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MARIO BERTUCCI
EMANUELINO
E
TITOLINO
E
I 5 REAMI
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A Emanuele
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Macesina, in un piccolo sobborgo lontano lontano, in una
qualunque mattina di agosto, nasceva un bimbo che sarebbe
ben presto diventato un grande sognatore. Emanuelino, questo era il
suo nome, non era un bimbo speciale perché diverso dagli altri, era
speciale perché l’amore dei suoi genitori era così grande da renderlo
invincibile. Grazie all’Amore e alla sua fantasia, nata e accresciuta tra
coccole folli e baci senza fine, Emanuelino era in grado di far accadere
ogni cosa, bastava solo che lui, piccolo e innocente, si rendesse conto
di desiderarla. E allora ecco che nuovi mondi e Paesi incredibili, posti
fatati e foreste incantate, sorgevano ai suoi occhi pronte per essere
esplorate.
E fu così, che alla fine di agosto, in un qualunque 2016, cominciarono
le avventure di Emanuelino l’Invincibile.
Giù, a Est, verso la fine della Valle dei Grandi Ciliegi, oltre il Borgo Alla
Quercia, si apriva la magnifica vista dei Laghi. Al di là del Grande Lago,
seguendo il sentiero giallo di Achillea fino all’Albero Zucca, si poteva
arrivare al lungo Cammino dei Cinque Reami. Non era poi così difficile
ma chissà perché gli essere umani, quelli senza fantasia, si intende, non
riuscivano quasi mai a scorgerne l’ingresso. Emanuelino invece era
stato diverse volte, da bambino, all’ingresso del Cammino con il suo
A
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Papà e la sua Mamma, ma non aveva mai potuto oltrepassare, a cinque
giorni di cammino dall’Albero Zucca, la Grande Sentinella del Primo
Reame. Un mulino a vento, chiamato il GRANDE GIGANTE, era a
guardia del primo reame incantato e nessuno, dico nessuno, che non
possedesse la Fantasia e L’amore che Emanuelino aveva fin dalla
nascita poteva avere il permesso di passare attraverso le pale rotanti
della Grande Sentinella. Mamma e Papà, dunque, dopo aver ormai
perso la fantasia che la sentinella richiedeva per rallentare le sue pale,
non potevano passare.
Solo suo Padre e sua Madre sapevano esattamente il nome e la strada
del REGNO DEI 5 REAMI, ma non avevano mai detto a nessuno come
facevano ad avere quelle informazioni. Così Emanuelino, fino alla fine
di questa storia, continuò a chiedersi da dove derivasse la conoscenza
dei suoi genitori ma loro, per qualche ragione, dissero che solo alla fine
del viaggio, un giorno, se fosse riuscito ad attraversare tutti e cinque i
Reami del regno, e a scoprire il segreto del Re, avrebbe saputo la
verità.
“Io e la Mamma sappiamo molte cose che ancora non possiamo
spiegarti, Emanuelino, ma quello che possiamo dirti è che il tuo destino
vuole che tu, un giorno, parta per grandi avventure: dovrai recarti
all’Albero Zucca, procedere per 5 giorni lungo il sentiero fino a
raggiungere la Grande Guardia ed entrare nel Primo Reame del regno:
Il Reame dei Folli. Solo dopo aver attraversato il primo reame,
vincendo e superando tutte le difficoltà che in quel paese incontrerai,
potrai entrare nel secondo Reame: il Reame dei NO”. Il padre non
poteva dire ad Emanuelino cosa avrebbe incontrato e quali difficoltà
avrebbe dovuto superare, quali nemici sconfiggere e quali amici
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avrebbe conosciuto durante il suo cammino: fantastiche creature,
strumenti magici, nature inesistenti e follie sarebbero stati i suoi
compagni di viaggio da cui imparare e crescere per diventare una
persona migliore.
Solo alla fine del viaggio, se mai fosse riuscito ad arrivare all’ultimo
reame del regno e conoscere il Re allora avrebbe svelato il segreto e
imparato una grande lezione che gli avrebbe mostrato il più profondo
mistero della sua vita. Ma fino ad allora, fino a che non sarebbe stato
pronto per affrontare il suo viaggio, non avrebbe più potuto conoscere
nulla riguardo al magnifico Regno dei 5 Reami.
L’ultima cosa che il Papà e la Mamma di Emanuelino poterono fare per
lui fu disegnare una breve e semplice mappa del regno, senza tuttavia
mai svelargli il come, e il perché, fossero in possesso di quelle
informazioni. Emanuelino non poteva portare i genitori con se’ nella
sua avventura e così decise di partire con il suo migliore amico di
sempre: il gatto Valentino. “Titolino”, questo uno dei tanti soprannomi
del micio Valentino, insieme a “Gardnerella, Parodontax, Nicaragua,
Fantaghirò, Terremototragedia, Jocelyn, Pierre Cardin, Mammoletta,
Tituzza, Tituzzella, Tito, Titino, Titti, Titi, Trino, Rino, Rinello,
Maruzzella Maruzzè, e altri nomiglioli vari e incomprensibili che Papà
e Mamma gli avevano sempre amorevolmente appioppato, era il gatto
più tenero e insieme più pauroso di tutto il mondo conosciuto.
Ben presto Emanuelino e il suo fedele compagno Valentino, all’alba di
un giorno qualunque, partirono per il Regno dei 5 Reami.
La sera prima però Emanuelino era molto triste perché sapeva che
avrebbe dovuto abbandonare il suo Papà e la sua Mamma per diversi
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giorni, non sapeva nemmeno lui quanti, e benché dovesse andare
incontro al suo destino, e compiere la grande avventura, provava un
senso di tristezza e nostalgia. Fu sorpreso di provare la mancanza di
casa quando si trovava ancora nel suo lettino della piccola casetta di
Macesina, ma non poté farci nulla, poiché con la fantasia era in realtà
già molto lontano.
Prima di andare a dormire Emanuelino e Titolino prepararono le loro
cose: Emanuelino prese lo zainetto dall’armadio e lo riempì di tutti i
giocattoli che aveva, mise le costruzioni, i pastelli, il temperino della
Cartell, tutti i peluches, i pupazzi, pupazzetti, macchinine… A un tratto
però scorse lo sguardo interrogativo di Titolino che lo fissava in silenzio
sollevando l’angolo destro della bocca quel tanto che bastava per
scoprire il solo dente canino, che nessuno sa poi perché non si chiami,
almeno in questo caso, “dente gattino” – ma lasciamo perdere – e fare
la sua famosa smorfia “alla Clint Eastwood” che lo aveva reso famoso
in tutto il circondato. Emanuelino sapeva bene il significato di
disappunto della smorfia alla Clint Eastwood, così stese la mano e
accarezzò con delicatezza la testolina dell’amico:
“Hai ragione Titolino, per la nostra grande avventura i giochi non
servono, sarà meglio lasciarli qui a casa per quando torneremo” …
“MAaaaaaaaoooooooouuuu” rispose la Titoletta.
E dopo aver svuotato lo zaino dai giochi lo riempirono di sandwich,
brioches, patatine, pizzette e un sacco di dolci, una bussola dalla
scrivania dello studio di Papà, un compasso, dei fogli bianchi, una
borraccia, una torcia, due tipi di crocchette per il titolino, quelle al
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salmone e quelle che Emanuelino chiamava “Le crocchette del Gatto
Pisciatone” ed eccoli finalmente pronti per la loro grande avventura.
MAPPA
REAMI:
I. Reame dei Folli
II. Il Reame di Dove è Sempre Natale
III. Reame dei No
IV. Reame delle Nature Inesistenti
V. Il Reame del Re
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L’INIZIO DEL VIAGGIO
Emanuelino e Titolino non riuscirono a dormire un granché quella
notte, l’eccitazione per il Grande Viaggio e per la fantastica avventura
che stavano per vivere li imprigionò in lunghi e felici pensieri che
rubarono il sonno a entrambi. L’emozione era troppo grande così si
addormentarono abbracciati soltanto per qualche minuto fino a che la
sveglia a forma di gufo risuonò le 5 del mattino.
“Si parteeeeee!!!!” saltò in piedi Emanuelino facendo cadere il Tito dal
letto e richiamando sul suo volto la famosa smorfia alla Clint Eastwood
ancora una volta.
“Forza amico mio, una bella colazione da super eroi e poi di corsa a
lavarci i denti come vuole la Mamma”.
Emanuelino non era in grado di aprire il frigo da solo, era alto un metro
o poco piu’, così dovette prima portare lo sgabello dell’isola di granito,
che era più alto di lui, vicino al frigorifero, arrampicarcisi in cima, e con
tutte le forze che aveva in corpo far finalmente ruotare lo sportello.
Presero un cartone di latte, due uova per imitare il Papà, un po’ di
polvere ciocconesquiccosa dal cassetto, un sacco di biscotti, due
arance per fare una spremuta come faceva la Mamma tutte le mattine,
un pezzetto di burro e qualche fetta di pane. Per il Tito, invece,
Emanuelino versò un po’ d’acqua fresca nella ciotolina color verde
acido e qualche crocchetta nuova, ma soltanto dopo aver buttato via
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quelle “staladesse” del giorno prima. Il risultato però fu disastroso: del
latte fresco Emanuelino ne versò per terra più della metà, le uova si
ruppero entrambe, il che fu poi una fortuna dato che altrimenti
avrebbe cercato di cucinarle sul tavolo invece che sul gas a cui, per
divieto dei genitori, non aveva nemmeno il permesso di avvicinarsi, il
burro non lo usò e se lo dimenticò vicino alla finestra, al pane diede
solo un secco e deciso morso prima di annoiarsene, le due arance
finirono intere in un bicchiere e briciole infinite di biscotti al cioccolato,
insieme al nesquick, si ritrovarono ben presto sparse praticamente
ovunque, soprattutto sul tappeto nuovo della sala. Le impronte delle
dita di Emanuelino poi si intravedevano dappertutto, e non solo in
controluce, ed Emanuelino sapeva bene quale sarebbe stata la
reazione terribile della Mamma, ossessionata dalla perfezione e dalla
più profonda pulizia anti germi. In un attimo Emanuele fu colto per un
brevissimo istante da un profondo senso di smarrimento, ma subito gli
venne in mente che, pur di non sgridare lui, la Mamma avrebbe quasi
certamente incolpato il Papà di tutto quel macello. Per cui sollevò le
spalle, assunse una spavalda aria di innocenza, e corse a lavarsi i denti
a rotta di collo. Titolino naturalmente lo seguiva ovunque, così smise
di mangiare le sue squisite crocchette marroncine dure come i sassi e
andò anche lui in bagno per farsi spazzolare i denti, ignaro e indifeso,
dal piccolo Emanuelino…
Alle ore 6 e 20 circa, qualche minuto prima dell’alba, i due si lasciarono
la piccola casa di Macesina alle spalle e s’incamminarono giù per la
collina dietro al campanile della piccola chiesetta arroccata.
L’avventura era iniziata.
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Dopo qualche paio di ore, zaino in spalle e stivaletti ai piedi,
Emanuelino e il suo fedele amico Valentino camminavo sul ciglio di un
sentiero verso EST inseguendo la nuvola a forma di Orso Polare che
sembrava non avvicinarsi mai; diretti, uniti e invincibili, all’Albero
Zucca. Il Papà aveva detto innumerevoli volte a Emanuelino che per
giungere all’inizio del sentiero che conduceva ai 5 reami del regno
avrebbe semplicemente dovuto seguire il corso del fiume del Collo
Torto fino alla fine della valle dei Grandi Ciliegi. E così i due piccoli
avventurieri fecero quasi alla lettera.
Emanuelino e Titolino non avevano fatto subito amicizia, si erano
conosciuti la sera del 30 agosto, quando il Riccio Bortolo lo aveva
lasciato fuori la porta del numero 1/a di via Macesina di Sotto. Sì,
perché a Macesina, a differenza che in tutti gli altri posti della terra, i
bimbi appena nati non arrivavano nelle nuove case trasportati dalle
cicogne dal lungo becco, ma bensì sulla schiena dei ricci di terra che,
lenti lenti, flemmi flemmi, arrivavano trotterellando mezzi ciechi,
sbagliando strada innumerevoli volte e quasi sempre di cattivo umore.
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Quando Bortolo lasciò il piccolo Emanuelino fuori della porta i suoi
genitori piansero tutta la notte per la grande gioia e l’incontenibile
emozione di aver visto esaudire tutte le loro preghiere di sempre:
Emanuelino era finalmente arrivato nella famiglia Bertucci! Ad ogni
modo, l’unico che parve mostrare indifferenza all’arrivo del piccolo
Emanuele fu proprio il gatto Valentino. Il Tito si mostrò per quasi tre
mesi pressoché totalmente distaccato e quasi ignaro della presenza
del piccolo Emanuelino che, tra una risata e una frignata, aveva
letteralmente invaso la casa con la sua chiassosa presenza. Un giorno,
però, Emanuelino scoppiò a piangere a dirotto e, all’improvviso, tirò
fuori uno di quei pianti leggendari, così fragorosi e dirompenti che
tutta la cristalleria della credenza provenzale, quella bianca lungo la
parete EST, vicino la grande vetrata bianca, entrò in risonanza con le
sue corde. Tutti i bicchieri andarono in frantumi. Un pianto senza
precedenti dovuto al piccolo dentino bianco bianco che stava per
spuntare nella sua bocca quasi disegnata, come diceva la Mamma. Il
Titolino si avvicinò allora alla carrozzella in cui il bimbo Emanuelino
piangeva a dirotto, eeeeeeeeehhhh ZAC! Quando il suo Papà e la sua
Mamma entrarono in salotto rimasero di sasso: Valentino era in
qualche modo saltato nella carrozzina e, appollaiato sopra il piccolo, lo
leccava dolcemente asciugandogli le lacrime. Emanuelino smise allora
di piangere e d’improvviso, così come aveva iniziato a frignare,
cominciò a fissare negli occhi la Tituzzella, sigillando da quel momento
un’amicizia che sarebbe rimasta salda e invincibile per sempre. Da
quella sera, ogni qualvolta il piccolo Emanuele attaccava un pianto più
vigoroso del solito, Valentino arrivava in un baleno e iniziava a dargli
tanti bacini strofinando il suo musetto caldo e peloso sul viso
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pacioccoso del piccolo. Fu l’idillio. Oggi sono ancora inseparabili, ma
questa è un’altra storia.
Ma torniamo ai due marmocchi in viaggio…
Dopo molte e molte ore di cammino i due avevano attraversato grandi
distese di campagna, un ruscello, due ponti del Chiese, quattro
campanili, un vigneto e diversi paesaggi quasi fiabeschi. Alla fine,
quando era ormai giunto il tramonto, Emanuelino si accorse del calar
del sole quando il suo amico Titolino aveva preso a giocare con la sua
ombra: tentava in tutti modi di catturarla come fosse un insetto. Un
po’ la inseguiva, un po’ ci danzava intorno, poi drizzava il pelo e stava
in agguato, e a tratti scappava. Emanuelino scoppiò in una fragorosa
risata:
“Valentino, come sei buffo! Ma non vedi che è la tua stessa ombra….
Ahahahahaah”. Emanuele rideva a crepapelle ma d’un tratto si fermò
a pensare: “se le ombre sono così allungate vuol dire che siamo ormai
al tramonto!”. Si voltò e vide alle sue spalle un sottile velo di pulviscolo
rossiccio, come polvere di mattone, galleggiare nell’aria. Il sole era
ormai quasi sparito del tutto e ogni colore, ogni finestra, ogni foglia,
persino lo specchio d’acqua del fiume che li aveva accompagnati,
avevano assunto vispe tinte rossastre.
“E’ ora di riposare Valentino, ci accamperemo in quel capanno per la
notte”, disse indicando un punto lontano. Il Titolino lo fissò tenendo lo
sguardo basso e curvando un poco verso terra la sua testolina. Aveva
timore…
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“Non aver paura Titulì, lo sai che la Mamma non vuole che andiamo in
giro col buio”. Il Titolla annuì.
“E se Papà fosse qui direbbe che il capanno laggiù, viste le condizioni
al contorno, è sicuramente la scelta più adeguata; naturalmente,
aggiungerebbe” disse Emanuelino tentando di imitare la roca voce di
suo padre “basandosi soltanto sulle scarse e incomplete informazioni
in nostro possesso per l’analisi immediata della situazione”.
Valentino deglutì. Tutti e due si fissarono e poi scoppiarono a ridere
divertiti.
“Dai amico mio, andiamo laggiù e non pensiamoci più!”.
Il vecchio capanno abbandonato stava in fondo a una strada poco
battuta, dietro la gobba di una collina coperta di giallo, nel cuore della
valle dei Grandi Ciliegi.
“La porta è aperta. Un po’ malandata forse” disse Emanuelino sfilando
il vecchio chiavistello, duro e arrugginito, “ma comunque aperta”.
Dentro, il capanno, era piuttosto buio, solo gli ultimi raggi del sole
imbiondivano la paglia ammassata sparsa un po’ ovunque. Una vecchia
scala, perlopiù dai pioli marci, e una sorta di ringhiera al piano di sopra
con biada e fieno che strabordavano dalle inferriate.
“Non vedo lanterne né candele, Titolino, sarà meglio sbrigarci e
preparaci un letto. O tra poco qui non vedremo più nulla”. Il coraggio
e la spensieratezza del piccolo Emanuele si contrapponevano ai timori
e alla paure di Titolino, il quale se la stava già facendo sotto dalla paura.
La notte tuttavia arrivò presto e così, dopo aver mangiato un po’ di
cibo - due merendine al cioccolato e un succhino all’albicocca per
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Emanuelino, e una ventina di crocchette del Gatto Pisciatone per la
Titoletta – i due amici si addormentarono, l’uno accanto all’altro, su di
un comodo letto di pagliericcio. Si scaldarono a vicenda. L’amicizia rese
entrambi sicuri e tenne fuori dalla porta del capanno la paura.
La mattina seguente, in un’ora imprecisata prima dell’alba, i due amici
erano già fuori del capanno pronti per seguire nuovamente il fiume
fino all’Albero Zucca. Ci vollero altri tre giorni di cammino, due chiese
e una stalla in cui accamparsi per la notte, due scatole di biscotti, 6
succhini all’albicocca, due pacchetti di patatine e tre scatolette di
tonno sottomarca al naturale per la Titoletta, due metà per ogni giorno
di cammino.
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Ed eccoli giungere, finalmente sani e salvi, alla curva oltre la quale si
stagliava, in una mal riuscita gara verso il sole, il ricurvo Albero Zucca…
Era un qualunque venerdì pomeriggio quando il sentiero per il Regno
dei 5 Reami si presentò davanti ai due amici avventurieri.
La stanchezza era tanta ma ne era valsa la pena, i due amici si
guardarono per un poco, sorrisero più o meno entrambi, anche se
quello del Titolino più che un sorriso sembrava una smorfia, e dopo
aver accarezzato l’Albero Zucca scavalcarono lo steccato, seguirono il
sentiero che li avrebbe presto portati al primo reame del regno, e
riempirono il cuore di curiosità ed emozione…
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I REAME
IL REAME DEI FOLLI
Dopo che erano passate non più che un paio d’ore ai due piccoli
avventurieri si presentò, in tutta la sua maestosa presenza, La Grande
Sentinella, il primo guardiano del Regno dei 5 Reami. Il vecchio mulino
della collina si ergeva a protezione del primo reame: le sue grandi pale,
massicce e robuste, ricordavano le braccia degli antichi guerrieri.
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“Ci siamo Titolino, la Grande Sentinella sbarra l’accesso al Reame dei
Folli di cui ci parlavano Papà e Mamma. Dobbiamo passare attraverso
le sue pale e dimostrare di avere il cuore puro!”. Titolino impallidì.
“Guarda come ci fissa, ci sta studiando… Sei pronto?”. Ma il Titollo non
era affatto né pronto né sicuro. Fece due passi indietro con la coda tra
le gambe. Emanuelino lo fissò e si intenerì.
“Senti amico mio, per arrivare al castello e conoscere il Re dobbiamo
passare di qui”. Titolla scosse la testa e indietreggiò ancora.
Emanuelino sembrò sconfortarsi un poco ma non si diede per vinto e
si mise a sedere su di un grosso sasso bianco, sotto lo sguardo attento
della Grande Sentinella. Passarono quasi tre ore ed Emanuelino
continuava a pensare….
“TROVATO!” disse il piccolo Emanuele saltando in piedi come un
grillo. Titino, che a furia di pensare si era addormentato accanto al
masso, fece un balzo di quasi un metro dalla paura rizzando il pelo
come le setole di un istrice. Titolino, che conosceva bene le idee audaci
e bizzarre di Emanuele, non era affatto tranquillo; abbassò le orecchie
come se non volesse sentire quale diavoleria avesse escogitato l’amico
per convincerlo a passare in mezzo a quelle giganti, corpulente e
pericolosissime pale rotanti… Erano veloci come un tuono e taglienti
come la lama della spada di un samurai. Avrebbero certamente fatto il
suo corpicino a fettine pensò il Tituzzo tremando come una foglia.
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Emanuelino aprì lo zaino, tirò fuori alcune crocchette del gatto
Urinato, e le mostrò soddisfatto, al centro del palmo della mano,
all’amico indifeso. Gli occhi gli brillavano.
“Ho la soluzione amico mio, aspettami qui” disse Emanuelino correndo
verso il ruscello che scorreva accanto alla sentinella. Una volta arrivato
al fiume il piccolo si chinò e bagnò tre volte, esaltando il gesto come
fosse un rituale magico, le crocchette nel piccolo rigagnolo d’acqua. Il
gatto Valentino lo guradava con curiosità. Tornato accanto all’amico a
quattro zampe Emanuelino mostrò fiducioso sei crocchette inzuppate
di acqua fissandole con occhi scintillanti come fossero gemme.
“Eccoci amico mio…”. Sorrise. Sul volto del Titolla si disegnò un enorme
punto interrogativo. “Quello laggiù è un ruscello magico, il Papà me lo
ha detto tante volte ma io me ne ero dimenticato”. Attese una qualche
reazione sul muso dell’amico. Vide grande stupore, aveva fatto centro.
“Chi mangia del cibo intinto nell’acqua magica del fiume diventa
invisibile…”. Titolino spalancò lentamente la bocca e sporse il muso
allungando il collo come un’anatra del sud.
“Certo vecchio mio, me ne ero quasi dimenticato: mangiando le
crocchette inzuppate nel fiume noi diventeremo invisibili e la Grande
Sentinella non ci potrà IMPEDIRE DI PASSARE!” gridò lanciando il
gattino in aria più volte, come avesse vinto alla lotteria. L’entusiasmo
e la contentezza di Emanuelino diedero una carica enorme di fiducia al
timoroso Titolino, al quale non passò nemmeno per l’anticamera del
cervello l’ipotesi che il piccolo si fosse inventato tutto per convincerlo
a passare. Così entrambi ingoiarono subito tre crocchette a testa –
naturalmente Emanuelino fece solo finta di mangiare quelle schifezze
– e subito diventarono invisibili a tutto il mondo circostante.
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“Come ti senti amico mio? Vedi come siamo diventati invisibili? Solo io
e te possiamo vederci… Ma fai presto, l’effetto durerà soltanto poco
tempo”. Valentino era felicissimo e d’un tratto, la grande paura che lo
rendeva timoroso e incapace di attraversare il mulino, scomparve del
tutto.
“FORZA ALLORA, ANDIAMO!”. Emanuelino in testa e
Valentino, trotterellante dietro qualche metro lo seguiva passo passo
con testa alta e petto in fuori, come fosse il gatto più coraggioso e
sicuro del mondo.
Così, dopo qualche ora di attesa, i due amici attraversarono le grandi
braccia della Sentinella passando indisturbati, sotto i suoi grandi occhi
di brace, totalmente invisibili a chiunque.
Al di là delle pale del vecchio mulino si presentò agli occhi dei due
piccoli avventurieri un mondo magico e incredibile. Emanuelino e
Titolino si trovarono all’ingresso di un piccolo paesino, o meglio sulla
soglia di una cancellata in ferro con un’insegna dondolante:
” Il Reame Dei Folli”
La prima cosa curiosa a cui pensò Emanuelino fu che era
assolutamente impossibile che un paese si chiamasse con il
soprannome di “FOLLE”, poiché un folle è tale perché non sa di essere
diverso dagli altri, non crede di essere matto, altrimenti non
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accetterebbe se stesso e si rinchiuderebbe in manicomio, pertanto
come era possibile che un paese accettasse di darsi del “Folle”,
dichiarando così di essere matto? “Voglio dire, Titolino” disse
Emanuele guardando l’amico Valentino, “che se uno si rende conto di
essere folle allora vuol dire che è guarito e che folle non lo è più.
Giusto?” Titollo annuì due volte con la testa. “Quindi, un paese che si
rendesse conto di essere folle guarirebbe e non si chiamerebbe più
“Paese dei Folli” poiché tutti sarebbero guariti”. Valentino iniziò a
confondersi e aggrottare la fronte. Si leccò le zampe per pensare…
“Quindi, amico mio, siamo senza dubbio difronte ad una cosa senza
senso!” concluse soddisfatto. Il micio scosse la testa rinunciando a
seguirlo in quel pensiero contorto ed entrò nel paese insieme all’amico
di sempre.
“Benvenuti lor signori” disse una voce alle loro spalle. I due si voltarono
e videro un cane che teneva al guinzaglio un signore a quattro zampe
sui 45 anni. Emanuelino e il Titollo sgranarono gli occhi ed entrambi
spalancarono la bocca.
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“Cosa c’è di strano?” chiese il cane ai due visitatori, “non avete mai
visto la razza “dei farmacisti”? Eh, lo so” disse soffiando dalle sue
grosse narici nere, “non se ne trovano più tanti, in giro ci sono solo
razze di tabaccai, pensionati, qualche vigile… Ma poca roba”
Emanuelino scosse la testa velocemente, “io sono stato fortunato, Ninì
è piuttosto ubbidiente e sporca poco. Ma prego prego” disse
accennando un inchino, “seguitemi, vi porto al chiosco a fare
colazione. E, intanto, benvenuti”.
Lungo la strada i due amici videro un bambino di tre o quattro anni che
spingeva una carrozzina da bimbi con dentro i suoi genitori, due brutti
individui vestiti da carcerati che conducevano uno sceriffo in manette
verso il carcere e due donne elegantissime che spazzavano le strade
con grosse scope sfilacciate, vestite con lunghi abiti da sera scuri e
pesanti cappotti rossi. Emanuelino e Titolino si fissarono senza dire
nulla… Intanto, all’ombra di un grosso campanile, un vecchio cavallo
zoppo tirava per le redini un ragazzo che portava briglie e paraocchi.
“Mahahaaaaaaauuuuuuu….” disse titolino quasi
balbettando.
“Il mio amico ha ragione”, disse Emanuelino al cane dal corto pelo nero
che li stava accompagnando chissà dove, “voi siete tutti matti!”.
“Oh no, signore, niente affatto; siamo solo folli, mica matti”. Sembrò
offendersi. Valentino si grattò la testa con le sue zampette nere alla
nutella.
“Noi vediamo le cose in modo opposto a voi cosiddetti NORMALI, ma
chi di noi è folle e chi di voi è normale?” aggiunse. “E’ solo questione
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di codici, di definizioni. Nessuno ci può dire cosa sia opportuno
prendere a riferimento e cosa no. Cosa aspettarci e cosa invece
dovrebbe lasciarci sorpresi”. Ringhiò minaccioso.
La confusione dei due piccoli amici era alle stelle, non ci capivano più
nulla e Titolla, fifone come sempre, abbassò la testa sperando di
tornare ad essere invisibile. Nel frattempo, fuori da un vecchio bar un
nanetto, alto poco più di 50 o 60 centimetri, camminava soddisfatto
portando la sua testa sotto braccio: “che cavolo avete da guardare voi
due nanerottoli?” disse quella testaccia pelata da sotto l’ascella
fissando i due piccoli avventurieri di traverso.
“Niente, niente signore” si affrettò a rispondere Emanuelino con
educazione”. Il nano sbuffò e passò oltre.
“Eccoci arrivati signori, questo è il miglior parco giochi del paese.
Permettetemi di offrivi una buona colazione al chiosco” disse il
cagnaccio accompagnando i due piccoli amici in un buio e poco
raccomandabile giardino al centro di una piazza quasi deserta.
All’interno del parchetto si accorsero che tutti, ma proprio tutti, erano
completamente matti! I poverelli sdraiati sulle panchine si alzavano in
fretta, appena vedevano un signore passeggiare, e gli correvano
incontro per dargli dei soldi. Quello naturalmente ringraziava e se li
metteva in tasca benedicendo il poverello di turno. Il Titolino si grattò
la testa con la zampa.
Giù ad est, sopra il selciato, le barche remavano come fossero
sull’acqua: vicino a viole e margherite, in mezzo all’erba più folta,
alcune barchette a remi navigavano a filo d’erba per vedere chi era la
più veloce tra tutte. Il cane sorrideva divertito.
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“Ma, mi scusi, signor cane” disse Emanuelino stupefatto, “ma le
barche non dovrebbero remare laggiù, nel lago? Perché vanno
sull’erba?” disse prima di accorgersi che seduti su un muretto, vicino
alla sponda del laghetto, al centro del parco, sedevano dei signori con
il capello da pescatore che, schiena all’acqua, pescavano nella ghiaia:
“Ancora niente per oggi, figliolo?” chiese un signore sulla cinquantina
a un ragazzo non più che ventenne a pochi sassi da lui.
“No, signore, ancora niente. Ma se tutto va come deve andare entro
questo pomeriggio prenderò almeno due lattine e qualche carta di
caramella al cioccolato fondente!” rispose tutto accalorato.
Emanuelino non ci capiva più nulla: tutti, in quello strano paese, si
comportavano in modo del tutto assurdo.
“Ma, signor cane” disse il piccolo Emanuele, “non doveva portarci a
fare colazione?”.
“Non è esatto” rispose il cane, “io ho detto che vi avrei portato al
chiosco per la colazione. Qui da noi si va a fare colazione soltanto
quando il chiosco è chiuso!”. Emanuelino non capì un granché ma ebbe
come l’impressione che lui e il Titolla fossero stati fregati…
“Vede, signor Emanuelino” disse il cagnaccio nero che li
accompagnava per il parco e che non sopportava piu’ di vedere i due
ospiti con lo stupore negli occhi, “qui da noi vengono a vivere tutte
quelle persone che si annoiano a comportarsi come la gente si aspetta.
Voglio dire, signorino” disse sputacchiando saliva da quella lunga
linguaccia da cane, “che alcuni trovano gioia nell’essere diversi dagli
altri, nel distinguersi dalla massa per idee, emozioni, pensieri, azioni,
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scelte… Ma non per questo sono persone cattive, o sbagliate! Come
qualcuno vorrebbe pensare e farci credere”. Scorreggiò.
“Ma che puzza!” disse Emanuelino guardando il Tito che per la paura
del botto scoreggione era corso a nascondersi dietro a una delle
querce del parco.
“Mi scusino, lor signori, ma ultimamente soffro di una acuta forma di
flatulenza…”. Emanuelino si tappò il naso per l’odore insopportabile.
“Come stavo dicendo, quello che è diventato “normale” per la maggior
parte delle persone è considerato l’unico modo per fare le cose: per
vestirsi, per parlare, persino per pensare. Ogni volta che facciamo
qualcosa di originale alcuni ci giudicano come matti o fuori luogo. Qui,
invece, dobbiamo rifiutare i pregiudizi e amare le differenze”.
Emanuelino si mise a pensare ma faceva fatica a seguire i discorsi
contorti del cagnaccio, soprattutto con tutta quella puzza intorno.
“Qui da noi, cari miei, ognuno è obbligato a far quello che vuole, l’unica
regola è: essere originali!”. Sputò.
“Ma signor cane” disse Emanuelino andando a recuperare la Titoletta
da dietro al grande albero, “ma questo vuol dire che chiunque si
comporta diversamente da tutti gli altri viene quasi sempre preso in
giro?”.
Il cagnone si stupì dell’intelligenza del bambino e volle fargli un regalo.
“Proprio così ragazzi, dovunque tranne che qui!”. Accennò a fare
un’altra piccola scoreggia, ma poi ci ripensò: “Tieni amico mio” disse
tirando fuori una piccola chiavetta color miele dal suo grosso e peloso
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seder****, Ehm, volevo dire, da sotto la coda…. “Vi servirà per uscire
dal paese. E ora andate, prima che cali il sole del tutto”.
Emanuelino e Titolino così, felici e spensierati più che mai,
ringraziarono di cuore il cagnaccio e ripresero il loro viaggio verso il
castello del re… In fondo alla strada, sul cancello che permetteva di
uscire dal paese, risaltava una scritta dorata incisa nel ferro:
” Mormora, la gente mormora… Falla tacere
praticando l’allegria!”
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II REAME
IL REAME DI DOVE E’ SEMPRE NATALE
Dopo qualche ora di cammino, stanchi come non mai, i due piccoli
amici scelsero un grande faggio ricurvo dietro a cui il sole stava
andando a morire, per trovare rifugio. In un’apertura del tronco, larga
circa un metro e mezzo, a qualche centimetro da terra, Emanuelino
distese la sua coperta di lana, quella bianca con gli gnomi rossi che
aveva furbescamente rubato alla Mamma dall’armadio della camera,
mise i due cuscini marroni, uno per sé e l’altro per il Titolino, la appiattì
per bene, così come piaceva al Tito, e accese la piccola torcia per non
stare al buio durante la notte. Così, dopo aver fatto fuori due pacchetti
di patatine, una merendina al cioccolato e le crocchette del gatto
pisciatone per il Titolino si accomodarono sulla morbida coperta,
dentro al tronco dell’albero, per dormire come ghiri fino all’alba. Non
si sa se gli animali della foresta riuscirono a dormire altrettanto bene
quella notte dato che entrambi, il bimbetto e il gatto Valentino, erano
tra i russatori da competizione più famosi e temuti di tutta la Valtenesi
o, quanto meno, di tutta Macesina e dintorni.
Il mattino seguente, dopo una calda notte nella natura, cullati dal
canto delle cicale e dal trillo dei grilli, i due piccoli amici ripresero il
cammino.
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Dopo qualche ora eccoli giungere al cancello del secondo regno del
Reame dei 5 Reami:
” Il Reame Di Dove è Sempre Natale”
Il paesello Di Dove è Sempre Natale era un luogo davvero speciale
poiché in paese, appunto, era sempre natale, ma proprio sempre, 365
giorni l’anno. Quando Emanuelino e Titolino varcarono la soglia del
grande cancello si trovarono immediatamente catapultati in un
favoloso luogo di festa. Per le strade tutti i negozi erano addobbati con
luci natalizie, pupazzi di renne e babbi natale ovunque, pacchi regalo,
caramelle nei cesti, dolci dappertutto. Per la strada c’erano ovunque
zampognari e musici che suonavano filastrocche natalizie, baldacchini
che regalavano dolciumi e zeppole, frittelle e torroncini. Titolino ed
Emanuele deglutirono quasi contemporaneamente e a entrambi colò
la saliva dai lati della bocca:
“WOOOOOOW” disse Emanuelino lanciando in aria Titolla per
l’immensa contentezza.
“Mi scusi” disse allegramente Emanuele fermando un signore anziano
per la strada che ancora non si era accorto dei due piccoli amici, “ma
che davvero qui è sempre natale?” aggiunse sorridendo, non stando
più nella pelle.
“Hohohoho… Guarda un po’ chi è venuto a trovarci: due piccoli amici
pronti a festeggiare il natale tra giocattoli e fiumi di dolciumi”, si tolse
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il cappello a cilindro e sorrise facendo scintillare tutta la sua bianca
dentiera dentro alle labbra screpolate.
“Venite, venite miei piccoli amici: è da taaaaanto tempo che vi stiamo
aspettando!”. Emanuelino e Titolino si guardarono un po’ sorpresi
mentre la musica natalizia si alzava come il vento dalle strade, usciva
dalle case addobbate a festa tra luminarie e sonaglini, risuonava nei
carillon dei baldacchini ambulanti e usciva, prima veloce e poi lenta,
dagli zufoli dei menestrelli ubriachi per le strade. Ovunque, piccoli
aiutanti di babbo natale, lanciavano giocattoli da grossi sacchi di cuoio
marroncino: macchinine, robot, giochi in scatola, dolci, videogiochi,
figurine, peluche. Ogni ben di Dio, tra giochi e caramelle, era sparso
ovunque. Emanuelino e il piccolo Titolla erano felicissimi, ridevano a
crepapelle e raccoglievano a ogni angolo giochi e dolciumi. Emanuelino
aveva tutta la bocca sporca di cioccolato a furia di mangiare
cioccolatini e torroni e Tituzzella si leccava i baffi per le scatole di tonno
al naturale e salmone che i piccoli nanetti gli aprivano a ogni angolo di
marciapiede. Era uno spasso, una festa unica e senza confini. La magia
sembrava non dovesse finire mai…
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Emanuele e il piccolo micio furono ospitati in un grande casolare dove,
in ogni stanza, c’era un grosso albero di natale con addobbi diversi, e
sotto ogni ramo giaceva un regalo da scartare. I giorni passavano in
fretta, Emanuelino aveva ricevuto centinaia di regali e continuava a
divertirsi un mondo!
“E’ fatta Tituzzella, abbiamo trovato il posto più magnificissimo della
terra…” tutti e due risero senza sosta.
Tuttavia qualcosa sembrava essere stonato. Emanuele e Tito erano
ormai nel Paese DI Dove è Sempre Natale da quattro giorni e avevano
iniziato a notare che in tutto il paese non c’era un solo bambino. Come
mai in una cittadina così divertente, piena di allegria e giocattoli, non
c’era neanche un bambino?
“Hai notato, Titulì, che qui sono tutti vecchi?”, il micetto alzò un
sopracciglio e incurvò un poco verso il basso i suoi lunghissimi baffi
bianchi.
“Venite amici miei, cosa fate lì da soli?” disse uno dei vecchietti della
casa, “non potete starvene da soli, oggi è natale! Dobbiamo stare tutti
insieme qui nel salotto e scartare una montagna di regali…”. E così, tra
un giocattolo e l’altro, un dolcetto e un po’ di zucchero, i due piccoli
amici passarono altri dieci giorni a scartare regali in compagnia di tutti
i vecchi che abitavano il paese.
Ogni volta che Emanuelino e Titolino sembravano stufarsi di un gioco
o mostravano un qualche minimo segno di stanchezza ecco che tutti
gli abitanti del paese si facevano prendere dall’ansia:
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“Cosa c’è ragazzi, non vi divertite? E’ impossibile, dovete stare sempre
con noi a scartare nuovi giochi. Oggi è natale!”. Man mano che i giorni
passavano però Titollo ed Emanuelino si accorgevano che ricevere
giochi e doni tutti i giorni non era più poi così divertente. Certo i primi
giorni erano stati felicissimi, e avevano pensato tutti e due di rimanere
in quel posto per tutta la vita ricevendo continuamente regali nuovi e
divertendosi come matti, ma ben presto Emanuelino e Tituzza si
accorsero che non facevano in tempo a scartare un regalo che già ne
arrivava uno nuovo; non riuscivano ad imparare un gioco che quello
diventava già vecchio!
Finalmente Emanuelino capisce così l’importanza di ricevere poche
cose e di apprezzarle fino in fondo, assaporando ogni momento: il
natale è speciale perché raro, quasi unico. Un natale giornaliero perde
il suo significato, viene privato della sua magia, diventa un giorno come
un altro e i regali, pian piano, non sono più divertenti.
Dopo un poco, passati come detto circa dieci giorni, Emanuelino si
accorge, specchiandosi in una pozzanghera, di avere già 15 anni!!!!
Ogni giorno di natale era passato come un intero anno. Il piccolo stava
crescendo ogni giorno come fossero 365!.
“Ecco perché qui sono tutti vecchi!” esclama impaurito il piccolo
Emanuele tirando la Titolla per la coda.
“Maaaauuu” anche il titolino era invecchiato, zoppicava, era pallido e
lento.
“Non staremo qui un minuto di più, amico mio. Corri Titulì!” gridò
Emanuelino prendendo le sue cose e radunando tutti i giocattoli che
poteva ficcare a forza nel suo zainetto da viaggio.
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“Resta con noi Emanuele!” gridarono i vecchi della casa appena si
accorsero delle intenzioni dei due. “Abbiamo bisogno di bambini!
Ancora per qualche giorno sarai tu la giovinezza del paese!” gli
gridarono gli anziani tentando di avvicinarsi con la grande lentezza che
li distingueva.
“Io sono qui da meno di 3 mesi” gli disse un vecchietto dai capelli
argentati e dalle folte sopracciglia bianche come la neve. “Quando
sono arrivato avevo 12 anni… Guarda come sono ora Emanuelino! Ho
la dentiera, il bastone, gli occhiali e cammino a fatica… “. Emanuele
non credette alle sue orecchie e si rattristò!
“E perché non te ne sei andato?” chiese il piccolo singhiozzando per la
tristezza voltandosi per l’ultima volta.
“Perché ricevevo attenzioni, regali e giochi ogni giorno” rispose quello
con un senso di colpevolezza sul volto. “Volevo vivere per sempre in
un paese dove fosse sempre natale! Non c’erano specchi, o forse ero
io che non volevo vedere, e così invecchiavo ogni giorno di un anno.
Ma non mi importava!” Gli scese una lacrima. “Ora è troppo tardi
amico mio… Resta qui anche tu, invecchieremo insieme ma ci
divertiremo un sacco”.
“Mi spiace” disse Emanuelino guardando il suo amico a quattro zampe
che pendeva dalle sue labbra, “ma io e il Titolino non vogliamo
invecchiare, dobbiamo tornare dal Papà e dalla Mamma dopo aver
incontrato il re nel suo castello fatato. Già amico mio” disse
accarezzando la testa pelosa dell’amico, “come dice sempre il Papà -
una promessa è una promessa! -”, disse portandosi lo zainetto pieno
di regali, stracolmo di giochi, sulle spalle.
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“Andiamo Titollo, si parteeeee!!!! ”. Emanuelino e Titolino
corsero a più non posso verso il cancello dall’altra parte del paese non
sentendo più nemmeno le grida dei vecchi che li imploravano di
restare con loro e di non partire.
Così arrivarono in fretta alla grande cancellata di uscita e fu lì che
Emanuelino si accorse di non riuscire a varcare la soglia.
“Che succede Tituzzè? Non riesco a passare, è come se un ostacolo
invisibile ci sbarrasse la strada!”. I due si fissarono per un poco fino a
quando il micio Titolino, facendo una delle sue famose smorfie alla
Clint Eastwood, emise un lungo e lento miagolio:
“mmmmmmaaaaaauuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu!!!” E allora, in
quell’istante, Emanuelino capì: aprì il suo zainetto ricolmo di giochi e
lo svuotò di tutti i doni ricevuti in quei giorni. Lasciò ogni sorta di
giocattolo sul ciglio del sentiero impolverato all’interno del paese Di
Dove è Sempre Natale. In un istante, sentendosi subito piu’ leggero, Il
bimbetto si accorse che Titolino stava ringiovanendo tornando il
cucciolo affettuoso e timoroso di sempre. Anche Emanuele si sentì
subito diverso; corsero fuori del cancello, nella foresta, e tutti e due si
ritrovarono con la stessa età di quando erano arrivati. Emanuelino
tornò ai suoi 5 anni e abbracciò subito il suo piccolo amico
stringendogli il collo a più non posso fino a fargli venire fuori gli occhi
a palla, gigantissimi!
“Noi non abbiamo bisogno di tutti quei giochi amico mio, avevi ragione
tu, abbiamo bisogno soltanto l’uno dell’altro e dell’amore del Papà e
della Mamma che ci ha protetto fino a qui! Vieni” disse alzando il
pugno al cielo come uno scudiero alla corte di re Artù.
“E ORA, SI RIPARTEEEEE!!!”.
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“mau…!” disse timidamente il Titino.
E così, dopo dieci giorni passati nel paese Di Dove è Sempre Natale i
due piccoli amici ripreso il cammino verso il castello del re….
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III REAME
IL REAME DEI NO
Ci vollero tre giorni di cammino lungo il sentiero del fiume prima che
Emanuelino e Titolla potessero intravedere il terzo cancello, quello del
Reame dei No. La mappa disegnata dal Papà ormai era sbiadita, unta
di patatine, qualche caccola appiccicata sopra, un po’ di bava del
Titolino che aveva sciolto la matita… Insomma, non era più tanto
leggibile; per i due piccoli amici era meglio sbrigarsi e arrivare al
castello del re il prima possibile.
“Chissà che aspetto avrà il re, Titulì! Non vedo l’ora di incontrarlo…
Non sto più nella pelle amico mio” disse Emanuelino guardando le
nuvole del cielo senza accorgersi che stava praticamente parlando da
solo. Il Titolla era parecchio lontano, intento a cacciare un piccolo grillo
verde come il rame, che accortosi del pericolo, stava saltarellando tra
i sassi e i fili d’erba per sfuggire al pericoloso e feroce felino: la Titolla!
Valentino aveva una tecnica tutta sua per cacciare gli animali, o quanto
meno per cacciare gli insetti dato che qualsiasi cosa fosse più grande
di una monetina gli incuteva timore. Quando avvistava un grillo
salterino, o una mosca, o al massimo una cavalletta, Titigno prima
drizzava le orecchie a punta, poi abbassava collo e testa diventando un
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tutt’uno con l’erba, socchiudeva gli occhi riducendoli a una sottile
fessura, alzava il labbro per scoprire ferocemente il suo canino
appuntito da belva feroce, e poi aspettava. Aspettava. Aspettava con
pazienza infinita per cogliere quell’unico attimo propizio, quell’istante
impercettibile in cui la preda era indifesa, in cui la giugulare del grillo
era scoperta e poteva essere azzannata con ferocia. Ed ecco, quando
finalmente quell’attimo tanto atteso arrivava, e ci potevano volere
anche parecchie ore, ecco che il sedere del Titolla si alzava verso l’alto
e iniziava a ondeggiare a destra e sinistra con gran velocità come stesse
ballando una tarantella. Il sedere del Titolino diventava così una pecie
di peluche, ridicolo e divertente, pronto più a mollare una scorregina
che a compiere un’azione di caccia. A quel punto, dopo aver
scodinzolato per un poco, si lanciava sulla preda e la prendeva in bocca
amorevolmente giocandoci un po’. Un vero leone…
“Titooooooooo, forza. Ci siamo quasi” gridò Emanuelino per
richiamare l’amico e procedere con il cammino verso il cancello del
terzo reame che si vedeva in fondo alla collina su cui si erano fermati
per pranzare. I viveri ormai erano praticamente finiti: i pochi biscottini
rimasti erano tutti sbriciolati, le crocchette del gatto pisciatone
bastavano si e no ancora per un pasto, una scatoletta di tonno al
naturale per il Tituz, cartacce di merendine vuote e sporche di
cioccolato, e una fetta di pane indurito.
“Mi sa che siamo nei guai, amico mio. Qui, se non troviamo da
mangiare, siamo rovinati!”.
“MMMMMMMMMMAAAAAAAAAAAuuuuuuuuuuuuhhh”
rispose il Titolino terrorizzato all’idea di non poter più mangiare. Si
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mise a rovistare istericamente, entrando con tutta la sua testolina
pelosa, nello zainetto dell’amico Emanuelino per diversi minuti, prima
di emergere sconsolato, rassegnato, e già affamato.
Dopo una mezz’oretta abbondante ecco i due piccoli avventurieri
varcare la grande soglia del cancello di ferro del terzo reame:
” Il Reame Dei No”
Il Paese dei No sembrava non avere nulla di strano o di particolare:
lungo le strade la gente era serena, c’erano bambini, signore intente a
fare la spesa con le figlie, carretti ricchi di frutta, negozi di dolci e di
vestiti, un panettiere pieno di gente, qualche calesse, dei vecchietti
che davano da mangiare ai piccioni sulle panchine. Insomma, nulla di
strano.
“Titolino, mi pare che finalmente abbiamo trovato un paese del tutto
normale” disse Emanuelino soddisfatto all’amico, “lo attraverseremo
senza grandi problemi questa volta”. L’amico dai lunghi baffi annuì
soddisfatto.
“Vieni, facciamo amicizia con qualcuno”. Titolino non era troppo
convinto di questa scelta, ma si avvicinarono a un uomo fuori dalla
vetrina di un negozio:
“Buongiorno signore” disse Emanuelino gentilmente.
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“Buongiorno a voi” rispose l’uomo sollevando delicatamente la
bombetta scura dalla testa.
“Io sono Emanuele e questo è il mio amico Titolino, possiamo fare
amicizia?”.
“No” rispose quello in modo secco e deciso.
Emanuele sgranò gli occhi, credendo di non aver sentito bene.
L’uomo se ne andò. Emanuelino stava per mettersi a piangere: sfoggiò
quella faccetta imbronciata, quella con il labbro inferiore tremolante,
gli zigomi sollevati sulle guanciotte rosse e gli occhi a fessura, pronto a
scoppiare in un fragoroso e sonoro pianto da bimbo disperato, quando
una signora elegante, con guanti verde scuro e cappotto color rubino,
si avvicinò ai due piccoli amici:
“Cosa succede piccolino?” chiese la donna con voce dolce sfoggiando
un tenero sorriso. Emanuelino si calmò, ci pensò un po’ su, e alla fine
decise di non piangere e tirò fuori uno dei suoi famosissimi sorrisi da
bimbetto dolcissimo che avevano sempre intenerito chiunque avesse
avuto la fortuna di vederli.
“Noi volevamo solo fare amicizia con quel signore laggiù, ma lui ci ha
detto di no”.
“Mauuuuuu” aggiunse il Titolino per esprimere anche il suo
disappunto.
“Oh, ma che brutto cattivone quel signore… Brutto!”. Sorrise di nuovo.
“Venite con me, vi porto a fare colazione, sembrate affamati”.
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“URRRA’!” gridò Emanuelino per la contentezza facendo
volteggiare il suo amico Valentino dopo averlo abbracciato come fosse
un pupazzo di pezza.
Poco lontano i tre entrarono in una lussuosa pasticceria: “da Nonna
Germana”, uno storico negozio che da anni aveva servito le colazioni
più buone dell’intero paese.
“Io adesso devo andare” disse la signora dal cappotto rubino, “ma voi
prendete pure quello che volete, più tardi pagherò io. E buona
colazione”.
“Grazie mille, signora!” si affrettò a rispondere Emanuele con tono
felice, così come gli aveva insegnato la Mamma. “Ringrazia anche tu,
Tinello!” aggiunse stringendo il collo del micio sotto il braccio.
Quando la signora fu uscita, dopo qualche minuto, un grosso e grasso
cameriere con il grembiule più bianco che i due avessero mai visto, si
avvicinò con un vassoio d’argento stretto sulla pancia, un quaderno
nella mano sinistra e una matita sull’orecchio.
“Cosa vi porto?” chiese in modo secco.
“Mmmmmm. Dunque vediamo” disse Emanuele guardando il bancone
dei dolci dall’altro lato della sala. “Io vorrei un maritozzo alla crema
con una montagna di panna!” disse nel pieno della sua felicità.
“E per il mio amico Titolino un sacco di gelato al gusto di tonno…”!
Il cameriere li guardò di traverso.
“Possiamo avere anche una spremuta come quella della Mamma?”
aggiunse Emanuelino.
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“NO, non si può!” rispose quello.
Dopo un poco Emanuele si accorse che tutti i clienti che chiedevano se
potevano avere qualcosa, qualsiasi cosa, da una tazza di caffè a un
cappuccino o una brioches, ricevevano tutti la stessa risposta:
“NO!”. Allora quelli ringraziavano e poi se ne andavano tutti
contenti.
Un ragazzo ordinò una limonata, la bevve velocemente e, dopo aver
pagato, il cameriere gli chiese se era buona. “NO!” rispose quello in
fretta e furia.
“Molto bene. Molto bene” rispose allora l’altro, “è almeno stata di tuo
gradimento?”.
“Assolutamente no! Per niente” aggiunse secco. “Grazie tante e
arrivederci”.
“Grazie a te e buona giornata”.
I due piccoli amici iniziavano a non capirci nulla. Erano confusi e
presero a chiedersi se anche il quel piccolo paese fossero tutti matti da
legare.
“Ecco qui” disse il cameriere portando sul tavolo dei due avventurieri
quanto avevano ordinato.
“Volete dello zucchero?” chiese con ruvidezza.
“Sì, grazie!”. Emanuelino non fece in tempo a finire la sua frase che
quello si mise a gridare come un matto:
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“AAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHAAAAAAAGGGGG
GG!!!”. Lasciò cadere per terra il pesante vassoio d’argento
provocando un rumore assordante. Tutti si voltarono inorriditi e
spaventati. La gente nel locale iniziò a mormorare:
“Avete sentito?” diceva uno.
“Che vergogna!” aggiungeva un altro.
“Non si è mai vista una cosa del genere qui da noi!”
“E’ terribile”.
“Chiamate subito le guardie”.
“Fermo, giovanotto” disse il cameriere furibondo. “Finirai in galera per
quello che hai fatto!”. Afferrò Emanuelino per un braccio, trascinò
fuori dalla porta il bimbetto e chiamò le guardie. Emanuelino scoppiò
a piangere a dirotto, era molto spaventato e non sapeva in quale guaio
si fosse cacciato. Cosa aveva fatto questa volta? Non capiva. Il Titolino,
intanto, preso dalla paura, era scappato via andandosi a nascondere
sotto a un divanetto della pasticceria.
Quando le guardie arrivarono il cameriere spiegò che il piccolo
Emanuele si era macchiato della colpa più grave di tutte: aveva
risposto “sì” a una domanda del cameriere!
“Ehhhhhhhh” dissero le due guardie non credendo ai propri orecchi.
“Non è possibile!”.
“Proprio così” rispose la gente del paese che aveva assistito al reato
gravissimo.
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“Allora non possiamo fare altro che portarlo dal giudice supremo!”
conclusero le due guardie mettendo le manette ai polsi di Emanuelino
e richiudendolo in una carrozza blindata con pesanti sbarre di ferro.
La carrozza portò Emanuelino piuttosto lontano, sopra una collina sulla
quale si ergeva la torre della prigioni. Il piccolo era disperato, aveva un
sacco di paura. A Emanuele mancavano da morire la Mamma e il Papà,
lo zio Vincenzo, lo zio Giuli, la sua piccola casa di Macesina e
soprattutto l’amico Titolino del quale non sapeva più nulla. L’unica
cosa certa era che sapeva benissimo, che in un modo o nell’altro, la
Titolla non lo avrebbe mai abbandonato.
Poco distante, infatti, il fedele amico Titolino stava seguendo la scia
dell’odore di Emanuelino sfruttando il suo olfatto felino. Non era poi
così difficile trovarlo dato che il piccolo Emanuele aveva lo stesso
identico odore della Mamma. E fu così, che seguendone la scia, il
Titollo arrivò ben presto alle prigioni dove Emanuelino venne
rinchiuso.
“Ti sei macchiato di una colpa gravissima” aveva detto il giudice
supremo ad Emanuele una volta arrivati in carcere. “In questo paese è
severamente proibito rispondere “Sì” a qualsiasi domanda. Noi
basiamo la nostra certezza sul “no” e qualsiasi “sì” pronunciato anche
da uno straniero rischia di mandare nel caos tutto il nostro sistema
giudiziario, legislativo, contabile… Qualsiasi “sì” è da anni bandito da
questo villaggio. Solo grazie a risposte certe, tramite il “no”, siamo
riusciti ad evitare guerre e conflitti cullando il paese e i suoi abitanti in
una pace perenne. Finché non avrai imparato la lezione, e potremo
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essere certi che la cosa non si ripeterà in futuro, starai rinchiuso nella
torre della prigione”. Emanuelino non fece in tempo a rispondere, o
forse non ci riuscì dato che scoppiò in un lunghissimo pianto a dirotto.
Emanuele fu così rinchiuso per due giorni nelle fredde prigioni del
paese in compagnia del suo amico di sempre, il Titolino, che lo aveva
trovato seguendo l’odore della Mamma. Il micio Valentino aveva
deciso di restare in prigione per non abbandonare l’amico, e così,
quatto quatto, era passato inosservato accanto alle guardie ed era
sgattaiolato nella cella passando sotto alle porte con le sbarre.
Solo qualche giorno dopo, due, se la memoria non mi inganna,
Emanuelino capì cosa doveva fare e fece chiamare le guardie:
“Presto, presto, signore guardie, portatemi subito dal giudice
supremo, per cortesia. Credo di avere imparato la lezione”. Il Titulì
deglutì spaventato.
Qualche ora dopo Emanuele e Titolla si trovarono difronte al grande
giudice supremo:
“Ho imparato la lezione, giudice!” disse Emanuelino sicuro di sé.
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“Davvero?” chiese il giudice supremo guardandolo dall’alto in basso.
“NO!” si affrettò a rispondere il piccolo.
“Mmmmmm” si fermò a pensare. “Sei sicuro di aver imparato bene?”
chiese di nuovo.
“Assolutamente no! Non ho imparato nulla!” disse lanciando il pugno
in aria in segno di vittoria.
“Ebbene” rispose con calma il giudice “sono convito che tu abbia
capito Emanuele. Decido quindi la tua scarcerazione immediata.
Lasciatelo andare!” ordinò alle guardie che liberarono i due piccoli
amici in un baleno.
“Ehmmmm… Signor giudice” disse Emanuelino prima di andare
asciugandosi le lacrime dagli occhi, “secondo me sareste molto più
felici se usaste il “sì” in questo paese”. Al Titolino venne quasi un
infarto, sputò fuori i suoi grandi occhi dalle orbite, che si erano fatti a
palla come quando di notte fissava il Papà e la Mamma dormire nel
letto, e si coprì il muso con entrambe le zampe in segno di
rassegnazione. Erano fritti, ora li avrebbero sbattuti in carcere per
l’eternità!
“COSA???” gridò il giudice supremo. “Se aggiungessimo il “sì”
non avremmo più certezze nelle risposte. Non avremmo più punti di
riferimento, ognuno risponderebbe quello che vuole! Arrestateli!”.
“No, no” si affrettò a rispondere Emanuele, “non intendevo dire di –
aggiungere anche il “sì” – ma semplicemente di sostituire al “NO” il
“Sì””. Il giudice lo guardò con interesse. “A questo punto” aggiunse
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Emanuelino, “non avreste ambiguità, manterreste comunque le vostre
certezze, ma avreste sempre risposte affermative, gentili, educate e
piene di amore…”.
“Maaaauuuuu” aggiunse Titolino in segno di approvazione, sempre più
fiero del suo piccolo amico a due zampe.
Il giudice rimase molto sorpreso. “Ci penserò ragazzino. Ci penserò!”.
Qualche ora più tardi, raccolte le loro cose, Emanuelino e Titolino si
apprestavano a varcare il cancello di uscita del paese.
Quando arrivarono alla fine del piccolo borgo, pronti ad attraversare il
grande cancello di uscita, si accorsero che un fabbro, dalle grandi
spalle larghe, stava sostituendo la scritta in ferro battuto sulla cima del
cancello. Ora, la scritta nuova di zecca, recitava così:
” Il Reame Dei sì”
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IV REAME
IL REAME DELLE NATURE INESISTENTI
L’ultimo reame non era molto distante e i due piccoli amici, dopo
essersi riposati qualche ora sotto a una quercia, seguirono il lungo
fiume dal Collo Torto fino ad arrivare sulle sponde del Grande Lago.
Oltre una roccia a forma di orso Emanuelino e Titti scorsero l’ingresso
del paese che precedeva il Reame del Re.
” Il Reame Delle Nature Inesistenti”
Oltrepassato il grande cancello del reame i due amici si accorsero che
questo paese non era come tutti gli altri, lì tutto era diverso, magico,
inesistente!
Gli alberi che circondavano i lunghi viali, di un vispo e morbidoso rosa,
non erano fatti di rami e foglie ma solo di zucchero filato e nuvole di
spumiglia, spumiglia bianca come la neve. Ad Emanuelino e Titolino
brillarono gli occhi e, come due fulmini scesi dal cielo, si gettarono
correndo a perdifiato verso quelle montagne di zucchero.
“Gnaaaaammm” gridò il piccolo Emanuele arrampicatosi come una
saetta sul primo albero caramellato del viale. Il Titolino era, nel
frattempo, già salito sull’albero accanto e si stava spazzolando tutto lo
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zucchero che poteva. Così, dopo un quarto d’ora i due, felici come una
pasqua e a panza piena, scesero per gustarsi il paesaggio inesistente: i
fili d'erba delle aiuole non erano vegetali ma fatti d’acqua, era come
se fossero formati da sottili gocce di pioggia che, invece che cadere dal
cielo, spuntavano dalla terra. Tutt’intorno strane piante si muovevano
prima a destra e poi a sinistra, tutte insieme, come se stessero
danzando sulle note di una musica leggera che i due amici non
potevano sentire. Alle radici degli alberi, o meglio dove lo stecco degli
zuccheri filati si andava a piantare nel terreno, sorgevano strani funghi
canterini: grossi funghetti prataioli, alcuni rossi a macchie bianche,
altri bianchi con sfumature viola, cantavano a squarciagola una
melodia stonatissima e insopportabile… E le mele, gialle come fossero
limoni, dondolavano danzando appese alle braccia dei lampioni.
Fragole, pere, albicocche, mele danzanti, tutta la frutta del paese se ne
stava appesa a dei sottilissimi fili di rame che pendevano dai lampioni
delle piazze e lungo i marciapiedi: in quello strano paese la frutta non
cresceva sugli alberi ma sui lampioni di ferro.
Ovunque si intravedevano piante e ortaggi mai visti, nature inesistenti
e coloratissime. I ciottoli delle strade erano fatti di finissimi sassi grigi
che, appena venivano calpestati, si illuminavano dei colori più accesi
per poi andare via via spegnendosi lentamente. Ad ogni colore era
associata una nota diversa e dolcissima.
“Wooooooooow, Titulì. Ma in che posto siamo finiti???” chiese il
piccoletto all’amico baffuto.
“Facile, siete nel Paese Delle Nature inesistenti! Qui tutto ciò che
vedete non esiste” rispose un medico da poco lontano. Il dottore, che
doveva avere circa 70 anni dati i radi capelli argento e la schiena
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ricurva, aveva un lungo camice bianco anzi, bianchissimo, e un
termometro che gli usciva dal taschino.
“Bhe, voi due avete qualcosa di strano. Non state affatto bene”. I due
piccoli amici si fissarono come smarriti. “Dovete assolutamente
seguirmi nel mio ambulatorio per una piccola visitina” aggiunse con
aria soddisfatta.
“COOOSAAAA????!!!” urlò Emanuelino quasi disperato
mentre Tituzzella si era andato a nascondere dietro un bidone giallo.
“A ME I DOTTORI MI STANNO TUTTI
ANTIPATICI!!!” gridò il piccolo cercando di scappare nella
direzione opposta, ma quello, che aveva già recuperato il Titolla,
afferrò il bimbetto per la manica della giacca e lo condusse nel suo
laboratorio.
Emanuelino, che aveva imparato a non aver paura dei dottori e delle
loro punture, o almeno questo era quello che aveva raccontato al Papà
per farlo contento, se la stava facendo letteralmente sotto dallo
spavento.
“Tira fuori la lingua Emanuele, vediamo un po’”.
“Ahhhhhhhhhh” fece Emanuelino allungando la lingua più che
poteva per non contraddire lo strano dottore.
“Mmmmmmm. Molto curioso. Molto curioso” disse in modo
misterioso.
“Cosa c’è di curioso?” chiese il piccolo sempre più terrorizzato.
“Girati e dì -33-“.
“33”.
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Il Titollo fissava i due sbalordito senza capire cosa stessero facendo.
“Mmmmmmm. Strano, moooolto strano” disse mentre picchiettava le
sue lunga dita magre e bianchissime sulla schiena del piccolo
Emanuele.
“Senta, signor dottore, io non ho proprio nulla che non va. La Mamma
mi porta sempre a fare le visite e mi cura ogni giorno, e poi bada a me
e al Titollo con tutto l’amore del mondo. Pensi che a casa mi chiamano
il - principesso…- . Io sono sanissimo!”.
“Certo, certo” disse il dottore. “Ma, vedi” aggiunse tirando fuori una
caramella dalla tasca, “con questa ti passerà tutto. Vedrai!”.
Emanuelino sapeva molto bene che non doveva accettare nulla dagli
sconosciuti: niente caramelle, niente cioccolatini, niente promesse
strane, niente passaggi per chissà dove… Papà e Mamma glielo
avevano ripetuto innumerevoli volte! Ma, in fondo, quello era un
medico, anche se antipatico. Che male poteva fare una sola caramella?
Così, nonostante l’evidente sguardo di disappunto del Valentino, che
sfoggiò d’improvviso la sua famosissima smorfia alla Clint Eastwood,
prese la caramella gialla, a forma di pillola, e la mandò giù in un baleno.
Il medico sorrise.
“Bene bene, mio piccolo amico. Vedi, qui da noi non esistono nature
diverse da quelle della senilità!”. Aggiunse con evidente soddisfazione.
“DA CHE COOOOSA?” chiese Emanuelino che non aveva
capito nulla.
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“Vedi, Emanuele, qui da noi non si può essere né bambini, né ragazzi,
ma solo persone dai 60 anni in su!”. Emanuele e il Titigno si fissarono
continuando a non capire.
“Oh, non preoccupatevi amici miei. Ora fatevi un riposino pomeridiano
e al risveglio capirete”. Effettivamente sia il Titolla che Emanuele erano
molto stanchi, così si sdraiarono, l’uno accanto all’altro, sul lettino
bianco dell’ambulatorio e si addormentarono praticamente
abbracciati per quasi tre ore.
Qualche ora dopo, quando il sole era ormai calato quasi del tutto,
Emanuelino e Titolino si svegliarono più stanchi di quando si erano
addormentati. Dopo un poco, forse qualche manciata di minuti, il
Titolla rimase sbalordito, facendo i suoi strani occhi a palla, nel vedere
l’amico completamente cambiato.
“Mmmmmmmaaaaaaaeeeeuuuuuhhh” miagolò il Tito coprendosi gli
occhi con la zampetta destra come quando era sconfortato.
Emanuelino, che conosceva bene il significato di quella espressione, si
preoccupò:
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“Cosa c’è, Titulì? Cosa ti preoccupa?” chiese alzandosi lentamente dal
lettino e dirigendosi verso lo specchio a parete dello studio.
“COOOSAAAA???? OH NO!” esclamò Emanuele nel vedere
la sua immagine riflessa. “Ma sono un vecchio!!!!”.
Emanuele era invecchiato, nell’arco di poche ore, di una cinquantina
d’anni. L’immagine che si rifletteva nello specchio non era più quella
di un bambinetto pacioccoso ma di un adulto, magro come un grissino
secco, sui sessant’anni!
Per una strana magia Emanuele era diventato come un adulto e da
quell’istante aveva iniziato a vedere il mondo come i grandi. Così, ben
presto, si accorse che la luminosità delle cose diveniva via via sempre
più sbiadita, i colori perdevano la loro lucentezza, i contorni si
sfuocavano in ombre confuse e ben presto tutto divenne in bianco e
nero…
“Dottore, dottore” esclamò dopo un poco Emanuele, “mi faccia un
visita oculistica, vedo malissimo!”.
“Hahaha, no no. Non ti preoccupare” disse il dottore con calma, “i tuoi
occhi non hanno nulla che non va!”. Fece la faccia triste. “Vedi,
Emanuele, è tutto molto semplice: fino a quando non riuscirai a
spezzare l’incantesimo e tornare a vedere il mondo con gli occhi di un
bambino non vedrai più alcun colore. E’ così che la maggior parte degli
adulti vede il mondo, un po’ come dei daltonici in un pianeta sfavillante
di colori”. Emanuele non capiva. “Quando diventi grande perdi la
fantasia, perdi la spensieratezza dell’innocenza, e così quei colori presi
dalla tavolozza dei sogni dove tutto ti appare magico, fantastico,
diverso dal reale perché più vivo e colorato, svanisce e rimane solo un
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confuso ricordo. I tuoi occhi non hanno proprio nulla che non va, hai
solo perduto la tua fantasia. Anche tu, come tutti quanti noi.
Benvenuto nel mondo degli adulti”.
Emanuele capì che la vera natura inesistente, in quello strano posto,
era la gioventù. Tutto era divenuto grigio, opaco, appannato, freddo,
e molto triste. Non distingueva più il rosa degli alberi e l’azzurro
dell’erba, non vedeva più le mele danzanti cresciute sui lampioni.
Tutto era sbiadito, tutto stava svanendo come una bolla di sapone.
Prima di lasciarsi schiacciare dallo sconforto e dalla paura, però,
Emanuele si ricordò le parole del Papà:
“Amore mio, rimani per sempre affamato, cerca in ogni luogo e in ogni
tempo di vedere le cose al di là del loro aspetto esteriore; cogline la
magia, sentine il respiro… Godi, abbeverati e dissetati della bellezza di
ogni natura del creato”. Già, qualcosa del genere comunque.
Emanuelino sorrise e capì che il dottore si sbagliava, non erano i
bambini a vedere cose coloratissime poiché ingannati dalla loro
fantasia, non erano i piccoli a vedere cose inesistenti o più belle di
quanto in realtà non fossero, ma erano invece gli adulti a non
riconoscere più la bellezza nelle cose. Erano i grandi ad essere
ingannati dal velo dell’indifferenza, da quella patina grigia che si posa
su tutto quando smetti di sognare. Fu allora che l’incantesimo svanì ed
Emanuelino tornò a vedere nuovamente tutti i colori, ancora più belli
e brillanti di prima. Ed eccolo allora di nuovo immerso in un mondo
caldo e coloratissimo.
E così, lentamente, tornò ad essere il bambino di sempre per la gioia
sua e della Tituzzella. Dopo un poco, felici e contenti, uscirono dal
regno e ripresero il viaggio verso il castello del re.
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V REAME
IL REAME DEL RE
Ci vollero due giorni e due notti ininterrotti di cammino prima che i
due piccoli avventurieri, ormai stanchissimi, potessero arrivare alla
collina oltre la quale si estendeva il Reame del Re.
Soltanto a qualche chilometro di distanza, quando era circa
mezzogiorno, Emanuelino si rese conto di aver già visto quel posto.
Qualcosa era familiare, ormai il Grande Lago non si vedeva più, doveva
essere distante almeno una decina di chilometri, persino l’odore
dell’acqua si respirava a fatica… C’era qualcosa di strano: quel
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campanile laggiù, gli sterminati campi di grano, le tre colline che si
incontravano al centro di una radura… I nidi di rondine…
Da diverso tempo oramai il micetto Valentino stava cercando di dire
qualcosa al suo amico, ma quello non voleva ascoltarlo.
Dopo un poco Emanuelino si fermò ed esclamò:
“Titolino! Controlliamo la mappa. Credo di avere le visioni” disse
tirando fuori la mappa del Papà.
“UUUUURCCCAAAAA!!!! Ma allora è vero, è tutto vero,
TITULI’!”.
Ehhhh già. Anche se sembrava incredibile il Reame del Re si trovava
proprio a Macesina! Roba da non credere….
“Siamo vicinissimi a casa, Titolino! Chi avrebbe mai detto che il Reame
del Re si trova da queste parti. Io però non l’ho mai visto. E tu?”
“Mahahahahhuuuu…” rispose quello più confuso dell’amico.
“Ma dove arcibeccoli sarà il castello del re???” concluse Emanuelino
continuando a guardarsi intorno.
Dopo circa un’ora si trovarono vicino alla piccola chiesetta di
Macesina. Seguendo la mappa passo passo Emanuelino finalmente
capì: Il Reame del Re si trovava a Macesina e il castello, il fantastico
castello del re, era proprio la piccola casa, sopra l’ultima collina di
Bedizzole, di Emanuelino e Titollo. Il re lo stava aspettando dentro al
castello, da qualche parte, nell’ala ovest della casa.
Emanuelino era sbalordito, non riusciva a capire come fosse possibile…
La sua piccola casetta, nella vecchia cascina, era il famosissimo castello
del Re dei 5 reami? Ma come poteva essere? E allora, il re, chi era????
Che fosse il suo Papà il famigerato re dei 5 reami?
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“CCCCCAAAASPITAAAAA! IL MIO PAPA’ E’
IL RE????” chiese all’amico Titolla il quale, come al solito, ci
capì meno di zero in tutta quella faccenda.
Emanuelino corse su per la collina a rotta di collo seguito dall’amico a
quattro zampe che trotterellava come fosse ubriaco. Arrivato al
cancello d’ingresso, a metà della strada del civico numero 1/a,
Emanuelino suonò il campanello di casa sua dopo aver letto, attaccato
da fili di stagno, un foglio di cartone ondulato con una scritta fatta a
mano:
” Il Castello Del Re”
Al suono del campanello non aprì nessuno ma Emanuele si accorse che
il cancello era soltanto accostato, lo spinse, ed entrò. Quei gradini di
pietra non gli erano mai sembrati così tanti, impiegò un tempo infinito,
con il suo zainetto ormai vuoto sulle spalle e il Titoletta alle calcagna,
a risalire tutta la scalinata e varcare la porta verde scuro del castello.
“Permesssooooo…” chiese Emanuelino nell’entrare in casa. La cosa era
piuttosto curiosa a dire il vero, dato che mai in vita sua aveva dovuto
chiedere permesso per entrare nella sua stessa casa. Ma quella volta,
soltanto quella volta, chissà perché decise che non sarebbe mai
entrato senza prima chiederne il permesso. Naturalmente nessuno
rispose.
All’interno della casa, sul tavolo bianco della sala, un biglietto era
scritto a mano, con penna blu, e lasciato in bella vista:
“Caro viaggiatore, tu che sei giunto alla fine del tuo viaggio,
dimostrando grande coraggio e sicurezza, sei pronto, ora, ad
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incontrare il vero re. Va spedito, corri e non indugiare, egli ti aspetta
nella stanza più piccola, dietro al grande telo bianco”.
Emanuelino non stava più nella pelle, attraversò il corridoio e corse
nella piccola stanza a nord della casa. Dopo aver varcato la soglia con
lentezza vide, appeso a una parete, il lungo lenzuolo bianco dietro a
cui si nascondeva il grande re del Regno dei 5 Reami.
Con immensa lentezza, quasi con timore, Emanuelino si avvicinò al
muro, stese la piccola mano e afferrò il telo. Zac, lo tirò giù in un lampo,
ma ciò che vide, lo lasciò senza parole:
dietro al lungo lenzuolo si nascondeva un sottile, argentato e alto
specchio longilineo che, con grande trasparenza, rifletteva la sua
immagine…
“Ma che significa. Titulì?” chiese il piccolo all’amico.
“Significa” risposero il suo Papà e la sua Mamma alle sue spalle, “che
il re di questo reame sei tu, piccolo mio… E che il Titolino è il tuo grande
e fedele scudiero”. Ci fu un lungo attimo di silenzio.
“IOOOOO?” chiese Emanuele eccitatissimo. I genitori annuirono.
“Proprio così. Tu” aggiunse suo padre con soddisfazione.
“Ora sta a te, capire il perché…” concluse la sua Mamma con dolcezza.
“Ma come, come faccio a capire?”.
“Oh, non preoccuparti amore mio” disse il Papà, “hai tutta la vita per
scoprirlo…”.
FINE
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