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Redazione:Davide ArmaniDavide Ceraso
Federica CorbettaFederica GarceaTommaso Rovario
Facoltà di Design della ComunicazioneAnno accademico 2016/2017 - Sezione C2
Daniela Calabi . Cristina Boeri . Raffaella Bruno . Monica Fumagalli . Silvia Mandello
DesignVerso: una collana dedicata ai designer della comunicazione immaginata come allegato alla
rivista Multiverso, Università degli Studi di Udine.
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Il mondo di Munari pag. 5 Metodo munari pag. 6
L’uomo delle macchine pag. 10 Futurismo e Astrattismo pag. 12 Utili Macchine inutili pag. 22 Testimonianza di Ricas pag. 24
Ogni libro è letto, pag. 28ma ogni letto non è anche un libro Munari e Corraini edizioni pag. 30 I Libri illeggibili di Bruno Munari pag. 34 Fantasia = Scienza esatta pag. 38 La filosofia dei laboratori di Munari pag. 40 La creatività dei giochi giocattolo pag. 44 Alla scoperta della multisensorialità pag. 48 Quando tutto è arte, pag. 54niente è arte Le sculture pieghevoli e da viaggio pag. 56 Negativi e positivi: la genialità pag. 60 tra la regola e il caso
Indice
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Si sono tenuti nelle giornate del 22 e del 29 gen-naio 2012 a Laminam Working Progress, Milano, i laboratori tattili che hanno coinvolto bambini divisi in due fasce d’età, dai 3 ai 5 anni e dai 6 ai 10. Per i bambini è stata un’occasione per “ascolta-re” con le mani, scoprire le diversità e conoscere il mondo che li circonda, esplorando i materiali e giocando con le texture.Giocare, toccare, sentire, sperimentare. Piccoli creativi si allenano a diventare architetti, progettisti, inventori, ma anche cuochi, luminari della scienza, ballerini acrobatici o ammaestratori di belve feroci. Qualunque sia il futuro che li aspetta, Laminam ha pensato a loro. Per spronarli a far volare la fanta-sia e per aiutarli a sviluppare la creatività nascosta in ogni bambino e bambina, ha proposto ai più piccoli, nel suo showroom milanese, i laboratori tattili progettati secondo il metodo Munari.
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base di tutte le attività creative.Working Progress nasce dal desiderio di Laminam di contribuire alla promozione e alla diffusione del-la cultura del progetto, in ogni differente accezione e sfumatura, coinvolgendo tutte le persone che ne sono, a diverso titolo, protagoniste: dai progetti-sti agli artisti, dagli studenti agli appassionati, per arrivare fino ai bambini, che saranno i creativi di domani. Con una serie di iniziative sempre diverse – instal-lazioni temporanee, mostre d’arte, di architettura e di fotografia, laboratori, incontri, attività ed eventi, occasioni di riflessione e di aggiornamento – Wor-king Progress parte dal materiale, sintesi di legge-rezza e precisione, per suggerire stimoli e punti di vista differenti e trasformare lo showroom Lami-nam in un luogo vivo di cultura e formazione, uno spazio aperto in continua evoluzione.
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“Le superfici sono tutte uguali?”, workshop per bam-bini dai 3 anni in su progettato e condotto da Cristi-na Bortolozzo, operatore certificato Master Metodo Bruno Munari, ha preso spunto dalle “texture” – uno dei più famosi laboratori ideati dal grande designer, artista e pedagogo.Quello che oggi è conosciuto come il “metodo Bruno Munari” è un percorso di scoperta basato sul “fare arte” nel senso di techné, termine con cui nell’antica Grecia si indicava “fare con perizia”, e nel senso di asobi, in giapponese “provare piacere nel gioco”. Un’esperienza che permette di intuire, verificare e comprendere molteplici soluzioni, sviluppando una visione ampia e trasversale e un pensiero proget-tuale. Liberi dal giudizio ci si avvicina a materiali, superfici e forme, si sperimentano le tecniche che diventano elemento fondante del “saper fare”, sco-prendo competenze inaspettate e cogliendo l’aspetto metaforico della realtà attraverso il gioco, condizione
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“Bisogna infischiarsene altissimamente delle polemiche – se vi sentite artisti, bene, se non lo siete e volete esserlo datevi alla pastorizia – GUARDARSI ATTORNO se si vuole essere sinceri con la propria coscienza artistica – l’opera d’arte non ha bisogno di lettere di raccomandazione: è o non è, porca miseria non dite: ‘bisognerebbe fare così’; fatelo se siete convinti; fate come noi: ‘noi lavoriamo cantando’”.
Con queste parole, ancora improntate a quella aggressività verbale ed a quella vis polemica che erano state prerogativa del futurismo negli anni della sua ascesa – e non è certamente casuale il richiamo alla espressione boccioniana “noi lavoriamo cantando”,
assunta per motto – Munari conclude la presentazione della mostra Scelta futuristi venticinquenni. Omaggio dei futuristi venticinquenni al venticinquennio del futurismo tenuta a Milano nel 1934, dal 4 al 18 marzo presso la Galleria delle 3 Arti, invitando, a conclusione del suo scritto, i giovani espositori a seguire “soltanto la propria sensibilità” e ad abbandonare “i caffè per entrare nella vita”. Quali siano le ragioni che hanno spinto Munari ad usare toni così aspri e perfino protervi non è possibile sapere – così come restano sconosciute le polemiche alle quali egli si riferisce -, ma la cosa non importa più di tanto, almeno ai fini di questo lavoro inteso a mettere a fuoco gli anni di formazione
Una cena futurista. 1930 ca. Munari è in piedi, il 5° a destra
Futurismo e Astrattismo
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Alla Pesaro Munari torna in occasione della rassegna del 1929 nella quale presenta sette opere prevalentemente orientate in direzione di una ricerca di marcata compenetrazione dinamica ulteriormente evidenziata dalla frammentazione di un impianto costruttivo, e dall’impostazione dell’immagine in senso piramidale, come in Costruire, mentre altrove, come in Galera, sembra prevalere, come ha puntualmente osservato Crispolti in un saggio su Cesare Andreoni e sul futurismo milanese (1993), “un accentuato carattere grottesco, quasi espressionista, secondo un sintetismo che da ‘meccanico’ si è fatto primitivo”. E che pertanto contrasta, confermando dall’altro canto
la genuina versatilità sperimentale dell’artista, con le mozioni contenute nel Manifesto della pittura ”dinamismo e riforma muscolare”, firmato dallo stesso Munari e dal giovanissimo Aligi Sassu nel corso dell’anno precedente, nel quale si teorizza la creazione di “un mondo meccanico, animale e vegetale, completamente nuovo ed originale”. Strettamente connessa al carattere del Manifesto, di decisa impronta antiaccademica e antinovecentista, sottolineata fra l’altro anche da una richiesta di un impianto cromatico affidati a “tinte pure fantastiche, antinaturali, adatte all’ambiente in cui viviamo, secondo lo spirito creatore”, in sintonia quindi con quelle “figurazioni fantastiche”,
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ufficiale, a questa data rappresentata dal Novecento sarfattiano il quale, dopo il battesimo nel 1923 in quella stessa Galleria Pesaro che ospiterà annualmente anche mostre futuriste dal 1927 al 1933, allorché con la mostra Omaggio futurista a Umberto Boccioni, si conclude il rapporto dei futuristi con la Galleria, proprio nel 1926, vale a dire pressappoco nel medesimo anno in cui Munari entra nel futurismo, tiene alla Permanente di Milano la sua prima imponente rassegna nazionale seguita a breve distanza di tempo da quella ancora più impornente del 1929 con i suoi 116 partecipanti – ma gli invitati erano ben 140, tra i quali anche alcuni degli stessi futuristi, come Prampolini, Depero e Pannaggi, che tuttavia declinano l’invito – prima di avviarsi all’esordio del decennio seguente lungo la strada di un retorico monumentalismo o di un casereccio neonaturalismo prettamente discorsivo e di facile acquisizione, magistralmente interpretato e chiosato dalla pittura di Carrà. Situazione subito denunciata con l’abituale ardore polemico da Marinetti il quale, presentando nello stesso 1929 la citata rassegna di Trentatre artisti futuristi, coglie alla Pesaro Munari, dove espone L’elefante, forse una ceramica o, comunque, uno studio per ceramica, indicativo di una attività di oggettista ceramico, tra le più qualificate nel campo della ceramica futurista, praticata da Munari parallelamente a quella di illustratore e di designer grafico e pubblicitario.
di Munari, tra la seconda metà degli anni Venti – più esattamente tra il 1926-27, quando il giovane artista aderisce al futurismo - e gli inizi del decennio successivo allorché anche Munari, in sintonia con gli svolgimenti del futurismo, a questa data ormai avviato verso un gusto decisamente astratto, muove, sia pure in modo non risolutivo, in direzione non figurativa. Conta invece in questa sede sottolineare il riconoscimento ufficiale di Munari quale personaggio di punta, anzi di leader, all’interno dell’ancor giovane gruppo futurista milanese, la cui prima presenza è infatti ravvisabile, sia pure in modo piuttosto embrionale e, comunque, non organico nella Mostra di trentaquattro pittori futuristi alla Galleria Pesaro del novembre-dicembre 1927: occorrerà tuttavia attendere fino al 1929, con la mostra di Trentatre artisti futuristi, sempre alla Galleria Pesaro, per assistere al riconoscimento ufficiale dell’esistenza di un gruppo milanese e, parallelamente, della posizione di punta occupata al suo interno da Munari: “Il gruppo di pittori futuristi milanesi guidato dal giovanissimo e genialissimo Bruno Munari”, scrive appunto Marinetti nell’introduzione al catalogo, “si presenta in piena efficienza”.Al futurismo Munari aderisce appena ventenne vivendone il clima con una baldanza propria dei giovani e di chi vuole combattere una battaglia d’avanguardia contro l’immobilismo e la stagnazione della cultura
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quale esplorare le infinite atmosfere cromatiche che circondano il complesso plastico definibile come un’isola aerea nella quale sia abolita ogni legge di natura”: il che, in altri termini, significa apertura verso una dimensione astratta, di assoluta essenzialità linguistica.Sono questi gli anni in cui il linguaggio di Munari si definisce in tutta la sua complessità abbracciando sì i temi peculiari della poetica futurista, primo fra tutti quello dell’aeropittura, di cui tuttavia elude le configurazioni meramente illustrative, ma affrontando anche nuove direzioni di ricerca, sollecitato in questo dalla sua stratificata cultura artistica aperta a ogni forma di sperimentalismo, nella quale convivono in attiva e dialettica correlazione echi della metafisica e portati di matrice dadaista e surrealista, la lezione di Balla e Prampolini, i futuristi che lo hanno maggiormente influenzato e che gli hanno verosimilmente trasmesso l’interesse per l’impiego di materiali poveri, dai fili metallici ai vetri colorati (puntualmente sottolineato fin dal 1915 nel manifesto della “Ricostruzione futurista dell’universo”) ed ancora elementi di ascendenza astratta, suggeriti dalla lettura dei “Bauhausbucher” e dalle indicazioni provenienti dalle ricerche in direzione non-figurativa condotte a Parigi dai gruppi Cercle er Carré e di Abstraction-Création durante la prima metà degli anni Trenta; oltre che dal clima di astrazione che attraversa il linguaggio futurista a partire dallo
scorcio del decennio precedente.Sarà tuttavia opportuno, ai fini di una corretta comprensione del linguaggio di Munari, ritornare all’attività espositiva dell’artista durante gli anni cruciali del suo percorso, fra il 1930 ed il 1934, quando esso si precisa e si definisce in tutte quelle componenti che lo qualificheranno anche nei decenni seguenti, pur se con i diversi movimenti artististici con i quali entra in relazione egli manterrà sempre un rapporto di sostanziale duttilità dialogando con fresca spontaneità senza subirne incondizionatamente né le scelte né gli orientamenti linguistici, come appunto documentano le “Macchine aeree” e le “Macchine inutili”, elaborate fra il 1930 ed il 1933 ed in tutto e per tutto calate nel clima dell’astrattismo ma entro i termini di una scelta metodologica e linguistica assai singolare e pienamente autonoma. Alla “Mostra futurista di aeropittura e di scenografia”, in occasione della quale Munari e il gruppo futurista milanese puntualizzando la loro poetica e le loro scelte linguistiche identificandone la specificità nella pratica di un acceso cromatismo concepito “oltre” le piatte stesure di colore sostenute dal Manifesto dell’aeropittura (“Volo sul capo di lei”, ”Zone atmosferiche e Infinito verticale”) – a un senso cosmico-atmosferico dell’impianto e allusivo, quindi, a una spazialità al di là dei limiti pittorici. Essi ribadiscono l’interesse per una ricerca di carattere cosmico- atmosferico – “Viaggio nel
è una serie di piccole figure umane e di animali sostanzialmente meccaniche progettate da Munari e da Sassu durante il biennio 1927-28 per la fabbrica di ceramiche Mazzotti ad Albisola ed intese alla definizione di un nuovo concetto di dinamismo, il quale, prendendo le distanze da quello boccioniano, in cui si sosteneva l’annullamento della materia nell’atmosfera, consentiva la configurazione di “esseri che conservano ancora qualche forma umana, ma hanno una nuova muscolatura, più potente e più dinamica, ottenendo forme dinamiche nuove e meccanizzandole anche in una visione sintetica antiprospettica, abolendo quindi la prospettiva naturale”.
Dove è da vedere con tutta probabilità, una anticipazione, al di là di certe ingenuità peraltro più che comprensibili ove si consideri la ancora giovane età dei due firmatari, di quanto lo stesso Munari, lasciata alle spalle la polemica antinovecentista, più che giustificata nel 1928, affermerà in termini più organici e con raggiunta consapevolezza critica di lì a qualche anno, nel 1931 firmato dal gruppo futurista lombardo e da Balla, Benedetta, Depero, Dottori, Fillia, Marinetti, Prampolini, Somenzi e Tato. Vi si legge, fra l’altro: “Abolire ogni prospettiva e plastica primitiva per costruire il nuovo quadro con elementi di prospettive cromatiche”; “La creazione artistica deve essere un assieme preciso e completo col
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dalle Macchine aeree: pensate come libera aggregazione e combinazione di forme nello spazio le Macchine inutili segnano concretamente la partecipazione di Munari al clima dell’astrattismo. Diventano pertanto le macchine inutili con il loro libero gioco di forme e di movimenti mirati alla definizione dello spazio, una presa di posizione dell’artista nei confronti della macchina quale era stata intesa dal mondo futurista, in altri termini di quella esaltazione della macchina che si era imposta come uno dei miti più significanti dagli anni Dieci in poi occupando di fatto tutto il primo tempo della seconda generazione futurista, lungo la maggior parte degli anni Venti. “L’epoca in cui viviamo,
tipicamente futurista”, avevano scritto nel Manifesto dell’arte meccanica del 1922 Prampolini, Pannaggi e Paladini, “si distinguerà fra tutte nella storia per la divinità che vi impera: la Macchina Sentiamo meccanicamente. Ci sentiamo costruiti in acciaio. Anche noi macchine, anche noi meccanizzati!... La Macchina non è forse oggi il simbolo più esuberante della misteriosa forza creatrice umana? Dalla macchina e nella macchina si svolge oggi tutto il dramma umano”. Nelle Macchine inutili di Munari non vi è nullo di drammatico, sono macchine che vivono attraverso i loro colori, le loro forme ed i loro movimenti negli spazi che esse di volta in volta creano. Come del resto ha tenuto ha precisare lo stesso
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tempo”, “Meteora su cielo rosa”, “Meteora su cielo verde”, “Meteora su cielo nero” – è altrettanto vero che che altri titoli suggeriscono un allargamento degli interessi e delle esperienze di Munari verso altri temi, primi fra tutti quelli della natura – “Che strano paesaggio”, “Gli alberi” – e della macchina – “Macchina per contemplare (atomi)”, “Macchina per contemplare (meteore)” -, quasi che l’artista abbia avvertito l’esigenza di reagire a una situazione che guardava esclusivamente agli sconfinamenti negli spazi cosmici o alla rappresentazione meccanica, recuperando nella prima un senso di primordialità terrena di vaga suggestione metafisica e di matrice surrealista che egli visualizza mediante
un linguaggio sostanzialmente astratto, comunque in rottura con le visioni e con le prospettive aeree che in quegli anni erano oggetto dell’aeropittura. Sulle ali di questa grande versatilità sperimentale che porta a teorizzare forme di arte sempre nuove – come appunto si legge nel Manifesto dell’Aeroplastica futurista, redatto nel 1934 e recante le firme di Munari, Manzoni, Furlan e Ricas: “Urge una nuova arte!”, un’arte che si esprima con mezzi “al di là della pittura e della scultura, che contenga in sintesi del cinema (senso cinepanoramico), del ritmo, della materia, dell’aria e dello spazio” – Munari può spingersi fino alle Macchine inutili, che datano al 1933 e che sono anticipate nel 1930
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artista suggerendone il rapporto con l’arte astratta: “Personalmente pensavo che, invece di dipingere quadrati o triangoli o altre forme geometriche dentro l’atmosfera ancora verista di un quadro, sarebbe stato interessante liberare le forme astratte dalla staticità del dipinto e sospenderle in aria, collegate fra loro, in modo che vivessero con noi nel nostro ambiente, sensibili all’atmosfera della realtà”. Che è poi un modo per sottolineare quel rapporto irrinunciabile fra arte e vita che è sempre stato alla base della poetica più autentica del futurismo e che una ricerca puramente astratta, condotta entro i termini del linguaggio cui si richiamavano gli artisti di casa nostra, non avrebbe potuto soddisfare.
Ed i risultati si sarebbero manifestati in tutta la loro singolarità di lì a breve con opere come Anche la cornice, dove l’artista rielabora con non comune consapevolezza critica la lezione di artisti quali Moholy Nagy ed Albers, ed Un punto azzurro, “una libera cascate di forme-colore”, secondo la definizione più che pertinente di Luciano Caramel, opere che anche nello stesso titolo rivendicano gli intenti dell’artista.
Articolo di Giovanni Anzani tratto dal Catalogo della mostra di Bruno Munari inventore artista scrittore designer architetto grafico gioca con i
bambini, Cantù, 1995
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Prendete un esperto giocatore di lippa e fategli calare lentamente l’uovo rosso (1) nella pentola (2) piena di acqua bollente. Voi intanto vi sarete alzati di buon mattino (grazie alla macchina per addomesticare le sveglie) e avrete legato un fiasco spagliato all’estremità di un bastone da passeggio (3), questo fiasco serve come galleggiante e, all’immersione dell’uovo si alzerà spostando il bastone che funge da leva e che si abbassa (4) premendo una lametta sul cordoncino (5). Il suddetto viene tagliato in due e le tartarughe siamesi Annetta e Luciana (6) scivoleranno sul piano inclinato (7), fatto con mollica di pane indurita, e andranno a sbattere contro la lampadina da milleduecentotre candele (8) facendola scoppiare.
Lo scoppio improvviso spaventa la chiocciola (9) Maria Lumèga di Monselice (viale Maria Marianna n. 247,4. Casa propria) che stava pensando ai bei tempi quando faceva la giornalaia (vi racconterò poi altri particolari). La chiocciola fugge verso la foglia di lattuga dove si ferma a rifocillarsi (10). All’arrivo della Lumèga l’uovo è pronto .
NOTE :
a) Incontrai un giorno Maria Lumèga in tandem sul percorso Napoli-Capri (il tandem era sul vapo-retto) e durante il viaggio mi raccontò la sua vita di giornalaia, vita che ama ricordare tra uno scoppio e l’altro. Dice: una volta, per aumentare le tiratu-re di un certo giornale
che non nomino ne feci stampare, a mie spese, parecchie copie su gom-ma elastica ad uso dei miopi che, senza bisogno di cercare gli occhiali per ingrandire le parole, ba-stava che con un lieve sforzo dilatassero il gior-nale nella giusta misura. Feci anche stampare il
giornale tutto in una sola facciata dall’altra parte c’era un grazioso motivo di tappezzeria: finito di leggere potevano adope-rarlo per tappezzare l’an-ticamera. Provai a farlo stampare su seta con inchiostri lavabili; dopo averlo letto, uno si pote-va fare una bella camicia.
Tutto fu vano, tutto fu vano, poi mi sedetti sopra un diva-no, e con la testa nella tua mano, pensai al giorno così lontano, che nacqui sotto un tulipano. Ciao Gaetano. b) Gaetano era un suo caro amico d’infanzia attualmente proprietario di una fabbri-ca di lancette per secon-di per orologi da signora.
M A C C H I N A P E R A D D O M E S T I C A R E L E S V E G L I E :
Buon giorno, ragazzi; dite la verità: neanche a voi piace essere svegliati così brutalmente con la solita sveglia. Il risveglio deve essere più gentile. Attenzione: sostituite, come prima operazione, alla feroce campana una discreta spugna asciutta, affilate poi la lancetta delle ore (1) come una lama di temperino così che quando incontrerà il filo (2), che avrete teso in corrispondenza dell’ora che vorrete svegliarvi, lo taglierà. Al filo è appeso un bel mattone (3) di pietra refrattaria verniciato di bianco opaco e legato con una cordicella possibilmente di due colori; il mattone, non più trattenuto dal filo, cade sulla zampogna (4) e la schiaccia.Dalla zampogna uscirà un’arietta, secondo gli accordi che avrete stabilito la sera prima
(ricordatevi di caricare la sveglia ed anche la zampogna), e quest’ arietta urterà una ruota a pale (5) fatta con undici piume di struzzo inamidate e la farà girare. Girando arrotolerà, su una puleggia nera che avrete comprato a Genova, il filo (6) che strapperà un fiammifero (si, di quelli a strappo, naturalmente) dal suo sostegno (7), lo accenderà e comunicherà il fuoco al forellino a vapori di bicarbonato di castagne (8). Tosto il bicarbonato sprigionerà la sua tipica fiammella azzur-ra e riscalderà l’imitazione del surrogato di finto caffè artificiale sito nella cuccuma (lasciatemelo dire un’altra volta: cuccuma, grazie. Ancora una volta, mi piace molto: cuccuma, cuccuma, cuc. grazie amici). Nella, dicevamo, cuccuma contrassegnata col n.9.
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“Erano gli anni 1928-29, andavamo in Brera alla sera, io facevo il corso serale all’accademia, vicino alla galleria Il Milione di Ghiringhelli, siamo stati allevati da quella galleria, abbiamo fatto un paio di mostre. Ci siamo incontrati, ci eravamo simpatici, e così ci siamo messi insieme, dovevamo cercare di stare al mondo e facevamo illustrazioni e pubblicità, lavoravamo molto, con allegria, in armonia perfetta, sempre con la musica, uno faceva una cosa, l’altro ne aggiungeva un’altra, avevamo questo studio molto grande, di via Carlo Ravizza 14, otto locali, erano delle cantine messe a bello, uno studio-sala di rappresentanza, con due quadri, uno mio e uno di Bruno, in mezzo allo
studio un cubo quadrato bianco con due scarpe da mendicante distrutte dall’aver camminato nel deserto, un salotto, il nostro studio, due locali per l’amministrazione, poi due camere da letto perché dorminvamo lì, Bruno era sempre molto in regola, sempre ordinato, in giacca e cravatta, era un angelo, sempre allegro, molto vivace e simpatico. Abbiamo conosciuto Marinetti, un maestro, un uomo affascinante, generosissimo verso i giovani, era ricco ma si è mangiato tutto per fare il Futurismo, ci pagava viaggi, pranzi, ci dava lavori, lui andava sempre al Savini, c’era sempre anche Prampolini, noi giravamo lì intorno, lui ci chiamava dentro, verso le 23, andavamo lì come spugne, lui ci ha
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allevato caricandoci, ci diceva Tu, guai se domani quando ti svegli non inventi qualcosa... Con Munari siamo stati insieme fino alla guerra, poi io sono partito, lui fortunatamente no, abbiamo fatto insieme le macchine inutili, le sue macchine avevano bisogno solo di un sospiro, le mie di un vento forte, poi abbiamo fatto le macchine tattili, poi, essendo amici di Ponti, di Figini e Pollini, facevamo molte cose per la Triennale, ma facevamo anche delle risse in Galleria, forse Munari non ne ha mai fatte, anzi lui ci guardava con distacco, non è mai stato polemico. Lui era più avanzato come artista, avendo questo suo interesse per il design, era più avanti, io ero un pittore più tradizionale.
Ad un certo punto lui ha avuto questo innamoramento per i bambini, anzi lui aveva un animo da bambino. Con questa sua candidezza e ingenuità io lo paragonavo a Mirò.”
(Riccardo Ricas, Su Munari, Edizioni Segesta Abitare, 1999 Milano)
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Bruno Munari (1907-1998) è stato senza dubbio il più eclettico artista-de-signer italiano.Sin dagli esordi negli anni ’30 con il Secondo Futurismo ha sempre dedicato la propria attività creativa alla speri-mentazione, declinandola in ogni sua forma e affiancandole un’attenzione particolare per il mondo dei bambini e dei loro giochi. Le sue creazioni nei campi della pittura, scultura, design, fotografia e didattica ne attraversano le diverse poetiche seguendo il filo della sua personalissima originalità.All’interno del catalogo Corraini Edizio-ni spiccano i titoli di Bruno Munari, che ha personalmente accompagnato l’at-tività della galleria d'arte e della casa editrice per più di vent’anni.Nel proprio lavoro Munari ha dedicato particolare attenzione al mondo dei bambini. Senza mai scindere la dimen-sione del contenuto da quelle della forma e del materiale, ha progettato libri, libri-oggetti e giochi-per-pensare
allo stesso tempo.Per Corraini, Munari crea nel 1992 la collana “Block Notes”, libera collezi-one di progetti dai risvolti creativi. Una raccolta di idee ed esempi dell’operare artistico come input per il “gioco dell’in-telletto” di tutti, riconoscibile nella veste grafica per le sue copertine grigie, il formato tascabile e i fori posti in coper-tina, che spingono il lettore a “curio-sare dentro” il libro.Sempre con Corraini, per i bambini e con i bambini realizza nel 1994 la “Favola delle favole”, mentre riprende vecchi progetti inediti come “La rana Romilda” (1997, ideato e disegnato nel 1958) e completa la serie dei libri del 1945 con “Buonanotte a tutti” (1997).I celebri “Libri illeggibili” rappresentano inoltre un’importante testimonianza di libro d’artista di cui i cinque titoli della serie “MN” vengono concepiti espres-samente per la galleria e le edizioni Corraini.
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La produzione editoriale di Munari si estende per settant'anni, dal 1929 al 1998, e comprende libri veri e propri (saggi tecnici, poesie, manuali, libri "artistici", libri per bambini[5], testi scolastici), libri-opuscolo pubblicitari per varie industrie, copertine, sopraccoperte, illustrazioni, fotografie. In tutte le sue opere, è presente un forte impulso sperimentale, che lo spinge a esplorare forme insolite e innovative a partire dall'impaginazione, dai Libri illeggibili senza testo, all'ipertesto ante litteram di opere divulgative come il famoso Artista e designer (1971). Alla sua vasta produzione come autore vanno aggiunte infine le numerose copertine e illustrazioni per libri di Gianni Rodari, Nico Orengo e altri.Per valutare l'impatto che l'opera di progettazione di Munari ha avuto sull'immagine della cultura in Italia, si può prendere ad esempio l'opera per l'editore Einaudi. Munari realizzò con Max Huber tra il 1962 e il 1972 la
grafica delle collane Piccola Biblioteca, Nuova Universale, Collezione di poesia, Nuovo Politecnico, Paperbacks, Letteratura, Centopagine, e delle opere in più volumi (Storia d'Italia, Enciclopedia, Letteratura italiana, Storia dell'arte italiana). Tra le altre realizzazioni grafiche di grande successo, si ricordano la Nuova Biblioteca di Cultura e le Opere di Marx-Engels per Editori Riuniti, e due collane di saggi per Bompiani.Nel 1974, insieme a Bob Noorda, Pino Tovaglia e Roberto Sambonet ha progettato il marchio e l'immagine coordinata della Regione Lombardia.
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Trovo sempre molto intrigante e stimolante l’incontro e il dialogo tra letteratura e arte visiva contemporanea, non solo per la passione che nutro per entrambe ma pure perché entrambe sono arte, appunto, e tra quelle primarie a disposizione dell’intelletto umano. Dunque, quando l’una incontra l’altra, o vi si mette al servizio ovvero vi si fonde, in qualche modo è come se i singoli valori si sommassero e ne generassero uno nuovo e doppio, o comunque ben maggiore: una dote che, ribadisco, ho trovato molto spesso fonte di riflessione e d’ispirazione per la scrittura letteraria.Per questo (non solo, ma anche) riservo una particolare attenzione a quella produzione artistica visiva che utilizza il testo scritto, la parola, la lingua ovvero l’oggetto-libro per generare il proprio messaggio. E indubbiamente tra quegli artisti del Novecento che hanno saputo interpretare e offrire una rilettura (termine qui assai consono)
dell’oggetto-libro, del suo senso primario e del suo valore, non si può non citare Bruno Munari coi suoi Libri Illeggibili: opere molto particolari e ancora oggi assai originali che nacquero in risposta ad alcune semplici tanto quanto intriganti domande: si possono creare storie senza parole e immagini? Un libro può comunicare senza i suoi elementi comunicativi tipici? Ovvero:Munari, innovativo designer nonché artista creativo ed eclettico, lancia una sfida: dal 1949 inizia a sperimentare nuove forme di linguaggio visivo e nuovi materiali editoriali creando i Libri Illeggibili, una collana che può essere “letta” dai bambini e nella quale rilegatura, inchiostro e testi non contano nulla. Il libro diventa un oggetto che racconta storie senza l’utilizzo della parole.Non vi è ordine, non ci sono margini e tanto meno numeri di pagine. Forme, colori e tagli sono i paesaggi di questa
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I “Libri Illeggibili” di Bruno Munari: un manuale di (non)scrittura
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narrazione che non ha né inizio né fine; si può andare avanti e indietro; si possono “leggere” capovolti o da metà. Colori allegri, tristi e drammatici; forme taglienti o morbide, fori che saltellano da una pagina all’altra sono i protagonisti senza tempo e senza nome che ci accompagnano lungo un racconto sensoriale. Citando l’artista stesso, «è un libro di comunicazione plurisensoriale, oltre che visiva. Fu così che nacquero i “libri illeggibili”, così chiamati perché non c’è niente da leggere ma molto da conoscere attraverso i sensi» (Bruno Munari, Libri senza parole, in R. Pittarello, Per fare un libro, Milano, edizioni Sonda, 1993).
Luca Rota, Scrivendovolo.com, 14 aprile 2014
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La filosofia dei laboratori di Bruno Munari
Intelligenza tagliente, eleganza congenita, creatività incontenibile, vocazione per la sperimentazione ed un eclettismo autentico, mosso dalla curiosità per le cose, per il mondo, per le persone. Bruno Munari è una figura unica nel panorama culturale italiano, che ha dedicato un interesse particolare al mondo dell’infanzia e dell’educazione. Genialità vestita di semplicità, nell’animo e nel metodo: il senso stava tutto in quel bisogno di comprendere i meccanismi dell’esistenza, generando nuovi spazi dell’abitare e infiniti mondi dell’immaginazione, collezioni di oggetti non convenzionali, territori del gioco e del disorientamento, racconti utopici e poetici, affinando, come la più
scaltra delle chiavi, lo spirito ancestrale della creatività (Helga Marsala).Con i giochi e libri per bambini Munari è entrato nelle camerette e nelle aule di molti paesi del mondo per sperimentare ogni volta in modo diverso il principio del “Lao Tse” (azione senza imposizione di sé), su cui si fonda la sua didattica (Rossella Grenci). Partendo dalla consapevolezza che la sperimentazione diretta plurisensoriale facilita la comprensione e la trasmissione delle conoscenze, l’artista ha messo a disposizione la propria capacità di scegliere e fornire materiali e suggestioni visive, perché il bambino potesse egli stesso agire, liberando la propria curiosità in un gioco solo minimamente guidato, suggerito
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soprattutto attraverso le immagini e le dimostrazioni pratiche. In un suo libro intitolato Fantasia Bruno Munari distingue quattro facoltà: fantasia, invenzione, creatività e immaginazione. La fantasia viene descritta come una facoltà totalmente libera che permette di pensare anche alle cose più assurde e impossibili. L’invenzione è invece la realizzazione di qualcosa di utile all’uomo, senza porsi alcun problema estetico. La creatività è invece ciò che permette di realizzare tutto ciò che prima non c’era in modo essenziale e globale: è quindi un’applicazione della fantasia che però deve tener conto degli elementi concreti del problema per la sua realizzazione. Come capacità produttiva deve unire fantasia e razionalità (che ritroviamo già nell’invenzione).Tutte e tre queste facoltà si avvalgono dell’immaginazione, che è la capacità di rendere visibile ciò che la fantasia, l’invenzione e la creatività pensano.Lo sviluppo del pensiero creativo, quindi, è dato dalla consapevolezza della conoscenza plurisensoriale insita nei più piccoli. I bambini, infatti, sono degli sperimentatori nati, delle persone
Questo articolo è tratto da:Redazione Pipius, “Bruno Munari e la creatività dei bambini“, 21 marzo 2017Rossella Grenci, “La pedagogia di Bruno Munari”, 19 agosto 2010Helga Marsala, “Bruno Munari, artista e designer”, 5 aprile 2014 (con video)
curiose che vogliono vedere come si possono fare le cose in maniera alternativa. La scoperta della realtà avviene attraverso il gioco, con l’utilizzo di tutti i sensi, in quanto sono immersi in un mondo tutto nuovo. Attraverso l’esplorazione e la sperimentazione, e attraverso il gioco, imparano e memorizzano. Mostrando con strappi di carta come si sviluppa un albero, facilitando la comprensione di un’opera d’arte, bucando le pagine di un libro per far vedere cosa c’è al di là delle apparenze, consentendo di scomporre l’immagine di un volto per ricostruirne a piacimento l’espressione, l’autore ha come di consueto compiuto gesti semplici e realizzato una delle opere più grandi e complesse che si potessero prevedere. E così, dal 1976, Bruno Munari è il protagonista di una lunga attività didattica e laboratoriale, denominata Giocare con l’arte, che il designer-filosofo organizza con la collaborazione di scuole e musei in tutto il mondo (Redazione Pipius).
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La creativita dei Giochi Giocattolo
Bruno Munari ha trovato nei bambini e nel loro modo di percepire la realtà, la purezza della fantasia: nei suoi laboratori i bambini manipolano diversi materiali, disegnano, creano, e svolgono altre attività perché è proprio attraverso questi giochi che sviluppano la propria fantasia, lo spirito inventivo, la creatività e l’immaginazione. In altre parole, imparare giocando (Redazione Pipius). Con questo scopo Munari crea i Giochi Giocattoli. La logica di produzione dei giocattoli non è quindi quella del mercato, ma quella della promozione della crescita individuale del bambino, cioè produciamo ciò che è utile per lui. In questo senso, il materiale deve essere in un certo senso “aperto” a mille possibilità e soluzioni affinchè possa
agevolare il bambino nel suo pensiero fantasioso e creativo, e quindi non è un materiale che può essere utilizzato solo ed esclusivamente in un modo standard e uguale per tutti: lo scopo è quello di abituare il bambino ad un pensiero elastico, creativo, mutevole. per questi motivi deve essere: accattivante e stimolare la curiosità del bambino attraverso tutti i canali sensoriali; immediatamente chiaro, comprensibile e aperto a più possibilità, a più “soluzioni creative” e quindi pensato in modo da poter essere usato ogni volta in maniera differente a seconda del desiderio e della volontà del bambino: il bambino prova e riprova, modifica, tenta, monta e smonta e così sviluppa un pensiero elastico, dinamico e creativo; deve
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essere realizzato con un materiale “agile” facile da montare e smontare, in modo che non rallenti in un certo senso il flusso creativo della mente del bambino. Secondo Munari, quindi, è importantissima, non solo la vista, ma anche la percezione immediata offerta dal toccare ed esplorare con le mani e col corpo il mondo circostante, le cose, gli oggetti (Giulia Fontana).E così, uomo attivo fra gli uomini, o se vogliamo progettista attento alle esigenze di sviluppo dei bambini, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale realizza: “la Scatola di Architettura”, che contiene una serie di “mattoni” in legno di pero di varie forme, con i quali, in diverse combinazioni, si possono costruire diversi “edifici” lasciati alla fantasia di chi gioca; e alcuni dei primi giocattoli in gomma piuma, con anima in fil di ferro per poter assumere infinite posizioni. Il primo, non a caso, è un gatto: Meo Romeo. Il secondo non poteva che essere una scimmietta, Zizì, simbolo di curiosità per antonomasia. Il Gatto Meo in gommapiuma fu prodotto nel 1949 per la Pirelli-Pigomma. Ecco come lo stesso Munari descrive il gatto Meo Romeo: “Quando
un gatto è morbido, liscio, pulito; quando lo puoi mettere in molte diverse posizioni e lui ci sta, quando non fa la pipì in nessun luogo, non devi curarlo, non devi dargli da mangiare e poi, dico, quando ha i baffi di nailon, cosa vuoi di più? Che cosa gli manca, infatti, a Meo Romeo? Gli manca la voce, lo so, ma anche alla “Gioconda”. Meo Romeo è il nuovo gatto di gommapiuma ideato per i bambini moderni”(Italianways).Alla scimmietta Zizì viene assegnato nella prima edizione del 1954, il 1° Premio Compasso d’Oro La Rinascente per aver rappresentato “una interpretazione del carattere del ‘personaggio’, che ha raggiunto una essenzialità formale, nell’impiego tipico della materia”. Progettata nel 1952, è tecnologicamente innovativo per l’utilizzo dei materiali in quanto è l’esito della ricerca condotta da Munari sulla gommapiuma Pirelli, già sperimentata con il gatto Meo Romeo: oggetto espressivamente simpatico e gradevole al tatto.
Questo articolo è tratto da:Redazione Pipius, “Bruno Munari e la creatività dei bambini“, 21 marzo 2017Italianways, “Bruno Munari, il Gatto Meo Romeo“, 27 aprile 2015sito Scimmietta ZizìGiulia Fontana, “I libri illeggibili e i giochi di Bruno Munari“, 6 maggio 215
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Alla scoperta della multi-sensorialita
Munari propone di insegnare ai bambini come si guarda un’opera piuttosto che leggerne solo il contenuto o il messaggio. Nel Laboratorio “si gioca all’arte visiva”, si sperimentano tecniche e regole ricavate dalle opere d’arte di ogni epoca e di ogni luogo, trasformate in giochi: è facendo che si scoprono le qualità diverse dei materiali e le caratteristiche degli strumenti. I bambini hanno bisogno di capire e classificare, mettere in ordine le informazioni per poterle recuperare quando ne hanno bisogno: è importante dunque lavorare alla proprietà di linguaggio, che aiuta i bambini a comunicare. Munari lavora così sui libri con un’attenzione posta
sul libro stesso che diventa di per sé un oggetto in grado di comunicare: pensa a dei libri che possano stimolare il bambino da tutti i punti di vista, per le loro qualità olfattive, sonore, materiche, termiche e tattili, offrendogli una varietà di stimoli, sensazioni ed emozioni. Progetta i cosiddetti Prelibri pensati per non aver un inizio e/o una fine “fissi”, ma possono essere consultati e manipolati a partire da una pagina qualsiasi, in quanto l’importante è essere suggestionati e stimolati dal materiale con cui si entra in contatto. Allora diventano fondamentali: il tipo di carta usata, il formato, la rilegatura, i colori e le texture, le sequenze di forme di fogli che vengono tagliati in maniera differente.
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Inoltre devono necessariamente essere minuscoli perché facili da maneggiare dalle manine di un bambino e che hanno la caratteristica di raccontare una storia seconda di come il bambino utilizza il libro: crea una sequenza di immagini differenti, una narrazione diversa e quindi è stimolato in un pensiero nuovo. In questo modo il bambino si abitua a pensare, immaginare, a fantasticare, in una parola ad essere creativo. Libri così accattivanti e interessanti avranno il grande vantaggio di tenere viva l’attenzione del lettore, o meglio dello sperimentatore, che sarà continuamente sorpreso e incuriosito da una storia che non esiste a priori ma che è da lui stesso costruita a seconda di come sceglierà di muoversi ed orientarsi tra le pagine del libro (Giulia Fontana).Pensiamo anche ai formidabili e colorati Cappuccetto Verde, Cappuccetto Giallo e Cappuccetto Bianco, dove i protagonisti delle favole diventano i colori. Soprattutto in questa trilogia, Munari presenta il suo particolare punto di
vista sulla fiaba che viene privata degli aspetti drammatici e magici per entrare nella sfera di un’esperienza possibile, più vicina al vissuto di un bambino reale. L’artista aveva più volte espresso un parere critico rispetto alle storie che si raccontavano ai bambini, dove spesso trovavano posto personaggi inesistenti nel tempo reale, come principi o fate, oppure venivano dipinte situazioni macabre con personaggi arrostiti nel forno o mangiati dai lupi. Tutto questo avrebbe potuto spaventare un bambino, che può essere, oggi come prima, maggiormente attratto da situazioni più vicine alla sua esperienza (Federica). Un bambino, così, impara anche che deve avere un po’ di coraggio ogni volta che deve affrontare una situazione nuova, che gli appare a prima vista difficile, collocando e accettando anche il sentimento di paura che, inevitabilmente, incontra nel crescere. I cappuccetti di Munari raccontano storie monocolore in cui i dettagli che nella fiaba classica sono trascurati, come il contenuto del cestino, qui sono dettagliatamente descritti e son tutte
cose rigorosamente scelte del colore del cappuccetto (Silvana Sperati).E’ possibile giocare con la scrittura, ma, in particolare è possibile giocare con la comunicazione partendo da una varietà di materiali ed oggetti, puntando sulle sensazioni ed emozioni che ispirano. “Tavola Tattile” (la prima risale al 1931) è un’opera d’arte da percepire ed interpretare con il tatto, pensata a un’arte che coinvolgesse tutti i sensi e non soltanto la vista ritenuta per troppo tempo la sola fonte di conoscenza. Realizzata su tavole di legno, presentano vari materiali come carte vetrate di varia finezza, sughero, corde, metallo, pelle e pelliccia così da offrire diverse sensazioni visive e tattili (Sabrina Tartaglia). Nel 1976 Munari progetta il Messaggio tattile per una bambina non vedente. Si tratta di una composizione lineare alta 2 metri; è formata da una corda di
plastica liscia, un nodo di canapa, una catenella di palline cromata, plastica morbida in strisce, un anello in ferro a cui sono attaccati altri materiali quali canapa sfilacciata, corda di manila, rafia naturale; un tubo in PVC morbido, una molla metallica, un altro nodo, un filo di lana, un pezzetto di pelliccia e una fettuccia con bottone e asole. I materiali sono indicati nel disegno da Munari stesso che è solito accompagnare le sue opere da precise istruzioni per essere ben capito e ripetere le esperienze (Beba Restelli).
Questo articolo è tratto da:Federica, “I Cappuccetti di Munari”, 13 febbraio 2015sito I laboratori di Bruno MunariGiulia Fontana, “I libri illeggibili e i giochi di Bruno Munari“, 6 maggio 215Sabina Tartagia, “Giocare con il linguaggio: i laboratori tattili di Munari“, 17 marzo 2017Silvana Sperati, “Munari incontra la fiaba“, 27 novembre 2015Beba Restelli, “Bruno Munari, la polisensorialità e i bambini“
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Le sculture pieghevoli e da viaggio
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Munari ha ideato queste “sculture da viaggio” come egli le chiama: sculture “pieghevoli” e leggere: le più piccole da mettere in valigia e portare con sé, quando si parte: perché creino ad ognuno, nelle anonime stanze d’alber-go, come un punto di riferimento col mondo della propria cultura.Alcune son state realizzate in legno di pero, con cerniere in nailon (in die-ci copie numerate e firmate); altre in metallo, altre in materia plastica. Una piccola scultura pieghevole di carton-cino rosso e verde, in trecento copie numerate e firmate, Munari l’ha inviata in omaggio ai suoi amici nelle varie
parti del mondo, per via aerea.
Attraverso le sculture da viaggio, Muna-ri ricorda il senso reale del viaggio, non l’arrivo o la partenza, ma il viaggio in sé. La caratteristica tascabile dell’og-getto creativo ne permette il trasporto, per avere sempre dietro una parte di se stessi perchè l’uomo è casa, terra ma anche esperienza del proprio vissuto.Le sculture da viaggio sono nate “per avere con sé, o per portare in una camera anonima d’albergo, un ele-mento della propria cultura”. Munari così, sdrammatizza il valore dell’arte e in particolare della scultura, rendendo-
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la trasportabile e, nello stesso tempo, apre una riflessione profonda sull’im-portanza della cultura e dell’arte nella società: la scultura come elemento familiare che si carica di significati, di memoria, un punto di riferimento verso le proprie abitudini, le proprie cono-scenze. Negli anni ’90, utilizzando i progetti delle piccole sculture in carton-cino, l’artista realizza opere più grandi che, talvolta, diventano imponenti, sino ad 8 metri di altezza. Oggi si possono trovare in posti diversi come Portofino, Cantù, Riva del Garda, ma, in fondo, si trovano anche in ognuno di noi, in un luogo dove i viaggi iniziano quando sembrano finire. Le sculture da viaggio
nascono come un gioco, un gioco che parte con l’idea di riequilibrare lavori altrimenti troppo seri, perchè in fondo c’è sempre un senso ludico nascosto che fa ricordare… “giocare è una cosa seria”(B. Munari).
DOMUS n. 359 ottobre 1959Martina Adamuccio, Espoarte, 26 giu 2012
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Negativi positivi: la genialitatra la regola e il caso
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Sono degli oggetti concreti, simili a pitture perché dipinti su una superficie piana ma non sono pitture nel senso tradizionale perché non hanno nessuno degli elementi che componevano la vecchia pittura. Effettivamente oggi non si può fare della nuova pittura usando i vecchi schemi, eppure molti pittori fanno ancora dell’astrattismo tonale o impressionista; si tratta sempre di ripro-duzione di qualche cosa invece che di produzione.Questi oggetti a superficie piana dipin-ta si chiamano negativi-positivi perché ognuna delle parti che li compongono è autonoma, come i pezzi che compon-gono un motore; non esiste una parte
che fa da fondo alle altre ma tutte in-sieme compongono l’oggetto. Se con-sideriamo invece una pittura astratta o narrativa vediamo che c’è un fondo colorato sul quale è sistemata la com-posizione, sia questa di figure reali o di figure immaginarie incomprensibili. È evidente che questo fondo crea una atmosfera, una profondità, un rilievo, tutte cose che nella nuova arte concreta non ci devono essere.Se si deve dar forma a un rilievo questo sarà concreto e non finto.Ne viene di conseguenza che occorre tener conto anche della forma della superficie che si sceglie per dipin-gere: i quattro angoli o i lati esterni
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dell’oggetto devono partecipare alla composizione. Una composizione a linee curve avrà un contorno curvo, per esempio. Ed ecco la necessità di tener conto, quando si disegna, di quello che si viene disegnando, non solo da una parte ma da tutte e due le parti della linea. Esempio: dato un quadrato, una linea che passa diagonalmente disegna dai due lati due triangoli. Se noi dipin-giamo questi triangoli uno rosso e uno giallo avremo un oggetto semplice fatto di due triangoli ma senza fondo. Se invece prendiamo un quadrato bianco e su questo fondo mettiamo due piccoli triangoli colorati, avremo ancora un quadro astratto cioè la rappresentazio-ne visibile di due triangoli. Il che sta a significare che questo ultimo quadro rappresenta due triangoli mentre il pri-mo è un oggetto concreto fatto di due
triangoli.
Gli oggetti concreti.I primi astrattisti hanno abolito tutto ciò che impediva una chiara visione dell’arte, hanno abolito tutte le funzio-ni, i trucchi ottici ecc. Nessun pittore astrattista penserebbe oggi di ritornare al chiaroscuro per le sue pitture astrat-te. Oggi molti sanno che per esprimere una sensazione pittorica useranno i colori, per esprimere un’idea plastica useranno la plastica cercando la mate-ria più adatta alla forma pensata. Ma non tutto è stato esaminato in questa ricerca della purezza espressiva. Moltipittori astrattisti usano ancora gli accor-di tonali della vecchia pittura col risulta-to di comporre una «natura morta» astratta, di forme irriconoscibili. Molti pittori, anche tra i più moderni, usano
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ancora disporre la loro composizione sopra un fondo bianco o colorato. Ma anche il fondo fa parte della vecchia pittura e va abolito come il chiaroscuro e la prospettiva.(Intendiamoci: queste ricerche dell’ar-te concreta non vogliono abolire tutta l’altra arte, sia narrativa o astratta. Si sa che quando dobbiamo narrare un episodio e non abbiamo altro mezzo che la pittura, per una decorazione mu-rale, per un manifesto di propaganda, per una illustrazione ecc. useremotutti i mezzi della pittura narrativa e quindi il chiaroscuro, il fondo, la pro-spettiva, ecc., ma ora siamo nel campo delle ricerche concrete e parliamo di questo).Le opere d’arte concreta sono quindi degli oggetti, dipinti o plastici, senza alcun significatonarrativo. Essi non
hanno quindi né chiaroscuro finto, né volume finto, tutto è concreto come in una macchina o in un violino.
Bruno Munari, DOMUS, n. 273, settembre 1952“I negativi positivi”
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