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Venerdì 4 gennaio 1957

LA PREDICAZIONE DI EN MINISTRO IMPOPOLARE

Ciò in cui sento di poter riu- uomo di molto humour, ma di fine e malinconico sorriso) si appuntava — e ci accordava-mo — contro una mentalità grossa, che non sapeva ben di-stinguere tra l'essenziale e il su-perfluo; di gente che iniziando un discorso contro il comunismo con citazioni solenni dell'Apo-calisse, finiva a tradire la sua innocente preoccupazione di sal-vare nel diluvio universale il vi-sone della moglie. O di chi va ancora almanaccando e discute con passione sul come questo nostro globo possa spegnersi, congelarsi forse, e le calotte di ghiaccio dei due poli stendersi a poco a poco su la crosta ter-restre, invadere confondendosi ai mari, alle steppe e ai de-serti; e non sente, invece, che silenziosamente, sistematicamen-te, uno sgomentante inaridimento dell' umanità, un disseccarsi del la vita morale, un raggelarsi del cuore, invade col dottrinarismo comunista intere zone di quella civiltà millenaria, che fin Bene-detto Croce non poteva non chiamare e, in certi momenti, non invocare cristiana.

Or dunque la lotta ci appa-riva in quegli anni ciò che an-cora è: così grandiosa, da tra-scendere le questioni contingen-ti di partito, di opinione, di idee, di sistemi ,e dottrine economi-che; qualcosa di molto simile alla discesa dei barbari su la Roma antica; e il nostro pian-to e la nostra paura — non del-la carne — paragonabili, forse, allo sgomento degli ultimi pen-satoré della latinità, che senti-vano le ombre e il silenzio ca-lare su l'agonia del loro mon-do. Si rinnovava, nel nostro, il conflitto millenario tra il Cristo e l'Anticristo. La nostra oppo-sizione, la nostra polemica stes-sa dovevano perciò essere porta-te a un livello ben più alto di quello dei nostri interessi.

Ed era necessario — sì — chiamare a raccolta tutte le for-ze politiche europee; ma biso-gnava che l'« europeismo » non diventasse un e bizantinismo »; che il Consiglio d'Europa, che stava nascendo in quei giorni, non degenerasse in una Acca-demia dai discorsi solenni, ma vuoti e stopposi. Che l'Europa dovesse anzitutto ritrovare se stessa; fare il suo esame di co-scienza per rendersi ragione del-le sue deviazioni, degli smarri-menti che l'avevano smembrata, — ritrovare il suo spirito vero nella libertà — la sua origine nella cristianità; credere vera-mente nelle verità in cui diceva di credere.

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sure è nel descrivere a modo mio uomini che ho incontrato sul mio cammino — uomini di tutti i colori. O, se sono perso-naggi politici, non considerarli come un qualsiasi pezzo di un gioco degli scacchi — bianco o nero — ma cogliere d'essi, ma-gari per due sole battute di un discorso, ciò che è più vicino a me per una stessa esperienza di questo aggrovigliatissimo com-plesso di idee e di passioni del mondo in cui viviamo.

Lo pensavo, in questi giorni, a proposito dell'affiorare di cer-ti gravi problemi della vita so-ciale e dei miei discorsi con Sir Stafford Cripps, il Cancelliere dello Scacchiere nei giorni in cui trattavo a Londra con lui que-stioni politiche, mentre era al potere il Governo laborista di Attlee.

Oggi, nell'ora in cui l'amico Macmillan si trova al suo po-sto di fronte a difficoltà molto simili a quelle del suo prede-cessore e il popolo inglese è chiamato di nuovo al sacrificio di tutte le classi — le abitazioni più fredde, il razionamento del-la benzina, gli abiti più dimes-si, il vitto più insipido — torna alla ribalta Cripps, il padre del-l'austerity, come un'ombra am-monitrice, che vorrebbe vendi-carsi della sua Impopolarità. E la figura del vecchio Cancellie-re, che pareva sepolta per sem-pre, mi si ripresenta nella sua linea severa e distinta, di cor-rettore della società del dopo guerra e di singolare asceta di sinistra, su uno sfondo di 'puri-tanismo religioso e di sociali-smo fabiano.

Quando lo conobbi egli era 'certamente il più avversato dei laboristi. Ma — e questo era nel suo carattere — a differen-za degli uomini politici in ge-nere, Cripps amava 1' impopo-larità; le andava incontro come a un privilegio e a un onore. Appena giunto all'altissima ca-rica (l'aveva detto egli stesso a qualche amico come Alberto Pi-relli) aveva chiamato a sè i suoi più immediati collaboratori, di-chiarando: e Io mi dispongo a essere per quattro anni l'uomo più impopolare d'Inghilterra. Siete disposti a esserlo con me? Al lavoro ».

Era capace di questo perchè chiuso in se stesso, nei propri pensieri, nei gravi problemi del-la vita internazionale di quel momento e con una certa fred-dezza nella coscienza del dovere da compiere, simile a quella di un chirurgo, che in una diffici-le operazione tormenta senza pietà il suo paziente. In questo caso, l'amputazione era nella carne viva delle classi ricche.

Le quali reagivano — pur nei limiti della disciplina nazionale, che difficilmente, in un paese come la Gran Brettagna, vien meno — con esasperata ama-rezza e rimpianti del bel mon-do delle eleganze che tramon-tava, acuiti dal fatto che e l'o-peratore » veniva dalla loro stes-sa società, da una famiglia di baronetti, e aveva alle sue spal-le una lunga carriera al servi-zio di Sua Maestà e della na-zione in guerra: ambasciatore in Russia — Lord del sigillo - pri-vato — membro del Gabinet-to di guerra nel '42 — ministro della produzione aerea — mini-stro degli Affari economici. E non vestiva la tuta di un san-culotte, ma se lo vedevano inap-puntabile in abito da sera a Buckingham Palace, come l'om-bra di Banco nel dramma so-ciale del dopo guerra. O — peg-gio — se lo sentivano commen-tare la Bibbia nella Cattedrale anglicana di San Paolo; e il Vangelo è il più sgradevole dei libri quando viene citato da un ministro delle finanze.

— Non vi pare — chiesi un giorno parlando di lui con un suo collega di Gabinetto — che nella politica di Sir Stafford c'entri molto (ciò che farebbe inorridire gli economisti) un suo desiderio di riforma dei costu-mi, di ritorno a una più auste-ra moralità di vita?

— Certo — rispose il mio in-terlocutore, alquanto più scet-tico di lui su questo argomen-to — non fosse stato Cancel-liere, ci predicherebbe la mor-tificazione della carne.

Socialista lo era; ma di quel socialismo che procedeva dalla Fabian Society fondata a Lon-dra nel 1838 e che tendeva a un accordo di esso con le ispi-razioni morali e cristiane — in netta opposizione col marxismo. Perciò nelle serate che passava-mo in intimità con la sua fami-glia, nelle conversazioni, nelle letture di poesia (Dante, Brow-ning) sciogliendoci a poco a po-co dalla politica, che era il pun-to di partenza, e dimentican-do le cariche, più o meno in-gombranti, finivamo per ritro-vare accordi nuovi, consensi in quel linguaggio comune di un umanesimo spirituale verso cui confluiscono il sacro e il profa-no della nostra cultura occiden-tale.

Ed era questo l'umanesimo che sentivamo di dover salvare a ogni costo, contro le forze materialistiche avanzanti. Poichè il « pericoloso » uomo di sini-stra, se si trattava dei valori dell'anima diventava un conser-vatore — uno strenuo difenso-re dì quel patrimonio della per-sonalità che è la ricchezza vera anche dei poveri; di quella civil-tà germinata sopra un piccolo triangolo della terra: Atene, Ro-ma, Betlemme (sillabe di nomi che sulla massa inerte del globo non pesano più di un fuscello), un lembo del nostro indifferente pianeta, ma che è pur, la patria ideale del nostro spirito, dove Platone meditò e cantò Virgi-lio; e su poca paglia nacque e la Luce che illumina ogni uomo che viene a questo mondo ».

— Temono la fine di tante cose... — cose —; tengono stret-to, stretto nel pugno un po' di sabbia che scorre via tra le di-ta; vorrebbero come Faust fis-sare, e fossilizzare » l'attimo — quale attimo? — del tempo che fugge — e non si accorgono del pauroso dramma che si svolge nell'ora nostra; della forza bru-ta, si chiami pur scienza, che sta spegnendo la nostra eredità.

La sua velata ironia (non era

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Queste, press'a 'poco, le idee ispiratrici di un grande Conve-gno, che raccolse eminenti uo-mini politici e personalità reli-giose in Albert Hall a Londra 1

nell'aprile 1948. Ne erano a ca-po, appunto, Sir Stafford Cripps, laborista; Lord Halifax, conser-vatore e Lord Pakenham, cat-tolico; con l'appoggio del Cardi-nale Arcivescovo di Westmin-ster, del, Primate anglicano Ar-civescovo di Canterbury e del Moderatore del Consiglio della Libera Chiesa di Scozia. Tutti i paesi d'Europa vi parteciparono con rappresentanti scelti ad alto livello. De Gasperi, persuaso dell'opportunità politica come lo erano Adenauer e Schuman, mi aveva annunziato l'arrivo di Ste-fano Jacini, senatore ed ex-mi-nistro della Guerra. In sua vece :a Democrazia cristiana mandò a rappresentarla Igino Giordani.

Non si trattava di nessun ten-tativo utopistico di unione del-le Chiese, ma di un richiamo a un'azione positiva religiosa a so-stegno dell'e Unione dell' Europa ocaidentale » in vista di un suo orientamento secondo lo spirito cristiano. Dei risultati dell'inizia-tiva non ritengo che gli ideatori rimanessero molto soddisfatti, forse perchè sentirono come an-che i bellissimi discorsi contino poco di fronte all'imponenza de-gli avvenimenti storici. Ma la re-ciproca comprensione con Cripps si fece più stretta in quella oc-casione e la collaborazione a van_ taggio della pace e degli interessi dei nostri due paesi più conti-nuata.

Non potrò mai dimenticare che anche in momenti difficili egli mi dimostrò una amicizia, che andava ben oltre alla mia persona: all'Italia. Il 23 dicem-bre del '49 mi scriveva, infatti, dalla Treasury Chambers (sigillo rosso, inchiostro rosso): e Possa il 1950 trovare i nostri due paesi anche più vicini l'uno all'altro nell'amicizia e nella coopera-zione).

Purtroppo non riesco a trova-re, frugando tra le mie carte, l'ultima sua lettera. Ma l'ho da-vanti agli occhi, nella memoria, nitida nella scrittura in inchiostro rosso e datata anch'essa da Great George Street S. W. 1. Strana lettera. Diceva della necessità di lasciare la sua carica di Cancel-liere, causa le sue condizioni di salute (sapeva già quanto fossero gravi). Poi accennava, velata-mente, che non era probabile che ci saremmo ritrovati più, ma che in caso sarebbe stato su un e di-verso piano ». Non compresi su-bito. Mi parve, però, di sentire in quelle parole la risonanza di una nota patetica sfuggita a una austerità tutta cifre. Ma cercai invano da me stesso una spiega-zione.

Solo dopo la sua morte chiesi a Lord Jowitt, una sera che era mio ospite sul Lago di Como, a cosa avesse voluto alludere in quell'accenno, il suo amico.

— So che ormai aveva rinun-ziato per sempre alla politica e sperava, fosse guarito, andar ol-tre su le vie di Dio, nell'amore del prossimo. Tommaso Gallarati Scotti

Morto esule a Nuova York un ex-collaboratore di lenin

Nuova York 3 gennaio. E' morto ieri in un ospedale,

all'età di 68 anni, il dott. Isaac Steinberg, primo commissario per la Giustizia del regime le-ninista.

Nato a Dvinsk, Steinberg ave-va trascorso vari anni in pri-gione all'epoca dello zar, e dopo la rivoluzione del 1917 era stato nominato commissario per la Giustizia.

Nel 1923 fuggi in Germania e dieci anni dopo si trasferì in Inghilterra,

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