COMPITI PER LE VACANZE ESTIVE - Classe 4 LM-GE
1. Leggere da p. 6 a 19 e da p. 22 a 27 del libro di testo Leopardi, il primo dei moderni
2. Lettura obbligatoria: A. D’Avenia, L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita.
3. Letture consigliate - leggere almeno uno dei seguenti titoli:
L. SCIASCIA, A ciascuno il suo; Il giorno della civetta; La scomparsa di Majorana
D. BUZZATI, La boutique del mistero; Il deserto dei Tartari
G. VERGA, I Malavoglia; Mastro-Don Gesualdo
G. D’ANNUNZIO, Il piacere
LUIGI PIRANDELLO, Il fu Mattia Pascal; Novelle per un anno; Uno nessuno centomila; Sei
personaggi in cerca d’autore
G. BASSANI, Il giardino dei Finzi-Contini
ITALO SVEVO, Una vita; Senilità; La coscienza di Zeno
CESARE PAVESE, La luna e i falò; La casa in collina
ITALO CALVINO, Il sentiero dei nidi di ragno
B. FENOGLIO, Una questione privata; Il partigiano Johnny
A. CAMUS, Lo straniero
4. Tra le tracce proposte, svolgerne due di diversa tipologia (es. saggio breve e analisi del testo;
saggio breve e tema di ordine generale ecc.):
TIPOLOGIA A – ANALISI DEL TESTO
1. Ludovico Ariosto, Orlando furioso, Canto I, 3-6
Piacciavi, generosa Erculea prole,
ornamento e splendor del secol nostro,
Ippolito, aggradir questo che vuole
e darvi sol può l'umil servo vostro.
Quel ch'io vi debbo, posso di parole
pagare in parte e d'opera d'inchiostro;
né che poco io vi dia da imputar sono,
che quanto io posso dar, tutto vi dono.
Voi sentirete fra i più degni eroi,
che nominar con laude m'apparecchio,
ricordar quel Ruggier, che fu di voi
Non dovete rimproverarmi che sia poco ciò che vi
restituisco
Che mi preparo ad elogiare
e de' vostri avi illustri il ceppo vecchio.
L'alto valore e' chiari gesti suoi
vi farò udir, se voi mi date orecchio,
e vostri alti pensieri cedino un poco,
sì che tra lor miei versi abbiano loco.
Orlando, che gran tempo innamorato
fu de la bella Angelica, e per lei
in India, in Media, in Tartaria lasciato
avea infiniti ed immortal trofei,
in Ponente con essa era tornato,
dove sotto i gran monti Pirenei
con la gente di Francia e de Lamagna
re Carlo era attendato alla campagna,
per far al re Marsilio e al re Agramante
battersi ancor del folle ardir la guancia,
d'aver condotto, l'un, d'Africa quante
genti erano atte a portar spada e lancia;
l'altro, d'aver spinta la Spagna inante
a destruzion del bel regno di Francia. […]
Capostipite
Importanti
Tra loro abbiano posto i miei versi
Asia centrale e nord occidentale
Germania
Pentirsi amaramente
1. Comprensione del testo: dopo un’attenta lettura, riassumi il contenuto informativo del testo
2. Analisi del testo:
a. Analizza gli aspetti formali del testo (rime, strofe, lessico…). Ariosto adotta il tradizionale
stile, elevato e solenne, della poesia epica?
b. Perché Ariosto si chiara “umile servo” di Ippolito?
c. Quale tono utilizza il poeta nel tessere le lodi di Ippolito?
d. Spiega l’espressione “battersi ancor del folle ardir la guancia,/ d’aver condotto”. Perché
l’ardir è ritenuto folle?
e. Quali personaggi vengono nominati nel testo? Presentali brevemente, spiegando il ruolo che
assumono nell’opera?
3. Interpretazione complessiva e approfondimenti: proponi una tua interpretazione complessiva
del brano, soffermandoti in particolare sui rapporti tra intellettuali e potere. Fai anche
riferimento al contesto storico-politico dell’epoca di Ariosto. Rifletti sull’attualità dell’opera del
poeta prendendo spunto da quanto afferma Italo Calvino: “Ariosto ci insegna come
l’intelligenza viva anche, e soprattutto, di fantasia, d’ironia, d’accuratezza formale, come
nessuna di queste doti sia fine a se stessa ma come esse possano entrare a fare patte d’una
concezione del mondo, possano servire a meglio valutare virtù e vizi umani. Tutte lezioni
attuali, necessarie oggi, nell’epoca dei cervelli elettronici e dei voli spaziali. È un’energia volta
verso l’avvenire, ne sono sicuro, no verso il passato, quello che muove Orlando, Angelica,
Ruggero, Bradamante, Astolfo.”
2. Carlo Goldoni, La locandiera, Atto III, Scena ultima
Il Servitore del Cavaliere e detti.
SERVITORE: Signora padrona, prima di partire son venuto a riverirvi.
MIRANDOLINA: Andate via?
SERVITORE: Sì. Il padrone va alla Posta1. Fa attaccare: mi aspetta colla roba, e ce ne andiamo a
Livorno.
MIRANDOLINA: Compatite, se non vi ho fatto...
SERVITORE: Non ho tempo da trattenermi. Vi ringrazio, e vi riverisco. (Parte.)
MIRANDOLINA: Grazie al cielo, è partito. Mi resta qualche rimorso; certamente è partito con poco
gusto. Di questi spassi non me ne cavo mai più.
CONTE: Mirandolina, fanciulla o maritata che siate, sarò lo stesso per voi.
MARCHESE: Fate pure capitale della mia protezione.
MIRANDOLINA: Signori miei, ora che mi marito, non voglio protettori, non voglio spasimanti, non
voglio regali. Sinora mi sono divertita, e ho fatto male, e mi sono arrischiata troppo, e non lo voglio
fare mai più. Questi è mio marito...
FABRIZIO: Ma piano, signora...
MIRANDOLINA: Che piano! Che cosa c'è? Che difficoltà ci sono? Andiamo. Datemi quella mano.
FABRIZIO: Vorrei che facessimo prima i nostri patti.
MIRANDOLINA: Che patti? Il patto è questo: o dammi la mano, o vattene al tuo paese.
FABRIZIO: Vi darò la mano... ma poi...
MIRANDOLINA: Ma poi, sì, caro, sarò tutta tua; non dubitare di me ti amerò sempre, sarai l'anima
mia.
FABRIZIO: Tenete, cara, non posso più. (Le dà la mano.)
MIRANDOLINA: (Anche questa è fatta). (Da sé.)
1 Posta: stazione per il cambio di cavalli delle carrozze.
CONTE: Mirandolina, voi siete una gran donna, voi avete l'abilità di condur gli uomini dove volete.
MARCHESE: Certamente la vostra maniera obbliga infinitamente.
MIRANDOLINA: Se è vero ch'io possa sperar grazie da lor signori, una ne chiedo loro per ultimo.
CONTE: Dite pure.
MARCHESE: Parlate.
FABRIZIO: (Che cosa mai adesso domanderà?). (Da sé.)
MIRANDOLINA: Le supplico per atto di grazia, a provvedersi di un'altra locanda.
FABRIZIO: (Brava; ora vedo che la mi vuol bene). (Da sé.)
CONTE: Sì, vi capisco e vi lodo. Me ne andrò, ma dovunque io sia, assicuratevi della mia stima.
MARCHESE: Ditemi: avete voi perduta una boccettina d'oro2?
MIRANDOLINA: Sì signore.
MARCHESE: Eccola qui. L'ho ritrovata, e ve la rendo. Partirò per compiacervi, ma in ogni luogo fate
pur capitale della mia protezione.
MIRANDOLINA: Queste espressioni3 mi saran care, nei limiti della convenienza e dell'onestà.
Cambiando stato, voglio cambiar costume; e lor signori ancora profittino di quanto hanno veduto,
in vantaggio e sicurezza del loro cuore; e quando mai si trovassero in occasioni di dubitare, di
dover cedere, di dover cadere, pensino alle malizie imparate, e si ricordino della Locandiera.
1. Comprensione del testo: dopo un’attenta lettura riassumi il contenuto informativo del testo.
2. Analisi del testo
a. Quale linguaggio utilizza Goldoni?
b. Che cosa intende indicare Goldoni con la dicitura “(Da sé)”? Come definiresti i pensieri che
emergono da queste battute?
c. Che cosa intende dire Mirandolina quando afferma: «Cambiando stato, voglio cambiar
costume»?
d. Quale personalità manifesta Mirandolina? Rispondi facendo riferimento al testo.
e. La commedia si chiude con le parole di Mirandolina. Quale significato si può attribuire loro?
f. Esponi le tue osservazioni in un commento personale di sufficiente ampiezza.
2 Boccettina d’oro: la boccettina regalata dal Cavaliere a Mirandolina era finita nel paniere della biancheria e quindi, per caso, nelle mani del Marchese. 3 Espressioni: offerte.
3. Interpretazione complessiva e approfondimenti: Mirandolina, pur richiamando vagamente la
figura della servetta maliziosa4, si distingue chiaramente dalle maschere della commedia
dell’arte. Traccia un quadro della riforma goldoniana del teatro, facendo riferimento al testo.
Soffermati sulla figura di Mirandolina, riflettendo sul grado di attualità del modello di donna
che esso incarna.
3. Ugo Foscolo, Alla sera
5
10
Forse perché della fatal quïete
tu sei l’immago a me sí cara vieni,
o sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,
e quando dal nevoso aere inquïete
tenebre e lunghe all’universo meni
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme
delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.
morte
accompagnano
conduci
schiere delle preoccupazioni
per colpa delle quali egli (il tempo) con me
si consuma
1. Comprensione del testo: dopo un’attenta lettura, riassumi il contenuto informativo del testo.
2. Analisi del testo
a. Analizza gli aspetti formali del testo (rime, strofe, lessico...)
b. Individua i due principali campi semantici attorno a cui è costruita la poesia. Fai qualche
esempio.
c. Soffermati sulle numerose personificazioni.
d. Soffermati sui termini riferiti al tempo e spiega l’espressione «reo tempo».
e. Quale immagine della morte emerge da sonetto?
f. Perché i versi 8 e 9 possono essere definiti il vero centro del componimento?
4 Maschera legata all’ambiente popolare incarna il ruolo di un’avvenente servetta alle dipendenze di una nobile famiglia, astuta, vivace e ogni tanto civettuola; alcuni dei suoi comportamenti, non sempre vengono visti di buon occhio.
3. Interpretazione complessiva e approfondimenti: proponi una interpretazione complessiva del
brano, evidenziando i parallelismi tra il contenuto del testo (l’interiore lacerazione dell’io) e la
sua forma. Approfondisci il tema dell’insoddisfazione e inquietudine esistenziale in Foscolo con
opportuni riferimenti ad altre opere dell’autore.
4. Alessandro Manzoni, I promessi sposi, capitolo VIII
Tonio, allungando la mano per prender la carta, si ritirò da una parte; Gervaso, a un suo cenno,
dall’altra; e, nel mezzo, come al dividersi d’una scena5, apparvero Renzo e Lucia. Don Abbondio,
vide confusamente, poi vide chiaro, si spaventò, si stupì, s’infuriò, pensò, prese una risoluzione:
tutto questo nel tempo che Renzo mise a proferire le parole: - signor curato, in presenza di questi
testimoni, quest’è mia moglie -. Le sue labbra non erano ancora tornate al posto, che don
Abbondio, lasciando cader la carta, aveva già afferrata e alzata, con la mancina, la lucerna,
ghermito, con la diritta6, il tappeto del tavolino, e tiratolo a sé, con furia, buttando in terra libro,
carta, calamaio e polverino7; e, balzando tra la seggiola e il tavolino, s’era avvicinato a Lucia. La
poveretta, con quella sua voce soave, e allora tutta tremante, aveva appena potuto proferire: - e
questo... - che don Abbondio le aveva buttato sgarbatamente il tappeto sulla testa e sul viso, per
impedirle di pronunziare intera la formola. E subito, lasciata cader la lucerna che teneva nell’altra
mano, s’aiutò anche con quella a imbacuccarla col tappeto, che quasi la soffogava; e intanto
gridava quanto n’aveva in canna: - Perpetua! Perpetua! tradimento! aiuto! - Il lucignolo, che
moriva sul pavimento, mandava una luce languida e saltellante sopra Lucia, la quale, affatto
smarrita, non tentava neppure di svolgersi, e poteva parere una statua abbozzata in creta, sulla
quale l’artefice ha gettato un umido panno. Cessata ogni luce, don Abbondio lasciò la poveretta, e
andò cercando a tastoni l’uscio che metteva a una stanza più interna; lo trovò, entrò in quella, si
chiuse dentro, gridando tuttavia: - Perpetua! tradimento! aiuto! fuori di questa casa! fuori di
questa casa! - Nell’altra stanza, tutto era confusione: Renzo, cercando di fermare il curato, e
remando con le mani, come se facesse a mosca cieca, era arrivato all’uscio, e picchiava, gridando: -
apra, apra; non faccia schiamazzo -. Lucia chiamava Renzo, con voce fioca, e diceva, pregando: -
andiamo, andiamo, per l’amor di Dio -. Tonio, carpone8, andava spazzando con le mani il
5 Come al dividersi d’una scena: come all’aprirsi delle tende di un sipario teatrale. 6 La mancina... la diritta: la mano sinistra... la mano destra. 7 Polverino: il contenitore della sabbia utilizzata per asciugare l’inchiostro. 8 Carpone: con ginocchia e mani a terra.
pavimento, per veder di raccapezzare9 la sua ricevuta. Gervaso, spiritato, gridava e saltellava,
cercando l’uscio di scala, per uscire a salvamento.
In mezzo a questo serra serra, non possiam lasciar di fermarci un momento a fare una riflessione.
Renzo, che strepitava di notte in casa altrui, che vi s’era introdotto di soppiatto, e teneva il
padrone stesso assediato in una stanza, ha tutta l’apparenza d’un oppressore; eppure, alla fin de’
fatti, era l’oppresso. Don Abbondio, sorpreso, messo in fuga, spaventato, mentre attendeva
tranquillamente a’ fatti suoi, parrebbe la vittima; eppure, in realtà, era lui che faceva un sopruso.
Così va spesso il mondo... voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo.
1. Comprensione del testo: dopo un’attenta lettura, riassumi il contenuto informativo del testo.
2. Analisi del testo
a. Colloca l’episodio nel contesto della vicenda del romanzo.
b. Soffermati sugli aspetti formali (lingua, lessico, ecc.) del testo.
c. Analizza spazi e tempi e rifletti sulle scelte di Manzoni.
d. La lanterna che si spegne e il successivo buio assumono un valore simbolico: quale?
e. A tuo parere, anche in questo testo emerge uno dei tratti caratteristici de I promessi sposi,
cioè l’ironia? Rispondi facendo gli opportuni riferimenti testuali.
f. Quale tipo di narratore è presente ne I promessi sposi? Rispondi facendo riferimento al testo.
3. Interpretazione complessiva e approfondimenti: nella parte finale del testo emerge un tema
tipicamente manzoniano: la lotta tra oppressi ed oppressori. Delinea lo sviluppo di questa
tematica nel pensiero di Manzoni, facendo riferimento a testi a te noti. Rifletti sul valore e
sull’importanza delle scelte linguistiche di questo scrittore.
TIPOLOGIA B – SAGGIO BREVE
AMBITO ARTISTICO LETTERARIO: Il sé e l’altro da sé: il
tema del doppio
Pieter Paul Rubens, Romolo e Remo allattati dalla lupa,
1616 circa
9 Raccapezzare: recuperare, trovare.
Caravaggio, Narciso, 1600
Picasso, Ragazza allo
specchio, 1932
Bisogna innanzi tutto che sappiate qual è la natura dell’uomo e quali prove ha sofferto; perché
l’antichissima nostra natura non era come l’attuale, ma diversa. [...] la forma degli umani era un
tutto pieno: la schiena e i fianchi a cerchio, quattro bracci e quattro gambe, due volti del tutto
uguali sul collo cilindrico, e una sola testa sui due volti, rivolti in senso opposto; e così quattro
orecchie, due sessi, e tutto il resto analogamente, come è facile immaginare da quanto se detto.
[…] Possedevano forza e vigore terribili, e straordinaria superbia; e attentavano agli dèi. [...] Ma
finalmente Zeus, pensa e ripensa: «Se non erro, dice, ce l’ho l’espediente perché gli uomini, pur
continuando a esistere ma divenuti più deboli, smettano questa tracotanza. Ora li taglierò in due e
così saranno più deboli, e nello stesso tempo più utili a noi per via che saranno aumentati di
numero.» [...] Ecco dunque da quanto tempo l’amore reciproco è connaturato negli uomini: esso
ci restaura l’antico nostro essere perché tenta di fare di due una creatura sola e di risanare così la
natura umana. Ognuno di noi è dunque la metà di un umano resecato a mezzo come al modo delle
sogliole: due pezzi da uno solo; e però sempre è in cerca della propria metà.
Platone, Simposio, 189d-191e
Esaminando quindi l’aspetto morale e la mia stessa persona, sono giunto a formulare la
fondamentale e originaria dualità dell’uomo. Avevo constatato che, se potevo essere in tutta
onestà ora una o l’altra delle due nature che si contendevano il campo della mia coscienza, ciò era
dovuto solo al fatto d’essere radicalmente l’una e l’altra. E, sin dall’inizio, molto prima che lo
sviluppo delle mie scoperte scientifiche mi facesse intravedere la concreta possibilità di un simile
miracolo, presi ad accarezzare, come si accarezza un prediletto sogno a occhi aperti, l’idea di
separare queste due componenti. Se, mi dicevo, potessi isolarle ciascuno in una identità separata
e distinta, la vita sarebbe alleggerita di quanto ha di più intollerabile: l’uomo ingiusto se ne
andrebbe per la sua strada, affrancato dalle aspirazioni e dai rimorsi del suo integerrimo gemello;
mentre l’uomo giusto potrebbe procedere dritto e sicuro lungo il suo eletto cammino, facendo il
bene di cui si compiace senza essere più esposto alla vergogna e al pentimento di un compagno
malvagio, a lui estraneo. Non è forse questa la maledizione del genere umano: che, aggrovigliati in
un incongruo legame, due esseri agli antipodi siano costretti a combattersi in eterno nel grembo
straziato di una medesima coscienza? Come dissociarli, allora?
Robert Louis Stevenson, Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hide, 1886
Nel dormiveglia ricordo che il mio testo asserisce che con questo sistema si può arrivare a
ricordare la prima infanzia, quella in fasce. Subito vedo un bambino in fasce, ma perché dovrei
essere io quello? Non mi somiglia affatto e credo sia invece quello nato poche settimane or sono a
mia cognata e che ci fu fatto vedere quale miracolo perché ha le mani tanto piccole e gli occhi
tanto grandi. Povero bambino! Altro che ricordare la mia infanzia! Io non trovo neppure la via di
avvisare te, che vivi ora la tua, dell’importanza di ricordarla a vantaggio della tua intelligenza e
della tua salute. Quando arriverai a sapere che sarebbe bene tu sapessi mandare a mente la tua
vita, anche quella tanta parte di essa che ti ripugnerà?
Italo Svevo, La coscienza di Zeno, 1923
AMBITO SOCIO-ECONOMICO: Essere o apparire?
Noi esistiamo perché gli altri ci vedono, ci conoscono, ci prendono in considerazione. Il bambino fa
i capricci per “esistere” agli occhi dei genitori. Preferisce prendere sgridate e botte anziché essere
ignorato. [...] Per questo ogni persona vuole essere riconosciuta. Ogni persona che ti saluta
potenzia il tuo essere. Il politico famoso e il divo noti dappertutto sembrano addirittura più veri.
Tutti hanno bisogno dell’apprezzamento dell’altro. Anche il genio. Nel film Amadeus, Mozart si
vanta della sua bravura, la ostenta. Sa di essere il più grande musicista vivente. Sa che cosa vale,
eppure ha continuamente bisogno di conferma. Il più grande dei cantanti, il maggiore dei registi, il
più noto fra gli scrittori, ogni volta che esce una sua nuova opera ha il batticuore. Ogni volta la sua
sicurezza interiore va alla ricerca di riconoscimenti per darsela, per convincersi di avere meriti.
Questo desiderio di valere mediante l’apparire è la vanità. Alcuni cercano la vicinanza delle
celebrità, altri fanno collezione di titoli, medaglie, cariche. Oggi la gente dispone di una scorciatoia:
la televisione. Apparendo in televisione diventi istantaneamente noto a tutti, viene riconosciuto da
tutti. Moltissimi, perciò, fanno di tutto per andarvi.
Francesco Alberoni, Il senso di vertigine dell’apparire per essere (forse), «Corriere della Sera», 19 maggio 2003
Nella società moderna, il conseguimento di identità nella sua dimensione individuale e collettiva
non può prescindere dal riferimento all’aspetto e, quindi, all’immagine che il soggetto produce,
per una presentazione di sé agli altri, che viene utilizzando le diverse modalità di comunicazione e,
soprattutto, quella non verbale. Le forme attraverso le quali i giovani manifestano appartenenze,
ideali, progetti si esprimono principalmente attraverso abbigliamenti, oggetti, simboli.
Rosa Rinaldi, Operai nel tempo dell’individuazione: tra fine dell’appartenenza e nuove forme di costruzione delle
biografie, in Cecilia Cristofori (a cura di), Operai senza classe, Franco Angeli, 2009
Per Codeluppi, infatti, gli ultimi due secoli trascorsi si sono caratterizzati con la progressiva
spettacolarizzazione dei principali ambiti della società: gli affetti, la sessualità, la cura del corpo,
l’attività sportiva, i media, il tempo libero, i luoghi del consumo, gli spazi urbani e persino le
pratiche relative alla morte. Sin dal Settecento – osserva questo sociologo – con la comparsa delle
vetrine, che mettevano in scena oggetti in precedenza inerti e passivi, l’individuo si è trovato, per
la prima volta, da solo d fronte alle merci e ha dovuto imparare ad interpretare il loro linguaggio
senza l’aiuto del venditore. Ha dovuto, cioè, abituarsi a leggere la comunicazione visiva, ma anche
ad affrontare la vita in solitudine, nella nuova condizione sociale imposta dall’urbanizzazione e
dalla modernità. Con il risultato che tutto oggi viene trasformato in fenomeno da «esporre in
vetrina». Tanto che per gli individui la vetrinizzazione sembra diventare sempre più una sorta di
obbligo sociale inevitabile.
Giuseppe Scidà, Legame sociale, spazio ed economia, Franco Angeli, 2007
«Solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze». Oscar Wilde lo sosteneva con ironia,
sbeffeggiando i benpensanti e il luogo comune dell’abito che non fa il monaco, riaffermando il
criterio che la forma è sostanza. Ma non aveva torto: il mondo ci percepisce, ci considera e ci
giudica da come ci muoviamo, parliamo, agitiamo le mani, sbattiamo gli occhi, da come ci
vestiamo, arrossiamo o balbettiamo. Le apparenze sono il fondamento di quel che sappiamo degli
altri e di ciò che gli altri sanno di noi; sono il medium della comunicazione e la sostanza del mondo
condiviso. Questione serissima dunque, benché svalutata da una certa tradizione “romantica”, che
ha considerato il mondo delle apparenze come una realtà inferiore, relegata in un’area di indagine
subordinata, regno del futile e del vano, dell’artificio e dell’ingannevole opposto al regno
dell’essere sincero, trasparente e autentico. Un velo che maschera la sostanza del reale o
addirittura una patologia della modernità, l’alienazione implicita nella società dello spettacolo in
cui la manipolazione e la menzogna oscurano la realtà autentica dei soggetti. [...] «Le apparenze
contano, e tutti lo sappiamo – spiega la filosofa [Barbara Carnevali] – perché tutti comunichiamo
tramite apparenze, esprimendo e rappresentando ciò che siamo nello spazio pubblico e
interpretando l’immagine che gli altri a loro volta vi disegnano. L’errore romantico non è tanto
quello di aspirare alla sincerità e alla autenticità, quanto pensare che per raggiungere questi valori
si possa cancellare o aggirare la mediazione estetica dell’apparire nei rapporti sociali. Solo avendo
compreso e accettato questo si potrà pensare alla possibilità di un uso più autentico, più onesto e
intimo delle apparenze».
Rossana Sisti, La società dell’apparenza non inganna, www.avvenire.it, 25 ottobre 2012
AMBITO STORICO-POLITICO: Totalitarismo e mezzi di comunicazione di massa
Durante questo mio attento studio di tutti gli avvenimenti politici, l'attività della propaganda mi
aveva sempre fortemente interessato. […] Essa è un mezzo; va quindi giudicata in funzione dello
scopo. La sua forma deve servire a questo, e gli si deve adattare completamente. […] L'arte della
propaganda si rivolge esclusivamente a far nascere una generale convinzione della realtà di un
fatto, della inevitabilità di un avvenimento, della giustezza di qualcosa di fatale. E dacché essa non
è necessità in se stessa — ne può esserlo che il suo compito consiste, come pel manifesto,
nell'attirare l'attenzione della massa, e non nell'istruire coloro che già son saputi o ancora cercano
istruzione e conoscenza — così i suoi effetti devono sempre essere rivolti al sentimento, e solo
limitatamente alla cosiddetta ragione. […] Allo stesso modo una propaganda, per geniale che sia
nei suoi componenti, non condurrà a un successo sicuro se essa non accentuerà sempre lo stesso
tema fondamentale. Bisogna limitarsi a poche cose, ma queste vanno ripetute continuamente.
L'ostinazione è, anche qui come quasi sempre nel mondo, la più importante premessa del
successo. […] Qualsiasi propaganda, commerciale e politica trova il suo successo nella durata e
nell'uniformità della sua applicazione.
Adolf Hitler, La mia vita, Bompiani, 1941
A scuola, prima alle elementari e poi anche alle medie, furono adottati testi unici, le biblioteche
passate al setaccio ed epurate. “Ma in un’Italia semianalfabeta” spiega Mimmo Franzinelli,
studioso dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione “libri e giornali erano
appannaggio di un’élite. Per arrivare a tutti il regime dovette inventare nuove forme di pubblicità”.
E così, in stampatello e a caratteri cubitali, fin nelle più piccole località, sui muri e lungo le strade,
comparvero decine di slogan. Lapidari e comprensibili a tutti, dovevano entrare nelle teste della
gente, anche in quelle più dure. Ma la vera arma segreta fu la radio, sperimentata in Italia tra il ’22
e il ’24. Mussolini ne intuì le potenzialità e la utilizzò per fare un altro dei suoi gol: grazie alla
radiofonia e agli altoparlanti installati nelle piazze italiane, mobilitò per anni, un sabato dopo
l’altro, milioni di uomini e donne, schierati in adunata. Il messaggio era chiaro: “Insieme siamo
forti”. Cose del genere, in Occidente, non si erano mai viste: la politica imposta con tecniche
commerciali. Eppure, proprio dalla radio Mussolini ricevette lo schiaffo più doloroso. Dalla fine del
’39, quando gli abbonati erano diventati, dai 40 mila del 1927, circa un milione, i rapporti
dell’Ovra, la polizia segreta, segnalarono l’intensificarsi dell’ascolto di emittenti estere in lingua
italiana, naturalmente ostili al duce. Prima fra tutte, Radio Londra.
Michele Scozzai e Aldo Carioli, La macchina del consenso, «Focus Storia», n.3, 2005
L'uomo era dotato di una memoria prodigiosa, di una rapida intuizione del carattere degli uomini e
dei tratti salienti di un problema. Prima di altri comprese l'importanza dei nuovi mezzi di
comunicazione di massa che molti bolscevichi, immersi nella cultura libresca propria
dell'intelligencija, neanche sospettavano. Seppe utilizzare il cinema, la radio, la propaganda come
nessuno dei suoi rivali politici avrebbe potuto o voluto fare. Forse comprese — sicuramente
presentì — che cosa significava lo sviluppo della società di massa. […] L'insieme del sistema si è
diretto verso un accentramento sempre più forte, fino a lasciare come elemento stabile solo il
capo, idolatrato, di fronte alle masse informi e solitarie. II culto della personalità di Stalin,
eccessivo e orientalizzante, era il coronamento necessario di questo potere solitario, sprovvisto di
ogni controllo e di ogni contrappeso.
Alessandro Mongili, Stalin e l’impero sovietico, Giunti, 1995
Come la dittatura di Suharto, questi signori della guerra sono i nostri amici ufficiali, mentre i
talebani erano i nostri nemici ufficiali. La distinzione è importante, perché le vittime dei nostri
nemici ufficiali sono degne di considerazione e preoccupazione, mentre quelle dei nostri amici
ufficiali non lo sono. Questo è il principio mediante cui i regimi totalitari gestiscono la loro
propaganda interna. E tale è la maniera in cui le democrazie occidentali, inclusa l'Australia,
gestiscono la loro. La differenza è che, nelle società totalitarie, la gente sa che i loro governi
mentono: che i loro giornalisti sono meri funzionari, che i loro accademici sono complici. Tali
persone imparano a comportarsi di conseguenza, imparano a leggere tra le righe, possono contare
su una fiorente clandestinità. I loro scrittori e poeti scrivono in codice, come succedeva in Polonia
ed in Cecoslovacchia durante la guerra fredda. Un amico cecoslovacco, un novellista, mi disse: "Voi
in occidente siete svantaggiati. Avete il vostro mito della libertà d'informazione e, dunque, non vi
esercitate a leggere tra le righe. Un giorno, ciò vi servirà".
John Pilger, Nella "guerra al terrorismo", potere, propaganda e coscienza, 12 gennaio 2004,
www.arabcomint.com
AMBITO TECNICO-SCIENTIFICO: L’informazione nell’era di Internet
Quando cominciai a trafficare con il programma che avrebbe poi fatto nascere l'idea del World
Wide Web, lo chiamai Enquire, da Enquire Within upon Everything, "entrate pure per avere
informazioni su ogni argomento", un ammuffito volumone di consigli pratici di epoca vittoriana
che avevo sfogliato da bambino a casa dei miei genitori, alle porte di Londra. Quel libro dal titolo
che sapeva di magia era un portale su un intero universo di informazioni, a proposito di qualsiasi
argomento, da come smacchiare i vestiti ai consigli su come investire i propri risparmi. Forse non
sarà la perfetta analogia con il Web, ma può servire come rudimentale punto di partenza.
Tim Berners-Lee, L’architettura del nuovo Web, Feltrinelli, 2001
L'idea che capire e sapere significhino entrare in profondità in ciò che studiamo, fino raggiungerne
l'essenza, è una bella idea che sta morendo: la sostituisce l'istintiva convinzione che l'essenza delle
cose non sia un punto ma una traiettoria, non sia nascosta in profondità ma dispersa in superficie,
non dimori dentro le cose, ma si snodi fuori da esse, dove realmente incominciano, cioè ovunque.
In un paesaggio del genere, il gesto di conoscere dev'essere qualcosa di affine al solcare
velocemente lo scibile umano, ricomponendo le traiettorie sparse che chiamiamo idee, o fatti, o
persone. Nel mondo della rete, a quel gesto hanno dato un nome preciso: surfing (coniato nel
1993, non prima, preso in prestito da quelli che cavalcano le onde su una tavola; di solito scopano
molto). La vedete la leggerezza del cervello che sta in bilico sulla schiuma delle onde? Navigare in
rete, diciamo noi italiani. Mai nomi furono più precisi. Superficie al posto di profondità, viaggi al
posto di immersioni, gioco al posto di sofferenza.
Alessandro Baricco, I barbari, Feltrinelli, 2006
Si allunga la serie di trappole riuscite: dai giornali britannici che il giorno della morte del
compositore Maurice Jarre copiarono da Wikipedia una «sua» frase inventata da uno studente
irlandese, a Bernard-Henri Lévy, che ha citato in un libro l’inesistente filosofo Botul, al falso sito
del leader serbo-bosniaco Karadzic nei panni di un guru new age, a Bruce Toussaint, conduttore
della rete tv francese Canal+, che nel febbraio scorso diede con tono grave la notizia — inventata,
ma lui non lo sapeva — che la Romania aveva sbagliato di qualche migliaio di chilometri l’invio di
truppe in aiuto ai terremotati, per colpa di una T di troppo: Tahiti invece che Haiti.
Stefano Montefiori, La gaffe di Ségolène Royal: cita un personaggio inventato su Wikipedia, www.corriere.it, 12
giugno 2010
Il problema della navigazione nel cyber-spazio si presenta come navigazione dell'arca nel diluvio
informazionale. È bene esserne coscienti. Non potremo usare validamente tutti questi sistemi se
non avremo degli strumenti per orientarci e filtrare l'informazione. Ma ce ne sono sempre di più, e
questo è molto importante. In secondo luogo credo che il rapporto con il sapere sia
completamente cambiato: viviamo in un'epoca in cui una persona, un piccolo gruppo, non può più
controllare l'insieme delle conoscenze e farne un tutto organico. È divenuto impossibile anche per
un gruppo umano importante. [...] Il Word Wide Web non è soltanto una enorme massa di
informazione, è l'articolazione di migliaia di punti di vista diversi.
Pierre Lévy, L’intelligenza collettiva, www.mediamenterai.it, 4 settembre 1995
Secondo una ricerca commissionata dall’azienda britannica Dr. Beckmann, meno di un nonno su
quattro (dei 1.500 interpellati) si sente rivolgere domande o consigli su lavoretti in casa. Per
esempio: come lavare un certo indumento, come cucinare un dolce o attaccare un bottone. O su
attività più creative, come il disegno, la lettura e imparare a suonare uno strumento. Dopotutto
c’è Wikipedia, alla quale affidarsi per avere un’informazione in meno di trenta secondi. E poi c’è
YouTube che insegna praticamente tutto, passo passo, con i video tutorial. Oppure le chat dei
social network dove esprimere dubbi e condividere preoccupazioni. Luoghi virtuali in cui rifugiarsi
che sono diventati come l’abbraccio dei nonni (e spesso anche dei genitori). Solo un terzo degli
anziani interrogati si è sentito chiedere come era la sua vita quando era giovane. Come si divertiva,
a che cosa giocava, come si comportava con mamma e papà. Racconti preziosi, che sono come una
lezione di storia. Il 96% degli interpellati sostiene che quando era bambino pose molte più
domande al nonno rispetto ai nipoti di oggi.
Deborah Ameri, Google, YouTube, Wikipedia: il web manda i nonni di nuovo in pensione, www.ilmessaggero.it, 4
marzo 2013
TIPOLOGIA D – TEMA DI ORDINE GENERALE
1. «Certo dovremo ancora per lungo tempo confrontarci con la criminalità organizzata di stampo
mafioso. Per lungo tempo, non per l’eternità: perché la mafia è un fenomeno umano e come tutti i
fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine.» (Giovanni
Falcone 2004). Rifletti sull’affermazione di Giovanni Falcone e discuti problemi, sfide e prospettive
della lotta alla criminalità organizzata.
2. «Un analfabeta che muore a 70 anni ha vissuto una sola vita di 70 anni. Io di anni ne ho vissuti 5
mila. Ero presente quando Caino ha ammazzato Abele e quando Giulio Cesare è stato ucciso, e
anche alla battaglia delle Termopili e quando Leopardi guardava l’infinito. La lettura ti dà
l’immortalità, all’indietro. Scrivere è invece una scommessa nell’immortalità in avanti, ma senza
garanzia.» (Umberto Eco). Discuti l’affermazione indagando i rapporti tra uomo, letteratura e
tempo.
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