla scelta d’acquisto, a detta di diversi imprenditori intervistati, è la capillari-
tà ed effi cienza della rete distribuiva che porta le imprese a privilegiare latte proveniente da fuori
Provincia, in particolare dall’Alto Adige.
Tra i formaggi emerge l’alta percentuale di utilizzo di mozzarella trentina, anche in questo caso
ci troviamo di fronte ad un prodotto locale ormai aff ermato ed effi cientemente distribuito sul
mercato. Per quanto concerne l’acquisto di altri formaggi locali, sia freschi sia stagionati, la
percentuale di acquisto da parte di imprese artigiane risulta abbastanza signifi cativa ma suscetti-
bile di sviluppo. Anche in questo caso è la tipicità dei prodotti ad incidere sulle scelte di acquisto
che, come vedremo meglio nei successivi paragrafi , si concentrano principalmente su specifi ci
prodotti locali quali: Ricotta, Trentingrana, Puzzone di Moena, Asiago.
Anche le scelte di acquisto delle carni evidenziano margini di sviluppo per le produzioni zoo-
tecniche locali. Una discreta percentuale di aziende artigiane è già orientata all’acquisto di carni
trentine, sia bovine sia suine, ma in generale si lamenta la limitata consistenza di questi alleva-
menti in Trentino, non certo suffi ciente a sostenere la produzione di salumi locali e la vendita al
dettaglio di tagli di carni fresche. Nell’ambito delle scelte di acquisto delle carni colpisce la per-
centuale di aziende che acquistano carni ovo-caprine locali data la marginalità di questo tipo di
allevamento in Trentino. Probabilmente – come nel caso del miele – la domanda delle imprese
artigiane si rivolge a piccoli allevamenti di livello locale.
Da questa breve rassegna dei principali dati di acquisto a livello locale, emerge una specifi ca
propensione da parte delle imprese artigiane a privilegiare prodotti trentini, anche a sca-
pito della convenienza economica dato del resto già evidenziato nella precedente fi gura 20
da dove emerge che il fattore prezzo incide in maniera molto limitata nella scelta di acquisto di
prodotti trentini da parte delle aziende artigiane.
Quando l’off erta locale di materie prime non si presenta adeguata a supportare la domanda – sia
per consistenza della produzione sia per l’organizzazione della distribuzione – gli acquisti del-
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
73
le imprese artigiane si rivolgono, in prevalenza, al mercato nazionale. L’approvvigionamento sul
mercato internazionale – UE ed extra UE – risulta nel complesso abbastanza limitato, – perlome-
no rispetto al numero di imprese che si rivolgono a questi mercati visto che non si dispone di dati
sulle eff ettive quantità acquistate – e circoscritto ad alcune materie prime, in prevalenza le carni.
Non vi è comunque dubbio che a condizionare le scelte di acquisto da parte delle imprese arti-
giane è l’organizzazione del canale distributivo delle materie prime. Interrogate su qual è la per-
centuale degli acquisti realizzati sui vari canali di approvvigionamento di materie prime,
le imprese hanno evidenziato i dati medi riportati nel seguente grafi co.
Figura 21: Percentuale di acquisto sui diversi canali di approvvigionamento
dell’azienda (dati medi sul complesso di risposte delle aziende)
imprese industriali 17%
imprese agricole 17%
imprese agricole
con produzioni biologiche
certifi cate 4%
altre imprese artgiane 4%
altro 2%
dettaglianti 1%
circuiti commercio equo e solidale 1%
supermercati 1%
grossisti 53%
Come ci si poteva aspettare gran parte degli acquisti vengono eff ettuati tramite intermediari
commerciali che si occupano della distribuzione di prodotti alimentari, a cui si aggiunge una
signifi cativa percentuale di acquisti eff ettuati tramite i rappresentanti di imprese industriali.
È evidente che, in entrambi i casi, si tratta di canali commerciali non necessariamente attenti
alla valorizzazione di prodotti locali, ma che costituiscono per le imprese artigiane un effi ciente
e comodo canale di approvvigionamento. Del resto, come da più parti osservato, il problema di
disporre di effi cienti canali distributivi capaci di valorizzare le produzioni trentine – anche di nic-
chia – è un problema aperto, che riguarda anche il settore turistico e la possibilità per alberghi e
ristoranti di proporre produzioni tipiche trentine.
Signifi cativa è, comunque, la percentuale di acquisti eff ettuati dalle imprese artigiane direttamen-
te presso le imprese agricole e le imprese agricole con produzioni biologiche certifi cate (in
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
74
totale il dato complessivo evidenzia il 21% degli acquisti). L’accesso a questo canale commerciale
presuppone da parte dell’impresa artigiana un maggiore impegno nell’individuazione e selezio-
ne dei propri fornitori. Naturalmente, per alcune produzioni artigiane la quota di acquisto diretto
presso le aziende agricole assume una rilevanza decisamente maggiore fi no a coprire la totalità
delle materie prime alimentari, si pensi ad esempio alle distillerie che acquistano le vinacce da
aziende agricole locali, alle moliture di olive, ai caseifi ci artigiani, ma anche a molte macellerie
che selezionano direttamente presso le aziende agricole i capi da macellare. In totale sono 41 le
imprese artigiane che hanno dichiarato di eff ettuare una quota dei propri acquisti diretta-
mente presso imprese agricole e sono, invece, 11 le imprese artigiane che si rivolgono per
i loro acquisti ad imprese agricole con produzioni biologiche certifi cate.
L’impegno degli artigiani alimentari nella selezione delle materie prime appare una co-
stante necessaria per garantire la qualità dei propri prodotti. Qui, più che i dati statistici,
sono signifi cativi i racconti fatti dagli imprenditori nella ricostruzione del proprio caso di impresa.
A puro titolo di esempio si può citare: il caso di un caseifi cio artigiano che per i suoi acquisti di
latte ha selezionato un ristretto numero di piccole imprese zootecniche trentine che nutrono
gli animali senza l’uso di insilati; oppure i casi di diverse macellerie attivamente impegnate nella
valorizzazione dell’allevamento di razze bovine locali; o ancora l’impegno dei mulini nel recupero
di colture cerealicole minori.
Non mancano casi di imprese artigiane che per garantirsi prodotti di qualità, o comunque diffi -
cilmente reperibili sul mercato, investono direttamente nell’attività agricola come il caso di
una pasticceria che produce dolci di frutta antica – in particolare lo strudel – e che ha avviato
un’azienda agricola specializzata in questo tipo di coltivazione. Oppure il caso di un birrifi cio ar-
tigianale che sta reintroducendo la coltivazione di luppolo in Trentino. O ancora il già citato caso
della pasticceria che ha investito nell’attività apistica e che utilizza il proprio miele come dolcifi -
cante al posto dello zucchero. Fino ad arrivare a vere e proprie partnership tra imprenditori agrico-
li, artigiani e del turismo, come il caso di un’iniziativa imprenditoriale la cui attività spazia dall’alle-
vamento bovino e suino, alla trasformazione e commercializzazione di prodotti di salumeria e di
carne, per fi nire alla ristorazione. L’intreccio tra attività artigiana e attività agricola, nell’ambito di
un’unica azienda familiare, è una costante per molte distillerie che integrano la distillazione delle
vinacce con la produzione di vini di alta qualità e, in alcuni casi, anche di olio extravergine di oliva.
Alcuni artigiani ci hanno raccontato che vanno ancora a raccogliere personalmente i prodotti in
montagna: è ad esempio il caso di alcune distillerie che producono acquavite con erbe del bo-
sco, oppure di un’azienda che produce specialità gastronomiche utilizzando erbe, piante e frutti
raccolti direttamente in natura come l’asparago di monte, il radicchio dell’orso, la pera spadona, gli
scrizoi (selene), l’aglio della regina, il buonenrico (spinacio di monte), il crescione, le corniole, solo
per citarne alcuni.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
75
9. Le produzioni
9.1 Le produzioni che caratterizzano l’impresa
Le aziende sono esaminate, come base di riferimento statistico, per “classe economica” ma è evi-
dente che tale codifi cazione non copre con precisione l’attività reale delle imprese. La semplice
appartenenza ad una classe economica non illustra, infatti, adeguatamente la varietà delle pro-
duzioni realizzate dalle singole imprese. È per tale motivo che è stato chiesto loro di specifi care la
tipologia di lavorazioni e produzioni eff ettuate. Ne sono risultati i seguenti dati.
Figura 22: Quali sono i settori di produzione alimentare in cui opera l’azienda
(possibili più risposte)
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
76
Dal numero di segnalazioni riportate nel grafi co si evidenzia una varietà di produzioni che spes-
so sono complementari o affi ni alla produzione principale come, ad esempio, il normale caso
della panetteria che produce anche pasticceria fresca e secca, pasta alimentare o pizza al taglio,
oppure della pasticceria che produce anche gelati e cioccolata.
Altrettanto spesso si rilevano attività che sconfi nano in altri tipi di produzione che possono
essere integrative rispetto alla produzione principale dell’azienda: è il caso ad esempio del-
le numerose distillerie che producono anche vino e, addirittura, olio di oliva, oppure di alcune
pasticcerie che gestiscono attività di produzione di miele o di confetture. Vi sono casi di aziende
che estendono la loro attività in campi molto diversifi cati della produzione alimentare avendo
come punto di riferimento la tipicità della gastronomia trentina.
Da un confronto tra le classi economiche di appartenenza e i reali settori di produzione in cui
opera l’azienda si evidenza come:
• a fronte di 19 pasticcerie, siano in realtà 58 le imprese che producono pasticceria secca e
fresca;
• a fronte di 8 gelaterie, sono 13 le aziende che producono gelati con vendita diretta e non;
• a fronte di 6 aziende di lavorazione e conservazione di frutta, verdura e funghi, sono in realtà
13 le aziende caratterizzate da tali tipi di produzione;
• a fronte di 4 aziende classifi cate per la produzione di pasta alimentare, sono 6 le aziende che
realizzano questo tipo di produzione;
• a fronte di 2 sole aziende classifi cate come lavorazione cacao e produzione cioccolata, sono
12 le aziende che producono anche cioccolato;
• a fronte di una sola azienda classifi cata per produzione vini, sono in realtà 5 le aziende che
producono vino;
• a fronte di una sola azienda di molitura olive, sono 3 le aziende che producono olio di oliva;
• a fronte di una sola azienda di produzione birra, sono in realtà 2 le aziende caratterizzate da
questo tipo di produzione;
• a fronte di 2 aziende classifi cate per produzione formaggi, sono 3 le aziende che producono
formaggi.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
77
Le aziende che hanno indicato di operare su più settori di produzione alimentare sono in
totale 64.
Figura 23: Numero di imprese per numero di settori di produzione in cui opera l’impresa
Le 19 pasticcerie intervistate diversifi cano le loro produzioni in: pasticceria secca (18); pasticceria
fresca (18); cioccolata (8); confetture (1); gelati (5); caramelle (1); miele (1); gastronomia salata (1).
Le 15 macellerie intervistate diversifi cano la loro produzione in: lavorazione prodotti di macel-
lazione (15); carne essiccata, salata o aff umicata (14); salumi (14); prodotti di gastronomia (3). È
tra le macellerie che troviamo il caso limite dell’azienda che dichiara di operare in nove settori
diversi, nei fatti si tratta di un’azienda che – pur classifi cata come macelleria – si è convertita alla
produzione e commercializzazione di prodotti tipici trentini. Per quasi tutte le macellerie indaga-
te è, comunque, ormai consolidata la prassi di commercializzare prodotti tipici trentini, dai vini,
alle confetture, alle salse e paste alimentari confezionate.
Le 12 distillerie intervistate diversifi cano la loro produzione in: acquaviti (11); liquori (10); vini (4)
olio di oliva (2).
Le 10 panetterie intervistate diversifi cano la loro produzione in: pane (10); pasticceria secca (7);
pasticceria fresca (4); pasta alimentare (1); gastronomia (1); pizza al taglio (2).
Le 8 gelaterie intervistate diversificano la loro produzione in: gelati con vendita diretta (7);
gelati senza vendita diretta (1); pasticceria fresca e secca (2); lavorazione cacao e produzione
cioccolato (1).
Le 6 imprese intervistate di lavorazione di frutta verdura e funghi operano nelle seguenti pro-
duzioni: antipasti, sottaceti, sottolio (3); lavorazione conservazione funghi (2); succhi di frutta (2);
pasticceria fresca e secca (2); confetture, marmellate e gelatine (1); lavorazione di erbe spontanee
(1); caramelle e confetteria (1); lavorazione cacao e produzione cioccolata (1); lavorazione e con-
servazione pesce (1); miele (1).
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
78
Le due imprese di lavorazione aceto operano nelle seguenti produzioni: aceto di vino (2); olio
aromatizzato (1); succo di mele (1); sidro (1); aceto balsamico di mele (1).
Una delle due imprese di produzione formaggi ha diversifi cato la sua produzione nei settori di
produzione di birra e di prodotti da forno (pane e pasticceria secca). Anche in questo caso l’orien-
tamento dell’azienda è la specializzazione nel commercio di prodotti tipici trentini.
9.2 Le specifi cità della produzione artigiana
Indipendentemente dal numero e dalla tipologia delle produzioni eff ettuate, il carattere arti-
gianale della produzione rimane una costante. Si tratta, a questo punto, di chiarire in che cosa
consiste il carattere artigianale di una produzione, ovvero, che cosa distingue una produzione
artigianale da una produzione industriale.
La nozione classica di artigianato che noi conosciamo, che troviamo ancora nell’ordinamento
giuridico, nei testi di economia, fa riferimento a forme di produzione che vedono il titolare diretta-
mente impegnato nella produzione; che hanno un forte carattere manifatturiero in buona parte
incentrato sulla manualità; che sono basate su tecniche tradizionali e saperi pratici; che fanno
riferimento a mercati limitati e ripetitivi di dimensione essenzialmente locale.
Questa griglia, che defi nisce ancora oggi il lavoro artigiano, aveva una sua logica in un’epoca in
cui lo sviluppo era quello della grande impresa, perché consentiva di dare un’identità al lavoro
artigiano, un’identità se vogliamo marginale, residuale rispetto a quelle che venivano considerate
come le grandi opzioni di sviluppo, ma era pur sempre un’identità che distingueva l’artigianato
dall’industria:
• l’industria produceva a macchina ed in serie grandi quantità di beni, l’artigianato produceva a
mano piccole quantità o addirittura pezzi unici;
• l’industria utilizzava il sapere scientifi co e tecnologico, l’artigianato il proprio sapere pratico;
• l’industria operava separando le diverse funzioni: proprietà, fi nanziamento, comando, esecu-
zione; l’artigianato riassume tutte queste funzioni nella fi gura dell’artigiano imprenditore.
Queste distinzioni erano funzionali e consentivano all’artigianato di avere un proprio spazio
di competizione. Se l’industria poteva competere sulle grandi produzioni di massa standardizza-
te, l’artigianato era in grado di produrre il proprio valore aggiunto immettendo nel sistema eco-
nomico due fattori importanti, che erano: una grande varietà di produzioni di nicchia che alla
grande impresa non interessavano perché non c’erano le economie di scala e una fl essibilità che
la grande impresa non era in grado di garantire, perché era un’organizzazione rigida e monolitica.
L’artigiano, nel recente passato, poteva quindi ragionevolmente defi nirsi: come un produttore
fl essibile, che agisce al servizio di un cliente specifi co, o come produttore di nicchia, che coltiva un
piccolo segmento di mercato – spesso un segmento di qualità o di èlite – in cui ricerca quell’ec-
cellenza e quella unicità che la grande impresa non garantiva. Ed è proprio in quest’ambito della
produzione artigianale, di nicchia e di qualità, che cresce il marchio Made in Italy che ci ha resi
famosi in tutto il mondo. Solo con il recente, inaspettato, successo competitivo che le imprese
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
79
artigiane hanno conseguito, a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, la demarcazione tra
moderno (industriale) e pre-moderno (artigianale) è stata rimessa radicalmente in discussione.
L’identità dell’artigianato, per così dire, è lentamente e irreversibilmente cambiata man mano che
l’artigianato ha sviluppato il suo originale percorso di modernizzazione. Le imprese arti-
giane di oggi, salvo poche eccezioni, fanno integralmente parte dell’economia moderna, perché
utilizzano nel modo migliore possibile le risorse della tecnologia e delle macchine e servono mer-
cati più ampi, innovando dinamicamente i prodotti ed i servizi off erti in funzione delle esigenze
dei clienti. Anche quando le imprese conservano tratti e risorse ricavate dalla tradizione, il loro
comportamento non è di tipo tradizionalista ma imprenditoriale.
La migliore testimonianza del successo evolutivo dell’impresa artigiana sta proprio nel fatto che
oggi anche le grandi imprese – in particolare nel settore alimentare – hanno imparato a non
trascurare le produzioni di nicchia e cercano di rispondere con fl essibilità e rapidità alle esigenze
del mercato. Il legame con il territorio, le tipicità delle produzioni, la valorizzazione dei prodotti
di nicchia, la presunta artigianalità delle produzioni, caratterizzano sempre più le strategie
comunicative delle grandi imprese del settore alimentare e della grande distribuzione or-
ganizzata, che mirano ad occupare nicchie di mercato che in passato erano prerogativa delle
piccole imprese artigiane.
L’artigianato è così tornato ad essere un elemento essenziale della modernità industriale. Esso è
servito innanzitutto a dare respiro ai grandi cicli della produzione di massa, assediati da una do-
manda che vuole sempre di più varietà produttiva, rapidità di cambiamento dei modelli e delle
proposte, personalizzazione del servizio off erto. Ma, accanto a questo ruolo complementare alle
grandi imprese, i produttori artigiani hanno sviluppato nuovi prodotti e servizi, aprendo nicchie
produttive che in precedenza erano trascurate, off rendo piccole serie che vanno incontro a biso-
gni di qualità e di personalizzazione, interagendo in modo fl essibile e creativo con i bisogni del
singolo cliente.
L’artigiano, il piccolo imprenditore, portano nel nuovo millennio l’idea di un lavoro che non è
soltanto occasione di profi tto, ma è parte della vita individuale e sociale. L’artigiano imprendito-
rializza il lavoro e personalizza l’azienda. La persona – e non la macchina – è al centro della
produzione artigianale: a prevalere è l’abilità professionale, la conoscenza delle tecniche
e dei materiali, la responsabilità individuale, la capacità di trasmettere un sapere antico
che continuamente si rinnova.
È in questa centralità delle persone – delle loro competenze diffi cilmente standardizzabili e omo-
logabili – che possiamo trovare la prima importante specifi cità della produzione artigiana. Mentre
nell’industria i processi produttivi rispondono a procedure standardizzate, codifi cate e riprodu-
cibili (nel senso che basta riprodurre le macchine) e sono relativamente indiff erenti alle persone
che possono essere sostituite, nell’artigianato i processi produttivi ruotano attorno alla cen-
tralità delle persone che possono essere sostituite solo al costo di lunghi e complessi processi
di apprendimento.
È questo il tratto comune che emerge dalle risposte del campione intervistato. La percezione
identitaria degli intervistati corrisponde, grosso modo, a tre caratteristiche fondamentali:
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
80
• la forte personalizzazione, sia del lavoro sia dell’attività in generale, non ripetitiva e
non standardizzata;
• la presenza e l’impegno diretto dell’imprenditore al lavoro, inteso come lavoro manua-
le ma per alcuni anche intellettuale;
• la capacità di fornire un prodotto o un servizio di alta qualità, originale e creativo.
Come testimoniato dalle risposte al questionario, la tecnologia viene usata dove serve e per quel
che serve, mentre l’apporto personale e la manualità rappresentano ancora il carattere dominan-
te del ciclo produttivo.
Figura 24: Quanto conta la manualità nelle produzioni aziendali?
(stima % sul ciclo produttivo)
operazioni manuali
nella produzione aziendale 80%
operazioni meccanizzate
nella produzione aziendale 20%
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
81
È a questo investimento personale (all’assunzione di responsabilità individuale, al rapporto di
fi ducia che si instaura con il cliente), che sono da ricondurre tutte le altre specifi cità della pro-
duzione artigiana, ovvero, l’attenzione alle esigenze dei clienti, alla qualità delle produzioni, alle
materie utilizzate e agli aspetti di genuinità e sicurezza alimentare dei prodotti.
Attenzioni, che nell’ambito del campione analizzato, sono, ad esempio, testimoniate dall’alto
numero di imprese che realizzano i propri prodotti in relazione alla stagionalità delle materie
prime, (43%), cosi come dal numero di imprese – signifi cativo, vista la necessità di strutture de-
dicate – che ha avviato produzioni per celiaci (20%).
È comunque anche vero che l’artigianato – all’interno dei processi di modernizzazione che
caratterizzano i modelli produttivi e di consumo – è costantemente chiamato a ridefi nire la
propria identità. Data la varietà dei modelli produttivi e delle formule imprenditoriali che carat-
terizzano l’artigianato è sempre più diffi cile defi nirne gli elementi distintivi: sono molte le imprese
artigiane che sul piano dimensionale, dei modelli produttivi, dei linguaggi formali, assomigliano
all’industria e sono anche molte le aziende artigiane che attraverso un processo di smaterializza-
zione delle produzioni ed investimenti nel campo dei servizi tendono ad assimilarsi al terziario. È
sempre più diffi cile distinguere l’artigianato dall’industria e dal terziario, perché oggi artigianato,
industria e terziario parlano sostanzialmente gli stessi linguaggi complessi di una produzione che
si fa sempre più immateriale il cui valore aggiunto è dato da conoscenze, qualità, simboli e servizi.
Tale varietà è riscontrabile anche nel campione di imprese analizzate. Sono diverse le imprese,
che pur mantenendo una grande attenzione alla qualità e tipicità del prodotto, hanno adottato
modelli di produzione industriale, così come si riscontrano diversi casi di investimento nel campo
dei servizi: dal catering, alla formazione e diff usione della cultura gastronomica, dal prevalere della
funzione commerciale su quella produttiva, fi no ad arrivare a originali servizi alla persona come la
preparazione di pranzi e cene a casa dei clienti.
Defi nire costantemente la propria identità è un processo complesso, e a volte contradditorio, che
richiede all’imprenditore artigiano un investimento in conoscenza non indiff erente. Il semplice
riferimento ai valori della tradizione e ai saperi contestuali non è più suffi ciente a fronte dell’av-
vento delle nuove tecnologie di produzione agroalimentare che provengono dal globale
e che necessitano di un apporto maggiore di competenze per defi nire le proprie scelte
aziendali.
Emblematico è, in tal senso, il dibattito sulle materie prime alimentari ottenute con organismi
geneticamente modifi cati. Interrogati sull’opportunità o meno di introdurre gli OGM nel nostro
Paese le imprese intervistate si dichiarano in maggioranza contrarie (65%). In parte, tale contrarie-
tà è motivata da supposti danni alla salute dei consumatori (12%), mentre per un maggior nume-
ro d’intervistati (53%) dall’opinione che gli OGM rappresentino un modello di sviluppo fondato
sull’omologazione, non coerente con le caratteristiche di varietà che rendono il nostro sistema
agroalimentare unico nel mondo.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
82
Figura 25: Qual è il suo parere sull’introduzione degli OGM nel nostro Paese?
non so 11%
sono favorevole perché garantiscono una maggiore
produttività delle colture, sono utili per combattere
la fame nel mondo 3%
sono contrario perché
temo eff etti sulla
salute umana 12%
penso che ci dovremo
adeguare perché
è impossibile fare controlli
sul contenuto di ogm
nelle materie prime 21%
sono contrario perché
non compatibili con il
nostro modello produttivo
basato su qualità e tipicità 53%
Le opinioni favorevoli si limitano al 3%, mentre è consistente il numero di artigiani che dichia-
rano di non essersi formati un’opinione al riguardo (11%) o che esprimono un atteggia-
mento fatalistico motivato dall’impossibilità, per l’impresa, di fare controlli sul contenuto
di OGM nelle materie prime (21%).
Un’analoga articolazione di risposte è riscontabile sull’utilizzo di additivi alimentari, quali gelifi -
canti, emulsionanti, addensanti, conservanti, coloranti, ecc. La quota dei contrari si riduce al 54%,
e aumentano i favorevoli (29%). Solo tre artigiani dichiarano di non avere un’opinione in materia,
mentre il 14% degli intervistati fa distinzioni tra i vari tipi di additivi.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
83
Figura 26: Qual è il suo parere sull’uso di additivi alimentari?
non so 3%
sono contrario perché
temo eff etti sulla
salute umana 8%
dipende dal tipo
di additivo 14%
sono favorevole perché sono utili
nella preparazione dei prodotti
e sono autorizzati dalle normative
in quanto non dannosi 29%
sono contrario perché non
compatibili con il nostro
modello produttivo basato
sulla qualità e tipicità 46%
Il rapporto tra una tradizione – percepita come garanzia della propria identità nella turbolenza
dei processi di modernizzazione e globalizzazione – e un’innovazione – che oltre ad aumen-
tare effi cienza e produttività, spesso rischia di portare all’omologazione – rimane un rapporto
complesso, non del tutto risolto. Comunque, interrogati su quali sono le specifi cità ed i valori
auto percepiti dell’artigianato alimentare, gli artigiani ritornato sempre ai valori fondativi della
tradizione, della comunità e del territorio.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
84
Figura 27: Quali sono, a suo parere, i tre valori più importanti dell’artigianato alimentare?
9.3 Produzione, utilizzazione e commercializzazione di prodotti
tradizionali trentini
Nei precedenti capitoli si sono fatti continui riferimenti alla valorizzazione dei prodotti locali, sia
riguardo alle materie prime utilizzate, sia riguardo alle produzioni artigiane. Ma qual è l’eff ettivo
contributo dell’artigianato alimentare alla produzione, utilizzazione e commercializzazio-
ne di prodotti trentini che possono essere considerati “tradizionali” o comunque evocativi
del territorio? La risposta a tale domanda presuppone alcune specifi cazioni.
L’attività delle imprese artigiane del settore alimentare è caratterizzata da un prodotto che può
essere considerato come il risultato di una combinazione speciale di alcune caratteristiche: le
materie prime, la lavorazione manuale e la ricetta utilizzata, legata alla tradizione locale
o aziendale.
Riguardo al primo elemento, tuttavia, manca ancora un’adeguata rete di relazioni fra l’arti-
gianato e l’agricoltura provinciale, denotando una carenza di rapporti di sistema che coinvol-
gono, su altri fronti, anche i collegamenti con la distribuzione commerciale e fra le stesse imprese
del comparto.
Nonostante l’evidenziata propensione delle imprese artigiane ad approvvigionarsi di materie pri-
me locali – considerate dagli stessi artigiani di maggiore qualità – si riscontrano diffi coltà in tale
approvvigionamento, determinate – sempre a detta degli artigiani intervistati – in alcuni casi
dalle limitate produzioni agricole provinciali e più spesso da carenze del sistema distributivo.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
85
Tale problema di approvvigionamento porta molte imprese artigiane che puntano al riconosci-
mento delle proprie produzioni a ritenere tipico o tradizionale un prodotto che viene re-
alizzato localmente sulla base di specifi che ricette artigianali, indipendentemente dalla
provenienza delle materie prime.
Il dibattito è aperto e non è certamente solo locale, coinvolge molte prestigiose produzioni na-
zionali che vantano marchi DOP, IGP, STG e le stesse istituzioni delegate a rilasciare tali certifi cazio-
ni. Non è tra i compiti di questa indagine esprimere un giudizio in merito, ma semmai evidenziare
tendenze e opportunità d’integrazione tra agricoltura regionale e artigianato alimentare come
strategia che consente di produrre vantaggi per entrambi i settori (da estendere anche a quello
turistico).
La presenza di prodotti evocativi del territorio mette in luce un patrimonio gastronomico “diff uso
e latente” non esprimibile solo da quelli a marchio DOP, IGP. Senza nulla togliere al valore di tali
certifi cazioni è evidente che la ricchezza di produzioni gastronomiche di un territorio è il risultato
di una storia materiale che ci ha trasmesso prodotti che trovano infi nite declinazioni.
Lo stesso prodotto può essere defi nito con diversi nomi dialettali, essere realizzato con diverse
ricette e ingredienti, variare di valle in valle se non di paese in paese senza per questo perdere il
suo carattere di prodotto tipico. Il brazedel è un prodotto tradizionale della Val di Non o del Primiero?
Durante le interviste abbiamo ricevuto diverse risposte. Ma forse, la cosa importante è che sia una
tipicità trentina.
Sono numerose le contaminazioni con i territori confi nanti. Lo strudel è un prodotto tradizionale
trentino o una contaminazione dai paesi di lingua germanica? I puristi non hanno dubbi, ma di
certo in Trentino si mangiano ottimi strudel con le mele della Val di Non, con i piccoli frutti e
addirittura con la “frutta antica”.
Infi ne, non è da sottovalutare “l’invenzione della tradizione”, spesso dovuta alla creatività dei
nostri artigiani che rielaborano ricette locali, o realizzano nuovi prodotti con materie prime locali.
Le grappe trentine al cioccolato o alle olive possono essere considerati prodotti tradizionali trentini?
Probabilmente no, ma certo si tratta di ottimi prodotti destinati al successo commerciale e magari
tra qualche anno potranno essere annoverati tra i prodotti tipici locali.
Inserirsi nel dibattito sulla tipicità dei prodotti gastronomici signifi ca inoltrarsi su un terreno ac-
cidentato, senza per altro averne le competenze. Per tale motivo nell’ambito di questa ricerca ci
siamo limitati a riportare elenchi di prodotti agroalimentari trentini ricavati dal “Piano della sicu-
rezza alimentare 2008-2010” della Provincia autonoma di Trento. Obiettivo di questo Piano non è
chiaramente quello di defi nire la tipicità dei prodotti, ma di riportare un dettagliato censimento
delle produzioni alimentari eff ettivamente realizzate in Trentino, gran parte delle quali, come si
può vedere dagli elenchi riportati nelle seguenti tabelle, hanno indubbi richiami al territorio e alle
tradizioni gastronomiche locali.
Dalle stesse tabelle, si può desumere il numero delle imprese artigiane intervistate che re-
alizzano direttamente tali prodotti, che li utilizzano come ingredienti nella preparazione
delle loro ricette, o che semplicemente li commercializzano.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
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La produzione di formaggi è chiaramente limitata, visto l’esiguo numero di caseifi ci iscritti all’Al-
bo delle Imprese Artigiane, sono comunque numerose le imprese che utilizzano formaggi locali
all’interno delle loro ricette, primi fra tutti ricotta, Trentingrana, Puzzone di Moena, Asiago. Molto
più signifi cativa è la produzione di carni e salumi che tradizionalmente vengono prodotti in
Trentino, tanto che nel loro stesso nome comprendono un preciso riferimento territoriale. Ana-
logo discorso si può fare per farine, pane, pasta alimentare e per i prodotti di pasticceria tra
cui prevalgono quelli – se non specifi camente trentini – quantomeno appartenenti alla cultura
germanica. Gli stessi prodotti di origine vegetale, utilizzati nelle ricette o trasformati, compren-
dono tutte le più tipiche produzioni agricole locali. Fino ad arrivare ai prodotti di gastronomia
decisamente riferibili alla cucina tipica locale.
In sostanza, tutte le imprese artigiane intervistate nella loro gamma di produzioni hanno
numerosi prodotti riconducibili alle tradizioni gastronomiche locali – anche con prodotti
di nicchia sconosciuti ai più – ad ulteriore conferma dell’attenzione che l’artigianato riser-
va al territorio e del ruolo che svolge nel trasmetterne la cultura materiale.
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Figura 28: Numero di imprese che segnalano di produrre, utilizzare nelle ricette
e commercializzare prodotti tradizionali trentini (FORMAGGI E BURRO)
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Figura 29: Numero di imprese che segnalano di produrre, utilizzare nelle ricette
e commercializzare prodotti tradizionali trentini (CARNI)
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Figura 30: Numero di imprese che segnalano di produrre, utilizzare nelle ricette
e commercializzare prodotti tradizionali trentini (FARINE, PANE E PASTA)
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Figura 31: Numero di imprese che segnalano di produrre, utilizzare nelle ricette
e commercializzare prodotti tradizionali trentini (PRODOTTI DI PASTICCERIA
E GELATO ARTIGIANALE)
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Figura 32: Numero di imprese che segnalano di produrre, utilizzare nelle ricette
e commercializzare prodotti tradizionali trentini (FRUTTA,ORTAGGI, FUNGHI,
RELATIVE PRODUZIONI E OLIO)
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Figura 33: Numero di imprese che segnalano di produrre, utilizzare nelle ricette
e commercializzare prodotti tradizionali trentini (DISTILLATI E LIQUORI)
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Figura 34: Numero di imprese che segnalano di produrre, utilizzare nelle ricette
e commercializzare prodotti tradizionali trentini (CUCINA TIPICA TRENTINA)
Prodotti tradizionali trentini non utilizzati o commercializzati dalle imprese intervistate: Zuppa di frittatine, Zuppa di crauti trentini e pancetta
aff umicata trentina, Trote alle mele della Val di Non, Tortino di riso alla Spressa delle Giufi carie e funghi, Tortino di patate e carne, Stoccafi sso alla
trentina, Spinaci crudi e Vezzena, Rape della Val di Non, Provola aff umicata trentina fritta, Porri e Nostrano de Casel, Pollo ripieno alle noci, Polenta
smalza, Polenta e Tosèla, Polenta e cavolo rosso, Montone in umido, Mele, noci del Bleggio e Casolèt, Manzo alla vecchia Trento, Maiale al kren, Lepre
all’agro, Grostoi salati, Gnocchetti moslini, Garganelli allo speck trentino, Frittata delle malghe, Formaggio Tre Valli alla grappa, Fagiano con pancetta
nostrana all’aglio Caderzone, Cavoli rapa alla panna, Carciofi e Vezzena, Caprino trentino in foglie di vite, Canederli del Cermis, Bistecca con cipolle.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
95
Le imprese non sono entità del tutto autonome che prescindendo l’una dall’altra condividono sem-
plicemente la contiguità fi sica in un determinato territorio, ma formano un sistema o rete di relazio-
ni produttive. La cooperazione tra imprese, nelle varie forme in cui può realizzarsi, è ormai ritenuta
uno strumento indispensabile per l’impresa che voglia competere con successo e svilupparsi in un
complesso scenario economico in cui, la singola impresa, non può fare esclusivo ricorso alle sue
forze, ma deve necessariamente collegarsi con appropriate risorse e competenze esterne.
Tradizionalmente, tra imprese si instaurano forme di cooperazione verticale (l’impresa costruisce
rapporti esclusivamente con i propri clienti e i propri fornitori), ma sono diff usi anche rapporti di
cooperazione/competizione orizzontale nei vari stadi della fi liera produttiva. L’ottica competitiva
su base locale non è mai eccessivamente spinta e non è raro che imprese in competizione tra
loro attivino forme di collaborazione implicita (non formalizzata, basata su legami deboli), per
far fronte a problemi contingenti di mercato o di produzione. Tale tipo di cooperazione risponde
al principio della reciprocità, in quanto si tratta di praticare azioni di collaborazione che si attende
siano ricambiate in situazioni analoghe. È proprio la dimensione territoriale a giocare un ruolo
decisivo in questa forma di cooperazione, in quanto la vicinanza e la continuità delle relazioni
consente un controllo sul vissuto “morale”, oltre che economico, dei propri concorrenti, che forni-
sce il presupposto affi nché i comportamenti cooperativi possano aver luogo.
Questa collaborazione informale, orizzontale, implicita, trova – a volte – elementi di formalizza-
zione e si trasforma in collaborazione esplicita all’interno di reti formalizzate di imprese. Il con-
cetto di “rete di imprese” è ampio: esistono, infatti, imprese “a rete” organizzate a network ma con
cervello direzionale e comando fortemente accentrati (come possono essere i gruppi d’impresa o
le catene di franchising) e reti “tra pari”, più orizzontali, che prevedono relazioni stabilizzate da ac-
cordi espliciti (come possono essere i consorzi, le associazioni, i marchi collettivi, le strade dei vini
e dei sapori, ecc.). Lo sviluppo di queste forme stabili di cooperazione tra operatori può favorire il
consolidamento organizzativo delle imprese, l’innovazione, l’accesso a risorse che per le singole
aziende sarebbero troppo costose. Tutti gli studi sulle PMI hanno sempre attribuito grande im-
portanza ai vantaggi generati dalle reti di cooperazione nei sistemi produttivi locali. Apertura dei
mercati e instabilità della domanda, incremento della pressione competitiva, necessità di quali-
fi care i contenuti produttivi e territoriali, esigono una nuova defi nizione di strategia cooperativa.
Da qui la necessità d’indagare ed eventualmente promuovere “campi attrezzati” per l’interazione,
ossia ambienti e norme che incentivino e favoriscano reti tra imprese con prerogative stabili.
Nei fatti, la maggior parte delle imprese artigiane intervistate (68) ha dichiarato di aderire
ad almeno una rete di imprese. Quasi tutte le reti segnalate – perlomeno quelle con carattere
più orizzontale – sono strutturate sull’esigenza di tutelare, promuovere e commercializzare i pro-
dotti partendo dal contesto territoriale di riferimento (il Trentino, la valle, fi no ad arrivare al centro
storico) a testimonianza di quanto il territorio costituisca un fondamentale fattore di produzione
per la tipologia di imprese indagate. È interessante notare come alcune di queste reti non sia-
no esclusivamente costituite da imprese artigiane, ma comprendano anche aziende agricole,
10. Reti d’impresa
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
96
turistiche e commerciali e siano a loro volta collegate a reti più vaste, come possono essere, ad
esempio, quelle di Slow food.
Accanto a queste, si individuano: una rete di carattere nazionale volta alla valorizzazione e com-
mercializzazione di prodotti tipici non esclusivamente trentini e alcune reti di carattere proprie-
tario (di aziende e di marchi) che nascono dalla formalizzazione di rapporti inter-aziendali di pro-
duzione, fornitura o di commercializzazione.
Le Strade del Vino e dei Sapori del Trentino sono le reti che raccolgono il maggior numero
di adesioni nell’ambito delle imprese intervistate. Sono realtà associative tra imprese, promosse
da enti pubblici, turistici o associazioni di categoria, nate con l’obiettivo di canalizzare fl ussi di
turismo eno-gastronomico all’interno di territori ad alta vocazione rurale, caratterizzati da col-
tivazioni, da produzioni e da lavorazioni agroalimentari tipiche. Per garantire un’alta qualità dei
prodotti presentati e dei servizi, ogni Strada del Vino e dei Sapori del Trentino si è fornita di un
disciplinare, sottoscritto da tutte le aziende aderenti, che defi nisce i requisiti minimi per categoria
di appartenenza, oltre che dei requisiti generali per tutte le categorie.
ST.ART - Strade dell’Artigianato è un progetto di rete promosso dall’Assessorato all’Artigianato,
Industria e Commercio della Provincia autonoma di Trento volto a creare un sistema di valorizza-
zione dell’artigianato in ambito turistico. Obiettivo principale dell’iniziativa è individuare, grazie
ad un sistema di qualifi cazione declinato secondo le specifi cità di categoria e territorio, l’off erta di
prodotti e servizi di eccellenza dell’artigianato. Attraverso la collaborazione con le ApT d’ambito,
le aziende artigiane si fanno portavoce dei valori e dell’identità dei luoghi e dei saperi delle valli
trentine, in modo da ampliare e integrare l’off erta nei confronti del turista.
Il consorzio che vede il maggior numero di adesioni tra le imprese intervistate (8) è il Consorzio
Produttori Trentini di Salumi. Si tratta di un consorzio volontario che promuovere e tutela i
prodotti delle imprese consorziate, i rispettivi marchi e denominazioni. Il Consorzio promuove la
Tabella 54: Numero imprese intervistate aderenti a reti formalizzate d’impresa
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
97
certifi cazione volontaria di prodotto e mira a dare un riconoscimento ai prodotti meritevoli ed a
renderli riconoscibili ai consumatori. Attualmente il Consorzio ha richiesto il riconoscimento IGP
per le locali produzioni di carne salada, luganega, mortandela e speck. Il Consorzio promuove
anche il circuito “Macelleria Tipica Trentina” un progetto di valorizzazione delle realtà che operano
utilizzando in maniera prevalente i prodotti del territorio e che si impegnano a dare un servizio di
livello superiore al consumatore.
Un’altra importante realtà cooperativa attorno a cui le imprese intervistate trovano un momen-
to di aggregazione è l’Istituto Tutela della Grappa del Trentino, Società Cooperativa a cui
aderiscono 7 imprese, tra quelle intervistate. L’Istituto ha il compito di valorizzare la produzione
tipica della Grappa ottenuta esclusivamente da vinacce prodotte in Trentino e di qualificarla
con un apposito marchio d’origine e con la scritta “Trentino Grappa”. In questo modo l’Istituto
offre al consumatore la garanzia di una qualità certificata dall’Istituto agrario di San Michele
all’Adige, attraverso analisi di laboratorio, e dalla Camera di Commercio di Trento, presso la
quale è operante una Commissione per l’analisi organolettica. L’Istituto svolge un’azione di
vigilanza sull’osservanza del regolamento di autodisciplina – recentemente aggiornato e sotto-
scritto dalla totalità dei distillatori – e promuove a livello locale e nazionale iniziative e studi atti
a favorire il perfezionamento della produzione e l’incremento del consumo di Grappa trentina
in Italia e all’estero.
Data la tipologia di aziende indagate nella presente indagine, una sola azienda ha segnalato
l’adesione al marchio Trento DOC, per la promozione e tutela dei vini DOC trentini.
Un interessante esempio di aggregazione su base territoriale è la Comunità del Cibo della Val
di Fiemme – a cui aderiscono 3 imprese intervistate – affi liata a Terra Madre di Slow Food. La
Comunità ha come fi nalità la promozione del territorio ed il sostegno delle attività nel settore
agro-alimentare, dalla produzione delle materie prime alla promozione dei prodotti fi niti, che si
caratterizzano per la qualità e la sostenibilità delle loro produzioni. L’interesse di tale iniziativa ri-
siede, in particolare, nel fatto che tra le 10 aziende complessivamente aderenti alla Comunità non
troviamo solo artigiani trasformatori, ma anche agricoltori e allevatori fornitori di materie prime,
che operano con una logica di fi liera integrata.
Sempre in Val di Fiemme esiste un’altra rete di carattere promozionale il Club Tradizione e Gu-
sto, a cui aderiscono 3 imprese tra quelle intervistate. L’iniziativa, promossa dalla locale ApT, rag-
gruppa hotel di charme e agriturismi, ristoratori e produttori locali strettamente legati all’off erta
di qualità, alla storia della Val di Fiemme e al suo ambiente naturale.
Sempre a livello territoriale sono state segnate altre reti locali come il consorzio Rovereto IN
CENTRO (2 imprese aderenti), il consorzio Mori Insieme e il percorso ZONA F (un’impresa ade-
rente). Si tratta di reti che coinvolgono diversi operatori economici locali con lo scopo di rivitaliz-
zare i centri storici delle località di Rovereto e Mori.
Un’aggregazione di livello sovra provinciale, che si caratterizza nei fatti come un importante ca-
nale di commercializzazione e promozione, è La Compagnia dei Sapori a cui aderiscono 2 im-
prese artigiane trentine. Si tratta di un’associazione nazionale che dal 2006 promuove il lavoro di
aziende agricole, imprese artigiane, consorzi, che producono cibi di qualità. La principale attività
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
98
consiste nell’organizzazione di mostre mercato in tutta Italia e nell’ambito delle più prestigiose
manifestazioni enogastronomiche nazionali.
L’appartenenza a gruppi d’impresa è un altro indicatore della struttura di relazioni tra imprese.
La formazione dei gruppi è nei fatti una forma di integrazione verticale12 attuata attraverso l’acqui-
sizione (o creazione) di aziende subfornitrici o comunque complementari al ciclo produttivo. Si
tratta di un modello che può essere in molti casi interpretato come la “formalizzazione” di rapporti
inter-aziendali di fi liera e che segna in molti casi una fase cruciale nella crescita delle imprese: non
una crescita per via interna (con l’ampliamento della base occupazionale) bensì per linee esterne,
attraverso l’acquisizione (o la creazione ex novo) di unità produttive, nella maggior parte dei casi
legate al core business aziendale e aggregate in forma gerarchica sotto un’impresa leader ben
riconoscibile sul mercato. I principali benefi ci derivati dalla formazione del gruppo riguardano la
possibilità di favorire la specializzazione delle attività produttive, di accedere a mercati di dimen-
sioni più ampie e di sviluppare maggiori opportunità di business rispetto a quanto sarebbe possi-
bile operando singolarmente. Nell’ambito del campione analizzato solo 4 imprese dichiarano di
far parte di un gruppo: 2 in posizione di controllante (entrambe del settore carni) e 2 in posizione
di controllata (un panifi cio e un’azienda di lavorazione cioccolato).
Le catene di franchising sono un’altra modalità di integrazione verticale che usa la reputazione di un
nome aff ermato per accreditare altri produttori ed espandere la rete commerciale dell’impresa tito-
lare del marchio stesso. Rispetto a questa tipologia di rete l’indagine ha fatto emergere un solo caso,
riguardante una nota catena di panifi ci che operano a livello provinciale sotto un unico marchio.
All’interno del campione è risultata molto elevata l’adesione alle tradizionali istituzioni del settore,
quali sono le associazioni di categoria. Dato il contesto in cui è nata la presentate indagine qua-
si tutte le imprese indagate sono iscritte all’Associazione Artigiani e Piccole Imprese della Provin-
cia di Trento. Diverse imprese hanno dichiarato un’appartenenza associativa plurima segnalando
anche l’adesione all’Unione Commercio e Turismo (14 imprese) o a Confi ndustria (un’impresa).
È stata inoltre segnalata anche l’adesione a realtà associative sovra locali tra cui possiamo cita-
re due associazioni gelatieri (l’Associazione Gelatieri Artigiani del Triveneto e l’Associazione “Cono
d’oro”); l’Associazione Maestri Cioccolatieri; la Federazione Italiana Erboristi; il Richemont Club
Italia (Associazione Internazionale Panifi catori e Pasticceri che si occupa di formazione e aggior-
namento professionale). Quattro imprese sono affi liate a Slow Food.
Come sopra specifi cato l’adesione a diverse reti di impresa tra quelle sopra segnalate, presup-
pone l’adesione a specifi ci protocolli di produzione. Dal punto di vista delle certifi cazioni
volontarie (ISO EN 9000, 9001, 22000 e certifi cazioni di produzione biologica) i casi segnalati
riguardano 10 imprese.
12 Nella microeconomia e nel management strategico, il termine integrazione verticale descrive uno stile di possesso e di
controllo. Aziende integrate verticalmente sono unite attraverso una gerarchia e condividono un proprietario comune. Di
solito ogni membro della gerarchia si occupa di prodotti diff erenti e i prodotti insieme soddisfano un bisogno comune.
Tramite questo approccio strategico, il gruppo di aziende può godere di molti benefi ci: il controllo dei processi e delle
fonti, la riduzione dei rischi di stockout delle scorte, impiego degli slack di capacità produttiva, l’eliminazione dei contrasti
con i fornitori a monte, una maggiore customizzazione dei prodotti o dei servizi erogati, lo sfruttamento di economia di
scala (con lo svantaggio di perdere specializzazione) e la conservazione del talento organizzativo.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
99
11. Partecipazioni ad eventi
Per essere venduto, e bene, un prodotto tipico locale richiede un impegno di valorizzazione e in-
formazione ben superiore agli altri prodotti, vista la limitata produzione e diff usione che lo rende
generalmente sconosciuto presso il grande pubblico.
Oggi le imprese artigiane stanno cominciando a recepire la necessità di diff erenziarsi, non abbas-
sando i costi o aumentando il prodotto, ma andando a cercare il consumatore. Si ragiona, quindi,
in termini di gestione, di commercializzazione, di branding e di comunicazione, ovvero, l’insieme
di attività terziarie orientate alla “chiusura della fi liera”, con il fi ne di generare maggior valore ag-
giunto, avere un rapporto diretto con il cliente fi nale e diversifi care le proprie attività.
I luoghi dove i prodotti possono essere messi in vetrina sono uno spazio funzionale non solo alla
vendita, ma anche all’interpretazione dei gusti del potenziale consumatore.
Al centro delle analisi c’è sempre il consumatore fi nale, l’attore che appunto chiude la fi liera con-
sumando e, soprattutto, gustando il prodotto. Il fi ne è quello di informare il consumatore affi nché
possa scegliere in situazioni di trasparenza, per catturare la sua attenzione, rendendolo sempre
più consapevole dell’origine e della lavorazione del prodotto che va a comprare, per intercettare
i suoi gusti e le sue preferenze in modo tale da strutturare un’off erta adeguata e remunerata. Ed è
appunto questo il passaggio chiave: il rovesciare la logica della produzione, per cui si produceva
in maniera consuetudinaria per un mercato locale, ad un modello in cui si studiano e si sperimen-
tano nuovi prodotti a partire dai gusti, dalle preferenze dei clienti.
La messa in scena delle merci è oggi a tutti gli eff etti uno strumento di persuasione, poiché il
produttore attraverso la ricerca di un determinato tipo di rappresentazione può off rire un di-
verso signifi cato alla propria merce e, quindi, attrarre o avvicinare al consumo maggiori clienti
potenziali. In questi momenti l’imprenditore artigiano riesce a raccontare tutti quegli aspetti non
circoscrivibili nella sola etichetta: il proprio territorio, la propria impresa, e le proprie specifi cità. In
questo modo il produttore artigiano svolge anche un ruolo di mediatore culturale, ascol-
tando direttamente le preferenze del consumatore e, al tempo stesso, promuovendo una cultura
enogastronomica di qualità. È in tale ottica che va interpretata la signifi cativa partecipazione del-
le imprese artigiane intervistate ad eventi di carattere promozionale, territoriale e commerciale.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
100
Figura 35: A quali eventi promozionali, territoriali, commerciali partecipa l’azienda?
Anche rispetto alla partecipazione ad eventi emerge con forza la dimensione del locale. Le ma-
nifestazioni maggiormente partecipate dalle imprese intervistate sono le sagre locali (52 segna-
lazioni) dato che testimonia la forte appartenenza delle imprese artigiane alla vita della
propria comunità. La partecipazione delle aziende alle sagre locali non è, infatti, riconducibile al
solo momento commerciale, ma anche ad un’attiva partecipazione all’organizzazione e sponso-
rizzazione di tali eventi. Le feste del Santo Patrono o la festa degli Alpini sono momenti caratteri-
stici di tutte le valli e paesi del Trentino, ad esse si aggiungono gli eventi legati ai cicli dell’agricol-
tura di montagna come la desmontega, la vendemmia o la raccolta delle mele: eventi recuperati e
valorizzati – anche in chiave turistica – dalle ApT o dalle locali Pro Loco. Le sagre locali – incentrate
sulla dimensione identitaria, culturale, religiosa, di una comunità – ruotano attorno a momenti
di convivialità in cui sono proprio le tradizioni gastronomiche e culinarie locali a svolgere un
ruolo centrale. Sono spesso le produzioni tipiche di un luogo ad essere assunte come occasione
per momenti di festa: la festa della mortandela, della ciuiga, della castagna, della pera di Vattaro,
dell’asparago di Zambana, la Mostra Mercato delle produzioni della Val di Gresta, sono solo alcuni
degli eventi segnalati dagli artigiani intervistati.
Se le sagre locali rappresentano principalmente un’occasione di partecipazione alla vita comuni-
taria, la dimensione commerciale e di approccio a nuovi mercati viene ricercata attraverso la par-
tecipazione – come espositori – a manifestazioni ed eventi fi eristici capaci di attrarre operatori
specializzati e maggiori fl ussi di pubblico.
Le imprese che hanno dichiarato di partecipare ad eventi fi eristici sono 44, mentre gli eventi fi e-
ristici segnalati sono in totale 81 – 5 eventi internazionali, 36 eventi nazionali e 40 eventi provin-
ciali – da ciò si desume che alcune imprese partecipano abitualmente a più eventi. Già da questi
semplici dati emerge come l’attrazione in loco di potenziali clienti, organizzando una fi era
o un evento locale, può produrre un impatto sul territorio superiore rispetto all’accompa-
gnamento di un ristretto numero di imprenditori locali ad una fi era all’estero.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
101
Gli eventi fi eristici di livello internazionale segnalati dalle imprese intervistate sono 5. In preva-
lenza si tratta di manifestazioni organizzate in Germania (3 segnalazioni): a Dusseldorf, a Monaco
di Baviera e al Bio Festival di Norimberga (il salone mondiale delle produzioni biologiche). A que-
ste si aggiungono due segnalazioni riguardanti eventi fi eristici specializzati organizzati in Francia
e negli Stati Uniti.
Decisamente più partecipati sono importanti eventi fi eristici organizzati a livello nazionale
(36 segnalazioni). Tra questi eventi emergono: Vinitaly di Verona (a cui hanno partecipato 7 azien-
de), il Salone del Gusto di Torino (4 aziende) e Artigiano in Fiera di Milano (3 aziende).
Tabella 55: Numero di imprese che partecipano ad eventi nazionali
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
102
Dall’elenco degli eventi fi eristici riportato in tabella risulta evidente come gli artigiani trentini
siano presenti nelle principali manifestazioni eno-gastronomiche nazionali – perlomeno del Nord
Italia – privilegiando, in particolare, quelle manifestazioni e quei circuiti caratterizzati da una forte
valenza culturale sui temi dell’alimentazione. Per quanto riguarda la scelta dei canali fi eristi-
ci emergono forti assonanze tra il mondo agricolo e quello dell’artigianato alimentare,
alleati nel valorizzare le dimensioni territoriali, la tipicità e genuinità dei prodotti e nel
promuovere un rapporto diretto tra piccoli produttori e consumatori.
Gli eventi fi eristici, culturali e le mostre mercato organizzati a livello provinciale che hanno
visto la partecipazione delle aziende intervistate sono schematizzati nella seguente tabella.
Tabella 56: Numero di imprese intervistate che partecipano ad eventi provinciali
Gli eventi provinciali appaiono maggiormente orientati ad attrarre fl ussi turistici a livello locale,
spesso abbinando prestigiosi eventi culturali, attrattività turistiche e qualità delle off erte enoga-
stronomiche locali. Tale approccio è riscontrabile in altre tipologie di eventi organizzati in Provin-
cia di Trento, quali i mercatini di Natale e le Strade dei Vini e dei Sapori.
I mercatini di Natale, di recente importazione dai paesi del Nord Europa e ormai diffusi in mol-
te località del Trentino, rappresentano sicuramente degli eventi di successo grazie alla capacità
di attirare consistenti flussi di visitatori. Gli artigiani intervistati che partecipano ai mercatini
di Natale organizzati in Trentino – ma anche nel Bellunese e in Alto Adige – sono in totale 20.
Questo numero non è comunque rappresentativo dell’interesse destato da tali eventi, sono
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
103
Tabella 57: Numero aziende artigiane intervistate che aderiscono a percorsi turistici
stati diversi, infatti, gli artigiani che hanno lamentato difficoltà di accesso a tali manifestazioni.
Come abbiamo già visto nel capitolo sulle reti d’impresa, abbastanza signifi cativa è la partecipa-
zione a percorsi turistici, a cui aderiscono 38 imprese tra quelle intervistate. Queste esperienze
rappresentano un importante coinvolgimento delle aziende artigiane nell’ambito di azioni di
marketing turistico a livello territoriale. Coinvolgimento che ha avuto un ulteriore sviluppo con
la creazione in Trentino delle Strade dell’Artigianato (ST.ART), ma anche con l’adesione delle
imprese artigiane ad altri tipi di percorsi turistici.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
105
12. Strategie d’impresa
La microimpresa, raramente, compete facendo leva sulle economie di scala. La microimpresa
deve individuare e sfruttare altri vantaggi competitivi. I tre vantaggi sui quali più frequentemente
si basa la sua capacità competitiva sono: un forte know-how manuale unito alle doti creative
dell’imprenditore, la qualità del prodotto e la capacità di soddisfare il cliente. Il mix di questi tre
vantaggi consente di trovare volta per volta soluzioni adeguate: fl essibilità produttiva per adattar-
si rapidamente alle mutevoli esigenze di una clientela diversifi cata e posizionamento in nicchie di
mercato non aggredibili dalla grande impresa.
Tali vantaggi possono comunque trasformarsi in elementi di debolezza. Il know how è spesso
esclusivo patrimonio dell’imprenditore e risulta diffi cilmente trasferibile, se non a costo di lunghi
e complessi processi di apprendistato, a cui si aggiunge il rischio di perdere il dipendente una
volta formato. La stessa qualità del prodotto e del servizio sono elementi distintivi rispetto alla
concorrenza che giustifi cano prezzi più elevati rispetto al prodotto standardizzato della grande
impresa, ma perché ciò avvenga occorre che questa maggiore qualità sia riconosciuta e apprez-
zata dal mercato. Se la microimpresa non riesce a farsi riconoscere il valore del servizio e della
qualità intrinseci al prodotto, o i maggiori costi derivanti dalle minori economie di scala, l’unica
soluzione possibile è la sottoremunerazione dei fattori di produzione, in particolare del lavoro o
del capitale.
Nel defi nire le proprie strategie il piccolo imprenditore razionalizza la sua condizione competitiva
dando di sé stesso un’immagine che somma fattori di forza e di debolezza, che si rincorrono sul
fi lo del ragionamento. Ma, nell’autocoscienza, è raro che i secondi prevalgano, anche se rimango-
no permanentemente sullo sfondo a suggerire un approccio umile, graduale alle cose.
Figura 36: Fattori di forza dell’impresa (indicare i tre più importanti)
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
106
12.1 I fattori di forza: la qualità come leva competitiva
Vista da se medesima, l’impresa artigiana del settore alimentare si qualifi ca di gran lunga per la
qualità delle produzioni (83 segnalazioni) confermando quello che resta il suo principale carat-
tere distintivo e competitivo.
Secondo una classifi cazione divenuta ormai classica i beni alimentari possono essere considerati
dei beni “esperienza” nel senso che il loro livello qualitativo e le loro caratteristiche possono essere
conosciute quasi soltanto mediante un’esperienza diretta di consumo, o meglio dopo tale espe-
rienza. Inoltre, sempre più frequentemente gli alimenti assumono caratteristiche di beni “di fi du-
cia” nel senso che talune caratteristiche non possono essere conosciute con certezza nemmeno
dopo l’esperienza di consumo: si pensi, ad esempio, al contenuto di additivi, conservanti o so-
stanze utili alla salute, al contenuto in residui, al rispetto di determinate modalità produttive, ecc.
Con riferimento ai suddetti parametri, o ad altri analoghi, nemmeno l’esperienza diretta di con-
sumo consente di giungere ad una valutazione precisa da parte del consumatore. È solo la fi du-
cia nel marchio aziendale, nelle informazioni di etichetta o in altri elementi che indirettamente
comunicano una certa “reputazione” del prodotto che il consumatore acquisisce informazioni sul
prodotto e assume le sue decisioni. Ciò fa comprendere l’importanza dei sistemi di controllo, di
garanzia e di comunicazione, inclusi i marchi, atti a costruire una reputazione e un rapporto di
fi ducia che risulta centrale per l’apprezzamento e la valorizzazione della qualità.
La reputazione e affi dabilità del marchio aziendale (45 segnalazioni) rimane, pertanto, un
punto di forza strategico. È evidente, infatti, come unitamente al prodotto, debba giungere fi no al
consumatore anche un fl usso adeguato di servizi, ma, soprattutto, di informazioni che favorisca-
no una più chiara percezione delle sue caratteristiche, materiali ed immateriali. Queste informa-
zioni, almeno in parte, possono anche essere comunicate in modo sintetico mediante appositi
marchi, se la loro gestione nel tempo ha saputo costruire e raff orzare una reputazione, cioè un
apprezzamento stabile e forte per il prodotto, i processi, i servizi, le altre caratteristiche qualitative
(quali l’origine, ad esempio) rispetto ai quali i consumatori si sentono adeguatamente garantiti. La
comunicazione, in altri termini, non fa altro che contribuire a costruire, mantenere e raff orzare nel
tempo questa reputazione, sintesi del grado di apprezzamento dei consumatori per il prodotto.
Capacità di adattamento alle esigenze dei clienti (41) e capacità di relazione e rapporto
con i clienti (26) costituiscono punti di forza molto importanti che consentono alle aziende di
adeguare le produzioni alla domanda di mercato e, in alcuni casi, anche di innovare. Tali fattori di
forza caratterizzano principalmente le aziende che possono contare su un rapporto diretto con
il pubblico e quindi cogliere i segnali provenienti dal mercato. Il rapporto diretto con la clientela
permette di valutare continuamente il gradimento riscontrato ed eventualmente di apporre dei
correttivi. Più problematica è la situazione di quelle aziende che focalizzano la propria attività
sulla produzione di un bene alimentare che non viene venduto direttamente al consumatore
fi nale, ma a distributori. L’intermediazione dei rapporti con il consumatore fi nale, attraverso le
catene distributive, complica notevolmente la gestione da parte del produttore artigiano, che
più diffi cilmente è in grado di percepire per tempo importanti segnali sui gusti e le preferenze
dei consumatori.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
107
L’originalità delle produzioni è un punto di forza che raccoglie 33 segnalazioni, ad indicare
il carattere particolare, spesso unico o di nicchia, delle produzioni fortemente legate alla storia
dell’azienda o del territorio in cui è insediata. Da questo punto di vista le produzioni tipiche locali
godono di vari punti di forza, in quanto, comparativamente ai prodotti alimentari di massa, con-
sentono di soddisfare meglio i requisiti di originalità e nuove esperienze chiesti dai consumatori,
in particolare da quelli che frequentano occasionalmente i luoghi di produzione. Come abbiamo
visto l’artigiano spesso si avvantaggia, nella propria attività commerciale, dell’inserimento all’in-
terno di un circuito turistico, del quale costituisce a sua volta una pedina importante. Il successo
dell’artigiano dipende soprattutto dal territorio e dalla sua capacità di attrarre movimento e circo-
lazione di persone, nonché dalla capacità di presentarsi al mercato come produttore di un bene
quasi unico e comunque di élite, che si raccorda all’esperienza e al ricordo di un viaggio o di un
momento ricreativo.
La disponibilità di manodopera fl essibile polivalente (16) e specializzata (15) rappresenta
un punto di forza per un numero più limitato di imprese. Anzi, come vedremo in seguito tali
disponibilità rappresentano il principale punto di debolezza per molte aziende artigiane. Il mo-
dello organizzativo dell’impresa artigiana è generalmente abbastanza semplice, e vede un’ovvia
centratura sull’imprenditore artigiano, che ricompone in sé tutto il sapere professionale chiave, di
prodotto e di processo. Ciò funziona a fronte di limitati livelli di produzione. Quando la produzio-
ne cresce risulta strategica la disponibilità di dipendenti/collaboratori che supportano le attività
del titolare, con un prevalente orientamento alla polivalenza “saper fare un po’ tutto” e a un livello
di specializzazione adeguati alla complessità delle produzioni alimentari. Quando queste risorse
sono presenti in azienda, rappresentato indubbiamente un punto di forza strategico.
Prezzi competitivi (14) e livello tecnologico della produzione (10) rappresentano un punto di
forza per un numero limitato di imprese. Dato abbastanza scontato in un settore in cui l’apporto
personale dell’artigiano è determinante per la qualità del prodotto e dove la qualità determina il
conseguente maggior prezzo.
Altrettanto scontate sono le scarse segnalazioni riguardanti le potenzialità di penetrazione di
nuove nicchie di mercato (4) e l’accessibilità ai mercati internazionali (2), strategie persegui-
te da un limitato numero di imprese.
12.2 Fattori di debolezza dell’impresa: il diffi cile equilibrio
tra impresa e mercato
A caratterizzare gli elementi di debolezza segnalati dalle imprese sono tutti gli aspetti di go-
vernance che determinano la crescita interna dell’impresa in relazione alla crescita del mercato.
Prime fra tutte le diffi coltà di reperimento di manodopera specializzata (32 segnalazioni).
Il problema riguarda in realtà tutto il mondo artigiano e della piccola impresa: da una parte per
le diffi coltà che hanno queste imprese ad off rire compensi e prospettive di carriera suffi ciente-
mente attrattive (perdendo la competizione con le imprese più grandi sul mercato del lavoro);
dall’altra per una generale disaff ezione dei giovani e delle famiglie per i mestieri tradizionali e
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
108
più operativi. Tuttavia alcune categorie di artigiani risentono maggiormente di questa diffi col-
tà, soprattutto all’interno della categoria che potremmo defi nire degli artigiani commercianti: si
tratta di quei mestieri che comportano orari di lavoro e mansioni particolarmente faticosi o che
possono porre diffi coltà alla gestione della vita familiare o di altre attività. I giovani realmente mo-
tivati a queste attività scarseggiano e la loro preparazione richiede tempi lunghi spesso non con-
gruenti con la crescita della domanda, dispendio di energie da parte dell’imprenditore artigiano
che deve insegnare il mestiere e, dunque, elevati “costi-opportunità”. A ciò si aggiunge infi ne il
rischio sempre presente che il giovane apprendista una volta imparato il mestiere – quando cioè
potrebbe fi nalmente rendere economicamente per l’imprenditore che ha speso tempo e denaro
a insegnarglielo – vada altrove o si metta in proprio, vanifi cando il lungo investimento.
Figura 37: Fattori di debolezza dell’impresa (indicare i tre più importanti)
Un’altra serie di elementi di debolezza sono da ricondurre al tema della commercializzazione,
questione spesso critica per imprenditori artigiani tradizionalmente impegnati sugli aspetti ine-
renti alla produzione. L’elemento di debolezza che raccoglie il maggior numero di segnalazioni è
la diffi coltà di comunicare il marchio (21). Si tratta di un problema che coinvolge in particolare
le imprese che si apprestano ad uscire dal mercato strettamente locale, per aff rontare mercati più
ampi. Fintanto che l’azienda opera sul mercato locale il marchio non rappresenta un problema:
l’azienda è conosciuta e la sua reputazione è da ricondurre al rapporto di fi ducia che esiste tra
l’artigiano e i suoi clienti abituali. Il problema emerge nel momento in cui il prodotto dell’azienda
viene intermediato da distributori commerciali. Il prodotto non è più percepito dal consumatore
come proveniente da una specifi ca azienda e, inoltre, la quantità prodotta dall’azienda è gene-
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
109
ralmente molto piccola rispetto alle esigenze di una catena distributiva: questi due aspetti ren-
dono debole l’artigiano nei confronti della distribuzione organizzata, specialmente se di grande
dimensione.
Ed è qui che emerge un altro fattore di debolezza segnalato dalle imprese, ovvero, la debolezza
di controllo del canale commerciale (16). È la grande distribuzione organizzata che permette
all’artigiano di rivolgersi ad un mercato molto più ampio di quello locale, potenzialmente non
solo regionale, ma anche nazionale ed internazionale. Date le diffi coltà di relazione contrattuale
con la grande distribuzione, l’artigiano o evita questo tipo di canale, rivolgendosi principalmente
a singoli negozi o esercenti, o vi si rapporta solamente a fronte di una produzione tipica, certi-
fi cata da un marchio – magari collettivo – riconoscibile sui mercati. Solamente questo marchio
permette all’artigiano di acquisire un minimo di potere contrattuale nei confronti della distri-
buzione, grazie alla visibilità che il marchio off re al singolo produttore. Attraverso il marchio di
tipicità – aziendale o collettivo – l’artigiano riesce ad inserirsi in canali distributivi alternativi alla
GDO, quali possono essere i negozi di prodotti tipici trentini o i canali Ho.re.ca. (Hotel, Restaurant,
Catering), generalmente più attenti a valorizzare la qualità e tipicità delle produzioni di nicchia.
Questo tipo di distribuzione – che richiede una qualità del prodotto molto elevata e accetta an-
che lotti di produzione quantitativamente limitati – permette di valorizzare meglio la produzione
e di ottenere margini di profi tto superiori, rispetto ad altri canali distributivi. Come abbiamo visto
nei precedenti capitoli sono ancora poche le aziende che sperimentano canali distributivi alter-
nativi quali possono essere le cantine, gli agriturismi o la vendita on line.
Generalmente il marchio non costituisce un problema neppure per le aziende che lavorano
all’interno dei canali di subfornitura (fornendo semilavorati o prodotti fi niti che vengono com-
mercializzati con il marchio del committente), così come non costituisce un problema per quel-
le aziende che riforniscono alberghi e ristoranti, anche se, ultimamente, in alcuni ristoranti che
propongono prodotti tipici trentini si sta diff ondendo la buona pratica di mettere il nome del
fornitore – agricoltore o artigiano – sul menù che viene proposto ai clienti.
L’approccio con diversi tipi di clientela e con diversi canali di commercializzazione pongono
all’azienda un problema di selezione di committenti affi dabili (14); tale problema non riguar-
da solo una questione di solvibilità del committente, quanto piuttosto la diffi coltà di impostare
rapporti contrattuali paritari, che siano suffi cientemente remunerativi e che garantiscano una
domanda costante e programmabile adeguata alle capacità produttive dell’azienda. Speculare è
il problema della selezione dei fornitori (12). Anche in questo caso l’azienda artigiana si trova
spesso in una situazione di debolezza contrattuale rispetto alle reti organizzate di fornitura (gros-
sisti ed industrie) generalmente poco attente ad una clientela artigiana distribuita sul territorio in
luoghi spesso diffi cilmente raggiungibili, che lavora su piccoli lotti e che ha esigenze particolari
rispetto alla qualità e freschezza delle materie prime. E sono proprio le esigenze dell’artigiano
rispetto alla qualità delle materie prime a spingerlo, come abbiamo visto, alla ricerca di canali
di fornitura alternativi rivolgendosi direttamente alle aziende agricole, consolidando rapporti di
fi liera o investendo, in alcuni casi, direttamente nell’attività primaria.
La crescita della domanda di mercato e il rapporto con canali commerciali più strutturati pone
chiaramente anche un problema di organizzazione della produzione (33). È il tipico problema
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
110
della crescita che sintetizza tutti gli elementi di debolezza fi n qui esposti e che pone all’impren-
ditore un problema che rimanda alla sua identità di artigiano nel diffi cile equilibrio che va trova-
to: tra qualità e quantità della produzione; tra apporto personale e utilizzo della tecnologia; tra
originalità e standardizzazione; tra mantenimento del carattere artigianale dell’impresa (spesso
individuale o famigliare) e crescita dimensionale.
Di minore importanza appaiono invece i fattori di debolezza derivanti dalle pressioni competitive
o comunque inerenti all’ambiente competitivo. Tra questi, quello maggiormente segnalato è l’in-
troduzione di prodotti sostitutivi (11) – solitamente di provenienza industriale e commercia-
lizzati dalla GDO – che rimandano al già segnalato problema dell’omologazione dei consumi, che
comunque sembra non incidere più di tanto sulla qualità e specifi cità della produzione artigiana.
La concorrenza percepita è quella di carattere locale. Praticamente ininfl uenti (solo tre segnala-
zioni) appaiono i rischi connessi all’emersione di nuovi competitori internazionali che, allo
stato attuale, non sembrano costituire un grosso problema per le produzioni dell’artigianato ali-
mentare trentino.
Rispetto alle questioni del contesto ambientale che favorisce la competitività delle imprese ven-
gono segnalati elementi di debolezza inerenti alla localizzazione (8) che sono da riferire alle
imprese artigiane localizzate in aree periferiche o alle imprese localizzate nei centri storici che
segnalano problemi inerenti agli alti costi localizzativi, alla carenza di spazi da destinare alla pro-
duzione e all’accessibilità al negozio (parcheggi, strade pedonali, ecc.).
Scarsamente segnalati sono anche i fattori di debolezza inerenti all’accesso a servizi terziari (7),
all’introduzione di nuove tecnologie (6) e al reperimento di risorse fi nanziarie per gli inve-
stimenti (5). Questi dati possono essere sintomo della scarsa attenzione che l’imprenditore arti-
giano riserva agli aspetti immateriali di gestione d’impresa, ma allo stesso tempo possono anche
indicare una disponibilità di reti che sul territorio supportano la domanda di servizi dell’impresa,
con specifi co riferimento alle associazioni di categoria, alla rete delle Casse Rurali ed ai vari enti, in
prevalenza turistici, che si occupano di promozione e marketing territoriale.
12.3 Gli obiettivi strategici e gli investimenti delle imprese
A fronte di questi fattori di forza e di debolezza gli artigiani defi niscono i propri obiettivi strate-
gici ed i propri investimenti. Sviluppare costantemente la qualità del prodotto rappresenta
l’imperativo per la maggioranza delle imprese (45 segnalazioni). Il concetto di qualità può essere
inteso sia a livello generale (bontà del prodotto) sia in senso specifi co (qualità certifi cata). Come
abbiamo visto quando si ampia il mercato di riferimento, la certifi cazione di qualità è l’unico stru-
mento a disposizione del produttore per comunicare al consumatore la qualità del prodotto. È
sulla base di tale considerazione che 24 imprese dichiarano di volere investire nella certifi cazione
(Figura 39) nonostante il fatto che la certifi cazione venga considerata dalle imprese artigiane
particolarmente onerosa, sia per gli investimenti necessari per ottenerla, sia per i costi in termini
di ore di lavoro per seguire le necessarie procedure.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
111
La qualità certifi cata non costituisce la preoccupazione principale dell’artigiano commerciante o
che comunque ha un rapporto diretto con il consumatore. A costoro il cliente si rivolge già con
una certa fi ducia e se il prodotto lo soddisfa la relazione si raff orza; un’eventuale certifi cazione
del prodotto non sarebbe di eff ettivo aiuto nella commercializzazione dei propri prodotti, se non
venisse soddisfatta la domanda di “bontà”. Per gli artigiani produttori che non hanno un rapporto
diretto con i consumatori la qualità è, invece, rilevante solo se certifi cata e costituisce un obbligo
di fatto. Il consumatore non conosce direttamente il produttore e la sola “bontà” non lo soddisfa:
ha bisogno di sicurezza, di garanzie sulla qualità del prodotto. È la stessa intermediazione com-
merciale che obbliga l’artigiano a certifi care il proprio processo e/o prodotto e i canali distributivi
domandano espressamente la certifi cazione, per rispondere a loro volta alla domanda del pro-
prio cliente.
Il secondo obiettivo strategico per numero di segnalazioni è aumentare le produzioni (44) a
cui possiamo coerentemente affi ancare gli obiettivi di allargare la gamma dei prodotti (23)
e ridurre i costi (23) ed i tempi di produzione (12). Tutti gli obiettivi segnalano un processo
di crescita dei mercati di riferimento a cui le imprese rispondono investendo: in tecnologie che
consentono di alleggerire i carichi di lavoro (51%); in nuovi prodotti (40%); con l’ampliamento
degli spazi produttivi e/o di vendita (34%); con investimenti in risorse umane che può signifi care
sia nuove assunzioni, sia percorsi formativi per il personale (25%).
Figura 38: Obiettivi strategici dell’impresa (indicare i tre più importanti)
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
112
Figura 39: Investimenti previsti dall’impresa nel prossimo futuro
(percentuale delle imprese che intendono attuare l’investimento)
La ricerca di nuovi mercati si traduce principalmente nella ricerca di sempre maggiori integra-
zioni con il settore turistico (18 segnalazioni) attuando anche investimenti in tal senso (previsti
da 5 imprese). Non mancano le imprese che segnalano come obiettivi strategici l’ampliamento
dell’export e lo sviluppo dell’internazionalizzazione (in totale 13 imprese).
La costante tensione verso la qualità artigiana si traduce anche in una crescita della personaliz-
zazione del prodotto (16 segnalazioni) nel potenziamento dell’immagine e della credibilità
dell’impresa (14 segnalazioni) e in una crescita dei servizi al cliente (8 segnalazioni).
Sul piano dei mercati di approvvigionamento l’obiettivo strategico è ricercare maggiori integra-
zioni con il settore agricolo (8 segnalazioni): praticamente tutte le imprese che hanno segnala-
to questo obbiettivo intendono investire direttamente in un’attività agricola.
Per 8 imprese l’obbiettivo strategico è rappresentato dal passaggio generazionale alla guida
dell’azienda.
12.4 La domanda di politiche
Sul piano delle politiche la quasi totalità delle risposte date dagli imprenditori artigiani
(98%) segnala l’esigenza di una semplifi cazione amministrativa e normativa. Si tratta di un
annoso problema per la piccola impresa e, in particolare, per la microimpresa.
Per l’assetto normativo del nostro Paese, l’impresa artigiana e di piccola dimensione è rimasta l’ec-
cezione, e non è mai diventata la norma, come invece suggeriva la realtà. Nonostante il tessuto
produttivo italiano sia costituto per il 93% da microimprese al di sotto dei 10 dipendenti, i nostri
sistemi di governo e di normazione dell’attività d’impresa sono stati sempre pensati con riferi-
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
113
mento alle esigenze, possibilità e risorse delle grandi imprese, considerate come unico modello
possibile di modernità.
Qualsiasi nuova norma introdotta, costosa ma sopportabile per una media o grande impresa, può
causare diffi coltà rilevanti ad una microimpresa. La microimpresa, nei fatti, subisce un’incidenza di
alcuni costi sul proprio fatturato superiore a quella di un’impresa più grande. La conseguenza di
questo fatto è che anche i costi derivanti dall’adempimento alla normativa, per esempio nei cam-
pi della sicurezza, della tutela dell’ambiente o del consumatore, devono essere aff rontati tanto
dalla microimpresa che dalla grande impresa, con uno sforzo non proporzionale alle dimensioni
aziendali o al fatturato. Per la microimpresa il sacrifi cio in termini di redditività dell’azienda o di
mancati investimenti in altri ambiti (processo produttivo, commercializzazione, marketing, ecc.)
può risultare molto elevato. Indipendentemente dal grado di volontarietà con cui si introduco-
no le norme relative alla sicurezza alimentare, comportano sempre un livello minimo di costi
indipendenti dalla dimensione aziendale che incidono quindi in misura maggiore sul fatturato
delle aziende più piccole e, soprattutto, comportano nuovi approcci da parte degli imprenditori
e nuovi percorsi di formazione.
La sfi da della sicurezza deve essere aff rontata tanto dall’artigiano commerciante quanto dall’ar-
tigiano produttore, ma le modalità e le conseguenze cambiano signifi cativamente per ciascu-
na di queste categorie. L’artigiano commerciante ha un rapporto diretto con il consumatore e
quest’ultimo si fi da generalmente del proprio fornitore. Il problema della sicurezza è poco sentito
dall’artigiano, che se ne serve, al più, per attrarre nuova clientela o raff orzare la fi ducia dei propri
clienti. Per l’artigiano produttore, l’introduzione di regole per la sicurezza alimentare e l’igiene
costituiscono spesso degli obblighi e dei costi in conseguenza dei quali diffi cilmente si vedono
o si apprezzano dei risultati in termini economici. Anche l’introduzione dell’HACCP, pur non com-
portando costi elevati per le aziende, ha ricevuto un’accoglienza mista da questa categoria di
imprese, positiva per chi l’ha saputa utilizzare come strumento per attrarre nuovi clienti, negativa
da chi vi ha visto solo un’inutile introduzione di nuova burocrazia nello svolgimento dell’attività
quotidiana.
I problemi più rilevanti riguardano le regole sull’etichettatura dei prodotti, considerate partico-
larmente onerose per le piccolissime realtà produttive. Anche in questo caso si registra un com-
portamento diff erenziato tra coloro che l’hanno utilizzata per fi delizzare ulteriormente i clienti
o attrarne di nuovi e coloro che l’hanno subita come un semplice aggravio dei costi aggiuntivi.
Ben il 52% delle imprese artigiane intervistate si dichiara contrario ad un ampliamento dell’eti-
chettatura dei prodotti. A fronte di ciò va comunque detto che il 77% delle aziende intervistate
ritiene importante garantire la tracciabilità del prodotto. Emerge in sostanza una disponibilità
alla trasparenza che però non si deve tradurre in un aggravio di tipo burocratico amministrativo.
Un aspetto particolare della normativa riguarda i prodotti tipici e tradizionali ed i relativi metodi
di produzione. Politiche omologanti, in particolare di livello comunitario, contrastano e spesso
impediscono l’applicazione di tradizionali metodi di produzione mettendo a repentaglio le speci-
fi cità territoriali. Si tratta di un problema particolarmente sentito per molte prestigiose produzioni
tradizionali italiane che ha spesso portato a meccanismi di deroga. La necessità di tali deroghe
emerge anche dalle interviste realizzate nella presente indagine: l’88% delle aziende intervistate
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
114
ritiene che sia molto (61%) o abbastanza (27%) importante introdurre deroghe alla normativa
igienico-sanitaria quando in contrasto con il mantenimento di lavorazioni tradizionali.
Nel complesso tali dati non vanno interpretati come un’insoff erenza da parte degli artigiani ri-
spetto alle normative, in particolare in materia igienico-sanitaria: l’87% degli intervistati ritiene,
infatti, che le politiche di promozione della sicurezza alimentare siano importanti, a tutela dei
consumatori ma anche degli stessi produttori. Da questo punto di vista, la microimpresa necessi-
ta dunque di un’attenzione particolare, di un controllo sulla normativa e di un adeguamento della
norma alla specifi ca dimensione aziendale.
Sul piano delle politiche per l’artigianato alimentare un posto di assoluto rilievo viene dato alle
politiche di tutela e valorizzazione dei prodotti tradizionali: segnalate come molto o abba-
stanza importanti dal 99% delle aziende. Si tratta di politiche che sul piano della valorizzazione
devono passare attraverso azioni di promozione turistica (98%) e una maggiore integrazione
tra imprese artigiane e imprese turistiche (96%). In sostanza, la promozione dell’artigianato
alimentare deve passare attraverso una valorizzazione complessiva dell’off erta e della qualità di
un territorio come testimonia il dato dell’89% delle aziende che ritengono che le politiche di
valorizzazione dell’artigianato alimentare debbano anche passare attraverso la valorizzazione
dei centri storici delle città e dei piccoli centri. L’attenzione alla buona tavola si deve in sostanza
accompagnare alla qualità dell’accoglienza, dei servizi, del tessuto urbano, a valori culturali e
ambientali.
La promozione della fi liera corta è ritenuta importante dall’88% degli intervistati a testimo-
nianza dell’attenzione che gli artigiani riservano all’approvvigionamento di materie prime locali.
La valorizzazione del binomio qualità artigianale/agricoltura regionale è, infatti, ritenuta
molto o abbastanza importante dal 90% delle imprese intervistate.
La liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali è ritenuta importante dal 54% delle
aziende, solo il 28% ritiene però tale politica molto importante. Maggiore consenso raccolgono
gli interventi normativi volti a consentire la somministrazione di alimenti al pubblico an-
che alle imprese artigiane (77%).
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116
Una rilevanza particolare nelle aspettative degli artigiani assumono le politiche della formazio-
ne che in particolare devono essere rivolte ai giovani (97%) per motivarli e prepararli a lavorare
nel settore ma anche con l’obbiettivo di promuovere l’imprenditorialità giovanile nel settore
dell’artigianato alimentare (93%). Gli imprenditori artigiani sono i primi a sentire l’esigenza di
percorsi di aggiornamento attraverso politiche di formazione dirette agli imprenditori stessi
(94%). Le politiche di formazione dirette ai dipendenti sono giudicate importanti dal 91%
delle imprese.
Le politiche volte ad incrementare i servizi alle imprese sono ritenute importanti dall’87% delle
imprese, però solo il 37% ritiene che tali politiche siano molto importanti. In particolare, emergo-
no esigenze riguardanti: l’assistenza all’innovazione tecnologica (83%), l’integrazione tra le
aziende del settore (75%), l’accesso al credito (75%) e l’assistenza all’internazionalizzazione
(54%).
Le politiche infrastrutturali (viabilità, parcheggi, ecc.) sono ritenute importanti dal 70% delle
imprese, mentre la maggiore disponibilità di aree artigianali è segnata dal 51% delle aziende,
anche se solo il 18% ritiene che tali politiche siano molto importanti.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
117
13. Conclusioni
13.1 Comunità, territorio e mondo
Il principale obbiettivo di questa indagine è stato cercare di delineare un percorso evolutivo del
settore dell’artigianato alimentare trentino nel suo complesso, partendo dal posizionamento
strategico e di mercato delle singole imprese.
Sulla base dei dati emersi da questa ricerca possiamo dare per acquisito che la strategia com-
petitiva dell’artigianato alimentare trentino si deve giocare sulla qualità e tipicità delle
produzioni e sul legame con il territorio. Questa strategia è percorribile per una serie di fattori
fortemente embedded nel nostro modello produttivo, composto da piccole imprese che compe-
tono in nicchie di mercato puntando su una serie di caratteristiche non riproducibili delle proprie
produzioni, legate al microclima, al territorio ed a tecniche di lavorazione tradizionali, ovvero,
legate a quei sapori e a quei profumi che non sono producibili altrove.
Per delineare questo percorso evolutivo abbiamo scelto i tre spazi topici in cui si esprime il mer-
cato delle nostre imprese: la comunità, il territorio e il mondo. Queste tre dimensioni non for-
niscono solamente un parametro interpretativo di ciò che sta accadendo tra le valli ed i monti
del Trentino, ma racchiudono in sé una linea guida, e allo stesso tempo un progetto d’intenti,
per indirizzare le aziende artigiane – e con esse i territori da cui provengono – verso un nuovo
protagonismo.
Un sistema di imprese artigiane che, appunto, è radicato nella comunità locale, che punta a com-
petere valorizzando gli elementi materiali ed immateriali del territorio, che incorpora simboli e
visioni culturali capaci di essere riconosciuti nell’economia mondo. L’impresa artigiana ideal-
tipica è quella che riesce a combinare le tre dimensioni piuttosto che a specializzarsi su
una di queste.
Come abbiamo visto dai dati, buona parte delle imprese analizzate si colloca nella dimensione
della comunità. È il tipico tessuto dell’artigianato alimentare di immediata prossimità rivolto a
servire in parte maggiore (ove non esclusivamente) i residenti del territorio in cui è insediato.
Esso confi na, e a volte si sovrappone, all’attività tipica degli esercizi commerciali. Le relazioni di
“prossimità stretta” con il territorio caratterizzano in larga parte anche il tipo di off erta, con un
forte presidio e recupero di tradizioni gastronomiche locali, che orienta anche i processi di ac-
quisto e la rete dei fornitori. Proprio per queste caratteristiche si tratta di un tessuto di botteghe
e laboratori artigiani che svolgono un essenziale servizio di prossimità e che disegnano il tessu-
to diff uso che consente di fare comunità: se in un piccolo paese di montagna chiude il panifi -
cio, la pasticceria, il caseifi cio, il macello, il mulino o il frantoio signifi ca che quella comunità sta
morendo. La diff usione capillare di botteghe e laboratori artigiani sul territorio trentino, il loro
quotidiano e responsabile servizio agli abitanti del luogo e ai turisti, la loro capacità di fare fi liera
corta con l’agricoltura locale e con le forme di ospitalità turistica diff usa, sono tutti elementi che
consentono di infrastrutturare i micro reticoli sociali ed economici locali e sono una garanzia di
presidio e di valorizzazione della montagna. Alla base di questa infrastrutturazione comunitaria
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
118
ci sono singole persone, intere famiglie, giovani, che hanno scelto di difendere la propria storia e
il proprio legame con la terra, attraverso produzioni alimentari di qualità, radicate nella tradizio-
ne dei luoghi. A muovere queste persone è la passione per il lavoro manuale, il piacere di gesti
socialmente riconoscibili: il lavoro artigianale rifl ette il desiderio di fare cose che la gente capisce
e apprezza. I gesti dell’artigiano ripropongono una tradizione e un’identità professionale che, in
Trentino, sono ancora profondamente radicate. Tale radicamento dell’imprenditore artigiano si
basa su una diff usa visione del locale come ad un buon luogo nel quale vivere, un luogo nel quale
ci si sente a casa e di cui si ha una chiara conoscenza degli abitanti; denota però anche l’assetto
di aziende tradizionali che ancora non hanno intrapreso con decisione gli investimenti necessari
a strutturare in modo stabile un’organizzazione aziendale capace di aff rontare il nuovo contesto
competitivo.
È, comunque, partendo da questi micro reticoli locali che sempre più imprese artigiane comincia-
no a fare rete di territorio. Le imprese che fanno territorio si presentano maggiormente orientate
alla valorizzazione su larga scala di prodotti alimentari tipici operando sul mercato provinciale e
a volte sul mercato nazionale. Sono imprese che hanno sviluppato nel tempo modelli produttivi
che coniugano tipicità artigiana (peso della manualità e del contributo originale dell’uomo) e
ricorso all’innovazione tecnologica, di processo e – nei limiti del rispetto della tipicità – di pro-
dotto (qualifi cazione nutrizionale delle materie prime). Sono imprese che dispongono di modelli
produttivi fl essibili, capaci di adattarsi rapidamente alle fl uttuazioni degli ordini: ad una divisione
formale del lavoro abbastanza precisa (rivolta all’effi cienza) si accompagna un’elevata capacità di
tutti i lavoratori di ruotare sulle altre posizioni, con un importante ritorno in effi cacia complessiva.
La scelta del “tipico” struttura in modo molto forte le relazioni fra impresa e territorio, nelle fi liere di
approvvigionamento (individuazione e qualifi cazione dei fornitori) come – più ampiamente – nella
partecipazione a forme di “governo” del sistema agroalimentare locale (promozione, animazione e
sostegno al riconoscimento di marchi di tipicità, ...). Nelle aziende che fanno territorio la dimen-
sione locale rimane forte in termini di identifi cazione e tradizioni, ma non si può dire altrettanto
per le relazioni. In questo senso si potrebbe aff ermare che le imprese che fanno territorio sono
“soggetti radicati in maniera moderna”. Difatti, ai rapporti di prossimità, quelli di “buon vici-
nato” tipici della comunità originaria, si sostituisco relazioni “più artifi ciali” (in quanto intenzionali
e non ascritte) e più elastiche, che interessano un territorio sempre più ampio. Il quadro com-
petitivo si è reso progressivamente più complesso, si cercano nuove vie per la vendita diretta, si
aderisce a consorzi al fi ne di aumentare la tutela del proprio prodotto e si cerca di approcciare il
consumatore dandosi visibilità, investendo sulla reputazione dell’azienda, ma più spesso sulla re-
putazione di territorio. La reputazione territoriale è, infatti, un vantaggio competitivo non indiff e-
rente per questo sistema d’imprese: il territorio di appartenenza svolge il ruolo di moltiplica-
tore del singolo brand aziendale. Più il territorio vanta un alto capitale simbolico più la singola
impresa è propensa ad investire in qualità, posizionandosi sull’alta gamma e ricavando maggior
valore aggiunto. Di questo le imprese artigiane sono consapevoli. Il forte investimento culturale
nel recupero di tradizioni gastronomiche locali, la sempre maggiore attenzione alle esigenze dei
consumatori, la costruzione di reti alternative di approvvigionamento di materie prime di qualità
e di provenienza locale, l’utilizzo di canali commerciali che consentono di espandere i mercati di
riferimento, l’adesione a consorzi e marchi di territorio, a percorsi turistici gastronomici, ad eventi
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
119
culturali e promozionali, sono le principali strategie messe in campo dalle imprese del settore per
costruire reti produttive e commerciali da piattaforma produttiva territoriale.
L’identità da piattaforma agroalimentare territoriale è quella che consente di interfacciarsi, pro-
gressivamente, con l’economia mondo. Come abbiamo visto dai dati riportati nei precedenti
capitoli sono poche le imprese artigiane che hanno le competenze e le risorse per interfacciarsi
direttamente con mercati extra provinciali, nazionali e internazionali. Non mancano, comunque,
casi di imprese che hanno saputo agganciarsi ad esclusive reti commerciali di livello nazionale e
internazionale. La delega nella commercializzazione diventa il principale ponte per arrivare
sui mercati esterni. Le relazioni che stanno alla base di questo meccanismo di delega, secondo
le storie raccolte, sono ancora casuali o nei casi più avanzati sono tutt’ora sperimentali. Questi
processi di internazionalizzazione, ancora episodi puntuali (è bene ribadirlo), scattano talvolta per
casualità e altre volte tramite i contatti che gli imprenditori avviano durante le fi ere di settore. Tra
i nuovi saperi nel bagaglio dell’imprenditore artigiano c’è, infatti, anche quello del marketing che
permette di relazionare l’identità del proprio brand con la vetrina che si intende utilizzare. Non si
tratta per niente di una scelta agile. Molto spesso, infatti, i vari canali sono in frizione tra di loro.
Gli imprenditori incontrati che puntano sull’alta gamma, ad esempio, sono ben consapevoli del
fatto che alcuni canali sono direttamente escludenti: il canale Ho.re.ca. , ad esempio, è in diretto
confl itto con quello della GDO. Nel secondo caso, infatti, si punta sulla grande diff usione, quindi
molto spesso sulla quantità (anche se biologica); nel canale Ho.re.ca. invece si punta sulla qualità
di nicchia. Due ambiti diffi cilmente conciliabili. Altre imprese aff rontano l’economia mondo inse-
rendosi nei sistemi di subfornitura dell’agroalimentare italiano. La necessità di incrementare i
processi di internazionalizzazione e di innovazione deve necessariamente confrontarsi con i limiti
imposti dalla piccola dimensione d’impresa. Se da un lato le piccole imprese artigiane non han-
no le risorse per esplorare autonomamente i mercati esteri e per investire in ricerca e sviluppo,
dall’altro lato per le stesse imprese vi è la possibilità di essere attivamente partecipi all’inter-
no di fi liere produttive e reti di impresa in cui si fa innovazione e internazionalizzazione.
Condividere le strategie di un committente, o comunque di un’impresa leader di fi liera, che sta
costruendo la propria catena transazionale del valore è uno dei mezzi che l’impresa artigiana ha
concretamente a disposizione per proiettarsi verso il globale e l’immateriale. Anche in questo
caso ci troviamo di fronte a casi episodici. Nell’ambito del campione indagato sono poche le im-
prese che utilizzano questa modalità di approccio indiretto ai mercati internazionali e per quote
generalmente modeste del loro fatturato. Ciò, infatti, implica spesso una rinuncia a valorizzare il
proprio brand aziendale, in quanto tale modalità si caratterizza per la fornitura di semilavorati o
prodotti fi niti commercializzati con il marchio del committente. La forte attenzione alla valorizza-
zione del proprio brand aziendale caratterizza, invece, quelle imprese artigiane che si aff acciano
ai mercati attraverso la partecipazione a fi ere e concorsi di rilevanza internazionale. Sono, ad
esempio, diverse le imprese artigiane trentine – in particolare distillerie – che hanno vinto presti-
giosi premi nazionali ed internazionali grazie alla qualità delle loro produzioni. In ultimo, possia-
mo comprendere tra le imprese che “fanno mondo” una ristretta cerchia di pionieri che cercano di
allargare i propri mercati di riferimento attraverso la commercializzazione on-line. La strategia
per “fare mondo” non può, comunque, essere solo quella di esportare i prodotti dell’artigianato
alimentare trentino – poche imprese tra quelle indagate ne sarebbero in grado – ma deve essere
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
120
piuttosto quella di incrementare i fl ussi del turismo gastronomico – e dei buyers che operano
sui canali distributivi dei prodotti di qualità – e valorizzare il ruolo delle imprese artigiane
nell’ambito di tali fl ussi. Detto in altre parole: è il sistema che deve internazionalizzarsi, non la singola impresa. Non è importante guardare se la singola impresa esporta o investe all’estero; ma
se fa parte, o no, di un sistema che ha distribuito le sue attività e funzioni su ampia scala, nazionale
e internazionale. Come abbiamo già avuto modo di aff ermare nei precedenti capitoli, l’attrazione
in loco di potenziali clienti – organizzando una fi era, un percorso o un evento locale – può pro-
durre un impatto sul territorio superiore rispetto all’accompagnamento di un ristretto numero di
imprenditori locali ad una fi era all’estero. Ciò dipende dal peculiare legame dell’impresa artigiana
con il territorio che l’ha originata, un legame di identifi cazione spesso indissolubile che caratte-
rizza le produzioni sia sul piano materiale (microclima, materie prime…) sia sul piano immateriale
(saperi, tradizioni, immagine dei prodotti…).
13.2 La piattaforma agroalimentare tra luoghi e fl ussi
Dal punto di vista economico, le diff erenze che contano sono quelle riconoscibili. Non basta sta-
bilire un’identità e una diff erenza, rispetto ad altri, nel piccolo circuito della comunità locale. Per
valorizzare economicamente una diff erenza e un’identità bisogna organizzare un circuito comu-
nicativo che la rende visibile: trasformare l’identità locale in un signifi cato che valga per l’esterno,
per la grande economia mondiale, dandole così la possibilità di essere riconosciuta, valorizzata e
“acquistata” da molti potenziali clienti.
Più che il rapporto con la comunità e con il mondo, ciò che interessa maggiormente è il
rapporto dell’azienda artigiana con la dimensione del territorio. Un legame, del resto, tan-
to scontato quanto centrale. Banalmente, è diffi cile immaginare un’azienda artigiana che delo-
calizza le proprie produzioni, tanto meno se tipiche. Tale apparente ovvietà, letta nel contesto
di apertura dei mercati, assume un valore fondamentale, in quanto implica, per questo settore,
un approccio assolutamente peculiare nella zona grigia tra i due spazi della modernità: quello
dell’economia dei luoghi e quello dell’economia dei fl ussi.
La strategia maggiormente condivisibile e praticabile per raccordare le economie locali alle mo-
derne economie dei fl ussi è quella di fare del Trentino una piattaforma dell’agroalimentare
di qualità, che, al pari di altri territori – come le Langhe o la Toscana – sia riconosciuta a livello in-
ternazionale. Le risorse non mancano: il Trentino è già un logo conosciuto a livello internazionale
come sinonimo di qualità; l’economia turistica ci porta in casa i fl ussi del globale; le produzioni di
prestigiosi vini trentini sono un driver di sviluppo per l’intero comparto agroalimentare.
L’impresa artigiana con le sue produzioni alimentari di qualità è un pezzo importante dell’identità
di un luogo ed è un mezzo per trasmetterne la cultura. In quanto tale, l’artigianato alimentare
trentino è perfettamente in grado di contribuire alla costruzione di un’immagine interna-
zionale del Trentino che, accanto alla qualità del suo ambiente e all’ospitalità della sua gente, sia
riconosciuto anche per la qualità e tipicità delle sue produzioni agroalimentari.
Perché ciò avvenga l’impresa artigiana deve però comprendere che l’identità di cui è portatrice
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
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non è quella “storica” che abbiamo ricevuto già fatta; non è neppure quella presente che conti-
nuiamo a caricare di signifi cati locali, ma quella possibile, progettuale, che possa avere signifi cato
nelle grandi comunità epistemiche con cui ci prepariamo a collegarci. L’identità è qualcosa che si
crea, è una storia che diventa proiezione, scelta condivisa nello spazio delle possibilità aperte per
una certa collettività, per un certo luogo. Presentare agli altri i prodotti che fai, i servizi che vendi,
le idee originali di cui sei capace, l’affi dabilità con cui ti presenti nel mercato internazionale signi-
fi ca costruire e rendere riconoscibile la tua identità aziendale. E se questa è legata al territorio, alla
società locale, al circuito cognitivo sedimentato nel territorio, signifi ca anche costruire e rendere
riconoscibile l’identità territoriale.
La sfi da evolutiva dell’artigianato alimentare trentino è quella di ampliare la platea d’im-
prese che “fanno territorio” (che contribuiscono a creare identità di territorio). La dimensione
di comunità deve evolvere nel concetto più allargato e complesso di territorio o, ancora meglio,
di piattaforma territoriale che si distingue per la complessità di funzioni, di operatori e per le pos-
sibilità di relazioni che scorrono in essa. All’abitudine, alla prossimità e alle conoscenze pregresse
si devono sommare relazioni nuove, più strategiche e meno scontate, capaci nei casi virtuosi di
tenere insieme i saperi informali e taciti, con quelli codifi cati e formalizzati della globalizzazione.
L’impresa artigiana per incrementare i propri fattori competitivi e svolgere un ruolo nella mo-
derna economia dei fl ussi necessita di compiere un salto di qualità agganciandosi alle reti che
insistono sulla centralità dei beni competitivi territoriali. In sostanza l’impresa artigiana deve
tendere ad acquisire nel proprio ciclo produttivo servizi immateriali: marketing e comunicazione
d’impresa, instaurare rapporti con il mondo della ricerca, investire in tecnologie, intercettare i fl us-
si turistici, sviluppare rapporti di collaborazione con gli enti locali e con le autonomie funzionali.
In questo sforzo la microimpresa artigiana ha bisogno di essere aiutata da soggetti – in primo
luogo l’associazione di categoria – che svolgono il ruolo di meta-organizzatori, ossia soggetti che
ordinano l’ambiente in cui opera la microimpresa, rendendolo adatto alle sue esigenze. Le imprese
di oggi, specialmente se piccole, hanno un grande bisogno di essere “messe in rete” da qualche
meta-organizzatore che costruisce le reti di fi liera, le reti territoriali, le reti di sperimentazione e
propagazione di nuovi modi di produrre e di vendere.
Uno spazio economico che tende a diventare piattaforma è composto non solo dalle imprese,
ma da una pluralità di soggetti – enti pubblici, associazioni di rappresentanza, autonomie fun-
zionali – che aiutano le imprese a trovare una mediazione tra i fl ussi dell’economia globale e le
tradizioni dei luoghi. In assenza di una strategia rivolta a mettere in rete le risorse agroalimentari,
ad attivare una logistica per il mercato, una formazione adeguata e la sinergia con le altre poten-
zialità del territorio, appare ben diffi cile mantenere nel tempo la vitalità di peculiarità alimentari
che spesso risultano legate all’attività di singole aziende.
Oggi la competizione sul mercato avviene tra fi liere e non tra singole imprese. In questa prospet-
tiva, il concetto di fi liera si arricchisce di contenuti strategici che investono non solo il modo in cui
le attività vengono organizzate e svolte dalle singole imprese che partecipano alla realizzazione
del prodotto fi nale, ma anche, e soprattutto, le relazioni tra i diversi attori della fi liera. Si tratta di
una prospettiva che implica una “rilettura” della fi liera alla luce del concetto di valorizzazione, in-
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
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tesa come capacità di soddisfare le aspettative del consumatore in misura maggiore dei concor-
renti e, quindi, un cambiamento da un approccio sostanzialmente di tipo economico-descrittivo
ad un approccio strategico. Risulta fondamentale il supporto dell’associazionismo nella commer-
cializzazione del prodotto e nell’autocontrollo della qualità nonché nel fornire assistenza tecnica
ai produttori. L’integrazione e la cooperazione non solo lungo la fi liera di riferimento, ma anche
con altri comparti – in particolare quello agricolo e turistico – nonché la stretta collaborazione
ed il coordinamento con i centri di ricerca, con la pubblica amministrazione, in altre parole, con il
sistema di innovazione locale, rappresenta un importante elemento di successo.
In Trentino esiste una molteplicità di soggetti che operano rispetto ai temi della tutela, valorizza-
zione e promozione delle produzioni eno-gastromiche provinciali (basti accennare al ruolo della
Camera di Commercio di Trento, di Trentino SpA, dell’Istituto Agrario di S. Michele all’Adige, di Ac-
cademia d’Impresa o di Palazzo Roccabruna) tutti soggetti con i quali, è auspicabile, che il tessuto
dell’artigianato alimentare trovi sempre maggiori opportunità di integrazione e collaborazione.
Da sottolineare è, inoltre, il ruolo dei consorzi tra imprese – Consorzio Produttori Trentini di Salumi
e Istituto Tutela della Grappa del Trentino – nel qualifi care e valorizzare queste tipicità. Il sistema
delle ApT e più in generale della promozione turistica provinciale è già fortemente impegnato nella
valorizzazione dell’off erta gastronomica quale componente fondamentale dell’off erta turistica. La
diff usione delle Strade dei Vini e dei Sapori sono, come abbiamo visto, una modalità estremamen-
te effi cace per la realizzazione di reti di impresa a livello territoriale. Logiche da piattaforma agro-
alimentare sono, inoltre, già sviluppate nell’ambito del sistema cooperativo trentino che, rispetto
alle principali produzioni agroalimentari, svolge un fondamentale ruolo di connessione tra piccoli
produttori agricoli a livello locale (i soci cooperatori) e mercati, anche a livello internazionale.
Il ruolo dell’amministrazione locale ed in genere dell’ente pubblico risulta fondamentale per lo
sviluppo dei prodotti agroalimentari di qualità, per garantire uno sviluppo equilibrato del territo-
rio e assicurare il necessario supporto fi nanziario ed organizzativo. L’azione di controllo dell’ente
pubblico è fondamentale per assicurare la fi ducia del consumatore: non c’e fi ducia da parte del
consumatore senza un adeguato controllo. L’approccio di qualità è, per defi nizione, un approccio
sistemico, poiché gli strumenti di certifi cazione di qualità dei prodotti vanno gestiti come brand
pubblici, poiché generano esternalità che si propagano nel territorio. Infatti, si deve sottolineare
come comportamenti non coerenti, anche di un solo anello della catena del valore, possano
vanifi care tutti gli sforzi compiuti dagli altri soggetti coinvolti.
Muovendosi in quest’ottica, ormai da tempo, la Provincia autonoma di Trento ha impostato un
modello di sviluppo del settore agroalimentare in grado di far leva sul confronto con i mercati
globali per esaltare – anziché deprimere – l’identità territoriale ed il legame indissolubile tra pro-
dotto e territorio. Coerentemente con un obiettivo così ambizioso, a livello strategico diviene
fondamentale riequilibrare il rapporto tra circuiti lunghi e circuiti brevi, tra produzione industriale
e produzione artigianale, in modo da garantire ai piccoli produttori una nuova centralità nel
sistema agroindustriale trentino. Ciò si traduce nella necessità di raff orzare l’organizzazione di
circuiti locali di approvvigionamento, produzione e commercializzazione, ovvero di quelle forme
organizzative in cui i piccoli produttori agricoli e artigiani hanno la possibilità di integrarsi tra loro
ed entrare in contatto diretto con i consumatori per valorizzare appieno le proprie produzioni.
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
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13.3 Chiudere la fi liera dei piccoli: comunicazione, garanzia e logistica
Come è noto, la modernizzazione del sistema agroalimentare ha favorito la crescita ed il consoli-
damento di “fi liere lunghe”, dominate da imprese di grandi dimensioni e che operano su mercati
globali, in cui la necessità di standardizzazione e di fl essibilità di approvvigionamento ha portato
all’omologazione delle colture produttive agricole e alla conseguente omologazione dei gusti e
dei consumi, al deterioramento della diversità biologica e culturale e ad un consistente impatto
ecologico, alla forte riduzione per il consumatore di esercitare un controllo diretto sull’origine e
sulle modalità di produzione di ciò che acquista e consuma.
In anni recenti, accanto a questi processi, ed in conseguenza della crescente consapevolezza
delle contraddizioni che ne sono generate, si assiste al moltiplicarsi di iniziative volte a ricondurre
il prodotto al suo luogo di origine e a ridare visibilità ai produttori. In gran parte dei casi, queste
iniziative assumono confi gurazioni organizzative “corte”, radicate nel territorio e quindi legate alle
sue risorse naturali, culturali e sociali, e fondate su concezioni diverse del produrre e del consu-
mare. La catena del valore dei prodotti agroalimentari si accorcia per la maggior prossimità fi sica
e culturale tra produttore e consumatore, ed al contempo, si “smaterializza” attraverso l’inclusione
di componenti soft “etiche” o relative ai “sensi” del consumatore.
Come evidenziato nella presente ricerca tale tendenza è chiaramente riscontrabile nell’ambito
delle imprese dell’artigianato alimentare trentino. In particolare, sono tre i processi su cui incenti-
vare il protagonismo delle imprese e da accompagnare attraverso meccanismi di governance. Tali
processi riguardano i temi della comunicazione, della garanzia e della logistica.
13.3.1 Comunicare le specifi cità dell’artigianato alimentare
Il primo dato di interesse emerso dall’indagine riguarda l’attenzione che le imprese artigiane del
settore alimentare riservano alle esigenze dei consumatori e all’evoluzione dei modelli di consu-
mo con la conseguente esigenza, per l’impresa artigiana, di moltiplicare le occasioni di rapporto
diretto con il consumatore. È in tale senso che va interpretata la signifi cativa partecipazione
delle imprese artigiane intervistate a reti ed eventi di carattere promozionale, territoriale
e commerciale.
Per esser venduto, e bene, un prodotto dell’artigianato alimentare richiede un impegno di valo-
rizzazione ed informazione ben superiore agli altri prodotti, vista la limitata produzione e diff u-
sione che lo rende generalmente sconosciuto presso il grande pubblico. È inoltre evidente come
unitamente al prodotto, debba giungere fi no al consumatore anche un fl usso di informazioni che
favoriscano una più chiara percezione delle sue caratteristiche, materiali ed immateriali. Queste
informazioni, almeno in parte, possono anche essere comunicate in modo sintetico mediante
appositi marchi – aziendali e territoriali – se la loro gestione nel tempo ha saputo costruire e
raff orzare una reputazione.
L’impresa artigiana, che è in sé spontanea espressione del “locale”, si trova a confrontarsi con di-
namiche che, se da un lato premiano i propri caratteri originali e distintivi, dall’altro impongono
l’evoluzione delle sue capacità di rapporto al sistema competitivo. Il dato sulla piccola dimen-
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
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sione delle imprese appare un punto di debolezza, ma diviene un punto di forza in un’ottica di
rete e di legame con il territorio. Con questo approccio, la piccola impresa ha maggiori chance di
successo rispetto alla grande. Le necessità di comunicare la matrice fondamentalmente distintiva
e non omologata delle produzioni artigiane, di esaltarne la dimensione territoriale e di fi liera e di
accorciare la distanza tra produttore e consumatore, rappresenta la priorità strategica dell’artigia-
nato alimentare.
Il riconoscimento della tipicità di una produzione non è suffi ciente, se la produzione, le sue carat-
teristiche e le sue specifi che proprietà non sono certifi cate e non sono fatte conoscere al grande
pubblico. Il marchio di un prodotto tipico è come la marca di un’impresa e ne subisce le stesse
leggi: occorre aff ermarlo con un’intensa azione di marketing, che affi anchi a ripetute campagne
pubblicitarie la partecipazione a fi ere, occasioni di degustazione capillari nei supermercati, nelle
piazze, nei ristoranti, in appositi corsi per ristoratori e analoghe iniziative.
Le imprese dell’artigianato alimentare sono oggi portate a ragionare in termini di commercializ-
zazione, di branding e di comunicazione, ovvero, l’insieme di attività terziarie orientate alla “chiu-
sura della fi liera”, con il fi ne di generare maggior valore aggiunto, avere un rapporto diretto che
consente di dialogare con il cliente fi nale. Risulta fondamentale sostenere e raff orzare lo sforzo
comunicativo delle imprese. Le politiche di sostegno per l’artigianato alimentare sono necessa-
riamente più legate al territorio e devono essere fi nalizzate a dare migliore visibilità al produttore:
consistono nell’inserimento del singolo artigiano nei circuiti turistici del territorio, nel suo coin-
volgimento in occasione di eventi culturali e fi ere, ma anche nella creazione di luoghi di com-
mercializzazione alternativi alla GDO, in collaborazione con le diverse associazioni di categoria
(artigianato, agricoltura, commercio, turismo).
È quindi importante che le imprese dell’artigianato alimentare trentino esprimano un maggior
protagonismo all’interno della logica di sistema che mira ad aggregare i comparti dell’agroali-
mentare trentino attorno ad un progetto di valorizzazione integrata, condivisa e coordinata del
territorio. Il già richiamato ruolo di importanti realtà promozionali trentine (da Trentino SpA a Pa-
lazzo Roccabruna) consentono già a molti prodotti dell’artigianato di inserirsi in prestigiosi canali
di promozione e commercializzazione.
Accanto a ciò potrebbe risultare interessante raff orzare l’organizzazione di circuiti locali (ma an-
che nazionali) di produzione e consumo, ovvero di quelle forme organizzative in cui i piccoli pro-
duttori – agricoltori e artigiani – hanno la possibilità di entrare in contatto diretto con i consuma-
tori, per valorizzare appieno le proprie produzioni. Esperienze come i farmers market promossi da
Coldiretti o i Gruppi di acquisto solidale stanno conoscendo una forte crescita dovuta al crescente
interesse mostrato da parte dei consumatori, sempre più consapevoli e alla ricerca di un rapporto
diretto con il mondo della produzione, ma anche da parte dei produttori, anch’essi alla ricerca di
un adeguato sbocco commerciale per le proprie produzioni di alta qualità ma di piccola quantità.
La strada maestra per comunicare il prodotto alimentare artigiano rimane comunque il turismo.
Le produzioni dell’artigianato alimentare sono un elemento di diff erenziazione e di qualifi cazione
di interi territori, diventandone una delle risorse o, in taluni casi, la principale risorsa ed il vero
fattore di attrattiva turisticamente rilevante per le tematiche di destination management delle
artigianato alimentare trentIno: la filiera dei piccoli
125
località turistiche che rivolgono le proprie strategie di marketing ai nuovi segmenti di domanda
turistica.
Dai dati dell’indagine emerge come la prospettiva percorribile dalla maggioranza delle imprese
dell’artigianato alimentare è una strategia di marketing centrata sull’attrazione del cliente (porta-
re il cliente a consumare nel luogo di produzione anziché portare il prodotto vicino alla casa del
consumatore). Il consumo di molti prodotti dell’artigianato alimentare assume senso, signifi cati
e sapori assai diff erenti e comunque più appaganti e gratifi canti se consumati direttamente nei
luoghi di origine piuttosto che in contesti lontani dai territori di provenienza. Questo sia per
ragioni strettamente connesse alle qualità intrinseche dei prodotti, che si esaltano quando il con-
sumo è contestualizzato nei territori di origine, mentre si attenuano quando i prodotti subiscono
diverse fasi di trasporto, stoccaggio e conservazione, sia per aspetti collegati alla psicologia dei
consumatori, di certo maggiormente gratifi cata dal coinvolgimento sensoriale che può garantire
il consumo nei territori di origine rispetto a quello ottenibile dal semplice consumo domestico o
in servizi di ristorazione lontani dai luoghi di provenienza.
13.3.2 Garanzia: la certifi cazione “dal basso”
L’assicurazione della qualità e della tipicità al mercato riveste grande importanza nel settore
agro-alimentare dato il carattere primario e diff uso dei bisogni che i relativi prodotti sono chia-
mati a soddisfare. Tale aspetto assume particolare rilevanza con l’approccio dell’impresa artigia-
na a mercati più ampi in cui viene meno quel sistema informale di garanzie che, un tempo, il
contatto personale tra acquirenti e venditori, nei diversi stadi della fi liera alimentare, era in grado
di assicurare.
La qualità igienico-sanitaria (sicurezza alimentare) è garantita dalla legislazione in materia e da un
adeguato sistema di controlli. Essa è oggi governata da una molteplicità di standard, nel cui ambi-
to i principi HACCP rivestono certamente un ruolo di rilievo. Alle esigenze di tipicità, tradizionalità
e abitudine dei consumatori, il legislatore ha risposto con l’emanazione dei Regolamenti Comu-
nitari in materia di prodotti a Denominazione di Origine Protetta (DOP), Indicazione Geografi ca
Protetta (IGP), Specialità Tradizionale Garantita (STG).
Resta comunque vero che solo una parte relativamente limitata delle produzioni artigianali
gode di forme di tutela e/o di valorizzazione mediante marchi di vario tipo. I marchi comu-
nitari DOP, IGP e STG suscitano nei produttori notevoli aspettative, ma, superata la fase di inte-
resse che contraddistingue l’inizio del tortuoso percorso di riconoscimento, si mostrano idonei
ad accompagnare lo sviluppo solo delle referenze in grado di garantire elevati volumi produttivi.
In Italia si osserva, non a caso, una polarizzazione delle denominazioni riconosciute dall’UE: da
un lato i primi dieci prodotti DOP e IGP il cui valore economico rappresenta l’87 per cento dell’in-
tero paniere italiano a marchio comunitario, dall’altro decine di denominazioni minori stentano
a certifi care e a far decollare qualsiasi attività dei consorzi in quanto i produttori aderenti non
sono in grado di sostenere gli elevati costi del sistema di controllo e le relative incombenze
amministrative.
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Nelle attuali condizioni giuridiche ed economiche, senza una “massa critica” di prodotto, il siste-
ma di protezione dell’UE appare diffi cilmente accessibile a tutte le vere produzioni artigianali
“di nicchia”, di grande interesse alimentare, che pure meritano di essere accompagnate verso un
percorso di sviluppo.
Le ripetute indagini di mercato condotte rilevano, inoltre, una scarsa conoscenza da parte dei
consumatori del marchio e del signifi cato rappresentato dalla protezione dell’UE, con conse-
guente diffi coltà da parte dei promotori a monetizzarne i vantaggi, confermando che il rico-
noscimento comunitario non va considerato un traguardo, ma solo una base di partenza per
un’effi cace politica di marketing.
Ma, attorno al potenziale del patrimonio agroalimentare tradizionale e al diff uso interesse che su-
scita, si sono sviluppate iniziative associative ed istituzionali anche a prescindere dalle categorie
giuridiche esistenti. Il riferimento va, ad esempio, all’interessante ed effi cace esperienza dei Pre-
sidi di Slow Food, un’iniziativa di difesa e valorizzazione di prodotti a rischio di estinzione oggi
riguardante 198 “sapori antichi” che sta dando risultati eccellenti sotto il profi lo dell’incremento
delle aziende coinvolte, dell’occupazione e del valore aggiunto a vantaggio dei produttori.
Espressione della stessa tensione verso la tutela e valorizzazione della cultura agroalimentare
tradizionale è senz’altro anche il movimento delle denominazioni comunali (DE.CO.), nato
su proposta di Luigi Veronelli, che vede ad oggi coinvolti un numero crescente di enti locali che
deliberano il riconoscimento e l’origine di prodotti del proprio territorio.
Mentre l’esperienza dei Presidi di Slow Food in Trentino ha visto una certa diff usione, altrettanto
non si può dire dell’esperienza della Denominazione Comunale, per il momento attribuita, in
Trentino, solo all’asparago di Zambana. Le DE.CO. rappresentano uno strumento interessante di
valorizzazione e di tutela di tutta una serie di produzioni locali di nicchia, che non presentano
masse critiche tali da consentire loro di accedere ad altre forme di certifi cazione istituzionale. Tale
strumento si presenta particolarmente interessante in quanto si tratta di un riconoscimento che
nasce “dal basso”, capace di valorizzare il ruolo della comunità ed il protagonismo di amministra-
zioni locali, aziende artigiane, produttori agricoli e categorie economiche.
13.3.3 Logistica: valorizzare il binomio artigianato di qualità/agricoltura di montagna
Un interessante elemento, emerso nel corso dell’indagine, riguarda l’attenzione che le imprese
artigiane intervistate riservano alla tipicità delle produzioni non solo in riferimento alle ricette ed
ai metodi tradizionali di produzione ma anche alla provenienza locale delle materie prime.
Come abbiamo visto, la maggior parte degli artigiani intervistati attribuiscono ai prodotti di pro-
venienza locale una maggiore qualità e sono attivamente impegnati nella costruzione di legami
di fornitura a livello locale: selezionando personalmente i fornitori, creando relazioni stabili con le
aziende agricole fornitrici e, in alcuni casi (rari ma signifi cativi) investendo direttamente in attività
primarie.
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127
Questo orientamento delle imprese artigiane si scontra con due limiti strutturali: da un lato la
limitata consistenza di produzioni agricole trentine, dall’altro un sistema distributivo poco attento
alla valorizzazione delle specifi cità locali e ad una domanda, come quella delle imprese artigiane,
che si presenta diff usa territorialmente e che ha esigenze quantitative e qualitative particolari
(acquisto di piccoli lotti, freschezza dei prodotti, ecc.). Si tratta comunque di limiti che sono già
oggetto di specifi che politiche provinciali volte alla diversifi cazione dell’agricoltura di montagna
e alla valorizzazione delle tipicità locali nell’ambito delle reti commerciali e di off erta turistica.
D’altro canto, esistono concreti presupposti per una politica dell’off erta basata sul binomio
qualità artigianale/agricoltura provinciale come potenziale leva di marketing. Ad attribuire
un valore di garanzia e di qualità alle materie prodotte localmente, prima ancora degli artigiani,
sono gli stessi consumatori sempre più attenti al tipo di ingredienti utilizzati e alla loro prove-
nienza.
Nei fatti, in Trentino una fi liera integrata di produzione e trasformazione agroalimentare esiste
già ed è quella che fa riferimento al sistema cooperativo, si tratta di una fi liera estremamente ra-
dicata nel locale e oggi proiettata sui mercati internazionali. Tale fi liera non esaurisce comunque
le potenzialità dell’agroalimentare trentino. Esiste un gran numero di piccoli produttori indipen-
denti – agricoltori e artigiani – che attendono di essere messi in connessione, attraverso fi liere
produttive e reti commerciali capaci di valorizzarne le potenzialità. È questo un compito che
spetta, in prima battuta, alle rispettive associazioni di categoria.
Occorre riconsiderare le eff ettive capacità dell’off erta agricola regionale di sostenere una doman-
da che possiede specifi che esigenze in termini di masse critiche di approvvigionamento, qualità
non solo organolettica ma anche tecnologica in quanto adatta alla trasformazione, costi relativa-
mente contenuti. Da questo punto di vista, il criterio relazionale è, e deve essere, sempre lo stes-
so: una concezione marketing oriented anche per le aziende agricole nei confronti della propria
potenziale clientela intermedia.
Dall’altra parte, cioè dalla sponda artigiana, occorre considerare l’esigenza di promuovere per le
aziende uno sviluppo volto ad una maggiore conoscenza delle opportunità off erte dalle risorse
agricole locali determinando, per questa via, una convinzione condivisa della necessità strategica
di connettere la trasformazione alimentare “trentina” alla base produttiva agricola “trentina”.
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Ringraziamenti
Per la realizzazione di questo lavoro è stato necessario chiedere la collaborazione degli artigiani
appartenenti al settore che rappresenta l’oggetto della ricerca condotta. Abbiamo incontrato
molte persone: alcune sono, senza esagerare, delle leggende viventi delle rispettive specialità,
ne rappresentano la storia e la tradizione più illustre; altri sono giovani, eredi di aziende antiche
oppure fondatori di nuove imprese, e dell’artigianato alimentare d’eccellenza rappresentano il
futuro. Ma tutti, indistintamente, hanno mostrato una disponibilità e una cortesia molto al di là
di quanto sarebbe stato ragionevole attendersi. Hanno aperto i loro laboratori, hanno descritto
le fasi di lavorazione, regalandoci ore di lavoro. Ci hanno fatto scoprire specialità e tecniche pro-
duttive di antica tradizione locale o aziendale, e nuove invenzioni o elaborazioni, proponendoci
assaggi non semplicemente “guidati”, ma unici per contesto e valore culturale. Della loro preli-
batezza non è neppure necessario parlare. A tutti questi artigiani vogliamo esprimere la nostra
gratitudine, non solo per la disponibilità, ma soprattutto per averci mostrato il loro più grande
tesoro: la profonda, inestinguibile passione che esprimono, in ogni gesto, per il loro lavoro.
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Contatti
Provincia autonoma di Trento - Servizio Industria e Artigianato
Vito Cofl er, Direttore Uffi cio Artigianato
Via Trener, 3 - 38121 Trento
vito.cofl [email protected]
www.artigianato.provincia.tn.it
CEii Trentino
Massimo Zorzi, Responsabile dei Servizi
Via del Commercio, 30 - 38121 Trento
www.ceii.it
Associazione Artigiani e Piccole Imprese della Provincia di Trento
Guido Radoani, Responsabile Uffi cio Categorie
Via Zambra, 11 - 38121 Trento
Claudio Filippi, Area Studi
Via Brennero, 182 - 38121 Trento
c.fi [email protected]
www.artigiani.tn.it
Finito di stampare nel settembre 2010
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