LA CESSIONE D'AZIENDA
NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Premessa
L’azienda può essere oggetto di atti di disposizione da parte del suo titolare
(alienazione a titolo oneroso o a titolo gratuito, permuta, conferimento, affitto e via
dicendo) ed in tali casi è determinante stabilire quando vi sia una cessione
d’azienda (o di un ramo d’azienda), e quando invece la cessione si limiti ad uno o
a più beni facenti parte del complesso aziendale.
Tale distinzione assume rilevanza, oltrechè sotto il profilo civilistico, ai fini della
diversa disciplina applicabile alle distinte ipotesi, anche e soprattutto ai fini
tributari, in quanto ne discende la sottoposizione dell’operazione ad Imposta di
Registro ovvero ad Imposta sul valore aggiunto (IVA), oltre, ovviamente, ai riflessi
sulla disciplina IRES.
Infatti, come si vedrà meglio in seguito, sulla assoggettabilità della cessione
d’azienda all’imposta di registro e sulla conseguente esclusione di applicabilità
dell’IVA non esiste controversia. Le divergenze sorgono, invece, sulla esatta
individuazione delle ipotesi di cessione di azienda ovvero di cessione di singoli
beni strumentali proprio in ragione del fatto che la cessione di beni, soggetta ad
IVA, si presenta neutrale agli effetti del carico fiscale.
Prima di poter affrontare l’argomento occorre però fare riferimento proprio alle
norme che chiariscono il concetto di azienda e di cessione.
Aspetti civilististici
L’art. 2555 del codice civile, a questo proposito, testualmente dispone che
«l’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio
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dell’impresa». Questa viene individuata, in altre parole, in una universalità di
fatto, cioè come un’insieme di cose staticamente considerate, ma organicamente
finalizzate per l’esercizio di una attività commerciale o produttiva.
Tale definizione, insieme alle successive disposizioni contenute nello stesso
capo, riguardano ogni impresa, indipendentemente dalla natura (individuale o
societaria, privata o pubblica), dalla dimensione (piccola, media o grande impresa)
o dall’oggetto (commerciale o agricolo).
In dottrina, pur in presenza di una nozione civilistica così chiara, si è da
sempre discusso sulla natura giuridica dell’azienda, portando avanti tesi
divergenti sia con riferimento alla ricostruzione della figura sia con riferimento,
conseguentemente, agli effetti che da questa discendono.
Infatti, secondo la teoria c.d. atomistica1, l’azienda costituisce una semplice
pluralità di beni, singolarmente considerati, tra loro funzionalmente collegati e sui
quali l’imprenditore può vantare diritti diversi (proprietà, diritti reali limitati,
diritti personali di godimento). Si esclude perciò che esista un bene azienda
formante oggetto di autonomo diritto di proprietà o di altro diritto reale unitario e,
quindi, si attribuisce significato atecnico alle norme che parlano di proprietà o di
proprietario dell’azienda e di usufrutto della stessa (artt. 2556, 2557, comma 4,
2561 del codice civile).
In sostanza, l’azienda verrebbe in considerazione unitariamente nei soli limiti
fissati dal legislatore, sia per quanto attiene al trasferimento sia per quanto
riguarda il suo esercizio ma, non potendovi riscontrare i caratteri dell’universalità,
non risulta applicabile la relativa disciplina. Pertanto, beni idonei a costituire
l’azienda sono sia le cose corporali (denaro, merci, beni mobili ed immobili) che le
cose immateriali (ditta, insegna, marchi, brevetti), mentre ne sono esclusi i debiti, i
crediti, l’attività dell’imprenditore e i servizi dei suoi collaboratori.
1 Per la formulazione delle teorie riportate, nonché per i riferimenti bibliografici relativi agli autori,cfr. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, Utet, 1997, vol.I, pg. 140 ss.
2
Diversamente, la teoria c.d. unitaria considera l’azienda come un bene unico; un
bene nuovo e distinto rispetto ai singoli beni che la compongono. Si è così
affermato che l’azienda è un bene immateriale, rappresentato dall’organizzazione
stessa, ovvero, sempre nella stessa prospettiva, come una universalità di beni2.
Si ritiene, perciò, che il titolare dell’azienda abbia sulla stessa un vero e proprio
diritto di proprietà unitario, destinato a coesistere con i diritti (reali o obbligatori)
che vanta sui singoli beni. Potrebbe conseguentemente tutelare il suo diritto sul
complesso aziendale con gli strumenti che l’ordinamento concede al titolare del
diritto di proprietà, anche se tale diritto non vanta su taluni dei beni aziendali.
La tesi più condivisa rimane comunque quella unitaria seguita anche dalla
giurisprudenza, soprattutto in relazione alle ripercussioni sulla disciplina
tributaria.
Non occorre che tutti i beni aziendali siano trasferiti; poiché possono essere
alienati solo alcuni di questi, ciò che conta è che il complesso effettivamente
alienato sia idoneo all'esercizio di una impresa, costituisca cioè un'azienda (con
applicabilità, quindi, della relativa disciplina, salvo singole eccezioni) anche
quando l'imprenditore stralci dalla sua azienda, ed alieni, solo una parte di essa, la
quale a sua volta costituisca un complesso di beni organizzati e possa, quindi, una
volta staccata dalla più vasta organizzazione preesistente, considerarsi come
azienda. Rientra, quindi, nell'ambito della disciplina della cessione di azienda
anche il trasferimento non dell'intera azienda ma di uno o più rami aziendali.
La Corte di Cassazione ha sempre ribadito che: «perché si abbia
conferimento d'azienda (o di un ramo della medesima) è necessario che venga
2 «È nella organizzazione del complesso dei beni che va riconosciuta la componente immaterialecaratteristica dell'azienda, o di un suo ramo, atteso che i beni, singolarmente considerati, prospettano solo laloro specifica essenza, ma la loro "organizzazione", finalizzata alla produzione, conferisce al complesso deibeni il carattere di complementarietà necessario perché possa attribuirsi ad esso la definizione di azienda.[…]Deve sottolinearsi, dunque - per impedire arbitrarie attribuzioni di qualifica - che il carattere rivelatore dellaazienda è la "organizzazione" dei beni per l'esercizio dell'impresa; il che induce, immancabilmente, arimarcare l'opera unificatrice dell'imprenditore con riferimento sia al momento della cessione dei beni sia almomento del loro acquisto da parte di altro imprenditore, indipendentemente dalla circostanza che l'attivitàproduttiva sia la stessa. Perché - lo si ribadisce - è il mantenimento del rapporto di complementarietà dei benifinalizzato alla produzione che, di per sé, determina la esatta qualificazione» (Cass. Sez. I, sent. del28/04/1998, n.4319).
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trasferito un complesso di beni di per sé idoneo a consentire lo svolgimento di
una determinata attività d'impresa, anche se non necessariamente la stessa
esercitata dal conferente. E se può ammettersi che tale fattispecie ricorra anche
quando il nuovo titolare debba integrare l'insieme dei beni trasferiti con ulteriori
fattori produttivi (Cass. 15 gennaio 1990, n. 123; Cass. 22 novembre 1984, n. 5971),
occorre tuttavia che i beni mancanti non siano tali da alterare l'unità economica e
funzionale del complesso aziendale: non basta, in altre parole, che i beni conferiti
abbiano fatto parte di un'azienda ma è, altresì, necessario che essi, per le loro
caratteristiche e il loro collegamento funzionale, rendano possibile lo svolgimento
di una specifica impresa3»
Pertanto, si ha cessione di azienda quando «i contraenti pattuiscono il
trasferimento dei beni organizzati in vista dell'esercizio dell'impresa; non
occorre che venga ceduta l'impresa quale attività economica in corso, essendo
sufficiente che il complesso dei beni presenti una attitudine a tale esercizio, ovvero
una potenzialità produttiva: in tal senso, Cass., 9 luglio 1992 n. 8362. Si ammette la
sussistenza di una cessione di azienda anche se i contraenti escludono dal
contratto determinati beni aziendali, purché risulti che le parti hanno inteso
trasferire non una semplice somma di beni, bensì un complesso organico
unitariamente considerato (Cass., 9 agosto 1991 n. 8678)4».
In un caso sottoposto all’esame della Corte è stata invocata la disciplina
dell’azienda anche per regolare la vicenda giuridica «di complessi di beni -
unitariamente organizzati in funzione dell'esercizio di una attività economica - pur
se l'impresa non sia ancora iniziata o sia stata sospesa»5.
È fuor di dubbio quindi che l'azienda costituisca un complesso di beni
organizzato per l'esercizio di un'impresa; ma di una impresa specifica e ben
individuata, non di una qualsiasi possibile impresa astrattamente ipotizzabile.
3 Cass. Sez. I, Sent. del 21/10/1995, n.10993.4 Cass., Sez. Trib., Sent. del 25/01/2002, n.897.5 Cass., Sez. I, sent. del 13/12/1996, n.11149.
4
Infatti, «se è vero che, per la configurabilità dell'azienda, non è indispensabile che
l'impresa sia in atto, nondimeno occorre che ne siano percepibili i potenziali
elementi di identificazione ed, in specie, il settore commerciale in cui quell'impresa
opera o opererà. Non è invece possibile parlare di azienda come se si trattasse di
un insieme vuoto, ossia di un complesso di beni astrattamente utilizzabili in
funzione commerciale, ma non specificamente volti ad un determinato commercio
(nemmeno potenzialmente individuato), perché la loro caratteristica essenziale è
di essere organizzati al conseguimento di un fine, che deve perciò essere ben
percepibile.
Si potrà ammettere (si veda Cass. n. 4319/98) che i beni così organizzati sono poi
utilizzabili dal cessionario dell'azienda (o di un suo ramo) per attività
imprenditoriali anche diverse da quelle specificamente esercitate dal cedente; ma è
pur sempre indispensabile che quel vincolo di organizzazione sussista. E ciò tanto
più quando, trattandosi dell'asserito trasferimento non dell'azienda nella sua
interezza, ma solo di un certo numero di beni strumentali al suo esercizio, il
confine tra la figura della cessione d'azienda (o di un ramo di essa) e quella della
vendita dei singoli beni atomisticamente considerati rischia inevitabilmente di farsi
più sottile: onde più che mai è indispensabile, per poter ravvisare la prima delle
due suaccennate figure, che il vincolo di organizzazione teleologica esistente tra
detti beni permanga e sia chiaramente identificabile, ad onta del loro distacco dal
precedente complesso unitario dell'azienda6».
Si è in precedenza accennato come, in via di principio, nulla osta alla
configurazione di una cessione parziale dell'azienda, proprio in quanto essa va
riguardata come un complesso organizzato di beni in funzione della attività
d'impresa, è sempre concepibile la suddivisione di questo complesso in più
complessi con la costituzione di parti, che, a loro volta, si presentino ciascuna come
un complesso organizzato di beni e, quindi, in caso di acquisto di autonomia, come
azienda. 6 Cass., Sez. I, sent. del 27/02/2004, n.3973.
5
In questo senso, del resto, si è già pronunciata la Suprema Corte7 quando ha
ritenuto realizzare la fattispecie in esame anche nel caso di trasferimento non
dell'intera azienda ma di singole unità produttive suscettibili di costituire idoneo e
completo strumento di impresa (sent. 18 agosto 1979 n. 3901; 8 gennaio 1983 n.
138; 21 gennaio 1985 n. 237; 5 luglio 1986 n. 413).
Il carattere unitario dell'atto di cessione importa il trasferimento di tutti gli
elementi costituenti l'universitas senza necessità di una specifica pattuizione
nell'atto di trasferimento (Cass. 9.9.1978 n. 4094; Cass. 13.7.1973 n. 2031 ed altre)8.
Ciò che interessa è che «i beni ceduti devono essere legati, per essere definiti
"azienda" (o ramo di...), in un rapporto, di complementarietà finalizzata alla
produzione sia per il cedente che per il cessionario. In effetti, tale
complementarietà non è esclusa né dalla circostanza che il tipo di produttività
realizzata con quel complesso di beni sia diversa da quella che il cedente
perseguiva, né dalla circostanza che "quell'insieme produttivo" sia destinato ad
operare sotto altra "ditta".
Né, al fine di identificare l'oggetto dell'atto di trasferimento nell'azienda (o nel
ramo) e non nei singoli beni - è indispensabile la successione in tutti, o in alcuni,
dei rapporti, creditori - debitori esistenti. Questi "possono" essere in atto ma
possono non esserlo, atteso che il complesso di beni finalizzati alla produzione - e,
quindi, l'azienda resta tale anche sulla sola base della sua potenzialità produttiva,
indipendentemente dalla esistenza, in capo al cedente, di rapporti
creditori/debitori. Affermazione, questa, consentita dalla stessa disciplina della
successione nei contratti, in caso di cessione dell'azienda (art. 2558 c.c.)»9.
Neppure l'avviamento costituisce componente essenziale dell'azienda posto
che «esso presuppone sia l'attualità, o l'esistenza almeno non remota, della
produzione - che può non esistere senza che, per carenza di tale fattore, debba
7 Cass., Sez. Lav., sent. del 05/08/1988, n.4845.8 Cass. Sez.II, sent. del 27/03/1996, n 2714.9 Cass. Sez. I, sent. del 28/04/1998, n.4319.
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escludersi l'esistenza della azienda - sia, per darvi rilevanza, "la identità di
produzione" anche da parte del cessionario. Mentre non può escludersi che
costituisca "azienda" il complesso dei beni, organizzato per la produzione,
trasferito ad imprenditore che operi in settore diverso ma che possa apportare in
quel settore beni prodotti proprio dal complesso dei beni già organizzati per la
produzione da imprenditore di altro settore»10.
Il giudizio di complementarietà dei beni, nel quadro della loro complessiva
organizzazione finalizzata alla produzione, è peraltro giudizio di fatto, sottratto al
giudice di legittimità se congruamente motivato ed immune da vizi e deve
ritenersi logicamente e giuridicamente corretto se è stato formulato alla stregua
dei principi enunciati.
Per quanto interessa, in questa sede, poter individuare nel singolo contratto,
o nella serie di atti dispositivi, gli elementi di una cessione d’azienda ovvero della
cessione di uno o più beni facenti parte dell’azienda, si è affermato che non può
essere sufficiente il riferimento alla mera volontà espressa dalle parti contraenti.
Infatti, per stabilire se vi è o meno cessione d'azienda occorre aver riguardo più
che all'intenzione soggettiva dei contraenti, alle qualità oggettive del complesso
dei beni trasferito.
In tal senso, si è espressa ancora la Corte di Cassazione: «la cessione di azienda
nella sua accezione civilistica, recepita dal diritto tributario, va apprezzata sulla
base di parametri obiettivi, non rilevando l'intenzione, in ipotesi paradossalmente
espressa nello stesso negozio traslativo, di "smembrare" l'azienda che si acquista
ovvero da destinare a diversa attività produttiva, non restandone alterata
l'oggettiva portata del trasferimento riguardante un complesso di beni
organizzati»11.
Tuttavia, in numerose altre occasioni, la Corte è tornata sul punto rivelando un
orientamento completamente antitetico a quello appena riportato. È stata infatti la
10 Cass. Sez. I, sent. del 28/04/1998, n.4319.11 Cass. Sez.I, Sent. del 23/01/1990, n.353.
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stessa Corte ad attribuire rilievo alla volontà delle parti, espressa nel contratto,
qualora queste «abbiano inteso trasferire non una semplice somma di beni
individualmente distinti e suscettibili di continuare ciascuno ad essere destinato
all’esercizio di un'impresa, ma un insieme di elementi costituenti un complesso
organico unitariamente considerato e idoneo a consentire la continuazione
dell'esercizio di quella determinata azienda anche se ridotto o in parte
ristrutturato rispetto a quello precedente alla cessione»12.
Ed invero, si è costantemente affermato il principio che «la determinazione
della esatta figura contrattuale può discendere dalla destinazione prevista per il
complesso di beni compravenduti sicché è decisivo individuare il fine economico
dell'imprenditore per connotare la fattispecie della esatta qualificazione giuridica.
In particolare (cfr. Cass., nn. 3178/75; 3898/77), la distinzione tra affitto di azienda
ed affitto di immobile con pertinenza (o di compravendita dell'una o dell'altro) si
fonda, per l'appunto, sulla considerazione che le parti hanno avuto dei beni
oggetto del contratto; e, dunque, dovrà definirsi di affitto (o di cessione) di azienda
il contratto in cui i beni non sono stati considerati nella loro individualità giuridica,
ma nel loro complesso, in un rapporto di interdipendenza e di complementarietà
con gli altri elementi, in ragione del fine economico perseguito dall'imprenditore;
dovrà considerarsi di «affitto» (o di cessione) di immobile il contratto in cui
all'immobile si dà rilievo come elemento principale al quale afferiscono in
rapporto di accessorietà gli altri beni; questi non perdono la propria individualità
economica, ma sono funzionalmente connessi al bene principale.
Il fine economico perseguito dall'imprenditore, tuttavia, non è necessariamente
collegato ad una realtà operativa perché ben può essere determinante «l'esistenza»
della organizzazione finalizzata all'esercizio dell'impresa. Non può, perciò,
escludersi la cessione - o l'affitto di azienda - solo perché, per la mancanza di
alcuni elementi, essa non è in condizione di funzionare: come non può escludersi il
12 Cass. Sez.I, Sent. del 09/08/1991, n. 8678.
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trasferimento - o l'affitto - di azienda perché non è stata prevista la cessione dei
contratti aziendali o il trasferimento dei rapporti giuridici attivi e passivi. Questi
elementi attengono alla continuità dell'azienda che è cosa diversa dalla sua
cessione.
In definitiva, «la produttività» può atteggiarsi come conseguenza potenziale
dell'organizzazione dei beni (Cass., n. 4009/81) proprio in considerazione del
preminente rilievo che deve riconoscersi al fine che l'imprenditore si è proposto;
ed al riguardo, quella del giudice del merito è indagine di fatto, sottratta al
controllo di legittimità se immune da vizi logico giuridici»13.
A questo proposito la giurisprudenza di legittimità è intervenuta proprio
per individuare i limiti tra le ipotesi di affitto di azienda, locazione di immobile
ed affitto di cose produttive.
Sussiste affitto di azienda «quando oggetto del contratto sia un complesso unitario
di beni, anche se immobili, concessi in godimento, in quanto organizzati per la
produzione o lo scambio di beni o di servizi, in modo che anche l'immobile si trova
in situazione di interdipendenza e complementarietà con gli altri beni».
Si ha, invece, locazione di immobile qualora «questo sia specificamente considerato
nella sua individuabilità e consistenza effettiva, con funzione prevalente rispetto
ad altri eventuali beni che abbiano carattere accessorio e non siano collegati tra
loro da un vincolo che li unifichi ai fini produttivi».
Si ha, infine, affitto di cose produttive nel caso in cui «i beni, che ne formano oggetto,
siano produttivi, ma non siano organizzati in un complesso unitario, finalizzato
alla produzione»14.
Insomma, la cessione in godimento di un immobile, adibito allo svolgimento di
attività produttiva, integra locazione di immobile o affitto di azienda, a seconda
che oggetto del contratto sia l'immobile, inteso come unità produttiva, ovvero una
più vasta ed organica unità, capace di autonoma vita economica, di cui l'immobile
13 Cass. Sez.I, Sent. del 26/07/1993, n. 8365.14 Cass. Sez.III, Sent. del 17/04/1996, n. 3627.
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costituisce una componente, legata da un rapporto di complementarietà e di
interdipendenza con gli altri elementi aziendali (cfr. Cass. 2132/1980; 3547/1980;
1498/1984).
Il procedimento di qualificazione del contratto consta di due momenti: la ricerca
ed individuazione della comune volontà dei contraenti e la sussunzione di tale
comune volontà nello schema legale corrispondente: «mentre le operazioni del
primo momento sono espressione tipica di un'attività discrezionale del giudice di
merito, il cui risultato è sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di
motivazione o per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, quelle del
secondo momento, risolvendosi nell'applicazione di norme giuridiche, sono
censurabili in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello
della fattispecie legale sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli
elementi di fatto accertati.
In particolare, al fine di accertare se ricorra affitto di azienda o altra figura
negoziale, occorre procedere ad una duplice indagine, interpretando, da un lato, la
comune intenzione delle parti, a prescindere dalle espressioni dalle stesse
adoperate per qualificare il rapporto, ed avendo, dall'altro, riguardo alla obiettiva
consistenza dei beni dedotti in contratto (cfr.- tra tutte: Cass. 1498/1984).
L'affitto di azienda ha carattere globale ed unitario ed importa la cessione in
godimento di ogni elemento dell'azienda stessa - costituente una universitas rerum
- come "naturale negotii" e, quindi, senza necessità di specifica pattuizione (Cass.
2031/1973)»15.
L'articolo 2556 del Codice Civile consente che l'azienda possa costituire
oggetto dei più svariati negozi giuridici, atti a trasferire la titolarità o il semplice
godimento. Comunque, quando si parla di cessione d'azienda di regola si fa
riferimento allo schema del contratto di vendita, in cui il corrispettivo è
rappresentato da un prezzo. Naturalmente, la cessione può anche essere a titolo
gratuito: in tal caso, si rientra nello schema della donazione. 15 Cass. Sez.III, Sent. del 17/04/1996, n. 3627.
10
L'alienazione frazionata di singoli elementi aziendali, in quanto tendenti a
trasferire il complesso aziendale o comunque un’unità organica produttiva
dell'azienda stessa, può essere considerata una cessione d'azienda,16 mentre una
cessione frazionata d'azienda a soggetti diversi non è considerata cessione
d'azienda in quanto non si trasferisce un'unita organica produttiva17.
16 Ris. Min. 04-12-1990, n. 660026, C.T.C. 5/4/85 Numero 3270
17 C.T.C. 6/6/1985 n. 5529.
11
Principio di alternatività IVA / Registro
In base al disposto della lettera b), terzo comma, dell’art. 2 del DPR n. 633
del 26 ottobre del 1972, non sono considerate cessioni di beni, e sono, quindi,
escluse dall’ambito di applicazione dell’IVA, le cessioni che hanno per oggetto
aziende o rami d’aziende.
All’esclusione dall’applicazione dell’IVA consegue la sottoposizione dell’atto di
cessione ad imposta proporzionale di registro secondo il meccanismo disciplinato
dall’art. 23, comma 1, del DPR n.131 del 26 aprile del 1986.
La disposizione richiamata, in particolare, stabilisce che gli atti aventi per oggetto
beni tassabili con aliquote diverse (previsione che integra l’ipotesi di una cessione
d’azienda) sono imponibili per l’intero valore con l’aliquota più elevata, a meno
che le parti non abbiano indicato nell’atto corrispettivi distinti per i singoli beni.
Un simile regime di tassazione spiega perché nella prassi si cerchi di sfuggire alla
configurazione dell’operazione traslativa come una cessione d’azienda, spesso
frammentando il trasferimento del complesso aziendale in una serie di vendite, a
favore del medesimo acquirente, tutte aventi ad oggetto i singoli beni aziendali.
Normativa Registro
L'art. 23, primo comma, del DPR 26 aprile 1986 n. 131, sopra richiamato e
riproduttivo dell'art. 22, primo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634, stabilisce,
quando un'unica disposizione abbia per oggetto più beni o diritti per i quali siano
previste aliquote diverse, l'applicazione dell'aliquota più elevata, facendo salva la
separata tassazione del cespite per il quale sia pattuito un corrispettivo distinto.
Tale norma non può non riguardare, in difetto di espressa delimitazione, la
cessione d'azienda, la quale è tipico atto di contestuale disposizione di una
12
universitas di cose e di diritti, rappresentata dai beni organizzati dall'imprenditore
per l'esercizio dell'impresa con le posizioni attive e passive a tale esercizio
connesse (artt. 2555-2560 cod. civ.).
L'applicabilità di detta norma alla cessione d'azienda è confermata dall'art. 51,
primo e quarto comma, del DPR n. 131 del 1986, il quale stabilisce che il relativo
imponibile è costituito dal valore del complesso aziendale (o dal maggiore prezzo
convenuto), e, quindi, senza escludere la salvezza dell'indicata ipotesi, fissa un
criterio "normale" di unitarietà della tassazione e della base imponibile, a sua volta
implicante l'unicità dell'aliquota.
Il coordinamento delle due disposizioni porta dunque ad affermare che la cessione
d'azienda deve essere in via generale tassata applicando al suo valore complessivo
(od al maggiore prezzo pattuito) l'aliquota più elevata fra quelle contemplate per i
singoli beni che la compongano; solo quando le parti abbiano scorporato e
separatamente considerato determinati cespiti, con la previsione di distinti
corrispettivi, la regola generale resta circoscritta all'insieme residuo, applicandosi a
detti cespiti l'aliquota di rispettiva pertinenza.
Questo principio non trova deroga nel quarto comma dell'art. 23 del D.P.R. n. 131
del 1986, il quale, occupandosi delle cessioni d'azienda, stabilisce che, "ai fini
dell'applicazione delle diverse aliquote, le passività si imputano ai diversi beni sia
mobili che immobili in proporzione del loro rispettivo valore".
La disposizione, che si distingue da quella similare del quarto comma del
previgente art. 22 del D.P.R. n. 634 del 1972 esclusivamente perché prende in
considerazione tutte le cessioni d'azienda e non soltanto quelle che includano beni
immobili, deve intendersi riferita all'ipotesi fatta salva dal primo comma, vale a
dire al caso in cui siano separatamente negoziati, con autonomi corrispettivi,
singoli beni del compendio aziendale.
L'interpretazione è imposta dal rilievo che l'espressione "ai fini dell'applicazione" è
propria dell'introduzione di ulteriori previsioni, per fattispecie in cui
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l'applicazione stessa sia da un'altra norma contemplata e, dunque, non può di per
sé estendere l'ambito di operatività di tale altra norma.
Non è inoltre da trascurarsi che l'espressione medesima fa parte dello stesso
articolo in cui si fissa l'indicato canone generale, di modo che, in carenza di
esplicitazioni, non può avere la portata di escludere l'applicabilità del canone
stesso solo perché l'atto di disposizione di più beni e diritti sia un contratto di
trasferimento d'azienda.
Tale esegesi, e ciò è stato espressamente chiarito dalla Corte, non espone la norma
a dubbi di legittimità costituzionale, «tenendosi conto che l'evenienza di un più
consistente prelievo fiscale sulla cessione di crediti, quando siano inglobati
nell'alienazione di azienda, non è in effetti riscontrabile, in presenza di una
contrattazione unitaria del complesso aziendale, il cui valore, costituente come si è
detto la base imponibile, non esprime pro quota il valore di quei crediti, ma si
collega al peso economico dell'insieme.
Nell'ambito della vicenda in esame, in cui non è stata dedotta e comunque non
risulta una distinta pattuizione della cessione dei crediti con separato corrispettivo,
le osservazioni svolte esigono la reiezione del ricorso, con la conseguenziale
condanna della soccombente: al pagamento delle spese di questa fase
processuale18».
Infatti, se è pur vero che la cessione dell'azienda ha carattere unitario sicché,
qualora nell'atto di trasferimento non venga specificamente pattuita l'esclusione da
esso di determinati beni aziendali, devono intendersi trasferiti al cessionario tutti
gli elementi costituenti di fatto l'"universitas" (vedi Cass. sent. n. 4094 del 1978 e
2031 del 1973), è però anche vero che, perché si abbia cessione di azienda anche
agli effetti dell'imposta di registro, non è affatto indispensabile che i contraenti si
astengano dall'escludere dalla cessione determinati beni aziendali «purché risulti
che, nonostante detta esclusione le parti abbiano inteso trasferire non una semplice
somma di beni individualmente distinti suscettibili di continuare ciascuno ad18 Cass. Sez. Trib., sent. del 30/05/2000, n. 7196.
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essere destinato all'esercizio di un'impresa, ma un insieme di elementi costituenti
un complesso organico unitariamente considerato e idoneo a consentire la
continuazione dell'esercizio di quella determinata azienda anche se ridotto o in
parte ristrutturato rispetto a quello precedente alla cessione.
Da ciò consegue che:
a) possono rimanere esclusi dalla cessione d'azienda, per specifica volontà dei
contraenti, anche elementi essenziali dell'azienda stessa (come, ad esempio, con
riferimento alla fattispecie, il magazzino e i crediti) rispetto alla precedente
organizzazione di essa, purché essi siano surrogabili con altri, sia pure in un
momento successivo, o non più indispensabili rispetto ad una diversa
organizzazione, salva sempre, ovviamente, la continuità funzionale dell'azienda
stessa nel suo nucleo fondamentale purché, cioè, permanga, nel complesso dei
beni oggetto del trasferimento, un residuo di organizzazione che ne dimostri
l'attitudine all'esercizio dell'impresa;
b) non è incompatibile con la qualificazione giuridica di "cessione di azienda" il
fatto che il complesso aziendale, al momento della cessione, non si trovi in stato
attuale di produttività, essendo sufficiente che il complesso aziendale, anche se
momentaneamente inutilizzato, mantenga, tuttavia, una residua potenzialità
produttiva (o ne presenti una nuova a seguito delle prevedibili ristrutturazioni),
potenzialità che sia contemplata dai contraenti come oggetto del trasferimento
stesso allo scopo di consentire all'acquirente, sia pure con nuove attrezzature o con
nuove scorte, di riprendere la precedente attività utilizzandone l'avviamento e il
nome. (In tal senso, vedi Cass. sent. n. 353 del 1990, 1829 dell'86, 6608 dell'83, 4142
e 4009 dell'81, 2058 dell'80, 1089 e 1001 del '79, 3003 del '77, 3514 e 1781 del '75,
2608 del '73)»19.
Sempre ai fini dell'applicabilità dell’imposta di registro, la sussistenza di
una cessione di azienda non è condizionata dall'attualità della gestione
dell'azienda medesima; infatti, un complesso di beni si qualifica come azienda19 Cass. Sez.I, Sent. del 09/08/1991, n. 8678.
15
anche se l'attività economica in funzione della quale esso è organizzato non sia
ancora iniziata o sia stata sospesa, essendo sufficiente che il complesso stesso sia
caratterizzato dall'obiettiva attitudine all'esercizio dell'impresa (Cass., 13 dicembre
1996 n. 11149).
Pertanto, «ove sussista una cessione di beni strumentali atti, nel loro complesso e
nella loro interdipendenza, all'esercizio di impresa, devesi ravvisare cessione di
azienda, soggetta ad imposta di registro; mentre la cessione di beni singoli,
inidonei di per sé ad integrare la potenzialità produttiva propria dell'impresa,
dovrà essere assoggettata ad IVA. Non si richiede, ai fini dell'assoggettamento ad
imposta di registro, che il suddetto complesso di beni costituisca
un'organizzazione "vitale", vale a dire che l'esercizio dell'impresa debba essere
attuale, essendo sufficiente l'attitudine potenziale all'utilizzo per un'attività di
impresa. Non può essere esclusa la cessione di azienda per ciò solo, che non risulti
anche la cessione di "relazioni finanziarie, commerciali e personali"»20.
In altri termini: «sussiste cessione di azienda, agli effetti dell'imposta di
registro, ogni volta che permanga nel complesso dei beni oggetto del trasferimento
un residuo di organizzazione che ne dimostri la complessiva attitudine
all'esercizio dell'impresa, non rilevando in contrario che, al momento della
cessione, il complesso aziendale non si trovi in stato attuale di produttività ed
essendo, invece, sufficiente che esso, anche se momentaneamente inutilizzato,
mantenga una residua potenzialità produttiva (o ne presenti una nuova a seguito
di prevedibili ristrutturazioni)21».
20 Cass. Sez. Trib., sent. del 25/01/2002 n.897.21 Cass. Sez. I, sent. del 09/07/1992 n.8362.
16
Applicabilità dell’IVA
La Corte di Cassazione in pochi casi si è pronunciata sull’applicabilità dell’IVA in
ipotesi di cessione di beni aziendali ed a tal proposito si è espressa nel senso che
«perché un atto sia assoggettato all'Iva e non al registro non rileva il semplice fatto
che sia già stata corrisposta un'imposta anziché un’altra, posto che nei casi di
imposizione alternativa il contribuente, e ancora di più l'ufficio, hanno
rispettivamente l'obbligo di corrispondere o di richiedere il tributo effettivamente
dovuto e non quello per primo corrisposto o scelto contribuente in base a
considerazioni soggettive.
In altri termini, l'intervenuta definitività dell'imposta di registro corrisposta
dalla società ricorrente non importa alcuna preclusione all'effettivo accertamento
del tributo legalmente dovuto, poiché il regime fiscale normativamente
determinato “non è modificabile neppure dall'amministrazione finanziaria le cui
determinazioni non possono influire sul regime tributario collegato ope legis
all'atto o all'operazione in esame”22.
«Invero, a norma dell'art. 2, terzo comma, lettera b), del D.P.R. 26 ottobre
1972, n. 633 nel testo introdotto dall'art. 1 del D.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24
(applicabile al caso in esame), non sono considerate cessioni di beni, ai fini
dell'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, le cessioni che hanno per
oggetto aziende, compresi i complessi aziendali relativi a singoli rami dell'impresa.
La nuova formulazione, eliminando l'inciso "gestiti distintamente e con contabilità
separata", che nel testo previgente restringeva le ipotesi di esenzione dall'I.V.A. (e
di correlativa corresponsione dell'ordinaria imposta di registro) per le cessioni di
parti organizzate dei beni aziendali e le qualificava in base, oltre che alla loro piena
autonomia, al perdurare della gestione del singolo ramo dell'impresa, ricollega
22 Cass. Sez. I, sent. del 09/04/1991 n.3726.
17
l'esenzione al solo aspetto obiettivo e strutturale del ramo d'impresa trasferito».
( Cass. 1992 n. 8362)
Disciplina IRES
L’azienda, intesa come universalità (comprensiva anche dell’eventuale
valore di avviamento), è unitariamente ceduta a titolo oneroso e l’operazione
genera delle plusvalenze che concorrono alla formazione del reddito d’impresa del
cedente per un valore pari alla differenza tra corrispettivo della cessione e valore
di libro dell’azienda.
La riforma fiscale è intervenuta proprio sulle modalità di tassazione di tali
plusvalenze, in particolare:
è stata abolita la possibilità di godere del regime (opzionale) dell’imposta
sostitutiva del 19% (artt. 1 e 2 del DLgs n. 358 del 8 ottobre del 1997);
i soggetti IRES godono ora di una riduzione di un punto percentuale
sull’aliquota che passa dal 34% al 33% ed inoltre usufruiscono della
continuità dei valori fiscalmente riconosciuti dei beni (solo quelli che non
producono ricavi) trasferiti all’interno del gruppo che aderisce al
consolidato nazionale (nuova formulazione dell’art. 123 del Tuir);
i soggetti IRPEF perdono la possibilità di usufruire dell’imposizione
sostitutiva e neppure possono usufruire degli altri istituti giuridici di
attenuazione dell’imposizione (consolidato). È evidente come, per questi
soggetti, la tassazione delle plusvalenze risulti aggravata.
In sostanza, le plusvalenze derivanti da cessioni di azienda o di rami d’azienda
saranno assoggettate:
a tassazione ordinaria (salvo la possibilità di rateizzare le plusvalenze se
l’azienda è posseduta da almeno 3 anni, art. 86, comma 4, Tuir);
a tassazione separata, se l’azienda è posseduta da un imprenditore
individuale da almeno 5 anni (art. 17, comma 1, lett. g));
18
ad esenzione, se la cessione è avvenuta tra società che aderiscono al
consolidato fiscale nazionale (art. 123 Tuir).
Nel caso in cui il corrispettivo della cessione d’azienda, o del ramo d’azienda, sia
costituito esclusivamente da beni ammortizzabili o da un complesso o ramo
aziendale, il cui valore di iscrizione in bilancio sia uguale a quello dei beni ceduti
(cd. permuta d’azienda), si considera plusvalenza (e dunque concorre alla
formazione del reddito imponibile) soltanto il conguaglio in denaro
eventualmente pattuito (art. 86, comma 2, Tuir).
Anche con riguardo ai conferimenti di aziende, o di partecipazioni di
controllo o di collegamento, la riforma ha eliminato la possibilità di optare per
l’imposizione sostitutiva di cui al DLgs n. 358 del 1997.
È invece confermato il regime di determinazione dell’imponibile precedentemente
in vigore, consentendo così l’applicabilità del principio di rilevanza dei valori
presenti nelle scritture contabili (regime di continuità dei valori contabili), in
precedenza disciplinato dall’art. 3 del DLgs n. 358 del 1997.
Ed inoltre, è stato esteso l’ambito di applicazione del regime di neutralità fiscale
(regime di continuità dei valori fiscali) in precedenza previsto dall’art. 4 del DLgs
n. 358 del 1997.
In base alla nuova disciplina dell’art. 175 Tuir il valore di realizzo dell’azienda
conferita è fissato nel maggiore tra:
il valore attribuito, nelle scritture contabili del soggetto conferente, alla
partecipazione ricevuta in cambio dell’azienda trasferita,
il valore attribuito, nelle scritture contabili del soggetto conferitario,
all’azienda ricevuta (in sostanza, il valore corrispondente all’aumento del
patrimonio netto).
19
Tale valore di realizzo può essere, infatti, superiore o inferiore al valore netto
contabile proprio in quanto l’azienda oggetto di conferimento ha, generalmente,
un valore corrente diverso da quello contabile.
Ciò può accadere a causa di plusvalori latenti su cespiti ovvero per l’eventuale
avviamento ovvero, ancora, per perdite.
Il nuovo testo dell’art. 176 Tuir disciplina poi i regimi fiscali del conferente e del
conferitario, riprendendo in buona sostanza le disposizioni già vigenti prima della
riforma.
Le modifiche apportate si sostanziano:
nella eliminazione del vincolo del possesso triennale per poter accedere a
tali agevolazioni;
nella possibilità che il conferente possa essere qualsiasi contribuente
residente titolare del reddito di impresa: “la doppia sospensione” vale
pertanto anche nei confronti degli imprenditori individuali e delle società di
persone (e non solo, come in passato, nei confronti dei soggetti Irpeg). Il
conferitario continua invece a dover necessariamente essere una società di
capitali o un ente commerciale.
È importante sottolineare poi che, mentre l’art. 176 dispone l’applicazione del
regime di neutralità ai soli conferimenti tra soggetti residenti, l’art. 179 (in tema di
conferimenti intracomunitari) ne estende l’operatività anche ai casi in cui il
conferente o il conferitario siano soggetti residenti in un altro Stato dell’Unione
(purchè l’azienda conferita si trovi in Italia).
Nella riscrittura del quarto comma dell’art. 176, il quale ora recepisce il principio
di retrodatazione dell’anzianità di possesso, in precedenza disciplinato dalla L. n.
342 del 2002, con la conseguenza che:
l'azienda acquisita ex art. 176 si considera posseduta anche per il periodo di
possesso del soggetto conferente;
20
le partecipazioni ricevute si considerano iscritte come immobilizzazioni nei
bilanci in cui risultavano iscritti i beni dell’azienda ceduta;
nella previsione che il conferimento in neutralità non fa venir meno
l’eventuale regime di sospensione di imposta delle riserve costituite in
connessione con la deduzione di spese e di altri componenti negativi senza
la loro previa imputazione al conto economico, a condizione che il vincolo
(di non distribuibilità) del patrimonio netto sia istituito sulle riserve del
patrimonio netto della conferitaria (diversamente, l’eccedenza in
sospensione d’imposta concorrerà alla formazione del reddito del soggetto
conferente);
nell’esclusione della possibilità di applicare la norma antielusiva prevista
dall’ 37-bis del DPR n. 600 del 1973 (presunzione legale di antielusività) al
conferimento d’azienda effettuato in sospensione di imposta seguito dalla
cessione in regime di esenzione (TOTALE per i soggetti IRES, PARZIALE
per imprese individuali e soci di società di persone) della partecipazione
ricevuta in cambio ( se in possesso dei requisiti richiesti).
Tale operazione consente di rinviare la tassazione dei plusvalori ad un momento
successivo (cessione dei beni da parte del conferitario) ed evita che la cessione
“diretta” dell’azienda sia immediatamente assoggettata a imposizione ordinaria.
In virtù di tutto quanto sopra esposto, viene a determinarsi una situazione per la
quale:
la cessione (diretta) d’azienda comporta una tassazione “ordinaria” sulle
plusvalenze (essendo venuta meno l’imposta sostitutiva del 19%), ma al
cessionario vengono riconosciuti (fiscalmente) i maggiori valori dei beni
dell’azienda acquistata (sulla base del prezzo corrisposto);
attraverso una operazione più complessa, che prevede prima il
conferimento d’azienda in “regime di neutralità” (ex art.176, comma 3) e,
21
successivamente, la cessione delle partecipazioni in esenzione (totale o
parziale, se in possesso dei requisiti previsti dalla nuova formulazione
dell’art. 87 Tuir), per il cedente risulta esente la plusvalenza (che rimane
allo stato latente), mentre l’acquirente non ha la possibilità di far valere
fiscalmente il prezzo pagato.
Ne deriva che operazioni fungibili in termini di risultato siano trattate in modo
differenziato dal punto di vista fiscale, rimettendo alle parti la scelta tra chi di esse
subirà il carico fiscale dell’operazione
La disciplina del trasferimento d’azienda a titolo gratuito da parte
dell’imprenditore individuale viene integralmente recepita dagli artt. 57 e 67 del
nuovo Tuir: pertanto, il trasferimento d’azienda per causa di morte o per atto
gratuito è un’operazione neutrale, e l’azienda è assunta ai medesimi valori
fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa.
La neutralità opera anche se, entro cinque anni dall’apertura della successione, la
società esistente tra gli eredi viene sciolta e l’azienda resta acquisita da uno solo di
essi.
Viene, pertanto, confermato il principio già presente nella precedente
legislazione, per cui qualsiasi trasferimento a titolo gratuito è neutrale, a
condizione che l’attività del dante causa sia proseguita dagli aventi causa. Se
quest’ultimi non proseguono l’attività d’impresa e si limitano ad effettuare
operazioni di liquidazione la plusvalenza conseguita dalla cessione dell’azienda
sarà ritenuta imponibile come reddito diverso, senza poter usufruire nè della
tassazione frazionata nè di quella separata.
Lecce, 23 aprile 2005
AVV. MAURIZIO VILLANIAvvocato Tributarista in Lecce
componente del Consiglio dell’Unione Nazionale delle Camere degli Avvocati Tributaristi
www.studiotributariovillani.it - e-mail [email protected]
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