Sommario Parte II/1
Capitolo II: Il cammino dell’elaborazione teologica. Aspetti principali. .............................. 2 1. La dottrina patristica della semenza del Verbo. ................................................................... 2 2. Extra Ecclesiam nulla salus. ................................................................................................. 5
3. S. Tommaso. ....................................................................................................................... 12 4. La riflessione in seguito alla scoperta del Nuovo Mondo. ................................................. 15 5. Gli interventi di Pio IX (+ 1878) e di Pio XII (+1958) ...................................................... 17
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Capitolo II: Il cammino dell’elaborazione teologica. Aspetti principali.
In questa sezione cercheremo di evidenziare gli elementi più significativi della storia teologica
sul nostro argomento. Essi saranno di utilità per elaborare nel capitolo III una teologia sulla
salvezza dei pagani.
1. La dottrina patristica della semenza del Verbo.
Nel suo libro Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo1, il cardinale
Ratzinger faceva notare il ruolo avuto dalla filosofia greca nella dissoluzione dei miti dei falsi dèi, e
nell‟abolizione delle aberranti pratiche che erano spesso collegate al politeismo2. I miti,
accompagnati da culti misterici, formavano un insieme giustapposto di credenze, frequentemente
contraddittorie, incapaci di dare una risposta soddisfacente alla domande più profonde sull‟origine e
sulla natura della realtà. La filosofia pose con forza la questione della verità sull‟essere e fece così
un esame critico delle antiche religioni mostrandone l‟infondatezza. Se i dèi del politeismo erano in
conflitto tra di loro, ci si poteva chiedere chi di essi avesse ragione. Oppure nessuno aveva ragione.
Ma allora cosa erano questi dèi? Aveva un senso onorarli? Questa ricerca di verità e di senso da
parte della filosofia fu all‟origine del fatto che, prima il monoteismo giudeo e poi la religione
cristiana, entrassero in sintonia particolare con la filosofia3, fino al punto di considerare loro stessi
come la “vera filosofia”, ovvero la perfetta realizzazione di quanto l‟ideale filosofico proponeva.
Non stupisce allora che il ruolo della filosofia sia stato apprezzato dai Padri dei primi secoli
cristiani, i quali hanno lodato gli elementi di bene e di verità contenute nelle più importanti correnti
filosofiche greche. Essi vi vedevano anche un buon strumento per fare l‟apologia della religione
cristiana, la quale si trovava in sintonia con le migliori acquisizioni di questo pensiero. In questo
contesto S. Giustino riflette sulla capacità umana di conoscere il bene e la verità, e la collega al
Logos divino, fonte della perfezione del mondo. Egli si riferisce alla etica di moderazione che
praticavano gli stoici e afferma:
“Sappiamo che sono stati odiati ed uccisi anche i seguaci della dottrina stoica - come, per qualche verso,
anche i poeti - almeno quando si sono mostrati moderati nel tema dell'etica, grazie al seme del Logos che è innato
in ogni stirpe umana”4.
La moderazione etica è segno di qualche forma di presenza del Logos divino nella
creatura. Più avanti, nella stessa Apologia, parlando di Platone e degli stoici aggiunge:
“Io confesso di vantarmi e di combattere decisamente per essere trovato cristiano, non perché le dottrine di
Platone siano diverse da quelle di Cristo, ma perché non sono del tutto simili, così come quelle degli altri, Stoici e
poeti e scrittori. Ciascuno infatti, percependo in parte ciò che è congenito al Logos divino sparso nel tutto,
formulò teorie corrette; essi però, contraddicendosi su argomenti di maggior importanza, dimostrano di aver
posseduto una scienza non sicura ed una conoscenza non inconfutabile”5.
Giustino dunque considera la ragione umana come una partecipazione al Logos o un seme
deposto dallo stesso Verbo divino nella specie umana. Un seme che non è senza importanza per la
salvezza dei pagani; essi infatti non hanno avuto la rivelazione divina come Israele o come i
1 J. Ratzinger, Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2003.
2 Cf. ibid. pp. 223-244.
3 Ibid, pp. 233–238.
4 Apologia II,VIII,1.
5 Ibid, II, XIII, 2–3.
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cristiani, e tuttavia coloro che hanno saputo guidare se stessi attraverso questo lume naturale si
possono in qualche modo accomunare ai cristiani:
“ Ci è stato insegnato che Cristo è il primogenito di Dio, ed abbiamo già dimostrato che Egli è il Logos di
cui fu partecipe tutto il genere umano. E coloro che vissero secondo il Logos appartengono a Cristo, anche se
furono giudicati atei, come, tra i Greci, Socrate ed Eraclito ed altri come loro; tra i barbari, Abramo ed Anania ed
Azaria e Misaele ed altri molti, l'elenco delle cui opere e dei cui nomi ora tralasciamo, sapendo che è troppo
lungo”6.
Giustino tuttavia distingue questa appartenenza a Cristo dei filosofi pagani da quella che è
frutto del diventare cristiano per la fede in Gesù Cristo. Egli afferma infatti:
“Tutti gli scrittori, attraverso il seme innato del Logos, poterono oscuramente vedere la realtà. Ma una cosa
è un seme ed un'imitazione concessa per quanto è possibile, un'altra è la cosa in sé, di cui, per sua grazia, si hanno
la partecipazione e l'imitazione”7.
Nel contesto antignostico che caratterizza la sua riflessione, Ireneo di Lione sottolinea l’unità
del disegno divino di salvezza: creazione e salvezza, Antico e Nuovo Testamento, mondo e uomini;
tutto appartiene allo stesso progetto e disegno di Dio. C‟è una sola economia di Dio nei confronti
del genere umano, un unico piano universale che include tutto quanto. Questa economia è dominata
dalla figura del Logos, la cui missione sin dall‟inizio è quella di rivelare il Padre, ciò che Egli
realizza per mezzo dell‟Incarnazione. Infatti per Ireneo senza la conoscenza di Dio l‟uomo non può
vivere e non può raggiungere il fine per il quale è stato creato. Poiché “la gloria di Dio è l‟uomo
vivente e la vita dell‟uomo è la visione di Dio”8. Per questo motivo il Logos ha stabilito una
pluralità di economie per condurre tutti al Padre e particolarmente ha disposto quattro alleanze: una
per mezzo di Adamo, una per mezzo di Noè, una per mezzo di Mosè e una per mezzo di Cristo9.
Secondo Ireneo, Dio non ha lasciato mai l‟umanità senza una sua rivelazione attraverso il Logos.
“Gesù Cristo non è venuto soltanto per quelli che hanno creduto in lui a partire da Tiberio Cesare, né il
Padre ha esercitato la sua provvidenza solo per gli uomini di adesso, ma assolutamente per tutti gli uomini che sin
dall‟inizio, secondo la loro capacità e nella loro epoca, hanno temuto e amato Dio, si sono comportati con
giustizia e santità verso il prossimo ed hanno desiderato di vedere Cristo e di udire la sua voce”10.
“Ora il Figlio conduce tutte le cose alla perfezione dal principio alla fine servendo il Padre, e senza di lui
nessuno può conoscere Dio. Perché il Figlio è la conoscenza del Padre e la conoscenza del Figlio è rivelata dal
Padre attraverso il Figlio. Appunto per questo il Signore diceva: „Nessuno conosce il Padre tranne il Figlio né il
Figlio tranne il Padre e coloro ai quali il Figlio li rivelerà‟. La parola ‘rivelerà’ non si riferisce solo al futuro,
come se il Verbo avesse cominciato a rivelare il Padre quando nacque da Maria, ma si riferisce generalmente a
tutto il tempo. Infatti il Figlio, essendo accanto alla sua creatura fin dall‟inizio, rivela il Padre a tutti: a quelli che il
Padre vuole, quando vuole e come vuole”11.
Ireneo considera dunque un‟azione del Logos che si riversa con grande ampiezza su tutta
l‟umanità e in diversi modi, come parte di un unico piano per condurre l‟uomo a Dio. Egli tuttavia,
6 Ibid, I. 46 2–3. Ho tolto il corsivo per allinearmi alla traduzione francese di H. Donneaud, De l'usage actuel de
la doctrine des "semences du Verbe" dans la théologie catholique des religions, "Revue Thomiste", 113 (2006), 262.
7 Ibid, I, XIII, 5. A questa affermazione Giustino fa precedere un‟altra significativa: “Dunque ciò che di buono è
stato espresso da chiunque, appartiene a noi cristiani. Infatti noi adoriamo ed amiamo, dopo Dio, il Logos che è da Dio
non generato ed ineffabile, poiché Egli per noi si è fatto uomo affinché, divenuto partecipe delle nostre infermità, le
potesse anche guarire” (I, XIII, 4).
8 S. Ireneo, Adversus Haereses, IV, 20, 7.
9 Cf. Ibid., III,11,8.
10 Adversus Haereses, 4, 22, 2 (Bellini, p. 356). Il testo continua: “Perciò tutti questi, alla sua seconda venuta li
risveglierà e li farà alzare prima di tutti gli altri, cioè quelli che saranno giudicati, e li collocherà nel suo regno”.
11 Ibid, IV, 6, 7.
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come Giustino, non sembra intendere la rivelazione universale del Logos in modo strettamente
soprannaturale, ma piuttosto legata alla ragione e alla libertà umana, nucleo della condizione
creaturale d‟immagine di Dio12. In qualche modo, per mezzo di questi canali naturali Dio dà notizia
di Sé all‟uomo. Ireneo pensa l‟uomo e alla sua storia come frutto del lavoro di Dio (del Verbo e
dello Spirito che sono come le “due mani” di Dio) e delle capacità umane. Egli scrive:
“La realtà invisibile di Dio, essendo potente, offre a tutti una grande visione e percezione della sua
potentissima superiorità. Perciò, sebbene „nessuno conosca il Padre tranne il Figlio, né il Figlio tranne il Padre e
coloro ai quali il Figlio lo rivelerà‟, tuttavia tutti gli esseri conoscono questo, dal momento che la ragione innata
negli animi li muove e rivela loro che c‟è un solo Dio, Signore di tutte le cose”13.
Dell‟azione salvifica del Logos parlano anche alcuni importanti pensatori della scuola
alessandrina come Clemente e Atanasio. Clemente sottolinea l‟aspetto interiore della rivelazione di
Dio. Il Logos di Dio è il Maestro che dispensa agli uomini la vera sapienza che conduce alla
contemplazione14. Egli si serve a questo scopo da diversi strumenti, tra i quali la riflessione
elaborata da filosofi e pensatori, che Clemente considera alla stregua della Legge giudea:
“Orbene, prima della venuta del Signore la filosofia era ai Greci necessaria per giungere alla giustizia; ora
diviene utile per giungere alla religione: essa è in certo modo una propedeutica per coloro che intendono
conquistarsi la fede per via di dimostrazione razionale. „Il tuo piede‟, dice la Scrittura „non c‟è rischio che
inciampi‟: purché riconduca alla provvidenza ciò che è bene, greco o nostro che sia. Di tutte le cose buone è causa
Dio: di alcune in modo diretto, come per es. dell‟Antico e del Nuovo Testamento, di altre mediatamente, come
della filosofia. Potrebbe anche darsi che la filosofia fosse stata data ai Greci quale bene primario, avanti che il
Signore li chiamasse, poiché essa educava la grecità a Cristo, come la legge agli ebrei”15.
Assieme alla filosofia, anche le teofanie dell'Antico Testamento ebbero u ruolo importante
nella conoscenza di Dio. L‟una e l‟altra realtà costituirono una preparazione alla venuta di Cristo,
con la quale si alzò nel mondo il sole della rivelazione del Padre ed ebbe luogo la vera conoscenza
di Dio. Gesù infatti è la parusia percettibile, la discesa del Logos nella carne. In linea con la sua
visione del Logos, Clemente presenta a Cristo come maestro di conoscenza (gnosi), che ci svela gli
elevati segreti dell'aldilà, e ci apre la possibilità di arrivare alla contemplazione di Dio. Questa
soltanto è possibile quando si supera il mondo sensibile e ci si immerge nelle realtà intellettuali.
Perciò Cristo è sopratutto l'illuminatore della nostra vita, interiore a noi in quanto Logos ma anche
esteriore per la sua incarnazione; in questa doppia condizione il Logos è padre, madre, pedagogo e
nutrice. Il Verbo converte (protreptikós16), assicura la formazione morale (paidagogós17) e quella
intellettuale ed spirituale (didáskalos18)19. Tutto ciò ammette diversi livelli, ma si compie in modo
12 I temi dell‟immagine e della somiglianza divina hanno importanza in Ireneo. Cf. AH V,6,1.
13 Ibid. II,6,1.
14Non è facile farsi un idea di che cosa sia il Logos per Clemente e di in quale relazione stia col Padre e con la
creazione. Il Logos sembra essere in primo luogo la mente di Dio che contiene i suoi pensieri, ma a questo livello non
resta chiaro se Clemente lo intenda come persona diversa del Padre. In una seconda fase il Logos è una ipostasi
separata, distinta dal primo principio che rappresenta la legge immanente dell'universo o, in altri termini, l'anima del
mondo. Infine con l'Incarnazione il Logos mostra di essere il prosopon del Padre, colui che lo rende visibile per la
nostra salvezza e illuminazione. Qui stando allo studio di Lilla citato da Grillmaier al parallelismo tra i due primi stati
(interiorità in Dio/esteriorità cosmologica) corrisponde un altro tra i due secondi (immanenza al mondo/esteriorità
incarnazionale). Ad ogni modo il Logos incarnato è rivelatore del Padre, e questo sembra appuntare verso una intrinseca
natura di rivelatore e perciò verso una esistenza in Dio come diverso soltanto in rapporto alla manifestazione storica del
Padre... cf. A. Grillmeier, Gesù il Cristo nella fede della Chiesa. Dall'età apostolica al Concilio di Calcedonia, Brescia
1982, p. 339.
15 Clemente di Alessandria, Stromata I, V.
16 Persuade, è persuasivo.
17 È tutore; insegna le virtù
18 È maestro, insegna al sapienza.
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perfetto nel cristiano che, divenuto dimora del Logos per il Battesimo, viene reso del tutto simile al
Logos e a Dio.
Anche per Atanasio, il Logos, espressione perfetta del Padre, collega il Dio Creatore con
l'ordine e l‟armonia della creazione. Il Padre crea per mezzo del suo Logos, il Quale a sua volta è
fonte dell‟intelligibilità della creazione e della capacità di rendere testimonianza al Creatore:
“Dico Logos, non quello che è insito e innato in ognuna delle creature, che alcuni sono soliti definire anche
seminale, che di per sé è senza vita, ragione, intelletto, ma agisce solo per azione esterna secondo la capacità di
colui che lo ha immesso; né è parola come l'hanno gli esseri razionali, composta di sillabe ed espressa nell'aria;
ma dico il Dio vivente e operante che è proprio il Logos di Dio (...), il quale è altro rispetto alle creature e a tutta
la creazione. (...) Essendo infatti Logos buono di un Padre buono, egli ha disposto in ordine l'universo, adattando
entità fra loro contrarie e da esse ricavando una sola armonia. Lui che è potenza e sapienza di Dio fa muovere in
giro il cielo e, avendo sospeso la terra, ha reso stabile col suo potere questa che su nulla poggia. Illuminato da lui,
il sole illumina la terra, e alla luna viene misurata la sua luce. Grazie a lui l'acqua è sospesa sulle nubi, le piogge si
riversano sulla terra, il mare è contenuto nei propri limiti e la terra si ricopre e verdeggia di piante di ogni genere.
E se uno incredulo ricercasse, in merito a ciò che diciamo, se effettivamente esista il Logos di Dio, un tale sarebbe
pazzo a dubitare del Logos di Dio, e pure avrebbe da ciò che si vede la dimostrazione che tutto è venuto ad essere
per opera del Logos e della Sapienza di Dio, e che nessuna delle cose create starebbe al suo posto se non fosse
stata creata dal Logos”20.
Il Logos, Sapienza e Potenza di Dio, ha dato al mondo un grado di armonia e di perfezione che
riflette la Sua pienezza divina e che è facilmente (così pensa Atanasio) percepibile per l‟uomo.
Ovviamente ciò dovrebbe far nascere in costui sentimenti di ammirazione e di pietà verso il
Creatore.
In sintesi, nelle testimonianze di questi scrittori e Padri della Chiesa è presente l‟idea di un
influsso divino su tutta la creazione, in forza del quale l‟uomo può arrivare al Creatore e
sintonizzare la sua vita con l‟armonia e l‟ordine che Dio ha immesso nella creazione. Facendo
riferimento al Logos di Dio questi autori affermano l‟esistenza di una impronta divina sulla
creazione. L‟uomo creato ad immagine di Dio è sempre oggetto di una particolare cura del Logos,
che li conduce a traguardi di verità e di bontà e, in questo modo, li rende più simili a Lui stesso.
2. Extra Ecclesiam nulla salus.
Man mano la Chiesa post-apostolica progredisce nel suo cammino trova nuove situazioni ed
sfide da affrontare. Eresie e scismi furono tra le prime difficoltà in questo senso. Le une e gli altri
contribuirono a sviluppare il senso dell‟unità della Chiesa ed a elaborare criteri per garantire questa
unità, sì da distinguere la vera dottrina dall‟errore, e la vera Chiesa di Cristo dalle sette. Ireneo di
Lione fu uno dei pionieri sotto questo aspetto21. Fu in questo contesto che si elaborò il lemma
“extra Ecclesiam nulla salus”. La origine viene fatta risalire a S. Cipriano (200–253), benché in lui
non si trovi la formulazione precisa:
“Chi si allontana dalla Chiesa si unisce a una donna corrotta; viene privato di quanto la Chiesa promette e
non giungerà alla ricompensa di Cristo chi abbandona la sua Chiesa: è un estraneo, un profano, un nemico. Non
può più avere Dio come padre chi non ha la Chiesa come madre. Se si fosse potuto salvare chi era fuori dall‟arca
di Noè si salverebbe anche chi è fuori della Chiesa. Il Signore avverte: Chi non è con me è contro di me, e chi non
raccoglie con me disperde. Chi spezza la pace e la concordia di Cristo, agisce contro Cristo; chi raccoglie altrove
in contrasto con la Chiesa, disperde e divide la Chiesa di Cristo. Dice il Signore: Io ed il Padre siamo una cosa
19 Cf. l' Introduzione di H-I Marrou al Pedagogo in SC 70.
20 St. ATHANASIUS, Oratio contra gentes, 40, 1. (Trad. ital. in Il Cristo. 2: Testi teologici e spirituali in lingua
greca dal IV al VII secolo, (a cura di M. Simonetti), Arnaldo Mondadori, Milano 1986, p. 49).
21 Lo ha mostrato con grande acume M.-J. Le Guillou nel suo libro Il mistero del Padre (Jaca Book, Milano
1979).
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sola; e, ancora, è scritto del Padre, del Figlio e dello Spirito santo: E i tre sono una cosa sola. E qualcuno crede
che questa unità, che deriva dalla divina potenza, ed è resa salda dai sacramenti celesti, possa essere spezzata nella
Chiesa per la separazione di volontà contrastanti? Chi non mantiene tale unità non mantiene la legge di Dio, non
mantiene la fede del Padre e del Figlio, non mantiene la vita e la salvezza”.22
Con Cipriano si è ancora in tempi di persecuzione per la Chiesa, ma dopo la pace costantiniana
del 313 e l‟espansione dell‟evangelizzazione che seguì, cominciò a delinearsi una situazione in cui
si riteneva che la maggioranza delle popolazioni avessi dei predicatori del vangelo. È allora che
l‟idea della Chiesa come arca di salvezza inizia ad essere applicata in un senso più largo, non tanto
in riferimento agli scismatici, ma ai non cristiani. Si passa gradualmente (in due momenti) dal
binomio chiesa vera – chiese eretiche al binomio cristiani–pagani. In un primo momento l‟idea si
applica per dare ragione ai pagani dell‟importanza di ciò che si predica (la conversione a Cristo):
“bisogna convertirsi perché altrimenti non ci si può salvare”, ma in un secondo momento essa inizia
a caratterizzare una situazione oggettiva di salvezza o di condanna: “chi non è in questo arca non
può raggiungere la salvezza” (e dunque tutti quelli che stanno fuori sono condannati). A questo
spostamento verso una maggiore severità contribuì in buona misura la dottrina soteriologica di S.
Agostino.
Agostino parte della convinzione che l‟umanità senza la luce e la grazia del Vangelo non riesce
a venir fuori dalla condizione indegna e di corruzione in cui si trova, a conseguenza del primo del
peccato. Non può ottenere la salvezza finché rimane in tale condizione. Oltre alla propria esperienza
spirituale, il dottore africano fonda questa convinzione sulla dottrina paolina dell‟universalità del
peccato, il quale rende l‟umanità meritevole della punizione divina. L‟uomo ha peccato ed è privo
della gloria di Dio23, è meritevole della sua ira24, e sebbene Dio, con l‟invio del suo Figlio, gli abbia
dato una via di uscita di tale situazione, essa è appunto un mezzo di salvezza, col quale si deve
venire a stretto contatto. Soltanto l‟adesione a Cristo può liberare l‟uomo dalla corruzione spirituale
e umana in cui egli si trova. Solo la sua grazia gli dona la capacità di ottenere una tale libertà. Ma
questa grazia è connessa con la fede in Gesù Cristo e con l‟opera del battesimo, la quale certamente
non coinvolge che una parte ristretta dell‟umanità. Agostino è consapevole che un tale approccio
apre interrogativi sull‟universalità della volontà divina di salvezza e, di conseguenza, sulla giustizia
dell‟agire divino. L‟ascolto del Vangelo e la conversione sono anzitutto una grazia di Dio, che non
tutti hanno la possibilità di avere. Il fatto stesso della venuta di Cristo al mondo si colloca in un
punto intermedio della lunga catena delle generazioni umane, e se, senza la luce di Cristo, l‟uomo
non può ottenere la salvezza, sembra di doversi concludere che Dio ha lasciato una parte
dell‟umanità sprovvista dei mezzi di salvezza. Non si presenta allora Dio come un soggetto
capriccioso che salva e condanna chi vuole in modo arbitrario? D‟altra parte la Scrittura afferma
che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e arrivino alla conoscenza della verità. Come allora
rendere compatibile questa volontà universale di salvezza con il fatto che poi una buona parte
dell‟umanità non ha potuto conoscere Cristo, medio unico e universale di salvezza?
S. Agostino ha lavorato la propria risposta a tali quesiti sul canovaccio della dottrina paolina
contenuta nella lettera ai Romani25. Anzitutto Dio non è ingiusto. Non lo sarebbe stato anche
quando avessi condannato l‟intera umanità, diventata nemica di Lui per il peccato. Alla fin fine è
stato l‟uomo a non voler essere ammaestrato dall‟insegnamento interiore del Verbo. È stato lui
volontariamente a volgersi verso le cose inferiori abbandonando la via interiore della
contemplazione di Dio, a “costringere” la misericordia di Dio a mettere in campo la via
22 S. Cipriano, L’unità della Chiesa Cattolica, cap. 6.
23 Cf. Rm 3, 23; 5, 1ss.
24 Cf. Ef 2, 4.
25 Capitolo 3 e ss.
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dell‟Incarnazione26. E se questo mezzo particolare dell‟Incarnazione Dio lo riserva per alcuni e non
per tutti Egli non è neanche ingiusto. È che Egli non può fare ciò che vuole con i suoi doni? Non è
la salvezza comunque sempre una grazia, un dono sul quale l‟uomo non può vantare pretesa alcuna?
Non è colpa dell‟uomo in definitiva l‟aver rifiutato l‟economia generale che Dio gli aveva offerto
sin dall‟inizio? L'universalità del peccato originale e delle sue conseguenze erano ragione
sufficiente perché Dio condannasse quelli che sono morti senza il battesimo e nell'ignoranza della
fede cristiana:
“Questa grazia del Cristo, senza la quale né i bambini né i grandi possono salvarsi, non si dà per meriti, ma
gratis, ed è per questo che si chiama grazia. Dice l'Apostolo: „Sono giustificati gratuitamente mediante il suo
sangue‟ (cf. Rm 3, 24). Quelli dunque che non sono liberati per mezzo di questa grazia, sia perché non hanno
potuto ancora ascoltare [il messaggio del Vangelo], sia perché non hanno voluto obbedire, sia anche perché,
essendo in età di non poter ascoltare, non hanno ricevuto il lavacro della rigenerazione che potevano ricevere e
che li avrebbe salvati, tutti costoro sono, sì, giustamente condannati, perché non sono senza un qualche peccato: o
quello che hanno contratto originalmente o anche quello sopraggiunto a causa della loro cattiva condotta. Tutti
hanno peccato infatti, sia in Adamo e sia in se stessi, e sono privi della gloria di Dio.
Tutta la massa umana deve dunque scontare le sue pene e, se a tutti si rendesse il dovuto castigo della
condanna, non si renderebbe certo ingiustamente. Perciò coloro che vengono liberati dalla condanna per grazia,
non si chiamano vasi pieni di meriti propri, bensì vasi di misericordia”27.
Qui il dottore africano, dopo aver detto che solo ci si può salvare per la grazia di Cristo,
distingue tre gruppi: a) coloro che non hanno ancora ricevuto il messaggio del vangelo; b) coloro
che lo hanno ricevuto ma lo hanno rifiutato; c) i bambini (ovvero: coloro per la sua condizione non
possono ascoltare il messaggio ma sono solo in grado di ricevere l‟acqua) che non sono stati
battezzati. Ora nessuno di questi gruppi può essere salvato, e ciò non lede minimamente la giustizia
divina.
La questione delle opportunità salvifiche donate da Dio agli uomini è approfondita nella lettera
al presbitero Deogratias28. Qui Agostino afferma che Dio ha concesso alle anime degli uomini pii e
fedeli di ogni tempo di arrivare a conoscere la volontà divina, la quale si è manifestata più
apertamente lungo il trascorrere dei secoli. Agostino non ha dubbi sul fatto che la strada unica di
salvezza passa per adempiere la volontà manifesta da Dio in ogni epoca29. Nel presente, passa
dunque attraverso la fede e il battesimo cristiano. Ma anche qui si pone il problema di coloro che
non hanno avuto la possibilità di ascoltare la predicazione evangelica e di ottemperare così alla loro
salvezza. Come risposta, Agostino stabilisce un parallelismo tra i tempi presenti e quelli passati.
Egli spiega che dopo la venuta di Cristo molti non credono in Gesù, come già successe ai tempi di
Gesù stesso, e che nulla vieta di pensare che qualcosa di simile si sia verificata anche prima
dell‟arrivo di Cristo, nel senso che tra le persone che vissero prima di Cristo, molte non avessero le
disposizioni interiori adeguate per ascoltarlo. Sembra a Agostino che in tutte le età – prima di
Cristo, ai tempi di Cristo e dopo Cristo – l‟umanità sia stata composta da una minoranza di persone
disposte a credere in Gesù, mentre la grande maggioranza era pronta a rifiutarLo. In riferimento
all‟umanità prima di Cristo, Dio, che scruta ogni cuore, poté allora far partecipi del mistero del
26 In sostanza, l‟orgoglio dell‟uomo ha distrutto il suo stato di intimità originaria con Dio. Ma con il peccato
l‟uomo non ha ottenuto nulla di quanto si aspettava, piuttosto il suo rapporto con le realtà corporee, oramai non guidato
dall‟amore di Dio, lo ha condotto a poco a poco, attraverso i sensi, a somigliare alle realtà inferiori. Attaccato alle realtà
carnali e caduto nell‟esteriorità, l‟uomo aveva bisogno di una salvezza che partisse dei sensi e fossi in grado di condurre
di nuovo l‟uomo all‟intimità divina. Da qui l‟economia dell‟Incarnazione, mediante la quale Cristo viene a ripristinare
l‟uomo nel dono originario.
27 . Sant‟ Agostino, De natura et gratia, 4–5.
28 Cf. Lettera 102.
29 “Fin quando l'intelligenza umana è limitata e debole, deve credere alla verità divina” Ibid., 14.
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Cristo venturo quei pochi che erano ben disposti e che avrebbero accolto Gesù se Egli si fosse
incarnato al loro tempo; evitò invece di rivelare agli altri tale mistero. Se, prima della venuta di
Cristo, Dio aveva rifiutato a molti la notizia del mezzo che li avrebbero salvati - l‟Incarnazione -,
ciò avvenne a motivo della indegnità di essi, del fatto che Dio sapeva che avrebbero rifiutato il suo
dono:
“Cristo volle apparire agli uomini e volle fosse loro predicata la sua dottrina quando e dove sapeva che vi
sarebbero state persone disposte a credergli. Mi spiego: nei tempi e nei luoghi in cui il suo Vangelo non fu
predicato, egli sapeva dall'eternità che avrebbero tutti reagito alla predicazione con gli stessi sentimenti che
manifestarono non tutti, in verità, ma certo molti, quando egli apparve con la sua persona fisica sulla terra; parlo
di coloro i quali si rifiutarono di credere in Lui perfino dopo che aveva risuscitato i morti. Con sentimenti simili ai
loro vediamo comportarsi ancora molti, che, quantunque s'avverino in modo tanto chiaro le predizioni dei Profeti,
non vogliono credere, preferendo resistere con l'umana accortezza, anziché arrendersi all'autorità divina pur così
lampante ed evidente, così sublime e in modo altrettanto sublime divulgata. Fin quando l'intelligenza umana è
limitata e debole, deve credere alla verità divina. Che c'è dunque di strano se Cristo, giustamente, non volle né
apparire né essere annunziato a coloro che aveva previsto non disposti a credere né alle sue parole né ai suoi
miracoli? Non sapeva forse che nei secoli precedenti a quello della sua venuta il mondo era tanto pieno d'infedeli?
In realtà non è incredibile che allora fossero tutti quali ce ne sono stati e ce ne sono ancora in sì gran numero, con
nostra meraviglia, dalla sua venuta fino ai nostri giorni.
Ciononostante, fin dall'inizio del genere umano, ora in un modo più occulto, ora in un modo più evidente, a
seconda che la divina Provvidenza ritenne opportuno alle varie epoche, da Adamo a Mosè non mancarono né le
profezie né quelli che credettero in Cristo: non solo tra lo stesso popolo d'Israele (nel quale, per una speciale
disposizione del piano salvifico di Dio, ci fu una stirpe di Profeti), ma pure tra altri popoli ancor prima
dell'Incarnazione. Nei libri sacri degli Ebrei si ricordano effettivamente, fin dal tempo di Abramo, alcuni
personaggi che furono messi a parte di questo mistero sebbene non appartenessero né alla stirpe di Abramo, né al
popolo d'Israele, né a qualche altro gruppo etnico venuto ad inserirsi in esso; perché dunque non dovremmo
credere che qua e là fra gli altri popoli ce ne fossero, in epoche diverse, pure degli altri, anche se non li troviamo
ricordati nei libri della sacra Scrittura? La salvezza quindi procurata dalla nostra religione, l'unica vera che
promette in modo veridico l'autentica salvezza, non mancò mai a chi ne fosse degno; se perciò mancò a qualcuno,
questi non era degno di riceverla. Essa viene predicata dall'inizio alla fine del genere umano, ad alcuni per la loro
salvezza, ad altri per la loro condanna. Ecco perché Dio, fin dall'eternità ha previsto che non avrebbero creduto
coloro ai quali la predicazione del Vangelo non arrivò affatto. Coloro invece ai quali fu annunciato, sebbene Dio
avesse previsto la loro incredulità, devono servirci da lezione e farci riflettere. Coloro infine a cui è annunciato e
che sono disposti a credere, vengono predisposti ad entrare nel regno dei cieli e ad esser compagni degli Angeli
santi” 30.
Questo secondo ragionamento permette ad Agostino sostenere che Dio in ogni epoca ha dato la
sua grazia a coloro che ha ritenuto opportuno, mentre non ha dato la grazia ha quelli che non
l‟avrebbero accolta. Implicito nel ragionamento, ma chiaramente percepibile, resta l‟idea che, nel
tempo presente, il fatto di non aver accesso alla predicazione e al vangelo, sia da collegare alla
personale indegnità spirituale. Non è difficile da qui trarre due conseguenze:
– che, dopo Cristo, i pagani morti senza la conoscenza del vangelo debbano ritenersi
giustamente condannati. E ciò non per arbitrio di Dio ma per la cattiva volontà dell‟uomo;
– che la salvezza richiede il contatto visibile, sacramentale con Cristo.
Nel suo ultimo periodo, nel contesto delle dispute antipelagiane, Agostino accentuò la priorità
della grazia nei confronti del merito umano, fino ad indicare che le scelte salvifiche di Dio non
trovano un correlato nell‟agire della creatura. Dio sceglie chi vuole e libera chi vuole dalla massa
decaduta dell‟umanità e ciò non dipende minimamente della creatura stessa. Anche se egli non
trasse mai come conseguenza di questa dottrina la inutilità degli atti liberi in ordine alla salvezza,
ma preferì rifugiarsi nella misteriosità dell‟intera questione, ciò nondimeno la sua posizione
contribuì a una visione abbastanza ristretta del disegno salvifico di Dio. Riassumendo: Agostino
30 Ibidem, 14–15.
9
sostenne che la discendenza di Adamo appartiene per nascita ad una razza condannata dopo il
peccato di origine, ad una massa damnata che solo può essere risparmiata con i mezzi dati dalla
misericordia di Dio. Dopo la venuta di Gesù la salvezza passa attraverso la fede e il battesimo
cristiano.
Tra i discepoli di S. Agostino alcuni come Prospero d‟Aquitania31 seguono la dottrina
agostiniana, da una prospettiva attenta alla misericordia di Dio, mentre altri come Fulgenzio di
Ruspe32 presenteranno in modo semplificato le severe formule agostiniane. Prospero nel suo trattato
De vocazione omnium Gentium riflette parecchio sul carattere universale della salvezza alla luce
della dottrina agostiniana prima esposta. Egli non si allontana di Agostino, ma introduce alcuni
elementi nella sua riflessione che riducono la portata della severità agostiniana, come per esempio,
il fatto che parla di un‟economia salvifica generale che si esplica attraverso gli strumenti della
creazione e della legge.
“Quanto poi al fatto che, come sappiamo, vi furono un tempo popoli non ammessi alla comunanza dei figli
di Dio, allo stesso modo che anche ora nelle più lontane parti del mondo vi sono popoli i quali non sono stati
ancora illuminati dalla grazia del Salvatore, non abbiamo dubbio che anche per loro è stato fissato per occulto
disegno di Dio il tempo della chiamata, in cui ascolteranno e riceveranno il Vangelo non udito prima. A loro tut-
tavia non è negata quella misura di aiuto generale che dall'alto è stata sempre offerta a tutti gli uomini, sebbene
la natura umana sia stata ferita tanto aspramente dalla colpa, che la naturale speculazione non riesce da sola a
guidare nessuno alla conoscenza di Dio: a meno che le tenebre del cuore non siano state rimosse dalla vera luce,
che Dio giusto e buono ha effuso con suo imperscrutabile giudizio, anche se nei secoli passati in misura meno
abbondante che negli ultimi giorni”33.
Prospero fa riferimento in questo testo alla ragione (partecipazione del Logos di Dio) che è
data come guida all‟uomo per raggiungere la verità divina, ma che dopo il peccato non riesce a
esercitare bene il suo compito, per cui senza la vera luce che è Cristo, Verbo incarnato, l‟uomo non
può ottenere la conoscenza di Dio e la salvezza.
Nella sua opera è presente anche il principio che salvezza e condanna dipendono dalle proprie
opere, più che dalla predestinazione divina. Egli scrive sulla scia di Agostino:
“Nessuna scienza può comprendere e nessuna intelligenza penetrare il perché la grazia non si sia rivelata e
manifestata prima, allo stesso modo che ora, a tutte le nazioni; mentre bisogna considerare come immutabile ed
eterna volontà di Dio ciò che religiosamente si crede riguardo alla sua bontà, che „Egli vuole che tutti gli uomini
si salvino e giungano alla conoscenza della verità‟, nella misura in cui Dio ha inteso aggiungere ai doni generali
concessi a tutti gli uomini quelli particolari, sì che quanti sono stati privi della grazia siano biasimati per la loro
nequizia, e quanti risplendettero della sua luce si glorino non dei propri meriti ma del Signore”.34
Se non interpreto male il testo, Prospero qui afferma che Dio ha dato a tutta l‟umanità gli aiuti
generali necessari per la salvezza, ma l‟uomo gravato dal peccato originale e dai peccati personali
non trae profitto di questa economia generale; perciò Dio nella sua misericordia ha dato ad alcuni
gratuitamente aiuti particolari attraverso il Cristo; questi aiuti fanno sì che per loro la salvezza sia
sempre grazia (benché richieda corrispondenza).
Ad ogni modo Prospero pensa la giustificazione con schemi simili ad Agostino. Il peso della
colpa originale è così grande che senza la grazia di Cristo ricevuta nel vangelo la salvezza è
irraggiungibile. Prima della venuta di Gesù solo pochi si salvarono, la grande massa di persone
rimase nelle tenebre, e, dopo la sua venuta, le nazioni a cui il vangelo non è stato ancora annunziato
31 S. Prospero (Limoges 393 circa – Roma 463) appartiene alla generazione successiva ad Agostino, del quale fu
un grande stimatore.
32 S. Fulgenzio (Telepta 468 circa – Ruspe 533), nordafricano, è un autore del secolo successivo ad Agostino.
33 Prospero d‟Aquitania, La vocazione dei popoli, II, 17.
34 Ibid, II, 19.
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restano in attesa più di condanna che non di salvezza35. La stessa sorte tocca ai bambini morti senza
il battesimo36, e ciò non dice nulla negativo da Dio in quanto egli condanna giustamente per il
peccato originale e perché, da esso inclinati, gli uomini commettono molti altri peccati37.
Fulgenzio di Ruspe sintetizza in formule brevi l‟eredità di Agostino. Egli unisce le due idee,
quella della predestinazione divina dei salvati e quella dell‟indegnità dei non evangelizzati e
sostiene che “Dio ha voluto salvare coloro a cui ha dato la conoscenza del mistero di salvezza e non
ha voluto salvare coloro cui ha negato la conoscenza del mistero salvifico”38. Una simile
affermazione non sarebbe stata sostenuta da Prospero d‟Aquitania e ciò mostra come ci siano due
orientamenti diversi nell‟eredità agostiniana. Sarà tuttavia questo secondo orientamento a prevalere
nei secoli successivi ad Agostino.
In particolare degli eretici e degli scismatici Fulgenzio scrive:
“Ritieni con saldissima fede e non dubitare in nessun modo che ogni battezzato fuori della chiesa cattolica
non può essere partecipe della vita eterna se prima della fine di questa vita non si restituirà alla Chiesa cattolica e
non si incorporerà in essa. Perché, dice l'Apostolo, „se ho tutta la fede e conosco tutti i misteri, ma non ho la
carità, non sono niente‟ [cfr. 1Cor 13,2]. Infatti anche nei giorni del diluvio leggiamo che nessuno poté salvarsi
fuori dell'arca”39.
E, includendo pagani e ebrei, aggiunge:
“Ritieni con saldissima fede e non dubitare in nessun modo che non solo tutti i pagani, ma anche tutti gli
ebrei e tutti gli eretici e gli scismatici che terminano la vita presente fuori della Chiesa cattolica andranno „nel
fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli‟ [Mt 25,41]”40.
Questa dottrina sarà trasmessa al medioevo con la semplice formula “extra Ecclesiam nulla
salus” e in questo periodo comparirà in diverse documenti magisteriali: nel 1208 in una lettera di
Inocenzo III al arcivescovo di Tarracona, nel Concilio IV di Laterano (1215) e nella Bolla Unam
Sanctam di papa Bonifacio VIII (1302). In questo ultimo documento si sottolinea la necessità
dell‟unione gerarchica per la salvezza: colui che non è unito al Papa, Vicario di Cristo, non lo può
essere neanche a Cristo. Ora: “l‟essere sottomesso al Romano Pontefice è per ogni umana creatura
necessario per la salvezza”41. Il documento sembra ammonire anzitutto coloro che non sono in
comunione con il Papa, più che i pagani. Da parte sua il Concilio di Firenze continua su questa linea
che vede nell‟appartenenza giuridica-sacramentale alla Chiesa una condizione necessaria per la
salvezza. E qui invece il riferimento ai pagani è esplicito:
“La chiesa crede fermamente, confessa e annuncia che “nessuno di quelli che sono fuori della chiesa
cattolica, non solo i pagani”, ma anche gli ebrei o gli eretici e gli scismatici, potranno raggiungere la vita eterna,
ma andranno nel fuoco eterno, “preparato per il diavolo e per i suoi angeli” [Mt 25,41], se prima della morte non
saranno stati ad essa uniti (aggregati); crede tanto importante l'unità del corpo della chiesa, che, solo a quelli che
in essa perseverano, i sacramenti della chiesa procureranno la salvezza, e i digiuni, e le altre opere di pietà e gli
esercizi della milizia cristiana ottengono il premio eterno. “Nessuno, per quante elemosine abbia fatto e persino se
35 Cf. ibid., II, 3.
36 Cf. ibid., II, 21.
37 Cf. Rm 9, 20–21.
38 De veritate predestinationis 3, 18.
39 De fide ad Petrum 37, PL 65 cc. 703–704, trad it. in Fulgenzio di Ruspe, Le condizioni della penitenza. La fede
( traduzione, introduzione e note a cura di M. G. Bianco), Città Nuova, Roma 1986, p. 170.
40 Ibid., pp. 170–171.
41 Dz–Sch, 875.
11
avesse versato il sangue per il nome di Cristo può essere salvo, se non rimane nel grembo e nell'unità della chiesa
cattolica””42.
Le citazioni del Ruspense collocano questo testo nella linea di pensiero agostiniana. Sul testo
tuttavia vanno fatte due osservazioni: in primo luogo esso è redatto tenendo presente le situazioni
“oggettive” di ciascuno (la condizione di pagano, giudeo, ecc.) ma nulla indica sull‟aspetto
soggettivo della salvezza. Potremmo chiederci: il concilio applicherebbe questa idea anche nel caso
di uno assolutamente ignorante del vangelo? Non è facile rispondere a questo; non pare che il testo
sia stato redatto considerando il tema da una simile ottica. Nella mentalità dell‟epoca inoltre la pena
dovuta al peccato originale non era causa sufficiente per andare all‟inferno, ma piuttosto per perdere
la visione beata43. Un pagano potrebbe dunque non opporsi al cristianesimo, né alla Chiesa, ma
essere totalmente ignoro di tutto ciò, simile a un bambino privo di istruzione. Non sembra che lo si
possa tout court annoverare tra coloro che andranno al fuoco eterno. Ora basta questo a far pensare
che le condanne del nostro testo hanno in vista gruppi umani costituite da persone capaci di
conversione al cristianesimo ma non desiderose di farlo44. Se è questo il loro caso, effettivamente
rifiutano la volontà di salvezza e il bene che possano fare per altre vie non giova veramente a loro.
Un'altra cosa è valutare se effettivamente la situazione dei non-cristiani sia quella presupposta dal
concilio o meno…
Questo ci porta alla seconda considerazione. I giudizi che facciamo non sono “puri”, nel senso
kantiano del termine. Essi si inquadrano sempre nella nostra esperienza del vangelo e del mondo, e
prendono forma, in certo senso, a partire da essa. C‟è dunque una componente relativa nei giudizi,
che non rende invalida la verità da esso espressa, ma aggiunge un elemento di provvisorietà nel
modo di percepirla e di articolarla. Ciò riguarda anche le espressioni di verità di fede: certamente la
certezza veritativa sul contenuto del giudizio viene dallo Spirito Santo, il quale però non annulla o
soppianta il nostro processo conoscitivo. Egli non toglie perciò questo elemento di provvisorietà,
che è come la dimensione umana, storica, limitata, della verità eterna che lo Spirito stesso intende
garantire quando infonde la certezza nella coscienza cristiana. È allora possibile che alcune verità
siano meglio capite e precisate tramite lo studio, la riflessione, la presa di coscienza di dati nuovi o
l‟aumento dell‟esperienza. Tutti questi strumenti puliscono la provvisorietà del giudizio e affinano
il suo contenuto. E può anche accadere che in taluni momenti della storia si venga in possesso di
nuovi dati che siano in grado di dischiudere prospettive nuove e ampie su determinate questioni di
teologia. Se per esempio venissimo ad avere conferma dell‟esistenza di altri pianeti abitati da esseri
intelligenti si aprirebbe un manipolo di questioni teologiche. Lasciamole all‟immaginazione del
lettore e veniamo invece alla nostra questione. Il mondo che il concilio di Firenze ha davanti a sé è
ben consolidato dal punto vista socio-religioso; è delimitato per aree di religione, di cultura e di
potere, e in esso il cristianesimo appare come una dottrina nota a tutti. Il vangelo era già stato
promulgato fino ai confini della terra e dunque solo rimaneva lo spazio della decisione pro o contro
esso. Una tale “uniformità” permetteva di applicare senza ulteriori distinzioni le parole di Gesù:
“Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato” (Mc 16, 16). Giudei
e musulmani, eretici e scismatici non hanno la vera fede e perciò è palese quale sarà la loro sorte
ultima. Ma la comprensione della realtà stava per mutare e con il progresso tecnico si sarebbero
manifestate, già 50 anni dopo il concilio di Firenze, immensi territori popolati non ancora
evangelizzati… Ciò fece cadere l‟antica supposizione di un‟adeguata “proclamazione” del vangelo
42 Ibid. 1351. Le citazione tra virgolette sono testi del De fide ad Petrum di S. Fulgenzio di Ruspe (concretamente
ai nn. 38 e 39).
43 Cf. Dz–Sch 780. La dottrina del limbo era già conosciuta e ammessa per casi come quello dei bambini morti
senza sacramenti.
44 Si pensi che si è ancora nel periodo delle crociate. Coloro che così accanitamente combattevano il cristianesimo
(nel 1453, 10 anni dopo il Concilio, cadde Costantinopoli nelle mani dei musulmani) mostravano una avversione verso
di esso che agli occhi del Concilio non poteva essere che colpevole.
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in tutto il mondo e contribuì ad una visione più accurata della questione. Prima però di presentarla è
necessario fare un breve salto indietro nel tempo ed studiare la dottrina di S. Tommaso che ne fu il
punto d‟avvio.
3. S. Tommaso.
S. Tommaso non ha una dottrina sistematica sulla salvezza dei pagani, tuttavia le piste e le
indicazioni che egli dà sono state la base fondamentale per il dibattito nei secoli a seguire45.
Per affrontare l‟insegnamento tommasiano conviene considerare da quale ottica egli esamini la
questione. La sua riflessione è storicamente anteriore alla scoperta delle dimensioni reali del nostro
mondo46. La conoscenze geografiche e demografiche del tempo erano abbastanza limitate.
Tommaso conosce l‟esistenza di pagani e di giudei, ma per quanto riguarda l‟islam gli sfuggono le
dimensioni e la realtà concreta della religione musulmana. È convinto che il messaggio cristiano sia
sufficientemente annunciato nel mondo e che la sua predicazione abbia già raggiunto gli eventuali
destinatari. Ciò porta Tommaso alla convinzione che coloro che non sono cristiani non sono senza
colpa dato che potendo abbracciare la fede non lo fanno, e che tutto sommato i casi di persone che
non sanno nulla del vangelo sono isolati o poco numerosi. Tutto ciò fa sì che la questione della
salvezza dei non-evangelizzati non sia particolarmente pressante per lui.
I principi teologici adoperati dal santo dottore mettono in luce l‟universalità della volontà
salvifica di Dio e la necessità della fede nel mediatore Gesù Cristo per essere salvati. Dio vuole che
tutti gli uomini si salvino e dona a tutti le necessarie grazie. Se si pensa a casi estremi di persone
che non hanno avuto nessun contatto con il vangelo, come un bambino allevato in mezzo a
popolazioni barbariche o cresciuto nella foresta in mezzo ad animali, Dio si adopererà per far
conoscere alla persona almeno quel minimo necessario perché egli possa credere, per esempio
inviandogli un predicatore o un angelo, oppure mediante un‟illuminazione interiore al suo spirito
che lo educa sui principali aspetti della fede47. Queste soluzioni però possono essere sostenute
qualora i casi di ignoranza completa del vangelo fossero esigui, le conoscenze geografiche e
storiche di secoli avvenire mostrano però che non è tale il caso.
Il contributo dell‟Aquinate non si limita a queste soluzioni; egli offre elementi utili per lo
sviluppo di una teologia della salvezza dei pagani nella sua teologia morale e sacramentaria. È
importante anzitutto segnalare che egli mantenne sempre la sentenza scolastica: facientes quod est
in sé Deus non denegat gratiam. In questo egli si distacca da Agostino. Mentre nell‟ottica di
Agostino prevale l‟idea che, stante il peccato originale, Dio non è tenuto a dare la grazia a nessuno,
per cui Egli salva chi vuole, nell‟ottica di Tommaso la sottolineatura sta del lato dell‟uomo: Dio non
lascia nessuno che non si opponga personalmente a Lui: salva chi lo merita. Nello studiare come ciò
possa essere applicato a particolari situazioni Tommaso elabora alcuni elementi che saranno utili
per la riflessione successiva. Ci soffermiamo su tre di questi elementi:
* La fede implicita: Parlando della salvezza di coloro che hanno preceduto Cristo, egli mette
in luce il concetto di fede implicita. Per la salvezza è necessario credere in Gesù Cristo salvatore.
Non è tuttavia necessario che tale fede sia esplicita. S. Tommaso ha ben presente il passo della
lettera agli Ebrei in cui si afferma che “senza la fede però è impossibile essergli graditi [a Dio];
chi infatti s'accosta a Dio deve credere che egli esiste e che egli ricompensa coloro che lo
cercano” (Eb 11, 6). Qui S. Tommaso trova ciò che deve essere esplicitamente creduto. Egli
45 Cf. Sullivan, Salvation…, o.c., pp. 44-62; B. Sesboüe, Hors de l'Eglise, pas de salut. Histoire d'una formule et
problémes d'interprétation, Desclee de Brouwer, Paris 2004, pp. 105–111; J.-P. Torrell, Saint Thomas et les non-
chretiens, "Revue Thomiste", 113 (2006), 17-50.
46 Cf. J.-P. Torrell, Saint Thomas et les non-chretiens, "Revue Thomiste", 113 (2006), 42.
47 Cf. p. es De Verit., q. 14, a. 11, ad 1.
13
commenta: “Per tutti e in tutti i tempi fu necessario credere esplicitamente quelle due cose su
Dio”48. Tanto poteva bastare per coloro che erano vissuti prima di Cristo. E la ragione è che
benché questa loro fede non parlasse direttamente di Cristo, essa anticipava o conteneva
implicitamente la fede in Cristo Mediatore della salvezza per tutti. Infatti, a proposito di quanti
erano vissuti prima di Cristo, Tommaso scriveva:
[...] se alcuni [gentili] si salvarono senza codeste rivelazioni [su Cristo], non si salvarono senza la fede nel
Mediatore. Perché, anche se non ne ebbero una fede esplicita, ebbero però una fede implicita nella divina
provvidenza, credendo che Dio sarebbe stato il redentore degli uomini nel modo che a lui sarebbe piaciuto [...]49.
Ciò si può applicare al centurione Cornelio, le cui opere, secondo il Libro degli Atti, erano
gradite a Dio già prima che Pietro gli annunciasse il Cristo (At 10,1-2). Su di lui, e in richiamo a Eb
11, 6, scrive Tommaso:
Quanto al centurione Cornelio, si deve notare che egli non era privo di fede: altrimenti il suo operare non
sarebbe stato accetto a Dio, al quale nessuno può essere gradito senza la fede. Però egli aveva una fede implicita
[in Cristo], non ancora rischiarata dalla verità evangelica. Ecco perché gli fu inviato s. Pietro, per istruirlo
pienamente nella fede50.
Il caso del centurione serve a Tommaso come paradigma esplicativo. Cornelio mostra di avere
fede prima dell‟arrivo di Pietro, e ciò manifesta la sufficienza della fede implicita in Cristo prima
della promulgazione del vangelo, tuttavia Cornelio è chiamato al vangelo per vie straordinarie (per
le visioni di tutti e due, Pietro e Cornelio), e ciò porta S. Tommaso a pensare che dopo Cristo Dio la
vera fede salvifica richiede accettare esplicitamente Cristo. Se è necessario Dio può agire in altri
casi con mezzi straordinari per dare notizia del Cristo, come ha fatto con Cornelio. Perciò
l‟Aquinate sosteneva fermamente la necessità dopo la venuta di Cristo di avere fede esplicita in Lui
per la salvezza:
[...] dopo la rivelazione della grazia tanto i maggiorenti che i semplici sono tenuti ad avere la fede esplicita
dei misteri di Cristo; e specialmente di quelli che sono oggetto delle solennità della Chiesa, e che vengono
pubblicamente proposti, come gli articoli sull'Incarnazione [,..]51.
* Il desiderio (votum) implicito del Battesimo. È un tema parallelo a quello precedente. Nella
Summa Theologiae S. Tommaso elaborò anche la teoria di un battesimo di desiderio -esplicito o
implicito - quale causa di giustificazione. Il battesimo di desiderio esplicito si riferisce al caso di
una persona che, avendo udito di Cristo, desiderasse essere battezzata, ma fosse sopraffatta dalla
morte prima di ricevere il sacramento. Egli, in queste circostanze, poteva ottenere la giustificazione
delle sue colpe prima di ricevere il battesimo, in forza del suo desiderio di essere battezzato:
[...] uno può essere senza battesimo di fatto, ma non di proposito: per es., quando uno desidera di essere
battezzato, ma viene accidentalmente prevenuto dalla morte prima di ricevere il battesimo. Costui senza il
battesimo in atto può conseguire la salvezza per il desiderio del battesimo, il quale nasce dalla “fede che opera
mediante la carità”, attraverso la quale l'uomo viene santificato interiormente da Dio, il cui potere non è vincolato
ai sacramenti52.
48 Summa Theol. II-II, q.2, a.8, ad 1; le citazioni sono prese da La somma teologica, traduzione e commento a cura
dei domenicani italiani, vol. XIV, Salani, Firenze 1966, 5-311, qui 100.
49 Summa Theol. II-II, q.2, a.7, ad 3; trad. it., 98.
50 Summa Theol. II-II, q.10, a,4, ad 3; trad. it., 218.
51 Summa Theol. II-II, q.2, a.7; trad. it., 96-98
52 Summa Theol. III, q.68, a.2; trad. it., La somma teologica, traduzione e commento a cura dei domenicani
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Il battesimo di desiderio implicito si riferiva a coloro che, non avendo udito l'annuncio di
Cristo, avevano però il desiderio di conformarsi alla volontà di Dio. Benchè essi non siano consci
dell‟obbligo di credere in Gesù né di battezarsi, tuttavia questi elementi sono inclusi nel desiderio
generale che essi hanno di fare ciò che Dio comanda. A motivo di questa disposizione interiore essi
possono ottenere la fede e la carità che giustificano. Anche qui S. Tommaso ragiona in vista del
caso del centurione Cornelio, che mostra di avere il desiderio di battezzarsi ancor prima che l‟arrivo
di Pietro rendesse chiara per lui la necessità di ricevere questo sacramento:
Prima del battesimo si può conseguire [...] la remissione dei peccati solo in quanto si ha il desiderio
esplicito o implicito di esso, e nondimeno, quando si riceve di fatto il battesimo, il condono di tutta la pena
diventa più completo. Così prima del battesimo Cornelio e altri in simili condizioni hanno conseguito la grazia e
la virtù per mezzo della fede cristiana e del desiderio implicito o esplicito del battesimo; nel battesimo però essi
hanno ottenuto maggiore quantità di grazia e di virtù53.
Questa dottrina del votum baptismi implicito che nella visione di Tommaso appare limitata a
poche circostanze speciali, si sarebbe rivelata utile per la speculazione dai teologi successivi nelle
nuove circostanze create dalla scoperta del nuovo mondo. Come si vedrà qui di seguito, essa fu
anche sostenuta dal concilio di Trento e divenne dottrina recepita nella Chiesa.
* La scelta del primo bene morale. Come per i due elementi precedenti, anche questo terzo
cadde sotto l‟idea che Dio non abbandona nessuno che faccia il possibile per vivere secondo
giustizia. Ciò però non è da intendersi in modo pelagiano, come se fosse l‟uomo ad avere
l‟iniziativa. Questo aspetto era rimasto chiaro da Agostino in poi. La salvezza parte sempre da Dio,
il solo che con i suoi doni può attirare l‟uomo alla verità soprannaturale. Se costui non si oppone
all‟azione salvifica, ma si lascia attrarre da Dio, troverà necessariamente le via della salvezza.
L‟Aquinate trova un‟applicazione di questa dottrina quando si interroga sul valore del primo atto
morale dell‟uomo. Nello sviluppo psicologico di ogni uomo arriva un momento in cui egli inizia a
distinguere il bene del male e prende coscienza della sua libertà morale. Ciò segna l‟ingresso
nell‟età della ragione. Si aprono allora nella coscienza due strade opposte: fare il bene o lasciarsi
sedurre da ciò che non è retto. La scelta fatta in quel primo momento posiziona il fanciullo in
rapporto al fine ultimo. Egli liberamente si orienta o meno nei confronti del fine ultimo. Poiché
questa scelta è sempre prevenuta e sorretta dalla grazia di Dio, se essa è rivolta al bene ciò indica
un‟efficacia positiva della grazia nell‟anima, una cooperazione dell‟uomo con Dio che, per S.
Tommaso, è sufficiente per ottenere la giustificazione; in caso contrario, vale a dire, se la persona si
chiude alla grazia, allora egli volge le spalle al suo fine e commette un peccato grave: Secondo
l‟Aquinate tertium non datur. S. Tommaso pone la questione nel contesto di un non–battezzato.
Probabilmente egli ha in vista un bambino che ha sentito parlare di Dio e del giudizio, ma che non è
battezzato. In questa situazione egli non ritiene possibile che il bambino possa commettere un
peccato veniale nel compiere il suo primo atto morale. Egli scriveva:
“Quando poi l'uomo comincia ad avere l'uso di ragione non viene scusato ne dalle colpe veniali, ne dal
peccato mortale. Ma la prima cosa che allora è tenuto a pensare, è deliberare di se stesso. E se uno ordina se stesso
al debito fine, con la grazia riceve la remissione del peccato originale. Se invece non ordina se stesso al debito
fine, secondo la discrezione di cui è capace a codesta età, pecca mortalmente, perché non fa ciò che è in suo
potere”54.
italiani, voi. XXVII, Salani, Firenze 1971, 278.
53 Summa Theol. III, q.69, a.4, ad 2; trad. it.. La somma teologica, vol. XXVII cit., 328.
54 Summa Theol. I-II, q.89, a.6; trad. it., La somma teologica, traduzione e commento a cura dei domenicani
italiani, voi. XI, Salani, Firenze 1964, 384.
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Per il dottore domenicano, il corretto ordinamento di sé al cospetto di Dio nel primo atto
morale era sufficiente per ottenere la giustificazione. Questa teoria era destinata a svolgere, da
allora in poi, un importante ruolo nella spiegazione della possibilità della salvezza per gli adulti
che non avevano udito il messaggio cristiano e che non appartenevano alla chiesa. Essa divenne
nota sotto il nome di teoria dell'“opzione fondamentale”.
Dei tre elementi principali messi in campo dall‟Aquinate, il primo avrà importanza per la
dimensione soteriologico–antropologica del nostro tema. Esso da luogo ad alcune questioni: si
richiede davvero la fede soprannaturale per salvarsi e con quale contenuto? esiste un minimo di
verità che sia necessario credere? quando si può dire che è presente una fede implicita in qualcuno
o che si crede implicitamente qualcosa? Il secondo elemento avrà importanza per la dimensione
ecclesiologica della salvezza dei pagani. Anche qui si pongono questioni: come interpretare
l‟assioma extra Ecclesiam nulla salus per coloro che non hanno ricevuto il battessimo? il desiderio
di battesimo incorpora nella Chiesa? Sotto quali condizioni si può affermare la presenza di un
desiderio implicito di battesimo? E, se si ammette che un pagano possa venire giustificato: quale
relazione egli avrebbe con la Chiesa? Infine il terzo elemento pone la questione del modo di
giustificazione del pagano. È possibile essere giustificato senza ricevere il battesimo? Con quali
mezzi o per quali vie? La soluzione del primo atto morale data da Tommaso sembra a molti
alquanto irrealistica, perché carica al bambino che si sveglia alla vita morale di una responsabilità
che sembra eccessiva55.
4. La riflessione in seguito alla scoperta del Nuovo Mondo.
Come abbiamo visto durante il medioevo si pensava che giudei e musulmani fossero fuori della
salvezza; i primi per il fatto di aver rifiutato Gesù e perché continuavano a rifiutare una religione,
quella cristiana, che aveva – almeno agli occhi dei cristiani – tutte le garanzie per essere affermata
come la vera religione; i musulmani perché erano i principali persecutori dei cristiani. Soltanto i
cristiani potevano salvarsi.
L‟evento della scoperta di America nel 1492 fu però in grado di cambiare questa mentalità.
Vedere che interi popoli di un immenso continente non avevano avuto conoscenza del Vangelo, e
ciò senza colpa da parte loro, spinse a ripensare la questione per capire come poteva essere stata
attuata anche in quel caso la volontà salvifica universale. In questo contesto i teologi della scuola
domenicana di Salamanca – anzitutto F. de Vitoria, Melchior Cano e Domenico di Soto – cercarono
di trovare idee negli scritti di S. Tommaso e ripresero allora alcune delle linee da noi prima
menzionate. Essi inoltre si interrogarono sulla significatività della fede, cioè, sulle condizioni che la
proposta di fede deve avere per essere credibile. Questi autori contribuirono a sviluppare la dottrina
sul nostro argomento.
* Francesco di Vitoria (+1546) mantenne la tradizionale tesi tomistica che, dopo la
promulgazione del vangelo, fosse necessaria una esplicita fede in Cristo per ottenere la vita eterna.
Vitoria segue pure S. Tommaso nell‟affermazione che Dio concede la salvezza a coloro che fanno
quanto è in loro potere per ottenerla; Dio trovà il modo di condurre loro alla fede che salva. Vitoria
si limita ad accettare questa soluzione e non procede oltre. Sviluppa invece un'altra dottrina di
Tomasso. L‟Aquinate aveva detto che il nudo fatto di non venire a contatto con la predicazione del
vangelo non era indice di colpevolezza, e non era un peccato contro la virtù della fede. Vitoria va un
po‟ oltre e aggiunge che il fatto che il vangelo sia fisicamente annunciato non fa sorgere l‟obbligo
di abbracciarlo immediatamente. Non basta dire che si deve credere a questo e quell‟altro, perché la
55 Secondo A. D‟Ales sulla teoria “sorgono serie obiezioni o circa la gravita di tale opzioni [fondamentale]
applicata a tutti o circa le condizioni richieste perché abbia un esito positivo o negativo” Salut des infidèles, in
Dictionnaire Apologétique de la Foi Catholique, IV, 1156-1182 (qui 1165).
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mera proposta non contiene ragioni per credere56. Bisogna svolgere le opportune argomentazioni e
presentare la dottrina in modo conveniente e pio; altrimenti non si può pretendere dei pagani la
conversione.
* Melchior Cano (+ 1560): Nel suo trattato sui sacramenti incluse una dissertazione sulla
necessità della fede cristiana per la salvezza. Egli riprende due dottrine di S. Tommaso, sul primo
atto morale e sulla necessità della fede per la salvezza. Nell‟Aquinate le due dottrine non si
presentavano collegate, e si poneva il problema se la prima non smentisse in qualche modo la
seconda. Cano cerca di mettere in armonia le due dottrine. Egli indica che con occasione del primo
atto morale, Dio dona una illuminazione all‟uomo affinché faccia un atto di fede. Cano riconosce il
fatto che un esplicito atto di fede in Gesù Cristo è difficile nell‟assenza di predicatori del vangelo,
perciò egli riflette sulla dottrina di Eb 11,6 e sulla scia di S. Tommaso57 pensa che possa essere
sufficiente un atto di fede in Dio, che contiene implicitamente la fede in Cristo. L‟applicazione ai
pagani della dottrina della fede implicita fu anche condivisa da Domenico di Soto (+ 1570).
La tematica aperta dai teologi di Salamanca fu in seguito ripresa, nella successiva generazione,
dai teologi gesuiti al Collegio Romano e, in particolare da Bellarmino e De Lugo.
* S. Roberto Bellarmino (+1621). Egli riprese la dottrina tomistica della giustificazione in base
al desiderio di battesimo e, tenendo in vista l‟assioma “extra Ecclesiam nulla salus”, affermò in
generale che alcuni possono ottenere la salvezza in base a questo desiderio58. Egli era convinto che
Dio facessi dono a tutti degli ausili opportuni per la salvezza, e tentò in qualche modo di descrivere
il processo spirituale innescato da tali doni: “le persone che non hanno ricevuto la predicazione del
vangelo possono conoscere l‟esistenza di Dio mediante le creature e, mosse dalla grazia di Dio
preveniente, possono credere anche che Dio e rimuneratore di coloro che lo cercano. In base a
questa fede e sotto la guida di Dio essi possono arrivare alla preghiera e compiere opere di carità
(eleemosynas faciendas), che dispongono loro, per l‟orazione, ad una luce di fede più grande, data
direttamente da Dio o per mezzo di uomini o angeli”59.
* Juan de Lugo (+ 1660) è forse il teologo di questo periodo che si spinse più oltre
nell‟affermare la possibilità di salvezza per i non battezzati nella Chiesa cattolica. Egli applicò la
soluzione della fede implicita non soltanto a coloro che non avevano mai udito il vangelo, ma anche
e coloro che sapevano di Cristo ma erano privi della fede ortodossa. Non soltanto i pagani, ma
persino gli eretici, gli ebrei e i musulmani potevano essere salvati - egli riteneva - attraverso la loro
fede sincera in Dio. Egli scrisse:
“Un ebreo o un altro non cristiano potrebbe essere salvato; poiché potrebbe avere la fede soprannaturale
nell'unico Dio ed essere invincibilmente ignorante a proposito di Cristo. Ma una tale persona non sarebbe
cristiana, poiché si viene detti cristiani in virtù della propria conoscenza di Cristo. [...] La natura del caso non
esclude la possibilità della salvezza per una tale persona; essa non dovrebbe poi essere definita non-cristiana,
perché, pur non avendo aderito visibilmente alla chiesa, interiormente ha tuttavia in comune con essa la virtù della
fede abituale ed attuale, e sotto lo sguardo di Dio verrà considerata con i cristiani”60.
De Lugo, dunque riprende l‟opinione del Vitoria sulla possibilità di un ascolto del vangelo
insufficiente in ordine a generare vera fede. Egli dunque suggerisce che alcune persone che cercano
sinceramente la verità, potrebbero, per questo motivo, non riconoscerla nella religione cristiana e
56 F. de Vitoria, Relaciones sobre los indios y el derecho de la guerra, Madrid 1975, p. 75.
57 Ma S. Tommaso ammetteva questo solo per i tempi che precedettero il Cristo.
58 S. Roberto Bellarmino, De Conciliis, lib. III, c. 3 (Parisiis 1870–1874, ed. Justinus Fèvre), vol. 2, p. 319.
59 S. Roberto Bellarmino, De gratia et libero arbitrio, lib. II, c. 8 (Parisiis 1870–1874, ed. Justinus Fèvre) vol. 4,
p. 451. Traduzione nostra.
60 De virtute fidei divinae, disp. 12, n. 104, Lyon 1646, vol. III, 300; ed. Vivès, Paris 1868, vol. I, 425.
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nonostante ciò potrebbero essere salvati per la loro fede in Dio, conosciuto per altre vie. De Lugo fu
piuttosto coraggioso. Come afferma il Sullivan:
“Dopo tutto, il concilio di Firenze aveva dichiarato materia di fede il ritenere che tutti i pagani, gli ebrei, gli
eretici e gli scismatici che fossero morti fuori della Chiesa cattolica sarebbero stati inevitabilmente condannati
all'inferno. San Tommaso e tutta la tradizione medievale avevano insegnato che non vi era alcuna salvezza per chi
fosse vissuto nell'era cristiana senza fede esplicita in Cristo. Essi erano convinti che chiunque avesse udito di
Cristo e non avesse creduto in lui non potesse che essere colpevole del peccato di incredulità, per il quale sarebbe
stato giustamente dannato. I papi e i concili medievali avevano dichiarato ripetutamente che non vi era salvezza al
di fuori della Chiesa. Eppure abbiamo qui un teologo cattolico che insegnava a Roma il quale ebbe l'ardire di
suggerire non soltanto che potevano essere salvate persone che non avevano mai udito di Cristo, ma che taluni
ebrei, musulmani ed eretici potrebbero non essere colpevoli del peccato di incredulità, e in tal caso trovare la
salvezza attraverso una sincera fede in Dio e contrizione per i loro peccati”61.
La scoperta di grandi masse di popolazioni non evangelizzate e una riflessione sulla psicologia
umana relativa al processo di conversione sono stati i motivi che hanno portato a questi teologi
domenicani e gesuiti a mettere in campo nuovi elementi per spiegare l‟universalità della volontà
divina di salvezza e per determinare meglio la portata dell‟assioma extra Ecclesiam nulla. Dal
Concilio di Firenze si è fatta parecchia strada.
5. Gli interventi di Pio IX (+ 1878) e di Pio XII (+1958)
La dottrina di Pio IX sul nostro argomento è da inserirsi nel quadro della mentalità culturale
sorta con il movimento illuminista. Le cause all‟origine dell'Illuminismo sono molteplici e a noi non
ci interessano in questa sede. Il nostro punto di partenza è la esistenza di fatto di questa sensibilità
illuministica, che consiste nell‟affermazione che l'uomo dipende fondamentalmente di sé stesso, che
abita in un mondo che egli stesso può scoprire e dominare servendosi della ragione e, ciò che è
ancora più importante, che egli deve guidare se stesso nella vita individuale e sociale62. L'uomo può
e deve ottenere la propria perfezione morale attraverso la ragione, imparando a configurarsi con un
cosmo che è altrettanto razionale63.
Questa affermazione non contiene necessariamente una dichiarazione di guerra contro Dio, ma
modifica il modo di considerare la relazione con Lui. Si intende abbandonare la tutela di una
tradizione accettata per via di autorità, per guardare a Dio come artefice e donatore della ragione e
della coscienza che l'uomo deve seguire. Tuttavia, sebbene Dio non venga direttamente negato, il
ruolo della rivelazione e della religione diventano problematici da questa prospettiva. Infatti, se la
ragione umana è criterio primo e ultimo di valutazione, tutto ciò che esula dal suo ambito – la fede,
la rivelazione – passa necessariamente ad occupare un ruolo secondario; anzi viene negato o
eliminato nella misura in cui entra in contrasto con la nuda ragione. Solo a quest‟ultima, e non alla
rivelazione, riconoscono gli illuministi un ruolo universale. Per Reimarus (1774 circa) se la
conoscenza di Dio è soltanto possibile per la rivelazione di Cristo consegue che, da una parte, gli
uomini che sono nati prima di Lui sarebbero stati esclusi di quella conoscenza e, dall'altra, neanche
61 F. J. Sullivan, Salvation, o.c., pp. 97–98.
62 Nell‟Età dell'Illuminismo, l'Europa del XVIII secolo fu testimone di notevoli cambiamenti culturali,
caratterizzati, fra l'altro, dall'esame sempre più critico della fede nelle tradizionali autorità religiose e dalla conseguente
esaltazione di idee laiche e di principi razionali e scientifici. L‟ottica era quella di una progressiva e totale
emancipazione dell'uomo dalle tenebre in cui, secondo gli illuministi, egli sarebbe stato tenuto dall'oppressione
religiosa: libertà, uguaglianza, fraternità (o fratellanza), diritti umani, scienza, pensiero razionale, autonomia del potere
politico e laicità dello Stato.
63 A differenza del razionalismo, il movimento illustrato intese la ragione in stretto rapporto alla esperienza
concreta della realtà (Kant: Critica della ragione pura) e come strumento per la trasformazione della società, della
politica e della mentalità collettiva. Con queste premesse era inevitabile che sul banco degli imputati salisse pure la
religione cristiana, in quanto la si riteneva fondata sull‟autorità e sulla tradizione e si pensava che il suo preteso statuto
di rappresentare la parola di Dio per l‟uomo fosse inverificabile.
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noi possiamo accedere con perfezione ad essa poiché non conosciamo Cristo, ma soltanto il
racconto imperfetto che ne offrono i vangeli. Per cui l'elemento decisivo per la perfezione morale
dell‟uomo non può essere Gesù ma la ragione umana, strumento universale dell'umanità che
permette l'accesso alle verità universali e durature. Ciò sarebbe anche in sintonia con un Dio giusto,
che non privilegia ad alcuni (coloro a cui è stata trasmessi il cristianesimo) ad scapito di altri (i
pagani che non conoscono Cristo)64.
Questa relativizzazione della religione portò direttamente a un atteggiamento di indifferentismo
religioso, alla convinzione cioè che le religioni fossero forme varie di rapportarsi al Dio fautore del
mondo, all‟Essere Supremo che la ragione può riconoscere come fondamento della ragione e della
moralità umana. Esisterebbe una verità comune a tutti gli uomini pii, ritrovabile nella sua forma più
pura nel cristianesimo e verificabile nella prassi della vita quotidiana65. E infatti, la presenza di
uomini virtuosi in tutte le confessioni e credenze religiose costituirebbe un segno del valore delle
religioni. Ne consegue la necessità di relativizzare le proprie convinzioni religiose ed essere
tolleranti. E ciò anche per evitare guerre di religione (come l‟inutile guerra dei Trent‟anni sancita
nel 1648 con la pace di Westfalia).
Messo innanzi a questo tipo di mentalità, Papa Pio IX si vide nell‟obbligo di difendere il
primato della rivelazione cristiana; essa infatti è stata data da Dio come via (unica) di salvezza per
tutti. Egli non poteva però ignorare le critiche sopra accennate relative al Dio cristiano (un Dio “di
parte”, interessato solo alla salvezza dei cristiani); doveva in qualche modo far leva sulla volontà
universale di salvezza, mostrare che Dio dona veramente a tutti, cristiani e pagani, la possibilità di
arrivare alla vita eterna. Con queste chiavi si possono leggere i vari riferimenti che egli fa alla
salvezza di pagani. Nell‟allocuzione Singulari quadam (1854), pur riaffermando la necessità della
chiesa per la salvezza, egli parla dell‟ invincibile ignoranza dalla quale le persone che non
abbracciano il cristianesimo possono essere soggettivamente scusate. Dice il papa:
“Va naturalmente ritenuto per fede che al di fuori della Chiesa romana apostolica nessuno può salvarsi, che
questa è l'unica arca della salvezza, e che chi non vi entrerà è destinato a perire nel diluvio; tuttavia va ritenuto
altrettanto certo che coloro che si trovano nell'ignoranza della vera religione non sono responsabili, se tale
ignoranza è invincibile, di nessuna colpa riguardo a ciò davanti agli occhi del Signore. E invero chi sarà tanto
arrogante da poter tracciare i limiti di tale ignoranza prendendo in considerazione la natura e la varietà dei popoli,
delle regioni, delle inclinazioni e di così tanti altri fattori? Soltanto quando saremo stati sciolti dai vincoli di
questo corpo (…) comprenderemo con certezza quanto stretto e meraviglioso sia il legame da cui sono congiunte
la misericordia e la giustizia divine; finché invece abitiamo sulla terra (…) atteniamoci fermissimamente alla
dottrina cattolica che vi sono „un solo Dio, una sola fede, un solo battesimo‟ [cfr. Ef 4,5], non è giusto proseguire
oltre la nostra ricerca”66
C‟e, dice il Papa in questo testo, una limitazione profonda dell‟uomo nella condizione
presente che non permette facili giudizi sulla salvezza o dannazione di chi non conosce il
vangelo. Questa ammissione attenua considerevolmente l'asprezza della dottrina espressa dal
concilio di Firenze nel decreto per i copti circa l'assoluta esclusione dalla salvezza di coloro che
64 La realtà è però diversa: dopo il peccato originale, persa la grazia divina, la ragione non riesce da sola a
garantire una guida sicura all‟uomo [vedi la riflessioni fatta da Paolo nell‟apertura della prima lettera ai Corinzi]. Gesù
invece, mediante il dono del suo Spirito può arrivare alla coscienza di ogni uomo per illuminarla e risanarla. A una
ragione ferita può assistere la grazia universale del Cristo.
65 Cf. S. Cavallotto, La vicenda dell'illuminismo, in Storia della teologia III (a cura di Rino Fisichella), EDB,
Bologna 1996, p. 15.
66 Allocuzione Singulari quadam, testo latino in Pii IX pontificis maximi acta, Pars prima, vol. I. Roma 1857, 620-
631, qui 626-627.
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si trovano al di fuori della chiesa67, nonché la posizione negativa assunta dal medesimo
documento circa il carattere obsoleto della religione ebraica68.
Le dottrine della necessità della Chiesa per la salvezza e dell‟ “invincibile ignoranza” in cui
vivono a volte i pagani furono riprese anni dopo dal Pontefice nella lettera enciclica Quanto
conficiamur moerore (1863). Qui Pio IX trae conclusioni più concrete per la salvezza dei non
cattolici. La salvezza è possibile a certe condizioni sia per i cristiani non cattolici, sia per gli
aderenti ad altre religioni; il Papa prosegue inoltre sottolineando il dovere, da parte della chiesa, di
intraprendere relazioni amichevoli con gli aderenti ad altre religioni.
“E a questo punto, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, ancora dobbiamo ricordare e biasimare il
gravissimo errore in cui sono miseramente caduti alcuni cattolici. Credono infatti che, vivendo nell‟errore, lontani
dalla vera fede e dall‟unità cattolica, possano pervenire alla vita eterna. Ciò è radicalmente contrario alla dottrina
cattolica. A Noi ed a Voi è noto che coloro che versano in una invincibile ignoranza circa la nostra santissima
religione, ma che osservano con cura la legge naturale ed i suoi precetti, da Dio scolpiti nei cuori di tutti; che
sono disposti ad obbedire a Dio e che conducono una vita onesta e retta, possono, con l’aiuto della luce e della
grazia divina, conseguire la vita eterna. Dio infatti vede perfettamente, scruta, conosce gli spiriti, le anime, i
pensieri, le abitudini di tutti e nella sua suprema bontà, nella sua infinita clemenza non permette che qualcuno
soffra i castighi eterni senza essere colpevole di qualche volontario peccato. Parimenti è notissimo il dogma
cattolico secondo il quale fuori dalla Chiesa Cattolica nessuno può salvarsi e chi è ribelle all‟autorità e alle
decisioni della Chiesa, chi è ostinatamente separato dalla unità della Chiesa stessa e dal Romano Pontefice,
Successore di Pietro, cui è stata affidata dal Salvatore la custodia della vigna , non può ottenere la salvezza eterna
[…]
Non sia mai che i figli della Chiesa cattolica siano nemici di coloro che non sono uniti a Noi dagli stessi
legami di fede e di carità; devono al contrario prodigarsi nel render loro tutti i servizi della carità cristiana, nella
loro povertà, nelle loro malattie, in tutte le altre disgrazie da cui sono afflitti; devono fare in modo di aiutarli
sempre e soprattutto di trascinarli fuori dalle tenebre di errori in cui miseramente versano, di ricondurli alla verità
cattolica e alla Chiesa, Madre amatissima, che non cessa mai di tender loro affettuosamente le sue mani materne,
di aprir loro le braccia, per rafforzarli nella fede, speranza e carità, per farli fruttificare in ogni genere di buone
opere e per far loro ottenere la salute eterna”69
Si tratta di un testo importante. Per prima volta un documento del Magistero indica con
concretezza ciò che era stato convinzione di vari Padri della Chiesa, e di numerosi teologi e
cristiani, ovvero, che i “pagani non evangelizzati” di retta vita morale sono graditi a Dio. Da notare
anche che:
–Il testo non parla di un contenuto preciso da credere per essere salvati (fides quae creditur),
ma della disposizione ad obbedire Dio, e di retta vita morale. Il testo presuppone tuttavia una certa
conoscenza di Dio da parte del pagano, il che permette di vedere una sintonia con la dottrina tomista
della fede implicita. Le buone disposizioni del pagano sono comunque frutto della luce e della
grazia divina. Questa ultima espressione sembra riferirsi alle cosiddette “grazie attuali”, ma nulla
vieta un‟interpretazione più generale: di grazia in tutte le sue accezioni, comprendendo la grazia
santificante.
–Dio nella sua suprema bontà non permette che qualcuno soffra i castighi eterni senza essere
colpevole di qualche volontario peccato. Che succede si un pagano cade in peccato? Ha qualche
possibilità di salvezza? Non è specificato. Ma forse si potrebbe applicare la dottrina classica della
contrizione perfetta, la quale elimina il peccato. Si dovrebbe però ammettere che un tale tipo di
contrizione sia possibile sotto l‟influsso diretto dello Spirito Santo, senza altre mediazioni che
quelle disponibili nell‟ambito della vita del non–evangelizzato.
67 Denzinger, Enchiridion symbolorum, cit., n. 1351.
68 Decreto per i copti, in DENZINGER, Enchiridion symbolorum, cit., n. 1348.
69 Lettera enciclica Quanto conficiamur moerore, testo latino in Pii IX pontificis maximi acta, Pars prima, vol. III,
Roma 1857, 609-621, qui 614.
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Questa dottrina di Pio IX costituisce il riferimento magisteriale più importante sulla salvezza
dei pagani prima del Concilio Vaticano II, e il punto di riferimento obbligato per il magistero
successivo. Tra questo ultimo è importante la presa di posizione di Pio XII con occasione del caso
di L. Feeney avvenuto verso la metà del secolo scorso70. Questo gesuita, docente al Boston College,
era ritornato ad una rigida interpretazione dell'assioma Extra ecclesiam nulla salus. Egli
considerava che la salvezza poteva riguardare solo i cristiani e i catecumeni, e prendendo spunto da
alcune dichiarazioni dei Papi e dei Concili – come p. es. quella del Concilio di Firenze che abbiamo
prima incontrato – insisteva sulla necessità di appartenere alla Chiesa per essere salvati, e
concludeva che solo chi aveva ricevuto il battesimo poteva essere salvo. La sua posizione fu però
respinta in una lettera del Santo Ufficio all‟arcivescovo di Boston71. Essa chiarisce quale sia il
rapporto con la Chiesa per persone in diverse situazioni. Tutti, per essere salvati, devono essere in
una qualche relazione con la Chiesa, ma l'esserne mèmbri reali non è un requisito assoluto. Purché
si sia in relazione con la Chiesa nel desiderio o anelito - anche implicitamente - e purché tale desi-
derio sia informato dalla fede e dall'amore soprannaturali, è possibile essere salvati. Il documento
presenta dunque esplicitamente il modo in cui la Chiesa intende l'assioma Extra ecclesiam nulla
salus. In esso si legge:
“Nella sua infinita misericordia Dio ha voluto che, di quei mezzi per la salvezza che solo per divina
istituzione, non invero per intrinseca necessità, sono disposti al fine ultimo, in certe circostanze, gli effetti
necessari alla salvezza, possano essere ottenuti anche dove siano applicati soltanto con il voto o il desiderio.
Questo lo vediamo enunciato con chiare parole nel sacrosanto concilio di Trento, sia riguardo al sacramento della
rigenerazione, sia al sacramento della penitenza.
A suo modo, la stessa cosa deve dirsi riguardo alla Chiesa, dato che essa è mezzo generale di salvezza.
Poiché non si richiede sempre, affinché uno ottenga l'eterna salvezza, che sia realmente (reapse) incorporato
come un membro nella Chiesa, ma questo almeno è richiesto, che egli aderisca alla stessa con il voto e il desiderio
(voto et desiderio). Questo voto, poi, non è necessario che sia sempre esplicito, come accade per i catecumeni, ma
dove l'uomo soffre di ignoranza invincibile, Dio accetta pure un voto implicito, chiamato con tale nome perché è
contenuto in quella buona disposizione dell'animo, con la quale l'uomo vuole la sua volontà conforme alla volontà
di Dio”72.
Infine la Lettera precisa di più come è da intendersi questo voto:
“E non si deve neppure pensare che sia sufficiente un qualsiasi voto di entrare nella Chiesa, perché l'uomo
sia salvato. Si richiede infatti che il voto, mediante il quale qualcuno è ordinato alla Chiesa, sia modellato
mediante la perfetta carità; e il voto implicito non può avere effetto, se l'uomo non ha una fede soprannaturale”.
Alcune osservazioni:
–Qui la questione si pone da una prospettiva più ecclesiologica: quale rapporto con la Chiesa
devono avere i non-evangelizzati per poter essere salvi? Si contesta con la dottrina del voto
implicito, indicando che esso si trova laddove si vuole obbedire Dio. Il testo dunque si muove nella
70 Cf. Lettera del S. Ufficio all’arcivescovo di Boston, 8-VIII-1949 (Dz-Sch 3866-3873). Pio XII sostiene inoltre
la dottrina espressa da Pio IX nella Quanto confiacimur moerore, nella sua Enciclica Mystici Corporis, del 29-VI-1943,
dove afferma: “Anche questi che non appartengono al visibile organismo della Chiesa (…) li affidammo alla celeste
tutela (…) Invitiamo tutti e singoli ad assecondare spontaneamente gli interni impulsi della divina grazia e a far di tutto
per sottrarsi al loro stato in cui non possono sentirsi sicuri della propria salvezza (Pio IX "Jam nos omnes", 13 Sett.
1868: Act. Conc. Vat. C. L., VII, 10), perché, sebbene da un certo inconsapevole desiderio e anelito siano ordinati al
mistico Corpo del Redentore, tuttavia sono privi di quei tanti doni ed aiuti celesti che solo nella Chiesa Cattolica è dato
di godere”.
71 Feeney fu scomunicato il 4 febbraio 1953, ma più per il suo ostinato rifiuto di discutere a Roma la sua dottrina
e il suo apostolato, che per sostenere formalmente una posizione eretica. Tuttavia entrambe le materie erano di fatto
collegate. Pochi anni prima della sua morte, avvenuta nel 1978, Feeney si riconciliò con la Chiesa. Egli però non dovete
in questa occasione fare una professione pubblica di fede.
72 Ibid.
21
linea di quello di Pio IX, esso afferma in chiave ecclesiologica, ciò che l‟altro svolgeva in chiave
antropologica.
–Poi però si precisa di più e si dice che per affinché questo voto sia efficace (dal punto di vista
della salvezza) richiede la grazia (intesa come santificante: “perfetta carità”) e la fede
soprannaturale. La frase è abbastanza arguta. È lecito chiedersi per quale motivo sia stata aggiunta
al testo questa ultima frase. A mio parere la ragione è ricordare la dottrina che per ottenere la vita
eterna si richiede che l‟uomo sia stato previamente giustificato: che sia in grazia di Dio. Le
disposizioni umane del catecumeno o del pagano, suscitate dai divini ausili di grazia, devono essere
tali che la giustificazione possa avvenire. Esse devono essere prima di tutto informate dalla fede
soprannaturale (initium salutis) la sola che apre la porta alla giustificazione. Non si fanno però
ulteriori valutazioni sul tema. D‟altro canto l‟affermazione papale contiene l‟idea che quando si è
giustificati (quando si possiede la grazia santificante) non si richiedono altre condizioni per la
salvezza: chi muore in grazia di Dio va in paradiso. Ci sembra che anche questa idea sia stata intesa
dal testo perché era stata formalmente negata da Feeney. Il gesuita pensava che il desiderio del
battesimo donava sì la grazia santificante, ma senza la ricezione materiale del battessimo tale grazia
non era in grado di salvare. Egli dunque separava la giustificazione della vita eterna: esse non erano
più in continuità, come il seme e la pianta (grazia e gloria) ma dovevano per forza avere natura
diversa73.
–Da sottolineare infine l‟idea che il desiderio del battesimo sorretto dalla grazia santificante
dice sempre relazione alla Chiesa. Esso instaura un legame con la Chiesa che il santo Ufficio
chiama “ordinazione alla Chiesa”74. Di questa terminologia si servirà alcuni anni dopo il concilio
Vaticano II.
73 Si incideva allora in una nozione di giustificazione diversa di quella sulla quale il Concilio di Trento aveva
basato la risposta cattolica alla concezione luterana (Decreto sulla giustificazione).
74 Cf. Lettera del S. Ufficio all’arcivescovo di Boston, 8-VIII-1949 (Dz-Sch 3871, 3872).
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