Donne nell’antifascismo
Patrizia Gabrielli
Il corpus di ricerche prodotte sull’agire delle donne nella sfera pubblica negli anni della guerra e della Resistenza ha raggiunto oggi una considerevole consistenza1. La ricorrenza del Cinquantesimo, mobilitando energie e competenze, ha favorito l’ampliamento di studi e di ricerche ed il loro radicamento in diverse realtà. Il rinnovato interesse per la storia politica delle donne ha contribuito alla messa a punto di nuove categorie di indagine ed ha spezzato la tradizionale periodizzazio- ne favorendo il rinnovamento delle tematiche e delle metodologie, mentre gli studi di storia locale, mettendo in luce affinità e discrepanze, hanno delineato la eterogeneità del quadro politico e sociale. Passando in rassegna le numerose pubblicazioni ed iniziative promosse in questi ultimi anni si coglie una maggiore attenzione ai temi della quotidianità e del privato, resa possibile dal ricorso a interviste, testimonianze orali, diari, autobiografie, carteggi: un insieme di fonti che ha consentito di delineare le strategie messe in atto dalle donne per la salvaguardia di sé e della propria famiglia, nonché la percezione che esse ebbero del conflitto. In questo panorama storiografico attento al vissuto dei protagonisti, alle loro scelte e alla soggettività operante, restano in ombra i terreni di coltura nei quali prese corpo l’opposizione, l’humus
di cui si nutrì negli anni della sua incubazione, ovvero quelli della clandestinità. È possibile rilevare una difficoltà a misurarsi con le coordinate politiche che attraversarono quel travagliato contesto storico e le esistenze degli uomini e delle donne che lo popolarono, incidendo poi profondamente nei successivi assetti politici ed istituzionali, nonché nei processi di definizione dell’identità collettiva.
Ad un crescente interesse per gli anni della guerra e della Resistenza non è corrisposta infatti da parte delle studiose una pari attenzione al periodo in cui il regime rafforzò i suoi connotati politici e mise a punto i suoi progetti totalizzanti di dominio. Lo studio dell’antifascismo resta quindi limitato ad un arco cronologico angusto, mentre piuttosto trascurate risultano le questioni inerenti la scelta politica, ovvero quell’insieme di ragioni e di percorsi che condussero molte donne a prendere parte attiva alla lotta politica o comunque a sentirsi estranee al regime. Le ricerche di alcune studiose sul fascismo, penso in particolare a Victoria De Grazia2, hanno tratteggiato un quadro generale delle tematiche connesse al tema consenso-dissenso. Questo filone di studi si è incentrato sull’organizzazione del consenso tra le masse femminili, sulla peculiarità della politica fascista verso le donne, sui limiti e sulle contraddizio-
1 Per un quadro sulla produzione bibliografica si rimanda a Coordinamento femminile nazionale dell’Anpi, Le donne e la Resistenza. Rassegna bibliografica, a cura di Rita Carrarini, Roma, Arti Grafiche Jassillo, 1994.2 Victoria De Grazia, Le donne nel regime fascista, Venezia, Marsilio, 1993.
“Italia contemporanea”, marzo 1996, n. 202
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ni dei processi di modernizzazione avviati dal regime. Mancano tuttavia studi puntuali sulle organizzazioni sorte con lo scopo precipuo di “nazionalizzare” le donne, né si è indagato in profondità sui rapporti tra il Pnf e le sue militanti. Compiti, responsabilità e connivenze con la politica del regime, idee e progetti che animarono la scelta della militanza fascista, che costituiscono da tempo terreno di ricerca per le studiose di diversi paesi europei, sembrano invece suscitare un certo “imbarazzo” tra le studiose italiane3. Se si escludono i lavori di Maria Fraddosio e quello più recente di Paola Di Cori4, il panorama appare sguarnito e la ricerca stenta a decollare.
Se si volge lo sguardo all’altro polo del binomio, il dissenso, ovvero alle peculiarità e alle modalità attraverso le quali si espresse l’antifascismo tra le donne, la ricerca dopo gli anni settanta, sembra aver subito un arresto. Nel corso di quel decennio lo sviluppo della storia delle donne e i sintomi evidenti di crisi della storia politica favorirono il progressivo spostarsi dell’attenzione degli storici dai momenti “alti” della politica ai soggetti. Allo slittamento del punto di osservazione si accompagnò il crescente interesse per le fonti orali. Sia La Resistenza taciuta di Anna Maria Bruzzone e
Rachele Farina che Compagne di Bianca Guidetti Serra, ponendo l’accento sulle specifiche modalità di partecipazione delle donne alla lotta partigiana aprivano il varco al rinnovamento delle tesi interpretative sul “contributo femminile” alla Resistenza5. Eppure in queste ricerche la soggettività stenta ad emergere, compressa nel “fare” politica6. L’oblio grava sia sulle sofferenze e le rinunce, sia sulle scelte e le opportunità, la personalità delle protago- niste risulta avvolta da un velo che, appannando i contorni della loro esperienza, riflette immagini rigide.
Alle soglie degli anni ottanta il lavoro di Laura Mariani, Quelle dell’idea, ricostruendo le vicende delle donne condannate dal Tribunale speciale e rinchiuse nel carcere di Perugia, apriva uno squarcio su una delle esperienze più drammatiche vissute dalle militanti antifasciste, dalle comuniste in particolare. Il ricorso a fonti di tipologia e formazione differente, tra cui le testimonianze orali, consentiva a Mariani di ricostruire la vita interna al carcere, guardando alla rete di relazioni e al loro strutturarsi rispetto all’appartenenza a ceti sociali o a generazioni differenti e delineando un quadro significativo dei diversi aspetti della reclusione femminile7. I volumi
3 Questo dato è apparso con evidenza al convegno internazionale promosso dalla Società italiana delle storiche, dall’Unione femminile nazionale, dall’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia e dagli Archivi riuniti delle donne “Donne, guerra Resistenza nell’Europa occupata” (Milano 14-15 gennaio 1995). Si veda il resoconto di Roberta Fossati, Donne guerra e Resistenza tra scelta politica e vita quotidiana, “Italia Contemporanea”, 1995, n. 199, pp. 343-347.4 Cfr. Maria Fraddosio, La donna e la guerra. Aspetti della militanza femminile nel fascismo: dalla mobilitazione civile alte origini della Saf nella Repubblica Sociale Italiana, “Storia contemporanea”, 19S9, n. 6 e Id., Per "l’onore della patria". Le origini ideologiche della militanza femminile nella Rsi, “Storia contemporanea” , 1993, n. 6; Paola Di Cori, Par- tigiane, repubblichine, lerroriste. Le donne armate come problema storiografico, in Gabriele Ranzato (a cura di), Guerre fratricide. Le guerre civili in età contemporanea,Torino, Bollati-Boringhieri, 1994.5 Anna Maria Bruzzone, Rachele Farina, La Resistenza taciuta, Milano, La Pietra, 1976; Bianca Guidetti Serra, Compagne. Testimonianze di partecipazione politica femminile, Torino, Einaudi, 1977. Si vedano anche Erica Scroppo (a cura di), Donna, privato e politico. Storie personali di 21 donne del Pei, Milano, Mazzotta, 1979; Rossana Rossanda, Le altre, Milano, Feltrinelli, 1979.6 Per questi rilievi si veda Luisa Passerini, Storie di donne e femministe, Torino, Rosenberg e Sellier, 1991, pp. 23-27.7 Laura Mariani, Quelle dell'idea. Storie di detenute politiche 1927-1948, Bari, De Donato, 1982. Già Paolo Spriano aveva evidenziato il clima di scontro ideologico e le innumerevoli tensioni presenti tra i detenuti comunisti soffermandosi sulla peculiare condizione delle recluse (cfr. P. Spriano, Storia del partito comunista italiano, voi. II, Gli anni della clandestinità, Torino, Einaudi, 1969, pp. 355-369).
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citati si soffermano per lo più sulle esperienze politiche e di vita di donne attive nelle file comuniste, di soggetti quindi che avevano compiuto una precisa scelta politica. Ma cosa ne era delle donne che erano soltanto marginalmente coinvolte nella lotta politica? Quale è stata la loro cultura e la loro mentalità? Si tratta di campi di studio sui quali la storia politica delle donne, sensibile ai temi della soggettività, deve ancora pienamente misurarsi. Le motivazioni sostanziali della “scelta” affondano sovente in un passato lontano, si diradano e si ramificano in tradizioni familiari, di quartiere, di borgo, negli spazi della sociabilità, luoghi di frontiera sui quali c’è ancora molto lavoro da fare8. Non sono state ancora definite le culture, le consuetudini, le modalità che portano soggetti differenti a schierarsi contro il regime. Né appare delineato dal lavoro storiografico quel viluppo di tensioni ideali ed emotive che alimentò il dissenso; né tantomeno quel groviglio di umori diversi, di malcontento e ribellione proprio delle masse popolari, irriducibili agli schemi e agli stili di vita che il regime andò imponendo.
Si tratta di temi e questioni che approfonditi consentirebbero di scandagliare il rapporto tra le masse ed il regime, di definire le articolazioni del binomio dissenso-consenso superandone la polarità, finendo per affrontare quel territorio denominato “zona grigia” , che, al di là della rappresentazione compatta ed uniforme che se ne dà, presenta evi
denti contraddizioni e sfumature diverse. Se dal tema deH’“antifascismo delle donne” si passa ad analizzare più in generale D’antifascismo delle masse” , il panorama non appare meno sguarnito. La storia politica ha trascurato ampi settori di quell’universo cospirativo, composito ed eterogeneo, che operò nelle diverse realtà economiche e sociali. Anche la storia dell’antifascismo organizzato, penso in particolare a quella sul partito comunista italiano, si è mossa lungo binari consuetudinari. Ancora oggi mi pare possano valere i rilievi mossi nel 1986 da Gianpasquale Santomassimo che sottolineava, tra le principali carenze della storiografia sul partito comunista, la mancanza di studi sia sulla composizione sociale, sia sulla formazione culturale dei “quadri intermedi” e dei militanti9. Soltanto di recente queste sollecitazioni sembrano essere state accolte. La storia della famiglia Abbiati, ricomposta con intelligenza e sensibilità da Paolo Corsini e Gianfranco Porta10, ha aperto un interessante e vivace corso di studi, lungo il quale si erano già mosse le ricerche di Mauro Boarelli nell’analisi delle autobiografie redatte per il partito dai militanti della federazione di Bologna. Lo studioso interrogandosi sul senso della militanza nella dimensione individuale e sulla rielaborazione che il “mondo comunista” fece, nell’esperienza quotidiana, dei suoi paradigmi politici, ha aperto interessanti squarci sulla mentalità del militante comunista del secondo dopoguerra11. Si tratta di un ambito di studi non
8 Sollecitazioni ad approfondire la ricerca in tal senso vengono da Adriano Ballone, II militante comunista torinese (1945-1955). Fabbrica, società, politica: una prima ricognizione, in Aldo Agosti (a cura di), I muscoli della storia. Militanti e organizzazioni operaie a Torino 1945-1955, Milano, Franco Angeli, 1987. Si veda anche Mario Gribaudi, Mondo operaio e mito operaio. Spazi e percorsi sociali a Torino nel primo Novecento, Torino, Einaudi, 1987.9 Gianpasquale Santomassimo, Problemi di storia del Pei, in Fiorenzo Sicuri (a cura di), I comunisti a Parma. Atti de! Convegno tenutosi a Parma il 7 novembre 1981, Parma, Grafiche Step, 1986, pp.7-19.10 Paolo Corsini, Gianfranco Porta, Avversi al regime. Una famiglia comunista negli anni del fascismo, Roma, Editori Riuniti, 1992,11 Mauro Boarelli, Il mondo nuovo. Autobiografie di comunisti bolognesi 1945-1955, “Italia contemporanea”, 1991, n. 182, pp. 51-66; Id. Culture et parcours de formation des militants du parti communiste italien entre oralité et écriture, in Julia Dominique (a cura di), Culture et sociélé dans VEurope moderne et contemporaine, Florence, European University Institute, 1992, pp. 35-58.
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ancora pienamente sviluppato, ma fecondo, verso il quale mostrano sensibilità quegli studiosi interessati a ritessere le trame della complessa vicenda politica ed esistenziale che connotò “la scelta di vita’’12.
Giovanni De Luna in Donne in oggetto riprende molte tematiche relative alla dimensione soggettiva della militanza, rivolgendo una particolare attenzione al rapporto tra le donne e la politica. L’autore non si rifà direttamente alla storia delle donne, alle categorie da essa elaborate e messe a punto ma comunque emerge con forza dalla sua ricerca una solida conoscenza del panorama di studi e una attenta considerazione dei temi, delle questioni e dei metodi che da vent’anni a questa parte costituiscono l’impalcatura della storiografia politica delle donne. Partendo dal freddo frasario ricorrente nelle pratiche di Pubblica sicurezza e in quelle giudiziarie, un linguaggio privo di sfumature e ridotto a formule, la cui espressione più ricorrente è “la detenuta in oggetto” , “l’indiziata in oggetto” , l’autore si propone, ricostruendo spezzoni di vicende politiche ed esistenziali ed in alcuni casi biografie, “di dare spessore e solidità a quei brandelli di esistenza individuali e collettivi che filtrano attraverso le successive scansioni, rigidamente prefissate, dei procedimenti giudiziari, restituendo carne e sangue a figure rese larvali dalla loro dimensione esclusivamente cartacea” 13. Giovanni De Luna ha così analizzato con cura le carte, smontando di volta in volta archetipi e costruzioni che popolano l’immaginario collettivo, stereotipi ben consolidati nella mentalità e ampiamente riflessi nei documenti.
Il volume si divide in due parti. La prima si incentra sulle problematiche inerenti il rap
porto consenso-dissenso, fascismo-antifascismo; la seconda raccoglie quattro storie di vita di cui sono protagoniste principali sei antifasciste. Senza farsi schermo dietro una presunta neutralità, De Luna dichiara la relazione che il ricercatore stabilisce con il suo oggetto di indagine, una tensione presente in molte pagine del libro che non soltanto non inficia l’approccio critico dell’autore, ma dà corpo e sostanza alla sua progettualità intellettuale. Sensibile all’esigenza di una storia racconto non estranea quindi ai modelli espositivi propri della narrazione, l’autore fa propria la sfida di “vagare nella testa della gente” , riportando alla luce uno scenario dell’antifascismo popolato di nomi e di corpi. Le donne raccontate da De Luna, ma lo stesso discorso vale per gli uomini che animano il suo volume, si trasformano da oggetto a soggetto: non più rigide figure sullo sfondo della “grande storia” sovrastate dalle sue leggi, ma individui capaci di compiere scelte.
La documentazione privilegiata dall’autore è costituita dal fondo del Tribunale speciale, raccolto presso l’Archivio centrale dello Stato. Aperta alla consultazione soltanto da sei anni, grazie all’impegno di Giuseppe Fiori e Gaetano Arfè, questa serie archivistica presenta una documentazione ricca e varia sia sotto l’aspetto della tipologia, sia della formazione, comprendente oltre alle carte prodotte dall’ente e da altre istituzioni, come ad esempio rapporti e testi di interrogatori, anche materiali sequestrati dalle autorità agli indiziati. Si possono trovare perciò sia documenti prodotti dal partito (circolari, direttive e materiali di propaganda) sia documenti di carattere privato (lettere, diari, fotografie). Le 748 cartelle relative alle donne condannate dal Tribunale Speciale presentano situa
12 Cfr. Enzo Gradassi, Rappresentazione e autorappresentazione di un sovversivo, “Annali aretini” , 1993, n.l, pp. 241- 257; Giancarlo Onnis, Autobiografie di militanti savonesi, “Ventesimo secolo”, 1993, n. 7-8, pp.101-137. Si veda anche la raccolta di saggi biografici curata da Massimo Papini, Biografie di comunisti marchigiani: da Livorno atta clandestinità, “I Quaderni” , 1993, n. 6.13 Giovanni De Luna, Donne in oggetto, Torino, Bollati Boringhieri, 1995, p. 1.
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zioni differenti. Ai fascicoli di note antifasciste inserite negli organismi dirigenti centrali o periferici del Partito comunista si affiancano quelli di figure sconosciute la cui opposizione al regime non trova una immediata traduzione in gesti e azioni codificate proprie del linguaggio e delle modalità espressive della politica: un ventaglio di atteggiamenti, modi diversi di esprimere la propria opposizione al regime, livelli distinti nell’assunzione delle responsabilità, per la cui interpretazione risultano insufficienti i tradizionali criteri di analisi elaborati dalla storia politica. Queste fonti rendono esplicito, scrive De Luna, che “la partita tra fascismo ed antifascismo, per le donne come per gli uomini, si giocò in un campo molto più vasto di confronto tra opposte concezioni politiche, riferendosi direttamente a due progetti di costruzione di identità collettive” 14. L’antifascismo esistenziale è quindi la categoria interpretativa sulla quale si incentra il lavoro. Non una categoria propria della storia delle donne, quindi, ma un concetto elaborato nell’ambito della storia politica. Già proposto da Giorgio Amendola, con una connotazione negativa, per indicare l’antifascismo dei senza partito, ripreso da Guido Quazza per definire l’antifascismo dei giovani, l’antifascismo esistenziale viene recuperato da Giovanni De Luna nel recente volume Fascismo antifascismo15, per essere meglio definito e messo a punto in Donne in oggetto.
L’analisi di De Luna prende le mosse dalle politiche attuate dal regime nel suo tentativo di “nazionalizzare le masse” . Il fascismo forza lo spazio raccolto tra le pareti domestiche, i perimetri privati con la finalità di realizzare pienamente il suo progetto di dominio totalitario. E proprio questo obiettivo di “nazionalizzazione delle masse” — mai riuscito e ri-
soltosi in una “nazionalizzazione burocratica” , come Mariuccia Salvati ha dimostrato16 — che rende incerti i confini tra pubblico e privato e nel contempo finisce per valorizzare quanto si manifestava nella sfera privata. De Luna ha posto in risalto gli atteggiamenti e gli stili di vita non pienamente coerenti con i disegni del fascismo, ha sottolineato l’insofferenza delle masse popolari e l’irrequietudi- ne serpeggiante in molte famiglie, dimostrando la mancata identificazione di molti cittadini nel “carattere degli italiani” . Si trattò di un insieme di comportamenti che mantennero vivo il senso di appartenenza e alimentarono le identità che si erano andate plasmando negli anni precedenti il fascismo.
Il ricorso alla categoria dell’antifascismo esistenziale permette di cogliere la molteplicità di valori e di posizioni che lo attraversano, marcando le complicazioni che insorgono nella definizione qualitativa e quantitativa dell’area del dissenso. Alla luce di questi dati, la polarità antifascismo politico-antifascismo esistenziale risulta artificiosa, i confini tra i termini del binomio divengono labili. Da questa scomposizione affiora la debolezza culturale dell’antifascismo politico non sempre in grado di esprimere un compiuto sistema di valori. Tale questione attraversa la ricerca ed è approfondita dall’autore nel capitolo dedicato ad un tema insolito per la storiografia, quello dell’amore. Attraverso l’esame di varie corrispondenze, De Luna ritesse le trame del rapporto di Felicita Ferrerò con Velio Spano, entrambi “rivoluzionari di professione”, e quelle dell’intricata relazione tra alcune donne ai margini dell’organizzazione politica (Cesarina Merighi, Iolanda Stanzani, Noemi Pinaffo) e Umberto Boriami storie di desiderio, di passioni, di affetti vengono scandagliate in profondità dall’au-
14 G. De Luna, Donne in oggetto, cit., p. 3115 Cfr. G. De Luna, Marco Revelli Fascismo antifascismo. Le idee, le identità, Firenze, La Nuova Italia, 1995.16 Mariuccia Salvati, Il regime e gli impiegati, Torino, Einaudi, 1993; Id. L'inutile salotto, Torino, Bollati-Boringhieri,1993.
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tore che ne sottolinea con acume le contraddizioni profonde. Nei rapporti con l’altro sesso la corazza ideologica del buon rivoluzionario non poneva al riparo dagli stereotipi più consolidati. Trasgressione e tradizione convivevano sia negli ambienti decisamente connotati sotto l’aspetto politico, sia in quelli dell’“ antifascismo popolare” , rendendo chiaro l’appiattimento sui ruoli rigidamente determinati e il persistere, nel campo delle relazioni di genere, di una cultura stratificata anche tra i ceti non pienamente integrati nel sistema politico. Questi dati inducono ad alcune considerazioni sull’antifascismo, in particolare sulle debolezze del suo progetto politico e la sua arretratezza culturale nel campo della emancipazione femminile. Tali questioni non vengono esplicitate da De Luna che, pur constatando gli atteggiamenti conformisti presenti nel panorama antifascista, sembra trascurare le responsabilità dell’antifascismo, nelle sue diverse componenti, e la sua pesante eredità nella mancata conquista della piena cittadinanza da parte delle donne negli anni della Repubblica.
Passando dall’analisi dell’“antifascismo delle masse” a quello organizzato, Giovanni De Luna segnala le principali tappe della linea comunista e i caratteri dell’organizzazione, senza però tralasciare i soggetti. L’esame dei dati e delle notizie biografiche gli consente di identificare i momenti fondanti della scelta politica. Per molti uomini e donne essa dipendeva non tanto dall’adesione alla linea del partito, modalità quasi impossibile date le repentine “ svolte” che segnarono la sua storia, quanto dal senso di appartenenza a luoghi, ad ambienti, a nuclei familiari, in un intreccio tra sociabilità e politica che mette in risalto il protagonismo e la destrezza femminile. E il caso di Ida Scarselli, al centro della cospirazione comunista a Certaldo e di El- gina Pifferi, capace di coordinare l’azione
della sua famiglia d’origine, quella dei parenti e del vicinato.
La famiglia, tema ampiamente trattato nel volume, è il luogo deputato alla formazione politica sia per “ la base” , sia per i dirigenti ma è soprattutto sede di particolare rilievo per l’apprendistato delle donne alla politica. Al suo interno si coltivano i segreti che consentono alla rete cospirativa di sostenersi; si svolgono mille mansioni indispensabili alla sopravvivenza delle opposizioni, dalla stampa dei volantini alla preparazione dei pasti per i detenuti distribuiti dal Soccorso rosso — un’organizzazione sulla quale varrebbe, a mio avviso, la pena di approfondire la ricerca per verificare la eventuale presenza di spazi di autonomia rispetto al partito, ma anche per delineare il profilo del maternage espresso dalle sue attiviste. Le pratiche politiche legate alla domesticità infrangono l’idea del nucleo familiare simbolo del privato per inserirlo nella sfera pubblica. Questo spostamento attribuisce un connotato specifico al “ familismo antifascista” . Le sue azioni si ispirano non soltanto al conseguimento di un maggiore benessere per i suoi membri, quanto agli interessi della comunità. Si tratta, osserva Giovanni De Luna, di un familismo “ propedeutico al senso dello Stato e della cosa pubblica” che pone in discussione la tesi del ‘familismo amorale’ individuato come “ uno dei caratteri originari degli italiani” 17.
Il ricorso a fonti di carattere autonarrativo, quali i carteggi e i diari, ha consentito all’autore di mettere a fuoco i valori ed i progetti che sono alla base della scelta politica. Le lettere di Giacomo Deana — operaio friulano denunciato al Tribunale Speciale per essere stato coinvolto in numerose risse con i fascisti — alla fidanzata Maria Valussi consentono di tratteggiare gli elementi costituivi, le ragioni e i sentimenti che nutrivano
17 G. De Luna, Donne in oggetto, cit., p. 185
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la sua opposizione al fascismo18. In Deana, come in altre figure ricostruite da De Luna, emergono i tratti salienti dell’antifascismo popolare. Un modo di definirsi in alternativa al regime segnato da un senso di appartenenza “leggero” , i cui riferimenti vanno ricercati più in ambito culturale che non prettamente politico, come dimostrano sia il rifiuto della routine, l’irriducibilità alla normalità, la spinta alla ribellione delle masse popolari, sia il “respiro culturale cosmopolita quasi biologicamente contrapposto alle angustie provincialistiche e autarchiche del fascismo” , un carattere proprio dell’“antifasci- smo dei colti” di cui De Luna coglie la peculiarità, ricostruendo le letture e i percorsi culturali di Giorgio Agosti.
In maniera diversa si presenta invece la scelta comunista. De Luna ne disegna il profilo ponendo in risalto i segni profondi di rigidezza che la connotano come un momento di rottura con la trascorsa esperienza dei singoli. L’attenzione dello studioso si rivolge in particolare alle “compagne” . Passando in rassegna i loro scritti autobiografici, De Luna ne sintetizza i motivi ricorrenti per confermare l’aspetto totalizzante della militanza comunista, di cui costituiscono ulteriore prova l’interiorizzazione dei paradigmi culturali e politici elaborati dal Partito, ampiamente riflessi negli scritti delle militanti: origini operaie, propensione alla ribellione fin da bambine, abilità nel mestiere e fedeltà all’organizzazione politica sono i tratti salienti delle autobiografie. “Tutto lascerebbe supporre, quindi, — scrive De Luna — che tra autorappresentazione nella propaganda comunista di allora, linea politica del Pei impostata in particolare sul primo termine del binomio operaia-madre e memoria collettiva non si registri in seguito nessuno scarto. Di fatto, però, questo dato non può estendersi all’intera
realtà dell’antifascismo esistenziale. Fuori dallo specifico contesto delle donne che militarono nel Pei, l’antifascismo smarrisce i contorni di un’esperienza assoluta da testimoniare, di un modello etico politico che diventa una realtà totalizzante, per assumere la configurazione tumultuosa e incandescente di un universo fatto di scelte individuali, casualità, contraddizioni personali, lasciando affiorare una molteplicità di percorsi difficilmente riconducibili a una uniformità segnata dalle grandi sintesi politiche e ideologiche” 19. Vale la pena di interrogarsi se si realizzò la piena consonanza delle “compagne” al modello o se piuttosto vi furono scarti tra norme e comportamento; se esse alzarono un muro verso “ le altre” ; se i loro sentimenti e le loro azioni furono davvero tanto diversi da quelle delle “donne comuni” . Ritengo che la realtà fosse assai più eterogenea e complessa di quanto non emerga dai modelli proposti dalla propaganda. L’analisi delle autobiografie, comparata con i carteggi e le testimonianze orali, permette di fare riferimento ad un quadro attraversato da un’ampia gamma di policromie. E possibile rivedere e superare lo stereotipo della eroina operaia nata sulle barricate del “glorioso biennio rosso” . E altresì possibile cogliere come l’operaismo, tratto della cultura comunista al quale De Luna fa riferimento, non sempre riusci ad intaccare culture e sensi di appartenenza ben saldi che affondavano le loro radici in tradizioni familiari forti che pur non essendo antagoniste alla “cultura comunista” certo se ne differenziavano. La presenza di Camilla Ravera e Teresa Noce nel partito comunista, lontane l’una dall’altra per estrazione sociale, familiare, per cultura ed educazione, sembra confermare, a mio avviso, l’assunzione da parte delle comuniste di diversi “modi di essere” .
18 G. De Luna, Donne in oggetto, cit., p. 13119 G. De Luna, Donne in oggetto, cit., p. 142
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Lo stesso De Luna, trattando la questione della ideologia e della disciplina, prende le distanze dai modelli sottolineando come la realtà fosse meno uniforme di quanto l’icona del buon militante sembra invece suggerire. L’ideologia granitica stentò a radicarsi alla periferia comunista, una realtà fortemente strutturata, dove il senso di appartenenza ad una comunità ideale finì per prevalere. Tutto ciò impedì che gli scontri e le lacerazioni politiche presenti ai vertici si ripercuotessero tra i militanti. Vi era almeno un’occasione, osserva lo studioso, in cui la disciplina di partito aggrediva conoscenze e affetti consolidati: l’accusa di tradimento. In quei frangenti, in nome della purezza ideologica si operavano fratture e strappi, che De Luna indaga con sensibilità tenendo conto della complessa dimensione vissuta dal rivoluzionario o dalla rivoluzionaria di professione. Essere imputato al banco dei traditori significava mettere in gioco sia le scelte razionali, sia i sentimenti e le emozioni. Per tali ragioni era difficile uscire dal partito, “con l’abiura crollava un mondo intero, spesso anche la speranza per un proprio riscatto individuale”20.
Molte pagine del lavoro di De Luna sollecitano la riflessione ed inducono a procedere nella ricerca. Studiando le donne attive nel partito negli anni della clandestinità, ho potuto constatare quanto sia importante definire i contorni di questa vicenda politica e le sue articolazioni anche in relazione all’appartenenza di genere. Ritengo infatti che ci sia ancora molto da capire sui processi che favoriscono raddensarsi di particolari immagini,
nei ricordi dei militanti, sulla figura del dissidente e della dissidente e più in generale sui processi di costruzione della memoria. Una lettera di Ortensia De Meo Bordiga, che ho trovato tra le carte del Casellario politico centrale, mi pare che illumini efficacemente i costi dell’isolamento politico. La vicenda di Amadeo Bordiga, al centro di un vivace dibattito storiografico, contrassegnato da non poche punte polemiche, è oramai nota. E invece sconosciuta quella di sua moglie Ortensia De Meo. Questo dato è di per sé significativo per guardare alla diversa sorte toccata agli uomini e alle donne che in varie circostanze e maniere si allontanarono o furono espulsi dal partito. Ortensia è un personaggio da ricostruire, l’oblio annebbia la sua immagine e stereotipi negativi la deformano. La polizia la definiva “di carattere eccitabilissimo” , ma neanche il “ mondo comunista” faccettava21.
Soltanto un po’ più benevola fu con lei una “composta” dirigente come Camilla Ravera, attenta e misurata nel dare giudizi. Anche nella memoria di Ravera, Ortensia è una persona debole e volubile22. Le immagini stereotipate che di lei si sono costruite si dissolvono lentamente esaminando il suo lungo impegno politico e leggendo i suoi articoli. Le cronache della stampa socialista tratteggiano il profilo di una donna dinamica, attiva ed intraprendente, decisa a ribadire con le parole e le azioni quel suo essere contro l’oppressione sessuale, la guerra, il capitalismo, ed, infine, il socialismo riformista. I ricordi di Bice Ligabue disegnano un’immagine di Ortensia
20 G. De Luna, Donne in oggetto, cit., p. 77.21 “[...] Lagnosa, meschina, dispettosa, soprattutto nei confronti del marito che l’accusava di tutti i mali, veri o immaginari che l’affliggevano. Era un’insegnante; era una donna delusa, frustrata dalla vita non facile vissuta con Bordiga. Il suo nome era Ortensia, ma tra noi la indicavamo solo col nome di Santippe, per lo spontaneo confronto che veniva di fare con la famigerata moglie di Socrate. Naturalmente era rispettata da tutti, non solo perché donna, ma perché si vedeva che soffriva veramente per la difficile vita che conduceva, per le delusioni subite, per le svanite velleità letterarie “ (cfr. Carlo Salinari, [Intervista a Luigi Longo], in Mario Massara (a cura di), I comunisti raccontano. Cinquantanni di storia del Pei attraverso testimonianze di militanti, Introduzioni storiche di C. Salinari, voi. I, 1919-1945, Milano, Edizioni del Calendario, 1972, p. 246).22 Cfr. Camilla Ravera, Diario di Trentanni, 1913-1943, Roma, Editori Riuniti, 1973, pp. 133-134.
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legata alla quotidianità e alla domesticità, aggiungendo un piccolo tassello alla sua biografia. Accenni seppure fugaci (per esempio le preoccupazioni espresse per la sua salute dopo l’incidente stradale di cui fu vittima) si trovano in lettere dal carcere di alcune compagne che probabilmente, in qualche caso, si legarono a lei in una relazione di amicizia affettuosa e solidale. La sua fu però un’esistenza segnata dalla solitudine. L’asprezza del clima politico fece ben presto percepire a lei, come a tante altre, che una stagione politica si era chiusa e con essa progetti e speranze. Il suo senso di ribellione alle regole sociali, che l’aveva portata a militare nel partito socialista e in quello comunista, non poteva più trovare espressione. La delusione rese ancora più aspra la sua vita: adattarsi alla nuova situazione, agire di sotterfugio, celare la propria identità, significava esercitare un continuo controllo sulle proprie emozioni. La lontananza dai propri compagni, con i quali si erano intessuti progetti politici ed esistenziali, generava vuoti dolorosi. Ortensia De Meo e Giulia Schucht, lontane l’una dall’altra, furono accomunate da una stessa sor
te23 24. La debolezza di Giulia e il suo senso di impotenza di fronte all’assenza di Gramsci non sembrano infatti sentimenti tanto diversi da quelli provati da Ortensia durante la detenzione di Bordiga.
In seguito alla lotta interna al Pcd’I e alla Terza Internazionale che portò all’isolamento dei bordighiani, Ortensia non ebbe più spazi vitali ai quali attingere simboli e valori, ambiti dai quali trarre le energie necessarie per procedere lungo il cammino intrapreso, né una nicchia psicologica nella quale rifugiarsi nei momenti di sconforto. Le scelte di Amadeo la travolsero e finirono per farle smarrire le coordinate lungo le quali si era orientato il corso della sua esistenza. Un senso di disperazione e di soffocamento si impadroni della sua mente facendola cadere in stati di ansia e di depressione. Sfinita, non si preoccupava di celare il suo stato neanche all’occhio vigile dei censori, perché ormai la stanchezza aveva sopraffatto l’orgoglio come si evince da una lettera scritta il 15 gennaio del 1927 al marito confinato ad Ustica e requisita dagli agenti della Pubblica sicu-
24rezza .
23 Cfr. al riguardo Franca Pieroni Bortolotti, Femminismo e partiti politici 1919-1926, Roma, Editori riuniti, 1978.24 “Caro Amadeo, [...] Ebbi il 15 la tua ultima, vedo in essa che non sei di buon umore forse per colpa mia che non so rassegnarmi.... Io ti prego, ti scongiuro di non scrivere a nessuno dei voluti ex compagni [...]. Sono tutti nemici. Sì. Notte del 16 ore 4 a.m. Temo assai per te. Temo che i fascisti facciano una messa in scena e avvenga rombile sogno fatto or ora per cui mi sono alzata, ti finisco questa lettera e vado pure a farti il telegramma. Non so se resisterò a questa terribile tortura! Che destino infame mi era serbato...Ho sognato ed ho sentito direi quasi sveglia un urlo immenso terrorizzante tuo, pareva ti uccidessero...Mi sono alzata col cuore parea mi scoppiasse]., ed ho dovuto spalancare il balcone, una notte buia profonda senza st[elle] come la mia anima, solo un canto di gallo e un fischio di locomotiva, tutto intorno è silenzio. L’aria mi aiuta a non cadere a terra i piccoli dormono ignari di tutta la tragedia del mio spirito [...] Mano, mano che scrivo mi sembra come se una voce mi dicesse [...] un terrore m’assale [...]. Per la casa farò il ricorso e spero non mi mandino via. I piccoli sono tornati dal nove. Ho molto lavoro per essi e spesso sono talmente stanca che non so fino a quanto resisterò a portare la soma, se tu non torni presto ad aiutarmi io soccomberò proprio per la stanchezza fisica ...Il tormento maggiore me lo danno i tuoi compagni...quante cose ho sapute vorrei fartele sapere per farti meditare...pensare...cambiare senza rinnegare niente per coerenza, ma senza più finirti di rovinare e rovinare noi...[...]. Zio Giovannino scrive affettuosamente. Zia Erminia ha mandato due vestiti, una sciarpa, una gialla un po’ usata per me e dolci ai piccoli. Che altra vita potevamo fare se quella mala bestia non ti avesse trascinato fino in fondo, la politica, salvo a pugnalarti come ha fatto da tutte le vie del partito e fuori di esso. Appena torni mi ti renderanno mai? non mi dispiace tanto per me, quanto per questi piccoli. Ama tace soffre molto, però Oreste è sempre triste, ha una profonda mestizia stampata nel viso[...]Non vedo l’ora che torni...Per carnevale ho quattro giorni, almeno ti avessero messo in un posto più accessibile avremmo potuto venire. Io per mare non farò mai più traversate. Impossibile... ad Ustica poi ... talmente ne ho orrore. Mi pare la Sant’Elena d’Italia!!! Meno male che tu ne sei entusiasta...lascio di scriverti, ti giungerà questa mia? Forse un avviso come gli ultimi sogni miei avveratisi?” (cfr. Ortensia De Meo ad Amadeo Bordiga,
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Anche per ricostruire i risvolti più intimi dell’isolamento politico quindi, come De Luna sottolinea nel suo volume, “ tutti i fondi aggregatisi e sedimentatisi intorno alle diverse articolazioni dell’apparato repressivo diventano importanti e significativi” . Paradossalmente è la macchina repressiva del regime, nella cui rete resta prigioniero “un intero mondo di affetti, di speranze, di progetti”25, ad offrire alla storiografia quella molteplicità di fonti che aiuta ad indirizzare la ricerca lungo nuovi sentieri. Tale risultato emerge con evidenza nelle pagine dedicate da De Luna all’operaia tessile biellese Iside Viana, comunista fin dalle origini del partito. Su di lei si era soffermata Laura Mariani riportando alla luce la sua dolorosa vicenda carceraria26. Iside, condannata dal Tribunale speciale, moriva nel carcere di Perugia nell’isolamento e nel disprezzo sia delle autorità, sia delle compagne di partito. Queste non le perdonarono infatti di aver violato uno dei principali codici comportamentali dei detenuti comunisti. Iside Viana infatti non aveva rifiutato le pratiche religiose, si era recata a messa e manteneva rapporti almeno nell’apparenza cordiali con le monache che vigilavano la condotta delle detenute. De Luna, senza trascurare la severa disciplina di partito, né prescindendo dalla drammatica sorte di Iside, ne traccia la biografia che va al di là della sua morte e ne restituisce un’immagine nitida, dotata di una consistenza psicologica complessa, non riducibile a quella di una “sconfitta” . Smonta in tal modo stereotipi che han
no fatto di Iside di volta in volta un’eroina, una martire, una spia, oppure l’hanno relegata nel limbo della rimozione, per far emergere una donna che “si faceva attraversare totalmente dai sentimenti” , uno spirito libero che non poteva piegarsi alle dure regole della disciplina di partito.
Le fonti del Tribunale speciale in particolare — ma non manca il ricorso ad archivi privati, come nel caso di Battistina Pizzardo — hanno consentito allo studioso di esplorare aspetti non ancora indagati dalla storiografia politica e di scandagliare l’universo esistenziale ed affettivo dei rivoluzionari, analizzando le dinamiche familiari. Di fronte a questa documentazione, nota De Luna, “una sensazione di straniamento si impadronisce del ricercatore, sollecitato come a un tuffo in altre esistenze, rimaste ‘congelate’ nel momento in cui in queste camere ammobiliate, in quei domicilii provvisori, in quelle stanze d’albergo, in quelle povere case che, pure nella loro assoluta precarietà, costituivano luoghi intimamente privati, si era abbattuta le repressione scardinandole dalla loro piccola storia per proiettarle per sempre sullo scenario della grande storia”27. Consultando le carte del Casellario politico centrale e del Confino politico non ho provato una sensazione diversa da quella descritta. Queste fonti aprono infatti squarci significativi sui risvolti della militanza politica e, lasciando affiorare aspetti inediti della militanza femminile, trascurati dalla pubblicistica e dalla memorialistica del partito, mi han-
Napoli, 15 gennaio 1927, in Archivio Centrale dello Stato (d’ora in poi ACS), Ministero dell’Interno, Direzione generale di Pubblica Sicurezza, Casellario Politico Centrale (d’ora in poi Cpc), b.1722, fase. De Meo Ortensia: la prima pagina della lettera è mutila, una parte è andata dispersa). Su Ortensia De Meo il partito ha mantenuto un rigoroso silenzio; non diverso l’atteggiamento assunto dalla sorella Antonietta, sposata in seconde nozze con Amadeo, intervistata nel luglio del 1989. Nelle testimonianze sono rari gli accenni all’attività di Ortensia e più in generale alla sua storia di vita. Accomunato a quello di Bordiga, il suo nome non entrò a far parte del Pantheon comunista, e il suo disagio psichico contribuì a farla cadere nell’oblio. Brevi cenni sono contenuti in F. Pieroni Bortolotti, Femminismo e partiti politici in Italia, cit.25 G. De Luna, Donne in oggetto, cit., p. 2126 L. Mariani, Quelle dell'idea, cit.27 G. De Luna, Donne in oggetto, cit., pp. 23-24.
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no permesso di ricostruire le sue sfaccettature. Aderire al Pcd’I era una scelta che comportava fatiche, tensioni e costi molto alti. Ma alle donne di certo costava di più e ciò risulta evidente se si prendono in considerazione gli aspetti della vita privata. Le militanti compivano infatti una scelta non usuale, essa significava ritmi e consuetudini di vita diversi, grandi sacrifici come il distacco dal proprio universo affettivo. Quando Anna Maria Favero insieme col marito Mario Montagnana lasciava la Francia era già lontana da qualche tempo dal figlio Pucci. Essa era però consapevole che quella volta la separazione sarebbe stata più lunga. Poche ore prima della partenza scrisse al padre dando alcune brevi indicazioni sull’educazione del figlio, poi se ne andò senza neanche sapere presso quale famiglia Pucci avrebbe trovato ospitalità28 29.
Le vicende, che segnarono la storia di quegli anni, resero arduo per le compagne coniugare alle esigenze dell’organizzazione politica quelle personali. Esse furono costrette a cambiare ritmi e costumi, a misurarsi con il pericolo rischiando la propria vita, a rinunciare ai progetti esistenziali che tenacemente avevano disegnato e definito per sé. L’attività clandestina fu una vera e propria svolta nell’esistenza dei comunisti e per le donne essa presentò caratteri
specifici. Le disposizioni cospirative non potevano certo guardare alle norme della morale e del costume correnti, capitava quindi di trascorrere molte ore in viaggio con un compagno, di incontrarlo nei boschi, in una stanza d’albergo o di vivere sotto lo stesso tetto. Anche questo rappresentò una frattura rispetto alle abitudini precedenti, una difficile rottura di cui le militanti ebbero consapevolezza:
Forse M aria neppure immaginava che nella sua vita di donna il nuovo incarico rappresentasse una svolta.Infatti, quando severe norme cospirative impongono ad un gruppetto di compagni di sesso diverso, di vivere nello stesso alloggio, completamente isolati da tutto il resto dell’umanità, il male minore era quello che s’innamorasse del serafico Ai- moretti .
Così non senza una punta di malizia Felicita Ferrerò accenna ai rapporti tra compagni nella clandestinità, lasciando trasparire la rottura delle rigide norme morali, che rendeva difficile il reinserimento nella normalità. Il partito rappresentava l’unica comunità per “bestie nere” come Maria Grisino.
La militanza pur tra rinunce e sacrifici aveva consentito loro di addentrarsi in territori inediti, esse avevano preso coscienza della propria forza e dei propri limiti, aveva-
28 “Carissimo papà, presto partiremo. Abbiamo scritto a Pucci che se andare da Elena può essere impossibile chieda di ritornare da voi. Scriverò alla nonna anche dicendole la stessa cosa. Sono certa che questa eventualità vi farà piacere: avere con te il bambino ti sarà una dolce compagnia e, dato il suo carattere e il suo cuore, ti darà delle grandi soddisfazioni. Inoltre per noi il saperlo vicino a delle persone care sarà quasi come saperlo con noi. La situazione nella quale si trova ora Pucci non può durare. Da voi ritroverà una casa dell’affetto e qualcuno che veglierà su di lui ogni minuto. Con chi abiterà? Con te o con nonna Cita? Noi pensiamo che questa cosa dovreste deciderla voi stessi. Noi siamo troppo lontani: ma voi parlandone tra voi e con Pucci vedete quale sarà la situazione migliore. Non so se Pucci potrà continuare gli studi. Se è possibile ci terrei tanto. Se non è possibile egli potrà lavorare. Ci terremmo suo padre ed io, che imparasse un buon mestiere che gli possa essere utile in avvenire. Che dirti ancora, caro papà? Tu comprenderai quanto sia duro per me lasciare il mio bambino, l’andare tanto lontano, ma il sapere Pucci vicino a te mi dà tanta dolcezza al cuore per tutti e due. Tu che sei sempre tanto solo troverai in Pucci un affetto sincero. Soltanto vorrei prima di partire che tu fossi al corrente dell’eventualità del ritorno di Pucci tra voi” . In un’altra lettera scrive: “Caro papà faremo il possibile di scriverti ma non siamo sicuri di poterlo fare. Ad ogni modo sta tranquillo su di noi e vogliaci bene come noi te ne vogliamo. Ti abbraccio forte forte con tutto il mio affetto. Tua Anna Maria (Anna Maria Favero al padre, s.d. [ma Marsiglia 12 maggio 1941], in ACS, Cpc, b.3358, fase. Favero Anna Maria).29 Felicita Ferrerò, Maria sporca, in Id., Il grande gelo, Torino, Edizioni dell’Albero, 1967, p .199-223.
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no forzato, non senza dolore, i confini interdetti al proprio sesso. Tutto ciò aveva messo in moto processi di ridefinizione della propria identità; pertanto “ uscire” significava non soltanto rinnegare quanto era stato fatto, come De Luna ha sostenuto, ma anche affrontare il dramma di una completa solitudine. Per le compagne “ tornare indietro” prendendo 1’“uscita di sicurezza” era quasi impossibile. Ponti e legami erano stati recisi e lo stile di vita adottato impediva il loro ricongiungimento. Giovanni De Luna non ha ignorato i caratteri propri della militanza femminile; scrive infatti: “Nel momento in cui decidevano di essere contro il fascismo, esse erano obbligate non solo a schierarsi politicamente ma anche a rompere oggettivamente con la separatezza della propria tradizionale domesticità per proiettarsi sulla scena pubblica”30.
Mi pare che nella sua analisi De Luna non faccia fino in fondo i conti con questo dato. Da qui il ricorso a griglie interpretative che a volte non consentono di esplorare nel profondo l’esperienza delle comuniste. Quando per esempio fa riferimento alla rigidità morale dei comunisti è certo difficile dissentire. Il “club di vita morale” è uno degli esempi più eclatanti del moralismo imperante nel partito, che ritroviamo, come lo studioso dimostra, in molti militanti di base. Si trattò di una condotta difficile da debellare, ereditata, stando alle note scritte da Teresa Noce nella sua autobiografia, dal Pei del secondo dopoguerra. Gli storici che si accingono a ricostruire le vicende del partito comunista e dei suoi militanti non possono pertanto pre
scindere da questo dato, ma occorre altresi avere presente lo “ strappo” che la cospirazione impose. Era proprio la consapevolezza della anormalità, oltreché le regole di sicurezza proprie della clandestinità e quelle dettate dal maschilismo dei compagni, a far sì che “nella clandestinità, alle donne si richiedeva di offrire in pubblico un surplus di rassicurante normalità; non importava soltanto ‘comportarsi bene’ secondo gli standard comunemente accettati, ma soprattutto bisognava ‘essere giudicate bene’, quasi che l’apparenza fosse uno dei doveri imposti alle donne dalle norme cospirative”31. Il ricorso ad immagini rassicuranti di madri e di spose devote fu la nicchia psicologica nella quale si rifugiarono in molti casi le militanti a difesa del loro “ onore” , per timore di distaccarsi troppo dai modelli tradizionali ed in qualche occasione per abilmente dialogare o ingannare il nemico — si pensi alle partigiane che nascondevano armi e materiali di propaganda sotto gli abiti fingendosi in stato di gravidanza. È il caso per esempio di Rita Majerotti, detenuta nel 1922 nel carcere di Bari, che in una lettera al Procuratore si presentava come una madre modello, attingendo a piene mani al senso comune più consolidato32.
Nelle istanze inviate al duce la pace familiare, i desideri delle madri, il loro amore per i figli sono i motivi ai quali si appellano le donne, nel tentativo di commuovere. Esse prospettando valori e modelli non troppo differenti da quelli dominanti, tentano, forse inconsapevolmente, di privilegiare un ordine naturale e quindi universalmente valido e an-
30 G. De Luna, Donne in oggetto, cit., p. 13231 G. De Luna, Donne in oggetto, cit., p. 103.32 “La sottoscritta desidera conoscere su quali basi si sia spiccato mandato di cattura contro di essa, e su quali basi sicontinui a trattenerla in arresto, dopo averla strappata a tutte le sue consuetudini di vita, alia libertà delle occupazioni, del riposo, a! sole, agli affetti di famiglia, a tutti i suoi doveri. Sfida chicchessia ad indicare un solo dato di fatto che possa giustificare il suo arresto. E allora perché si trattiene ancora? Forse pei segreti maneggi di qualche vicenda parti- giana? Forse per questo si fanno restar soli e torturati i suoi figli? [...] Domando di essere ritornata alla mia casa, ai mieifigli, ai miei doveri” (cfr. R. Majerotti al Procuratore del Re, 3 settembre 1922, in Archivio dello Stato di Bari, Tribunale, Sentenze penali e fascicoli penali, fase. R. Majerotti).
Donne nell’antifascismo 111
tecedente a quello costituito33. La maternità non fu quindi soltanto il frutto di una imposizione dall’alto. Ritengo infatti che su questo argomento il divario non riguardi il centro e la periferia ma più complessivamente tagli in senso obliquo gruppo dirigente, uomini e donne. Lo stesso De Luna rileva, nel capitolo dedicato alla politica femminile, che la pubblicistica del partito fu ricca di spunti sull’argomento. Eredità dell’emancipazionismo ed influssi terzinternazionalisti si fusero incidendo sulla elaborazione delle comuniste italiane. Questi elementi convissero non senza contraddizioni almeno fino alla I Conferenza femminile del 1922. In seguito la matrice ter- zinternazionalista prevalse. Infatti, se nei primi anni il panorama si allargava ad una pluralità di questioni e di soggetti e la maternità si coniugava con la rivendicazione di diritti politici e sociali, dal 1926, con la vittoria della linea operaista, il raggio d’azione andò visibilmente contraendosi. Denuncia dello sfruttamento della manodopera femminile e delle condizioni di miseria delle madri proletarie divennero il leit motiv della politica comunista nel campo femminile. L’attenzione si concentrò sull’operaia ed in parte sulle contadine, “ la ‘centralità della fabbrica’ si sovrappose alla ‘centralità della madre’, e l’originaria attenzione ai temi sollevati dalle emancipazioniste si dileguava fino quasi a negare il nesso strettissimo tra la maternità e la sfera dei diritti sociali”34. Questo passaggio significò la sconfitta dell’ala emancipa- zionista, una minoranza la cui adesione al Pcd’I era stata dettata in parte dal trascorso
impegno in favore della emancipazione o “ della elevazione” della donna; un gruppo minoritario ed eterogeneo che aveva laboriosamente operato nella speranza che la “cultura” del movimento politico delle donne sopravvivesse nel partito comunista.
L’insistenza sulla maternità con l’esaltazione non solo del suo aspetto biologico, ma anche culturale — capacità affettive, comprensione, altruismo — consentì anche alle comuniste, come del resto alle loro antenate di diverse realtà geografiche, di dare legittimità alla rivendicazione dei diritti femminili. Partendo dalla valorizzazione del materno esse contribuirono alla definizione e all’ampliamento delle politiche sociali, ridefmirono il concetto di cittadinanza, posero l’accento sulle peculiari esigenze femminili, correggendo il paradigma dell’uguaglianza così come era stato formulato dalle teorie politiche. La parità di diritti non era conseguibile attraverso la codificazione di leggi ispirate a bisogni astratti definiti come generali, ma di fatto indotti dalle esigenze di un solo sesso35. L’uguaglianza e la parità non si tradussero neanche per le compagne in una incondizionata adesione agli stili di vita degli uomini. In ogni campo, dal lavoro all’amore, esse portarono il loro punto di vista, mettendo in discussione la universalità del modello maschile. Alcune, nella loro debolezza intellettuale, sovente fecero appello ad un apparato retorico che rischiava di imprigionarle e di ribadire la loro soggezione, ma l’obiettivo restava nitido come dimostrano alcuni scritti di Rita Majerotti e i tratti salienti della sua biografia36. Traspare un forte desi-
33 Sulle lettere di istanza al Duce e sulle caratteristiche di quelle inviate dalle donne si veda C. Canal, "Gent.mo Condottiero”. Lettere di donne a Mussolini in tempo di guerra, in Gianluigi Fait, Camillo Zadra (a cura di), Deferenza, rivendicazione, supplica. Le lettere ai potenti, Treviso, Pagus edizioni, 1991, pp.57-67.’4 G. De Luna, Donne in oggetto, cit., p. 87.35 Per la elaborazione compiuta dal movimento delle donne su questi temi rimando ad Annarita Buttafuoco, Le Ma- riuccine. Storia di un'istituzione laica, Milano, Angeli, 1988; Id., Tra cittadinanza politica e cittadinanza sociale. Progetti ed esperienze del movimento politico delle donne nellTtalia liberale, in Gabriella Bonacchi, Angela Groppi (a cura di), Il dilemma della cittadinanza. Diritti e doveri delle donne, Roma-Bari, Laterza, 1993;36 Appunti manoscritti scompaginati dal tempo conservati nel suo archivio fanno trasparire la sua progettualità politica: “Il diritto integrale ch’io reclamo per ogni donna, è di scegliere, nella sua libera coscienza la maternità per mezzo
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derio di definirsi in alternativa alla cultura dominante ma anche quello di “dirsi altro” rispetto al genere maschile. Rita lo fa ricorrendo al consolidato stereotipo proprio dell’im- magine materna, tanto da affermare senza esitazione rispetto a una presunta natura femminile che “essa [la donna] è altruista per natura, mentre l’uomo è egoista” . La maternità quindi fu al centro sia dei pensieri e delle scritture più intime, sia di quelle destinate al pubblico. Essa funzionò come dispositivo per ribadire la propria appartenenza di genere, offrendo alle comuniste una valida sponda nel prospettare un mondo diremmo oggi “a misura di uomo e di donna”. Fu inoltre un solido ancoraggio nei momenti difficili, quando la violenza di cui si era vittime scompaginava i riferimenti della propria esistenza. Il rifiuto dei modelli consolidati aveva anche bisogno di coordinate politiche diverse per tradursi in opzioni e in
scelte. Le comuniste si destreggiarono quindi in un terreno irto di contraddizioni nel tentativo di conciliare il vecchio ed il nuovo. Quando questo non fu più possibile, quando gli orizzonti si andarono sempre più restringendo ad ovest come ad est, alcune persero ogni orientamento e faticarono a ritrovare valori e segni che nel passato avevano permesso loro di definirsi in modo alternativo rispetto alle ideologie e ai modelli diffusi. E questo “dirsi altro” il nodo centrale della ricerca di De Luna che, ridisegnando i caratteri di quella alterità, invita a riflettere sulla sua funzione positiva nella storia del paese, nonché sui rischi della “omologazione antropologica” che, scrive De Luna citando Pier Paolo Pasolini, costituì “l’innesto di una futura sconfitta per tutta la democrazia italiana”37.
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dell’amore o l’amore senza figli astraendo dal fatto privo d’importanza di dar o meno alle relazioni tra i due sessi, un carattere speciale di contratto civile, ciò è un’equazione individuale che ogni donna ha il diritto di risolvere da sola, nell’interesse della propria felicità e di quella degli altri” (Appunti ms., in Fondazione Istituto Gramsci, Archivio storico delle donne “C. Ravera”, Fondo Rita Majerotti).37 G. De Luna, Donne in oggetto, cit. p. 269.
STORIA MILITARESommario del n. 31, aprile 1996
Regia Aeronautica a colori, a cura di A. Degl’Innocenti; S. Pelegalll, Italiani in Palestina-, T. Marcon, La “Finanza mare" in guerra-, G. Massimello, Via da Korba, con ogni mezzo-, A. Furlan, Il Museo de Henriquez oggi-, D. Guglielmi, M4 Sherman. Una leggenda sui cingoli-, V. Caclulli, Gli ufficiali del Regio Esercito dopo l'Unità-, G. Pitacco, La "Decima Mas" ad Algeciras e i mezzi “R"; M. Guell, Le insegne degli aerei militari italiani.
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