DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA INDUSTRIALE
INGEGNERIZZAZIONE DI MICROSTRUTTURE
LAUREANDO: MATTEO BELLIN 1080077
ANNO ACCADEMICO 2015 – 2016
2
ABSTRACT
Crescente interesse è dimostrato dalla comunità scientifica e dal
mondo produttivo nei confronti di dispositivi miniaturizzati che
presentino strutture di dimensioni micrometriche e
sub-micrometriche. Infatti, tali strutture determinano alcune
proprietà superficiali di un materiale, non ottenibili con approcci
alternativi, come in particolare bagnabilità, proprietà ottiche o
fotoniche. Inoltre risultano essere molto interessanti anche in
campo biomedico. Il lavoro di tesi si pone come obiettivo lo
sviluppo della catena di processo per la realizzazione di
componenti in materiale polimerico, aventi superfici funzionali,
realizzate tramite strutture gerarchiche su scala micrometrica, per
applicazioni biotecnologiche. Tra i vari processi per la produzione
di massa, la scelta è ricaduta sul processo di microstampaggio a
iniezione in quanto caratterizzato da un elevato grado di
automazione e ripetibilità, sfruttando degli stampi ad alta
risoluzione, di dimensione 2D ½, realizzati tramite fotolitografia
a due fotoni abbinata a replica moulding. L’aspetto innovativo
dell’attività di tesi consiste nell’industrializzare l’intera
catena di processo per la realizzazione di superfici funzionali di
tipo gerarchico, abbinando scrittura laser diretta, replica
moulding e stampaggio ad iniezione. Si tratta di una sfida in
termini tecnologici, ma la realizzazione di dispositivi con
superfici strutturate su scala micro- e nanometrica, in tempi brevi
e a basso costo, garantirebbe la fattibilità di studi scientifici e
applicazioni in ambito produttivo altrimenti non realizzabili. Ad
oggi, microstrutture di tipo gerarchico vengono realizzate mediante
tecniche litografiche (fotolitografia, litografia a fascio
elettronico, etc.), non adatte alla produzione su larga scala, in
quanto caratterizzate da processi lunghi e di costo elevato. Il
lavoro di tesi prevede l’utilizzo di tecnologie innovative per la
realizzazione degli stampi per micro stampaggio a iniezione,
ottimizzazione dei parametri di processo e caratterizzazione
geometrica e superficiale dei componenti stampati, contribuendo in
maniera significativa ed originale allo stato dell’arte.
2
3
INDICE
1.2 Descrizione del manoscritto
..................................................... 16
2 Tecniche di Micro-fabbricazione
..................................................... 18
2.1 Le tecnologie di produzione
...................................................... 18
2.1.1 I sistemi miniaturizzati
....................................................... 18
2.1.2 Le tecniche di miniaturizzazione
........................................ 20
2.2 Le tecnologie di stampaggio a iniezione
................................... 22
2.2.1 Lo stampaggio a
iniezione..................................................
23
2.3 Le tecnologie di creazione dei master
...................................... 29
2.3.1 USM (UltraSonic Machining)
............................................. 30
2.3.2 EDM (Electrical Discharge Machining)
............................... 30
2.3.3 LBM (Laser Beam Machining)
............................................ 31
2.3.4 EBM (Electron Beam Machining)
....................................... 32
2.3.5 Micro - ECM (ElectroChemical Machining)
........................ 32
2.3.6 Tranciatura fotochimica (Photoetching)
............................ 33
2.3.7 LIGA
....................................................................................
33
2.3.8 Microforgiatura
..................................................................
34
2.3.9 Stereolitografia
..................................................................
35
2.4 NanoScribe
................................................................................
36
2.4.2 Componenti principali
....................................................... 38
2.5.1 La super-idrofobicità
.......................................................... 44
2.5.2 La biomedicina
...................................................................
50
4
3.5 PS Crystal® 1540
.........................................................................
65
3.5.1 Il comportamento viscoelastico
......................................... 66
3.5.2 I modelli Cross e WLF
.......................................................... 68
4 CARATTERIZZAZIONE METROLOGICA
............................................... 71
4.1 La profilometria
..........................................................................
72
4.1.2 Profilometria ottica
.............................................................
81
4.2.1 Microscopio elettronico a scansione
.................................. 88
4.3 Le apparecchiature utilizzate
..................................................... 90
5 INDAGINE SPERIMENTALE
................................................................
93
5.3 La creazione del Master
...........................................................
105
5.4. Primo Workflow: Replica Moulding e soft imprinting
............. 107
5.4.1. Produzione della replica siliconica
.................................... 107
5.4.2. Il soft imprinting
...............................................................
108
5.5. Secondo Workflow: DLW su acciaio
......................................... 109
5.6. Lo stampaggio ad iniezione
...................................................... 113
5.6.1. La pressa
...........................................................................
114
5.6.2. Lo stampo
.........................................................................
115
5.7. Le procedure
accessorie..........................................................
118
5.7.3. La silanizzazione dei campioni
......................................... 123
6 RISULTATI SPERIMENTALI ........... Errore. Il segnalibro non è
definito.
6.1 Criteri di valutazione dei parametri
........................................ 128
6.2 NanoScribe
..............................................................................
129
6.2.3 I parametri secondari
....................................................... 141
6.3 La replica siliconica
..................................................................
145
6.4 L’inserto in TMSPM – Zr
..........................................................
147
6.5 Lo stampaggio ad iniezione
..................................................... 151
6.6 Discussione
..............................................................................
154
7.1 Conclusioni
..............................................................................
157
8.2 GWL Script
...............................................................................
165
8.2.1 Dose Matrix
......................................................................
165
ELENCO DELLE FIGURE
Figura 1.1 - Scansione al SEM del Taj Mahal, un esempio
dimostrativo del dettaglio e della risoluzione raggiungibile dalla
tecnologia DLW. ........... 16
Figura 2.1 - Dettaglio della superficie micro-strutturata di un
Compact Disk. Immagine acquisita tramite microscopio a forza
atomica. ............. 20
Figura 2.2 - Schematizzazione di una pressa per stampaggio ad
iniezione.
..................................................................................................................
24
Figura 2.3 - Tempo necessario per il completamento di ogni fase del
processo di stampaggio ad iniezione.
....................................................... 25
Figura 2.4 - Unità di plasticizzazione ed iniezione di una pressa
per microstampaggio ad iniezione. [11]
.......................................................... 27
Figura 2.5 - Fasi di processo del microstampaggio ad iniezione.
............. 28
Figura 2.6 - Principio di funzionamento del Direct Laser Writing.
............ 37
Figura 2.7 - NanoScribe Photonic Professional (GT)
................................. 38
Figura 2.8 - Confronto tra configurazione ad immersione in olio e
configurazione DiLL
...................................................................................
40
Figura 2.9 - Unità ottica e principali componenti.
.................................... 40
Figura 2.10 - Interfaccia principale di NanoWrite.
................................... 42
Figura 2.11 - Interfaccia grafica di DeScribe.
............................................ 43
Figura 2.12 - Goccia d'acqua appoggiata su una foglia di loto.
............... 45
Figura 2.13 - Rappresentazione dell'angolo di contatto.
......................... 46
Figura 2.14 - Angolo di contatto di avanzamento (a sinistra) ed
angolo di contatto di recessione (a destra) in una goccia
appoggiata su un piano inclinato di un angolo α.
...........................................................................
47
Figura 2.15 - Immagini al SEM di una foglia di loto.
L'ingrandimento aumenta andando verso destra. Sono chiaramente
visibili le microstrutture (in centro) ricoperte dalle
nanostrutture (a destra). ........ 48
Figura 2.16 Immagine al SEM di un petalo di rosa. Si osservano le
papillae sulle quali sono presenti le cuticole nanometriche.
.................................. 49
Figura 2.17 - Cellule staminali mesenchimali, rappresentate in
falsi colori.
..................................................................................................................
52
Figura 2.18 - Effetti dei vari pattern superficiali sull'attività
cellulare. .... 53
Figura 2.19 - Immagine dei cilindri prodotti nel lavoro
dell'Università di Padova.
.....................................................................................................
56
Figura 2.20 - Nano-strutture prodotte nel lavoro di
Stormonth-Darling et al. L’altezza e lo spessore delle strutture è
pari a 100 nm. ....................... 56
Figura 2.21 - Scansione al SEM della rappresentazione della statua
della libertà. Questo lavoro vuole mostrare le potenzialità della
tecnologia DLW alla base di NanoScribe.
...................................................................
57
Figura 2.22 - Deflettori parabolici prodotti con DLW.
.............................. 57
Figura 2.23 - Scansione al SEM delle strutture gerarchiche che
simulano la superficie del polpastrello dei gecko.
.................................................... 58
7
Figura 2.24 - Struttura 3d microporosa per la coltivazione
cellulare, prodotta con DLW. la dimensione in basso a sinistra di
ogni immagine indica la dimensione dei pori.
..................................................................
58
Figura 3.1 - Struttura del TMSPM.
...........................................................
62
Figura 3.2 Struttura del ZrBut.
.................................................................
63
Figura 3.3 - Struttura del monomero di polidimetilsilossano.
................. 65
Figura 3.4 - Andamento della viscosità in funzione della velocità
di deformazione per un materiale viscoelastico.
......................................... 67
Figura 3.5 - Curva di Cross e curva sperimentale per il Crystal
1540 a 240°C.
.......................................................................................................
69
Figura 4.1 - Distorsione del profilo provocata da un profilometro a
stilo.
.................................................................................................................
73
Figura 4.2 - Principio di funzionamento del
AFM..................................... 75
Figura 4.3 - Micrografia di una punta piramidale in nitruro di
silicio, prodotta tramite PECVD. L’altezza della piramide è di
circa 5 µm. ......... 76
Figura 4.4 - Suddivisione in settori del fotodiodo di un AFM.
.................. 76
Figura 4.5 - Principio di funzionamento del fotodiodo. A sinistra
una torsione dell'asta sposta il fascio laser principalmente lungo
l’asse orizzontale, mentre a destra si osserva una flessione
dell'asta che sposta il fascio laser verso l'alto.
.........................................................................
77
Figura 4.6 - Differenza della distanza tra punta e campione tra la
modalità a contatto e quella non a contatto.
.......................................... 78
Figura 4.7 - Principio di funzionamento del STM.
.................................... 79
Figura 4.8 - Modellazione numerica e scansione al STM di un
nanotubo in carbonio.
..................................................................................................
80
Figura 4.9 - Piano d'appoggio del STM easyScan.
................................... 81
Figura 4.10 - Principio di funzionamento di un microscopio ottico
confocale. In questo caso il fascio luminoso viene riflesso dalla
superficie del campione.
...........................................................................................
83
Figura 4.11 - Parametri che definiscono l'apertura numerica di un
obiettivo.
..................................................................................................
84
Figura 4.12 - Schema di funzionamento di un microscopio
elettronico. In questo caso è rappresentato un TEM.
..................................................... 86
Figura 4.13 - Schematizzazione di una lente elettromagnetica.
............. 87
Figura 4.14 Principali emissioni di un SEM e relativa profondità
dalla superficie del campione.
..........................................................................
88
Figura 4.15 - Profilometro ottico confocale Sensofar Plu Neox.
.............. 91
Figura 4.16 - Microscopio elettronico a scansione Quanta 250.
............. 92
Figura 5.1 - Elaborazione grafica di Test_01
........................................... 94
Figura 5.2 - Elaborazione grafica di Test_02
........................................... 95
Figura 5.3 - Utilizzo dell'icosaedro per la determinazione del
centro delle sfere secondarie.
......................................................................................
97
Figura 5.4 - Creazione del piccolo icosaedro stellato e suo
utilizzo per il posizionamento del centro delle sfere secondarie.
.................................. 97
8
Figura 5.5 - Determinazione dei triangoli ausiliari partendo dal
piccolo icosaedro stellato.
.....................................................................................
98
Figura 5.6 - Posizionamento delle sfere secondarie nella nuova
configurazione.
.........................................................................................
98
Figura 5.7 - Problema del sottosquadro. Le frecce indicano dove è
presente il problema, mentre in rosso è indicata la porzione di
spazio problematica.
............................................................................................
99
Figura 5.8 - Elemento utilizzato al posto della sfera secondaria.
............. 99
Figura 5.9 - Rappresentazione grafica di Test_03.
................................. 100
Figura 5.10 - Rappresentazione grafica della struttura Test_04
............ 101
Figura 5.11 - Rappresentazione grafica dell'elemento Test_04 v.2
....... 103
Figura 5.12 - Sezione dell'elemento negativo della struttura
Test_04. .. 104
Figura 5.13 - scansione della matrice con profilometro ottico.
L'immagine in alto è stata ottenuta con un ingrandimento 2x, mentre
quella in basso con un ingrandimento 20x.
.....................................................................
106
Figura 5.14 - Fotografia dell'inserto ottenuto in condizioni
ottimali. .... 109
Figura 5.15 - Modello 3D del porta-campioni progettato per
sostenere gli inserti in acciaio.
.....................................................................................
111
Figura 5.16 - Risultati della FEA sul porta-campioni. In questa
immagine viene mostrata la sollecitazione di Von Mises.
....................................... 111
Figura 5.17 -Risultato della FEA sul porta-campioni. In questo caso
viene mostrato lo spostamento lungo l’asse di applicazione delle
forze. ........ 112
Figura 5.18 - Fotografia del porta-campione
ultimato........................... 113
Figura 5.19 - Esploso della piastra mobile. L'inserto può essere
sostituito facilmente rimuovendo la piastra cilindrica.
.......................................... 116
Figura 5.20 - Dettaglio del sistema variotermico dello stampo.
All'interno dei tubi azzurri scorre il liquido di raffreddamento,
mentre il cavo grigio alimenta le terrmoresistenze.
.................................................................
117
Figura 5.21 - Inserto lucidato tramite processo elettrochimico. Si
possono notare le tracce della lavorazione di rettifica, e
l'attacco dell'elettrolita sulle zone laterali.
...................................................................................
119
Figura 5.22 - Inserto stampo inglobato all'interno della matrice
termoindurente.
......................................................................................
120
Figura 5.23 - Supporto il acciaio con finitura superficiale
ottenuta tramite lucidatura meccanica.
.............................................................................
121
Figura 5.24 - Formula chimica del Thricloro(octadecyl)silane
................ 124
Figura 6.1 - Vista dall'alto della modellazione 3D della matrice.
........... 132
Figura 6.2 - Dettaglio degli elementi di una matrice. Si può
osservare come la scala di colori rappresenti diverse potenze in
l’uscita del fascio laser.
.......................................................................................................
133
Figura 6.3 Immagine al SEM della matrice di elementi Test_01.
........... 133
Figura 6.4 - Esempio di struttura prodotta con dosaggio
evidentemente insufficiente. Il diametro esterno dovrebbe essere 14
µm. .................... 134
Figura 6.5 - Scansioni delle strutture con la miglior risoluzione
ottenute in questo primo tentativo.
..........................................................................
135
9
Figura 6.6 - Grafico delle dimensioni relative di Test_01 in
funzione del parametro D.
..........................................................................................
136
Figura 6.7 - Esempio di struttura soggetta a sovraddosaggio.
............. 137
Figura 6.8 - Matrice rappresentante i valori ottimali dei parametri
di processo, per la struttura Test_04.
........................................................ 138
Figura 6.9 - Immagine complessiva al SEM della Dose Matrix delle
strutture negative.
.................................................................................
139
Figura 6.10 - Immagine al SEM di un elemento della struttura
Test_02. Sono chiaramente visibili tracce di materiale non rimosso
correttamente all'interno delle cavità.
...........................................................................
140
Figura 6.11 - Immagine a sinistra: Test_04 prodotto con ScanSpeed
10000. Immagine a destra: Test_04 prodotta con ScanSpeed 18000. Si
può osservare come la struttura prodotta con una velocità minore
abbia una risoluzione nettamente migliore.
.................................................... 140
Figura 6.12 - Immagine al SEM di una cavità. Le scanalature
verticali sono chiaramente visibili da questa angolazione.
................................. 141
Figura 6.13 - Rappresentazione schematica delle modalità di
scrittura di NanoScribe.
............................................................................................
142
Figura 6.14 - Confronto tra le varie configurazioni. Immagine a)
nessun contour, scrittura in andata e ritorno. Immagine b) nessun
contour, scrittura solo in andata. Immagine c) una linea di
contour, scrittura sia in andata che in ritorno. Immagine d) una
linea di contour, scrittura solo in andata.
...................................................................................................
143
Figura 6.15 - Scansione dell'interno di una cava nel master
prodotto con NanoScribe. Sebbene non fosse possibile mettere a
fuoco con precisione, è possibile misurare il diametro della sfera
centrale ed osservare la presenza delle sfere nanometriche.
....................................................... 145
Figura 6.16 - Tomografia di una porzione della superficie della
lamina in PDMS, eseguita al profilometro ottico. Si può osservare
come le strutture vengano replicate fedelmente.
..............................................................
146
Figura 6.17 - Profili acquisiti dal profilometro ottico di tre
strutture Test_04 replicate su PDMS.
...................................................................
146
Figura 6.18 - Immagine dell'inserto dopo soft imprinting. Le zone
dove è avvenuto il distacco sono lucide.
...........................................................
148
Figura 6.19 - Scansione al SEM dell'inserto ottenuto con i
parametri di processo ottimali.
...................................................................................
150
Figura 6.20 - Analisi profilometrica del campione in TMSPM - Zr. Il
piano azzurro è fittizio, mentre la superficie dell'inserto
(visibile in rosso solo in alcuni punti) non è corretta.
..................................................................
151
Figura 6.21 - Scansione al SEM di una microstruttura gerarchica del
componente polimerico.
........................................................................
152
Figura 6.22 - Scansione al profilometro ottico delle microstrutture
del componente polimerico.
........................................................................
153
Figura 8.1 - Elemento base della struttura gerarchica atta alla
coltivazione cellulare in vitro.
................................................................
160
10
Figura 8.2 - Forma finale della struttura frattale.
.................................. 161
Figura 8.3 - Elemento geometrico di base modificato.
........................... 162
Figura 8.4 - Riproduzione tridimensionale della struttura completa,
comprensiva delle ultime modifiche.
...................................................... 162
Figura 8.5 - Modellazione tridimensionale della matrice. Si possono
osservare gli 8 gruppi geometricamente diversi, all'interno dei
quali variano i parametri di processo.
.............................................................
164
11
Tabella 2.2 - Caratteristiche tecniche del lascio laser di
NanoScribe. ..... 38
Tabella 2.3 - Caratteristiche tecniche dell'ottica di NanoScribe.
............. 39
Tabella 3.1 - Materiali utilizzati e loro funzione.
..................................... 60
Tabella 3.2 - Composizione del Ip-Dip commerciale. [40]
........................ 61
Tabella 3.3 - Caratteristiche del TMSPM.
................................................ 62
Tabella 3.4 - Caratteristiche del ZrBut.
.................................................... 63
Tabella 3.5 - Principali caratteristiche del PS Crystal 1540.
..................... 66
Tabella 4.1 - Parametri caratteristici del profilometro ottico
Sensofar Plu Neox.
........................................................................................................
91
Tabella 4.2 - Parametri caratteristici del microscopio elettronico
a scansione Quanta 250.
............................................................................
92
Tabella 5.1 - Parametri geometrici e dimensioni dell'elemento
Test_01 95
Tabella 5.2 - Parametri geometrici e dimensioni dell'elemento
Test_02 96
Tabella 5.3 - Parametri geometrici e dimensioni dell'elemento
Test_03.
...............................................................................................................
100
Tabella 5.4 - Parametri geometrici e dimensioni dell'elemento
Test_04.
...............................................................................................................
101
Tabella 5.5 - Dimensioni degli elementi della struttura Test_04 v.2
di primo tentativo.
.....................................................................................
102
Tabella 5.6 - Dimensioni degli elementi della struttura Test_04 v.2
definitivi.
................................................................................................
103
Tabella 5.7 - Valori ottenuti dalle simulazioni agli elementi
finiti. ........ 112
Tabella 5.8 - Caratteristiche della pressa per microstampaggio ad
iniezione Wittmann-Battenfeld MicroPower 15.
................................... 114
Tabella 5.9 - Pressa da microstampaggio ad iniezione Wittmann-
Battenfeld MicroPower 15.
....................................................................
115
Tabella 5.10 - Descrizione dei materiali usati per la lucidatura
degli inserti in acciaio.
...............................................................................................
121
Tabella 6.1 - Caratteristiche tecniche dell'ottica di NanoScribe
............ 131
Tabella 6.2 - Dimensioni del voxel con l'obiettivo installato su
NanoScribe.
...............................................................................................................
131
Tabella 6.3 - Parametri di processo definitivi per la produzione di
Test_04 v.2.
..........................................................................................................
144
Tabella 6.4 - Parametri ottenuti dalla scansione al SEM del master
prodotto con NanoScribe.
......................................................................
144
Tabella 6.5 - Parametri ottenuti dalla caratterizzazione
metrologica della lamina in PDMS.
.....................................................................................
147
Tabella 6.6 - Parametri di processo per l'ottenimento di strutture
in TMSPM - Zr su inserti in acciaio.
............................................................
148
12
Tabella 6.7 - Parametri di processo ottimizzati per lo stampaggio
ad iniezione di PS.
........................................................................................
152
Tabella 6.8 Risultati della caratterizzazione metrologica dei
componenti polimerici.
...............................................................................................
153
Tabella 6.9 - (Sopra) Misurazione delle varie caratteristiche
geometriche ottenute in ogni fase del progetto. (Sotto)
Quantificazione dell'errore relativo per ogni misurazione.
................................................................
155
13
1 INTRODUZIONE
Le caratteristiche superficiali dei materiali sono sempre state
oggetto di grande interesse per la comunità scientifica. Esse
infatti stabiliscono come il materiale interagisca con l’ambiente
esterno, e, pertanto, ne determinano la funzionalità. Le variabili
che influenzano le caratteristiche superficiali di un materiale
possono essere racchiuse in due grandi famiglie:
Caratteristiche chimiche, che dipendono dalla natura e dalla
composizione del materiale;
della rugosità della superficie.
Molti casi applicativi tuttavia richiedono che un certo componente
possieda delle caratteristiche superficiali diverse da quelle
effettive. La soluzione più comunemente adottata consiste nel
ricoprire i componenti con rivestimenti di diversa natura:
cromature, verniciature antiruggine, rivestimenti idrofobici sono
solo alcuni esempi. In questi casi si sfrutta la composizione
chimica del materiale d’apporto per ottenere la caratteristica
desiderata. Tuttavia, l’applicazione di un rivestimento altera le
caratteristiche del materiale di base: la durezza di un acciaio, ad
esempio, viene sostituita dalla durezza del rivestimento
antiruggine.
Negli ultimi anni ha iniziato a farsi strada un nuovo approccio,
che prevede di alterare le condizioni fisiche della superficie al
fine di ottenere delle caratteristiche ben definite. Questo ha
consentito di ottenere materiali
14
con prestazioni superiori senza alterare alcuna caratteristica
chimica, ma semplicemente grazie ad un controllo accurato della
superficie.
Sono molti i campi che beneficiano di questo avanzamento
tecnologico; in primis il settore biomedico, nel quale sono
indispensabili sia la biocompatibilità che il controllo della
rigidezza del substrato. Inoltre, hanno dimostrato interesse anche
altri settori industriali, che richiedono superfici con ben precise
caratteristiche ottiche, fotoniche, di bagnabilità, o
bio-mimetiche.
Uno dei metodi di maggior interesse che consente di ottenere le
caratteristiche richieste consiste nell’integrare delle micro- e
nano- strutture sulla superficie in questione. Questo approccio
garantisce un ottimo controllo delle caratteristiche superficiali,
in quanto dipendono dalle dimensioni e dalla geometria delle
features. Tuttavia, la qualità di queste strutture risulta essere
fondamentale per la corretta funzionalizzazione superficiale, e
l’ottenimento di grandi superfici micro- strutturate di elevata
qualità è a tutt’oggi una sfida tecnologica. La produzione di
queste applicazioni richiede inoltre metodi di produzione di massa
veloci ed affidabili, che consentano di integrare le strutture
funzionali in modo pratico ed economico. Pertanto, l’interesse
della comunità scientifica ed industriale si è concentrato sulla
tecnologia di microstampaggio ad iniezione di polimeri, in quanto
potenzialmente in grado di soddisfare tutte le richieste.
Svariati team di ricerca si sono allora concentrati sulla
determinazione ed ottimizzazione di tutti i parametri che
influenzano la qualità del microstampaggio ad iniezione. Il motivo
principale per cui questa tecnologia presenta delle complicazioni è
l’elevata superficie del componente, in relazione con il suo
volume. Questo fattore fa sì che il fuso si raffreddi molto
velocemente all’interno dello stampo, creando una “pelle” solida
che riduce il flusso di materiale, ed impedisce il corretto
riempimento delle cavità dello stampo. Questo fenomeno si manifesta
particolarmente nelle strutture con più alti aspect ratio, oppure
nelle strutture di dimensioni più piccole, dove il rapporto tra
superficie e volume è maggiore.
Il problema della creazione dello stampo è un altro fondamentale
argomento di studio della comunità scientifica ed industriale.
L’ottenimento di una superficie micro- o nano-strutturata su un
materiale che deve possedere elevate caratteristiche meccaniche
come durezza, rigidezza e resistenza all’usura presenta ancor oggi
molte difficoltà.
Questo lavoro di tesi si posiziona all’interno di questo scenario
tecnologico, e intende sfruttare le potenzialità di tecnologie
all’avanguardia per ottimizzare il processo di produzione di
superfici
15
dotate di micro- e nano-strutture anche complesse tramite
microstampaggio ad iniezione.
1.1 OBIETTIVI DEL LAVORO DI TESI
Questo lavoro di tesi mira alla determinazione di una procedura che
consenta di ottenere micro-strutture gerarchiche tridimensionali in
materiale polimerico.
La prima parte del lavoro consiste nell’analisi dello stato
tecnologico attuale. Questa sezione consiste nello studio di tutte
le moderne tecnologie a disposizione per la produzione di
micro-features, in particolare il micro-stampaggio ad iniezione ed
altre tecnologie emergenti. Tuttavia, solo una piccola parte del
progetto è incentrata sullo stampaggio polimerico in sé; gran parte
del lavoro consiste nello studio del processo atto a produrre
l’inserto dello stampo, che deve presentare sulla superficie il
negativo delle strutture finali.
Lo studio allora si incentra su altre tecnologie, in particolare la
cosiddetta Direct Laser Writing. Questa tecnica all’avanguardia
permette di ottenere elementi polimerici tridimensionali complessi
a piacere, e con risoluzioni tali da consentire la produzione di
strutture funzionali per ogni campo di applicazione. Attualmente
sono poche le tecnologie che consentono di produrre micro-strutture
così complesse e risolute; è proprio questa caratteristica che
identifica l’originalità del lavoro, e che apre la strada nuove
promettenti possibilità. L’elaborato infatti si concentra sulla
produzione di microstrutture gerarchiche, nella quale siano
compresenti sia elementi micrometrici che sub-micrometrici,
disposti in modo tale da creare delle strutture 2D ½.
16
FIGURA 1.1 - SCANSIONE AL SEM DEL TAJ MAHAL, UN ESEMPIO
DIMOSTRATIVO DEL DETTAGLIO E DELLA
RISOLUZIONE RAGGIUNGIBILE DALLA TECNOLOGIA DLW.
Molto lavoro inoltre è stato effettuato nello studio dei materiali.
Alcuni di essi, come il materiale polimerico da stampaggio ad
iniezione e il materiale atto a replicare le strutture durante il
processo di replica moulding, sono commerciali, e quindi sono stati
scelti da catalogo in base alle loro prestazioni. Il materiale con
cui sono state prodotte le micro- strutture, e che è stato inserito
all’interno dello stampo, è stato invece sintetizzato in
laboratorio. Ciò è dovuto al fatto che non esiste in commercio un
materiale con le prestazioni richieste a sopportare le
sollecitazioni dello stampaggio ad iniezione, e che al contempo sia
in grado di replicare strutture di dimensioni così ridotte.
Infine, sono stati effettuati degli studi riguardanti l’utilizzo di
nuove tecnologie in maniera non standard. In particolare, è stata
utilizzata la tecnica DLW per produrre il negativo delle
microstrutture direttamente sull’inserto metallico. Questo
approccio rende più snello l’intero processo, ma presenta dei
limiti legati principalmente alla resistenza all’usura del
materiale impiegato.
1.2 DESCRIZIONE DEL MANOSCRITTO
INTRODUZIONE
Viene descritto sommariamente il contesto in cui si pone
l’elaborato, si evidenziano gli obiettivi a cui si aspira, e
vengono descritte le varie fasi di lavoro.
17
TECNICHE DI MICRO-FABBRICAZIONE
Questo capitolo descrive pregi e difetti dei sistemi
miniaturizzati, focalizzandosi sulle tecnologie che ad oggi sono
disponibili per la produzione degli stessi. Particolare attenzione
viene posta sul micro- stampaggio ad iniezione e sul Direct Laser
Writing, in quanto verranno poi utilizzate durante la campagna
sperimentale. Grande enfasi viene posta sulla DLW, in quanto
presenta vari elementi di innovazione ed originalità. Vengono poi
descritti alcuni campi di applicazione, come la biomedicina e la
super-idrofobicità. Infine, viene presentata una breve revisione
sulla letteratura, nella quale si illustrano i risultati che a
tutt’oggi si riescono ad ottenere.
MATERIALI
Nel capitolo 3 vengono descritte le motivazioni che hanno portato
alla scelta di be determinati materiali. Questi ultimi vengono
illustrati nelle loro potenzialità e nei loro limiti. In
particolare, viene presentato un materiale sintetizzato in
laboratorio, e ne vengono mostrati i precursori e le
caratteristiche.
CARATTERIZZAZIONE METROLOGICA
Di fondamentale importanza è la caratterizzazione metrologica, in
quanto permette di stabilire se un risultato è considerabile come
accettabile oppure è da scartare. In questo capitolo vengono
illustrati gli strumenti utilizzati per effettuare questa
caratterizzazione, dalla profilometria ottica alla microscopia
elettronica.
INDAGINE SPERIMENTALE
Il capitolo 5 descrive nel dettaglio tutte le prove sperimentali
eseguite, dalla fase di progettazione, all’esecuzione vera e
propria, illustrando le varie sfide incontrate.
OTTIMIZZAZIONE DEI PARAMETRI DI PROCESSO E RISULTATI
In questo capitolo vengono descritte le procedure adottate per
ottimizzare tutti i parametri delle varie procedure. Infine,
vengono illustrati i risultati dell’elaborato.
CONCLUSIONI
Il capitolo conclusivo riassume il lavoro di ricerca,
evidenziandone i risultati, gli aspetti che richiedono ulteriori
analisi e gli sviluppi futuri.
18
2 TECNICHE DI MICRO- FABBRICAZIONE
In questa sezione vengono analizzate le varie tecnologie di
produzione di componenti micro-strutturati, con particolare
riferimento a quelle utilizzate in questa campagna sperimentale.
Particolare attenzione viene dedicata al microstampaggio ad
iniezione e alla tecnologia DLW di NanoScribe. Inoltre, molta
attenzione è stata data agli ambiti che competono a questo studio,
ossia la super-idrofobicità e lo sviluppo di strutture atte alla
crescita e sviluppo di culture cellulari.
2.1 LE TECNOLOGIE DI PRODUZIONE
2.1.1 I SISTEMI MINIATURIZZATI
Negli ultimi anni è stata investita una particolare attenzione allo
sviluppo di sistemi miniaturizzati, ossia di tutti quei componenti
in cui le dimensioni massime siano nell’ordine dei micrometri.
Innumerevoli settori hanno
19
intravisto nella miniaturizzazione la possibilità di espandere le
proprie potenzialità, siano essi nel campo biomedico,
nell’ingegneria dei materiali, nelle tecnologie informatiche o
nell’elettronica.
Le applicazioni che beneficiano della miniaturizzazione sono
considerevoli. Tra esse vi sono: [1]
Microchip per computer;
Archiviazione dati (sia su supporti magnetici che unità allo stato
solido);
Microsistemi elettro-meccanici (MEMS);
Celle a combustibile;
Di fatto, la miniaturizzazione di sistemi comporta alcuni vantaggi
altrimenti irraggiungibili:
La riduzione del peso e del volume;
L’abbattimento della richiesta energetica per unità;
L’accentuarsi di caratteristiche intrinseche al materiale, che
nella scala macrometrica sono solo marginali;
La possibilità di rispettare tolleranze dimensionali molto
ridotte;
L’aumento delle prestazioni meccaniche, nonché il controllo molto
accurato delle stesse.
Tuttavia vi sono anche una serie di problematiche associate alla
produzione di sistemi miniaturizzati, che sono principalmente
collegati alla tecnologia di produzione e ai costi dei
macchinari:
Macchinari poco precisi producono risultati non accettabili, che
possono anche peggiorare le caratteristiche dei componenti; sono
allora richiesti strumenti ben calibrati e molto affidabili,
pertanto molto costosi.
Le caratteristiche ambientali assumono una rilevanza molto più
significativa. Si ritengono indispensabili, in taluni casi, delle
contromisure efficaci, come il controllo di temperatura e di
umidità, la riduzione delle polveri in sospensione, l’isolamento
dalle vibrazioni e dalle radiazioni elettromagnetiche.
Per questi motivi la ricerca nel campo del micrometro e del
nanometro è stata limitata per molto tempo ai settori più
all’avanguardia, come il settore biomedicale, oppure ai settori che
potessero sostenere elevate spese di ricerca e sviluppo, come il
settore automotive o il settore informatico.
20
Ad oggi ciò non di meno alcune tecnologie sono talmente mature da
essere entrate nella vita di tutti i giorni: si pensi ad esempio ai
Compact Disk, che presentano delle incisioni profonde pochi
nanometri, o ai processori per PC, nei quali in pochi centimetri
quadrati sono presenti miliardi di transistor aventi dimensioni
dell’ordine della decina di nanometri.
FIGURA 2.1 - DETTAGLIO DELLA SUPERFICIE MICRO-STRUTTURATA DI UN
COMPACT DISK. IMMAGINE
ACQUISITA TRAMITE MICROSCOPIO A FORZA ATOMICA.
Il continuo sviluppo di tecnologie sempre più accurate ed a buon
prezzo sta conducendo anche altri settori ad intraprendere la
strada delle micro- e nano-tecnologie, dando così il via allo
studio di nuove strategie produttive che permettano
l’ottimizzazione di tutti quegli strumenti che ad oggi sono agli
albori, ma che possiedono ampie potenzialità che devono ancora
essere sfruttate.
2.1.2 LE TECNICHE DI MINIATURIZZAZIONE
Ad oggi è presente un gran numero di tecnologie atte a produrre
elementi micro-strutturati. Queste si differenziano in base
a:
Precisione raggiunta;
Materiali processabili;
Volume produttivo;
Parametri operativi del componente finale.
Ciò nonostante alcuni studi hanno tentato di organizzare tutte le
varie tecnologie in base al principio di funzionamento,
raggruppandoli in quattro diversi meccanismi [2]:
Tecnologie sottrattive: micro-lavorazioni per asportazione di
truciolo, vaporizzazione (EDM, EBM, LBM), dissoluzione (chimica od
elettrochimica);
Tecnologie formative/deformative: micro-forgiatura, micro-
stampaggio a iniezione, sinterizzazione;
Tecnologie additive: DLW, CVD, PVD, elettroformatura,
elettrodeposizione, stereolitografia, deposizione polimerica;
Unione di più componenti: micro-saldatura termica, ad ultrasuoni,
laser, incollaggio.
Queste diverse tecnologie presentano ciascuna vari punti di forza e
alcuni difetti, pertanto vanno selezionate in base alla tipologia
di prodotto finale. È inoltre opportuno tener presente l’origine di
queste tecnologie: mentre alcune sono state concepite
originariamente per la produzione di sistemi miniaturizzati (ad
esempio EBL), altre sono adattamenti di tecnologie già esistenti
per componenti macroscopici, come lo stampaggio ad iniezione.
Pertanto è motivo di interesse lo studio delle diverse
problematiche ad essi associati: mentre i primi sono spesso carenti
in termini di affidabilità e sono poco collaudati, i secondi
presentano problemi legati ai parametri di funzionamento, che
possono variare notevolmente quando si considerano dimensioni molto
piccole.
Nelle considerazioni preliminari di questo studio, sono stati
analizzati i principali fattori da rispettare per garantire la
corretta funzionalità dei componenti:
Grandi volumi produttivi;
Geometrie 2D ½ , ossia strutture bidimensionali nelle quali sono
presenti variazioni significative di altezza.
Sebbene vi siano molte tecnologie che permettono il raggiungimento
di precisioni molto superiori a quelle richieste, ed alcune di esse
siano in grado di replicare oggetti in 2D 1/2 (anche se è raro da
ottenere senza complicazioni), risulta molto più difficile trovare
una tecnologia che permetta la produzione di grandi volumi senza
innalzare enormemente i costi. È abbastanza naturale allora che
l’attenzione si sia focalizzata sul microstampaggio ad iniezione di
polimeri.
Questa tecnologia presenta dei vantaggi considerevoli:
22
Discende da una tecnologia ampiamente collauda, che permette una
eccellente automazione, un costo per componente ridotto, e le
problematiche dovute alla miniaturizzazione sono state ampiamente
studiate e possono essere compensate ottimizzando i parametri di
processo [3] o applicando delle modifiche allo stampo, senza
stravolgere il funzionamento della pressa [4].
È disponibile una grande quantità di materiali polimerici, ed è
quindi possibile scegliere le caratteristiche migliori, siano esse
meccaniche, termiche, reologiche o di biocompatibilità.
Tuttavia è necessario tener presente che lo stampaggio a iniezione
è una tecnologia che permette la replicazione di una geometria, e
non è possibile plasmare una nuova geometria partendo
esclusivamente dal materiale base. È allora fondamentale l’utilizzo
di una seconda tecnologia, che permetta la creazione degli stampi
necessari alla pressa da microstampaggio. In questo caso non è più
richiesto un elevato volume produttivo, in quanto sono sufficienti
poche matrici. La tecnologia scelta per questa procedura è la
litografia laser diretta, disponibile presso il laboratorio Te.Si.
di Rovigo grazie a Nanoscribe, uno strumento che sfrutta un fascio
laser e un fenomeno noto come assorbimento a due fotoni per
produrre microcomponenti in diversi materiali.
In particolare, questa tecnologia consente:
Il raggiungimento di risoluzioni dell’ordine delle centinaia di
nanometri, quindi più che sufficienti per i componenti prodotti in
questo lavoro di tesi;
La produzione di geometrie 2D ½ e 3D complesse: si tratta di una
delle poche tecnologie, se non l’unica, che consente di creare
solidi free form con pochissimi vincoli geometrici. Ciò risulta
fondamentale per questo lavoro di tesi.
Pertanto, l’utilizzo combinato di queste due tecnologie è stato
valutato come il miglior metodo per la produzione dei
microcomponenti strutturati trattati in questo studio.
2.2 LE TECNOLOGIE DI STAMPAGGIO A INIEZIONE
All’interno della famiglia delle tecnologie di stampaggio a
iniezione sono racchiuse tutti processi che prevedono la
trasformazione di materie plastiche attraverso la fusione di un
materiale di partenza e l’iniezione dello stesso all’interno di uno
stampo. Si tratta di una delle tipologie di processo più diffuse;
infatti il 32% in peso di tutta la produzione mondiale di
componenti polimerici prodotta viene processata attraverso lo
23
stampaggio ad iniezione [5]. Il principio su cui si basa questa
consiste nell’iniettare all’interno di uno stampo un determinato
quantitativo di plastica fusa.
Questo processo viene ampiamente utilizzato nel panorama
industriale a causa di una serie di vantaggi:
È un processo che permette di elaborare un ampio range di
dimensioni (si possono stampare manufatti da meno di 1 mg a più di
10 kg). [6]
Possono essere utilizzati tutti i materiali termoplastici, siano
essi puri, blend, caricati con fibre corte e perfino con fibre
lunghe. [7]
È possibile ottenere finiture superficiali elevate.
Le operazioni di rifinitura post-processo sono nulle o
minime.
I volumi produttivi sono elevati, e il costo di produzione per
pezzo è molto basso.
È possibile automatizzare quasi interamente il processo.
2.2.1 LO STAMPAGGIO A INIEZIONE
Lo stampaggio a iniezione convenzionale prevede l’utilizzo di
macchinari dedicati, chiamati semplicemente presse da stampaggio a
iniezione, le quali, sebbene possano essere differenti in termini
di dimensione, alimentazione o meccanica, possono essere
schematizzate nello stesso modo:
Gruppo di plastificazione, comprensivo di una vite senza fine a
profilo e a sezione variabile alloggiata all’interno di un cilindro
riscaldato elettricamente;
Gruppo di chiusura, composto da uno stampo a due o tre piastre ed
un sistema atto alla movimentazione dello stesso, spesso costituito
da un sistema a ginocchiera.
24
FIGURA 2.2 - SCHEMATIZZAZIONE DI UNA PRESSA PER STAMPAGGIO AD
INIEZIONE.
Il ciclo di iniezione, ossia la serie di processi che consentono la
produzione di un pezzo finito, sono i seguenti:
1. Plastificazione: durante questa fase la vite è posta in
rotazione, al fine di produrre il quantitativo necessario di
materiale fuso necessario durante la fase di iniezione. Durante
questa fase il materiale fuso viene costretto nella zona terminale
della vite, in prossimità dell’ugello, e genera una spinta sulla
vite.
2. Iniezione, riempimento ed impaccamento: quando la quantità di
plastica fusa è tale da riempire completamente la cavità dello
stampo, la vite smette di ruotare, lo stampo viene chiuso con forza
e la vite avanza, iniettando il materiale all’interno dello stampo.
Fintanto che il fuso rimane al di sopra della temperatura di
transizione vetrosa, la vite esercita una pressione positiva, in
modo da compensare il più possibile il ritiro dovuto al
raffreddamento. Non appena il foro da dove viene iniettata la
plastica (gate) solidifica, la vite arretra e ricomincia a ruotare,
in modo da preparare il materiale per la stampata successiva.
3. Raffreddamento ed estrazione: dopo che tutto il materiale
all’interno dello stampo è sceso al di sotto della temperatura di
transizione vetrosa, lo stampo si apre e dei piccoli braccetti
(estrattori) spingono il prodotto finito al di fuori dello
stampo.
I tempi necessari per l’esecuzione di ciascun processo sono
illustrati in FIGURA 2.3.
25
FIGURA 2.3 - TEMPO NECESSARIO PER IL COMPLETAMENTO DI OGNI FASE DEL
PROCESSO DI STAMPAGGIO
AD INIEZIONE.
Quando il mercato ha mostrato interesse per la miniaturizzazione di
componenti polimerici, sono state adattate le presse ad iniezione
già esistenti in commercio. In questo modo, tuttavia, sono stati
raggiunti i limiti operativi delle tecnologie stesse, quali
l’incapacità di raggiungere i parametri operativi adeguati, o
l’impossibilità di ottenere strutture con elevato aspect ratio.
Pertanto è stata necessaria la realizzazione di macchine
appositamente pensate per il microstampaggio, che però state
sviluppate solo a partire dalla seconda metà degli anni ’90.
[8]
Infatti, tentativo di adeguamento di questa tecnologia per la
lavorazione di componenti miniaturizzati ha portato alla comparsa
delle seguenti problematiche:
Il quantitativo di materiale che viene perso per il riempimento dei
canali di riempimento e della carota raggiunge molto spesso il 90%
del totale, causando un aumento notevole dei costi. In particolare
materiali adatti a scopi medici possono essere molto costosi (ad
esempio l’acido polilattico, un materiale con ottime
caratteristiche di biocompatibilità e biodegradabilità arriva a
costare 3000 € /kg).
La presenza di canali di riempimento massivi comporta anche un
aumento del tempo ciclo, dal momento che tutto il materiale
all’interno dello stampo deve scendere al di sotto della
temperatura di transizione vetrosa prima di poter essere
estratto.
Problemi notevoli sorgono a causa della dimensione dei pellet.
Infatti molto spesso la massa di un singolo pellet risulta
essere
26
molto maggiore rispetto alla massa del prodotto da stampare (la
massa di un grano di PMMA è di circa 24 mg, mentre la massa di
certi componenti può arrivare anche a meno di 1 mg). Inoltre,
poiché l’altezza dei canali della vite deve essere tale da
permettere almeno il passaggio di un grano (indicativamente 1 mm),
non è possibile produrre viti di diametro inferiore a 14 mm. Questo
comporta l’utilizzo di viti di inerzia considerevole, che
richiedono una corsa minima notevole per raggiungere la velocità di
iniezione richiesta. Tutto ciò causa un aumento della quantità
minima iniettabile dalla vite.
L’utilizzo delle quantità di materiale minime possibili per la
pressa comporta un aumento della difficoltà nella stabilizzazione
dei parametri di processo, in particolare della temperatura, con
l’aumento del rischio di degradazione del polimero o di mancato
riempimento della cavità stessa (short shot).
A causa della configurazione della vite, il materiale può refluire
all’interno dell’unità di plasticizzazione, comportando una
scorretta pressione di impaccamento. [9]
Cavità più piccole all’interno dello stampo comportano un aumento
eccessivo del riscaldamento viscoso e un incremento della pressione
di iniezione. Questo comporto lo scorrimento del materiale
all’interno delle cavità, che quindi non rispetta il cosiddetto
flusso a fontana. Le conseguenze di queste variazioni reologiche
possono influenzare le caratteristiche meccaniche e termiche del
prodotto finito. [10]
2.2.2 IL MICROSTAMPAGGIO A INIEZIONE
Tutti i problemi elencati nel capitolo precedente hanno costretto i
produttori di presse per iniezione a modificare il principio di
funzionamento dei macchinari, in modo da rendere fattibile la
produzione di componenti micro-strutturati con maggiore semplicità.
Le scelte costruttive adottate possono essere schematizzate in due
categorie:
1. Le modifiche sono state ottenute da semplici riduzioni
dimensionali delle unità di iniezione (e di conseguenza anche dei
pellet), che hanno consentito migliori dosaggi per ogni
iniezione.
2. Sono state apportate modifiche concettuali alla unità di
iniezione. In particolare è stata divisa l’unità di
plasticizzazione dall’unità di iniezione.
La seconda scelta risulta essere quella che porta i maggiori
vantaggi, in quanto è possibile utilizzare pellet di dimensioni
normali, con evidenti
27
vantaggi in termini economici. La pressa così strutturata presenta
una unità di plasticizzazione composta da vite e cilindro
riscaldato, di dimensioni standard, che solitamente vengono posti
verticalmente o con un angolo di 45° rispetto alla verticale. Il
fuso viene poi convogliato all’interno di un secondo cilindro
riscaldato, all’interno del quale è presente un pistone.
Quest’ultimo è di piccole dimensioni (solitamente attorno ai 5 mm)
ed è controllato da un servomotore elettrico; queste due
caratteristiche rendono possibile un controllo molto accurato del
dosaggio, e una riduzione notevole della quantità di materiale
iniettata, che può raggiungere la decina di microgrammi.
FIGURA 2.4 - UNITÀ DI PLASTICIZZAZIONE ED INIEZIONE DI UNA PRESSA
PER MICROSTAMPAGGIO AD
INIEZIONE. [11]
L’unità di plasticizzazione e l’unità di iniezione sono quindi
svolti da componenti diverse, che si ripartiscono i compiti nel
modo seguente (FIGURA 2.5) :
1. L’unità di plasticizzazione trasforma il polimero da solido a
fuso, accumulandolo nella zona terminale della vite.
2. Prodotta una quantità di materiale necessaria, la vite avanza,
spingendola all’interno dell’unita di iniezione. Non appena finisce
il processo, una valvola blocca le comunicazioni tra le due unità,
prevenendo il reflusso del materiale all’interno dell’unità di
plasticizzazione. Questo passaggio ha un effetto positivo nel
controllo dei parametri di processo. La vite arretra e comincia a
produrre materiale per l’iniezione successiva.
28
3. Un pistone dedicato trasferisce l’esatta quantità di materiale
dal cilindro di iniezione allo stampo.
4. Il pistone, completata la corsa, viene controllato da un sensore
di pressione posto nello stampo, e viene spinto in avanti fino ad
esercitare un valore di pressione specifico (pressione di
impaccamento).
5. Congelato il punto di collegamento tra iniettore e stampo, il
pistone arretra.
Da questo momento in avanti, il ciclo è analogo a quello dello
stampaggio a iniezione classico. [12]
FIGURA 2.5 - FASI DI PROCESSO DEL MICROSTAMPAGGIO AD
INIEZIONE.
29
MASTER
Come già accennato nel PARAGRAFO 2.1, le tecnologie di stampaggio
ad iniezione necessitano di uno stampo per poter produrre un
componente. Si richiedono allora delle tecnologie ausiliari, che
siano in grado di produrre uno o più stampi, con i quali avviare la
produzione di massa dei componenti polimerici.
La principale tecnica con cui vengono prodotti stampi per
componenti macroscopici è l’asportazione di truciolo: le fresatrici
a controllo numerico disponibili ad oggi sul mercato sono in grado
di lavorare una grande varietà di materiali, quali alluminio,
acciai di vari tipi e durezze, o altri metalli duri, in tempi
ragionevoli e con finiture superficiali elevate.
Addentrandosi all’interno della scala micrometrica, si incappa in
una serie di problematiche che, di fatto, rendono inutilizzabile la
tecnologia della fresatura a controllo numerico:
Micro-lavorazioni richiedono l’utilizzo di utensili di dimensioni
ridottissime; questo fa sì che, per mantenere velocità di taglio
adeguate, siano necessarie rotazioni a velocità elevatissime, fino
a 1'000’000 giri/min, difficilmente raggiungibili con gli elettro-
mandrini commericali.
La finitura superficiale data dall’asportazione di truciolo non è
elevatissima, e può causare problemi nel caso di strutture con
aspect ratio elevati.
Le tempistiche di lavorazione si allungano considerevolmente, dal
momento che la quantità di materiale asportabile da un utensile
molto piccolo è anch’essa piccola.
Pertanto, si sono sviluppate delle nuove tecnologie che hanno
permesso di ottenere strutture di dimensioni micrometriche con
tolleranze e finiture adeguate, e con tempi di produzione
ragionevoli.
Queste possono essere suddivise in base al principio di
funzionamento: [13]
PRINCIPIO METODO
30
2.3.1 USM (ULTRASONIC MACHINING)
Il principio di funzionamento di questa tecnologia si basa su una
azione meccanica, ossia le parti di un componente non necessarie
vengono rimosse portando il componente a rottura, sia essa fragile
o plastica.
Nelle lavorazioni ultrasoniche un utensile, solitamente immerso in
un liquido contenente delle particelle abrasive, viene fatto
vibrare a frequenza ultrasonica, in modo tale da generare una forza
abrasiva sul pezzo che lo porti a rottura di tipo fragile. La
dimensione della lavorazione è strettamente collegata alla
dimensione dell’utensile, e la finitura dipende dalla dimensione
delle particelle abrasive.
I problemi principali legati a questa tecnologia sono l’accuratezza
della configurazione e gli effetti dinamici del macchinario.
Infatti le vibrazioni ultrasoniche rendono difficile l’afferraggio
e il mantenimento in posizione del pezzo. Inoltre, gli effetti
dinamici, che ovviamente non possono essere rimossi, rendono poco
preciso il macchinario stesso. Tuttavia, recenti sviluppi hanno
ridotto considerevolmente le problematiche relative a questa
tecnologia, rendendola competitiva nel suo settore.
2.3.2 EDM (ELECTRICAL DISCHARGE MACHINING)
Questa tecnologia si basa sulla capacità di concentrare una elevata
quantità di energia in un punto molto ridotto, portando alla
fusione o alla vaporizzazione del materiale esclusivamente in quel
punto.
In particolare, nella tecnologia EDM l’energia viene fornita
attraverso una serie di scariche elettriche pulsate. Per realizzare
componenti micro- strutturate è necessario che l’energia applicata
sia la minore possibile, e questo fattore è oggetto principale
degli studi attuali. Si è osservato che per ridurre al minimo
l’energia utilizzata è necessario abbassare la capacità “parassita”
del sistema, ossia la sua attitudine ad accumulare carica. Sebbene
sia possibile controllarla per l’utensile, non è possibile lo
stesso per il pezzo, dal momento che geometrie diverse hanno
capacità diverse.
La forza di questa tecnologia è la sua semplicità e versatilità: è
possibile produrre utensili di varie forme e dimensioni, ed è
sufficiente un generatore elettrico e un meccanismo di attuazione
accurato per produrre un semplice dispositivo EDM.
31
L’utilizzo dell’EDM in immersione in liquidi dielettrici, come olio
minerale o acqua demineralizzata migliore certi aspetti della
lavorazione: l’utilizzo di olio migliora la finitura superficiale e
la precisione, l’acqua demineralizzata invece permette di aumentare
la velocità del processo.
La più grande problematica di questa tecnologia è la sua
limitazione nella tipologia di materiali lavorabili; questi infatti
devono necessariamente essere conduttivi. La lavorazione di
ceramici non conduttivi è possibile in certe condizioni, ma il
metodo di lavorazione è ancora in fase di sviluppo.
2.3.3 LBM (LASER BEAM MACHINING)
Una tecnica di lavorazione alternativa prevede di fornire energia
al materiale attraverso un fascio laser focalizzato su un singolo
punto. A seconda della tipologia di laser usato, si ottengono
risultati diversi.
Laser a CO2 o a stato solido (Nd:YAG): permettono di ottenere fori
con aspect ratio relativamente bassi (da 1 a 2). Inoltre, lo
scioglimento del materiale attraverso l’alta temperatura che
raggiunge il punto focalizzato comporta la comparsa di un layer ri-
solidificato e di una zona termicamente alterata, che possono
compromettere le prestazioni meccaniche del materiale. Tuttavia a
causa della grande potenza che possono raggiungere i generatori del
fascio, questa tecnologia è di gran lunga la più efficiente tra le
tecniche di microlavorazione disponibili.
Laser a eccimeri: grazie alla loro energia più elevata e al
funzionamento ad impulsi, questi laser permettono di ottenere
lavorazioni più accurate e prive di layer ri-solidificati o zone
termicamente alterate. Con questa tecnologia vengono interposte
delle maschere tra il fascio laser e il pezzo da lavorare, ed esse
vengono replicate sul componente. In questo modo è possibile
generare diverse lavorazioni contemporaneamente, migliorandone
l’allineamento e la replicabilità. Poiché l’energia associata al
legame tra le molecole del gas all’interno del generatore del
fascio laser è paragonabile all’energia di legame delle plastiche,
risulta evidente che queste ultime siano i materiali che meglio si
prestano a questa lavorazione. L’utilizzo di alte potenze combina
un effetto termico oltre all’energia fotonica, rendendo adatti
tutti i materiali a questa lavorazione.
Laser Full Spectrum: è una tecnologia che sfrutta un laser pulsato
ad altissima frequenza. La durata di un impulso è dell’ordine di
10-16 secondi, e il picco di potenza è dell’ordine di 1012 W.
32
Qualunque materiale sottoposto a un impulso di questa potenza
evapora all’istante; inoltre, la brevità del processo fa sì che non
ci sia il tempo per la formazione di una zona termicamente
alterata, né di un layer di materiale sciolto e solidificato. Per
questo motivo questa tecnologia risulta eccellente nell’ambito
della micro- lavorazione.
2.3.4 EBM (ELECTRON BEAM MACHINING)
La fonte energetica per questa lavorazione è un fascio di elettroni
ad alta velocità, che colpiscono direttamente il materiale,
aumentandone la temperatura fino a vaporizzazione. Tensioni
comprese tra 50-200 kV sono utilizzate per accelerare gli elettroni
fino all’80% della velocità della luce. Tra i vantaggi di questa
tecnologia vi sono la possibilità di tagliare qualunque materiale,
con finiture superficiali elevate e larghezze di taglio ridotte.
Tuttavia, affinché sia possibile controllare con precisione il
flusso di elettroni, è necessario che il materiale sia posto
all’interno di una camera a vuoto. Inoltre, l’interazione tra
elettroni e la superficie del pezzo provoca l’emissione di raggi X,
perciò il macchinario deve essere opportunamente schermato ed
utilizzato esclusivamente da personale specializzato. [14]
2.3.5 MICRO - ECM (ELECTROCHEMICAL MACHINING)
Le lavorazioni elettrochimiche si basano sulla dissoluzione
elettrochimica dei metalli, che essenzialmente è il principio
inverso rispetto all’elettrodeposizione. In questa tecnologia
l’utensile (catodo) è posto in prossimità del pezzo da lavorare
(anodo), e un elettrolita viene posto nell’interfaccia grazie a dei
fori presenti sull’utensile. Fornendo corrente al sistema, la parte
di materiale più prossima all’utensile ionizza ed entra in
soluzione nell’elettrolita. La elevata velocità dell’elettrolita fa
sì che gli ioni metallici non riescano ad aderire all’utensile,
pertanto non vi sono alterazioni di alcun tipo nella geometria
dell’utensile stesso. Tra i punti di forza di questa tecnologia vi
sono:
La lunga durata dell’utensile, dal momento che non è a contatto con
il pezzo e pertanto non viene usurato; l’unico fattore che tuttavia
può portare a usura è la corrosione chimica causata
dall’elettrolita.
La velocità di asportazione del metallo è solamente proporzionale
alla velocità di scambio ionico; pertanto il Material Removal Rate
non dipende da resistenza, durezza o tenacità del pezzo. Si
33
possono dunque lavorare anche metalli molto duri, e non è
necessario che l’utensile possieda una durezza superiore al pezzo,
come invece accade per le lavorazioni dove vi è contatto tra
utensile e pezzo.
È tuttavia necessario puntualizzare che questo processo può essere
utilizzato esclusivamente su materiali conduttori.
2.3.6 TRANCIATURA FOTOCHIMICA (PHOTOETCHING)
Questo processo sfrutta una fonte luminosa per apportare delle
modifiche sostanziali a un determinato materiale. Viene generata
una maschera, che solitamente consiste in una lamina di materiale
trasparente sulla quale viene stampato un pattern con una vernice
opaca, e viene posta sopra al materiale. L’esposizione alla fonte
luminosa completa il processo. Vi sono molte variabili che devono
essere tenute in considerazione:
Il materiale deve essere fotosensibile alla lunghezza d’onda della
sorgente luminosa; per ottenere questo risultato sono necessari
degli additivi chimici nel caso delle plastiche, mentre se si
lavorano materiali metallici è necessario che siano immersi in
sostanze foto- attivabili.
La maschera deve essere trasparente alla luce nelle zone da
lavorare, e perfettamente opaca nelle zone che invece devono
rimanere invariate. Inoltre la precisione della maschera determina
la precisione della lavorazione. Solitamente le maschere vengono
prodotte attraverso un processo di stampa tradizionale.
Lo smaltimento delle sostanze chimiche usate durante il processo
deve essere svolto con perizia, in quanto possono essere rischiose
per la salute degli operatori. [14]
2.3.7 LIGA
La tecnologia LIGA (acronimo tedesco per Lithographie,
Galvanoformung, Abformung) è un processo sviluppato nei primi anni
’80 per produrre oggetti micro-strutturati. I punti di forza di
questa tecnologia sono i seguenti:
Aspect ratio molto elevati, fino a 100:1
Pareti verticali prive di angoli di sformo
Finitura laterale molto elevata, con Ra = 10 nm
34
Nel processo, un polimero fotosensibile viene esposto a una fonte
luminosa attraverso una maschera, in un processo molto simile alla
tranciatura fotochimica. Successivamente il polimero viene usato
come supporto per effettuare una elettrodeposizione. Infine viene
rimosso il polimero restante, ottenendo così un inserto metallico
che può essere utilizzato per i processi di iniezione
plastica.
La fonte luminosa inizialmente utilizzata era un flusso di raggi X
prodotti da un sincrotrone; grazie all’alta frequenza della
radiazione e alla possibilità di ottenere un fascio perfettamente
lineare, è possibile ottenere pareti verticali molto precise e
accurate. Successivamente sono stati introdotti generatori di luce
UV, decisamente più economica ma con risoluzioni minori.
La maschera è composta da:
Una zona a ridotto assorbimento di raggi X, solitamente composta da
grafite, silicio, titanio o diamante;
Una zona ad elevato assorbimento di raggi X, solitamente oro,
nickel, rame, stagno, piombo od altri;
Un anello metallico, atto a mantenere allineata la maschera e ad
asportare il calore. Le elevatissime temperature che raggiungono i
componenti esposti alla radiazione impongono l’utilizzo di
materiali con elevata trasmissibilità termica, in modo da ridurre i
gradienti di temperatura e quindi le deformazioni.
La tecnologia di produzione delle maschere solitamente è la EBL,
poiché è in grado di ottenere elevati livelli di dettaglio.
L’utilizzo di maschere prodotte per elettrodeposizione è
sicuramente più economico, ma riduce anche il livello di dettaglio
ottenibile. [15]
2.3.8 MICROFORGIATURA
La forgiatura è sicuramente uno dei processi più utilizzati per la
deformazione massiva, e numerosi studi sono stati eseguiti per
cercare di portare questa tecnologia nel campo delle
microlavorazioni. [16] I problemi principali legati all’utilizzo di
questa tecnologia nel campo nella micro-scala sono:
La produzione di micro-stampi e micro-punzoni;
Il corretto posizionamento ed allineamento di stampi e
punzoni.
Il primo problema può essere risolto sfruttando le tecnologie di
produzione elencate precedentemente. Ad esempio gli stampi possono
essere prodotti attraverso le lavorazioni ad ultrasuoni od
elettrochimiche,
35
mentre i punzoni possono essere prodotti attraverso micro-
elettroerosione.
Più problematico è invece il secondo punto: la possibilità di usare
dei micro-punzoni è strettamente collegata allo sviluppo di
tecnologie che ne permettano l’allineamento e la sostituzione con
facilità. Una possibile soluzione è l’adozione concetto di
produzione dell’utensile direttamente dal macchinario. L’utilizzo
della microforgiatura per produrre direttamente lo stampo e il
punzone permette di ottenere corretti allineamenti tra le parti
mobili e fisse, con accuratezze dell’ordine del micrometro.
Tuttavia non è possibile ottenere sistemi con singolo stampo ma
diversi punzoni.
2.3.9 STEREOLITOGRAFIA
Tra le tecnologie emergenti spicca in maniera principale la
stereolitografia. Questa tecnologia combina metodi di addizione e
di asportazione di materiale; in questo modo combina le
caratteristiche migliori di entrambe le tecnologie, permettendo la
creazione di componenti con elevate risoluzioni e geometrie
complesse. Il principio di funzionamento è la fotopolimerizzazione,
ossia la capacità di particolari monomeri di legarsi assieme se
investiti da un fascio di luce. Calibrare correttamente il fascio
di luce, concentrandolo esclusivamente in determinate zone,
permette di produrre degli oggetti tridimensionali definiti. Agli
albori di questa tecnologia, nei primi anni ’70, veniva utilizzata
una luce ultravioletta come fonte del fascio luminoso, e delle
maschere opache permettevano di selezionare quali zone dovessero
essere polimerizzate. Con l’avvento dei processori digitali, è
stato possibile ottimizzare questo procedimento, sfruttando un
laser il cui fascio viene controllato numericamente.
Tuttavia il livello di precisione ottenibile da questa tecnologia
non è elevato (indicativamente si ottiene una risoluzione
dell’ordine delle centinaia di micrometri); ciò dipende dalla
precisione del fascio, e dal fatto che il processo di
polimerizzazione si propaga leggermente anche al di fuori della
zona colpita dal fascio.
Questa tecnologia è alla base dello strumento principale con cui
sono stati prodotti i master richiesti per questa campagna di
studi; l’implementazione di una nuova tecnologia ha permesso il
raggiungimento di risoluzioni assolutamente più elevate, rendendola
così la tecnologia più adatta per questo tipo di lavoro.
36
2.4 NANOSCRIBE
Lo strumento con cui sono state eseguite gran parte delle
lavorazioni per qualunque tipologia di microstruttura è NanoScribe
Photonic Professional GT. Esso è un dispositivo per la litografia
laser tridimensionale, con il grande vantaggio di non richiedere
alcun tipo di maschera per polimerizzare il substrato. [17]
2.4.1 PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO
Nanoscribe sfrutta una serie di lenti per focalizzare un fascio
laser pulsato in un piccolo volume, chiamato voxel. A causa della
modalità con cui viene focalizzato il fascio, il voxel assume la
forma di un ellissoide, le cui dimensioni sono approssimativamente
1200 nm di altezza, 600 nm di larghezza e 600 nm di
profondità.
La porzione di resist sottoposto al fascio laser subisce un
processo definito polimerizzazione a due fotoni, il meccanismo
chiave sfruttato da Nanoscribe e che permette di ottenere
risoluzioni eccellenti, fino a due ordini di grandezza inferiori
rispetto a quelle ottenibili con altre tecniche stereolitografiche.
[18]
2.4.1.1 LA POLIMERIZZAZIONE A DUE FOTONI
La polimerizzazione a due fotoni è un fenomeno che si basa sulla
teoria dell’assorbimento a due fotoni, un fenomeno ottico non
lineare teorizzato da Maria Goeppert-Mayer nel 1937 e dimostrato
negli anni seguenti, quando la tecnologia ha permesso di generare
dei fasci laser aventi le caratteristiche necessarie. [19]
Il principio viene sfruttato nella stereolitografia a causa di una
serie di vantaggi notevoli:
Viene fornito al materiale una energia sufficientemente elevata da
garantire l’avviamento di determinate reazioni chimiche, come ad
esempio l’assorbimento simultaneo di due fotoni;
È un processo statisticamente molto improbabile, ma è possibile
aumentare le possibilità che avvenga in un determinato punto. Di
conseguenza è possibile controllare con molta precisione dove
avverrà la reazione.
37
Una particolare molecola presente nel materiale, chiamata
iniziatore, viene bombardata con un fascio laser impulsivo ad alta
energia ed altissima frequenza, ed assorbe l’energia equivalente a
due fotoni. Gli elettroni di questa molecola si eccitano e saltano
dal livello base al livello 2. Dopo un tempo molto breve,
dell’ordine di 10-12 secondi, gli elettroni scendono di un livello,
decadendo in uno stato di tripletta, nel quale sopravvivono per un
tempo molto più lungo, dell’ordine di 10-3 secondi. Durante questo
periodo la molecola genera un radicale libero, ossia rompe un
doppio legame o apre un anello epossidico, a seconda del materiale
di partenza. Questa reazione si propaga da monomero a monomero, e
pertanto dà il via alla polimerizzazione.
FIGURA 2.6 - PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO DEL DIRECT LASER
WRITING.
In questo modo è possibile raggiungere livelli di accuratezza molto
alti, dal momento che l’assorbimento a due fotoni è un fenomeno
statistico che dipende dal quadrato dell’intensità del fascio
luminoso, e che pertanto possiede una soglia di attivazione molto
elevata e raggiunta solo nel punto in cui il laser è perfettamente
focalizzato. [20] Grazie a questo fenomeno è possibile raggiungere
livelli di dettaglio con una risoluzione maggiore rispetto alla
lunghezza d’onda del fascio laser.
È infine necessario che il resist sia opaco alla lunghezza d’onda
generato dal fascio laser, ma deve essere trasparente alle altre
lunghezze d’onda specialmente a quella che attiva il processo di
assorbimento a singolo fotone, che attiverebbe la polimerizzazione
incontrollata su tutto il resist, compromettendo il risultato. I
resist studiati per operare con Nanoscribe assorbono a due fotoni
lunghezze d’onda di circa 470 nm, mentre assorbono a singolo fotone
lunghezze d’onda di circa 940 nm, corrispondenti all’infrarosso.
Pertanto, l’intero sistema è posto all’interno di una teca in
policarbonato, che funge da schermo contro queste particolari
lunghezze d’onda.
38
FIGURA 2.7 - NANOSCRIBE PHOTONIC PROFESSIONAL (GT)
Il sistema è composto da un rack contenente il processore e il
generatore del fascio laser, un secondo cabinet contenente le varie
ottiche del sistema, un microscopio e un terminale dotato di
interfaccia grafica, che permette il controllo da parte
dell’utente.
2.4.2.1 LASER
Il fascio laser che viene generato dal sistema deve possedere
alcune determinate caratteristiche, poiché deve essere tale da
permettere solo ed esclusivamente la polimerizzazione a due fotoni,
ed evitare il più possibile la polimerizzazione a singolo
fotone.
Le caratteristiche tecniche sono le seguenti: [21]
Tipologia Laser pulsato
Lunghezza d’onda media 780 nm (vicino infrarosso) Potenza di picco
25 kW Durata dell’impulso 100 fs Frequenza 80 MHz
TABELLA 2.2 - CARATTERISTICHE TECNICHE DEL LASCIO LASER DI
NANOSCRIBE.
39
Vi sono due diverse modalità di controllo della potenza del laser.
Queste vengono espresse grazie dei comandi implementati nel
software di controllo della macchina:
PowerScaling: è una variabile che viene determinata da un
dispositivo chiamato modulatore opto-acustico e che consente di
valutare quale sia la massima potenza esprimibile dal generatore
del fascio. Pertanto, il valore massimo di PowerScaling
raggiungibile dipende da una serie di fattori quali età del
generatore, condizioni ambientali, ore di attività del laser etc. I
valori massimi ottenibili dal dispositivo presente in laboratorio
sono attorno a 1,33.
LaserPower: è un parametro controllato direttamente dal generatore
del fascio, ed esprime la percentuale della potenza massima
stabilita dal parametro PowerScaling. Varia tra 0 e 100.
NanoScribe è impostata di default in modo tale che con PowerScaling
pari a 1 e LaserPower pari a 100 eroghi una potenza in uscita di 20
mW.
2.4.2.2 OBIETTIVO
Permette sia di focalizzare il fascio laser in un punto preciso, e
inoltre permette di avere una visione del processo di scrittura
(purché venga attivata una fonte di illuminazione).
L’obiettivo presente nel sistema a nostra disposizione è il
seguente:
Ingrandimento 63x
NA 1.4 Working Distance 360 µm Condizioni di operatività Immersione
in olio/DiLL
TABELLA 2.3 - CARATTERISTICHE TECNICHE DELL'OTTICA DI
NANOSCRIBE.
L’obiettivo possiede una serie di vantaggi e di svantaggi. Tra le
caratteristiche apprezzabili si annoverano.
Un elevato NA, tra i più alti raggiungibili, che permette una
eccellente focalizzazione del fascio laser.
La possibilità di lavorare in DiLL, ossia Dip-in Laser Lithography,
una tecnologia che consiste nell’immergere l’obiettivo direttamente
nel resist. Questo permette di ridurre l’aberrazione sferica, e di
mantenerla costante durante tutto il processo di scrittura, a
vantaggio della risoluzione di scrittura. Inoltre, l’altezza della
struttura da stampare è limitata
40
esclusivamente dalle dimensioni del portacampioni, e pertanto può
raggiungere i 2000 µm e oltre.
Tuttavia è necessario utilizzare dei resist adeguati, poiché una
eventuale polimerizzazione incontrollata dello stesso comporterebbe
un danneggiamento dell’obiettivo, fino a renderlo
inutilizzabile.
FIGURA 2.8 - CONFRONTO TRA CONFIGURAZIONE AD IMMERSIONE IN OLIO E
CONFIGURAZIONE DILL
Tra gli svantaggi vi sono invece:
La working distance piccola, pari a 360 µm. Questo valore non tiene
conto dello spessore del vetrino; in configurazione standard,
l’altezza massima di lavoro è limitata a 140 µm.
L’immersione in olio, oltre a richiedere la pulizia dell’obiettivo
dopo ogni spostamento o cambio di portacampione, riduce la qualità
della focalizzazione del fascio laser, a causa dell’aberrazione
sferica.
La presenza di una videocamera collegata al microscopio, e a dei
sistemi di illuminazione sia in trasmissione che in riflessione
permette di avere una visione della lavorazione in corso.
FIGURA 2.9 - UNITÀ OTTICA E PRINCIPALI COMPONENTI.
41
2.4.2.3 RESIST
Con il termine resist si intende la miscela di componenti che
rendono possibile la polimerizzazione attraverso DLW. Solitamente,
sono composti da due diverse molecole, ossia i monomeri e
l’iniziatore.
A seconda di come reagiscono alla luce del laser, i resist si
differenziano in due categorie:
Resist negativi: la porzione di volume esposto al fascio e che
raggiunge il valore di soglia polimerizza, mentre tutto il resto
rimane in fase liquida. Sono i resist più comuni, ed è la tipologia
di resist utilizzato in questo studio.
Resist positivi: il fascio laser che colpisce il materiale inibisce
la polimerizzazione. Pertanto, affinché il materiale polimerizzi è
necessario un trattamento successivo, come una esposizione ai raggi
UV, la quale agirà solo sulle zone non attivate dal fascio laser.
Vengono utilizzati nei casi in cui le strutture siano
principalmente piene, e dove siano presenti delle cavità. In questo
caso è sufficiente “scrivere” dove sono presenti delle cavità,
risparmiando molto tempo.
Questa tipologia di resist tuttavia possiede lo svantaggio di
essere particolarmente sensibile alle condizioni ambientali, e
poiché può essere utilizzato solo con un obiettivo ad aria (mettere
il resist a diretto contatto con l’obiettivo potrebbe danneggiare
gravemente quest’ultimo, poiché la luce ambientale potrebbe
iniziare la polimerizzazione del resist), non è possibile creare un
ambiente protetto dentro il quale controllare i parametri
ambientali con assoluta precisione.
2.4.2.4 IL CONTROLLO SOFTWARE
Vi sono principalmente tre diversi software adibiti al controllo e
alla programmazione di NanoScribe:
NanoWrite: è il software principale, che controlla tutti i
parametri della macchina e che fornisce le istruzioni in linguaggio
macchina al laser e al piano di lavoro. Tra le varie funzioni vi è
anche la possibilità di monitorare i parametri di scrittura, di
eseguire diagnostiche o di impostare delle correzioni
42
ad errori sistematici, come inclinazione del piano di lavoro o
aberrazione sferica.
FIGURA 2.10 - INTERFACCIA PRINCIPALE DI NANOWRITE.
DeScribe: si tratta di un software di compilazione, attraverso il
quale l’utente traduce le figure geometriche in linguaggio
proprietario della macchina, ossia il GWL. Tra le varie funzioni vi
sono la possibilità di visualizzare in 3D una simulazione virtuale
del lavoro di stampa, compresi parametri di processo e stima del
tempo di esecuzione, ed un tool che permette di importare con
facilità un disegno CAD 3D in GWL, in modo da poter creare i
modelli geometrici con software di terze parti, come Autodesk
Inventor o SolidWorks della Dassault Systemes. Inoltre, è presente
un sistema di debug, che permette di identificare con facilità gli
eventuali errori di compilazione dell’operatore.
43
FIGURA 2.11 - INTERFACCIA GRAFICA DI DESCRIBE.
AxioVision: è il sistema di controllo del microscopio Carl Zeiss
integrato nella macchina; con esso è possibile visualizzare in
tempo reale il lavoro eseguito, acquisire istantanee e video, e
correggere i parametri delle immagini acquisite.
2.4.2.5 IL CONTROLLO DEL PIANO DI LAVORO
NanoScribe integra tre diverse metodologie di controllo
posizionale:
StageScanMode: il piano di lavoro di muove grazie all’ausilio di
due motori elettrici collegati a delle piccole viti a ricircolo di
sfere. In questo modo è possibile ottenere ampi movimenti, tali da
coprire tutta l’area di lavoro della macchina (circa 100 mm x 100
mm), ma con precisioni relativamente basse. Prove in laboratorio
hanno determinato errori nel posizionamento del piano di lavoro
pari fino a 6 micrometri; questo valore è notevole, se si considera
che la risoluzione massima dello strumento è di circa 200
nanometri.
PiezoScanMode: il piano di lavoro si muove grazie a degli attuatori
piezoelettrici: a differenza della movimentazione meccanica, si
possono ottenere le massime risoluzioni possibili, ma i movimenti
sono limitati ad un’area di 300 µm x 300 µm, e la velocità massima
ottenibile è di circa 300 µm/s. Ciò nonostante è il metodo di
controllo con cui è possibile ottenere le risoluzioni e finiture
migliori.
GalvoScanMode: in questa particolare configurazione il piano di
lavoro rimane fermo, mentre una serie di specchi galvanometrici,
posizionati a monte dell’obiettivo, deviano il fascio laser. In
questo modo si riescono ad ottenere risoluzioni
44
elevate, anche se non pari a quelle ottenibili con gli attuatori
piezoelettrici, e velocità di scrittura senza pari; la velocità
massima dello strumento con questa modalità di scrittura è di 50
mm/s, ossia due ordini di grandezza superiore rispetto alla
modalità PiezoscanMode.
2.5 I CAMPI DI APPLICAZIONE
In questo capitolo vengono analizzati i campi in cui le tecnologie
descritte finora possono portare un significativo contributo, con
particolare riferimento alle tematiche che competono a questo
studio.
Tra tutti i possibili vantaggi elencati nei paragrafi precedenti,
sono stati considerati in maniera particolare due aspetti:
La possibilità di alterare le caratteristiche della superficie di
un pezzo, in modo tale da farlo interagire in maniera mirata con
altre sostanze; in particolare, il parametro principe che viene
considerato è la bagnabilità. Variazioni di questo parametro
possono rendere un materiale idrofilo, idrofobico o super-
idrofobico.
La presenza di elementi micro- e nano-strutturati permette di
modificare la rigidezza e la rugosità della superficie del
componente, rendendolo atto all’adesione, alla proliferazione e
alla differenziazione di cellule staminali mesenchimali.
(MSC).
2.5.1 LA SUPER-IDROFOBICITÀ
Una superficie idrofobica, o comunemente detta idrorepellente, è
una superficie lungo la quale le gocce d’acqua non riescono ad
aderire, e quindi rotolano verso zone ad energia potenziale minore.
Più semplicemente, è una superficie che non viene “bagnata”
dall’acqua. Esempi di superfici idrofobe possono essere osservate
in natura; la più eclatante, e anche la principale fonte di
ispirazione nello studio in questo campo, è la foglia di
loto.
45
FIGURA 2.12 - GOCCIA D'ACQUA APPOGGIATA SU UNA FOGLIA DI
LOTO.
2.5.1.1 IL PRINCIPIO FISICO
Al fine di illustrare il significato di idrofobicità e di
super-idrofobicità, è prima necessario introdurre alcuni concetti.
Innanzitutto, è necessario tenere in considerazione il principio
termodinamico per cui un sistema tende ad assumere la
configurazione che gli consenta di immagazzinare la minor energia
possibile.
Si consideri adesso una goccia di un qualunque liquido appoggiata
su una superficie solida. Le forze messe in gioco da questa
configurazione sono le seguenti:
Forze di adesione: tendono ad aumentare l’interazione tra il
liquido e la superficie, appiattendo la goccia ed aumentando la
superficie della stessa;
Forze di coesione: tendono a minimizzare l’energia superficiale, e
di conseguenza fanno assumere alla goccia la geometria con il minor
rapporto superficie/volume, ossia la sfera;
Forza peso: può influenzare il comportamento della goccia in vari
modi, a seconda della sua posizione rispetto alla superficie;
solitamente però le masse in gioco sono talmente basse da rendere
trascurabile la sua influenza.
La bagnabilità di una superficie dipende dall’equilibro di queste
forze; maggiori sono le forze di coesione rispetto a quelle di
adesione, meno bagnab