ZNKR_SHIRO_diTizianoSantambrogio_OTT_NOV_2012

18
Ottobre Novembre 2012

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Marzial Art

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Ottobre – Novembre 2012

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Stai bene ? Ti incazzi quasi mai ? Raramente ti senti stanco e stressato ? Trascorri delle belle giornate ? Hai delle interessanti relazioni sociali ? Godi di buona salute ? Sei contento ? Sei felice ? Prendi delle decisioni bello convinto ? Sei tu che decidi della tua vita ? Sai affrontare crisi, litigi e conflitti con forza e serenità ? Tutto OK, tutto al meglio ?

Allora noi non ti serviamo.

Z.N.K.R. Scuola di Arti Marziali Orientali

e Formazione Guerriera

Milano.

Corsi collettivi. Incontri individuali. Seminari del Sabato.

Tiziano Santambrogio

Esperto di Arti Asiatiche del confliggere e del buon vivere;

counselor Gestalt; socio AISCON (Associazione Italo Svizzera di Counseling)

La Scuola:

http://www.znkr.it/

http://www.facebook.com/group.php?gid=116344158401343&v=wall

Tiziano:

http://www.tizianosantambrogio.it/

http://tiziano-cinquepassineldestino.blogspot.com/

tel. 339.41 5.13.69;

mail: [email protected]

Chi incontra il demone muore. Chi non muore diventa schiavo. Chi non diventa schiavo, diffonderà il demone. (Kai Zen)

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Il movimento non è inteso come apprendimento motorio codificato, esso, invece, conduce il pra-

ticante alla sua unicità espressiva. Entrare in movimento attraverso immagini, sensazioni,

emozioni, attraverso l’abbandono ed il viaggio fantastico ed immaginifico, spinge il praticante alla ricerca di sé, attraverso un’esperienza personale, che lo coinvolge tutto.

Tai Chi Chuan, Chi Kung e moderne pratiche fisicoemotive di stampo occidentale, sono gli

strumenti di cui avvalersi, in questo unico, irripetibile viaggio alla scoperta del “profondo” di ognuno di noi.

Milano.

Gennaio Sabato 12; Marzo Sabato 9; Maggio Sabato 11.

Conduce Tiziano Santambrogio,

esperto di Arti Asiatiche del confliggere e del buon vivere; counselor Gestalt; socio AISCON

(associazione italo svizzera di counseling)

Sapere

del

Profondo

Z.N.K.R.

Scuola di Arti Marziali Orientali e formazione guerriera

contatti: [email protected]

Z.N.K.R. A.I.C.S.—C.O.N.I.

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Bellissima ( e, per me, inquietante ) la mostra “Bodyworlds) - http://www.bodyworldsinthecity.it/ -

La giro tutta in compagnia di Paolo. Mi soffermo, sempre, ad osservare come la colonna vertebrale si innesti nel bacino, il gioco anche e femori. Quel centro, insomma, che ha un ruolo fondamentale nel nostro modo di praticare Arti Marziali. Osservo il bacino, così accogliente, così formato da darmi l’impressione di contenere sì ma anche di integrare: spazio dove sto e, al contempo, spazio attraverso cui innestare il movimento per andare. Spazio ricettivo che, nel collettivo, nel sociale, si fa, dalle caverne primitive agli edifici più arditi di fine secondo millennio, cassa di risonanza dell’intimo, dell’inconscio. E chissà cosa avrebbero da dissertare urbanisti ed ar-chitetti da una parte e sociologi dall’altra intorno alle trasformazioni che vedono lo spazio privato fagocitare quello pubblico, i centri commerciali sostituire le piazze come luogo d’incontro. Lo spazio pubblico divenuto or-mai “terra di nessuno” perché visto come insicuro, che non ha recinti né mura. Dunque l’apoteosi della separa-zione tra pubblico e privato. E mi chiedo, di rimando, se questa dispersione urbana, questo menefreghismo per un’urbanizzazione a misura della collettività, non sia il volto scoperto, la dimensione sociale, di quanto avviene nel singolo, nel “bacino” di ognuno di noi. Ogni giorno, ogni “incontro di formazione marziale”, mi spinge a mettere le mani dentro il bacino di ognuno di noi, laddove l’interazione dentro / fuori , l’agitarsi delle emos – azioni, i processi elaborativi del sentire, fanno di ogni individuo l’originalità di quello che è. Pratichiamo nel chiuso del Dojo, ma mai tralasciando occasioni di pratiche all’aperto: che sia la natura aperta di una montagna o del mare, come i più modesti giardini di città o persino le povere vie, cementificate e lacerate dai morsi delle automobili, della nostra Milano. Perché il bacino di noi marzialisti, di noi “guerrieri”, sia sempre pronto ad accogliere come a dare slancio, in un sempre mutevole equilibrio di yin e yang, luogo simbolo di assorbimento e rigetto quanto luogo fisico in cui que-sto avviene. Per chi pratichi Arti Marziali ( e non stili, sport o qauquaraquate varie)il pensiero va subito all’archetipo del Minotauro, simbolicamente la metafora delle circonvoluzioni intestinali al cui centro stanno le pulsioni viscerali, come il pomposo e razionale cervello al cui centro, però, giganteggia l’oscura amigdala, il mediatore delle emozioni.

Poi, mi incanto davanti al “giocatore di basket”. Quella impo-nente e larga striscia rossa che lo fa forte e poderoso nel suo gesto mi colpisce immediatamente. E’ la muscolatura profonda. In mezzo a vocianti esperti, maestri e professori ed agonisti di questa o quell’altra Arte Marziale, di questo sport o dell’ultima “trovata” pubblicitaria di autodifesa, spicca, isolata, la nostra voce, la voce dello Z.N.K.R. che spinge l’accento proprio sulla muscolatura profonda. Agli altri i pesi, le “macchine” per raffor-zare e gonfiare la muscolatura superficiale ( fa anche tanto fi-go, tanto “macho man”), a noi il sudare alle prese con lei: la muscolatura profonda. La muscolatura profonda è la muscolatura che l’adulto ha or-mai dimenticato. E’ gestita dalle parti più antiche del cervello, (quella parte “rettiliana” che tanto serve a noi combattenti, a noi che voglia-mo imparare a stare nel confliggere). Quando agisce anche una modesta porzione di muscolatura profonda, un senso di benessere investe il corpo intero. (by DSil)

Tameshigiri

Domande, provocazioni ed incontri

lungo la Via del guerriero

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Sarà perché è legata al sistema viscerale, al sistema para simpatico, perché la nostra vita emotiva è irri-nunciabilmente ad essa connessa. “Nei periodi in cui si perde contatto con se stessi, le risorse necessarie al proprio agire nascono da un livello corticale del cervello per cui il tessuto connettivo degli organi, e di conseguenza della muscolatura profonda, si prosciuga. Nei periodi di recupero, il tessuto connettivo di organi e muscolatura profonda si rigenerano”. Riscoprire le possibilità fisicoemotive dei muscoli profondi modifica il rapporto con se stessi ed è determi-nante per il processo di radicamento nel proprio corpo, che, come ogni “guerriero” sa, è alla base di una personalità sana e integrata. Ecco perché da noi, allo Z.N.K.R. , è su di lei che agiamo principalmente. Esco dalla mostra ben soddisfatto. Molto ho imparato e … qualche conferma della bontà del mio e nostro cammino, ho ricevuto. Avanti ancora !! OSS!! Tiziano Sensei

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Cosa ci si può inventare per

rilanciare un dojo dove si prati-

cano Arti Marziali?

In primis occorre visibilità, già

ma come si fa a mostrare una

“merce” che merce non è poi-ché non si vede? mum-

ble..mumble.. mumble..

Proviamoci! Una bella lezione

aperta del nostro tai chi chuan,

difficile come “prodotto” da smazzare, non vendibile alle

masse come gli stili regnanti,

provenienti dalla remota Cina e

scolpiti della loro essenza mar-

ziale, guerriera, adattati a perso-

ne che poca voglia hanno di

sudare e cercare dentro sé,

nella propria Ombra e divenuti

quindi il “bussiness” a cui molti possono accostarsi stando quasi

sempre in superficie. Un omolo-

gazione della varietà umana,

tante forme uguali per tutti.

Ma duri!! ci proviamo lo stesso

e facciamo vedere a sta città che

noi ci siamo, noi Z.N.K.R. e

anche il DAO di Porto d'Ascoli

è venuto a darci man forte.

Levataccia, e ricerca del signor

Smith ( neppure lontanamente

simile all'agente Smith di Matrix)

ma un concetto simile, pillola

blu o pillola rossa? Ok scendo

dal mio volo da Tengu e prendo

la postazione con un 6 ogni 3

metri, 666 quale numero miglio-

re per scendere nelle profondità

del proprio io?

Celso e Angelica arrivano verso

le 8.00 dopo che io ho già fami-

liarizzato coi bancarellari in

zona, montiamo lo stupendo

gazebo fornitoci da Nicola e

Angelica e via, pian piano arriva

gente a rotazione, gente del clan ( così mi piace definirci) gente

che si ferma a guardare . La Franci che volantina con Monica e

Lupo, Gianluca Giuseppe Donatella Davide Rob Jean Paul Max e

Tiziano Sensei.

Individui curiosi si fermano, una 60enne con la maglietta simboleg-

giante “Peace” si unisce a noi, una giovane boxer e una moltitudine di bimbi per il corso e persone di ogni età, addirittura uno dei

primi praticanti del dojo, un pezzo vintage nella moltitudine umana

che ruota attorno a noi; e che noi possiamo stare fermi? Calci e

rotolamenti in gruppo a due, e mia sorella venuta da Como con

un’ amica anche. Tante forze unite, tutti con la propria individualità a crescere a far conoscere tra sguardi bassi, frettolosi e anche

chiacchere interessate il nostro “fare” Arti Marziali”.

Gran bella giornata conclusasi poi a casa mia, porte aperte per la

mia gente, sempre e ovunque.

Un paio di settimane e rieccoci in via Mincio, sotto la guida del

M° Giuseppe con Andy come aggiunta.

Io Celso e Angelica sempre in prima linea.

Dalla filippina con la pressione alta che le hanno consigliato il Tai

Chi Chuan, a una cintura nera : “Fate Chen o Yang”

una signora sulla 40ina penso, sorvolo i pensieri che mi porta e la

fisso con un ebete sorriso taoista

“Yang o Chen? Io sono cintura nera di Chen”

“lei come si chiama?” rispondo

“Marina”

“Bene! È il tai chi di Marina”

poi discutiamo un po' sul nostro fare e dice che ripassa per prova-

re.

Ho imparato che i neofiti o eventuali ,sono come le belle donne,

non sai se te la daranno o se li rivedrai al secondo appuntamento...

Comunque, anche qui

uniti, un gruppo, un

branco in lotta tra

risate e mix di relazio-

ni che si intrecciano

per dire : “Milano, e non, noi ci siamo!”

Sta a voi ora..

Oss!!

Giovanni

Z.N.K.R. Feste di via

S E T T E M B R E — O T T O B R E

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la clip delle feste

é in

http://tiziano-cinquepassineldestino.blogspot.it/

Feste di via

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1° Gruppo Esperienziale – Giardini Pubblici di Milano.

Sabato 13 Ottobre

Vivere, muoversi, combattere ….hanno necessità di essere nutriti dal flusso dell’energia vitale, dalle pulsioni profonde, dal

libero incontrarsi delle relazioni, dal contatto di corpi ed

emozioni, di pelle ed odori e sguardi; hanno bisogno

dell’esperienza fisicoemotiva, corporea, e dell’immersione nella natura. Quella costruita dall’uomo, cemento e acciaio e luci

artificiali; quella dall’uomo manipolata ma che delle origini conserva ancora tracce evidenti, giardini e rocce ed alberi.

L’esperienza vissuta dal singolo non esiste separata dall’alterità, dall’ambiente; il rapporto con gli altri e con la natura, più o

meno umanizzata, è il fondamento della sua personalità.

Vivere, muoversi, combattere ... insieme. Un fare pratica che

trasfigura, in cui ciascuno sia soglia di avvenimento imprevisto

per l’altro.

Un manipolo di praticanti Wing Chun Boxing. Un’Arte che, come tale, ogni volta rimette tutto in gioco e nulla è fissato

se non per trans – formarsi.

Gruppo, ovvero nodo ed insieme cerchio. La forza della coesione e la circolarità senza inizio né

fine, senza capo né seguaci.

Esperienziale, ovvero vissuto carnalmente ed emozionalmente. In questo senso, fare esperienza è

attingere a pulsioni e tensioni perché contaminino la

persona stessa che fa esperienza, accompagnandola

nel suo processo di individuazione.

Le mani nude a squassare l’aria; il lungo bastone di

legno che cala improvviso e sfacciato; i pugni e i calci

e le proiezioni al suolo. Il confliggere aspro dello

scontro fisico, che è sempre fisicoemotivo.

Abbiamo avuto la possibilità di condividere

un’esperienza e, così, di comprendere e riconoscere

quanto / come accade dentro ognuno di noi e nel

gruppo: i fenomeni, i comportamenti, le dinamiche che

si attivano al suo interno, a partire dall’esperienza vissuta in prima persona. Abbiamo condiviso risorse e scarsità, in una processo di “formazione guerriera”, di formazione al saper stare nel conflitto, che è sempre perturbante nelle sue componenti emotive.

Nei prossimi mesi, per chi vorrà esserci e confliggere, il prossimo

appuntamento.

OSS!!

Tiziano

Wing Chun Boxing

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La pagina di Renato “L’aria pungente del mattino mi dà un brivido. Non distinguo tutti gli odori che trasporta ma, per quelli che inseguo, affilo con una pietra la punta di selce che fisserò con fibre vegetali all’estremità di un bastone. Mi guiderà l’istinto attraverso la foresta che domino dall’alto di questa rupe ma, se mi sono concesse solo necessità, perché l’orizzonte che si arrossa m’incanta, e mi viene d’esprimere in un grugnito: “Quale il fine?” In un racconto che ho scritto diversi anni fa, ho immaginato così il passaggio dall’istinto animale all’istinto consapevole.

Ci sono persone convinte dell’impossibilità del libero arbitrio. Fior di scienziati, medici blasonati, intrepidi speleologi delle più recondite cavità cerebrali e acuti rilevatori di sinapsi attribuiscono al retaggio genetico, a influenze ambientali (ataviche e presenti) e a mirate sostanze secrete dal cervello, tutte le finalità del pensare e dell’agire umano. Fino a definire la possibilità di scelta individuale un puro e semplice condizionamento, e la libertà un’illusione. Tralasciando le tante, risapute obiezioni di ordine scientifico che vantano altrettanta credibilità, io mi domando se siffatti cervelli siano usciti una volta dalla scatola cranica, fuori, nel mondo, giusto per curiosare, annusare e darsi attorno. Se abbiano mai provato a rotolarsi in un prato, il viso affondato nell’erba a coglierne i rumori, l’odore e il sapore, a lasciarsi andare fino a ridersi addosso. Avranno mai ceduto a un fremito animale, abbracciato un albero, regalata una carezza, una lacrima, lanciato urla di dolore, gioia e disperazione? Peccato che, secondo quanto sostengono, non possano scegliere di provare ad amare, a evadere dalla gabbia del ruolo per concedersi alla vita. Pino Tripodi, uomo che un malaugurato incidente ha dimezzato, in un suo libro ha scritto: “Dovessi continuare a occuparmi della mia vita sceglierei senz’altro di morire; decidendo di occuparmi della vita accetto la sofferenza del vivere.” “Voglio tornare alla banalità.” me lo disse un’amica mentre, sarcastica, fingeva di frignare. Stava passando un periodo di particolare tensione, tale da rimpiangere la routine di un tempo. L’atteggiamento era quello che traduco comune a molti intellettuali: un’indolente ma boriosa resa a una vita che bollano avversa. Secondo loro le responsabilità sono tutte esterne, raro che riconoscano le proprie. Come non compatirli allora, fenomeni convinti di averla, la Soluzione. È l’umanità che non è pronta, che è infestata da stupidi. Il grave crimine è che nessuno li ascolti e che il genio (il loro) non venga riconosciuto. “Poveretti…” dico io “Sono come perle regalate ai porci. Così altro non resta loro che sdegnare la “dovuta” gloria, per arrendersi al futile tran-tran che tanto aborrono.” Però io nutro il sospetto che, dato il troppo tempo trascorso sui libri, essi provino terrore di una realtà che non conoscono. Tanto che la cultura, anziché elevare il loro sguardo, è divenuta la fossa dentro cui trincerarsi e da lì sparare parole, giudizi, cazzate… A raffica, contro tutto e tutti. E quando sono scarichi, od orfani di bersagli, eccoli rimpiangere la banalità. “Ma quale?” domando io. Certo non quella che li definisce al meglio, altrimenti ne sarebbero consapevoli. Come neppure, penso, la quotidianità silenziosa e concreta dei semplici, di cui non sono capaci. Li scopro bambini talmente assuefatti ai capricci da ostinarsi a piagnucolare e a pestare i piedi senza alcun bisogno di un motivo, ma sempre e soltanto per attirare attenzione. Sta a vedere che, per farli tacere, basterebbe pigliarli in braccio, ninnarli fino a rassicurarli e metterli a letto: un bacio, due carezze, buonanotte e sogni d’oro ma, da domani, dritti a scuola di “banalità”. Camminando per strada ho casualmente incrociato uno scuolabus. Sostava a un semaforo. Attraverso i finestrini vedevo le testoline dei bimbi che lo stipavano. Tutte, stavano chine e assorte sopra un telefonino o un giochino elettronico. Una si è girata verso di me, ha incontrato il mio sguardo ed è subito rimbalzata alla posizione iniziale, mantenendo l’espressione rassegnata che scoprivo stampata sopra ogni volto. Più che bambini mi sembravano dei proto-adulti, già catturati e incupiti da una condizione forzata. “Così non va bene.” mi sono detto. Ammetto che sperare in una scuola che educhi alla vita è tuttora un utopia (incredibile ma vero), ma forse più di qualcosa si potrebbe tentare. Tanto per cominciare via i telefonini. Banditi i giocattoli che scimmiottano quelli dei “grandi”. Basta con le armi, le automobili in miniatura, a pedali e a motore, il traforo, il lego, il meccano, Ken e Barby a casa, in auto, in piscina, in discoteca e… forse poco c’è mancato: in banca per un mutuo. Sarebbe proficuo e bello se noi adulti imparassimo a insegnare ai piccoli come inventare giochi, e se le fabbriche di giocattoli collaborassero costruttivamente alla loro crescita. Scommetto che prenderebbero vita soluzioni e situazioni nuove, fantasiose, inaspettate, anche soltanto perché sciolte dall’attuale contesto psèudo-educativo. Irrealizzabile? Non credo, dato che una dimensione

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infantile totalmente sgravata dalle paranoie adulte mi appare una scelta dovuta, quindi fattibile. Se finora è cambiato ben poco da quando, ero bambino, ci spacciavano sigarette di cioccolato e di “cicca americana” per trasformarci in futuri tabagisti, che gran salto di qualità quando accompagneremo le nuove generazioni a divenire uomini, e non potenziali consumatori. Mi desto al suono della sveglia. Vania mugola, si volta e mi sfiora con la mano. Lei tiene gli occhi chiusi, io la bacio sulla fronte e mi levo dal letto. Il gatto mi si fa incontro, chiede cibo e carezze. Mi vesto, esco di casa, mi infilo in auto e percorro strade ancora buie. Il mondo è fresco e silenzioso, soffice, alla mia portata. Sul posto di lavoro mi accolgono i guaiti di gioia di Birillo, il cane che mi terrà compagnia durante il turno. Un saluto e due parole al collega che rilevo ed eccomi qui, persino nuovo a me stesso, solitario attore e spettatore di un giorno che appena sta nascendo. Sabato pomeriggio in biblioteca. “Aperitivo letterario” organizzato da un’associazione che si occupa di handicap. Con Valeria, Vania e Marina, ho pubblicamente letto alcuni brani sul tema dell’autonomia. Valeria mi presenta sua figlia. Io allungo la mano e Chiara prende ad agitarsi sulla sedia a rotelle, palesemente incapace di stringermela. Mi sento impacciato, persino un po’ stupido, per non avere debitamente considerata la difficoltà della ragazza. “Guarda come avresti potuto fare” penso, mentre una ragazza, dal lato opposto, saluta Chiara abbracciandola. Quello in difficoltà sono io, che ancora non so dove direzionare le mani. Una situazione e un’impressione di una manciata di secondi, perché basta lo sguardo luminoso di Chiara a sbloccarmi. Mi mostra un volto di comprensione e di gratitudine. Spinge lei, per quel tratto, la mia “sedia a rotelle”. Ieri sera diversi telegiornali davano il numero degli imprenditori, degli artigiani e degli operai che, nel corso dell’anno, si sono suicidati perché rimasti senza lavoro. Lo confrontavano poi con quelli degli anni scorsi, per arrivare alla conclusione che il fenomeno è in ascesa. Un morboso pistolotto dettagliava poi il suicidio del giorno. “Cosa commentare?” penso io. Le due parole che prime arrivano dalla testa ai tasti sono: “Che palle!” E non intendo mancare di rispetto a nessuno, ma certo esprimere insofferenza al consolidato malcostume di fare audience con il dramma. La tattica fin troppo diffusa è quella di denunciare la causa più innocua e meglio spendibile, così da schermare le vere responsabili, ben più implicate e nascoste. Non è la mancanza di lavoro, anche se inaspettata e repentina, a condurre al suicidio, ma l’eccessiva pressione di un capitalismo bieco, forte di un consumismo che sovraccarica di presunti bisogni al punto tale che, gli individui più vulnerabili, allorché non li riescano a sopperire, si danno perduti. Nell’illusione di rafforzare l’ego, si è poi voluta sviluppare una dottrina che, esaltandolo, lo isola, lo gonfia come un palloncino, fatuo, instabile, preda del minimo alito che soffia contrario. Il tutto, stagnante in un sociale che giudica, esclude, adotta la ricchezza economica quale metro di successo. Il “credo” più gettonato è vincere sempre e comunque.” Ma vincere cosa?” domando io. Denaro, posizioni, oggetti… Le solite carabattole. Un cronista televisivo ha detto una verità che condivido: “Si partecipa quando ci si considera ospiti.” Finché insisteremo a credere che qualcosa, o qualcuno, ci appartenga, potrebbe bastare la sua perdita a precipitarci nella disperazione. Generazioni di filosofi e artisti da sempre si interrogano sul senso della vita. E quanti di questi costruiscono dottrina e arte sulla rassegnazione. Al punto di elevare la fatica del vivere a metro di intelligenza, sensibilità e profondità di indagine. Per troppo tempo gli ho creduto, tanto da considerare la felicità una prerogativa da stupido. Oggi, se respiro quanto mi circonda e comprende, mi chiedo cos’altro andassero cercando. OSS!! Renato

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np

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Sabato 10 Novembre

Raduno d’Autunno

Il Dojo si riempie rapidamente di giacche blu. Voci, risate, pacche sulle spalle. Il saluto iniziale e …. via !!

Ritsu Zen, le radici, la forza maestosa dell’albero e, insieme, la sensazione di vuoto attivo che innesta l’equilibrio tra “sto e mi sposto”, “grounding” potente e slancio all’azione. Sì, lo sanno tutti ormai qui allo Z.N.K.R., che il paradosso, l’insieme degli opposti, è il nostro pane quotidiano.

Camminiamo sul posto, marciamo, mentre i tamburi dettano il ritmo. Bacino, centro del corpo per marciare, laddove le gambe sono la freccia di un potente arco e assolutamente non l’arco stesso. E’ col bacino che marciamo ! Marciare è omaggio ad immagini antiche, di guerrieri erranti dietro una preda o alla ricerca di terre più ospitali; è omaggio, insieme, al risuonare di battiti del cuore materno quando ancora eravamo in grembo come al pigiare la Madre Terra. Un alternarsi di flussi, un caricare verso l’alto, emozioni che sono aspirazione – ispirazione, uno scaricare verso il basso che è liberatorio. Flusso in tensione, contrasto di opposti. “indugia e tergiversa incerto tra carica e scarica nel plesso solare, zona degli apparati elaboratori della respirazione, digestione, assimilazione, affinando la discriminazione” (S. Guerra Lisi & G. Stefani: “Il corpo matrice di segni”). Splendido lavoro di pulizia ed incontro con gli organi interni, quanto riposizionamento dell’asse del corpo sulla verticalità, senza ondeggiamenti e dispersioni di forze.

Poi, giochi di coppia, ripresi dalle danze di popolazioni dell’ Africa centrale. Luogo di relazioni sempre in movimento, di sfregamenti corporei, torsioni dentro e fuori di sé.

Lavoriamo il kamae, la “guardia”. Costruire uno spazio vigile attorno a sé, uno spazio che sia capace di contrarsi ed espandersi secondo necessità, la propria “sfera energetica”. Non importa la forma, lo “stile” se non come comprensivo dello spazio che sappiamo occupare. Assertività in azione, capacità di incontrarsi e scontrarsi, di relazionarsi. Un confine / contatto che sa come e quanto diventare permeabile / impermeabile.

Boxing libero di sole braccia, caschetto e guantini, per verificare quanto studiato appena prima, o anche solo per …. menarsi un po’: a ciascuno il suo.

Ci dividiamo: il gruppo Kenshindo, cinge ai fianchi il katana per misurarsi con l’acciaio assassino; gli altri, per le strade di una piovosa Milano a tirar di pugni e calci. OSS!!

Tiziano

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“…gli altri, che non fanno spada, escono a fare un po’ di Kenpo in giro per la città con Andrea!”

Così, con tanto stupore da parte mia, è cominciata la mia prima (vera) esperienza di condurre una lezione. Fin’ora ho sempre escluso la possibilità di insegnare, mi son sempre sentito inadeguato. Da qualche mese a questa parte invece, per necessità del gruppo che il mio Maestro Giuseppe sta creando, e per necessità economiche personali, ho iniziato a valutare l’idea di insegnare…ma non mi aspettavo una di esser messo già alla prova! E che prova!! Dalla mia l’abitudine ad allenarmi senza inibizioni sotto la pioggia, nel fango e la fiducia nei miei compagni, per contro la timidezza della prima volta e la paura di deluderli…eppure è andata bene!! Una delle cose che ho imparato in questi 18 anni di Dojo è saper tenere a bada le emozioni, questo mi ha aiutato molto: dapprima a fingere di non essere stupito, per non dare l’imprinting sbagliato ai miei compagni e a quell’ora di “intimità” tra me e loro, poi a pensare con calma a cosa proporre nella “mia” lezione. Ho cercato di ricollegarmi alle ultime cose viste in pedana prima di uscire e mentre per alcuni ci sono riuscito bene, per altri non proprio, soprattutto con i primi esercizi. Si comincia, belli fradici, con un po’ di prese al collo, imparando a guidare il compagno con gesti non irruenti ma presenti e soprattutto per imparare a seguire gli stimoli ricevuti. Poi, un po’ di proiezioni non portate fino a terra e leve articolari, il tutto cercando di essere il più possibile consecutivi. Abbiamo continuato con proiezioni a terra sempre lavorando sulla continuità, quindi sfruttando le forze e la direzione della proiezione subìta per rivolgerla sull’avversario. Infine, prima di un po’ di sano scambio libero, un sequenza di attacchi interrotti da uno spostamento dell’avversario il quale iniziava il suo attacco di conseguenza, ma solo se il suo spostamento risultava efficace e gli permetteva di uscire dalla visuale dell’avversario tenendolo nel proprio “mirino”. Il tempo per me è letteralmente volato e, in un misto di incertezze e divertimento, ho scoperto che nella situazione giusta (in questo caso, la conduzione doverosa di una parte di lezione) è più facile tirar fuori il meglio di sé e concretizzare uno sviluppo “professionale” delle proprie passioni. Per quest’occasione ringrazio l’altruismo e la dedizione del mio M° Giuseppe, il M° Massimiliano che con lui si è accordato e il Sensei Tiziano per aver dato loro la possibilità di mettermi in gioco…e ovviamente i miei compagni di corso, molto generosi con me come se fossi uno dei loro abituali insegnanti! E così anch’io continuo il mio percorso di scoperte insieme a voi, un percorso che con il raggiungimento dei più alti gradi, comincia, non finisce!

OSS !! Andrea

Kenpo

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Intervista con Michio Shimada di Jean-L┌I LWゲ┌W┌ヴが ヮ┌HHノキI;デ; S;ノノ; ヴキ┗キゲデ; aヴ;ミIWゲW さDヴ;ェラざ ミWノ 2006.

D: Puoi raccontarci brevemente qualcosa di te?

Michio Shimada: La mia storia è molto semplice. In tutta la mia vita, ho avuto una cosa in mente:

combattere. Mi piace combattere. All'età di sette anni, ho iniziato con il judo. Poi, a ventidue anni,

ho iniziato Karate. Per un mese ho praticato Karate Shotokan, poi ho cambiato il mio stile di Karate

in una versione a contatto. In questa scuola (Kensei Ryu), i colpi al viso sono consentiti e ci sono

esercizi giornalieri di kumite (combattimento). Questa forma di karate non è tanto conosciuta in

Europa. Mi sono allenato per sette anni. Sono diventato il Sempai (membro più anziano). Il mio

insegnante era un agente di polizia. Fu all'università che praticai questo Karate un pò speciale e fu

durante questo periodo che conobbi il Maestro Kenichi Sawai. E 'stato un amico che mi ha

presentato a lui.

D: Come è andato quel primo incontro?

MS: ero molto giovane quando l'ho incontrato. Ricordo molto

bene quello che ha detto: "Imparare tecniche è molto facile.

Piuttosto allenatevi, questa è la cosa più importante.". Ho

frequentato le sue lezioni, naturalmente. Ho capito subito che

sarebbe diventato il mio Maestro. Non fui sorpreso dalla sua

personalità perché era molto naturale. Ho subito capito che era un

grande Maestro.

D: Quali sono i tuoi ricordi di Sawai Sensei?

MS: Sawai Sensei mi ha trattato come un figlio e lui era come un

padre. Una volta alla settimana, mi chiamava e sceglieva un

partner che combattesse con me. Ogni volta, dovevo lottare

contro una persona diversa. All'inizio ero un po 'preoccupato. In

seguito ci ho fatto l'abitudine. Il mio Maestro mi diceva di essere

naturale e di non fare troppi sforzi nella direzione di un

allenamento basato sulla forza fisica ed il fitness. Mi ha anche chiesto di prestare attenzione alle

donne. Il Maestro Sawai mi mostrava cosa fare una volta sola. Quando diceva una cosa, dovevo

capire immediatamente. Se costretto a spiegare tre volte, la comunicazione veniva interrotta. Il

Maestro Sawai ha aperto il mio primo dojo. Mi ha sostenuto e mi ha incoraggiato a insegnare. Il mio

dovere è quello di continuare a farlo. Sono uno studente del maestro Sawai. Il mio dojo è come il

suo dojo.

D: Qual è la tua definizione di Tai ki ken?

MS: Tai ki ken è ┌ミ; Hラ┝W SWノノげWミWヴェキ; キミデWヴミ;. Può ;ミIエW WゲゲWヴW Iエキ;マ;デ; ノ; Hラ┝W SWノノげ alta energia

(nel senso interno, profondo, della parola).

D: Qual è la particolarità del Tai ki ken in relazione allo Yi Quan?

MS: Alcuni maestri insegnano Yi Quan solo per la salute. LげInsegnamento del Maestro Sawai si

concentrava principalmente sul combattimento.

Kenpo Taiki Ken

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D: Che cosa differenzia il Tai ki ken dalle altre discipline?

MS: Penso che il judo sia una disciplina molto buona per iniziare arti marziali. Mi piace la teoria del

judo, penso di averla capita. Al contrario, non ho trovato la teoria nel Karate. Il Tai ki ken è molto

diverso dalle altre arti marziali perché prende come fondamenta lo stare in buona salute.

L'incontro con il maestro Sawai mi ha poi permesso di liberare e rispettare me stesso.

D: Che differenza c'è tra il Tai ki ken, lo Yi Quan ( I ken) e il Da Cheng Quan (Tai Sei Ken)?

MS: Si dice spesso che il Tai Sei Ken (Da Cheng Quan) e lo I ken (Yi Quan) siano la stessa cosa. Il Tai

ki ken è però l'arte marziale creata dal maestro Sawai. Ma in fondo, la teoria è la stessa. Questa

disciplina non può essere compresa da tutti, a causa della sua complessità ed i segreti non sono

accessibili alla maggior parte delle persone. Penso che ci siano state troppe diverse interpretazioni.

La cosa più importante è la vera teoria di Wang Xiang Zhai, cogliendone l'essenza, il resto verrà

dopo. Molti praticanti studiano e si concentrano su troppi dettagli, ma non hanno sostanza, il

concetto essenziale che comprende la conoscenza universale. I praticanti in Occidente

comprendono molte parti ma dimenticano ノげミゲキWマWく

D: Può dirci qualcosa intorno alla boxe di Wang Xiang Zhai ?

MS: La storia della boxe Wang Xiang Zhai-è molto vecchia. Risale a più di duemila anni. E 'stata

fondata sulle antiche tecniche di salute. E 'necessario imparare le tecniche di salute per arrivare ;ノノげ aspetto marziale.

D: Come è stato lottare con il Maestro Sawai?

M“ぎ Eげ stata una dura battaglia. Quando ho combattuto, ho imparato a

rispettare la sua spiccata personalità. La storia del maestro è qualcosa di

sanguinario, tra sofferenza e condizioni estreme. Il Maestro aveva raggiunto

un livello trascendentale.

D: Di quale cultura è parte il Tai ki ken?

MS: Il Tai ki ken è una sintesi di cultura cinese e giapponese.

D: Alcune persone vogliono sapere la natura del rapporto tra il Maestro

Kenichi Sawai e il Maestro Mas Oyama (fondatore del Karate Kyokushinkai).

MS: Kenichi Sawai ha aiutato Mas Oyama. Questi era coreano. Era un gaijin

(nome usato in Giappone per riferirsi a coloro che non sono di origine

giapponese e può a volte avere un significato dispregiativo). Inoltre, in

quanto coreano, a causa della guerra e del risentimento tra le due nazioni,

le relazioni tra i due paesi sono sempre stati difficili. Mas Oyama, all'inizio

del suo soggiorno in Giappone, incontrò molte difficoltà di integrazione

nella società giapponese. Kenichi Sawai era un soldato e, come tale, coltivava un sacco di relazioni.

Eげ anche grazie a lui che il Karate Kyokushinkai è diventato famoso.

D: Quale ritiene sia il punto più importante nella pratica del Tai ki ken?

MS: Prima di tutto come stare in piedi e imparare a mantenere il tuo territorio, nel senso di spazio

personale. Kenichi Sawai ha spiegato un sacco di teorie e metodi di insegnamento presi da Wang

Xiang Zhai-. Specialmente l'esercizio di Hai (arte dello spostamento) è particolare del Tai ki ken.

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