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Blanchard: La crisi economica globale
Il modo migliore per capire l'origine della crisi 2007-2010 è esaminare la figura 1 che ci mostra i
prezzi delle case dal 1890 (linea rossa). La figura mostra due episodi in cui i prezzi delle case sono
aumentati rapidamente. Il primo, alla fine degli anni quaranta è facile da capire: alcune case furono
costruite durante la seconda guerra mondiale: al momento, l'economia stava usando la maggior
parte delle sue risorse a fini bellici. Alla fine del conflitto si formarono molte nuove famiglie, molti
nuovi bambini nacquero e la domanda di case esplose. Ma l'offerta di case era limitata, quindi i
prezzi salirono vertiginosamente.
Figura 1a. Prezzi delle case, costo dei mutui e crescita della popolazione
Tuttavia, l'aumento dei prezzi delle case negli anni quaranta è piccolo rispetto a quello che si è
verificato nel primo decennio di questo secolo. E in quel periodo non c'era alcun motivo evidente
perché i prezzi dovessero aumentare così tanto. Come mostra la figura 1a, né i costi di costruzione
che cadevano, né la crescita della popolazione che non accelera possono giustificare un rapido
aumento dei prezzi. Eppure il boom continua per un decennio ma, infine, poiché nulla può durare
per sempre, si ferma e la caduta dei prezzi delle case (i prezzi sono diminuiti in media circa il 30%
negli Stati Uniti tra il 2006 e il 2009, vedi figura 1a) ha messo in crisi l'intera economia.
Gli Stati Uniti non sono l'unico paese in cui i prezzi delle case sono aumentati molto. Nel Regno
Unito, Irlanda e Spagna i prezzi sono aumentati ancora di più dal 1980 (figura 1b). La figura 2
mostra ciò che è accaduto alla fine: in meno di un anno il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti è
più che raddoppiato, aumentando dal 4,5% al 9,5%. Subito dopo la recessione ha colpito il mondo
intero.
Il valore delle case in cui vivono rappresenta circa un terzo della ricchezza totale delle famiglie
americane (32% nel 2007). Non è quindi sorprendente che un forte calo dei prezzi delle case possa
avere indotto le famiglie a consumare meno. Tuttavia è sorprendente che un calo del 30% dei prezzi
delle case abbia generato una fase di profonda recessione. Il 19 ottobre 1987 (successivamente
chiamato "Lunedì Nero", Wall Street subì un calo del 20,4% in un solo giorno. I titoli sono meno
importanti delle case nella ricchezza delle famiglie degli Stati Uniti: essi rappresentano comunque
circa il 20% della loro ricchezza totale, una quantità non trascurabile. Ciononostante il crash del
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1987 non ebbe quasi nessun effetto sulla crescita e il consumo. L'anno seguente la crescita del
reddito accelerò al 4%, un punto in più del 1987.
Figura 1b. Andamento dei prezzi delle case in altri paesi
Figura 2. PIL e disoccupazione negli USA e nel mondo
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Famiglie 'sott'acqua'
Nella sezione precedente due domande sono rimaste senza risposta: perché il valore delle case è
esploso dopo il 2000 e perché gli effetti della esplosione sono stati così drammatici?
Cominciamo dall'aumento dei prezzi delle case. È evidente, guardando la figura 1b che i prezzi
delle case stavano cavalcando una bolla. 'I prezzi delle case non possono cadere!', è stata una
dichiarazione comune negli anni prima dello schianto. Tale esuberanza è spesso irrazionale.
L'aumento dei prezzi delle case è stato anche l'effetto di un lungo periodo di tassi di interesse
estremamente bassi che ha reso il prestito per comprare una casa molto attraente – soprattutto se si
ritiene che la bolla debba continuare! La Fed mantenne bassi i tassi di interesse perché l'inflazione
era bassa. I prezzi delle case stavano aumentando molto velocemente, ma questi prezzi non entrano
direttamente nell'indice utilizzato per calcolare l'inflazione. Quello che entra è il costo dell'affitto di
una casa, e questo non aumenta così velocemente come i prezzi delle case e, in ogni caso, non
abbastanza velocemente da modificare significativamente l'indice dei prezzi al consumo. Così, i
prezzi delle case continuarono a crescere sia a causa dell'esuberanza razionale sia per i tassi di
interesse molto bassi. Se i prezzi delle case fossero stati inclusi nell'indice utilizzato per calcolare
l'inflazione, quest'ultima sarebbe aumentata e la Fed forse avrebbe aumentato i tassi di interesse. La
bolla immobiliare non sarebbe forse cresciuta così tanto.
I prestiti per la casa sono stati incoraggiati anche da un cambiamento nella severità dei requisiti
fissati dalle banche per approvare un mutuo. Il risultato è stato che anche le famiglie che avevano
una probabilità relativamente bassa di pagare le rate dei mutui, i cosiddetti clienti 'subprime', hanno
ottenuto comunque un prestito. Perché le banche si assumono questi rischi? Il punto è che non lo
hanno fatto, o almeno molto meno di prima. In passato una banca manteneva un mutuo sui suoi libri
fino al giorno del completo rimborso. Aveva così un forte incentivo a vigilare sul cliente e
assicurarsi che fosse solvibile.
Oggi, invece, una banca può concedere un gran numero di mutui e vendere lo strumento
finanziario che li contiene ad altri investitori. Quando un investitore, a volte un'altra banca, compra
uno di questi titoli – che contiene migliaia di ipoteche e viene chiamato mortgage-backed security –
non può controllare la qualità di ogni singolo prestito. La qualità e la sicurezza sono certificate da
un'agenzia di rating. Ma le agenzie di rating non possono controllare ogni singolo prestito. Il
risultato è che il controllo della qualità si è indebolito e le banche sono diventate molto meno attente
nel concedere prestiti.
Se le banche non sono attente non sorprende che, quando i prezzi delle case iniziano a cadere,
alcune famiglie finiscano 'sott'acqua', ossia quanto hanno preso in prestito dalla Banca supera il
valore di mercato della loro casa. Quando questo accade molte famiglie (soprattutto se pensano che
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i prezzi delle case non torneranno più al livello precedente) sono costrette a lasciare la casa. Il
mutuo quindi va in default e la casa viene pignorata ossia la proprietà è trasferita alla banca. Poiché
il valore della casa è minore del valore del prestito che è stato inizialmente concesso, la banca
realizza una perdita.
Tuttavia, questo non basta per spiegare cosa è successo. La maggior parte delle famiglie non
abbandonano la loro casa quando il prezzo della casa scende sotto il valore del prestito bancario (a
meno che essi non possano più permettersi il mutuo). Le banche hanno realizzato grandi perdite
sulle case pignorate, ma non abbastanza grandi da spiegare il tracollo del sistema finanziario
internazionale. Né un calo del 30% dei prezzi delle case giustifica, di per sé, la forte caduta nei
consumi delle famiglie (−3.5% a tassi annui per due trimestri consecutivi) alla fine del 2008.
Qualcos'altro deve aver lavorato per amplificare lo shock.
Gli effetti amplificati della leva
Per capire come l'effetto della caduta dei prezzi delle case è stato amplificato fino al punto da
causare una forte recessione, abbiamo bisogno di introdurre un concetto non menzionato finora: il
leverage o leva. Il modo migliore per farlo è con un esempio.
Tavola 1. Cosa è il leverage (leva finanziaria)?
Attività Passività Capitale Leva
Banca 1 100 80 20 5
Banca 2 100 85 5 20
Prendiamo in considerazione i bilanci delle due banche che compaiono nella tavola 1. Entrambe
hanno attività per un valore pari a 100. Queste attività potrebbero essere, per esempio, i prestiti
ipotecari sulle abitazioni. Le due banche differiscono nel modo in cui le loro attività sono finanziate:
la banca 1 ha finanziato i mutui con 20 di capitale proprio (il capitale iniziale accantonato quando è
stata istituita) e ha preso a prestito 80 sul mercato, per esempio aprendo depositi per 80. La banca 2,
invece, ha utilizzato solo 5 di capitale proprio e ha preso a prestito 95. La leva finanziaria è il
rapporto tra attività e capitale proprio:
Leva finanziaria = attività/capitale
La banca 1 ha 100 di attività e 20 di capitale: la sua leva finanziaria è 100/20 = 5. Per la banca 2 la
leva finanziaria è 20 (100/5).
Ora chiediamoci che cosa accade se il valore delle attività passa da 100 a 80, per esempio perché
i prezzi delle case scendono del 20%. Quando i prezzi delle case vanno giù il valore delle ipoteche
(che sono sostituti dal valore delle case finanziate) va giù del 20%. Banca 1 rimane solvibile, dal
momento che il suo capitale è sufficiente per assorbire la perdita di 20. Banca 2, invece, va in
bancarotta perché non è in grado di far fronte alle perdite con il suo capitale. Ecco perché un
rapporto di leva alto è rischioso: in caso di un calo del valore delle sue attività, la banca potrebbe
diventare insolvente.
Anche se è rischioso, le banche preferiscono avere un rapporto di leva elevato. Si supponga che
il patrimonio che la banca ha investito garantisca un rendimento del 10% e dimentichiamoci i costi
(immaginiamo per semplicità che la banca possa prendere in prestito senza pagare alcun interesse:
questo è ovviamente irrealistico, ma negli anni prima della crisi, i tassi di interesse, come abbiamo
già accennato, erano molto bassi). I proprietari della Banca 1 avranno un ritorno sul loro capitale del
50%: 10/20. I proprietari della Banca 2 fanno molto meglio: il loro rendimento è 10/5, cioè il 200%.
Non c'è niente di nuovo in questo. È solo la 'ferrea legge della finanza': è possibile ottenere
rendimenti più elevati solo se siete disposti a correre rischi più elevati. Fintanto che i prezzi delle
case aumentavano, mantenendo una leva alta le banche potevano guadagnare enormi profitti e
nessuna falliva. Ma questa lunga luna di miele non poteva durare all'infinito e, quando giunse al
termine, molte banche si trovarono senza sufficiente capitale per assorbire le perdite: erano in
bancarotta.
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Perché il governo non intervenne, imponendo un limite sulla leva, è un'altra storia. Una
spiegazione, come abbiamo già accennato, è che l'ampliamento del numero di cittadini americani
possessori di una casa era un obiettivo politico: per raggiungerlo il governo doveva rendere
attraente per le banche investire in prestiti immobiliari. Il modo per farlo era consentire alle banche
di fare prestiti con una elevata leva finanziaria, cioè non con il proprio capitale, ma con denaro
preso in prestito a buon mercato. Quando le cose andavano bene, questo significava rendimenti
elevati per la banca e per i banchieri stessi perché i loro bonus erano legati ai profitti della banca.
L'interesse dei banchieri spesso si traduceva in contributi per la campagna elettorale dei politici che
poi facevano pressioni per mantenere una normativa permissiva in materia di leva.
Nel corso del tempo l'esempio e la cattiva regolamentazione delle banche si sono diffusi ad altre
istituzioni finanziarie. La tavola 2 mostra la leva media degli istituti finanziari più importanti negli
USA nell'anno precedente alla crisi. Il mercato finanziario degli Stati Uniti ha cominciato ad
apparire come una piramide invertita: un enorme massa di investimenti rischiosi si appoggiavano su
un piccolo piedistallo di capitale. Non sorprende che quando il mercato ha smesso di crescere,
queste istituzioni si siano rivelate molto fragili. Emettendo credit default swap alcune compagnie di
assicurazione si sono esposte sul mercato immobiliare e, quando il mercato immobiliare è crollato e
il valore dei prestiti è caduto, hanno cominciato a perdere senza avere sufficiente capitale per
assorbire le perdite.
Tavola 2. Leva finanziaria di alcune istituzioni finanziarie americane nel 2007
Banche commerciali 9.08
Banche cooperative 8.07
Società finanziarie 10.00
Banche di investimento e hedge funds 27.01
Fannie Mae e Freddie Mac 23.05
Figura 3. Credito al settore privato non finanziario
Finora, abbiamo capito perché la leva è attraente (per i banchieri), ma anche rischiosa. Che dire
dell'amplificazione? Perché la leva alta ha amplificato gli effetti sull'economia della caduta dei
prezzi delle case? Quando il valore del loro patrimonio è caduto, alcune banche con alta leva
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finanziaria sono fallite. Ovviamente hanno smesso anche di concedere prestiti. Ma anche le banche
che avevano abbastanza capitale e sono sopravvissute hanno cominciato a preoccuparsi. Per poter
sopravvivere avevano usato quasi tutti i loro capitali e si erano indebolite.
Riprendendo l'esempio precedente, Banca 2 va in bancarotta, Banca 1 si salva ma emerge dalla
crisi con zero capitale e una leva infinita. Banche come Banca 1 hanno cercato di rafforzare la loro
posizione in tre modi. In primo luogo cercando di raccogliere più capitali, ma questo non è facile
perché le crisi non sono un buon momento per convincere la gente ad investire in una banca. In
secondo luogo riducendo l'importo dei prestiti concessi, che significa fare meno nuovi prestiti e non
rinnovare quelli in scadenza. In terzo luogo vendendo a qualunque prezzo altre attività liquide
(principalmente titoli) in portafoglio. Il risultato è stato un congelamento del credito (come
documentato nella figura 3) e una vendita di realizzo nel mercato azionario. Le vendite di realizzo
(fire sales) accadono quando gli investitori hanno bisogno di vendere i loro asset rapidamente e
questo fa cadere i prezzi. Questi sono i principali canali attraverso i quali la crisi finanziaria ha
colpito l'economia reale. La stretta creditizia ha ridotto gli investimenti e la caduta del mercato
azionario (in contemporanea con la caduta dei prezzi delle case) ha ridotto il valore della ricchezza
delle famiglie e, di conseguenza, i consumi.
Domanda di investimento, con le banche come intermediari
Nella sezione precedente, abbiamo visto che un importante canale per la trasmissione della crisi
all'economia reale sono i bilanci delle banche. Appena il loro capitale si è ridotto, le banche hanno
iniziato a tagliare il credito, cioè smesso di fare prestiti e questo ha scoraggiato gli investimenti.
Tutto questo non si spiega bene con un semplice modello IS-LM di investimento. Estendiamo
quindi il modello IS–LM per includere le banche.
Consideriamo il caso di un'impresa che deve decidere se comprare una nuova macchina.
L'impresa deve guardare al tasso di interesse. Tuttavia non c'è un tasso di interesse unico: il tasso di
interesse (il tasso sui depositi bancari, i) ricevuto dai risparmiatori è di solito inferiore al tasso al
quale le banche prestano alle imprese (il tasso di prestito, ). Quest'ultimo, cioè il costo di un
prestito da una banca, è solitamente uguale al tasso ricevuto dai risparmiatori più un margine
(spread) x:
= i + x
Dunque, quando un'impresa deve decidere se comprare una macchina, ρ è il tasso di interesse da
considerare. La domanda di investimenti dipende quindi dal costo dei prestiti bancari (e non
semplicemente dal tasso di interesse) e può essere espressa come:
I = I (Y, ρ )
(+, −)
Gli investimenti sono funzione del reddito reale e del tasso di prestito. Il segno positivo sotto Y
(reddito reale) nell'equazione indica che un aumento del livello di reddito reale conduce a un
aumento degli investimenti. Ciò accade perché un reddito più alto da luogo anche a una maggiore
domanda di consumi, per fronteggiare questa domanda le imprese devono creare nuova capacità
produttiva attraverso gli investimenti. Il segno negativo sotto ρ indica che un aumento del costo dei
prestiti bancari porta con sé una diminuzione degli investimenti.
Il margine x dipende da due fattori:
1) Il capitale delle banche (B). Come abbiamo detto nella sezione precedente, le banche vogliono e
spesso hanno bisogno di mantenere un sufficiente livello di capitale: il livello minimo di capitale
può essere determinato da norme, o semplicemente desiderato dalla banca per non aumentare troppo
la sua leva.
Ora si supponga che il capitale di una banca si riduca, per esempio perché alcuni clienti non
riescono a rimborsare i loro prestiti. Il capitale della banca assorbe la perdita e si riduce di un
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importo equivalente alla perdita nel portafoglio dei prestiti (ricordate sempre l'identità contabile:
attività = passività, ovvero prestiti + altre attività = capitale + depositi). Una caduta del capitale
della banca aumenta la leva. Per ovviare alla caduta del suo capitale, al fine di ripristinare l'originale
rapporto di leva, la banca ha due opzioni: aumentare il capitale o diminuire le attività.
Per aumentare il capitale può cercare nuovi investitori, disposti a investire nella banca capitale
fresco. Oppure si può vivere con il capitale che resta e ridurre il proprio patrimonio riducendo il
volume dei prestiti. Entrambe le strategie hanno l'effetto di ridurre la leva finanziaria della banca
che è aumentata a causa delle perdite sul portafoglio dei prestiti.
Ad esempio, immaginate che una banca, con un patrimonio pari a 100 e capitale pari a 20,
registri una perdita pari a 2. Il capitale scende a 18. La leva quindi aumenta da 5 (= 100/20) a circa
5.5 (= 100/18). Per diminuire la leva tornando al livello precedente (5), la banca può aumentare il
capitale a 20 (trovando investitori disposti ad investire una somma pari a 2 nel capitale della banca),
oppure deve ridurre il suo patrimonio a 90, affinché leva vada giù a 5 (= 90/18). Per ridurre le
attività da 100 a 90, le passività devono ridursi fino a 72 (in modo che passività (72) + capitale (18)
= attività (90)). Poiché trovare nuovi investitori richiede tempo, la prima reazione a una perdita di
capitale è quella di ridurre le attività riducendo il volume dei prestiti, per esempio con il blocco di
nuovi prestiti. Di conseguenza, quando il capitale delle banche si riduce, cade anche l'offerta di
prestiti. La contrazione dell'offerta porta con sé un aumento del prezzo, le banche quindi chiedono
un margine più alto per concedere prestiti.
2) Capitale delle imprese (F). Per capire questo, si consideri un'impresa che debba decidere se
comprare un nuovo macchinario il cui costo è I. Per acquistarlo l'impresa chiede alla banca un
prestito pari a I. Si supponga ora che l'impresa abbia un patrimonio (il valore delle sue macchine e
impianti, il denaro in banca, le attività finanziarie e altri beni che possiede) pari a F. Il costo del
prestito dipende quindi dalla differenza I-F.
Per capire meglio bisogna considerare che il valore di F, può essere utilizzato come una garanzia
per il prestito: spesso un contratto di prestito specifica che se il debitore non riesce a ripagare I, la
banca può appropriarsi di F. Ma prestiti superiori a F non possono essere garantiti dal capitale
dell’impresa e quindi sono più rischiosi per la banca. Per questo motivo, oltre a pretendere F come
garanzia, la banca addebita un margine x. Questo spread viene chiamato premio finanziario esterno,
ed è il premio che la Banca chiede per prestiti non pienamente garantiti. Quali fra gli asset
dell'impresa saranno accettati come garanzia, e quindi il valore di F, dipende dalla banca. Alcune
banche accettano solo attività molto liquide, contanti o obbligazioni pubbliche; altre possono
accettare anche beni immobili che sono più rischiosi perché la banca non può essere sicura del
valore ricavabile in caso di vendita. Ciò che spesso succede è che meno liquido è un bene e meno
viene accettato come garanzia.
Un capitale di credito F serve non solo come esplicita garanzia per la banca: esso crea anche
incentivi a scegliere progetti di investimento redditizi e a portarli avanti con attenzione. Più alto è F,
più l'impresa ha da perdere se il progetto non ha successo. Questa è un'altra ragione alla base dello
spread, x dipende da I- F.
Quindi lo spread x dipende sia dal capitale delle banche che da quello delle imprese, pertanto
possiamo scrivere:
x = x (B, F)
( − − )
I segni meno sotto F e B mostrano che, quando il capitale delle banche o delle imprese diminuisce,
lo spread x aumenta e viceversa.
La riduzione del capitale di banche e/o imprese influisce sui prestiti? Consideriamo una caduta
del capitale delle imprese, F (cioè, una riduzione degli attivi finanziari che riduce il valore delle
garanzie che l'impresa può fornire). Lo spread aumenterà e lo stesso farà il costo del credito. I
prestiti bancari cadranno. Gli investimenti e l'output andranno giù.
Prendiamo ora in considerazione l'effetto sui prestiti di una caduta del capitale delle banche, B.
Abbiamo già visto che le banche sono propense a rispondere ad un calo di B tagliando i prestiti.
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L'effetto è uguale a quello prodotto da una caduta del capitale delle imprese. Per ogni livello del
tasso di rifinanziamento ρ una caduta di B aumenterà lo spread x e il costo del credito per le imprese
e di conseguenza si ridurranno investimenti e output.
Ora torniamo al modello IS-LM. Dal momento che gli investimenti entrano nella linea IS ma
non in quella LM, tutto quello che dobbiamo fare è sostituire, nella relazione IS, la domanda di
investimenti che conoscete con la nuova versione sopra descritta. La nuova curva IS è quindi una
funzione dello spread x poiché l'investimento dipende dal costo dei prestiti e quindi da x: I [Y, i + x
(B, F)]. Non cambia nient'altro.
Così, quando il capitale delle banche si riduce – per qualsiasi motivo, ad esempio perché il
numero di famiglie non in grado di rimborsare i loro mutui o prestiti sulla carta di credito aumenta –
la curva di offerta dei prestiti si sposta verso l'alto, lo spread x aumenta e con esso anche il costo dei
prestiti bancari anche se il tasso di interesse non è cambiato. Il risultato è che la curva IS si sposta a
sinistra e il nuovo livello di equilibrio dell'output diminuisce come mostrato nella figura seguente.
Figura 4. LM e 'nuova' IS.
Figura 5a. Spread in alcuni paesi 5b. Crollo degli investimenti
In sintesi: qualsiasi evento che colpisce il valore dei beni che compaiono nei bilanci delle banche
(o delle imprese) – quindi qualsiasi evento che modifica il capitale di banche o imprese – incide
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anche sul livello di equilibrio dell'output. Inoltre, più alta è la leva finanziaria maggiore è l'effetto
sull'output di una data caduta del valore dei beni. Il motivo è che più alta è la leva maggiore è la
riduzione del capitale per ogni data perdita di valore delle attività. Questo spiega esattamente perché
la crisi finanziaria ha colpito l'economia reale così duramente: uno shock relativamente piccolo in
termini di valore delle attività bancarie (le perdite sui subprime e altre ipoteche) è stato amplificato
dalla leva alta e ha prodotto grandi perdite nel capitale delle banche. Ciò ha spinto verso l'alto lo
spread provocando una corrispondente caduta degli investimenti. La figura precedente mostra
proprio questo: l'ampliamento dello spread che nella figura è misurato dallo spread sui corporate
bonds, vale a dire la differenza tra il tasso di interesse che le imprese pagano sulle obbligazioni
emesse () e il tasso di prestito (). Nella figura 5b è rappresentato il crollo degli investimenti in
quattro paesi durante la crisi in Europa e negli Stati Uniti.
Il contagio internazionale
La crisi finanziaria che ha avuto inizio negli U.S.A. si è rapidamente estesa a tutte le principali
economie avanzate e ai paesi emergenti. Il principale canale di trasmissione è stato il commercio. L'
apertura dei mercati ha un'importante implicazione macroeconomica: i consumatori e le imprese
spendono parte del loro reddito disponibile in merci straniere.
Quando il reddito disponibile cade, anche il consumo diminuisce e questo riduce sia la domanda
di beni prodotti all'interno sia quella di merci straniere, le importazioni. Durante la crisi finanziaria,
quando i consumatori e le imprese hanno smesso di spendere, le importazioni statunitensi sono
crollate. La figura 6 mostra che, in appena pochi mesi dal luglio 2008 al febbraio 2009, le
importazioni americane di beni sono diminuite del 46%! Dato che gli Stati Uniti d'America sono il
più grande importatore di merci in tutto il mondo (le importazioni americane rappresentano intorno
al 13% delle importazioni totali del mondo), un simile crollo ha rappresentato una grande
diminuzione delle esportazioni per i paesi esportatori verso gli U.S.A. Nel complesso, la
contrazione del commercio internazionale (considerando sia le importazioni che le esportazioni) ha
raggiunto il 12% nel corso del 2009 (figura 7).
Figura 6. Importazioni degli Stati Uniti. 2006-09
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Figura 7. Il commercio mondiale (esportazioni +importazioni) tra il 1970 e il 2010.
Il contagio è stato maggiore nei paesi relativamente più dipendenti dal commercio estero, la
Germania per esempio. Tra le economie aperte, quelle con forti legami commerciali con gli Stati
Uniti – Canada e Messico al di sopra di tutti, ma anche l'UE e la Cina – hanno sofferto di più. Gli
effetti del contagio internazionale sono stati amplificati in paesi come il Regno Unito e l'Irlanda
dove le banche nazionali hanno sofferto di problemi simili a quelli delle banche degli Stati Uniti.
Più in generale, il virtuale arresto del mercato interbancario, che è il mercato dove le banche
prendono a prestito fondi a breve termine da altre banche con eccesso di liquidità (che seguì il
fallimento di Lehman Brothers su 15 Settembre 2008) ha colpito le banche di tutti i paesi
diventando un altro importante canale di contagio.
La politica economica e la crisi
In questa sezione spieghiamo come le politiche monetaria e fiscale sono state utilizzate per
rispondere alla crisi. I dati di base sono mostrati nella figura 8.
Le Banche centrali hanno usato la politica monetaria per tagliare i tassi di interesse fino a valori
vicini allo zero, mentre i governi hanno usato la politica fiscale per sostituire la domanda privata
con quella pubblica, cercando di compensare la caduta nel consumo privato e nell'investimento
privato con maggiore spesa pubblica. Parte dell'aumento del deficit di bilancio è stato automatico, a
causa degli effetti degli stabilizzatori automatici (ad esempio, sussidi di disoccupazione più elevati),
parte è dovuta a specifiche azioni da parte dei governi, come ad esempio l'aumento degli
investimenti pubblici e la riduzione delle aliquote fiscali (pannello inferiore della figura 8).
Queste misure hanno funzionato? Sono state cioè efficaci nel limitare l'effetto della crisi
finanziaria sulla produzione e l'occupazione? Prima di rispondere a questa domanda, abbiamo
bisogno di guardare più da vicino la politica monetaria, poiché ciò che hanno fatto le banche
centrali non è stato solo portare i tassi di interesse vicino allo zero. Per capire questo che dobbiamo
tornare alla trappola della liquidità nel modello IS–LM. La vediamo nella figura 9.
Figura 8.
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Riducendo il capitale delle banche e, attraverso questo canale, scoraggiando l'investimento, la
crisi finanziaria ha spostato la curva IS a sinistra fino a IS′. Prima della crisi, l'economia era in piena
occupazione nel punto E. La crisi ha spostato l'equilibrio in E′. La politica fiscale ha parzialmente
compensato lo spostamento della curva IS, portandola indietro a IS″ ma l'effetto non è grande,
almeno nel breve periodo, perché, per esempio, gli investimenti pubblici nelle infrastrutture – uno
degli elementi quantitativamente più rilevanti nel pacchetto di politica fiscale – richiede tempo per
tradursi in spesa.
La politica monetaria sposta la curva LM, ma quando raggiunge LM′ il tasso di interesse è pari a
zero e la 'tradizionale politica monetaria' non funziona più perché il tasso di interesse nominale non
può scendere sotto zero. Così l'economia è bloccata a Y″ e quello che la politica monetaria può fare
è aspettare che gli effetti della politica fiscale spostino ulteriormente la curva IS.
C'è qualcos'altro che la Banca centrale può fare? Ricordiamo perché la curva si è spostata in
primo luogo. E' accaduto perché la riduzione del loro capitale ha indotto le banche a vendere parte
dei loro beni, compresi i prestiti. Questo ha aumentato il costo dei prestiti per le imprese, e il
risultato è stato una caduta degli investimenti. Se la Banca centrale interviene per acquistare alcuni
dei beni di cui le banche vogliono sbarazzarsi (tra cui alcuni dei loro prestiti), il costo dei prestiti
non deve necessariamente cambiare. Per esempio: assumiamo che la banca voglia ridurre i suoi
prestiti al settore edile, e lo fa rifiutando di fornire qualsiasi nuovo prestito ai costruttori. Se la
Banca centrale è disposta a comprare una parte del portafoglio di prestiti per abitazioni della banca
(pagando in contanti), la banca può evitare di ridurre i prestiti a questo settore.
In altre parole, offrendo di acquistare beni dalle banche commerciali, la Banca centrale può
annullare l'aumento iniziale dello spread x, ed evitare una contrazione dei prestiti. In termini di
figura 9, la curva LM si sposta verso destra (poiché la Banca centrale stampa denaro per acquistare
beni delle banche), ma questo sposta anche la curva IS di nuovo verso destra. Il tasso di interesse
rimane a zero, ma la produzione si muove di nuovo verso Y*. Questo politica è chiamata
quantitative easing.
La Banca d'Inghilterra, per esempio, nel marzo del 2009 ha iniziato ad acquistare attività del
settore privato. Questi beni erano prestiti che le banche avevano fatto a imprese o obbligazioni
emesse da imprese e comprate da banche o da altri investitori. La Banca d'Inghilterra ha affermato
che lo scopo di questi acquisti era di 'alleviare la stretta nel mercato del credito alle imprese e, in
definitiva, di aumentare la domanda nominale', proprio come abbiamo visto nella sezione
precedente. Da settembre 2009, tali attività hanno rappresentato la quasi totalità delle attività
detenute dalla Banca d'Inghilterra (figura 10). Poiché il valore del patrimonio di una banca centrale
è uguale al valore delle sua passività (cioè le banconote emesse), i beni acquistati dalle banche
ammontavano a poco meno dell'intera offerta di moneta del Regno Unito.
Figura 10. Composizione delle attività della Banca d'Inghilterra
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Figura 11. Andamento della produzione industriale e delle vendite
Figura 12. Livello della produzione. Confronto fra la crisi attuale e quella del 29
Oggi sappiamo che l'intervento del governo ha funzionato consentendo di evitare una
depressione. La figura 11 mostra l'andamento della produzione industriale e delle vendite al
dettaglio fin dall'inizio della crisi. Anche se non si può attribuire l'inversione di tendenza osservata
nell'estate del 2009 solo alle politiche monetarie e fiscali, gli effetti degli shock finanziari sembrano
essere stati gravi ma limitati nel tempo. Questo è particolarmente sorprendente se confrontiamo la
crisi del 2007-2010 con ciò che è accaduto negli anni trenta. Figura 20.14 confronta i percorsi di
produzione industriale nella crisi del 2007-2010 con ciò che è accaduto dopo il 1929. La figura 12
mostra la produzione industriale, che è una misura molto imperfetta delloutput ma è l'unica misura
disponibile per gli anni trenta. È abbastanza evidente ciò che è accaduto è niente in confronto a
quello che è successo dopo la crisi finanziaria del 1929.
L'eredità della crisi
Guardando avanti quale eredità ci lascia questa crisi? L'eredità principale deriva dall'utilizzo di
criteri di politica fiscale che hanno portato ad un forte aumento del debito pubblico (vedi figura 13):
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come sarà risolto questo problema? L'eredità del debito elevato sarà con noi per lungo tempo. La
storia dimostra che l' accumulazione del debito – per esempio durante le guerre – richiede molto
tempo per essere invertita. A volte un debito elevato va di pari passo con un'inflazione elevata, che
è un modo per ridurre il valore reale del debito.
La preoccupazione per l'inflazione si pone anche per il modo in cui è stata utilizzata la politica
monetaria: non solo riducendo i tassi di interesse a zero, ma continuando con il quantitative easing,
come abbiamo imparato nella sezione precedente. In tempi normali, la Banca centrale avrebbe
'creato' ulteriore denaro comprando buoni del tesoro sul mercato con operazioni di mercato aperto.
Questa volta, tuttavia, la Fed e la Bank of England (in misura minore la BCE) hanno creato denaro
acquistando dal mercato una vasta gamma di titoli che, come nel caso delle ipoteche comprate da
parte della Fed, sono molto meno liquidi rispetto a quelli del tesoro. Quando le banche centrali
decideranno che è giunto il momento di alzare i tassi di interesse per impedire l'inflazione,
potrebbero trovare che la vendita di tali titoli sul mercato non è facile. L'eredità di un debito elevato
e la necessità di ridurlo condizionerà la politica economica nei paesi sviluppati per molti anni a
venire.
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