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IL MEDIOEVO
1- Panoramica generale
di Luigi Gentile
Tradizionalmente la storia europea viene divisa in quattro epoche: antica, medievale, moderna e
contemporanea.
Il termine Medioevo (Media Aetas) fu usato per la prima volta nella seconda metà del XV secolo
dall'umanista Flavio Biondo, per identificare quel lungo periodo storico, dalla caduta dell’Impero
romano d’Occidente, nel 476, alla fine del 1400, quindi, fra l’età classica (greco-romana) e la
rinascita umanistica che ad essa si ispirava.
Inizio e fine: nel corso di mille anni, l’epoca medievale si sviluppò con caratteristiche e fenomeni
diversi, pertanto anche i pareri sulla sua origine e la sua fine non furono unanimi, interessando
molti stati, tali date furono per lo più legate ad importanti eventi locali: in Italia e in qualche altro
paese, per l’inizio fu usata la data convenzionale del 476 (caduta dell’Impero Romano
d’Occidente), mentre per la fine fu presa (una fra le tante) quella del 1492, data della scoperta
dell’America, ma la moderna storiografia tende a spostare la fine del Medioevo al XVIII secolo,
inizio dell’era industriale
Suddivisioni: una parte di storici preferisce la suddivisione del periodo in Basso ed Alto Medioevo
mentre la gran parte è più favorevole ai quattro periodi:
V-VI secolo: Tarda antichità. In Oriente persisteva un'autorità imperiale forte, fino alla morte di
Giustiniano, in Occidente iniziavano le invasioni barbariche
VII-X secolo: Alto Medioevo. Nascevano i regni barbarici ed avveniva l’invasione islamica nel
bacino del Mediterraneo
XI-XIII secolo: Pieno Medioevo. Iniziava la nascita e l’affermazione dei Comuni (in Italia),
eternamente in lotta fra Impero e Papato.
XIV-XV secolo (dopo la peste nera): Basso o tardo Medioevo. Terminava il sistema feudale,
nascevano e si stabilizzavano le monarchie nazionali europee.
Tarda antichità (V-VI sec)
Le rivoluzioni sociali, economiche, culturali e religiose segnarono il definitivo tramonto del sistema
romano, questi ed altri fattori furono la base per la creazione di un movimento che porterà al
concetto di identità europea.
In questo periodo popoli nomadi, che scorrazzavano ai confini dell’impero romano e popolazioni
germaniche, slave, sarmatiche, portarono alla nascita di regni romano-barbarici; alcune orde
furono soltanto interessate alla conquista, alla rapina ed al bottino, altre non si fecero influenzare
dalla vecchia cultura romana ed imposero le loro leggi, mentre altre ancora, affascinate da questa
cultura, cercarono di farla propria e furono un valido aiuto per l’impero
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Alto Medioevo (VII-X)
I Regni romano-barbarici: Lo sfascio dell’Impero romano non fu una catastrofe, l’incontro fra
culture diverse produsse l’integrazione delle popolazioni: se il vecchio sistema romano non fu
completamente accettato, se ne presero gli usi ed i costumi, dal mangiare al vestire, dal latino si
formarono le lingue romanze, il greco continuò ad essere la lingua ufficiale dell’Impero bizantino,
gli artigiani si scambiarono le loro conoscenze, tutti mantennero la cultura intellettuale romana.
Se durante l’Impero romano gli eserciti venivano pagati con le tasse dei cittadini, i nuovi arrivati
iniziarono a pagarli con assegnazione di terre, quindi, non riscuotendo più le tasse, diminuirono le
entrate ed il sistema fiscale decadde; scomparendo l’erario, la società cittadina andò in crisi, si
bloccarono tutte le infrastrutture, scomparve anche la schiavitù non più necessaria.
Scomparvero i mercati e tutte le produzioni manifatturiere, i commerci si bloccarono, anche per la
pericolosità dei tragitti, ci fu un crollo totale della produzione e del commercio, anche sulle lunghe
distanze.
Se il governo centralizzato romano lasciò il vuoto politico, nuovi popoli lo riempirono: Ostrogoti,
Burgundi e Franchi in Gallia, Visigoti in Spagna, Suebi in Galizia, Angli e Sassoni in Britannia e
Vandali in Nordafrica
Questi regni di volta in volta venivano riconosciuti da Bisanzio, dall'unico imperatore rimasto, il
quale non aveva alcun interesse a governare quelle aree ormai impoverite e decentrate, ma gli era
sufficiente la loro sottomissione, in cambio della legittimazione.
Queste popolazioni barbare, che spesso assunsero un ruolo distruttivo al momento del loro
insediamento, formarono dei grandi o piccoli regni, molto vulnerabili che, o vennero assimilati dai
vicini, o vennero battuti e reinseriti nell’impero bizantino; i Visigoti ed i Franchi, invece,
sopravvissero, sia per la rapida integrazione con la popolazione residente, sia per la
collaborazione con la Chiesa
Nel 568 i Longobardi, guidati da Alboino, invasero l’Italia, creando a un regno in dipendente, che
estese progressivamente il proprio dominio su gran parte del territorio italiano
La chiesa e il monachesimo: Quella che resistette bene alle invasioni barbariche fu la struttura
della Chiesa, i papi fecero valere la loro supremazia sugli altri vescovi in base al primato di Pietro;
la spinta più forte all’affermazione del papato avvenne sotto il pontificato di Gregorio Magno che,
oltre ad imporre il potere temporale del papa sul patrimonio di san Pietro, promosse
l’evangelizzazione della Britannia, e furono proprio i monaci irlandesi e scozzesi a fondare
numerosi monasteri e a convertire genti ancora pagane.
In questi secoli risultò fondamentale l'attività di Benedetto da Norcia, che nel 529 si stabilì a
Montecassino e istituì una Regola comune di vita cenobitica, che nel corso dei secoli venne
impiegata in tutto l'Occidente.
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I monasteri benedettini si diffusero in Europa e divennero non solo aggregati religiosi, ma anche
centri economici e di diffusione e conservazione della cultura, infatti, nelle loro biblioteche furono
raccolti, conservati e copiati moltissimi testi classici, che così vennero salvati dalla distruzione.
Nell'Alto Medioevo il Cristianesimo rappresentò il principale fattore di unificazione fra l'Europa
occidentale e orientale, ma i rapporti fra Roma e Bisanzio progressivamente andarono
deteriorandosi.
Cominciarono i dissidi tra l’imperatore bizantino ed il Papa: reciprocamente cercavano di
accaparrarsi il maggior numero di patriarcati e di diocesi, nacquero dei contrasti sul controllo del
Patrimonio di san Pietro, e le dispute teologiche acuirono le differenze fra Chiesa romana e quella
greca, tutte cose che sfociarono poi nello Scisma d’Oriente.
Nascita ed espansione dell'Islam: Nel VI secolo, la Penisola arabica era abitata nelle zone
centrali e settentrionali, da tribù nomadi indipendenti: nella parte meridionale vivevano popolazioni
sedentarie dedite al commercio, mentre i beduini, abitanti dei deserti arabi e strettamente
dipendenti dall'allevamento, erano invece nomadi e non disdegnavano la razzia ai danni di altri
gruppi, nomadi e non, e delle carovane dei mercanti.
All'inizio del VII secolo, Maometto riuscì ad unificare tutte queste tribù ed a farne una nazione,
fondando uno Stato teocratico; i successori politici di Maometto, i Califfi, avviarono una rapida
espansione territoriale, che seppe sfruttare le debolezze dell'Impero bizantino e di quello persiano
sasanide
Il regno dei Franchi e l'impero carolingio: Quando Clodoveo della dinastia dei Merovingi (V-VIII
sec.), verso la fine del V secolo, si convertì al cristianesimo e riconobbe l'autorità del Papato, i
Franchi si ingraziarono la locale aristocrazia gallo-romana ed ottennero l'appoggio dei vescovi.
Alla morte di Clodoveo, il regno dei Franchi si spaccò ed i regni creatisi, eternamente in conflitto fra
loro, gradatamente si indebolirono.
Di questa situazione, verso la fine dell’VIII secolo, approfittarono i maggiordomi di palazzo,
sovrintendenti con ampi poteri, fra cui si distinsero i Pipinidi che, una volta impossessatisi del
regno, lo resero ereditario, dando origine alla casata dei Carolingi
Con la vittoria di Carlo Martello sui mussulmani le loro incursioni vennero ridimensionate, ed il re si
pose come “difensore della cristianità”; la dinastia carolingia, nome con cui sono conosciuti i suoi
successori, si rafforzò ulteriormente quando Pipino il Breve, con la consacrazione personale del
papa Stefano II nel 751, legittimava il suo potere.
Sotto la dinastia pipinide o carolingia (VIII-X sec.), per opporsi alla disgregazione del potere
centrale e al pericolo delle incursioni esterne, i maggiori aristocratici del regno riempirono i vuoti di
potere della scala gerarchica, tramite un sistema vassallatico-beneficiario, più noto come sistema
feudale.
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I vassalli giuravano fedeltà ad un signore prestandogli un “servicium” (perlopiù di natura militare) e,
ne ricevevano in cambio protezione e un "benificium", termine che lascerà gradualmente posto al
più noto feudo.
Carlo Magno dal 774 conquistò ed inglobò buona parte dell'Europa occidentale nell'Impero
carolingio, arrivando a controllare un vastissimo territorio; la sua incoronazione imperiale nella
notte di Natale dell'800 segnò un evento sensazionale nella storia medievale, ma peggiorò le
relazioni con l'Impero bizantino, che non riconobbe l'avvenimento.
Impero carolingio
L'Impero era suddiviso in comitati, di estensione varia, amministrati da conti, che fungevano da
rappresentanti del potere imperiale, mentre ai margini dell'Impero furono costituite le marche,
territori con fortificazioni e guarnigioni militari considerevoli.
Il controllo sul territorio fu rafforzato con un sistema di emissari, i missi dominici, che si
occupavano del controllo dei funzionari pubblici e della diffusione dei capitolari. Carlo, pur
scegliendo una residenza stabile ad Aquisgrana, sede del palazzo reale, non abbandonò l'uso
barbarico della corte itinerante, che andava a mangiare dove c’era la produzione, piuttosto che far
pervenire tutto il necessario a corte.
Carlo Magno dette impulso a una vera e propria riforma nei vari ambiti culturali che è stata definita
dagli storici novecenteschi “Rinascita carolingia”, favorì l'insegnamento delle arti secondo la
divisione del trivium (grammatica, retorica e dialettica), e del quadrivium (aritmetica, geometria,
musica ed astronomia), in un rinnovato interesse per gli studi classici; in generale fu ridato impulso
alle scuole vescovili, alle scuole cattedrali, ed a quelle dei monasteri.
Fu in questo periodo che venne elaborata una nuova forma di scrittura, la minuscola carolina, che
molto facilitava la copiatura dei testi classici e la lettura, costituendo così la base di ogni
successiva corsiva minuscola.
L'Europa post-carolingia: Quando Carlo il Calvo morì nell'877 lasciò l'impero carolingio ormai in
dissoluzione; l'impero di Carlo Magno venne definitivamente smembrato ed i diversi reami fecero
di tutto per impossessarsi della corona che, pur sopravvivendo, divenne simbolo di un'autorità
sempre più teorica, fino a rimanere vacante a partire dal 924.
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I nuovi sovrani persero la funzione universalistica dei loro predecessori: scomparsa la visione
dell’Impero, cominciarono a far sempre più riferimento alle realtà nazionali, costituite dai propri
domini.
Alla disgregazione dell’Impero seguirono una serie di invasioni, non più opera di grandi masse, ma
di gruppi limitati, molto agguerriti, protesi soltanto al saccheggio ed alla ricerca di bottino.
Provenienti da nord e da sud provocarono danni in molte parti d’Europa: fra la fine dell'VIII e l'XI
secolo i Vichinghi o Normanni saccheggiarono le coste atlantiche e si stabilirono nelle Isole
britanniche e nell’Islanda; un altro gruppo, guidato da Rollone, nel 911 ebbe il permesso di
stabilirsi sulle coste francesi, in quella che è oggi la Normandia; l’Italia e la Germania subirono
continui attacchi dagli Ungari, mentre tutto il Mediterraneo subì la ferocia dei Saraceni.
Diversamente dalle invasioni precedenti provenienti da terra, molte di queste recenti arrivavano dal
mare con gravi conseguenze per gli insediamenti costieri, che si spopolarono per ricostituirsi
all’interno più protetto.
La Francia verso il 1150
Diversa e pacifica fu la presenza dei Normanni in Italia: fecero la prima comparsa quando nel
1017 un gruppo, guidato da Rainulf Drengot ed i suoi quattro fratelli, di ritorno da un pellegrinaggio
a Monte Sant’Angelo sul Gargano, venne in aiuto del duca Guaimaro di Salerno contro i Saraceni:
per ricompensa fu offerto loro la contea-ducato di Aversa.
Richiamati da coloro che si erano attestati nel primo caposaldo, arrivavano a piccoli gruppi come
mercenari, condotti da capetti e, date le loro capacità, venivano utilizzati dai signori locali per
risolvere piccoli conflitti, anche se non disdegnavano di espropriare con la forza qualche villaggio
o qualche abbazia. Fu una migrazione quindi sul tipo di quella attuata ai nostri giorni dalle
popolazioni meridionali verso le città del Nord.
Quelli che conquistarono le Puglie vi arrivarono dal mare, mentre quelli che occuparono Capua vi
giunsero dall’interno; in questa zona di confine fra i Ducati di Spoleto e di Benevento, i Normanni
non trovarono difficoltà ad inserirsi, (non sappiamo se con la prepotenza o pacificamente), ma è
certo che all'arrivo degli Altavilla costituivano già una parte notevole della popolazione.
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L’anno Mille
Abbiamo una buona conoscenza del periodo carolingio, o meglio della sua prima metà, fino agli
inizi del X secolo, e se ne è potuta ricostruire, senza tanti spazi vuoti, la vicenda quotidiana; in
seguito al rarefarsi dei documenti, col tracollo dell’impero di Carlo Magno, le notizie divennero
sempre più rare fin quasi a scomparire, l’oscurità cominciò a diradarsi, per concludersi solo verso
la fine dell’XI secolo, quando iniziò un periodo di grande fioritura letteraria ed intellettuale.
Ma è proprio in questo periodo buio, in cui il monaco Raul Glaber vedeva “il manto bianco delle
nuove Chiese”, che cominciarono a manifestarsi le nuove forme di organizzazione sociale ed il
rinnovamento economico, con la conseguente rinascita delle città.
Alla fine del primo millennio il panorama europeo, visto dall’alto, era formato da immense distese
di boschi, inframezzati da qualche piccola radura, dove erano confinati pochi uomini, tenuti reclusi
dalla foresta circostante.
Gli ultimi anni del Millennio ed i primi del nuovo furono contrassegnati da fenomeni meteorologici
di grande rilievo: annate altamente piovose seguite da annate torride, piogge torrenziali che
annegavano il bestiame e distruggevano i raccolti, inverni freddissimi ed estati torride portarono
terribili carestie.
In simili condizioni i primi a scomparire furono gli animali domestici, seguiti da cani e gatti,
scomparsi anche i topi si arrivò in molti casi al cannibalismo; certo non fu così
contemporaneamente dappertutto, ma a macchia di leopardo ed in tempi differenti queste
calamità colpirono tutta l’Europa.
Da quel po’ che ci è pervenuto e dalla cronaca del solito monaco Raul, si ha l’impressione che
proprio l’anno 1033 “anno mille dalla passione del Signore” abbia segnato il termine della lunga
serie di guai e l’inizio di quel periodo caldo che rese fecondo il Pieno Medioevo.
Pieno Medioevo (XI-XIII sec.)
Le signorie di banno e l'incastellamento: I sovrani dei Regni e dei Principati, derivati dallo
sfaldamento dell’Impero carolingio, si dimostrarono spesso incapaci di fronteggiare le invasioni di
Ungari, Normanni e Saraceni, pertanto i signori locali, sia laici che ecclesiastici, cominciarono a
innalzare fortificazioni per proteggere i propri possedimenti ed a organizzarsi indipendentemente
per difendersi da queste aggressioni.
A volte l’incastellamento era autorizzato dal re, ma il più delle volte ogni signore locale si difendeva
senza chiedere alcun permesso; inizialmente, erano costruzioni primitive su un rialzo di terra
riportata, generalmente in legno e recintate da palizzate in legno e da fossati (la motte).
, le fortificazioni in pietra sostituirono quelle in legno, furono collocate su alture difficili da
raggiungere, si ampliarono le zone abitabili ed i magazzini, e si rinforzarono con mura esterne,
tanto da garantire una maggiore sicurezza agli abitanti ed un controllo più efficace del territorio: ma
nel contempo, rafforzarono i poteri locali, a scapito di quelli centrali.
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Se col capitolare di Quierzy dell’877 i nobili avevano ottenuto la possibilità di rendere ereditarie le
loro cariche ed i loro feudi solo in casi eccezionali, con la promulgazione della Constitutio de
feudis del 1037 si permetteva a conti e marchesi di rendere trasmissibili irrevocabilmente le loro
assegnazioni (beneficia).
Conti e marchesi, affievolitosi il controllo regio, finirono per amministrare i vasti territori affidatigli
non più come cosa pubblica, ma come patrimonio famigliare; nei periodi di maggior disordine,
istituzioni ecclesiastiche e famiglie aristocratiche, distaccandosi dai grandi feudatari, cercarono di
imporre sui loro territori ridotti poteri simili a quelli comitali (signori di banno), allontanandosi
sempre di più dal potere centrale.
I signori di banno (o di castello), dopo aver fortificato le proprie residenze, imponevano la loro
autorità su tutti quelli che gravitavano nel circondario del castello, si appropriarono dei diritti
giudiziari, fiscali e militari, una volta appannaggio del re, ma in cambio si assunsero la difesa e la
salvaguardia del territorio.
Ordini sociali: Con l'affermarsi dei poteri signorili, si evidenziò la necessità di una demarcazione
fra i vari poteri; nacquero così gli “oratores” orientati alla preghiera (il clero), i "bellatores" destinati
alla difesa armata dei deboli e della Chiesa, ed i “laboratores” costretti a produrre cibo per tutti; col
tempo i secondi finirono per essere identificati con la nobiltà o viceversa.
La riforma gregoriana e i nuovi movimenti religiosi: Sin dall'alto Medioevo, la Chiesa ebbe il
controllo non solo religioso, ma anche politico ed economico sul territorio; infatti, i vescovi-conti
erano eletti dal re, ma a loro volta potevano eleggere vescovi ed abati, sempre provenienti dalla
nobiltà, a cui affidare diocesi o monasteri.
In tale contesto, anche i grandi signori feudali iniziarono ad erigere “ecclesie propriae” chiese,
monasteri ed abbazie rette da abati di comodo, svincolate dal controllo dei vescovi e sottoposte
unicamente all’autorità del papa, distante ed incapace di controllare.
Nata come abbazia privata per volere di Guglielmo IX d’Aquitania, Cluny fu premonitrice della
riforma della Chiesa, ai suoi monaci fu affidato il compito della preghiera corale, mentre il lavoro
veniva demandato ai laici: nei secoli X e XI vecchi e nuovi monasteri accettarono e si sottomisero
alla sua regola (congregazione cluniacense).
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Il successo di Cluny e della sua regola derivarono dal generale desiderio di riforma della Chiesa
oppressa da pratiche che le erano estranee: la simonia (vendita delle cariche), il Nicolaismo
(concubinato) e il nepotismo (cariche a parenti ed amici), ma anche da comportamenti scorretti,
specialmente fra i vescovi: mondanità, superficialità e l’uso di considerare la carica come lucrosa
rendita.
Diverse interpretazioni teologiche, problemi di potere e le distanze fra Roma e Costantinopoli,
portarono nel 1054 al definitivo Scisma d’Oriente con scomuniche reciproche. La Chiesa Cattolica
romana ruppe ogni rapporto con la chiesa greco-bizantina, che si autodefinì Chiesa ortodossa. e la
frattura fra Occidente e Oriente divenne insanabile.
Nel 1073 Ildebrando di Soana fu nominato papa come Gregorio VII, questi ribadì il concetto che
nessuna carica religiosa poteva essere dispensata da un laico e con il suo “Dictatus Papae”, che
poneva il potere del Papa al di sopra ogni altro, stabiliva che il pontefice aveva il potere di deporre i
sovrani non religiosi, scomunicarli e sciogliere i suoi sudditi dall’obbedienza.
Il Pieno Medioevo fu un periodo di grande fermento religioso: sulla scia di Cluny e del movimento
benedettino, nacquero molti ordini monastici (Cistercensi, Certosini, Camaldolesi) e ordini
religioso-cavallereschi (Templari, Gerosolimitani), contemporaneamente si diffusero movimenti
pauperistici (Valdesi, Umiliati, Catari), fondati sull'ideale della vita apostolica e sulla volontà dei
laici di predicare il Vangelo, ma sconfinarono nell’eresia e furono condannati.
Se da un lato venne istituito il tribunale dell’Inquisizione contro le eresie, dall'altro venne
incoraggiata la predicazione popolare con la legittimizzazione degli Ordini Mendicanti (Francescani
e Domenicani), che avevano giurato voti di povertà e si guadagnavano da vivere mendicando.
Monarchie nazionali Sacro romano impero
Alla metà del XII secolo salì al trono di Germania Federico, duca di Svevia e detto "Barbarossa",
che dopo aver ristabilito il potere in Germania, venne in Italia per farvisi incoronare imperatore e
per riportare all’ordine i comuni dissidenti. Questi non furono d’accordo con la sua politica e,
capeggiati da Milano, si unirono in una lega e sconfissero l’imperatore, che fu costretto a
concedere l’autonomia.
Alla sua morte, fu incoronato imperatore suo figlio Enrico VI, nominato anche re di Sicilia, grazie a
sua moglie Costanza d’Altavilla; fu osteggiato dai nobili tedeschi che si opponevano al tentativo di
rendere ereditaria la corona imperiale. Gli successe Federico II, che guidò una crociata, fu
scomunicato un paio di volte e fu sconfitto dai Comuni italiani; con suo figlio la casata si estinse e
seguì un periodo di vuoto, in cui nessuno riuscì a farsi incoronare imperatore.
Francia: nel 987 Ugo Capeto, conte di Parigi, riuscì a prendere il potere divenendo re di Francia e
dando origine ad un lunga dinastia che da lui prese il nome di capetingia.
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La Francia capetingia alla fine del X secolo, e per tutto il secolo successivo, costituiva una piccola
parte dell’odierno territorio: si limitava alla sola regione centro-settentrionale, mentre il resto del
paese era governato da potenti ducati, tipo quelli di Normandia o di Aquitania.
Sotto il regno di Luigi VII venne riorganizzata la burocrazia regia, con una rete di Prevosti e Balivi
(funzionari regi con ampi poteri), che riscuotevano le imposte e amministravano la giustizia.
Verso la fine del XII secolo, Filippo Augusto riuscì ad annettersi molte contee, estendendo i
territori francesi dai Pirenei al Canale della Manica; con la battaglia di Bouvines strappò agli Inglesi
la Normandia, l’Angiò e la Turenna. Alla fine della Guerra dei Cento Anni, la monarchia francese si
assicurò tutti i territori inglesi sul continente.
Inghilterra: la Conquista normanna portò alla nascita di un regno governato da una dinastia
francofona. Nel 1066 Guglielmo il Bastardo, duca di Normandia, sbarcò in Gran Bretagna,
sbaragliò nella battaglia di Hastings la resistenza anglosassone e venne incoronato re d'Inghilterra
lo stesso anno.
Organizzò le circoscrizioni locali (shires) con funzionari regi (sheriffs) e creò un catasto, il
Domesday Book, con il quale censì tutte le strutture fondiarie del regno.
Sempre nell'XI secolo la nobiltà inglese fu sostituita con una nuova aristocrazia francofona; fu
fondato l'Exchequer (scacchiere) sotto Enrico I e nacque il parlamento; nel secolo successivo, i
Plantageneti ereditarono il trono inglese con Enrico II, che vi aggiunse i propri possedimenti
francesi dell’Angiò, comprendenti feudi ereditati dalla famiglia e, successivamente, il ducato di
Aquitania, portato in dote dalla moglie Eleonora. Sconfitto nella battaglia di Bouvines, nel 1215
Giovanni Senza terra firmò la Magna Charta Libertatum, statuto legale inglese che limitava i poteri
del sovrano e proteggeva i privilegi degli uomini liberi.
Dal 1337 al 1453 l’Inghilterra fu impegnata nella guerra con la Francia (guerra dei cento anni);
vittoriosa nelle tre battaglie più importanti, fu alla fine sconfitta e perse tutti i domini continentali,
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salvo la cittadina di Calais. Per il successivo trentennio fu travagliata dalla guerra dinastica, detta
“delle due rose”, fra i casati di York e Lancaster, che portò al trono la dinastia Tudor.
Spagna: a farsi carico della lotta contro l’Islam fu il Regno delle Asturie, che dall’VIII all’ XI secolo
e con alterne fortune, lentamente portò avanti l’opera di riconquista, fin quando nel 1212 l'impero
Almohade si disgregò e furono riconquistate dai Cristiani le principali città mussulmane: Cordova,
Siviglia e, in genere, tutta la valle del Guadalquivir. Ciò che rimaneva del Bilad al-Andalus si
riorganizzò attorno alla città di Granada che, dopo 150 anni di stasi, fu riconquistata nel 1492 con
Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona.
Italia: come abbiamo già visto, agli inizi del secondo millennio i Normanni si erano già insediati
nell’Italia meridionale: Nel 1035 arrivarono in Italia i sei fratelli Altavilla, figli di Tancredi, che
riuscirono a inserirsi nel Meridione sfruttando le rivalità tra i vari signori locali: Guglielmo divenne
signore di Melfi e di Ascoli Piceno, Dragone di Venosa, Ulfredo di Mottola e Castellaneta, Goffredo
già conte di Capitanata, occupò anche parte della Marca teatina.
Roberto il Guiscardo, attestatosi nelle Puglie, in breve fece sua questa regione, per passare poi
all'occupazione della Calabria e della Campania; Ruggero da parte sua si stabilì in Sicilia e ne
incominciò la conquista, che si concluse intorno al 1100.
Nel 1113 Ruggero II riuscì a riunire nelle sue mani tutti i possedimenti normanni creando uno stato
fortemente centralizzato; con l’annessione del ducato di Napoli ed il Principato di Capua nel 1130,
unificò tutta l’Italia meridionale, creando il regno di Sicilia.
Col passaggio del regno alla dinastia sveva, le strutture amministrative normanne rimasero
invariate nel 1266, sconfitti gli svevi, il regno passò agli angioini, ma nel 1302 fu nuovamente
diviso in regno di Napoli e regno di Sicilia
L'Italia tardomedievale
Mentre nel resto d'Europa si affermavano le monarchie nazionali, l'Italia tardomedievale vedeva la
formazione di regimi signorili (le signorie cittadine) o oligarchici.
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I sovrani tedeschi, incapaci di tenere sotto controllo i domini dell’Italia settentrionale, delegarono il
potere assoluto a dei signori, che col tempo consolidarono il loro potere e cercarono di renderlo
ereditario: vennero loro assegnati i titoli di duca e marchese ed essi li trasformarono in principati,
dividendo l’Italia in numerosi piccoli stati. Per quanto riguarda l’Italia centro-meridionale rimasero
integri lo Stato della Chiesa. Il Regno di Napoli ed il regno di Sicilia.
Le città e la rivoluzione politica: tra il XIII e la prima metà del XIV secolo la vita cittadina ebbe
un notevole impulso, principalmente in Italia, che fu all’avanguardia nel commercio e nella
produzione manifatturiera, artistica e culturale, sebbene funestata da continue lotte politiche, non
solo ad alto livello con le dispute fra Papato ed Impero, ma soprattutto a livello locale.
Tra il XIII e la prima metà del XIV l’Europa vide la nascita e la maggiore espansione della vita
cittadina; le lotte comunali fra Guelfi e Ghibellini, che coinvolsero i comuni italiani, più che scontri
ideologici, furono rivalità fra avversari politici, ispirate alla violenza ed alla vendetta; in questo clima
quasi ovunque divenne necessario scegliere, per l’amministrazione delle città, un podestà esterno
alla comunità, in grado di mediare fra le parti.
L’espansione delle città promosse la creazione e la diffusione di nuovi ceti sociali quali: signori
feudali inurbati, banchieri, professionisti, mercanti, artigiani e, nelle città marinare, gli armatori, che
trasportavano le merci su lunghe distanze.
Questi ceti emergenti si riunivano in corporazioni di arti e mestieri, ognuna delle quali difendeva,
non solo i propri interessi, ma si rendeva responsabile della qualità e del prezzo dei prodotti e della
formazione dei propri dipendenti.
Se fino a questo momento si era avuta la distinzione fra nobiltà e popolo, con l’evoluzione delle
città questa distinzione diveniva meno netta, meno evidente, in quanto si imponeva una fusione fra
ceti diversi, con matrimoni che legavano le famiglie più ricche a quelle più nobili.
Già dal Trecento si distinguevano il “Popolo Grasso”, cittadini ricchi e potenti, dal “Popolo Magro”,
costituito dal ceto medio, generalmente artigiani e commercianti, e dal “Popolo Minuto”, formato da
salariati e piccolissimi commercianti, senza rappresentanza politica.
Le repubbliche marinare: Quando si parla di Repubbliche marinare ci si riferisce normalmente
alle quattro città italiane, i cui stemmi sono raffigurati nella bandiera dell’odierna Marina Militare:
Amalfi, Genova, Pisa e Venezia, ma non furono le sole che dominarono il Mediterraneo durante il
Medioevo, infatti, a queste vanno aggiunte: Ancona, Gaeta, Noli e Ragusa in Dalmazia.
Va precisato che la dicitura di “repubblica marinara o repubblica mercantile”, coniata
nell’Ottocento, si riferiva ad alcune città italiane caratterizzate da strutture portuali, autonomia
politica e prosperità economica, ben sei di esse si svilupparono dopo essere state brutalmente
saccheggiate e distrutte dai predoni; trascurate dai poteri centrali, autonomamente organizzarono
la loro difesa armata ed il commercio marittimo.
Si trattava di strutture oligarchiche, generalmente governate dalle potenti famiglie mercantili: da qui
il termine “repubblica”, con autonomia amministrativa, e spesso indipendenti dal potere centrale;
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ognuna di esse era favorita dalla propria posizione geografica, lontana dalle principali vie di
transito degli eserciti e protetta da monti o lagune, che la isolavano e le permettevano di dedicarsi
indisturbate ai traffici marittimi.
Grazie alle repubbliche marittime, si riattivarono i contatti tra l'Europa, l'Asia e l'Africa, interrotti da
molto tempo; dopo secoli venne reintrodotta la coniazione di monete auree, e si instaurò un
sistema mercantile e finanziario, propedeutico al moderno capitalismo.
Vennero inoltre incentivati i progressi tecnologici nella navigazione; importanti, al riguardo, il
miglioramento e la diffusione della bussola da parte degli amalfitani, l’adozione del timone girevole,
incernierato a poppa e comandato da una barra orizzontale, l'invenzione veneziana della galea
grossa e la cartografia nautica.
Le Crociate offrirono grandi occasioni di espandere i commerci: migliaia di abitanti costieri si
riversarono in Oriente, creando colonie e stabilimenti commerciali; nelle città più importanti
d'Oriente, dove convergevano le piste carovaniere e da dove partivano le navi con i preziosi carichi
per l'Europa, tutte le repubbliche marinare ebbero dei veri e propri quartieri con empori, fondachi,
cantieri navali e arsenali,
Le Crociate: Anche se nel corso del Medioevo di Crociate ve ne furono molte e condotte contro
obbiettivi diversi, storicamente con questo termine si designano otto campagne militari, dall’XI al
XIII secolo, volute dal Papato e finalizzate alla riconquista della Terra Santa, occupata nel VII
secolo dai Mussulmani.
Questa fu la scusa ufficiale, ma oggi si ritiene che vi furono altri motivi che per due secoli spinsero
centinaia di combattenti in Palestina.
Dopo la conquista di questi territori da parte dei turchi selgiuchidi, si iniziò a parlare di rapine,
sequestri, uccisioni, stupri, a danno dei pellegrini diretti in Terra Santa, ma si ritiene che tali soprusi
furono volutamente esagerati ad arte; l’imperatore bizantino, nonostante i dissidi fra le due Chiese,
non si fece scrupolo di chiedere aiuto al Papa per la protezione dei Cristiani d’Oriente.
Al di là di queste alte finalità, le Crociate ebbero però anche il carattere di spedizioni di conquista;
in Occidente era in atto un disagio sociale provocato dal sistema feudale, che prevedeva per i figli
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cadetti la carriera ecclesiastica o militare; si creavano così nuclei di nobili armati in cerca di
fortuna, che presero al balzo la situazione.
All'appello del Papa risposero i prìncipi francesi, normanni e fiamminghi con le loro numerose
truppe; partiti nel 1095, conquistarono in breve tempo tutta la costa del Mar di Levante e nel 1099
conquistarono Gerusalemme.
A tutte le spedizioni non solo parteciparono le nobiltà europee coi loro potenti eserciti, ma si
accodarono anche grandissime torme di gente comune animata dall’entusiasmo collettivo, che
sortirono il solo scopo di farsi trucidare.
L'economia bassomedievale: Dal XIII secolo si ebbe un notevole incremento delle attività
commerciali, le merci cominciavano a circolare più velocemente via mare o via terra e con esse si
spostavano persone e capitali: nascevano le società di persone e di capitali, le compagnie
commerciali e le prime banche in senso moderno (capaci di far fruttare il denaro depositato).
Per evitare il trasporto di denaro, furono inventate le lettere di credito, che permettevano la
riscossione di somme precedentemente versate in altre città mostrando lettere bollate dalla banca,
e si rincominciava inoltre a coniare monete auree, in disuso da secoli: fiorino, ducato e genovino,
che divennero i mezzi principali degli scambi internazionali.
Ai mercati itineranti si sostituirono le compagnie mercantili che, avendo succursali nei posti più
importanti, muovevano uomini e merci e spostavano capitali, senza doverli realmente toccare.
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Al di fuori dell'Italia, erano molto attive le città portuali anseatiche nell'area del Mar Baltico e del
Mare del Nord, con un punto comune di scambio nel porto di Bruges; altre zone vennero
monopolizzate da mercanti stranieri, che le spogliavano delle materie prime sottocosto e vi
rivendevano a prezzi molto alti i prodotti finiti.
Anche la produzione venne rivoluzionata: dall’artigianato, che produceva su ordinazione, si passò
ad un sistema manifatturiero che produceva per vendere, cosa che diede origine a nuovi strumenti
tecnologici, quali il filatoio a mano, il telaio orizzontale, la gualchera, ele migliorate tecniche del
vetro, ceramica e metalli.
La cultura bassomedievale
La cultura che si andava sviluppando nelle città si articolava in una specie di scuola primaria
privata, alla quale poteva seguire la scuola d’abaco, dove si impartivano per lo più nozioni di
matematica e di tenuta dei conti; a questa nel XII secolo si aggiunsero le Università, nate come
libere associazioni di studenti, collegate alle scuole cattedrali.
Fra le prime università ricordiamo Bologna e Parigi: dal XIII secolo si diffuse la produzione ed il
commercio di testi per gli studenti, scritti su carta, (tecnica importata dagli Arabi che l’avevano
appresa dai Cinesi).
Nelle città italiane dell’alto Medioevo, come nelle corti d’oltralpe, si diffuse una cultura "laica",
antagonista a quella della Chiesa: la cultura detta "cortese", derivata dalle composizioni dei
trovatori provenzali e dei trovieri del Nord; in Italia già da tempo si era diffuso l’uso del volgare, che
meglio rappresentava i nuovi ceti emergenti quali mercanti, banchieri ed artigiani, che poca
dimestichezza avevano col latino.
Dall'arte romanica all'arte gotica]
Raul Glaber, monaco di Saint-Bénigne a Digione all’inizio del Mille così si esprimeva «Allora il
mondo si scosse la polvere dalle sue vecchie vesti e la terra si ricoprì di un candido manto di
chiese»
Nell’XI e XII secolo si ebbe una grande fioritura di nuovi edifici religiosi e civili, la cui architettura fu
chiamata romanica. Pur subendo le influenze regionali, le sue caratteristiche principali rimasero
comuni, come la pianta basilicale a tre navate, le coperture con volte a botte o a crociera, anche se
in molti casi si continuarono ad utilizzare le capriate.
Espressioni di spicco di quest’architettura furono le cattedrali italiane, ma anche una moltitudine di
monasteri e di pievi, nonché edifici civili; quest’arte non solo si impose nelle nascenti città, ma si
estese ovunque, fin nei piccoli borghi, cercando maldestramente di riprodurne le caratteristiche.
Dal 1150, se per volere di Bernardo di Chiaravalle si sviluppò l’architettura cistercense, rimasta poi
confinata alle chiese dell’ordine, da Suger, abate di saint Denis a Parigi nacque quello che ora
chiamiamo “stile gotico” che si diffuse subito in tutta l’Europa.
Agli inizi del XII secolo Suger, reggente di Francia durante l’assenza del re, per giustificare il suo
amore per la sontuosità e per rafforzare il prestigio reale nei confronti dei suoi vassalli, diede inizio
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ai lavori di restauro dell’abbazia benedettina di Saint Denis, che da secoli custodiva le spoglie reali.
La grande devozione mariana, instaurata da San Bernardo, ebbe un effetto considerevole sulla
costruzione delle cattedral: infatti, la gran parte delle chiese edificate nel corso del XII e XIII secolo
furono dedicate alla Vergine.
Lo spirito borghese medievale giocò un ruolo decisivo nella costruzione di questi imponenti edific:,
i borghesi, animati da un fanatico patriottismo locale e fieri di aver strappato le libertà ai loro
signori, volevano che le chiese della propria città testimoniassero la loro gioia e impressionassero
gli stranieri per la loro munificenza. Se l’entusiasmo d’un popolo giovane si esprime spesso nel
colossale e nello smisurato, l’altezza, ieri come oggi, è il sentimento che meglio lo rappresenta.
Al riparo dai fenomeni atmosferici, in chiesa si poteva mangiare, dormire, introdurre animali, vi si
circolava liberamente, anche perché non c’erano i banchi; ci si ritrovava per discutere di affar, che
non avevano niente di religioso, era lì che i rappresentanti comunali si ritrovavano per discutere i
problemi della città, sotto le sue volte si incontravano il borghese, il contadino, il vescovo, il signore
il principe ed il re.
Dalla metà del XII secolo al 1275 fu un momento di grande euforia edilizia: nacquero cattedrali
come funghi, costruzioni che sfioravano o superavano i 40 metri di altezza sottotetto, a Beauvais il
coro arrivò a 48 metri (ma crollò), non più solide muraglie, ma strutture snelle riempite di grandi
vetrate.
Ma quando il Medioevo raggiunse la maturità, trovò la borghesia meno dinamica, il suo spirito di
competizione si era affievolito: infatti già verso il terzo quarto del XII secolo, molti cantieri si erano
fermati e la guerra dei cento anni, iniziata nel 1337 li bloccò del tutto, e per oltre un secolo e
mezzo, nessuna cattedrale francese fu mai portata a termine.
Quasi tutti i borghesi ,che avevano contribuito all’edificazione di questi capolavori, non videro finita
l’opera, ma lasciarono la loro impronta, o quella delle loro corporazioni, facendosi raffigurare sulle
grandi vetrate
Se da un punto di vista urbanistico le città e le nuove costruzioni generalmente seguivano un
criterio casuale, fece eccezione Firenze che, per opera di Arnolfo di Cambio, diede luogo alla
riorganizzazione delle piazze e al tracciato di nuove strade rettilinee, inglobate nella nuova cinta
murata.
Tardo Medioevo
Crisi del Trecento: Al grande sviluppo ed alla crescente prosperità nei secoli XII e XIII secolo,
seguì un periodo di crisi, dove tutto si fermò: lo sviluppo delle città, l’incremento demografico e
conseguentemente i traffici ed il commercio, il tutto provocato da una serie di fattori negativi che
dalla seconda metà del XIV secolo sconvolsero l’Europa.
All’incremento demografico dei secoli precedenti non era seguita un’altrettanta crescita delle
tecniche di produzione agricola; per ben due secoli la base dell’alimentazione cittadina fu costituita
dai cereali con pochi grassi e scarse proteine.
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Diffusione della peste nera dal 1347(marroncino) al 1351 (giallo)
A metà del secolo, su un’Europa già stremata, si abbatté la peste nera, che sterminò un terzo, se
non la metà, della popolazione, e fu seguita dalla Guerra dei Cento Anni; a causa della miseria e
della fame scoppiarono feroci rivolte popolari come quelle dei pastouroux e della jacquerie in
Francia, dei cristiano-popolari in Inghilterra e dei Ciompi a Firenze.
A tutte queste disgrazie si aggiunsero le devastazioni ed i danni provocati dalle Compagnie di
ventura, gruppi numerosi di mercenari al seguito di un capo, che razziarono e spadroneggiarono in
tutta Europa.
A causa di un repentino cambiamento climatico, oltre all’aumento delle malattie, si ebbero annate
agricole pessime, con conseguenti carestie; l’insolvenza dei grandi reami produsse il crollo del
sistema finanziario, col fallimento delle grandi banche italiane, cessarono così tutte le attività
commerciali.
La riduzione del numero dei contadini, a causa della peste e dall’accentuata migrazione verso la
città, dove i salari erano più alti, causò l’abbandono dei terreni meno fertili che, in precedenza,
erano stati messi a coltura dietro la spinta demografica, ma la riduzione dell’attività agricola offrì ad
imprenditori validi la possibilità di ricompattare i terreni abbandonati, e di incrementarne la
produttività.
Il rafforzamento dell’apparato produttivo che ne derivò squilibrò il rapporto tra domanda e offerta
dei beni alimentari, proprio nella fase di contrazione della domanda, il che provocò la saturazione
del mercato e la crisi dei consumi, che riportò di nuovo l’Europa alla fame
La cattività avignonese e il grande scisma d'Occidente
Per la potenza del re di Francia e per la debolezza della Chiesa in decadenza morale e spirituale, il
XIV secolo fu angosciato da due avvenimenti, che condizionarono la politica europea: la cattività
avignonese e lo scisma d’Occidente.
Il primo episodio riguarda il trasferimento del papato da Roma ad Avignone in Francia, dove
rimase dal 1305 al 1378, parzialmente soggetto al volere del re; in questo periodo
l’amministrazione della chiesa fu demandata ad energici legati pontifici.
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Al ritorno del Papato a Roma, si produsse il grande Scisma d’Occidente che vide il dominio di due
papi che lottavano l’uno contro l’altro, e si scomunicavano reciprocamente. Tale situazione perdurò
fino al 1417, quando nel Concilio di Costanza si deposero tre papi e se ne elesse uno nuovo, e fu
stabilita la superiorità del Concilio sul Papa stesso.
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IL MEDIOEVO
2- Feudalesimo e cavalleria
di Luigi Gentile
Fra le molteplici manifestazioni che caratterizzarono il Medioevo, e di cui si è accennato nella
precedente lezione, di importanza fondamentale fu l’istituzione del Feudalesimo, che caratterizzò
la vita europea per svariati secoli; non meno importante fu la cavalleria, che con l’altra visse in
simbiosi, si compenetrarono l’un l’altra, e parlarne singolarmente sarebbe un discorso incompleto.
L'uso dei capi barbari di circondarsi di uomini fidati, già menzionato da Tacito, fu ripreso e sviluppato
durante il periodo merovingio, quando i re cominciarono a circondarsi di guerrieri fedeli che gli
prestavano il servizio militare, per il quale venivano ripagati con la concessione “in precaria”, cioè non
perpetua, di terre ecclesiastiche espropriate alla chiesa.
A questi uomini era demandato il compito di vigilare e presidiare ampie zone di territori statali,
onde poter meglio arginare le minacce di popolazioni barbare che premevano alle frontiere.
Nasceva così il vassallaggio, fenomeno che ritroviamo durante la dominazione carolingia, i cui re,
per procurarsi guerrieri ben equipaggiati con armamento pesante ed idonei a contrastare l'avanzata
mussulmana, incrementarono notevolmente il numero dei vassalli.
Durante la dominazione carolingia il detentore di una sovranità (regno o feudo) esercitava sui
suoi sottoposti il potere di banno, consistente nel diritto di imporre servizi, tasse, di amministrare la
giustizia e di intraprendere azioni di guerra, da qui deriva il termine signoria di banno.
In base a questo banno tutti i sudditi, compresi quelli da poco conquistati e sottomessi,
divenivano tributari anche del servizio militare, che, in verità era richiesto integralmente solo in
caso di invasione del nemico, e nella sola regione minacciata.
Agli inizi del IX secolo gli obblighi divennero meno gravosi per grandi proprietari terrieri, mentre
rimasero rigidi per i vassalli, dipendenti direttamente o indirettamente dal re: cioè, marchesi, conti,
abati, badesse e signori.
Tra IX e X secolo l'Europa, poiché il potere centrale non era in grado di controllare capillarmente il
reclutamento delle forze necessarie, l’incarico fu demandato ai signori assegnatari dei vasti terreni,
che dovevano procurare cavalieri armati in proporzione all’estensione dei loro domini.
Carlo Martello, Pipino (il Breve) ed anche Carlo Magno portarono il vassallaggio al rango di
istituzione: infatti, con l’assegnazione di terre, inizialmente vitalizie e revocabili, finivano col pagare
i servizi pubblici richiesti, sotto forma di aiuti militari.
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La cerimonia vassallatica prevedeva, per le persone di più basso rango la cerimonia dell’omaggio,
dove il vassallo poneva le sue mani giunte in quelle del suo superiore (da qui il gesto di preghiera
a mani giunte), mentre pretendeva in aggiunta, per i vassalli di più alto lignaggio, il giuramento di
fedeltà (fidelitas); venirne meno significava macchiarsi di spergiuro, ed inoltre, poiché prestato su
un oggetto sacro, si cadeva in peccato mortale.
In questo periodo i vassalli si distinguevano in “poveri”, mantenuti a corte dal re o in "casati", che
ricevevano un appezzamento di terra con abitazione, in cambio del servizio, consistente, secondo
la rendita, nell’equipaggiamento completo di un uomo: fino a quattro mansi (circa 10 ettari) un
fante, fino a dodici mansi un cavaliere leggero, oltre i dodici mansi un cavaliere pesante.
Dato il cattivo stato delle strade e la quasi assoluta mancanza di trasporti, non esistendo una
corte centrale dove far affluire le vettovaglie, i reali con relativo seguito peregrinavano da un
signore all'altro, di abbazia in abbazia, da un vescovado all’altro, consumando le derrate alimentari
per loro approvvigionate, e qui si rifornivano anche di vestiario, di equipaggiamento e di quanto
necessitava.
A tutti era richiesto non solo un numero di fanti o cavalieri armati, ma anche carri provvisti di
utensili e di viveri per svariati mesi, questi ultimi, perché fossero disponibili in qualunque momento,
dovevano essere immagazzinati come scorta.
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Le operazioni militari, si svolgevano sempre dalla primavera all’autunno, per la naturale
disponibilità di biade sui campi, quando terminavano tutti tornavano a casa; da quel momento, vuoi
per le strade diventate impercorribili, vuoi per le difficoltà di collegamento e per la volontà di
autonomia, tutto faceva sì che ognuno si sottraesse al controllo del sovrano e pensasse solo ad
amministrare i suoi possedimenti.
Inizialmente concessi in momentaneo godimento, questi beni finirono col diventare ereditari
nell'877, con il capitolare di Quierzy, per i grandi feudi comitali e nel 1037, con la costitutio de
feudis, per i feudi minori.
Nella seconda metà del X secolo i grandi signori rurali, per proteggersi dalle incursioni saracene
o normanne, cominciavano ad edificare le loro dimore su luoghi rialzati, naturali o artificiali, con
chiara funzione difensiva.
Inizialmente erano costruzioni in legno, costituite da un torre a cui si accedeva attraverso una
porta posta in alto e da un cortile con casupole per la servitù, il tutto circondato da un fossato o da
una palizzata.
Nella parte bassa della torre si trovava la dispensa con relativo pozzo, fondamentale in caso di
assedio, mentre il piano superiore era generalmente composto di un'unica grande sala dove si
consumava la vita pubblica e domestica.
A seguito del proliferare di guerricciole, di assedi, di saccheggi, scontri e battaglie di poca
importanza fra i vari feudi, le accresciute necessità difensive spinsero i grandi e piccoli feudatari ad
espandere vecchi castelli in legno ed a trasformarli in solide roccaforti in pietra, erette intorno ad
un “mastio” quadrato, tondo o prismatico.
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Fulcro della nuove costruzioni, come nelle vecchie, rimaneva il salone comune che, adibito di
giorno, secondo le necessità, a sala delle udienze, a sala di giustizia ed a sala da pranzo, a sera,
smontato il tavolo, si trasforma in camera da letto, dove in un unico grande giaciglio, sormontato
da un baldacchino, dormivano i padroni, i figli e la servitù in calorifica promiscuità.
Queste fortezze, utilizzate come abitazioni, oltre che per la difesa, formavano una rete di grandi e
piccole unità feudali, che controllava e sfruttava le campagne politicamente, militarmente ed
economicamente.
Quindi, da grande armata al servizio del re, la cavalleria si trasformò nel tempo in una milizia
domestica che dipendeva in tutto e per tutto dal signore feudatario, e che sfogava la sua violenza
sui più umili.
Al vertice della piramide feudale vi erano i duchi che dominavano su ampie regioni o più regioni
insieme, mentre i marchesi erano titolari di grandi zone poste ai confini del reame o dell’impero e
sovrintendevano alla difesa dello stato dalle invasioni barbariche o di altri aggressori.
I Conti amministravano anch’essi vasti territori, quali città, grandi centri e terreni circostanti, ad
essi spettava il compito di procurare cavalieri e fanterie per le armate reali; col tempo le contee
vennero ingrandite e sottoposte al potere dei Vescovi-Conti.
Dal punto di vista del sistema feudale questa pratica aveva un vantaggio decisivo: mentre i vassalli
laici tendevano a trasformare il proprio feudo in una proprietà trasmissibile, per vescovi ed abati questo
problema non si poneva ed alla loro morte il feudo ritornava al signore feudale, che poteva assegnarlo
nuovamente ad un’altra autorità religiosa.
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Il vassallo aveva l'obbligo di fornire al signore dei servizi, consistenti nel servizio militare, la
scorta, la custodia di un castello, l'amministrazione di proprietà terriere. Gli obblighi del signore
erano: la protezione e l'aiuto militare in caso di bisogno, doveva rendere giustizia al suo vassallo e
doveva provvedere al suo sostentamento o dotandolo di un feudo, o di rendite (feudum de bursa);
venivano concesse in feudo anche le abbazie, le chiese parrocchiali, i beni ecclesiastici e le
decime, nonché le cariche pubbliche.
Questi servizi non erano remunerati perciò col tempo i vassalli cercavano di diminuirne la durata,
dalla seconda metà dell'XI secolo il servizio militare era limitato a quaranta giorni e spesso
sostituito da un tributo in denaro o dal versamento di oggetti particolari.
I feudatari, specialmente i più piccoli, tendevano infatti, a farsi concedere a censo delle proprietà
dai monasteri, che d'altronde non avevano braccia sufficienti per coltivarle ma, una volta
ottenutele, facevano di tutto per appropriarsene.
Va detto che l’appannaggio o l’ereditarietà del feudo, oltre al giuramento di fedeltà, era sempre
legato al pagamento di un forte diritto di rilievo, inizialmente in prodotti agricoli ed in seguito in
denaro, cosa di cui i reali avevano sempre un gran bisogno.
Fino all’XI secolo le famiglie ricche si allargavano orizzontalmente, si cercavano rapporti coniugali
con mogli più ricche, onde incrementare il patrimonio ed, in caso di morte del signore, tutti i figli
ereditavano in egual misura.
Ne risultava una parentela di affinità, cioè un vincolo non sanguineo che legava parenti di una
coniuge a quelli dell’altro (cognati, suoceri, generi), che veniva definita come cognatizia.
Con la possibilità di rendere il feudo ereditario, si incominciò a prendere coscienza degli avi e
della propria casata, la dinastia da orizzontale si trasformava in verticale, il nome di famiglia veniva
trasmesso in linea retta, cioè per via di sangue di padre in figlio e la si legava al nome più illustre
da cui la stirpe derivava.
Questo tipo di parentela (padre-figlio, nonno-nipote) prendeva il nome di agnatizia, per linea
collaterale si intendevano quelli che avevano lo stesso capostipite ma non discendevano l’uno
dall’altro (fratelli e sorelle, cugini, zii e nipoti), mentre l'affinità o adfinitas, era il legame che si
instaurava tra un soggetto e i parenti del coniuge (cognati, suocero, genero ecc.).
Lontani dal potere centrale questi signori, per allargare i loro domini, si ergevano a protettori e
fondatori di monasteri, a cui imponevano i propri abati, riuscendo in tal modo ad appropriarsi di
vasti latifondi, ma ponendosi in netto dissidio con le autorità della chiesa, non disposta a farsi
prevaricare.
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Nel corso del XII secolo un po’ ovunque gli obblighi connessi alle istituzioni feudali-vassallatiche
continuarono a perdere valore, ma vennero comunque sostituiti da una contropartita in denaro, che
sfociò in seguito nel mercenariato.
Tipi di feudalesimo: I rapporti di vassallaggio di cui abbiamo parlato si riferiscono essenzialmente
al feudalesimo francese, diffuso in tutta l’Europa, ma ne esistevano anche di altre forme, tipo
quello che assegnava delle terre a popolazioni venute da lontano, quali i Normanni in Francia ed in
Sicilia; altro tipo di feudalesimo fu quello sviluppato in Terra Santa e diffusosi altrove dopo la prima
crociata, dove il beneficio era pagato in denaro per evitare lo smembramento del fondo.
Differente dal feudo franco indivisibile, inalienabile e non trasmissibile per via femminile, era il
feudo longobardo, in uso nell’Italia settentrionale, che era divisibile, alienabile e trasmissibile per
via femminile.
Diversamente andarono le cose nell’Italia meridionale, occupata dai Normanni; una volta unificato
tutto il regno, come succede nelle migliori famiglie, molti baroni più distanti dal potere centrale
cominciarono a sottrarvisi ed a fare in modo da essere dimenticati.
Per far fronte al problema, verso la metà del XII secolo, l’ufficio regio (Duana Baronum), preposto
all’amministrazione degli affari feudali, redasse il Catalogus Baronum, che raccoglieva informazioni
dettagliate su tutti i baroni ed i signori possessori di feudi, specialmente quelli periferici, stabilendo
quanto dovuto da ognuno. Con questo sistema la Duana accentrava i poteri dello stato e non
permetteva a nessuno di sottrarsi al pagamento di esso.
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MONDO CAVALLERESCO MEDIEVALE
di Luigi Gentile
Se si dovessero scrivere libri o articoli sulla cavalleria, “l’incipit” o inizio generalmente sarebbe
sempre lo stesso: “In un’alba livida un bambino, che da poco ha compiuto i sette anni, con le sue
poche cose racchiuse in un fagotto, saluta le sorelle (dei maschi non si parla mai), mentre cerca di
non far trapelare la commozione, riceve un bacio e l’ultima carezza dalla madre e, aiutato a salire
a cavallo dietro suo padre, che attende impassibile, si avviava verso un nuovo mondo e una nuova
vita: sarebbe diventato cavaliere”.
Questa scena in tutto l’Occidente si ripeteva identica per migliaia di bambini: era una scena che
sicuramente si svolgeva in silenzio, non servivano, infatti, le parole per un addio che le parti
conoscevano da tempo, ed il Medioevo stesso era avaro di parole per descrivere i sentimenti, che
ancora oggi ci restano ignoti.
La casa che lo accoglieva era la sua nuova dimora, il Signore che la comandava era il suo nuovo
padre, a cui avrebbe dovuto rispetto ed obbedienza; si sarebbe seduto alla sua tavola, a fianco di
coetanei e di uomini esperti ( senza alcuna distinzione), nel posto più distante, avrebbe cercato col
tempo di avvicinarsi al padrone, meritandone la benevolenza.
L'addestramento, anche se molto duro, non era certo di tipo militare, era impostato come un
gioco, che i bambini facevano volentieri, spinti dalla reciproca emulazione: si iniziava con l’accudire
il destriero di un cavaliere, una volta appreso come non prendere calci, si imparava col tempo a
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strigliarlo, a domarlo, a montarlo, ma soprattutto a trattarlo con rispetto, poiché rappresentava
l’arma migliore di cui avrebbe potuto disporre in seguito.
Si continuava con la caccia: fin dall'inizio i bambini erano educati a riconoscere la selvaggina, a
seguirne le orme, a cacciarla; uniche armi loro permesse era l'arco e la lancia, con cui rimanevano
appostati per lunghe ore e da soli nel fitto bosco; era qui che imparavano ad orientarsi, a vincere la
paura, a conoscere la natura, a rimanere svegli per poter colpire senza errore nel momento
propizio.
Appena avevano la forza sufficiente diventavano scudieri, cioè addetti a portare il pesante scudo
di un loro amico cavaliere, a cui dedicavano tutto sé stessi; da questo lungo e duro apprendistato,
fondato sull'esercizio fisico, sulle tecniche di caccia e di combattimento, ma soprattutto sulla rivalità
con gli altri, sarebbe uscito un uomo di grande vigore ed esperienza, pronto per entrare nel mondo
della cavalleria
Il periodo della sua "infanzia", iniziato con l'abbandono della casa paterna, terminava, intorno ai
19-20 anni, con la cerimonia dell'investitura (se aveva abbastanza soldi!); da questo momento
iniziava la "giovinezza" che si protraeva fino al suo matrimonio, se aveva la fortuna di essere
ricompensato con una moglie, o fino alla morte.
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Le origini della cavalleria: Senza andare molto indietro nel tempo, già dal periodo Carolingio si
avvertiva la necessità di una maggiore specializzazione nell’arte della guerra; venne pertanto
istituita la cavalleria pesante, alle dipendenze del re e dotata di cavallo, spada, lancia, lorica ed
elmo
Questa istituzione fu resa possibile dalla vera grande innovazione bellica avvenuta prima del
Mille, cioè l’invenzione e la rapida diffusione delle staffe appese alla sella, che permettevano al
cavaliere di avere più stabilità, combattere meglio, e di lanciarsi al galoppo con più equilibrio.
Non tutti potevano accedervi poiché, per mantenere un simile equipaggiamento, bisognava
possedere almeno una decina di mansi, quindi i componenti non potevano che provenire da ceti
medi o alti.
Il cavaliere in battaglia, nel torneo, o nella giostra muoveva su un cavallo di potenza (destriero),
ma qualcun altro doveva possederne per le parate e le feste (palafreno), ed un ronzino gli era
necessario per trasportare l'armatura e le sue cose; come armi di difesa indossava una cotta di
maglia, composta di anelli di ferro (usbergo), un elmo conico, con o senza paranaso ed un grande
scudo, per lo più di legno e cuoio.
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L'usbergo di maglia costituiva un'ottima protezione contro le ferite da taglio mentre, proprio a
causa della sua flessibilità, era di scarso aiuto nel ridurre i traumi da impatto, per quanto piccoli
fossero gli anelli, nulla potevano contro le frecce a punta conica o piramidale; l'offesa era affidata
ad una lancia, ad una spada piatta a doppio filo, a cui se ne aggiunse nell'XI secolo una più lunga
a sezione quadrata (stocco o spiedo).
Dal momento che il feudo divenne trasmissibile (costitutio de feudis 1037), a confluire nella
cavalleria furono i figli cadetti dei grandi e piccoli feudatari che, esclusi dall'eredità per non
sminuzzare il patrimonio terriero e, non avendo scelto la vita monastica, all'età di sette anni
venivano mandati alla corte del signore, dove più ostaggi che protetti, iniziavano l'addestramento
al duro gioco della guerra.
Frequenti erano gli scontri armati fra feudatari vicini; con l'intento di ingrandire i propri domini, o
per disputarsi la supremazia della zona, a tale scopo tutti tendevano a circondarsi di questi
specialisti.
Dalla loro violenza derivò il nome di Tyranni o Praedones; il più delle volte, a fare le spese delle
loro scorrerie era la povera gente, che non c'entrava per nulla e che era da essi continuamente
sfruttata e derubata.
Chiaramente, queste bande armate alle dipendenze del "dominus", non si limitavano solo a
scontri con altri signori bannali, ma vivevano di rapine e di violenze rivolte verso i più indifesi, e
specialmente verso le chiese, dove maggiore era la possibilità di bottino.
Molti preti e vescovi, facendo leva su questa esasperazione comune, cominciarono, sul finire del
X secolo, ad indire assemblee in cui, al cospetto di molte reliquie, venivano maledetti ed esclusi
dalla comunità cristiana e dalla misericordia di Dio quelli che non si esimevano da certe azioni.
In tutto ciò scarsa importanza assumevano il senso religioso e la pietà verso i più deboli: il clero
infatti osteggiava i signori rurali, non solo per le rapine ed i soprusi da essi perpetrati, ma perché li
vedeva come antagonisti, bramosi di appropriarsi del suo potere, dei suoi profitti e delle sue terre.
Per quanto riguarda la Chiesa, la guerra era ritenuta fonte di peccato ma, sul finire dell'XI secolo,
incominciò a essere propagandata come giusta e santa se portata contro gli eretici stanziati in
Europa, o contro quelli che occupavano la Palestina, culla della cristianità.
Genealogia e Araldica: Quando, da beneficiario, il signore più o meno grande cominciò a
trasmettere il suo potere ai propri discendenti maschi, sentì il bisogno di crearsi una genealogia:
per far questo era necessario far risalire l'origine della sua casata ad un antenato illustre poiché,
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come affermava Adalberone di Laon "nessuna volontà può togliere ciò che si è ottenuto dalla
discendenza di razza e la stirpe dei nobili deriva dal sangue dei re".
Col tempo solo ai nobili fu concesso l’ingresso nella cavalleria, e tutti, in un reciproco scambio di
modelli e di codici morali, tesero a difendere i propri patrimoni, in forza del loro albero genealogico.
Per ostentare questo stato sociale, prima i nobili poi la cavalleria cominciarono a imprimere sulle
armi figure simboliche, intese a rappresentare lo stemma di famiglia, sotto cui tutti si ritrovavano
uniti; nasceva così l'araldica che rappresentava il punto di fusione fra queste due caste e l'unico
nesso con cui entrambi potevano tramandare ai posteri l'onore ed il potere della dinastia.
Strettamente legati alle figure erano i colori, che rispecchiavano altrettante virtù: la nobiltà era
espressa dall'oro, la prodezza dal rosso, la lealtà dal blu e la munificenza dal porpora.
La guerra e la battaglia: Poche erano le battaglie che vedevano le avverse cavallerie scontrarsi
in massa ed apertamente, per lo più la guerra si riduceva a scorrerie isolate o ad incursioni di
gruppi armati che cavalcavano nel territorio nemico per arrecargli danni o per catturare qualcuno di
cui chiedere il riscatto; dal punto di vista economico queste scorribande non erano il massimo per
la masnada in quanto c’erano scarse probabilità di fare lauti bottini.
Questa cavalcata aveva il duplice scopo di usufruire delle risorse alimentari del nemico e di
distruggere ciò che non si riusciva a consumare.
Poche furono le battaglie che videro le avverse cavallerie scontrarsi in campo aperto; anzi, l'unico
caso di cui abbiamo una cronaca è rappresentato dalla battaglia di Beauvines (1214), dove più che
un vero e proprio combattimento, si recitò una pantomima, in cui tutti cercarono solo di non farsi
troppo male.
Molto più pericolosa si rendeva la situazione quando la cavalleria si ritrovava a scontrarsi con le
avverse “fanterie”, che non concedevano alcuno sconto: in tutti gli scontri più che dimostrare il suo
valore, essa metteva in evidenza il suo orgoglio, la sua idiota determinazione nel voler caricare un
nemico che l'attendeva a piè fermo, tattica già dimostratasi deleteria.
I cavalieri andavano in battaglia spensieratamente, come ad una festa giocosa, senza mai
preoccuparsi di tattica, del nemico che avevano di fronte o di studi preliminari del terreno; unico
loro pensiero era conquistare molta gloria e prendere tanti prigionieri, per i quali chiedere il riscatto.
Certo che col tempo qualche preoccupazione incominciarono ad averla: le armature sempre più
si andarono rinforzando e appesantendo: dalla maglia gradatamente si passò all’armatura a
piastra, fino a ricoprire tutto il corpo del cavaliere e del cavallo; anche l'elmo subì notevoli
trasformazioni, veniva chiuso sul collo e sul collo e sul volto con solo alcune fessure per vedere e
respirare.
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Al di là dell'efficienza pratica di questa maggiore protezione, gli storici moderni sono sempre più
concordi nell'affermare che la sua funzione primaria fosse divenuta quella di nascondere la paura;
la grande forza del cavaliere era il gruppo, la masnada, tenuta compatta da reciproche occhiate
d'intesa.
Non potendo più vedere i volti degli amici e dei nemici, il cavaliere si ritrovava solo, perdeva il
contatto col gruppo; in questo momento il coraggio e la paura andavano a braccetto, e l'armatura
pesante ben serviva a nascondere questi sentimenti ma, se da un lato isolava, dall'altro, (come
dice il Duby) "dà sicurezza, permette una maggiore audacia, consente di seguire più oltre la
gloria"; esattamente come i Samurai giapponesi.
Se le battaglie fra opposte cavallerie si risolvevano in una specie di pantomima, ben
diversamente andavano le cose quando si trovavano a contrastare fanterie ben addestrate, come
avvenne durante la Guerra dei Cento Anni (1339-1453) dove, nelle battaglie di Crecy (1346),
Poitier (1356) e Anzicourt (1415), le cariche della cavalleria francese si infransero contro le frecce
degli arcieri inglesi.
Molto peggio andavano le cose quando la cavalleria si trovava a scontrarsi con i civili, ignoranti
ed irrispettosi delle regole cavalleresche, cosa che era successa agli inizi del '300 a Courtrai, dove
la cavalleria francese fu massacrata dai borghesi Fiamminghi.
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Lo stesso avvenne nella battaglia di Morgarten in Svizzera nel 1315, quando un ristretto gruppo di
montanari svizzeri, armati di asce, inflisse una dura sconfitta alla cavalleria Asburgica con perdite di
migliaia di vite.
Non meno cruenta fu la battaglia di Sanluri in Sardegna (1409), dove venne annientata tutta la
cavalleria catalano-aragonese da parte degli uomini dell’Arborea, ma i reali spagnoli fecero di tutto
per nascondere questo evento, tanto che ancora oggi non se ne sa niente.
Il grande e continuo errore della cavalleria fu sempre quello di non dare il giusto valore alle
fanterie: i fanti erano sottovalutati, neanche considerate veri combattenti, non esistevano:, i caduti
in battaglia non venivano annoverati nel numero dei morti; ma d’altra parte i componenti delle
fanterie, anche se impreparati, in battaglia erano feroci e cadere nelle loro mani significava morte
certa.
Anche se l’epilogo della cavalleria medievale si andava evidenziando già dall’XIV secolo, fu con la
battaglia di Anzicourt che gli arcieri inglesi inflissero gravissime perdite alla cavalleria ed alla
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fanteria francese (7000-15000 vittime), decretando la fine di un mondo cavalleresco non più in
linea con i tempi, in quanto soppiantato dalla polvere da sparo.
Le crociate: Non che alla Chiesa premessero molto il Santo Sepolcro ed i luoghi santi, da secoli
in mano ai Mussulmani, che ne avevano sempre garantito la massima libertà di culto, ma tutta la
manovra della prima crociata tendeva alla sacralizzazione della violenza (guerre e tornei), ed era
volta principalmente ad evitare che una grande moltitudine di cavalieri, già richiesti dal Basileus
per la protezione dei pellegrini, si trasferisse spontaneamente in Medio Oriente, come mercenari
contro le orde che arrivano dall'Est.
Consacrazione dei gesti: Quando la cavalleria s'impose come casta, l'affermazione della sua
fama fu legata alle "chansons de geste" che ne tramandavano la gloria ed il valore: queste
cantavano le imprese dei cavalieri di Carlo Magno e di Artù, viste con la morale e con l'etica di due
secoli dopo: ce li presentavano come eroi senza macchia e senza paura, mentre erano nella realtà
ladri violenti ed ingordi; i cavalieri assunsero come modello e ideale il prode paladino Orlando già
morto da secoli.
Tutti i loro idoli di riferimento erano morti, mai si prendeva a modello un cavaliere vivente, ma
sempre qualche eroe di epoche precedenti, meglio ancora se nato da miti e da leggende, per dirla
con l'Ariosto "oh gran bontà de' cavalieri antiqui".
Già dall'XI secolo quest'ordine perfezionò il suo ideale ed istituzionalizzò il rituale: venivano cioè
consacrati e cristianizzati una serie di gesti, derivanti da vecchi usi germanici, quali la veglia, il
bagno purificatore, la vestizione, la palmata, la cinzione del budriere (cinturone) con la spada.
Tutta questa gestualità portava l'ordine a divenire una élite, che si identificava in apparenti regole
di buon comportamento, tese ad esaltare il valore del gruppo; il modo di vivere, di vestire, di
mangiare, della cavalleria voleva rappresentare tutti i suoi componenti come appartenenti alla
classe nobile, pur restando sempre zotici ed ignoranti.
Etica del cavaliere: A ben guardarlo, il cavaliere era un componente di un gruppo mentalmente
estraneo al mondo che lo circondava, amava la guerra, ma si guardava bene dal combatterla
realmente, desiderava ardentemente la donna, ma ne aveva grande paura, desiderava le gioie
della città, ma se ne sentiva estraneo
Il cavaliere era un nomade, senza famiglia, senza affetti, sempre alla spasmodica ricerca di gloria
e di ricchezze, un uomo che, allontanato e dimenticato dalla famiglia natale, sfogava la sua voglia
di vivere nelle gioie del torneo, del bottino e del saccheggio; era sempre in cerca di un nuovo
padrone o di un nuovo ingaggio, sempre sulla strada: dal castello alle crociate, di città in città per i
tornei, anche durante l'inverno continuava a spostarsi da una nazione all'altra.
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Se è vero che un cavaliere, fra ingaggi, bottino, riscatti e tornei, riusciva ad accumulare discrete
quantità di denaro, era altrettanto vero che era pronto a dilapidarlo in breve tempo, per nuove
armature, cavalli, donne e banchetti, per lui tutto era finalizzato allo sperpero ed ai fatui piaceri di
una vita senza senso.
Dal XIII secolo la loro connaturata prodigalità, la nascente economia monetaria, che non
sapevano controllare, e la stessa recessione economica, che si abbatteva sul mondo feudale, li
portarono ad un continuo stadio di indebitamento, che li spinse a ricercare servizi mercenari.
Se nell’XI e XII secolo la cavalleria era una comunità di guerrieri professionisti a cavallo, agli
ordini di un signore o di un nobile, nel XIII secolo si trasformò in una corporazione di guerrieri
nobili, cioè di nobili armati cavalieri; da questo periodo non si poté più entrare nella cavalleria, se
non per nascita o decisione regia, così la cavalleria si trasformò in nobiltà.
Il torneo: Il torneo, nato alla fine dell'XI secolo come naturale sfogo della violenza repressa, e
come addestramento militare, ben si prestava alla rappresentazione teatrale dei ranghi e della
gestualità nobiliari.
I tornei andavano inquadrati sotto tre aspetti specifici: l’utile, in quanto allenamento ai reali
combattimenti in battaglia, il ludico, insieme di gioco e sport professionistico, il cui scopo era di
acquisire gloria e guadagno, il festivo, spettacolo molto apprezzato da un pubblico numeroso ed
eterogeneo.
A dare impulso al sistema araldico molto più della guerra contribuì il torneo, in quanto costituiva il
luogo più idoneo, se non l’unico, in cui i singoli cavalieri potevano far conoscere le capacità
personali di combattente e mostrare i simboli della propria casata.
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Ne venivano disputati in continuazione in tutta l'Europa occidentale: re, principi e conti facevano a
gara per organizzarli, neanche nei più rigidi inverni venivano sospesi. Solo in Inghilterra erano
rigorosamente vietati: saggiamente Enrico II, pur possedendo una grande cavalleria, non la voleva
fra i piedi ed inviava suo figlio con tutta la masnada a torneare in Francia, con un enorme onere
finanziario a carico dello stato.
Se l'essere sbalzati violentemente di sella ed il cadere pesantemente a terra era già di per sé
traumatico, con l'andar del tempo e con l'appesantirsi dell'armatura, era questa stessa che col suo
peso provocava fratture irreparabili; l'elmo per primo, vuoi per i tremendi colpi di mazza ferrata o di
spada, vuoi per l'urto col terreno nella caduta, finiva spesso per imprigionare la testa del
malcapitato, ed era necessario l'intervento di un fabbro per rimuoverlo, con grande gioia del collo,
degli orecchi e del cervello; Guglielmo il Maresciallo, il migliore cavaliere inglese e fra i più
acclamati in continente, ne sapeva qualcosa!.
Non va trascurato il fatto che il torneo era l'ambiente ideale in cui si risvegliano vecchi rancori,
vendette e gelosie, e molti cavalieri approfittavano della circostanza per disfarsi dei rivali.
Il torneo, puntigliosamente avversato dalla Chiesa in quanto dispensatore di piaceri peccaminosi,
addirittura, secondo il predicatore del XIII secolo Giacomo da Vitry, in esso erano rappresentati
tutti e sette i peccati capitali, persistette fino al XV e XVI secolo, affiancato dalla giostra: scontro di
due cavalieri prima e scontro di un cavaliere con un fantoccio poi.
Già nota fin dai tempi di Carlo Magno, quando diffondeva la chiamata generale alle armi
(eribanno), col diffondersi dei tornei rinasceva nel ‘200 la figura del banditore; questi aveva il
compito di citare ed eseguire le sentenze, generalmente fungeva da poliziotto e carceriere ed in
occasione dei tornei avevano l’incarico di organizzare la manifestazione.
Ai banditori era devoluta la glorificazione dei cavalieri, in quanto fungevano da archivisti delle loro
prodezze; ad essi spettava il compito di contare i morti ed i feriti in battaglia, segnalare i gesti eroici
e pubblicizzare i contendenti prima e durante e dopo i tornei, poiché, con un colpo d'occhio, erano i
soli in grado di identificare dai colori e dal blasone il signore che si celava sotto l'armatura.
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Gestualità e morte: La cavalleria, che fin dall'origine aveva improntato la sua stessa esistenza
alla gestualità, ai riti ed alle formule codificate, sfruttò l'occasione delle crociate per arricchirsi di
nuovi simboli, quali la tunica bianca, la croce rossa cucitavi sopra, ed il misticismo ascetico in cui ci
si immedesimava in vista della grande avventura.
I suoi componenti neanche davanti alla morte rinunciavano ai gesti propiziatori che gli erano
famigliari, e che servivano a far condonare i loro peccati; alla stregua del loro signore,
immaginavano Dio come condottiero e giustiziere, un Dio che comandava e puniva, ma pronto a
perdonare nobili e cavalieri davanti ad un atto di ossequio: offrendogli il loro guanto in punto di
morte avevano la sicurezza di farla franca.
Dalla paura di non riuscire a compire quest'ultimo atto, nasceva la necessità di procurarsi
l'appoggio dei Santi, costituenti il tribunale divino, e quindi vicini al Giudice Supremo; si instaurò
così la prassi di donazioni a favore di monasteri, onde avvalersi della intercessione dei monaci,
principali beneficiari del perdono divino.
Attraverso tutto il basso Medioevo vigeva la formula: “con le ricchezze iniquamente guadagnate
fatevi degli amici in cielo”; poiché ai cavalieri ed ai signori non poteva essere inflitta alcuna pena
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corporale, ma questa veniva sostituita da una multa pecuniaria, essi erano convinti che, con lo
stesso sistema, si rimediava anche nell'Aldilà.
Ancora nel '200 la gran parte di essi erano condannati a restare scapoli; alla corte del signore
non conducevano certo una vita grama, dal cibo, all'equipaggiamento, ai divertimenti, alle donne,
di tutto avevano in abbondanza, ma di sposarsi non se ne parlava proprio.
La cavalleria, nobile corporazione di guerrieri d’élite nei secolo XI e XII, si trasformò nel tempo in
un’accolita di guerrieri nobili, per arrivare alla fine del Medioevo ad una confraternita d’élite della
nobiltà, cioè di nobili armati cavalieri, che a loro volta diedero origine agli ordini cavallereschi.
Matrimonio ed Amor cortese:
In un ambiente dove tutti vivevano sulle altrui fatiche, sullo sfruttamento degli indifesi, sulla
spoliazione degli altrui beni, divenne naturale che i giovani entrassero in emulazione con i vecchi,
che su questi concetti e con questi metodi avevano creato le loro ricchezze ed i loro feudi.
Se gli ideali di questi giovani guerrieri erano la caccia ad animali feroci, la conquista, l'avventura
ed il contravvenire alle leggi, niente di più logico che, nella casa del signore, generalmente vecchio
e non bello, essi assediassero e cercassero di conquistarne la dama, meta delle loro ambizioni.
Chiaramente, questo corteggiamento non poteva avvenire in maniera plateale o brutale, poiché il
rischio era troppo grande e le conseguenze spiacevoli.
Finalmente cominciavano a rendersi conto che, oltre il loro, esisteva un mondo femminile,
culturalmente più evoluto, che alla loro rozzezza preferiva la compagnia dei chierici, dei trovatori,
dei poeti, ed iniziarono a far propri gli atteggiamenti di questi personaggi non violenti che vivevano
sotto il loro stesso tetto.
Per non essere da meno i giovani cavalieri, pian piano incominciarono a modificare i loro gesti, il
loro linguaggio ed infine la loro cultura; nasceva così, in questa società violenta, il nuovo concetto
di “cortesia” verso la donna sognata e desiderata.
Come nella giostra si cercava di disarcionare l'avversario con la lancia, così nella contesa per il
cuore della dama si faceva di tutto per conquistarne l'amore col la gentilezza, con poesie, con la
completa sottomissione e primariamente con la moderazione del proprio desiderio.
Si impose allora un nuovo gioco, un gioco da uomini, consono alle norme della cavalleria, dove
persone esperte nel dominare la paura in combattimento, dovevano dimostrare di saper controllare
i propri sentimenti e desideri.
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A questa scuola essi imparavano la temperanza, molto dure erano infatti le prove a cui la dama li
sottoponeva; a tal fine essa si abbigliava, sporadicamente e con parsimonia mostrava qualcosa di
sé, faceva di tutto per scatenare rivalità e gelosie fra i vari contendenti.
Anche se in forma indiretta, grande fu l'influenza della Chiesa nel fenomeno dell'amor cortese,
questa infatti nel secolo XI cominciò a dare molta importanza al matrimonio ed a propagandarne la
sacralità; per contrapposizione e per sovvertire tale ordine, i giovani cadetti, a cui era pressoché
preclusa tale unione, si vedevano costretti a orientare in modo diverso le loro aspirazioni.
Si può quindi dire che se la Chiesa col tempo era riuscita a regolare ed a gestire le passioni del
basso popolo, i nobili, per sfuggire a questa imposizione inventarono il nuovo ideale dell'”amor
cortese”, con cui disciplinare in maniera libera i propri adepti.
Questi giovani, senza speranza di potersi accasare, riversavano l'amore sul simbolo dei loro
desideri: la dama del signore, la donna maritata, sfiorita in fretta o quasi sempre incinta; doveva
essere un momento non piacevole la sera, quando il signore e sua moglie si ritiravano per la notte,
e lasciavano i cavalieri, riuniti intorno al fuoco, con un groppo in gola ed una grande invidia.
Viene il dubbio che questo sfrenato trasporto verso la dama del dominus rispecchiasse in fondo
l'amore verso la propria madre, persa fin dalla tenera età, quando essi, privati del suo affetto e
delle sue cure, erano stati issati in sella per l'apprendistato.
Va comunque tenuto presente che il codice ed il cerimoniale dell'amor cortese era innanzitutto un
mezzo a disposizione del padrone per riaffermare il proprio potere, per tenere a freno le bande
irruente a lui sottoposte, spingendole al confronto amoroso e bellico.
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Per entrambi fu per molto tempo un gioco, di cui la donna rappresentava la posta, gioco raffinato
e crudele, sempre permeato di una grande carica erotica, ma del quale tutti i partecipanti
rispettavano le regole.
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