Download - Aprile Pino - Elogio Dell'Imbecille

Transcript

PINO APRILE ELOGIO DELL'IMBECILLE Gli intelligenti hanno fatto il mondo, gli stupidi ci vivono alla grande Presentazione di . SERGIO ZAVOLI

PIEMME Edizione 1997 Il Edizione, dicembre 1997 II Edizione aggiornata, agosto 2002 1997 - EDIZIONI PIEMME Spa . 15033 Casale Monferrato (AL) - Via del Carmine, 5 . Tel. 0142/3361 - Fax 0142/74223 . www.edizpiemme.it

Presentazione . La persona scontenta, incattivita, aggressiva la si pu placare con un po' di attenzione, di tolleranza, di simpatia; ma provate a rabbonire l'imbecille, a trarlo dalle sue inflessibili, persino energiche convinzioni, a insinuargli, mica tanto, un dubbio: solo in apparenza spaesato, prender tempo per ricominciare a tessere, si fa per dire, il suo ragionamento nell'ostinata idea che a non capire siate voi, inutilmente protesi a scaricare su di lui la vostra stessa imbecillit . Lo avete mai visto in quello stato? Quando non si sa - ed questo il momento, secondo me, pi pericoloso - che cosa stia pensando? Non pensa niente!, si consolano gli ingenui. Ammettiamolo, ma non proprio ci che pi va temuto? L'idea, intendo dire, che un pensiero gi debole possa come svignarsela, bighellonare chiss dove, perdere1filo, seppure un'inezia, di se stesso, e non trovare pi la strada per rifarsi vivo? Da quel pensiero cos ridotto quali danni dovremo aspettarci quando il titolare lo richiamer per rimetterlo in moto? . Sto riflettendo: forse dovremmo augurarci che l'imbecille non si stanchi al di l del normale, e quindi non riposi pi del necessario. Ma, soprattutto, che non si metta la testa sotto i piedi per dimostrarci di poterne disporre come crede; e nel frattempo, che so, mette al mondo defigli, lifa crescere, spiega loro la vita, decide di che cosa e come parlare, magari della libert, dell'amore, della morte, ma anche delle rondini, della nebbia, dei sogni . Che fissa il modo di pensare e di giudicare: da Boss a Dio, dallinfinito all'ora di pranzo, dalla gara spaziale alla partita a bocce. Che poi va a votare, e istruisce la moglie e i suoceri in attesa che tocchi anche aifigli. Per la statistica egli rappresenta la maggioranza, ma non vero: rappresenta l'umanit. La quale, secondo alcuni scienziati americani, non nasce intelligente. o meglio, il tasso di intelligenza di una persona sarebbe ereditato solo per un terzo, tutto il resto si acquisisce. Come? Confrontandoci con la vita. Perch si cresce, per ogni verso, in virt dei problemi che siamo costretti a risolvere. Primo fra tutti quello dell'intelligenza o, se preferite, dell'imbecillit. Non una cattiva notizia; l'idea che Michelangelo possa avere avuto, in tenera et, la testa di Esposito Gennaro o di Brambilla Ambrogio, produce grandi consolazioni e alimenta smisurate speranze, ma soprattutto induce a doverose prudenze; il primo imbecille che incontri, infatti, un giorno potrebbe affrescare la volta della Cappella Sistina o scolpire la Piet . 6. . PRESENTAZIONE . Se tutto questofosse vero, se cio la scienza riuscisse a provarci che l'imbecillaggine ha abitato in cascuno di noi fino a quando non l'abbiamo pi o meno sgominata mettendole contro, pian piano, l'intelligenza, dovremmo accettare per buona una ipotesi difronte alla quale nessuno si ritrae: tutti, in fondo, siamo migliori della nostrafama. Eforse, proprio per questo, un po'pi uguali. Fino ad accogliere, nella media, anche l'ignaro protagonista del libro . Sergio Zavoli PRESENTAZIONE . . 7 .. . . Perch ci sono tanti imbecilli? Non riuscivo a smettere di pensarci: mi sorprendeva la naturale tolleranza che c' per la stupidit. Mi scoprivo a chiedermi: ma gli altri si accorgono o no di come siano prive di senso troppe cose che abitualmente facciamo? E dal momento che non tutti sono scemi, possibile che non gliene importi nulla? . Poi incontrai Charles Darwin e ne fui folgorato . La scuola mi offriva una concezione tronfia dell'essere umano e delle sue magnifiche sorti e progressive. Darwin mi insegn a dubitarne. Delle sue opere, pi ancora che l'Origine della specie, mi colp L'origine dell'uomo, il meno conosciuto dei suoi capolavori. NE diede la sensazione di un segreto rivelato . .

L'essere umano un animale, molto simile alle grandi scimmie. Ci ha resi quel che siamo un lunghissimo processo evolutivo, regolato dalle stesse leggi che ancora guidano il cammino di tutte le specie (anche vegetali). Ci distingue dagli altri animali, persino da quelli pi vicini a noi, la quantit e la qualit della nostra intelligenza. Nessuno ne ha altrettanta, sul pianeta. Mi affascinava l'idea che lo stesso meccanismo che aveva dato a noi questa potenza cerebrale, l'avesse negata agli altri . Insomma: perch solo noi? (E perch, mi domandavo subito dopo, una cos bella dote viene usata tanto poco?) . . La regola evolutiva la stessa per tutti: la selezione naturale, la sopravvivenza del pi adatto . Cos prevalgono le caratteristiche che permettono alla specie (qualunque specie) di affrontare con vantaggio l'ambiente in cui inserita. La selezione naturale non ha un percorso stabilito: procede a caso e, da una serie ininterrotta di tentativi riusciti, nasce la caratteristica che garantisce la sopravvivenza della specie. Nel nostro caso si tratt dell'intelligenza . . Darwin stesso applic all'uomo la sua teoria, da altri banalmente riassunta, fin dall'inizio, nel modo (Discendiamo dalle scmmie) che indusse la pia moglie del vescovo anglicano di Worcester ad augurarsi: Almeno, che non si sappia in giro . . Ma il ragionamento di Darwin era molto pi complesso. In fondo, l'idea di derivare dalle scimmie non cos terribile: non lo siamo pi, questo conta. Molte famiglie hanno antenati altrettanto impresentabili; e, cronologicamente, ben pi vicini. Dal pensiero di Darwin mi sembrava di poter trarre qualcosa di pi: una spiegazione plausibile dell'intelligenza umana, in base a ragioni soltanto naturali. Che colpo, per l'uomo che si considera il .. . centro dell'universo: la sua potenza mentale, nel teatro della vita, non vale pi del mimetismo, della forza fisica o dell'apertura alare di altri animali. E per gioco, ma non troppo, cominciai a chiedermi: se ci furono specie acquatiche poi divenute terrestri; animal che strisciavano e ora volano; cosa assicura che non avvengano in noi ulteriori adattamenti che mutino la qualit e la quantit delle nostre caratteristiche, comprese quelle cerebrali? Siamo il solo essere pensante del pianeta: e chi ha detto che lo resteremo? . NE resi conto che persino la teoria dell'evoluzione umana poteva alimentare il nostro orgoglio di animali intelligenti, il bisogno di sentirsi speciali: la boria della specie.. . . L'indagine scientifica sulle nostre origini era una volta affidata solo all'esame dei- resti fossili dei primi ominidi e dei loro manufatti_ I risultati di tali ricerche, opportunamente elaborati, permettevano di costruire quelle tavole dell'evoluzione umana che illustrano i manuali scientifici: una serie di bipedi diligentemente messi in fila, secondo F(ipotetico) ordine cronologico della loro comparsa. Il primo, da sinistra, era praticamente uno scmmione: tozzo, peloso, curvo, le braccia e le gambe sproporzionatamente lunghe e arcuate, lo sguardo ottuso. Procedendo verso destra e verso l'oggi, i caratteri animaleschi si attenuavano, sino a sublimarsi nell'ultimo della fila, l'Homo sapiens sapens. Alto, bello, il mento e lo sguardo protes verso il futuro (qualcuno do11 i 1 i veva avergli detto che sarebbe diventato Leonardo da Vinci) . . Naturalmente, venivamo messi sull'avviso: quella ricostruzione era solo ipotetica; qualche ominide avrebbe potuto forse scambiare il suo posto nella fila con il vicino pi o meno scimmiesco; e c'era sempre l'anello mancante: il nostro antenato pi prossimo, gi quasi bello come noi, ma ancora un po' brutto e tonto come i predecessori . . Questo non indeboliva la sostanza della ricostruzione: per quanto bestiali potessero essere i suoi progenitori, l'essere umano rimaneva il meraviglioso punto d'arrivo d'un cammino intrapreso milioni d'anni fa. Come dire: in un modo o nell'altro, siamo speciali, unici. Dopo Darwin, non

eravamo pi il centro della creazione, l'opera pi importante di Do, l'essere pi nobile, il solo a somigliargl; ma restavamo pur sempre il capolavoro dell'evoluzione. E su questo poteva fondarsi la teoria che voleva vedere nell'uomo il centro della natura, la ragione capace di spiegare l'esistenza dell'intero universo . . Non ero in grado di esprimere giudizi sulle dispute scientifiche e teologiche che dall'intuizione di Darwin traevano origine. Non ero sicuro nemmeno del fatto che zio Charles avrebbe condiviso certi sviluppi (altrui) delle sue idee. Avvertivo soltanto, confusamente, che forse nella materia c'era qualcosa d'importante, che ancora poteva essere colto. Anche se non riuscivo ad andare pi in l di questa fastidiosa sensazione . 12 .. . . Ero poi finito giornalista e, dopo molti anni in un quotidiano, ero entrato in un settimanale, propro in uno dei momenti di maggiore incertezza morale e politica della recente storia italiana. Alla ricerca di risposte, di trasfusioni di saggezza, andavano molto le lunghe interviste a personaggi, famos per sapere e autorevolezza, in mancanza di un dichiarato 'Tecchio della montagna". Ne venivano fuori dei ritratti commentati, giudiziosi, infarcti di aneddoti e opinioni su ogni possibile tema. Ho avuto cos l'opportunit di incontrare diversi protagonist della storia del nostro secolo: alcuni mi hanno accolto nelle loro case, ho conosciuto le loro famiglie, a volte ho pranzato alla loro tavola, ho potuto, con H loro permesso (e talvolta ammetto, senza), curiosare sulle loro scrivanie nelle loro biblioteche. Forse avrei dovuto chiedermi: chi mi d il diritto di irrompere nella loro vita, di estorcere pareri, confessioni, rubare sentiment? Ma non mi sono mai sentito un intruso Arrivavo a considerare un diritto, il mio, di chie dere; e un dovere, il loro, di rispondere. Perch? Perch siamo animali sociali ed buona cosa met tere in comune, far circolare, le domande e le ri sposte. Per molto tempo ho pensato che "La ri sposta assoluta" esista, ma sbriciolata fra tutti gl uomini; ognuno ne possiede un granello e nor sa di averlo. Se qualcuno, come in un puzzle.. . . Un giorno, con il direttore della rivista in cui ancora oggi lavoro, decidemmo di fare un servi zio su Konrad Lorenz: era una "grande anna" gi premiato con il Nobel per il suo contributo alla nascita di una nuova scienza, l'etologa (che studia gli animali e i loro comportamenti); ma era conosciuto in tutto il mondo per il suo paterno modo di raccontare osservazioni scientifiche, come fossero storielle di animali. Un suo libro, L'anello di re Salomone, lo aveva reso giustamente famoso . . Dopo la mia giovanile infatuazione per Darwin, avevo saltuariamente coltivato, come tutti, per hobby e senza molto impegno, la mia personale ricerca sul "Trittico fondamentale": chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Non avevo fatto alcuna scoperta capitale, ma ero sempre pi sorpreso dalla naturalezza con cui l'essere pi intelligente del pianeta tende ad agire in modo del tutto irragionevole . . Di Lorenz avevo letto qualcosa e mi era piaciuto. Per prepararmi a incontrarlo, mi procurai tutto quello che trovai di lui e mi ci tuffai: prima per dovere, poi con interesse, poi con tale voracit che fui deluso non ci fosse altro da leggere. Fu una folgorazione, un'altra, e faceva il paio con quella darwiniana. NE domandavo quali sarebbero stati i risultati di uno studio sugli esseri umani e i loro comportamenti, secondo i principi e i metodi dell'etologia. Insomma: se l'uomo non che un animale (e non c' ragione, a parte l'orgoglio della specie, di pensare che sia il migliore), perch non sottoporlo a osservazione come si fa con gli altri e valutare le sue azioni alla luce degli stessi criteri 14 .. . scentifici e dello stesso distacco riservati ai lupi e alle oche? .

Avvertii istintivamente che questa poteva essere la strada per capire qualcosa di pi delle ragioni che ci spingono a comportarci da stupidi. Ormai, a ogni livello, la frequenza con cui trovavo degli imbecilli o anche persone che non lo erano, ma da tali, sorprendentemente, agivano, era cos alta che non poteva trattarsi di coincidenze. E, pur considerata la benevolenza con cui valutavo me stesso, non potevo fare a meno di notare che le mie scelte non erano sempre ragionevoli e, addirittura, mi capitava di comprendere benissimo che stavo per fare una cosa stupida. Eppure la facevo. Quale forza alla base di questo modo di agire, tanto da indurre a comportamenti sciocchi, nonostante la consapevolezza e persino la volont di evitarli? C', ecco la domanda, una ragione pi potente della ragione e che genera stupidit? Se l'intelligenza la nostra cifra, ci ha dato la sopravvivenza, il dominio di un ambiente che ci era ostile, perch tutta quest'mbeciflit? Cosa la giustifica 0, addirittura, pu renderla necessaria? . Queste domande erano poco pi che un gioco, per me; un argomento che buttavo nella conversazione quando volevo stupire, apparire eccentrico . La scorpacciata di Lorenz mi fece sospettare che, nella materia di quel mio divertimento, potesse esserci pi sostanza di quanto riuscissi a scorgerne . . Telefonai all'assistente di Lorenz e gli chiesi la cortesia di combinarmi un appuntamento con il 15 maestro, per un'intervista. NE fu risposto che il professore (gi molto anziano) non era in condizioni di ricevere ospiti. Magari pi in l... La sera stessa partii per Vienna con un fotografo. La mattina dopo ero ad Altenberg, lungo il Danubio, il paesino in cui Lorenz era nato e dove viveva con la moglie, sua amica d'infanzia, nella casa costruita da suo padre. Il villaggio aveva un nome pi lungo della sua strada principale e lo stesso professore abitava in via Lorenz (in onore del padre medico), che aveva un solo numero civico e una sola casa: la sua . . Lo incontrai sulla porta, che rientrava dal suo laboratorio: non ebbe il coraggio di caccianni . Leggendo i suoi libri mi ero fatta l'idea che fosse un uomo meraviglioso. Adesso ne ero sicuro. Era un vecchio, nobile signore nell'anima e nell'aspetto, con un fisico robusto, non dimentico del vigore giovanile, la barba e i capelli candidi di un filosofo greco, una bonaria attitudine al sorriso e gli occhi vivaci, interessati a tutto. 19 bambino Lorenz non aveva ancora smesso di giocare . . Nonostante la prepotenza con cui mi ero imposto, ignorando il suo diniego, mi accolse con cordialit, dopo soltanto un fugacissimo accenno di sconcerto. Mi parve persino contento di far entrare in casa uno sconosciuto che gli voleva fare troppe domande. Lo attribuii alla sua squisita buona educazione. Poi mi resi conto che non solo di quella si trattava: a lui non interessava che fossi un giornalista; gli piaceva parlare delle sue idee, 16 .. . valutare l'effetto che producevano sull'interlocutore (incredibile, se si pensa al consenso e all'ammirazione che riscuoteva in tutto il mondo). E ascoltava le tue parole come fossero osservazioni di un suo pari. Ma io non riuscivo a liberarmi della soggezione che mi ispirava: quello non era pi 44un articolo della serie". NE accadeva qualcosa . Non era la prima volta che incontravo un grande personaggio; ma non mi ero mai sentito cos tanto nel posto giusto. E inferiore . . Eravamo nel suo studio, davanti a una ampia vetrata che si apriva su un vasto prato delimitato da alberi. L'intervista era finita e il professore si era sottoposto con ironica accondiscendenza al rito delle foto. Sua moglie ci chiese di prendere il t con loro. Siete brave persone, osserv Lorenz quando lei si allontan. Mia moglie ha una grande capacit di capire l'animo degli altri. E invita solo persone buone a prendere il t con noi. Il complimento mi colse di sorpresa. E mi resi conto che ora il maestro guardava il fotografo e me con diversa e pi alta considerazione . Un fatto cos repentino, che lui dovette accorgersi del mio divertito stupore. Aggiunse allora, quale spiegazione: Io mi fido della sensibilit di mia moglie e di quella degli animali, che

queste cose avvertono meglio di me: l'etologo in casa sono io, ma i nostri cani ascoltano mia moglie e ignorano me . . Tutto questo (e la serenit della casa, il t che era buono e i biscotti che sapevano di forno) cre 17 un delizioso clima di confidenza. Ero orgoglioso del fatto che quest'uomo speciale mi dedicasse il suo tempo e mi trattasse da ospite atteso, piuttosto che da intruso. E quando terminammo il t, mi invit a fare due passi in giardino, dietro la casa. Non avevo programmato di parlargli delle mie idee sulla stupidit. Non intendevo approfittare della cordialit che dipingeva di buono quel piacevole pomeriggio. Eppure, quando ruppi il silenzio, fu per chiedere: Professore, lei non crede possibile che molti comportamenti umani tendano a ridurre e non ad aumentare l'uso dell'intelligenza? E che una cosa del genere sia indotta, o addirittura imposta, dalla societ, dalla cultura? Che possa esserci una sorta di selezione culturale (e forse persino naturale) che ci condiziona, per costrngerci all'imbecillit? . . Cos, tutto d'un fiato. E appena finii, mi sarei morsa la lingua. Venni preso da quella orribile sensazione che ti coglie quando, tutto contento della bella impressione che stai dando, fai una cosa assolutamente sbagliata e pensi: Adesso si accorgono che sono cretino. Lorenz me lo lesse negli occhi e sorrise divertito. Mi prese un gomito con una mano e fece lentamente spaziare l'altra lungo l'orizzonte, in un gesto che indicava vastit, assenza di confini. Lei neppure immagina su cosa ha messo le mani, disse. E non vorrei che la mia memoria assecondasse troppo i miei desideri, ma sarei pronto a giurare che nella sua voce c'era un che di grave . 18 .. . ii . incoraggiato dalla sua reazione, raccontai delle idee che mi giravano per la testa e che le pagine stesse di Lorenz avevano aiutato a sedimentare . Cercavo di esporle in modo sistematico, ma, per l'entusiasmo di aver un tale interlocutore e di vederlo disposto a spendere il suo tempo ad analzzarle, probabile che non sia stato lineare quanto mi sarebbe piaciuto. Lui mi guard come se mi vedesse per la prima volta. Nei suoi occhi c'erano sorpresa e curiosit. Compresi che dovevo aver detto, sia pure in forma poco scientifica, qualcosa di importante. E che lui voleva capire se, almeno, me ne rendevo conto; se ero consapevole del contenuto profondo di quel che dicevo, o se mi era capitata per caso in mano una pepita di cui non conoscevo il valore . . Continuammo a passeggiare e a parlare per qualche minuto ancora, mentre orinai il sole declinava nella campagna che scivola verso A Danubio . Non ricordo esattamente cos'altro ci dicemmo . Rammento che lui elenc alcune prove della stupidit umana: la follia europea della seconda guerra mondiale, alcune scelte politiche di Reagan, il debrio di potenza che c' nella corsa ad armamenti sempre pi sofisticati e incontrollabili. Ma la cosa che mi segnava davvero, di quella conversazione, era il senso, l'idea forte delle parole di Lorenz: nell'uomo, la selezione culturale molto potente, forse ormai pi incisiva di quella naturale; i comPortamenti sociali, o comunque indotti dalla societ, tendono a condizionare e indirizzare le scel19 te dei singoli. E non mi parve affatto che il professore escludesse la possibilit che questa selezione oper nel senso di ridurre le nostre facolt intellettuali. Mi spieg come questo avvenga, in modo macroscopico, attraverso un meccanismo banale e inesorabile. Il genio umano escogita vie d'uscita per (quasi) ogni necessit della nostra vita. E una volta scovata la soluzione del problema, non ci pi necessario far uso della nostra intelligenza: basta copiare. Ma replicare non inventare; cos, le nostre doti intellettuali avvizziscono, perch non stimolate . .

La mia intervista a Lorenz non aveva avuto per tema l'imbecillit, ma la conversazione che aveva chiuso il nostro incontro condizion talmente fl mio lavoro, che l'articolo fin in pagina con il. titolo: E Dio cre lo stupido. Quando fl mio pezzo venne acquistato per la ripubblicazione persino inGiappone, capii che l'argomento doveva aver toccato corde pi sensibili di quanto siamo normalmente disposti ad ammettere . . Molti mesi dopo, mi scrisse un assistente di Lorenz. NE diceva che il. professore ricordava con interesse la conversazione che avevamo avuto e che ne aveva accennato a un suo amico, docente di filosofia in una piccola universit austriaca. Era una lettera simpatica: mi si consigliava di non abbandonare quelle mie intuizioni, perch gli sviluppi avrebbero potuto essere sorprendenti; e di cercare, da giomalista, l'occasione per diffonderle . Ne fui lusingato e risposi subito; anche per di 20 .. . re che dubitavo seriamente fosse fl caso di rendere pubbliche quelk mie idee sulla stupidit. Non avrei nemmeno saputo che forma dare ai miei pensieri: ero un giornalista, non uno scienziato . . Non molto tempo dopo, Lorenz mor e il mondo si risvegli pi povero. Avrei voluto sapere tutto di lui, di cosa aveva fatto da quando ci eravamo incontrati, come aveva trascorso gli ultimi mesi, se la serenit della sua vita si era conservata anche negli istanti estremi. Confesso che nutrivo anche un'altra curiosit: il professore aveva avuto modo di elaborare qualcosa che, a partire da quella nostra conversazione e da quel suo incoraggiamento, mi potesse essere utile nei miei ragionamenti attomo all'imbecillit? In fondo, il. libro che aveva lasciato a mo' di testamento spirituale, aveva un titolo rivelatore: Il declino dell'uomo. Ci pensai un po' su, poi decisi di scrivere a quel suo cortese assistente, per informarmi . . Non ne ebbi il tempo, perch ricevetti da lui, inaspettatamente, una nuova lettera: mi chiedeva il permesso di trasmettere A mio indirizzo al professore di filosofia a cui Lorenz aveva parlato delle mie idee. Egli era interessato ad avere, con me, uno scambio di opinioni sull'argomento. E mio orgoglio fu carezzato lungamente da quella richiesta. Per! Un filosofo austriaco, amico di Lorenz, intendeva iniziare, assieme a me, una riflessione su terni da me indirettamente proposti. Una persona Pi prudente e meno presuntuosa avrebbe cercato un modo grazioso ed educato di svicolare; io mi 21 abbandonai alla mia forma prediletta di. stupidit Worgoglio) e risposi che sarei stato lieto di offrire al professore amico di Lorenz tutta l'attenzione che chiedeva, a patto di riuscire, io, a meritare la sua . . E, tanto per non far subito brutte figure, mi procurai i libri del futuro interlocutore. Non tantissimi, ma di rara profondit; scritti in stile rigido (o lo vedevo tale io, sapendolo austriaco), preciso nei dettagli, sensibile alle sfumature. Aveva scritto abbastanza di etica politica e filosofia del diritto, ma si era interessato anche (poteva essere altrimenti?) di metodologia della ricerca storica e di scienze naturali. Un suo testo sull'idea di giustizia (cosa sia stato considerato giusto o ingiusto nei rapporti fra singoli e fra stati) era ritenuto il suo capolavoro . . Non pass molto, che ricevetti una lettera del filosofo; fu la prima di una lunga serie. La nostra corrispondenza and avanti per mesi. Dedicavo pomeriggi e serate liberi a mettere assieme gli argomenti per rispondergli e a cercare di sciorinarli, per quanto nelle mie possibilit, in modo lineare e corretto. Ci tenevo a decifrare, nelle mssive del mio impegnativo interlocutore, tutti i percorsi possibili. Lui andava subito al cuore dei suoi ragionamenti e la sua competenza gli consentiva di esporli in forma chiara e sintetica. Io dovevo risalire i molti rami delle sue idee forti e questo mi conduceva, a volte, alla scoperta di vie nsospettate. In pi, la mia attitudine professionale alla 22 .. .

divulgazione attraverso l'esempio, l'aneddoto, mi portava all'uso di un linguaggio che, per quanto mi fosse abituale, non era forse il pi adatto ai temi trattati. Ben diversa la sua prosa essenziale, priva di ornamenti, che appariva ancor pi rigorosa a causa della lingua, il tedesco. Ne derivava uno stile che aveva insieme una certa dignit letteraria e la chiarezza (ritengo che la mia traduzione abbia inevitabilmente impoverito la qualit della scrittura del mio corrispondente). Anche la fantasia era adoperata come uno strumento: utile allo sviluppo del discorso. Sull'uomo e la morale, il professore aveva convinzioni profonde, frutto di tanti anni di studio, di riflessione, di insegnamento. Da quanto credevo di aver capito, quelle mie povere idee, riferitegli da Lorenz, lo avevano interessato proprio perch cos distanti dalle sue . . Ho conservato tutte le sue lettere; non ho tenuto copia delle mie, di cui mi sono rimasti, comunque, note, appunti, abbozzi. Su quei materiali ho ricostruito la nostra discussione sulla fine dell'intelligenza. Negli anni trascorsi fin qui, ho continuato a riflettere sull'argomento; ho trovato ulteriori dimostrazioni, nuovi documenti, esempi migliori. Mi sembrato giusto aggiungere tutto questo a quanto gi avevo, perch non altera la sostanza del mio discorso e, al contrario, la rende pi chiara. In pi, senza la copia delle mie lettere, mi sarebbe in ogni caso difficile distinguere, oggi, quanto pensavo e scrivevo anni fa e cosa ho elabo23 rato in seguito. Riporto fedelmente, al contrario, i brani delle lettere del professore. Non ho aggiunto niente; ho solo tolto le parti che non riguardano l'argomento del discorso e testimoniano, invece, di come una fortuita conoscenza, nata per soddisfare la curiosit intellettuale, sia maturata in una amicizia piena di pudore* . . * [N.d.A.] All'inizio di ogni capitolo compaiono, tra virgolette, i brani tratti dalle lettere del professore . 24 . . . Guerra all'intelligenza . " Ho letto con molta attenzione la lettera in cui espone queste sue sorprendenti teorie. L'originalit (o la stravaganza?) di quanto da lei argomentato mi aveva colpito sin da quando me ne parl il mio caro amico, il professor Konrad Lorenz . . Le sue idee mi hanno impressionato; ma non sono affatto sicuro che si tratti di un'impressione favorevole. La sua intuizione e le elaborazioni che ne ha tratto mi paiono, anzi, molto discutibili . . t mai possibile che l'umana intelligenza si stia estnguendo? Che le nostre facolt pi belle, pi significative e, quel che pi conta, essenziali per la nostra sopravvivenza, siano davvero destinate a scomparire? . Sono assolutamente convinto che questa eventualit sia un assurdo e che niente del genere potr mai verificarsi . . Cercher, pertanto, di analizzare punto per punto le sue tesi e, se possibile, di controbattervi . . Gli ominidi da cui si sarebbe poi evoluto l'uomo si trovavano in una posizione senza dubbio svantaggiosa rispetto a tutti gli altri animali. Erano, infatti, completamente privi delle doti fisiche che avrebbero potuto garantire loro la sopravvivenza; non avevano consisten GUERRA ALL,iNTELLiGENzA 25 ti difese, n mezzi di offesa adeguat sembrav rnerc di un ambiente naturale ostile e) pertantO~I.' dannati airestinzione. Persino il loro num,11 guo. chi e deboli.. questa era la scOrnOda con . Po .

. ori. pure, covavano p dei nostri progenit . Ee non soltanto che, opportunamente coltival motore di una st loro di cavarsela, ma furono . evoluzione. intelligenza' A termine che> naria . b : guaggio comune, indica l'insieme di queste d tore determinante dello sviluppo della nostra Quanto alle caratteristiche fisiche, A nostro . . pro re non solo era inferiore ai suoi avversany ma suoi concorrenti) quelli con i quali doveva per procacciarsi a cibo e un riparo. Lo sv annullato con Vesaltazione delle facolt * la cui crescita rappresenta la prerogatii:va deTT ne umana. E questo appare evidente pei~inose Il Ii . rosolo e pi sidera, fra i tanti, un pararnet della capacit (ma significativo)' l'aumento la dimensione del nostro cervello . . cDn . volume della scatola cranica umana ha Dn . a 30 mila anni fa. Prima in MOdO a lievitare sino . ., con p . ~ ma abbastanza lento; P01 . Ineno costante, i spinte. La potenza di questo sioni sempre p . ancora pi ragguardevole se 591,_ evolutivo appare . o fisico dei conto che5 nel frattempo, l'asPett genitori carnbiava molto Pi~ lentamente . richjamare~ in . Perdoni se sono costretto a mia premessa, nozioni Piuttosto elementari, non ha bisogno di sentirsi, ripetere. Ma mi sOnO p . cipale mentrC sarie per introdurre FassuntO rin pravvivenza (e l'evoluzione) di altre specie 26 . . Gu~ ALL`TaLlGF fisiche, quella del aratteristiche alle loro c- . . doti intellettuali; le no dipesa dalle sue . . el determinare ~to tale importanza n de11,1g0,no sapiens sapiens2 da continuare a sino a farne un animale a parte, del tutto qualunque altro. Intelligenza fosse 'il . . di. che dire, quIn . . 5 . ci ha salvati dall'estirizIOne o necessario siamo. E tutto questo va in direzione esat posta a quello che lei sostiene. Ma vorrei OP . . osa . . e . ancora qualc e urnano ")Ito rallentata da e dell'esser . . rebbe) ad arrea parte, fino (par a quest . . aratteristiche, che ne, mil aUora, le riostre C . nente mutate sotto la ti erano ContinUai . le stesse. Addirittura, va, sono rimaste . . gi iden,fisico e il volume del cervello S0110 Og . tmt fondamentali, a quelli di un nostro . di 3oo secoli fa. . .

conun uomo del paleolitico e un nostro . , le differenze sono tali, e tanto sign'ficati osservatore digiuno di conoscenze antro stenterebbe a considerarli due esemplari sono cambate le carattera specie. Se non . 1 ~rebrale rnu . e, se nemmeno la capacita ce cosa determina la distanza che ci separa dai di 30 mila anni fa? ellntelligenza- a va cercata di nuovo n da allora, le dimensioni del cervello sono.riali, ma quando si misura ringegno non ci si e alla quantit di materia grigia. Perch, an~ta non cambiata, si profondamente evouso che ne viene fatto. Ed ci che pffi conta . GUEUA ALL,INTELLIGENZA 27 . Noi siamo cos diversi dai nostri antenati paleolitici, perch adoperiamo le nostre facolt intellettuali con una intensit a loro sconosciuta. Pensi alla complessit della tecnologia e delle macchine e all'impegno quotidiano che ci richiedono. E se dal mondo delle cose passiamo a quello delle idee, consideri la vastit di conoscenze scientifiche, di temi per la speculazione intellettuale e religiosa, di intuizioni, di valori: apparir allora evidente la distanza che ci separa da quei nostri lontani avi. Il mondo dello spirito umano si evoluto molto pi del nostro aspetto fisico . . Non voglio ora richiamare le osservazioni di grandi pensatori, da Aristotele a Popper, che potrebbero dar sostegno a quanto io dico; n intendo giocare con le parole. Ma non ritengo sia discutibile il fatto che, mentre noi non siamo cambiati molto, a parit di volume cerebrale, hanno fatto progressi impressionanti le nostre capacit intellettuali. Al punto che oggi siamo in grado di riprodurne qualcuna artificialmente: le pi elementari, d'accordo, le pi schematiche; ma si tratta di un risultato molto significativo, perch segna un inizio. Le intelligenze artificiali, come i calcolatori, replicano alcune nostre facolt cerebrali. Per assurdo, se l'essere umano dovesse estinguersi, certe sue caratteristiche non sparirebbero con lui. E questo non si pu dire di nessun altro animale . . Io sono sicuro, diversamente da quanto lei sostiene, che le nostre capacit mentali, lungi dal contrarsi, continueranno a svilupparsi. Non vedo quali fattori potrebbero provocare un'inversione di percorso. Il destino della nostra specie resta l'inteffigenza, anche se non possibile prevedere dove possa condurci questo processo evolutivo: va misurato in tempi troppo lunghi 28 . . GUERRA ALL'INTELLIGENZA per rischiare congetture. Ripeto, la sola certezza che abbiamo, alla luce dei dati oggi a nostra disposizione, che l'evoluzione umana legata al continuo aumento delle facolt intellettuali. E questo aumento stato prima quantitativo, poi qualitativo. 99 . Le considerazioni del professore non sembravano confutabili facilmente. Di fronte alla sua costruzione logica, le mie congetture sulla fine dell'intelligenza umana rischiavano di naufragare in porto. Ma nella prima lettera che avevo scritto al mio dotto interlocutore, la mia idea era appena abbozzata, poco pi che un'intuizione. E nel riepilogo fatto dal professore del nostro percorso evolutivo, mi pareva di scorgere le tracce di un consolante modo di pensare: veniamo da un buio passato e procediamo verso un futuro che potr essere soltanto pi luminoso. Una teoria che, al di l del suo spessore logico e scientifico, minata da una debolezza di fondo: ci piace pensare che sia cos, ci d ottimismo e la speranza che quanto non riusciamo a capire e a fare oggi, ci sar possibile domani. Nell'intimo della nostra coscienza, forse non abbiamo mai accettato davvero l'idea di discendere dalle scinunie; ce la rende digeribile solo il fatto che da loro ci separa, ormai, una distanza enorme. E quasi altrettanto si pu dire di quei paleolitci che avevano tanto cervello quanto noi, ma non sarebbero stati in grado di adoperarlo con la nostra intensit. L'intelligenza ci ha allontanato da quegl'impresentabili parenti; ci ha portato GUERRA ALLINTELLIGENzA 29 a questo punto;

ci co - durr ben Pi lontano (sar, Sti scoperti in Nuova Guinea ma i figli dei troglo non molti anni fa, oggi Pilotano ' jet) . . Queste convinzioni, a mio parere, non stanno in piedi. E lo scrissi al professore . . Sul nostro pianeta, la regola per la sopravvivenza "il numero o la forza"; non runo e l'altra. 1 leoni sono pochi, ma i pi forti nella savana. Anche le gazzelle corrono per la savana, prede dei leoni, ma sono tante; nessuna fiera pu sbranarle tutte. Le pi lente muoiorio, ma (per terribile che possa essere A massacro) la specie salva . La regola questa, i pochi hanno la forza, i deboli hanno A numero. 1 forti non trovano cibo per tutti, quando diventano troppi muoiono di farne. 1 deboli e rari non hanno futuro . . Ma era proprio quest'ultima (come ricordava giustamente A professore) la condizione dei nostri scimmieschi antenati, senza numero di gazzella n forza di leone. Dall'istinto eli conservazione scaturi, allora, una via di salvezza nuova che infranse la regola: l'inteffigenza. Un'arma rivelatasi potentissima, che ha messo nelle nostre mani A destino di tutte le altre specie del pianeta; ci ha moltiplicati dall'equatore ai poli . . L'intelligenza ci ha salvati dalFestinzione, ed stata il motore della serie di cambiamenti che ci ha fatti come siamo . . Ora, per, la situazione molto diversa, rispetto alle lontane ere in cui ebbe inizio A nostro carrimino evolutivo. Ormai la nostra sopravvivenza . GUERp 30 . . . ~A ALL,INTELLIGENZA o asslcu,ata-2 e~ lungi dall'essere messi in pericol da gli attacchi o dalla concorrenza di altre specie animal, ne abbiamo sterminate diverse. Al punto che a nostro numero (sovrabbondante) e le nostre po. . ono addirittura una minaccia terizialit Costltulsc . . i ma delicato sistema per l'equilibrio del complesso, che la Terra. E l'ecologo J . ames Lovelock, che rtiene a nostro globo un unico essere vivente, ipotizza che a pianeta ci spazzer via come pidocchi, di farsi uccidere da noi. Ma questo, per noandrebbe contro un principio evOlu stra 1 rtuna, tivo (e fisico), detto "di economia", secondo A quale, la natura si muove sempre lungo la strada Meno faticosa. E condannare all'estinzione un'intera specie, perch di cervello troppo fertiley antieconorriicO". Non si taglia una gamba per un'unghia incarnita. L'Homo pericoloso per la Terra solo se sapiens. Se non lo fosse pi o lo fosse meno, A pianeta potrebbe benissimo opportarne la presenza . . Per la specie umana, ormai> il rischio non pi quello di estinguersi, ma di moltiplicarsi, di crescere troppo, anche in potere. Il numero la bornba, sintetizzava il filosofo Rairnond Aron . . E questo significa che l'intelligenza ha esaurito A proprio ruolo: non pi necessaria, e viene dismessa come, in passato, altre caratteristiche ca duche (peli su tutto A corpo, coda, denti del giudizio ... ). Lo dimostrano la storia della nostra specie, e i nostri comportamenti culturaliy sociali . GUERRA ALL'INTELLIGENZA . Siamo cos orgogliosi del nostro genio da ritenere: 1) che possa solo crescere; 2) che sia per sempre; .

3) che, addirittura, l'Homo sapiens sapiens serva solo a perpetuare l'intelligenza. La quale continuerebbe a esistere (magari nel silicio dei computer o in forme di vita diverse), persino senza di noi . . Ma falso. Dai 50 ai 30 mila anni fa, il volume del nostro cervello sub un robusto taglio; e da allora, l'uso che facciamo di quel che resta in calo . Come ogni altra specie, noi abbiamo un solo, esclusivo interesse- salvare noi stessi. La gazzella non corre per garantire la sopravvivenza della velocit; il leone non azzanna per tramandare la forza. Cos l'uomo non vive per scongiurare l'estinzione dell'intelligenza; che semplicemente un mezzo, comodo finch serve, ma provvisorio, ove se ne trovasse uno migliore . . E genio stato solo il ponte inventato dall'evoluzione per condurre la nostra specie alla conquista delle condizioni che ne assicurassero la sopravvvenza. La missione compiuta; l'intelligenza non serve pi, almeno non tanta quanta ne fu necessaria in passato . . Einstein si domandava come mai l'uomo avesse inventato quasi tutto quando vagava sul pianeta in pochi milioni di esemplari, e quasi nulla ora che formicola a miliardi. A questo, non trov risposta . 32 . . GUERRA ALVNTELLIGENZA La stupidit intimidisce i grandi, perch ne intuiscono le proporzioni e la pericolosit (al contrario dellIntelligenza, non ha limiti) . . Due ricercatori del secolo scorso, Greg e Galton, contemporanei di Darwin (il secondo era anche suo cugino), sollevarono una curiosa questio~ ne. Si fondi un villaggio con cento irlandesi stupidi, analfabeti, ubriacon e maneschi, e cento inglesi colti, beneducati, sobri (be'... quasi). Dopo alcune generazioni, si troveranno migliaia di cafoni e nemmeno un gentleman . . Greg e Galton avevano scoperto una cosa sorprendente e la esponevano con britannica perfidia. Nella selezione e nella trasmissione dei caratteri, il peggio che vince; anche quando si tratta di doti ereditarie, la moneta cattiva scaccia quella buona . . Se questo ci sorprende, perch la nostra valutazione viene sovente distorta da un approccio etico o estetico: per questo che Abele ci sembra migliore di Caino. Per quanto un tale giudizio possa essere accettabile sul piano morale, rimane il fatto che, fra i due, il secondo, e proprio per la sua aggressivit, ad affermarsi nella selezione naturale. Greg e Galton ne conclusero che, nell'eterna lotta per l'esistenza, la stirpe inferiore e meno favorita a prevalere, non per le buone qualit (che nemmeno possiede), ma grazie ai suoi difett. 1 due studiosi furono incuriositi anche da un'altra osservazione, che non riuscirono a spiegare: gli stupidi sono prolifici, gli intelligenti no; an GUERRA ALL'INTELLIGENZA 33 zi, i geni sono tendenzialmente sterili. Nel loro villaggio, quindi, sarebbero gli ottusi irlandesi a garantire la continuit della vita; e i loro caratteri ereditari diventerebbero dominanti. Mi dispiace, scrisse Galton, di essere incapace di risolvere la semplice questione della sterilit di uomini e donne di genio. E meno male che la questione era semplice . . All'origine del nostro percorso evolutivo, non era cos. Acquista allora spessore il sospetto che l'intelligenza possa salvare un numero tutto sommato esiguo di esseri scimmieschi, ma distruggere l'intero genere umano. Sarebbe come una potente medicina: provvidenziale, se utilizzata per breve tempo; veleno, se assunta tutti i giorni. Del resto, se gli intelligenti tendono a non avere figli, e gli stupidi si dimostrano invece particolarmente prolifici, l'intelligenza condannata a non avere futuro. L'uomo , fra tutti i primati (noi e le scimmie che ci

somigliano), quello che ha pi grossi sia il cervello che gli attributi sessuali (il pene per i maschi, le mammelle per le femmine) . . La cosa d qualche fondamento al sospetto che chi usa pi uno dei due organi "eccellenti", abbia dei problemi con l'altro . . t necessario accettare l'idea poco lusinghiera che, per la continuit della nostra specie, importa la quantit e non la qualit. L'istinto di sopravvivenza spinge noi, come ogni altro essere vivente, all'aumento della "massa biologica": per questo che, oltre che pi numerosi, diventiamo pi alti. E 34 . . GUERRA ALL'INTELLIGENZA per lo stesso motivo, ogni organismo vivente tende a incrementare il peso complessivo della propria specie. Ecco perch il numero conta davvero . L'essere che pi di ogni altro grava sul globo (in senso ponderale), con il totale di tutti i suoi individu la formica: come si fa d ammazzarle tutte? Le balene rischiano l'estinzione . . Nei paesi ricchi e sviluppati, si studia di pi e si fanno meno figli. In quelli del terzo e del quarto mondo, coltivare l'intelligenza un privilegio di pochi; si resta pi facilmente ignoranti, e si ha pi tempo e attitudine (pare) per procreare . L'esplosione demografica procede con la povert . Ma la tendenza all'aumento della massa biologica appagata in entrambi i casi. 1 ricchi sono pochi e ben pasciuti (l'obesit una malattia sociale che cresce con il reddito medio); i poveri sono esili ma moltissimi. La minoranza di esseri umani ben nutriti e la maggioranza di quelli sottoalimentati, secondo un calcolo basato sui dati della Banca mondiale, raggiungono complessivamente lo stesso peso . . Siamo diventati pi numerosi e pi grossi; ma il nostro cervello agli stessi livelli da circa 250 mila anni. Nelle ultime migliaia di anni, la quantit di esemplari della nostra specie cresciuta con progressione sempre maggiore, ha avuto un'i-inpennata negli ultimi due secoli, e ora siamo all'esplosione demografica. Non cambia il volume della nostra materia grigia. Questo segno evidente che, dopo aver percorso la via dell'intelligenza, la selezione GUERRA ALL'INTELLIGENZA 35 ha imboccato ormai quella della quantit. Non favorisce pi l'ingegno, ma il. numero, la cui crescita sembra avvenire a spese di quella cerebrale . . E che fare degl'intelligenti che, nonostante tutto, e in numero sempre pi ridotto, continuano a nascere? Eliminarli. La selezione non solo naturale, anche culturale; e da molte migliaia di anni l'Homo sapiens sapiens elabora comportamenti e sistemi sociali che provocano lo sterminio dei migliori . . Le correzioni selettive della specie avvengono anche attraverso i sentimenti: l'amore, l'orgoglio, l'invidia... Ne ottima prova l'istinto materno e, pi in generale, la predisposzione a essere buoni e soccorrevoli con i piccoli della specie. In una certa misura, questo comportamento si ritrova in tutti gli animali e, pi in alto si sale lungo la scala evolutiva, meno i piccoli sono indipendenti e pi forte l'istinto di protezione nei loro confronti . La mamma pesce non riconosce i suoi figli, che spesso sono in grado di cavarserla da soli appena nati; mamma orsa, una volta che i suoi cuccioli sono cresciuti, li ignora; il piccolo scimpanz rimane con la madre, che lo cura amorevolmente, per un tempo maggiore. Ma nessun altro animale avverte questo legame con la stessa intensit dell'uomo. Il cucciolo di sapiens sapiens quello che pi a lungo resta inabile e dipende dagli adulti (i genitori, e non solo) per ogni minima necessit. E questo duraturo rapporto consente, da una generazione alFaltra, una poderosa trasmissione di cultura (in 36 .

. GUERRA ALL'INTELLIGENZA formazioni utili, comportamenti proficui). Cos l'amore materno influisce sul destino defia specie e lo determina . . L'Homo sapiens sapiens possiede in misura eccezionale, anzi quasi esclusiva, anche un altro istinto: l'aggressivit intraspecifica, la furia distruttrce rivolta contro i propri simili. t pur vero che tutti gli animali hanno questo tipo di carica conflittuale, ma nessuna specie ne dotata quanto la nostra . . Qual la funzione dell'aggressivit intraspecifica, dell'impulso profondo a praticare lo sterminio dei propri simili, in massa o alla spicciolata? . Basti pensare a che cos' una battaglia: l'occasione per radunare in uno stesso luogo i pi forti e i pi validi, di una parte e dell'altra, e farli fuori . Il codardo scappa e ingravida la vedova dell'eroe . L'aggressivit intraspecifica opera una scrematura del genere umano, una riduzione chirurgica del suo valore; uno strumento inventato dafl'evoluzione per abbassare il nostro livello qualitativo . . Darwn si chiedeva come mai gli antichi greci, che considerava superiori per intelligenza a ogni razza umana mai esistita, non avessero colonizzato tutta l'Europa, non fossero riusciti a imporre la loro cultura e abbiano, al contrario, subito un declino inarrestabile. Cerc di indicare una risposta nella pochezza di coesione tra i loro piccoli stati, nella scarsa estensione del loro territorio, nella pratica della schiavit, e nefia loro estrema sensualit . GUERRA ALVINTELIIGENzA 37 . Non c' una di queste ragioni che stia in piedi . Il genio fiorito in paesi altrettanto frammentati (si pensi all'Italia rinascimentale) e non c' alcuna prova che cresca con i confini territoriali; la storia della cultura ci racconta di filosofi sia imperatori (Marco Aurelio), che schiavi (Epitteto); e quanto alla sensualit: non era proprio grazie a quella che gli irlandesi cancellavano gli inglesi dal villaggio di Greg e Galton? . No, i greci furono vittime delle tagliole anti genio poste sul cammino della nostra specie. E, in modo particolare, proprio dell'aggressivit intraspecifica. Stando ai poemi omerici, gli eroi achei che andarono a farsi massacrare sotto le mura di Troia erano i pi belli, i pi forti, i pi dotati della loro stirpe nell'animo e nel corpo. Solo i migliori per valore, nobilt di sangue e intelligenza furono selezionati (la parola di una sinistra precisione), per l'impresa. E il primo a morire fu Protesilao: il pi bello e il pi ardito dei greci. Sua moglie si ridusse a giacere con una statua raffigurante il marito: romantico, ma insufficiente per una gravidanza . . In patria, rimasero gli scarti. I pi tonti, i vili e gli inabili; a loro tocc di provvedere alla continuit della razza, mentre gli esemplari pi pregati della gente achea facevano poetiche morti fra lo Scamandro e le porte Scee. Per virtuose che fossero le achee (e non lo erano: l'unica, Penelope, merit quasi un poema a parte), dieci anni senza marito sono troppi; del resto, per certe occorrenze, la 38 . . GUERRA ALL'INTELLIGENZA 1 i i grandezza d'animo o d'ingegno contano poco . Cos, il genio acheo fu azzerato per sempre, non tanto dalle armi nemiche, quanto dallo straripante seme della feccia consanguinea. Nessuno degli eroi superstiti, una volta tornato a casa, ard riconoscere come propria discendenza il popolo di infami e imbecilli cresciuto nel frattempo; preferirono l'esilio, vagare per mare, tentare la fortuna su nuove, infide sponde. Meglio morire che mischiarsi a quegli impresentabil parenti . . 1 resti degli achei, poche decine di anni dopo, furono sottomessi senza sforzo alcuno dai dori .

Che erano barbari, ma avevano capito la lezione; a Sparta, solo ai migliori era concesso l'onore di andare in battaglia, a patto per che avessero gi dei figli. I primi della stirpe potevano rischiare la morte, soltanto dopo aver provveduto a travasare A loro sangue in altre vene. Poi, per, l'orgoglio bruci la prudenza. Gli spartani giurarono di non tornare a casa, senza aver prima sconfitto i messeni. Ci vollero vent'anni, il doppio che gli achei a Troia. Nell'attesa, le spartane si accontentarono degli schiavi, i discendenti degli scarti achei, presumibilmente resi ancor pi tardi dalla condizione servile. 1 figli della vergogna, fattisi adulti, vennero esiliati (non potevano essere schiavi, perch di madre spartana; n cittadini, perch di padre schiavo): fondarono una citt oltremare. Da allora la Grecia cominci a esportare il peggio . . Ma la guerra, o in senso pi ampio l'aggressivit intraspecifica, non la sola astuzia del nostro mo GUERRA ALLINTELLIGENzA 39 tore evolutivo. Ogni forma di organizzazione sociale umana (monarchia, democrazia, dittatura ... ) lavora contro l'intelligenza e le sue espressioni. Il potere, appena pu, comincia a dar fuoco ai libri, poi anche agli autori. Si pu arrivare alla guerra santa, alla persecuzione, allo sterminio contro chiunque sia sospetto di pensiero (sacrilego, sovversivo, deviante: l'aggettivo un di pi, la prova che qualche briciolo di fantasia pu salvarsi solo passando dalla parte del boia). Si potrebbe persino trame una norma: Il potere di una organizzazione sociale umana tanto pi forte, quanto maggiore la quantit di intelligenza che riesce a distruggere . . Questa furia livellatrice pu assumere forme diverse. Nella democrazia di cui siamo fieri, il peso in voti di alcuni cerebrolesi pari a quello di Enrico Fermi e dei ragazzi di via Panispema, che hanno rivoluzionato la fisica contemporanea. Perch le menti migliori sono sempre all'opposzione? Altre forme, pi brutali, di organizzazione politica si limitano solo a rendere pi chiare le cose: l'esilio per Salvemini, per Einstein; il gulag per Solgenitsin; la morte per Socrate. Con l'eserczio del potere, l'Homo sapiens sapens combatte l'aumento deH'ntelligenza e la riduce . . Erodoto ammoniva che gli dei stroncano tutto ci che si innalza; colpiscono con il fulmine gli alberi pi alti, gli animali pi grandi, perch quelli piccoli non h infastidiscono . Racconta poi che Periandro, tiranno di Cornto, 40 . . GUERRA ALL'INTELLIGENZA tramite un araldo, domand a Trasibulo, feroce signore di Mileto, come si regge una citt. Trasibulo condusse l'araldo in un campo seminato, e ogni volta che vedeva una spiga che sorpassasse le altre, la recideva e poi la gettava via, finch atterr la parte pi bella della messe. Periandro cap e mise a morte gli uomini migliori di Corinto . . Charles Darwin si chiese anche le ragioni per cui la Spagna, dominatrice, per un certo periodo, di mezzo mondo, sia rimasta poi terribilmente arretrata. Nel darsi una risposta, dimostr pi acume rispetto a quando si era interrogato sulla decadenza dei greci antichi: La santa inquisizione, scrisse, scelse con estrema cura gli uomini pi liberi e coraggiosi per bruciarli o imprigionarli. In Spagna, alcuni dei migliori uomini - quelli che dubtavano e ponevano problemi, e senza il dubbio non pu esserci progresso - furono eliminati durante tre secoli al ritmo di mille all'anno . . Che la Spagna fosse in guerra contro l'intelligenza provato anche dalla contemporanea espulsione degli ebrei, le teste pi fini del regno; mentre dei mori, che avevano contribuito a riportare in Occidente le scienze e la filosofia, si era gi privata . . Ai giomi nostri, nella Cambogia dei Khmer Rossi, un titolo di studio, la conoscenza di una lingua straniera, una particolare abilit nel giocare a scacchi, erano ragioni sufficienti per essere

condannati a morte. In pochi anni furono massacrati quasi due milioni di persone: poco meno di met GUERRA ALL'INMLIGENzA 41 dell'intera popolazione. La colpa non era la libert esdi pensiero, ma persino il semplice sospetto di esseme capaci . . Il cervello fa paura, scatena l'aggressivit in chi ne privo o meno dotato. FEtler, alla testa della pi ottusa macchina di potere mai vista in tempi modemi, elesse suo nemico il popolo che ha tneritato il maggior numero di premi Nobel. I sovietici organizzarono il massacro delle fosse di Katyn per azzerare l'intelligenza polacca (a potare la propria provvidero con pi calma). Alessandro Magno, giunto nella valle dell'Indo, fece rastrellare i dodici uomini pi saggi della regione e chiese chi fra loro fosse il migliore, per metterlo a morte . L'imperatore cinese Shi Huang Ti ordin la distruzione di tutte le opere letterarie e l'eliminazione fisica di tutti gli uomini d'ingegno del suo sconfinato paese . . Cos'avevano da temere, questi uomini potentissimi, da parte di pochi e deboli, sia pur dotati di intelligenza eccezionale? Nulla; ma era come se obbedissero a un impulso profondo di distruzione dell'intelligenza. Che possiamo chiamare Falce delle Mentaway, dal nome di un remoto arcipelago nell'Oceano Indiano . . Fu un missionario italiano, mandato l una quarantna di anni fa, a svolgere opera di conversione, che mi parl delle isole e dei costumi dei suoi abitanti. Alle Mentaway non esisteva propet privata, la terra produceva spontaneamente frutti diversi, ospitava numerosa selvaggina; fiumi e mare 42 . . GUERRA ALL'INTELLIGENZA erano ricchi di pesce. Ogni capofamiglia poteva attingere risorse in proporzione al numero di bocche da sfamare. Questo comportava che una vedova con molti figli fosse molto ambita . . Un mentawayano non scemo se ne cercava una gi pi volte madre, ma ancora fertile, in grado di dargli altri eredi. Cos acquistava subito il diritto ai frutti di molti alberi, a pescare in un tratto di fiume pi lungo. Se era intelligente, il mentawayano trovava sicuramente il modo di far produrre di pi ai (9suoi" alberi e rendere pi redditizie la pesca e la caccia nei territori assegnatigli. Se uno ha testa (non solo alle Mentaway), ne trae vantaggio . . Ma agli altri, egli appariva soltanto pi fortunato: . . non rubava niente, rispettava le regole, prendeva solo quello . che gli spettava. Per turbava lo stesso l'equilibrio sociale, l'idea universale di un'equa distribuzione dei beni, suscitava invidia e sospetto . . Scattava, allora, un'altra regola dell'arcipelago: l'uomo fortunato (o troppo capace, ma tanto non faceva differenza) veniva portato su un atollo deserto e lasciato a morir di fame. Cos'aveva fatto per meritarlo? Nulla: per aver osservato le leggi della comunit, veniva giustiziato. Sarebbe sfuggito alla condanna, solo se avesse rinunciato ai diritti sui beni messi a sua disposizione dalle norme che governavano l'arcipelago. Ma cos avrebbe violato le regole. E avrebbe meritato di essere abbandonato su un atollo deserto . . Se hai cervello, alle Mentaway (alle Mentaway ... ), in un modo o nell'altro sei spacciato . GUERRA ALL'INTELLIGENZA 43 Sono sempre i migliori che se ne vanno . 44 Ritengo che non sia possibile ipotizzare seriamente quanto lei cerca di sostenere: cio che la selezione naturale tenda al peggio, che il percorso evolutivo di una specie consista, a un determinato punto, in un regresso delle sue caratteristiche e potenzialit .

. Certamente l'evoluzione non segue un cammino lineare; procede a caso e non mostra di avere un progetto. Ma se si abbraccia l'intera esistenza di una specie, ci si rende conto che questa tende sempre verso un miglioramento complessivo, che assicuri le condizioni ottimali per la sopravvivenza. La selezione naturale matura spesso attraverso errori, tentativi abortiti, come il lavoro di uno sperimentatore; una specie potr sviluppare per un periodo di tempo, anche molto lungo, delle caratteristiche che non sono, in definitiva, le pi adatte a garantirle la continuit, ma alla fine, a prevalere, sono le doti pi utili alla vita (pena l'estinzione) . . L'intelligenza non solo la caratteristica peculiare della specie umana, quella che la identifica e la distingue. t stata anche il fattore determinante per la sua so SONO SEWRE I MIGLIORI CFIE SE NE VANNO 45 . Il professore rifiutava quasi con nsospettato fastidio, mi pareva, le mie osservazioni e quanto avevo esposto a loro sostegno. Ma doveva convenire almeno su di un punto: la selezione naturale opera in vista di un solo scopo, la continuit della specie. Il che meno banale di quanto appaia, perch non entrano, in questo discorso, giudizi di valore di alcun tipo. L'unico "valore" la sopravvivenza; non il modo in cui viene assicurata . pravvivenza. E la selezione, in tutte le sue forme: naturali e culturali, continuer a esaltare questa dote, perch ha dato ottimi risultati evolutivi. 99 . Se si accoglie questo presupposto, bisogner, quale immediata conseguenza, accettame un altro: non vi sono doti in se stesse "buone" o "cattive", "migliori" o "p . ~eggiori", se non in funzione del risultato: la vita. E buona la caratteristica che raggiunge lo scopo; migliore quella che lo raggiunge meglio. L'intelligenza non per se stessa preferibile alla forza bruta. In condizioni ambientali profondamente mutate, una qualit di secondaria importanza pu diventare preferibile (perch pi utile alla sopravvivenza) rispetto ad altre fin l dominanti . . M rendevo conto che su queste considerazioni, universalmente accettate, non poteva esserci alcuna discussione fra me e il professore. E punto problematico era un altro. Si trattava di dimostrare come sia davvero all'opera una fortissima selezio 46 . . SONO SEMPRE I MIGLIORI CHE SE NE VANNO ne, naturale e culturale, per ridurre le potenzialit intellettuali dell'essere umano . . Era l'intuizione da cui ero partito: l'intelligenza si sta estinguendo, destinata a finire (capisco che qualcuno ci sia affezionato e ci resti male. Ma ... ) . . La regola scoperta da Greg e Galton e incontrata nel capitolo precedente, si pu formulare anche cos: . Nella selezione naturale e culturale della specie prevale il peggio, se il peggio pi utile . . La ragione di questa legge spietata sta in una tragedia nascosta del nostro percorso evolutivo: la scintilla di genio cui dobbiamo la salvezza, divamp incontrollata, al punto di farci rischiare l'estinzione. Il continuo aumento del volume cerebrale, secondo progressioni sempre maggiori, mise in pericolo la nostra sopravvivenza. Solo grazie ai pi stupidi dei nostri antenati ce la cavammo, e a stento. Da allora, abbiamo maturato verso l'intelligenza un'istintiva ferocia, per paura della morte, di essere cancellati . . L'essere pi cervelluto mai apparso sul pianeta si estinto meno di 50 mila anni fa; noi siamo i suoi "nipoti": i figli del fratello scemo . .

L'uomo di Neanderthal aveva pi materia grigia di qualsiasi altro suo simile, prima (e dopo) di lui; e probabilmente scomparve proprio per questo. Il suo contemporaneo ed erede, l'uomo di Cro Magnon, aveva meno cervello e sopravvisse. Nel fondo della nostra cattiva coscienza ci sarebbe anche un omicidio: perch i resti di SONO SEMPRE 1 MIGLIORI CHE SE NE VANNO 47 Abele Neanderthal, mansueto e di testa grossa, furono del tutto cancellati dal suo parente Caino Cro Magnon, feroce e dalla capoccia pi piccola (si ritiene che i microcefali siano pi aggressivi) . . I vincitori non amano i vinti; e infatti nessuno tra i nostri progenitori fu pi diffamato di Neanderthal, che stato descritto da moderni paleontologi come decisamente scimmiesco: gambette arcuate, piedi che poggiavano solo sul bordo esterno, alluce divaricato, grandi arcate sopraccigliari, testa incassata. Poi si scopr che questa mostruosa ricostruzione era inattendibile, perch basata sullo scheletro di un vecchio (di circa 40 anni: et per quei tempi venerabile), malato di artrite deformante (e poi, il cretino sarebbe Neanderthal!) . . In realt, il nostro antenato non solo non era cos brutto, ma le caratteristiche che ci fanno apparire bello un corpo umano potremmo averle ereditate, almeno in parte, da lui. Gli saremmo debitori anche dei caratteri neotenici (infantil) che ci portiamo appresso; egli sublim attivit tipicamente puerili, come il gioco e l'immaginazione, la capacit di sconfinare nella fantasia. Fu il primo a tramandare delle forme d'espressione artistica, e a praticare riti funebri; doveva, quindi, aver elaborato l'idea di un aldil, di una vita oltre la morte, passo necessario per spingersi a concepire l'esistenza della divinit . Ma il fatto pi straordinario era l'eccezionale 48 . . SONO SEMPRE I MIGLIORI CHE SE NE VANNO i i i ,olume del suo cervello, di circa 1.700 centimetri cubici (convenzionalmente, un centimetro cubo corrisponde al peso di circa un grammo). Alcuni studiosi valutano la quantit di materia grigia ospitata oggi nelle nostre teste, inferiore solo di pochi grammi a quella del pi dotato progenito re; altri misurano la differenza addirittura a ett; tutti concordano sul fatto che n prima n dopo di lui c' mai stato qualcuno altrettanto fornito . Nell'uomo moderno, ogni chilo di peso corporeo (ossa, muscoli e tutto il resto) regge una ventina di gramm di cervello, e anche meno. A que sta proporzione si arrivava gi tra due milioni e un milione e mezzo di anni fa, con l'uomo di Taung, esemplare della specie Afrcanus graclis: un esseruccio di venti chili e rotti, con circa 500-600 grammi di cervello. Neanderthal, invece, con un fisico pi modesto del nostro, trascinava un cranio maestoso; e ogni chilo di carcassa sosteneva una quota di materia grigia quasi doppia (in percentuale) rispetto a noi. . . Ma si pu affermare, come aveva fatto fin da subito il professore (per mettere le mani avanti?), che non la quantit di cervello che conta davvero: il nostro, pi modesto, sarebbe ancora il pi capace, perch pi complesso. Se Neanderthal potesse intervenire nella discussione obietterebbe: Quando confrontate A vostro cervello con quello della scimmia, dite: "Ma io ce l'ho pi grosso". Quando il paragone con il mio, cambiate criterio e dite: "Ma io ce l'ho SONO SEMPRE 1 MIGLIORI CHE SE NE VANNO 49 pi complicato". Sono sapiens anch'io, sapete, e sento puzza di imbroglio . . La nostra specie, a giudicare dalle dimensioni cerebrali, ha fatto tre passi avanti e uno indietro, sulla strada dell'intelligenza. A spese, come sempre, del migliore: l'uomo di Neanderthal, il capolavoro abortito della nostra specie . . L'Austra1pithecus africanus, altro nostro progenitore, vissuto due milioni e mezzo di anni fa, aveva un cervello di mezzo chilo (come i gorilla di oggi). Ci volle un milione di anni, perch la

massa cerebrale aumentasse di cento grammi, con l'Homo abilis. Tasso di crescita: un grammo ogni diecimila anni. Seguirono altri 800 mila anni, durante i quali si aggiunsero al nostro piccolo patrimonio quantit ancora modeste di materia grigia. Poi, il grande salto: in soli 600 mila anni il peso del cervello raddoppia, alla velocit di 30-35 grammi ogni diecimila anni . . Al tempo di Neanderthal era normale trovare gente con crani da 1.600 centimetri cubici; stato rinvenuto un teschio da 1.750 centimetri cubici e non si esclude che ce ne fossero alcuni che si avvicinavano ai due chili. (La media dell'uomo moderno tra 1.300 e 1.350 centimetri cubici) . . Se si trascura questo eccesso, il volume del cervello umano immutato da quasi 250-300 mila anni. Il che sembra non scalfisca comunque la nostra certezza di essere molto migliorati, nel frattempo . Quando la nostra avventura evolutiva ebbe ini 50 . . SONO SEMPRE 1 MIGLIORI CHE SE NE VANNO zio, per la nostra specie l'unica vera possibilit di salvarsi dall'estinzione, e anzi di continuare a moltphcarsi, consisteva nell'intelligenza. Le doti fisiche erano modeste rispetto a quelle dei potenziali nemici e avversari; insufficienti a procacciarsi il cibo e a difendersi dai pericoli . . Ma, se la nostra sopravvivenza si deve al volume della materia grigia, come possibile che l'evoluzione abbia eliminato proprio Neanderthal, l'esemplare che pi aveva sviluppato quella dote? . Circa 250 mila anni fa, i nostri antenati avevano gi un cervello pari al nostro; il fisico no, sapeva ancora di scimmiesco. Anche Neanderthal, nell'aspetto, era abbastanza diverso da noi: piccolino, tracagnotto, faccia larga, con arcate sopracciglari pronunciate. Il corpo umano divenne qual oggi, solo poco pi di 20 mila anni fa. Corpo e cervello hanno seguito ritmi diversi di evoluzione, alla ricerca del proprio (e del reciproco) equilibrio . . La nostra specie insegu l'intelligenza per garantirsi un futuro; ma il corpo umano non riusc a sopportare la spaventosa crescita cerebrale di Neanderthal. La ragione per cui il nostro cervello non aument pi, e anzi diminu di volume, il problema del parto, secondo Desmond Collins, docente di Preistoria all'Universit di Londra . . Ogni bambino deve passare con tutto il suo corpo per l'apertura pelvica della madre; e la testa, nel forzare il varco, viene un po ' deformata; il che possibile grazie alla scarsa compattezza SONO SEMPRE 1 MIGLIORI CHE SE NE VANNO 51 delle ossa del cranio nei neonati. Ma la testa del piccolo Neanderthal era comunque troppo grossa, forse il quindici per cento in pi della media attuale. E fu la strage. Queste caratteristiche dovettero determinare un'altissima mortalit infantile, che sarebbe aumentata (secondo i calcoli di Collins) fino a raggiungere punte dei 90 per cento . . Cos, l'intelligenza venne letteralmente strozzata sul nascere; i bambini con la testa pi considerevole morivano al parto, spesso provocando anche la morte della madre, lacerata nel tentativo di darli alla luce. Sopravvissero, in virt delle loro insignificanti capocce, i pi cretini della specie; e solo in quanto imbecilli, a paragone dei pi dotati fratelli, ebbero in premio la vita e il compito di tramandarla. Le loro madri superavano senza sforzo il parto e potevano ripetere l'esperienza, soltanto perch capaci di garantire la (scarsa) qualit del prodotto . . Questa tragedia avvenuta tra 50 e 30 mila anni fa ci lasci la sua impronta: la paura dell'intelligenza, l'astio verso quel genio che pu portare all'estinzione e che aveva messo in pericolo il futuro della nostra specie .

. L'evoluzione biologica, ha scritto Irenus Eibl-Eibesfeldt, l'erede di Lorenz, inipara soltanto dalle catastrofi. . Da allora il nostro destino sembra guidato da un principio, che possiamo enunciare come la Prima legge sulla fine dell'intelligenza: Il cretino vive; il genio muore . 52 . . SONO SEMPRE i MIGLIORI CIE SE NE VANNO . L'evoluzione procede a casaccio, per tentativi che possono portare a ulteriori sviluppi o arenarsi in un vicolo cieco; chiusa una strada, ne imbocca un'altra, che fino ad allora era apparsa secondara. t quanto sembra sia accaduto con l'ntelligenza: a un certo punto, si rivelata una dote troppo pericolosa, cui era meglio rinunciare . L'uomo l'aveva rincorsa, come l'unica possibilit di garantirsi un futuro; ma quando i vantaggi che essa offriva hanno cominciato a richiedere prezzi troppo alti, sino a diventare controproducenti, stata abbandonata. D'altro canto, l'evoluzione aveva portato l'intelligenza umana a livelli tali, da permetterle di supplire egregiamente alla nostra mancanza di doti fisiche (artigli, zanne, o altro); il futuro della specie era assicurato, e anzich sulla qualit, si poteva, ormai, puntare sulla quantit . . La nostra specie, sostiene lo scrittore tedesco Ernst jonger, soffre di ipertrofia delle funzioni intellettive, ha perduto ogni armonia con le forze naturali. La stupidit ristabilisce l'equilibrio . . Ecco allora che il numero degli esseri umani aumenta, mentre la massa cerebrale degli individui resta stabile, o addirittura diminuisce (c' qualcosa di serio nella legge di Murphy che dice: L'intelligenza una costante, la popolazione in aumento). In questa tendenza al ribasso ancora riconoscibile la Prima legge, attraverso il suo corollario . Meglio scemi che morti . SONO SEMPRE 1 MIGLIORI CHE SE NE VANNO 53 . Se, quindi, la nostra specie tende alla stupidit, il giudizio sull'imbecifle va rivisto: piuttosto che tardo, un anticipatore; non capisce niente, ma gi pronto per il futuro. Il genio che comprende tutto, invece, non si , paradossalmente, accorto che la sua stessa intelligenza un vecchio arnese, orinai sorpassato. E pericoloso . SONO SEMPRE I MIGLIORI CHE SE NE VANNO Vivere per rincretinire . 44 Per avvalorare la sua tesi, lei ricorda un momento drammatico nella storia della nostra evoluzione . . Non me ne sfugge l'importanza. Ma non ritengo che sia sufficiente a provare quel che lei dice, il fatto che la selezione naturale, in una fase del percorso evolutivo dell'homo sapiens, abbia avuto come risultato una riduzione della capacit cerebrale; se questo non fosse avvenuto, l'essere umano sarebbe stato condannato all'estinzione! La mortalit infantile altissima avrebbe ri- dotto paurosamente, e forse addirittura compromesso in modo definitivo, le possibilit di sopravvivenza dei nostri progenitori . . Su questo posso essere d'accordo con lei. Ma non per le sue stesse ragioni. Al contrario, dal punto di vista della selezione naturale (e della continuit della specie) la riduzione sensibile della capacit cerebrale stata un vantaggio. Una scelta vincente . . Ma anche per lo sviluppo delle nostre doti intellettuali stata utile. Perch alla indubbia (e notevole, sia in percentuale sia in termini assoluti) contrazione quantitativa, si accompagnato un costante incremento qualitativo. Anzi, la progressione stessa di questa crescita andata aumentando. E lo sviluppo dell'intel VIVERE PER wNcREmNmE 55 ligenza umana ci ha

condotto alle impressionanti innovazioni tecnologiche degli ultimi due secoli (un periodo estremamente breve, nei tempi dilatati dell'evoluzione). Le nostre doti intellettuali sono lievitate, nonostante l'immutato peso del cervello . . t certamente vero che la differenza tra l'essere umano e le scimmie antropoidi si misura prima di tutto in termini di volume cerebrale; perch questo il solo parametro davvero oggettivo. Ma non l'unico; ve ne sono altri basati su approfonditi studi del comportamento, delle capacit mentali e del loro uso; e tutti confermano la distanza che ci separa dalle specie biologicamente a noi prossime . . E non si tratta solo di biologia, natura; nella sostanza, l'abisso tra noi e le scimmie antropoidi, come il gorlla e lo scimpanz, culturale. Ancora una volta, il punto non la quantit di cervello, ma il modo in cui lo si adopera . . Rimane, nella sua apparente banalit, un punto indiscutibile: l'uomo tale, perch dotato di intelligenza . E l'intelligenza umana del tutto particolare. Nessun animale ha le nostre facolt. ~9 . Gli argomenti del professore erano sensati. t vero che non si pu ridurre la differenza tra l'essere umano e le scimmie antropoidi a un problema di cubatura cranica; resta comunque flfl ffattoo che questo parametro pi importante di quanto solitamente si sia disposti a riconoscere. E che la selezione naturale, riducendo drasticamente la nostra capacit cerebrale, ci abbia salvati dall'estinzone, esattamente quanto sostenevo . 56 . . vivFRE Pu mNcREnNw . Ma il professore, nella sua replica, non aveva discusso il punto centrale del mio ragionamento. La salvezza della nostra specie, fino all'uomo di Neanderthal, si era identificata con l'aumento delle capacit intellettuali; in seguito aveva invertito bruscamente la tendenza. Il volume cerebrale aveva smesso di crescere e, anzi, si era ridotto di molto. Concesso che l'intelligenza non coincida con la capacit cranica, questa ne pur sempre, e inconfutabilmente, l'indicatore pi importante, l'unico oggettivo, da cui dovremmo partire. Solo cos potremo scoprire i meccanismi attraverso i quali il nostro genio viene potato . . Per rincretinirci, salvarci e impedire che ci estinguessimo, lo spirito di conservazione, tramite la selezione naturale, ha infatti disseminato, sui cammino della nostra specie, valvole riduttrici dell'intelligenza. Esse governano la corsa al ribasso della nostra capacit cerebrale . Valvola numero 1, o del massimo 1 . E la pi gravida di conseguenze, quella rivelatasi deteriffinante nel corso del nostro lungo processo evolutivo; ha stabilizzato, contraendola, la quantit massima di materia grigia che pu essere ospitata nel nostro cranio. Questa valvola si identifica, in sostanza, con la strettoia pelvica (se fosse pi ampia, si disarticolerebbe l'anca e le donne non potrebbero pi camminare); un nascituro dal cranio troppo sviluppato non riuscir a passa vivF_RE PFR RiNcRETi~ 57 re attraverso l'apertura pelvica materna, se non mettendo a repentaglio le sue possibilit di sopravvivenza e la vita stessa della madre. Si impedisce, In questo modo, che l'amAamento del nostro cervello prosegua senza limiti, rivelandosi distruttivo (come nel caso dell'uorno di Neanderthal) . . La nostra capacit cranica pertanto ferma, ormai da decine di migliaia di anni, a una media di 1.350 centimetri cubici, pi o meno. E anche se l'intelligenza non si misura a grammi, quello quantitativo rimane il criterio in base al quale abbiamo costruito le scale dell'evoluzione, con in cima le specie pi dotate di cervello. Allo stesso modo, abbiamo tracciato la linea di

demarcazione tra noi e le grandi scimmie. Sotto una certa capacit cranica non si pi uomini, ma scimpanz, gorilla; si Cita e non pi Tarzan. E dobbiamo ammettere che noi siamo molto pi vicini a quel limite, di quanto non lo fosse l'uomo di Neanderthal . Proprio perch a lui il riduttore, la valvola del massimo, mancava; e ne mor. La nostra salvezza dipesa, con tutta probabilit, dalla conquista di quel limite. L'incapacit di dire basta, di porsi un freno, tipica dell'infanzia. In tal senso, noi rappresentiamo la "maturit" della specie . Valvola numero 2, o del minimo . Tende a rimpicciolire sempre di pi la dote relativa di cervello posseduta al momento della nascita. 1 nostri progenitori, come oggi le scimmie 5 8 VIVERE PER RNcREITNw antropodi, venivano alla luce con una quantit di Inateria grigia pari circa alla met dello sviluppo rnassimo da adulti. Negli uomini moderni invece il cervello del neonato , in proporzione, circa un quarto di quello dell'adulto. Questa drastica riduzione dovette verificarsi attorno alla fine del periodo neanderthaliano, sostiene il professor Collins . La ragione evidente: i nascituri con la testa pi piccola permettevano un parto meno traumatico, avevano maggiori possibilit di sopravvivenza e non ponevano m pericolo la vita della madre; avevano, insomma, pi chances di farcela . . Da un certo punto di vista, questo significa che l'uomo moderno, rispetto ai suoi progenitori, ha uno sviluppo cerebrale maggiore, dalla nascita all'et adulta. Che A suo cervello, in proporzione, cresce di pi; che il bambino, per diventare un esemplare maturo della sua specie, deve subire pi cambiamenti rispetto al piccolo scimpanz, al piccolo gorilla e agli omndi preneanderthaliani . . Ma moltissime malattie, o semplici disgrazie, possono bloccare, del tutto o in parte, la crescita del cervello nel neonato e nell'infante; un piccolo di Neanderthal in un caso del genere avrebbe comunque conservato, da adulto, pi materia grigia di un bambino di oggi . . Ma un nascituro con la testa pi piccola ha maggiori possibilit di sopravvivenza; e per garantire il futuro della specie conta solo questo. Da qui derivano due potenti conferme della Prima legge: 1) Pevoluzione preferisce un cretino vivo a un genio morto; 2) per darci vita, chiede in cambio cervello . VIVERE PER RINCRETINmE 59 Valvola numero 3, o sommatoria del massimo e del minimo . La combinazione delle prime due valvole produce un effetto che va addirittura al di l della loro semplice somma, racchiudendo in un percorso obbligato il destino della nostra specie. L'evoluzione dei nostri progenitori, nella corsa all'intelligenza, aveva conquistato una dotazione cerebrale ragguardevole per i soggetti adulti, met della quale era gi disponibile alla nascita. In questo modo, era assicurata subito una buona quantit minima di materia grigia, mentre quella massima sembrava destinata solo a crescere. La regola (se una vogliamo trame) era: Il minimo non pu diminuire; il massimo pu aumentare . . Ma l'uomo di Neanderthal scopr, a sue spese, che esisteva un limite non superabile, oltre al quale l'intelligenza (la capacit cerebrale) non era pi d'aiuto e, anzi, diventava un fattore decisamente negativo. A quel punto del nostro cammino evolu- tivo, si defin la valvola del massimo. Quella del minimo perfezion il processo, con la progressiva riduzione del volume cranico alla nascita. Oggi, per la combinazione di queste due valvole, la regola che guida la nostra evoluzione risulta essere stata capovolta; la nuova : Il minimo pu dmnuire; il massimo non pu aumentare. Giusto il contrario di prima . . t evidente come ci tenda a spingere verso il basso il nostro sviluppo cerebrale . 60 vi~ PER RuicREnNw .

Altri potenti fattori fisiologici capaci di ridirnensionare le nostre facolt mentali divengono particolarmente attivi soprattutto negli ultimi decenni della vita umana. E hanno, ormai, tale rilevanza da aver acquisito un peso notevole anche nelle statistiche sociali, per via dell'innalzarsi della vita media e dell'aspettativa di vita, specie nei paesi pi ricchi . . Il primo di questi riduttori (primo, se non altro, in ordine cronologico) l'nsulto ipossico, a causa del quale, il fatto stesso di nascere comporta una potatura del cervello. La prima cosa che facciamo, nel venire alla luce, rincretinire (qualcuno drebbe: Chi ben comincia ... ). L'insulto ipossco non altro che una temporanea mancanza d'aria: dal momento in cui A cordone ombelicale viene reciso a quello in cui emette A primo vagito, il neonato non riceve pi ossigeno tramite la madre e non ancora in grado di procurarsene da solo, con il proprio apparato respiratorio. Tra gli altri effetti, questo brevissimo, ma fatale, intervallo asfittico provoca lo sterminio di una certa quantit di cellule neuronali: non meno di 200 o 300 milioni. La cifra non , in percentuale, molto alta su un totale di parecchi miliardi; ma si tratta pur sempre di un trauma che raccorcia le capacit intellettive del neonato. Nel caso di parti difficoltosi, la temporanea mancanza d'aria pu durare troppo, sino a compromettere senza rimedio A cervello del bimbo, che resta demente. Otto handicappati su dieci sono tali proprio per le conseguenze dellInsulto 61 Soltanto la nostra dote cerebrale viene tosata alla nascita. Nessun altro organo subisce amputazioni. t la nostra prima esperienza: non abbiamo ancora cominciato a gonfiare i polmoni, che gi ci viene svuotata un po' la testa . . 1 tessuti che formano il cervello sono i pi deperibili di tutto il corpo. Si sviluppano molto rapidamente nei primi cinque anni di vita; poi continuano a crescere, ma a un ritmo sempre pi lento, fino ai vent'anni. Una volta raggiunti i livelli massimi, inizia il deperimento, prima quasi impercettibile (dai vent'anni in poi muoiono da 50 a 100 mila cellule cerebrali al giorno: circa 2 mila-4 mila all'ora); poi sempre pi veloce, inarrestabile, verso la demenza senile. Non tantissimi millenni fa, la durata media della vita era compresa fra i venti e i trent'anni, ed aumentata molto lentamente. All'et a cui oggi ci si scopre "giovanilisti", nell'antichit classica (e tuttora nelle societ arcaiche) si era considerati vegliardi, circondati da un alone di rispetto, di sacralit. Il vaneggiamento del demente senile era venerato come un oracolo: Un dio lo possiede, mormoravano compunti gli antichi del vecchietto (appena oltre gli "anta"), ormai rimbambito. La demenza senile non era un morbo, ma un trofeo di cui gloriarsi; riuscire a mivecchiare, tanto da finire rincitrulliti, voleva dire sfidare il destino, approssimarsi agli dei, e i nomi di chi ne era capace venivano conservati come una speranza per tutta l'umanit . 62 . . vwERE PER wNcRETiN= . Oggi, invece, nei paesi pi industrializzati l'aspettativa di vita si aggira attorno agli ottant'anni (e tende ad aumentare); l'et media si alza sempre di pi e i dement senili si contano a decine di milioni. Sono soprattutto i paesi ricchi i pi interessati al fenomeno, perch i bassi indici di natalit e la pronunciata longevit concentrano una percentuale rilevante della popolazione nelle fasce di et (sopra i 70-75 anni), in cui la stupidit indotta dall'invecchamento non pi un rschio, ma una certezza statistica. La proporzione fra reddito pro-capite, aspettativa di vita e decadmento cerebrale cos stretta, che il tasso di demenza senile di un paese potrebbe essere derivato dai dati sulla ricchezza media . . In questo modo, la longevit, che sembrerebbe una meta ambita, una buona "scelta" dell'evoluzione, si rivela un'arma per diminuire l'intelligenza: una valvola genio-riducente . . La stessa funzione viene esercitata dalla vera peste del nostro tempo, che non FAIDS, ma il morbo di Alzheimer, un male che intacca e distrugge le cellule cerebrali. Le infermit sono fra

gli strumenti principali di cui la selezione naturale dispone, per determinare il processo evolutivo e indirizzare il cammino delle specie animali (e vegetali). L'esempio pi eclatante quello delle epidemie: quando una popolazione in eccesso rispetto all'ambiente, tanto da rischiare di non avere pi un futuro, interviene spesso una forma epidemica, per sfoltire seri MIERE PER RINCREnNmE 63 sibilmente il numero degli individui e dare, cos, un avvenire ai sopravvissuti e alla loro progenie . . La funzione dell'Alzheimer quella di contenere il potenziale intellettuale complessivo della specie umana, provocando il rimbambimento di un numero crescente di individui. Colpisce i neuroni e non a caso, ma in particolare quelli dove si localizzano la memoria, le funzioni del linguaggio e del pensiero astratto. Cio, proprio le attivit che pi ci caratterizzano come uomini, distinguendoci dagli altri animali. Con il morbo di Alzhemer. la natura pota l'intelligenza umana e ne mortifica la specificit, il suo essere tanta e unica. Questo male venne individuato nel secolo scorso, quando sia l'et media che l'aspettativa di vita alla nascita erano ancora tanto basse, perfino nei paesi pi avanzati, da farne poco pi di una curiosit medica. Oggi, appena un secolo dopo, il morbo di Alzheimer responsabile di un caso di demenza senfle su due; ne sono vittime il 3-4 per cento degli anziani dai 60 ai 74 anni, il 20 per cento di quelli fino agli 84, e addirittura il 47 per cento di quelli con oltre 85 anni. Il che vuol dire che almeno un vegliardo su due rimbambito dall'Alzheimer. E, ancora una volta, si conferma la regola secondo cui, persino a livello di singoli individui e non di specie, p vita comporta un prezzo: meno cervello . Chi evita queste malattie, rischia di rincitrul 64 . . vwEPP- PFR RiNcREnNw lire per altre cause: per problemi neurologici di diversa natura, per la conseguenza di piccoli infarti, di traumi, del morbo di Parkinson e di numerose condizioni patologiche tipiche dell'et senile. Gi alla fine degli anni Settanta, da un convegno a Stresa, cui parteciparono tutti i migliori geriatri del mondo, venne questo allarme: La societ di domani sar ad alto rischio demenziale. Quel domani oggi . . Tanti anziani meravigliosi onorano il genere umano con l'acume delle loro menti e la grandezza del loro cuore; ma indubbio che, dopo una certa et, rimbecillirs molto pi facile. E sono proprio queste fasce d'et, oggi, a far registrare la pi forte crescita percentuale. Con l'eccezione dei paesi dove il problema della fame e le condizioni igienico-sanitarie sono pi drammatiche, il numero degli anziani aumenta con tassi di incremento sempre maggiori. Nei paesi pi ricchi questo ormai un problema sociale . Si dice, cos, che il mondo invecchia. E diventa pi stupido, bisogna aggiungere . . Solo negli Stati Uniti, vi sono quasi quattro milioni di persone affette dal morbo di Alzheimer. E come se non bastasse, l'et in cui la malatta si manifesta tende ad abbassarsi . . Ritengo ce ne sia abbastanza per poter riassumere quanto fin qui detto, in un enunciato, la Seconda legge sulla fine dell'intelligenza: L'uomo moderno vive per rincretinre . VWERE PER RiNcRETiNiRE 65 Lo stupido copia e vince . Sulla riduzione della capacit mentale, nel corso dell'evoluzione umana, le nostre opinioni restano discordi. Riguardo a questo punto non c' quindi molto spazio per la discussione . . Quanto, invece, ai fattori fisiologici che sono stati da lei indicati, baster una considerazione: il tempo lungo il quale si sono rivelati significativi. Le varie forme di demenza senile hanno assunto l'attuale rilevanza da molto meno di un secolo; un periodo del tutto trascurabile nel quadro di un processo evolutivo che si misura a decine di millenni. Circa l'insulto ipossico, e le situazioni patologiche legate a conseguenze di parti difficoltosi, la risposta facile. Nascere e

far nascere sono oggi esperienze molto meno pericolose che in passato. E questo, proprio grazie all'uso dell'intelligenza che ha permesso di ridurre i rischi . . Ma anche volendo ammettere che la selezione naturale abbia effettivamente dimostrato la tendenza a mortificare la capacit cerebrale, e con questa le qualit mentali, vi stata una selezione culturale che ha operato tanto potentemente in senso contrario, da bilanciame l'effetto negativo. Osservando la storia di LO STUPMO COPIA E VINCE 67 questi ultimi millenni, si . vede, al di l di ogni possibile dubbio, che proprio la dimensione sociale e comunitaria della vita umana ha determinato il continuo progredire delle doti intellettuafi. Baster una osservazione antropologica. Le popolazioni culturalmente pi arretrate, legate a idee e a concezioni del mondo traIzionali, tecnologicamente meno avanzate, sono sempre quelle vissute in isolamento. Sulle alte montagne o in isole sperdute nell'oceano, o in mezzo ai deserti o nelle foreste, ovunque vi siano degli ostacoli naturali ai contatti tra societ diverse, facile che prevalgano le culture arcaiche; le capacit intellettuali non sono stimolate a elaborare nuovi sistemi di pensiero, soluzioni inedite. Mentre i confronti tra civilt diverse hanno sempre accelerato il progresso tecnologico, il formarsi di patrimoni di conoscenza e di rapporti umani complessi e variegati . . La cultura quella somma di sapere, di idee, di valori, che l'individuo condivide con gli altri membri della comunit; quindi una funzione del vivere insieme. La vita associata, la dimensione culturale dell'essere umano, sono stati fattori primari per il potenzamento dell'intelligenza; e la selezione naturale ha operato in questo senso. 99 . Non mi sembrava difficile, questa volta, trovare argomenti per replicare al professore . . La tendenza che ha dominato tutta l'evoluzione umana, da quando ci stato possibile ricostruirla, fu ed tuttora all'aumento continuo e sempre pi rapido dell'et media e dell'aspettativa di vita. Se appena di recente abbiamo raggiun 68 . . LO STUPIDO COPIA E VINCE to l'attuale longevit, non sensato dire che fenomeni come le varie forme di demenza senile (qualunque ne sia la causa), hanno assunto rilevanza statistica soltanto da pochi decenni, e non possono avere significato nel complesso del nostro cammino evolutivo . . Non c' mai stata, nella storia della nostra specie (e parlo di lunghi periodi), una sostanziale inversione di tendenza riguardo all'aumento dell'et media ( dell'aspettativa di vita). Quindi, proprio in base alla stessa logica del mio interlocutore, bisogna affermare che la demenza senile incider sempre di pi e che siamo solo all'inizio di un processo di rimbambimento destinato ad assumere proporzioni enormi . . Se non sbaglio, poi, l'insulto possico , tra i molti rischi connessi col parto e che sono stati felicemente eliminati o ridotti, uno di quelli che maggiormente continuano a incidere. Questo perh l'unico modo di cancellarlo davvero, sarebbe sostituire l'incubatrice naturale (la madre), che in questo caso non d molto affidamento, con un utero artificiale; ma per serie, profonde ragioni morali, e non tecniche, tutti siamo terribilmente spaventati da questa idea, perch cozza contro il pregiudizio consolidato che la migliore incubatrice sia la madre naturale. La quale, invece, presenterebbe numerosi svantaggi. Al punto che sono ormai molti gli studiosi che cercano il modo di escluderla dal processo di riproduzione umana . Il professore aveva anche proposto un tema LO STUPIDO COPIA E VINCE 69 d'importanza decisiva: l'influsso della cultura sull'intelligenza . .

La sua idea, in proposito, mi trovava perfettamente d'accordo. Un grande studioso sovietico, jury Lotinan, aveva definito la cultura il cervello della societ. E intendeva quell'insieme di conoscenze teoriche e pratiche che possediamo in condominio con gli altri membri della comunit . . E mio corrispondente aveva chiamato in causa questo argomento per sostenere la propria visione delle cose; ma io mi proponevo di dimostrare l'esatto contrario, e cio che proprio la selezione culturale (forse ancora pi efficace di quella naturale) mira a ridurre le nostre capacit intellettual . . L'essere umano non esclusivamente il prodotto della natura; assieme a questa agisce l'altra grande forza, la cultura. E l'una e l'altra cooperano per renderci quali siamo . . L'uomo, secondo la fin troppo ripetuta definizione di Aristotele, un animale sociale; siamo fatti per vivere assieme agli altri; la cultura riguarda appunto le comunit, piuttosto che i singoli, si accumula e si tramanda con lo stare insieme. E stare insieme ci piace . . Ma ci fa scemi. Quando un esemplare della nostra specie, particolarmente dotato di intelletto, mette il proprio genio al servizio della comunit, la rende pi stupida, produce imbecillit; perch gli altri si limiteranno a imitarlo, a sfruttare le sue intuizioni, copiandole pedissequamente, e 70 . . LO STUPIDO COPIA E VINCE i non saranno indotti a esercitare le proprie facolt mentali . . La concezione dell'anima elaborata nella mitologia dell'antica Cina chiarisce bene questo concetto. L'uomo possederebbe due anime, Hun e Po. Po si origina all'atto del concepimento (viene trasmessa col seme, dal genitore al nascituro) ed la sede della memoria. Hun, invece, scocca alla nascita, col primo respiro; la forza che accende e stimola l'intelligenza e cresce se viene tenuta desta e in esercizio . . Po l'anima inferiore, legata alla fisicit (non per nulla passa per via spermatica), sede di tutte le nostre pulsioni pi basse, della malvagit e dell'invidia. Hun, invece, captata col respiro nell'aria, alito degli dei, elevata, portata alla speculazione . Po la tenebra, Hun la luce; Po l'ncora, Hun la vela; Po cerca di trascinare Hun verso il basso, verso la materialit . . Hun la creativit, la scintilla del genio, la riflessione originale e innovativa. Po la memoria: spenta, piattamente ricettiva, assimila, ricorda e replica le intuizioni dell'