Download - CASTELNUOVO DON BOSCO La terra natia dei santi sociali ......16 martedË 12 maggio 2020 TO TO martedË 12 maggio 2020 175 IERI&OGGI P er gli amanti delle coincidenze, il tranquillo

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    IERI&OGGI

    P er gli amanti delle coincidenze, iltranquillo comune di CastelnuovoDon Bosco ne presenta ben cinque.È risaputo che questo paese di circatremila anime non lontano da Chieri fu lapatria di san Giovanni Bosco, il fondatoredei salesiani; ma non solo: qui nacqueroanche san Giuseppe Cafasso, il celebre“santo degli impiccati”, ed il beato Giu-seppe Allamano, fondatore dei missiona-ri della Consolata. Poco lontano nacquesan Domenico Savio, che morì in frazio-ne Mondonio di Castelnuovo ancora inetà giovanile. Ed a Capriglio, il paeselimitrofo, nacque Margherita Occhiena,madre di don Bosco, che visse lungamen-te a Castelnuovo. Insomma: in uno spaziogeograficamente ristretto, a distanza diuna manciata di chilometri, sono natialcuni dei più amati santi piemontesi.Come se queste colline dell’Alto Astigia-no, tra i boschi, le vigne e i frutteti,avessero qualcosa che attrae la santità.A partire dagli anni Venti, per celebrarela grandezza di don Bosco, i salesianiacquistarono i terreni della località Bec-chi, luogo dove il loro santo fondatorevisse fino ai 12 anni. La sua casa è stataconservata e trasformata in un museo, nelquale il visitatore può scoprire l’umilevita dei contadini di inizio Ottocento.Giovannino Bosco in questa semplicecascina, la più povera della borgata, ebbe- all'età di nove anni - il sogno che eglistesso definì profetico, e che lo spinse poial sacerdozio.Fino agli anni Cinquanta, I Becchi diCastelnuovo si presentavano sostanzial-mente come li aveva lasciati don Bosco.Poi, nel 1961, iniziarono i lavori dicostruzione di una basilica imponente,sconfinata, un tempio di immani dimen-sioni che sovrasta la collina e che èdiventato uno dei simboli del Piemontenel mondo. La basilica di don Bosco,visitata ogni anno da migliaia di pellegri-ni da ogni angolo del globo, è un veromonumento alla grandezza del santo diValdocco. Per erigerla ci vollero cinqueanni: fu completata nel 1966. Si presentacome una basilica di antica memoria, diforme classiche. Tale sconfinato edificio,posto sulla sommità di una collina dolce,ha suscitato talora accese critiche, inquanto non si integrerebbe molto benecon il paesaggio circostante. In realtà,vanno ringraziati gli architetti di allorache eressero una chiesa a forma di chiesa,senza cedere alle tentazioni modernisteben più impattanti tutt’ora in voga. Unaeccezionale scalinata conduce al tempio,contornato da due solenni campanili cheslanciano la struttura verso il cielo. Inquella che papa Benedetto XVI elevò algrado di basilica minore sono conservatedue importanti reliquie: il cervello didon Bosco e un osso di san DomenicoSavio.Diciamola tutta: oggi facciamo fatica acomprendere l’importanza delle reliquie;eppure, i ladri dimostrano di apprezzarle(eccome!): la reliquia di san GiovanniBosco è stata rocambolescamente trafu-gata il 2 giugno 2017 e recuperata aseguito di intense indagini dai carabinie-ri. La reliquia è stata restituita il 16 agostosuccessivo alla presenza del Rettor Mag-giore dei Salesiani.

    Giorgio Enrico Cavallo

    Ieri&Oggi è stato realizzato grazie al fondamentale contributo dell’Ur -ban Center Metropolitano, l’associazione autonoma nata per accompa-gnare i processi di trasformazione di Torino e dell’area metropolitana,e dell’Archivio Storico della Città di Torino, che conserva la memoriadi nove secoli di storia torinese. L’Urban Center Metropolitano si trovain piazza Palazzo di Città 8/F, telefono 011.553 7950. L’Archivio Storicosi trova invece in via Barbaroux 32, telefono 011.01131811

    CASTELNUOVO DON BOSCOLa terra natia dei santi socialisulle colline tra Asti e Torino

    Un nome, una strada PIAZZA BOZZOLO

    Tra il mercato e il capolinea dei tramCamillo Bozzolo (1845-1920) èstato il fondatore della ScuolaEmatologica Torinese, uno stu-dioso del mieloma multiplo e loscopritore della malattia diKahler-Bozzolo e la “malattia delminatore del San Gottardo”, det-ta anche “l’anemia del minato-re”. Fu anche senatore del Regnod’Italia della XXIII legislatura. Alui Torino dedica la piazza ove sisvolge il mercato di corso Spe-zia. Il lato occidentale dellapiazza fu edificato ad inizioNovecento, mentre la parteorientale fu eretta successiva-

    mente; negli anni ’20, corso Spe-zia terminava qui, con l’unicaeccezione delle case popolariall’angolo con via Centallo. Nel-le mappe fino agli anni ’30 nonera indicato il nome della piaz-za, il che significa che forsel’intitolazione è avvenuta in se-guito. Si nota che in piazzaattestava il capolinea della linea2. Non è un caso: proprio inpiazza Bozzolo si trovava la sededella Satip (Società AnonimaTranvie Interprovinciali Pie-montesi), colpita dal bombarda-mento del 3 gennaio 1944.

    Non è un modo di dire oggi molto utilizzato, ma un tempo lo era al punto da esseretrovato anche nei giornali popolari. Perché si invitava il disgraziato di turno ad andare afarsi impiccare a Torino? Perché la forca, nell’antico Regno di Sardegna, era prevalente-mente collocata nella capitale. Solo in alcuni, rarissimi casi essa veniva montata in altripaesi. Il motivo è sempre lo stesso: il denaro. Allestire la forca “in trasferta” significavapagare lo spostamento del capestro e soprattutto delle guardie, del boia e dei suoiassistenti. Un costo notevole! La forca si spostava soltanto nei casi eclatanti, comel’impiccagione del bandito roerino Francesco Delpero, avvenuta a Bra, o quella del killerGiorgio Orsolano, noto come la “Jena di San Giorgio”, avvenuta nel suo paese natale.

    In via Millio, 66 una targa ricorda un giovane studente, Emanuele Iurilli,ucciso durante un conflitto a fuoco nel cuore degli Anni di Piombo. Qui,un tempo, c’era una bottiglieria. Alle ore 14.20 del 9 marzo 1979 uncommando prese possesso del locale. I terroristi - Bruno La Ronga,Maurice Bignami, Fabrizio Giai e Carlo Scotoni - fecero evacuare labottigliera e chiamarono la polizia: il loro obiettivo era quello divendicare l’uccisione di due militanti di Prima Linea avvenuta al bardell’Angelo di piazza Stampalia, pochi giorni prima. Nello scontro, unproiettile colpì a morte Emanuele Iurilli, giovane studente di 18 anni,residente in via Millio 64, proprio sopra la bottiglieria, che stava tornandoa casa dalla scuola. Gli agenti intervenuti, invece, riuscirono a salvarsi.

    Va a fete ampiché a Turin!Vai al diavolo!

    Il detto TORINESE La targa EMANUELE IURILLI

    1) La basilica di don Bosco,visitata ogni anno da mi-gliaia di pellegrini da ogniangolo del globo, è un veromonumento alla grandezzadel santo di Valdocco 2) Inuno spazio geograficamenteristretto, a distanza di unamanciata di chilometri, sononati alcuni dei più amati san-ti piemontesi 3) La sua casa èstata conservata e trasforma-ta in un museo 4) A partiredagli anni Venti, i salesianiacquistarono i terreni dellalocalità Becchi, luogo dove illoro santo fondatore visse fi-no ai 12 anni 5) Per erigere labasilica ci vollero cinque an-ni: fu completata nel 1966

    RINGRAZIAMENTI

    (Torino, 9 maggio 1960- Torino, 9 marzo 1979)Responsabile Paolo Varetto

    La locanda idealmente antesignana del San Giòrs esisteva nel borgo del Pallone,l’attuale Balòn, già nel 1481. Il palazzo dove sorge l’attuale ristorante è invece del1820, e il locale venne ribattezzato “Ponte Dora”. Oggi l’albergo-ristorante San Giòrsdi via Borgo Dora 3 è un piccolo album dei ricordi della vecchia Torino e di PortaPalazzo. A cominciare dalla cucina: è forse l’unico locale ancora sprovvisto dicongelatore, perché nessun cibo è surgelato

    Entrare al suo interno significa fare unsalto indietro nel tempo di almeno mezzosecolo. E non soltanto per l’arredamento:l’albergo-ristorante San Giòrs di via BorgoDora 3 è un piccolo album dei ricordi dellavecchia Torino e di Porta Palazzo. A co-minciare dalla cucina: è forse l’unico loca-le ancora sprovvisto di congelatore, per-ché nessun cibo è surgelato. Il vecchioPiemonte lo trovate anche nel piatto: vinie prodotti sono del territorio. Una ridottadella piemontesità in un quartiere domi-nato dalle macellerie halal. Era necessariorestare nel solco della tradizione, per sal-vare il San Giòrs dall’oblio: questo, infatti,è uno dei più antichi alberghi-ristoranti diTorino. Nel borgo del Pallone un “oberge”che portava il suo nome esisteva già nel1481. Il palazzo dove sorge l’attuale risto-rante è invece del 1820, e il locale venneribattezzato “Ponte Dora”. Fino agli anni’50, qui venivano a pranzare gli attori, deiquali era il luogo di ritrovo preferito. Oggiè punto di riferimento anche degli scritto-ri, complice anche la vicinanza dellascuola Holden.E dire che tutto questo poteva scomparire:Giancarlo Cristiani, l’attuale proprietario,racconta che per lunghi anni il San Giòrs èrimasto chiuso, ed era in condizioni pieto-se. «No, il San Giòrs non poteva restare

    così - spiega Cristiani, che con MariolaDemeglio nel 2011 ha riscattato il localeed ha iniziato la sua trasformazione -.Abbiamo riportato tutto com’era. Abbia-mo anche salvato la vecchia insegna». Unlavoro che non sarebbe stato possibile,senza la loro energia e senza il loro entu-siasmo. Le camere sono state innovate,arredate in chiave moderna, dal pop all’ar -te concettuale; oltre alle “camere d’arti -sta”, nel locale è presente una bella colle-zione di opere di design, che danno unpiacevole tocco di modernità. Un lavoroormai ripagato: oggi il San Giòrs è ancheannoverato tra i locali storici d’Italia.

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    È stato il fondatore dell’ospedale tori-nese San Lazzaro e dell’Oftalmico, mala sua tomba, al cimitero Monumenta-le di Torino, è dimenticata, con lelettere sbiadite dal tempo. CasimiroSperino è stato uno dei grandi medicidel suo tempo: nato a Scarnafigi nel1812, figlio di un notaio, si era laurea-to in medicina nel 1832 e in chirurgianel 1834. Si prodigò insieme al medi-co Michele Griffa, di cui era assisten-te, per curare i malati di colera duran-te la terribile epidemia del 1835. ReCarlo Alberto lo nominò dottore nelCollegio Medico, ma Sperino - nonritenendosi all’altezza - domandò chela nomina fosse convertita in una borsa di studio per approfondire le sue conoscenzeall’estero. Dopo aver visitato i più avanzati paesi d’Europa, resosi conto del forte divariocon il Piemonte, decise di intervenire costruendo a sue spese un clinica in contradaVanchiglia per la cura degli occhi: era la nascita dell’Oftalmico. La clinica si spostò piùvolte, prima in via San Donato e poi nell’attuale sede di via Juvarra. Nel 1846, divenutoda tempo primario, Sperino fu tra i fondatori dell’Accademia di Medicina. Si interessòalla sifilide, cercando una cura, e fu tra i promotori della costruzione del nuovo ospedaleSan Lazzaro. Fu infine presidente della Facoltà Medica di Torino dal 1877 al 1887.

    (Scarnafigi, 31 agosto 1812-Torino, 12 febbraio 1894)

    Memorie di pietra CASIMIRO SPERINO

    Un angolo del vecchio Palloneper una storia iniziata nel 1820

    Il negozio storico RISTORANTE SAN GIORS

    A cura e con il Patrocinio della

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    Testi di Giorgio Enrico Cavallo

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    IERI&OGGI

    P er gli amanti delle coincidenze, iltranquillo comune di CastelnuovoDon Bosco ne presenta ben cinque.È risaputo che questo paese di circatremila anime non lontano da Chieri fu lapatria di san Giovanni Bosco, il fondatoredei salesiani; ma non solo: qui nacqueroanche san Giuseppe Cafasso, il celebre“santo degli impiccati”, ed il beato Giu-seppe Allamano, fondatore dei missiona-ri della Consolata. Poco lontano nacquesan Domenico Savio, che morì in frazio-ne Mondonio di Castelnuovo ancora inetà giovanile. Ed a Capriglio, il paeselimitrofo, nacque Margherita Occhiena,madre di don Bosco, che visse lungamen-te a Castelnuovo. Insomma: in uno spaziogeograficamente ristretto, a distanza diuna manciata di chilometri, sono natialcuni dei più amati santi piemontesi.Come se queste colline dell’Alto Astigia-no, tra i boschi, le vigne e i frutteti,avessero qualcosa che attrae la santità.A partire dagli anni Venti, per celebrarela grandezza di don Bosco, i salesianiacquistarono i terreni della località Bec-chi, luogo dove il loro santo fondatorevisse fino ai 12 anni. La sua casa è stataconservata e trasformata in un museo, nelquale il visitatore può scoprire l’umilevita dei contadini di inizio Ottocento.Giovannino Bosco in questa semplicecascina, la più povera della borgata, ebbe- all'età di nove anni - il sogno che eglistesso definì profetico, e che lo spinse poial sacerdozio.Fino agli anni Cinquanta, I Becchi diCastelnuovo si presentavano sostanzial-mente come li aveva lasciati don Bosco.Poi, nel 1961, iniziarono i lavori dicostruzione di una basilica imponente,sconfinata, un tempio di immani dimen-sioni che sovrasta la collina e che èdiventato uno dei simboli del Piemontenel mondo. La basilica di don Bosco,visitata ogni anno da migliaia di pellegri-ni da ogni angolo del globo, è un veromonumento alla grandezza del santo diValdocco. Per erigerla ci vollero cinqueanni: fu completata nel 1966. Si presentacome una basilica di antica memoria, diforme classiche. Tale sconfinato edificio,posto sulla sommità di una collina dolce,ha suscitato talora accese critiche, inquanto non si integrerebbe molto benecon il paesaggio circostante. In realtà,vanno ringraziati gli architetti di allorache eressero una chiesa a forma di chiesa,senza cedere alle tentazioni modernisteben più impattanti tutt’ora in voga. Unaeccezionale scalinata conduce al tempio,contornato da due solenni campanili cheslanciano la struttura verso il cielo. Inquella che papa Benedetto XVI elevò algrado di basilica minore sono conservatedue importanti reliquie: il cervello didon Bosco e un osso di san DomenicoSavio.Diciamola tutta: oggi facciamo fatica acomprendere l’importanza delle reliquie;eppure, i ladri dimostrano di apprezzarle(eccome!): la reliquia di san GiovanniBosco è stata rocambolescamente trafu-gata il 2 giugno 2017 e recuperata aseguito di intense indagini dai carabinie-ri. La reliquia è stata restituita il 16 agostosuccessivo alla presenza del Rettor Mag-giore dei Salesiani.

    Giorgio Enrico Cavallo

    Ieri&Oggi è stato realizzato grazie al fondamentale contributo dell’Ur -ban Center Metropolitano, l’associazione autonoma nata per accompa-gnare i processi di trasformazione di Torino e dell’area metropolitana,e dell’Archivio Storico della Città di Torino, che conserva la memoriadi nove secoli di storia torinese. L’Urban Center Metropolitano si trovain piazza Palazzo di Città 8/F, telefono 011.553 7950. L’Archivio Storicosi trova invece in via Barbaroux 32, telefono 011.01131811

    CASTELNUOVO DON BOSCOLa terra natia dei santi socialisulle colline tra Asti e Torino

    Un nome, una strada PIAZZA BOZZOLO

    Tra il mercato e il capolinea dei tramCamillo Bozzolo (1845-1920) èstato il fondatore della ScuolaEmatologica Torinese, uno stu-dioso del mieloma multiplo e loscopritore della malattia diKahler-Bozzolo e la “malattia delminatore del San Gottardo”, det-ta anche “l’anemia del minato-re”. Fu anche senatore del Regnod’Italia della XXIII legislatura. Alui Torino dedica la piazza ove sisvolge il mercato di corso Spe-zia. Il lato occidentale dellapiazza fu edificato ad inizioNovecento, mentre la parteorientale fu eretta successiva-

    mente; negli anni ’20, corso Spe-zia terminava qui, con l’unicaeccezione delle case popolariall’angolo con via Centallo. Nel-le mappe fino agli anni ’30 nonera indicato il nome della piaz-za, il che significa che forsel’intitolazione è avvenuta in se-guito. Si nota che in piazzaattestava il capolinea della linea2. Non è un caso: proprio inpiazza Bozzolo si trovava la sededella Satip (Società AnonimaTranvie Interprovinciali Pie-montesi), colpita dal bombarda-mento del 3 gennaio 1944.

    Non è un modo di dire oggi molto utilizzato, ma un tempo lo era al punto da esseretrovato anche nei giornali popolari. Perché si invitava il disgraziato di turno ad andare afarsi impiccare a Torino? Perché la forca, nell’antico Regno di Sardegna, era prevalente-mente collocata nella capitale. Solo in alcuni, rarissimi casi essa veniva montata in altripaesi. Il motivo è sempre lo stesso: il denaro. Allestire la forca “in trasferta” significavapagare lo spostamento del capestro e soprattutto delle guardie, del boia e dei suoiassistenti. Un costo notevole! La forca si spostava soltanto nei casi eclatanti, comel’impiccagione del bandito roerino Francesco Delpero, avvenuta a Bra, o quella del killerGiorgio Orsolano, noto come la “Jena di San Giorgio”, avvenuta nel suo paese natale.

    In via Millio, 66 una targa ricorda un giovane studente, Emanuele Iurilli,ucciso durante un conflitto a fuoco nel cuore degli Anni di Piombo. Qui,un tempo, c’era una bottiglieria. Alle ore 14.20 del 9 marzo 1979 uncommando prese possesso del locale. I terroristi - Bruno La Ronga,Maurice Bignami, Fabrizio Giai e Carlo Scotoni - fecero evacuare labottigliera e chiamarono la polizia: il loro obiettivo era quello divendicare l’uccisione di due militanti di Prima Linea avvenuta al bardell’Angelo di piazza Stampalia, pochi giorni prima. Nello scontro, unproiettile colpì a morte Emanuele Iurilli, giovane studente di 18 anni,residente in via Millio 64, proprio sopra la bottiglieria, che stava tornandoa casa dalla scuola. Gli agenti intervenuti, invece, riuscirono a salvarsi.

    Va a fete ampiché a Turin!Vai al diavolo!

    Il detto TORINESE La targa EMANUELE IURILLI

    1) La basilica di don Bosco,visitata ogni anno da mi-gliaia di pellegrini da ogniangolo del globo, è un veromonumento alla grandezzadel santo di Valdocco 2) Inuno spazio geograficamenteristretto, a distanza di unamanciata di chilometri, sononati alcuni dei più amati san-ti piemontesi 3) La sua casa èstata conservata e trasforma-ta in un museo 4) A partiredagli anni Venti, i salesianiacquistarono i terreni dellalocalità Becchi, luogo dove illoro santo fondatore visse fi-no ai 12 anni 5) Per erigere labasilica ci vollero cinque an-ni: fu completata nel 1966

    RINGRAZIAMENTI

    (Torino, 9 maggio 1960- Torino, 9 marzo 1979)Responsabile Paolo Varetto

    La locanda idealmente antesignana del San Giòrs esisteva nel borgo del Pallone,l’attuale Balòn, già nel 1481. Il palazzo dove sorge l’attuale ristorante è invece del1820, e il locale venne ribattezzato “Ponte Dora”. Oggi l’albergo-ristorante San Giòrsdi via Borgo Dora 3 è un piccolo album dei ricordi della vecchia Torino e di PortaPalazzo. A cominciare dalla cucina: è forse l’unico locale ancora sprovvisto dicongelatore, perché nessun cibo è surgelato

    Entrare al suo interno significa fare unsalto indietro nel tempo di almeno mezzosecolo. E non soltanto per l’arredamento:l’albergo-ristorante San Giòrs di via BorgoDora 3 è un piccolo album dei ricordi dellavecchia Torino e di Porta Palazzo. A co-minciare dalla cucina: è forse l’unico loca-le ancora sprovvisto di congelatore, per-ché nessun cibo è surgelato. Il vecchioPiemonte lo trovate anche nel piatto: vinie prodotti sono del territorio. Una ridottadella piemontesità in un quartiere domi-nato dalle macellerie halal. Era necessariorestare nel solco della tradizione, per sal-vare il San Giòrs dall’oblio: questo, infatti,è uno dei più antichi alberghi-ristoranti diTorino. Nel borgo del Pallone un “oberge”che portava il suo nome esisteva già nel1481. Il palazzo dove sorge l’attuale risto-rante è invece del 1820, e il locale venneribattezzato “Ponte Dora”. Fino agli anni’50, qui venivano a pranzare gli attori, deiquali era il luogo di ritrovo preferito. Oggiè punto di riferimento anche degli scritto-ri, complice anche la vicinanza dellascuola Holden.E dire che tutto questo poteva scomparire:Giancarlo Cristiani, l’attuale proprietario,racconta che per lunghi anni il San Giòrs èrimasto chiuso, ed era in condizioni pieto-se. «No, il San Giòrs non poteva restare

    così - spiega Cristiani, che con MariolaDemeglio nel 2011 ha riscattato il localeed ha iniziato la sua trasformazione -.Abbiamo riportato tutto com’era. Abbia-mo anche salvato la vecchia insegna». Unlavoro che non sarebbe stato possibile,senza la loro energia e senza il loro entu-siasmo. Le camere sono state innovate,arredate in chiave moderna, dal pop all’ar -te concettuale; oltre alle “camere d’arti -sta”, nel locale è presente una bella colle-zione di opere di design, che danno unpiacevole tocco di modernità. Un lavoroormai ripagato: oggi il San Giòrs è ancheannoverato tra i locali storici d’Italia.

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    È stato il fondatore dell’ospedale tori-nese San Lazzaro e dell’Oftalmico, mala sua tomba, al cimitero Monumenta-le di Torino, è dimenticata, con lelettere sbiadite dal tempo. CasimiroSperino è stato uno dei grandi medicidel suo tempo: nato a Scarnafigi nel1812, figlio di un notaio, si era laurea-to in medicina nel 1832 e in chirurgianel 1834. Si prodigò insieme al medi-co Michele Griffa, di cui era assisten-te, per curare i malati di colera duran-te la terribile epidemia del 1835. ReCarlo Alberto lo nominò dottore nelCollegio Medico, ma Sperino - nonritenendosi all’altezza - domandò chela nomina fosse convertita in una borsa di studio per approfondire le sue conoscenzeall’estero. Dopo aver visitato i più avanzati paesi d’Europa, resosi conto del forte divariocon il Piemonte, decise di intervenire costruendo a sue spese un clinica in contradaVanchiglia per la cura degli occhi: era la nascita dell’Oftalmico. La clinica si spostò piùvolte, prima in via San Donato e poi nell’attuale sede di via Juvarra. Nel 1846, divenutoda tempo primario, Sperino fu tra i fondatori dell’Accademia di Medicina. Si interessòalla sifilide, cercando una cura, e fu tra i promotori della costruzione del nuovo ospedaleSan Lazzaro. Fu infine presidente della Facoltà Medica di Torino dal 1877 al 1887.

    (Scarnafigi, 31 agosto 1812-Torino, 12 febbraio 1894)

    Memorie di pietra CASIMIRO SPERINO

    Un angolo del vecchio Palloneper una storia iniziata nel 1820

    Il negozio storico RISTORANTE SAN GIORS

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