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1 XXXIII CONFERENZA ITALIANA DI SCENZE REGIONALI IL SISTEMA INFORMATIVO DEL CENTRO STORICO DI FIRENZE. Una applicazione nel settore urbano piazza Duomo, via Ricasoli, via Dei Martelli. Antonluca DI PAOLASOMMARIO I Sistemi informativi geografici (Gis) dei centri storici possono dirsi ancora in via di sperimentazione, a causa dell’estrema complessità delle problematiche esistenti che, recentemente, hanno cambiato profondamente forma e consistenza. L’applicazione dei Gis in un settore centrale di Firenze fornisce notizie utili alla conoscenza di un ambito urbano tra i più complessi del centro storico e gli strumenti per una corretta gestione delle trasformazioni dell’area. La struttura del sistema consente di attingere le notizie sparse nei vari archivi storici e in quello comunale in particolare. In aggiunta ai dati di archivio consente la consultazione delle schede dell’Istituto di Restauro dell’Università di Firenze, elaborate dal prof. Sanpaolesi negli anni ’70, nonché le schede del rilevamento recente del patrimonio edilizio elaborate dal comune. La lettura della stratificazione in elevato, presente nelle strutture edilizie prospicienti piazza Duomo e via dei Martelli, documenta le trasformazioni degli immobili e l’occupazione degli spazi aperti all’interno degli isolati: elementi di pregio lungo il percorso della via dé Martelli non sufficientemente tutelate e scarsamente fruite. La piattaforma Gis implementata si presta a rilevare la presenza di turisti nello spazio e nel tempo al fine di studiare le modalità di fruizione dell’area tra le più “usate” del mondo (vedi esperienze di Carlo Ratti, MIT). Dipartimento di Pianificazione Urbanistica e del Territorio, Università degli Studi di Firenze, Indirizzo postale: via Maffei n.14, 50133, Firenze, [email protected]

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XXXIII CONFERENZA ITALIANA DI SCENZE REGIONALI

IL SISTEMA INFORMATIVO DEL CENTRO STORICO DI FIRENZE.

Una applicazione nel settore urbano piazza Duomo, via Ricasoli, via Dei Martelli.

Antonluca DI PAOLA

SOMMARIO

I Sistemi informativi geografici (Gis) dei centri storici possono dirsi ancora in via di

sperimentazione, a causa dell’estrema complessità delle problematiche esistenti che,

recentemente, hanno cambiato profondamente forma e consistenza. L’applicazione dei Gis in

un settore centrale di Firenze fornisce notizie utili alla conoscenza di un ambito urbano tra i

più complessi del centro storico e gli strumenti per una corretta gestione delle trasformazioni

dell’area. La struttura del sistema consente di attingere le notizie sparse nei vari archivi storici

e in quello comunale in particolare. In aggiunta ai dati di archivio consente la consultazione

delle schede dell’Istituto di Restauro dell’Università di Firenze, elaborate dal prof. Sanpaolesi

negli anni ’70, nonché le schede del rilevamento recente del patrimonio edilizio elaborate dal

comune. La lettura della stratificazione in elevato, presente nelle strutture edilizie prospicienti

piazza Duomo e via dei Martelli, documenta le trasformazioni degli immobili e l’occupazione

degli spazi aperti all’interno degli isolati: elementi di pregio lungo il percorso della via dé

Martelli non sufficientemente tutelate e scarsamente fruite. La piattaforma Gis implementata

si presta a rilevare la presenza di turisti nello spazio e nel tempo al fine di studiare le modalità

di fruizione dell’area tra le più “usate” del mondo (vedi esperienze di Carlo Ratti, MIT).

Dipartimento di Pianificazione Urbanistica e del Territorio, Università degli Studi di Firenze,

Indirizzo postale: via Maffei n.14, 50133, Firenze, [email protected]

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1. INTRODUZIONE

L’utilizzo dei GIS nella pianificazione è strumento di riconosciuta importanza nei processi di

rinnovamento della strumentazione urbanistica avviati dalle normative di molte regioni

italiane. In particolare, l’applicazione dei GIS nella città storica, ha aperto un ampio fronte di

possibilità applicative che spaziano dall’implementazione di strumenti di analisi volti alla

conservazione del patrimonio culturale, ai problemi di gestione e a quelli della

trasformazione, più attinenti alle scelte di piano.

Il passaggio auspicabile a nuove forme di utilizzo di questo strumento informatico, nella sua

evoluzione tecnica e applicativa, si indirizza verso nuove frontiere applicative che offrono la

opportunità di maggiore conoscenza e condivisione, attraverso una maggiore partecipazione

dei soggetti interessati, alle procedure relative alla pianificazione urbana e territoriale e in

particolare alla conservazione del patrimonio architettonico e urbanistico.

Tali prassi, indicate con il termine "wikificazione GIS", sono procedure che pongono

l’esigenza di maggiore condivisione delle scelte che, a fronte di una reale esigenza di

chiarezza procedurale, stentano a consolidarsi proprio nel settore della partecipazione.

2. IL GIS NELLA PIANIFICAZIONE URBANISTICA DELLA CITTÁ STORICA

Nel campo più specifico della pianificazione urbanistica, esplicitati nella forma istituzionale

delle legislazioni regionali, attraverso l’articolazione della pianificazione territoriale e

paesaggistica ― piano di area vasta, a scala regionale e provinciale, piano strutturale,

regolamento urbanistico, a scala comunale ― ha in parte realizzato l’obiettivo di predisporre

adeguati strumenti urbanistici di tutela del patrimonio storico e ambientale alle varie scale.

Tuttavia, la conservazione dei beni storici e paesistici, per la vastità e complessità del

patrimonio esistente, non hanno trovato, a fronte di nuove normative e applicazioni

tecnologiche, un equilibrio tra conservazione e trasformazione.

L’allargamento del campo del concetto di patrimonio, esteso ormai a molte categorie fino ad

ora escluse dalla tutela, non agevola, la realizzazione di tale obiettivo e solleva, inoltre, non

pochi contrasti e polemiche tra gli assertori della conservazione e gli assertori della

trasformazione, o se vogliamo tra chi è a favore e chi è contro il progetto; ma non solo, anche

tra i fautori del restauro, per quanto riguarda le tecniche d’intervento.

La riflessione sulla smisurata estensione semantica di bene culturale, resta comunque

condizione non sufficiente alla conservazione, se non si perfezionano efficaci sistemi di

individuazione, classificazione e tutela raccordati alla pianificazione territoriale e urbanistica;

ma soprattutto se parallelamente, non si sviluppa la formazione e la partecipazione come

presa di coscienza di un tema, quello della conservazione, che per essere efficace deve essere,

prima di tutto, condiviso.

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Il contributo di individuazione, classificazione e archiviazione dei dati, appare elemento

necessario per la conoscenza, ma non del tutto sufficiente in assenza dei necessari apporti di

analisi comparative e di giudizi storico–critici. Spesso la conoscenza non possiede capacità di

incidere nel reale in quanto le operazioni di ricerca e pianificazione percorrono binari

paralleli, senza prevedere punti di verifica. Bisogna pertanto innescare, già nel progetto di

catalogazione, punti di interscambio obbligati che siano in grado di determinare alcuni

comportamenti e atti pianificatori1.

L’uso dei GIS appare sicuramente positivo su questo fronte, quale valido supporto sia per la

ricerca teorica, per gli aspetti applicativi del piano, come “aiuto alle decisioni” e, soprattutto,

quale utile strumento per la diffusione delle conoscenze.

Dal punto di vista della necessità del raccordo tra conservazione e pianificazione territoriale e

urbanistica è stato compiuto, com’è noto, un passo significativo, sin dalla “Carta

internazionale per la salvaguardia delle città storiche” (Washington 1987) promossa

dall’International Council on Monuments and Site (Icomos), che recepisce la problematica

della conservazione integrata (conservazione + valorizzazione) e si proponeva quale

completamento della Carta di Venezia del 1964.

Ne deriva che la conservazione è vista come parte integrante di una politica di promozione

economica e sociale, guidata nella gestione e nell’attuazione da una pianificazione articolata

ai vari livelli territoriali e la necessità di garantire i procedimenti partecipativi e l’aderenza

degli interventi ai problemi specifici dell’ambito locale.

A partire dall’anno 2000, l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) ha

messo in campo il Sistema Informativo Generale del Catalogo che, oltre alla compilazione di

una schedatura informatizzata dei beni culturali, ha proposto la georeferenziazione per la

conoscenza integrata del patrimonio culturale. Quest’ultima è sviluppata su due fronti: da un

lato con l’informazione geografica che permette «la contestualizzazione nel tempo e nello

spazio» e che esprime molteplici valenze «in considerazione delle diverse tipologie di beni e

delle possibili relazioni dei beni fra di loro, con la documentazione che li riguarda, con i

fenomeni che li interessano e, non ultimo, con il territorio su cui insistono» (Mancinelli 2001).

A questa iniziativa concorrono le Regioni con un protocollo d’intesa con il Ministero per una

integrazione con le loro banche dati provenienti dagli Enti locali, Enti ecclesiastici e dalle

Università.

Sono in corso, inoltre, attività di normalizzazione e unificazione dei dati che consentono la

diffusione dei risultati a livello transnazionale; come nel caso del progetto CHANCE

(Cultural Heritage Access through Networked serviCes for Edutainment), che ha uno scopo

1 «… l’opera di catalogazione può (dunque) ritenersi fattore imprescindibile per una corretta tutela, anche se si è

più volte sottolineato che tale strumento conoscitivo non possiede capacità di incidere nel reale in quanto le

operazioni di ricerca e pianificazione potrebbero percorrere binari paralleli, senza prevedere punti di verifica.

Bisogna quindi innescare, già nel progetto di catalogazione, punti di interscambio obbligati che siano in grado di

determinare alcuni comportamenti e atti pianificatori» Teti M. A. (1993), La pianificazione delle aree

archeologiche, Roma

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divulgativo del Sistema Informativo Generale del Catalogo, e il progetto Let’s Care Method

(Landscape EnvironmenT aseSment and Cultural heritAge Restoration) che ha per oggetto la

catalogazione del paesaggio culturale. Esperienze, che si pongono sul cammino di un

ampliamento della ricerca e della sua divulgazione, e che potrebbero fornire le conoscenze

necessarie alle strategie d’intervento, e quindi alla formazione del piano ove fosse previsto il

dovuto raccordo.

Se ci si sofferma sulle influenze reciproche tra mezzo digitale e pianificazione, bisogna

rilevare che la crescente complessità del sistema delle relazioni economiche sociali, ha

accelerato la crisi della strumentazione urbanistica italiana che ha mostrato la sua

inadeguatezza, oltre che nei contenuti specifici e nelle procedure d’ordinaria gestione dei

piani, nella capacità di immagazzinare informazioni. Quest’esigenza di maggiore conoscenza,

finalizzata al governo del territorio ed ai temi ambientali e del paesaggio, per la centralità che

ha assunto, è da ritenersi una scelta ormai obbligata per le amministrazioni pubbliche e uno

dei temi dominanti della pianificazione urbanistica. Conoscenza che nel caso della città

storica assume un valore ancora più pressante visto l’amplificarsi dei processi di

trasformazione negli ultimi decenni che ha investito non solo la struttura insediativa storica,

quanto la stessa funzione di “centro”, in rapporto alle nuove centralità.2.

Il contributo dato dalle nuove tecnologie applicate al territorio e dai Sistemi Informativi

Geografici in rapporto a questi temi, attraverso un uso diverso dell’informazione geografica,

ha stimolato una riflessione sul rapporto tra basi conoscitive, rappresentazione del territorio e

nuove forme del piano. L’aggiornamento del “quadro conoscitivo”, visto come struttura

stabile di monitoraggio delle conoscenze necessarie al governo del territorio, costituisce uno

degli atti fondamentali della “nuova urbanistica”.

J.Brian Mc Loughlin introduce già sul finire degli anni ‘60, partendo dall’esperienza

americana e canadese, i concetti fondamentali che stanno alla base delle applicazioni attuali,

impostando una riflessione sulle metodologie d’analisi, di valutazione e controllo delle

trasformazioni urbane. «La città — sostiene— comprende una miriade di relazioni, ma

quando tentiamo di identificarle e descriverle in modo appropriato siamo costretti a farlo in

termini matematici..... il calcolatore elettronico, elaborando le istruzioni che gli sono state

fornite, può in pochi minuti metterci in condizione di osservare quello che potrebbe avvenire

2 E’ in questo campo, infatti, che si riscontrano le maggiori carenze, a partire dalle non poche obiezioni sollevate

nei confronti del metodo utilizzato da moltissimi piani urbanistici che si sono attestati sulla “analisi tipologica”

per la definizione delle categorie d’intervento. Le obiezioni riguardano l’arbitrarietà dei quadri di riferimento

storico, desunti da documenti cartografici disponibili, rispetto ai quali si fissa la liceità della conservazione; ma

soprattutto le obiezioni riguardano lo schematismo delle classificazioni dei tipi edilizi, spesso veicolate uguali a

se stesse in molti casi diversi, a cui vengono attribuiti i differenti gradi di tutela: dal ripristino al restauro, dalla

ristrutturazione edilizia alla ricostruzione. Anche nei confronti dei “manuali di recupero” e dei “codici di pratica”

sono state sollevate critiche e obiezioni, strumenti che hanno finalità metodologiche e didattiche nel campo dei

particolari architettonici e delle tecniche costruttive e, nel caso dei codici, anche di consolidamento statico e

antisismico degli edifici. Il rischio di conformazione a canoni basati, anche in questo caso, su schematismi e

semplificazioni produce una naturale diffidenza da parte della cultura della conservazione.

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nel corso di decenni di sviluppo di una grande città» (Mc Loughlin, 1969). Da quelle prime

sperimentazioni, le tecnologie informatiche si sono profondamente modificate, adattandosi

alle molteplicità delle problematiche attuali; cosi come l’urbanistica, e più in generale i settori

afferenti alle scienze ambientali e territoriali, attraverso l’innovazione gli strumenti di

gestione e pianificazione del territorio, hanno sperimentato nuove metodologie e linguaggi

che hanno portato ad una totale trasformazione dei tradizionali strumenti di restituzione e

rappresentazione del territorio.

Molti si chiedono se i nuovi strumenti tecnologici hanno contribuito a migliorare la “qualità”

e “quantità” della strumentazione urbanistica vigente. Fino ad un decennio fa, la

pianificazione urbanistica in Italia sembrava non accorgersi delle enormi potenzialità dei

nuovi strumenti informatici, patrimonio di poche Regioni ed Enti. Un’accelerazione verso le

nuove tecnologie si è registrata, a partire dalla seconda metà degli anni ’80, in seguito

all’emanazione di leggi di settore (la pianificazione ambientale, i piani di bacino, la

pianificazione provinciale, le aree protette) che, sollecitando una maggiore attenzione al

rapporto tra sistema naturale ed antropico ha di fatto, stimolato l’innovazione tecnologica nel

campo delle scienze del territorio e dell’urbanistica. Molte leggi urbanistiche regionali,

assumendo come principio fondamentale il concetto di “sviluppo sostenibile”, hanno

introdotto la fase relativa alle analisi conoscitive, che concorre a formare, tra gli atti del

governo del territorio, il Sistema Informativo Territoriale (Sit), quale elemento fondamentale

della pianificazione, aprendosi così alle nuove tecnologie ed ai Gis.

Il dibattito sui nuovi strumenti informatici si è, pertanto, imperniato, oltre che sugli

avanzamenti tecnologici, sulla capacità di questi sistemi di costituire strumenti d‘analisi,

valutazione e di aiuto alle decisioni, in rapporto ai problemi complessi che si determinano in

una società molto frammentata, i cui cambiamenti sono sempre più rapidi e imprevedibili e

dove si determinano, con sempre maggiore frequenza, emergenze ambientali diffuse. In linea

generale, i nuovi strumenti tecnologici rispondono meglio alla necessità di costruire un

sistema di conoscenze integrato sul territorio e alla tendenza ormai consolidata, di scomporre

il Piano regolatore generale in componenti — strutturali, strategiche, operative e perequative

— al fine di attenuare quelle rigidità e incertezze che hanno giustificato la rimessa in

discussione e lo stravolgimento del piano tradizionale.

La “urbanistica della modificazione” assume dunque, tra gli obiettivi più generali di revisione

dei contenuti tecnici e gestionali, anche l’innovazione tecnologica, che diventa elemento

fondamentale del processo di costruzione del Piano nel suo divenire. Se, in linea generale,

appare debole un arroccamento esclusivo sulle potenzialità dei nuovi strumenti tecnologici,

che da soli non possono risolvere i complessi problemi in cui si dibatte la “nuova urbanistica”,

non si può non valutare positivamente gli esiti delle molteplici sperimentazioni ed

applicazioni che, in molte Regioni, hanno innovato le metodologie di analisi, di progettazione

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e gestione del territorio, instaurando un diverso approccio alla pianificazione di ogni ordine e

grado.

E’ lecito dunque chiedersi, a fronte di un’offerta tecnologica che si diversifica in rapporto alla

crescente domanda d’informazione geografica, se queste nuove tecnologie possono

considerarsi parti integranti di vecchie e nuove professioni e, in particolare, dell’urbanista,

oppure, come molti sostengono, devono essere considerate strumenti avanzati per la

formazione di archivi, in alcuni casi, così complessi da non essere realmente utilizzabili nei

processi decisionali (Mandelbaum, 1996). E’ indubbio che le potenzialità di queste tecnologie

hanno fatto emergere nuove problematiche e nuovi interrogativi, spostando in avanti la ricerca

di nuovi possibili traguardi.

La cartografia stessa assume metodo scientifico, e guadagna autonomia disciplinare in

rapporto alla geografia, l’attuale riflessione sui Sistemi Informativi Geografici tocca anche il

suo ruolo all’interno delle scienze del territorio e dell’urbanistica: un rapporto di lunga durata

che risulta rigenerato da un approccio diverso con i sistemi di archiviazione, restituzione ed

elaborazione dei dati geografici (Salvatori, 2002). Il supporto, infatti, assume oggi un ruolo

inedito: l’uso del Gis e la ricerca di una cartografia attenta a rappresentare ed interpretare le

caratteristiche degli ambienti insediativi del luogo, delle condizioni strutturali, tecniche,

storiche ed economiche, colturali e paesaggistiche, ripropongono una rinascita delle discipline

topografiche e cartografiche, in qualche misura tralasciate, nel dibattito urbanistico o ritenute

di mero supporto.

Le potenzialità crescente dei software e hardware, hanno impresso a colui che usa

sistematicamente questi strumenti “un’ansia descrittiva”, che si traduce nella necessità di

avere carte aggiornate e tecnologicamente avanzate: telerilevamento, fotogrammetria digitale,

rilevamento aereo e terrestre, gps, radar e infrarossi. Una varietà di strumenti cartografici il

cui uso è legato alla conoscenza delle tecniche di rappresentazione, al corretto uso dei dati,

non sempre valutati nella loro effettiva capacità di descrivere o assunti acriticamente senza

essere rapportati alla scala di rappresentazione. La qualità delle mappe di base dipende

prevalentemente dalla modalità di collezione dei dati: le ortofoto, associate ad altre cartografie

(catasto, uso del suolo, geologia), possono raggiungere elevate possibilità di realismo, nella

restituzione dei fenomeni territoriali.

Nuove tipologie di strumenti urbanistici e nuove tecnologie, congiunte alla necessità di

“copianificazione” e “sussudiarietà”, impongono, d’altra parte, una revisione continua delle

modalità di acquisizione, rappresentazione e quindi di utilizzazione dei dati, che devono

essere implementati nella loro effettiva capacità di descrivere i fenomeni. Alle nuove

tecnologie si chiede di essere non solo supporto tecnico avanzato, quanto strumento

indispensabile per la costruzione stessa del piano: mezzo per affinare le metodologie di

descrizione e rappresentazione, di essere strumento di comunicazione.

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Analisi e progetto non sono operazioni separate quanto momenti diversi di progettualità, di

individuazione di problematiche, visti nella dinamica della pianificazione strategica resa

ormai necessaria dall’accelerazione dei tempi di trasformazione. La sempre maggiore

diffusione delle tecnologie informatiche sta dunque, innescando, nella disciplina urbanistica,

una rivoluzione sempre più rilevante tra basi conoscitive, forme di rappresentazione e scelte

di governo. La presenza in molte leggi regionali di “forme di conoscenza esperta” (schemi,

carte, statuti, descrizione fondativa ecc.), sempre più interagenti con i progetti complessi e di

sviluppo locale, l’utilizzazione delle nuove tecnologie per valutazioni argomentative di

compatibilità e coerenza, nonché la direttiva comunitaria sulla Vas, hanno prodotto

un’evoluzione degli impianti analitici che non possono ormai prescindere dalle modalità di

descrizione proprie delle nuove tecnologie.

Nei riguardi della tutela appare importante la divulgazione della conoscenza che un tale

mezzo fornisce contribuendo alla condivisione delle scelte di piano e quindi alla

consapevolezza da parte dei cittadini del valore di patrimonio da attribuire agli ambiti della

città storica. Soprattutto se il mezzo ha la capacità di collegare le informazioni provenienti da

vari archivi e la possibilità di implementazione dei dati conoscitivi provenienti non solo dagli

archivi storici ma anche da quelli tecnici di gestione del piano urbanistico; con la possibilità di

accumulare conoscenze del patrimonio architettonico che spaziano dai progetti di

manutenzione, a quelli di restauro sino allo stesso “fascicolo del fabbricato” attinente ai temi

della sicurezza.

Il Gis, come strumento, dunque ha ancora potenzialità non del tutto utilizzate e può assumere

valenze ancora in Italia non praticate. L’uso del Gis in rete come fattore in grado di favorire la

partecipazione, intesa come diffusione dell’informazione e consultazione durante i processi di

pianificazione è ancora da sviluppare. Nel caso del centro storico la potenzialità del sistema

potrebbe servire a rilevare la presenza di turisti nello spazio e nel tempo al fine di studiarne le

modalità di fruizione (vedi esperienze di Carlo Ratti, MIT). Questi campi di analisi, oltre

quelli più squisitamente tecnologici, maggiormente celebrati nei convegni, conferenze,

rappresentano, con molta probabilità, le nuove frontiere del Gis, nel prossimo futuro.

3. L’APPLICAZIONE DEI GIS IN UN SETTORE CENTRALE DI FIRENZE

L’applicazione GIS, avviata in via sperimentale alla formazione di uno strumento urbanistico

per un ambito peculiare qual’è il centro storico di Firenze, si propone prioritariamente di

implementare un sistema volto alle necessità espresse dai seguenti tre principali aspetti:

la conoscenza, e quindi la raccolta e catalogazione dei documenti, di tutte le informazioni utili

alla descrizione della città fisica, partendo dalla sua evoluzione storica e descrivendone

dettagliatamente l’attuale configurazione;

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Figura 1 ‒ L’ambito del centro storico di Firenze oggetto dell’applicazione GIS

la pianificazione, che in relazione al centro storico significa, estrapolare dai dati quelle

normative in grado di ottemperare alle necessità di tutela del patrimonio architettonico (sia nei

confronti dei singoli manufatti che di un più ampio e complesso ambiente urbano); dall’altro,

creare i presupposti per un controllo razionale delle inevitabili trasformazioni, legandole al

rispetto dei caratteri costitutivi del patrimonio architettonico;

la gestione, e quindi, la predisposizione di uno strumento versatile, capace di fornire in tempo

reale le informazioni utili per consentire l’attuazione del Piano che, nel caso del controllo

delle trasformazioni si basa su valutazioni oggettive e non più soggettive; il GIS, infatti,

consente di superare quelle semplificazioni che lo strumento urbanistico tradizionale,

impossibilitato a vagliare caso per caso, era obbligato a fare per legare normative a cartografie

tematiche.

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La conoscenza: Per gli aspetti che riguardano la conoscenza, la raccolta e l’archiviazione dei

dati attualmente disponibili, può ritenersi un lavoro preparatorio di una certa complessità dato

dalla eterogeneità delle fonti, nella consapevolezza che il sistema può essere nel tempo

incrementato attraverso lo scambio di dati di varia provenienza: dalle sedi provinciali e

regionali delle Soprintendenze, dagli archivi storici, dall’Università alle fondazioni private e

ai musei.

I dati immagazzinati hanno il duplice scopo di essere funzionali alla redazione del piano, e in

questo caso, quindi, alla definizione di norme procedurali e comportamentali per la tutela, ma

anche per funzioni di servizio, quale patrimonio di conoscenze utili a chi deve intervenire per

la valorizzazione del bene, o di chi semplicemente deve fruirlo e quindi con finalità

divulgative.

La formazione del data base parte dall’incrocio dei dati forniti dall’ufficio del Piano

Strutturale del Comune di Firenze con quelli dell’Istituto di Restauro dell’Università di

Firenze, relativamente all’area di studio, che si sviluppa nella parte centrale del centro storico,

nel settore urbano di via Ricasoli, dove insistono fattori emergenti quali il Teatro Niccolini e

Palazzo Ricasoli, via dè Martelli, interessata da un progetto di allargamento avviato dal piano

Poggi, nel 1870, e infine da piazza Duomo.

L’analisi dell’evoluzione dell’isolato e delle sue tipologie edilizie e la schedatura dei singoli

palazzi individuati dalla suddivisione particellare, costituisce pertanto la prima fase di

acquisizione di dati, implementata attraverso la schedatura per isolato e per edificio del

Catalogo Generale avviata dalla Soprintendenza e dalle già citate schede realizzate

dall’Istituto di Restauro dell’Università di Firenze, diretto negli anni ’70 , dal prof.

Sampaolesi che, implementate con criteri diversi, permettono una prima e significativa

valutazione del patrimonio esistente.

La “conoscenza” si sviluppa attraverso una metodologia di analisi adottata dal prof.

Sampaolesi nella citata schedatura e che si articola in:

l’anali della cartografica storica: attraverso la cartografia esistente del XIII sec.; del 1584

(carta di S.Bonsignori), del 1783 (Magnelli, Zocchi), ricostruzione planimetrica al 1846 e del

Piano Poggi. La cartografia generale georeferenziata, utilizzata quale carta base è stata la CTR

Regionale in scala 1:10.000

schedatura degli edifici e datazione edifici: salvo i casi degli edifici storici, è fatta per secoli

di appartenenza. La datazione, per questi motivi si riferisce alla “forma attuale” e non

all’impianto originario. Questo al fine di mantenere l’analisi il più possibile omogenea allo

stato reale del tessuto urbano.

tipologia edifici: basata anche sulle schede fornite dall’ufficio del Piano Strutturale di Firenze,

integrate da rilievi diretti per quelle parti assenti nella documentazione

altezza edifici: basata sulle schede sopra citate e sui rilievi diretti che permettono

l’individuazione di soprelevazioni, ammezzati, mezzanini, sottotetti

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Figura 2 ‒ Firenze al principio del XIII secolo, Davidsohn. (1896–1927)

Figura 3 ‒ Firenze nella carta del Bonsignori, 1584

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coperture edifici effettuata prevalentemente attraverso l’Ortofotocarta

uso piano terra: Si sono adottate le seguenti categorie: 1) commercio all’ingrosso, 2)

commercio al dettaglio alimentare, 3) commercio al dettaglio abbigliamento, 4) commercio al

dettaglio altri generi, 5) Artigianto- Industriale, 6) scuole di ogni ordine e grado, 7) Musei –

Biblioteche, 8) Turismo alberghi pubblici esercizi, 9) Autorimesse – officine, 10) Chiese, 11)

Uffici Pubblici, 12) Abitazioni, 13) Teatri – Cinema

grado di interesse storico artistico e ambientale: Frutto dell’analisi storica precedentemente

formulata, questa tavola è il tentativo di avere un’idea realistica del tipo di tessuto urbano con

cui si ha a che fare.

stato di conservazione: Grazie al rilievo effettuato sullo stato di degrado dei manufatti urbani

è possibile, tramite l’ideazione di una metodologia di giudizio, redigere una mappa tematica

che ci informa sinteticamente sullo stato dell’area analizzata. Complessivamente la

valutazione dello stato di conservazione deriva sia dai dati forniti dalle schede del Piano

Strutturale riguardanti lo stato di conservazione della: Struttura portante, Copertura, Elementi

distributivi, Paramento murario, Decorazioni, Infissi, Portone, che dai dati forniti dal

Sampaolesi che abbina una punteggio numerico ai valori: buono, medio, cattivo:

Struttura portante: Buono= 0, Medio=5, Cattivo=12;Copertura: Buono=0, Medio=4,

Cattivo=9;Elementi distributivi: Buono= 0, Medio=2, Cattivo=4;Paramento Murario:

Buono= 0, Medio=4, Cattivo=8;Decorazioni: Buono= 0, Medio=3, Cattivo=5;Infissi:

Buono= 0, Medio=2 Cattivo=5;Portone: Buono= 0, Medio=1, Cattivo=2:

I valori delle singole parti sono poi sommati e a seconda del punteggio la particella è

classificata secondo le categorie d’intervento:conservato (nessun intervento); manutenzione

ordinaria; manutenzione straordinaria; restauro.

isolato: Rilievi, prospetti e piante attuali scala 1:100 e precedenti previste dal Piano Poggi, in

collegamento con il Catalogo Generale dei Beni Architettonici

edifici: Particolari Architettonici ( rilievo attuale e schede degli edifici secondo il Catalogo

Generale dei Beni Architettonici, schede per edificio).

La “pianificazione” è articolata nei due aspetti fondamentali del piano strutturale e della

pianificazione strategica:

Piano strutturale: l’elaborazione del SIT consente, oltre alla immediata consultazione delle

norme di piano, la verifica diretta della compatibilità degli interventi eseguibili. In Particolare

l’analisi storica delle trasformazioni dell’isolato e il confronto con la sua morfologia ricavata

dai rilievi, ha messo in luce la limitatezza delle definizioni per categorie dei tipi edilizi

elaborata dalla visione frontale ed esterna degli stessi; consentendo di apprezzarne la

maggiore complessità dovuta all’aggregazione e alla rifusione di strutture di base

storicamente presenti ed inglobate nelle nuove forme edilizie; dati utili per la definizione della

normativa di tutela degli strumenti urbanistici generali e particolareggiati.

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Progetti strategici: i progetti strategici messi a punto per la città di Firenze sono incentrati

sulla sua valorizzazione quale città d’arte, aspetto a cui viene affiancato quello della città

della moda e di città della cultura. Appare, pertanto, ovvio in questa prospettiva, pensare ad

una migliore utilizzazione degli spazi della città storica e al raccordo tra intervento pubblico e

intervento privato. L’elemento su cui convogliare una concorrenza d’interessi può essere

quello di una proposta di qualificazione delle funzioni e di una loro distribuzione coordinata,

attraverso l’uso di spazi sin ora sottovalutati.

In particolare appare d’interesse il riconoscimento di elementi caratterizzanti alcuni ambiti, o

addirittura alcuni isolati. Nel particolare caso dell’isolato n°256, preso in esame, si può

sicuramente affermare che la presenza del seicentesco teatro Niccolini, da tempo dimesso, e

della storica libreria Marzocco, o quanto di questa permane dopo la metamorfosi in libreria

Martelli, possano essere elementi guida per la valorizzazione dell’intero isolato. Si può,

infatti, ipotizzare di realizzare un polo culturale importante facendo interagire le due strutture,

e utilizzando percorsi di attraversamento che ne accentuino la fruizione; restituendo così

alcuni spazi aperti interni dell’isolato alla loro primitiva destinazione. A questa possibile idea

di valorizzazione può essere associato l’intervento di restauro delle facciate degli immobili e

la loro messa in sicurezza, adeguando la dotazione tecnologica e impiantistica, secondo

principi ormai codificati nella redazione dei piani del colore (si veda in particolare quelli

redatti per Venezia e Siena). Sull’abbinamento di questi aspetti e sulla possibilità di utilizzare

fondi anche europei per la riqualificazione urbana, può essere impostata la procedura di un

accordo tra ente pubblico e privati da porre alla base per l’attuazione dei progetti strategici.

La “gestione” utilizza assieme agli strumenti della pianificazione quelli normativi contenuti

nei progetti norma e nel piano del colore:

Norme conformative per gli spazi aperti

L’isolato n. 256 preso in esame consente l’esemplificazione delle potenzialità di questo

criterio d’intervento e di sperimentare l’applicabilità di norme di indirizzo della progettazione

del recupero degli spazi aperti; intesi sia come aree interne agli isolati, da restituire dove

possibile alla fruizione pubblica, sia come aree pubbliche di cui i fronti degli edifici su strada

ne costituiscono le quinte prospettiche. e norme conformative vengono, quindi, suddivise in

progetti norma per il recupero degli spazi aperti interni e norme predisposte per l’attuazione

del piano del colore.

Progetto Norma di recupero degli spazi interni: Il recupero degli spazi interni dell’isolato

assume importanza se rapportato alla situazione di alta congestione del centro storico, dovuta

all’eccessivo peso dei flussi turistici giornalieri, e del conseguente traffico di automezzi.

Recuperare gli spazi interni degli isolati, restituendoli alla fruizione, e dove è possibile all’uso

pubblico, significa creare percorsi alternativi pedonali utili al decongestionamento e alla

migliore vivibilità dello spazio urbano. Contribuisce, inoltre, impedendo la loro saturazione

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Figura 4 ‒ La pianta del teatro del cocomero, 1650, Archivio storico comune di Firenze

Figura 5 ‒ La pianta del teatro Niccolini,1790, Archivio storico comune di Firenze

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che nel tempo ha sottratto le aree libere occupandole con costruzioni, a limitare l’incremento

dei pesi insediativi e quindi dell’ulteriore congestione.

Problema, questo, di notevole interesse; visto che corti e giardini interni, durante il secolo

scorso, sono andati saturandosi, spesso senza criterio alcuno. L’isolato preso in analisi

fornisce proprio un esempio in questo senso significativo, si è infatti raggiunta, anche in

seguito al taglio per l’allargamento di via Martelli, una quasi totale saturazione degli spazi

aperti, coinvolgendo nella trasformazione sia le aree un tempo adibite a giardino, sia le corti, e

in particolare quella maggiore divenuta sala interna della ex libreria Marzocco. Due

importanti trasformazioni, una attuata recentemente per il rinnovamento dei locali della

libreria, divenuta “Libreria Martelli”, e quello in itinere per il recupero e la riapertura del

Teatro Niccolini, evidenziano le potenzialità che lo strumento predisposto ha nel controllo di

queste trasformazioni, sia per indirizzare il progetto verso soluzioni coerenti con la storia

degli edifici interessati, sia con i loro peculiari caratteri tipologici ed architettonici;

recuperando spazi secondo il giusto senso della loro ideazione, e percorsi secondo il corretto

senso della loro fruizione. In particolare ridando vita al cancellato giardino interno del palazzo

Testa, di cui permane il fondale sulla parete interna di confine

con il Teatro Nccolini; fondale di chiara appartenenza ad un gusto antirinascimentale, che

predilige le decorazioni antropomorfiche, le false grotte, e gli elementi naturalistici accostati

agli ordini classici, e che nei giardini tra XV e XVI secolo prelude al barocco.

Piano del Colore

Il piano del colore, nella sua codificazione attuale, raggiunta attraverso varie sperimentazioni

messe a punto a partire dal piano redatto per il Comune di Torino negli anni ottanta, ha

assunto oggi la fisionomia di uno strumento aperto in cui i privarti concorrono all’attuazione

attraverso la predisposizioni di progetti di restauro delle facciate; la cui redazione è normata

da specifiche prescrizioni e accompagnata dalla compilazione di schede in riferimento a

quelle guida stabilite dal piano. Le schede hanno l’obbiettivo dell’individuazione di tutti gli

elementi, a partire da quelli architettonici, sino agli elementi di finitura, compresi gli impianti

tecnologici di adduzione, anche gli arredi di facciata e le insegne e l’illuminazione. Gli

elementi così individuati sono soggetti a prescrizioni che ne regolano la realizzazione e il

mantenimento; ma assieme ai progetti di restauro delle facciate sono anche oggetto di

valutazione per gli interventi da affidare ai privati e da affidare alla pubblica amministrazione

attraverso l’erogazione di contributi.

3.1. Il piano Poggi e il progetto di sventramento e sistemazione della Via dé Martelli,

via Ricasoli e piazza Duomo.

Dopo il trasferimento della capitale del Regno a Firenze, e durante l’attuazione del piano di

ampliamento di Giuseppe Poggi, il Consiglio Comunale nella seduta del 27 luglio 1869

delibera di allargare la via de’Martelli secondo il progetto dell’ingegnere Guidotti; i lavori

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Figura 6 ‒ Il piano di Firenze del Poggi aprile 1865 Archivio storico comune di Firenze

Figura 7 e 8 ‒ Il progetto Guidotti (1869), in rosso il taglio di via Dè Martelli, Archivio storico

comune di Firenze; rilievo dell’isolato dopo il taglio, visibile il teatro Niccolini, Istituto di Restauro,

Università di Firenze

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divisi in tre lotti hanno inizio il 15 dicembre dello stesso anno (.Fanelli, 1980 e Bargellini et

al., 1978).

La trasformazione ha lo scopo di allargare una strada di minore larghezza rispetto alla via

Cavour (un tempo via Larga), nella quale confluisce attraverso il sagrato della Chiesa di San

Giovanni Battista3. La strada ha mantenuto nei secoli la sua configurazione e, già durante il

periodo napoleonico, è stata oggetto di una proposta di ampliamento. Il taglio progettato

interessa i fronti degli edifici sul lato est, ma anche alcuni prospicienti la piazza del Duomo;

edifici che non si ritengono importanti perché non corrispondenti a canoni di monumentalità

allora riconosciuti.

In realtà la trasformazione incide in un ambito delicato del centro urbano, a cavallo del

margine dell’originario castrum romano e in stretto rapporto con il Battistero e con la

Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Il taglio effettivamente realizzato interessa i fronti di due

isolati compresi tra via de’Martelli e via Ricasoli. Il primo, trasversale alle vie, presenta su via

de‛Martelli un fronte limitato; il secondo longitudinale, con un fronte più esteso, è

contrassegnato dalla presenza di due edifici d’interesse storico: il teatro Niccolini e il Palazzo

Ricasoli. Entrambi gli isolati, che appartengono all’espansione a nord di Firenze entro la

quinta cerchia, presentano una stratificazione di quasi cinque secoli.

Vengono risparmiati gli edifici situati ad ovest della strada, e prospicienti la piazza del

Duomo, il cui taglio dei fronti fa parte dello stesso progetto. La metamorfosi planimetrica

dell’ambito degli isolati, durante lo scorrere dei secoli, può essere analizzata attraverso il

raffronto di documenti cartografici noti, a partire dalla ricostruzione fatta dal von Fabriczy

della Firenze degli inizi del XIII secolo e pubblicata dal Davidsohn nella sua storia della città

(Davdsohn, 1896–1927).

Il disegno rappresenta Firenze immediatamente dopo la realizzazione della quinta cerchia

delle mura difensive. Si può osservare che gli spazi corrispondenti all’ambito sono occupati

da terreni adibiti a orto e in parte a giardino della canonica; se ne deduce che l’urbanizzazione

del sito ha inizio non prima di quel periodo; la vicinanza della cattedrale di Santa Reparata

l’ha sicuramente favorita; l’area, infatti,sarà presto luogo di una intensa attività urbana.

Alle ultime due decadi del XIII secolo è attribuito l’apogeo economico e demografico di

Firenze e la realizzazione di importanti opere di trasformazione urbana; a questo periodo è da

riferire l’apertura dell’attuale via de’Martelli, allora via degli Spadai4, per collegare il sagrato

della chiesa di S. Giovanni Battista alla piazza del Duomo (Fanelli, 1980).

Verso il 1280, in corrispondenza delle mura prospicienti la nuova via, viene aperta una porta

che prende il nome “degli Spadai”. L’apertura della porta determina un nuovo itinerario che

3 Chiesa denominata correntemente di San Giovannino per distinguerla dal Battistero, anche questo con la stessa

dedica, e confinante con il liceo classico, un tempo collegio dei gesuiti e poi degli scolopi che, per ampliarlo,

occuparono una casa dei Martelli. 4 La strada prendeva il nome dal borgo degli Spadai, parallelo a Borgo San Lorenzo e raggiungibile attraverso

una posterla aperta nelle prime mura rasente alla Chiesa di Santa Reparata.

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collega la città con la località del Cafaggio, soppiantando il vecchio percorso che uscendo

dalla porta di San Lorenzo era divenuto periferico rispetto il nuovo asse cittadino individuato

dall’odierna via dei Calzaioli, collegamento diretto tra il Duomo e il Palazzo Vecchio. La

strada viene lastricata nel 1289, come conseguenza della sua accresciuta importanza (Fanelli,

1980).

La costruzione delle mura della sesta cerchia e la successiva nascita della sontuosa via Larga,

centro della vita rinascimentale fiorentina, non mutano l’aspetto artigianale dell’antica via

degli Spadai, che rimane nelle sue dimensioni nei secoli successivi; cambia solo la

denominazione, nel Quattrocento, perché ribattezzata via de’Martelli in onore dell’omonima

famiglia che possiede tutti i fondi sul lato ovest della strada5.

Una analoga vicenda tocca all’altra via che delimita gli isolati. Il tracciato del suo tratto

iniziale avviene verso il 1298 con l’apertura di una porta sulla quinta cerchia che assieme alla

strada prende il nome della famiglia Cornacchini. Anche questa, come la precedente, serve

allo scopo di collegare la Cattedrale con il Cafaggio superando l’ostacolo delle vecchie mura.

Il tratto successivo di strada oltre la cerchia si chiama sin dall’inizio via del Cocomero; nome

esteso in seguito a tutto il tracciato e rimasto sino al 30 marzo 1869, quando con delibera del

Consiglio Generale la via viene intitolata al barone Bettino Ricasoli che ha in quella strada la

dimora.

Le due strade assumono un ruolo fondamentale per lo sviluppo di Firenze verso nord,

connettono, infatti, importanti complessi religiosi come la Cattedrale e il Convento di San

Marco (costruito dai Silvestrini nel 1299 all’interno del Cafaggio (Bargellini, et al., 1978)

polo di aggregazione degli sviluppi successivi assieme alla piazza e al convento della

Santissima Annunziata con cui è concatenato.

L’area, inoltre, è posta al centro di una fervida attività edilizia con l’apertura del cantiere per

il rinnovamento di Santa Reparata nel 1296 (demolita solo nel 1375): la ricchezza ascendente

della città richiedeva una Cattedrale che ne fosse il simbolo. L’opera del Brunelleschi, tra il

terzo e il quarto decennio del Quattrocento, realizza la grande cupola, importante caposaldo

urbano di inusitata dimensione che diviene il principale riferimento della nuova morfologia,

collocata al centro e visibile da grande distanza.

La porzione di città tra il battistero e il Convento di San Marco, in cui sono inseriti gl’isolati,

appare intensamente edificata nella veduta “della Catena”6 che rappresenta Firenze intorno al

1472; inoltre, nella veduta assonometrica del Bonsignori7, del 1584, è evidente il completo

sviluppo dell’urbanizzazione ad uno stadio molto vicino all’attuale. Nonostante le

rappresentazioni siano in tre dimensioni, non è possibile ricavare precise indicazioni circa la

5 La famiglia prende il nome da Martello Ghetti, iscritto all’arte degli Armaioli con bottega nel Borgo degli

Spadai. I suoi discendenti continuarono ad abitare nella via anche dopo aver cambiato attività dedicandosi alla

produzione di broccati di seta e diventati ricchi a dismisura (Ugolino si iscrive all’arte della Seta nel 1373). 6 Fiorenza, veduta “berlinese” o “della Catena” circa 1472

7 Pianta di Firenze del Bonsignori, Nova pulcherrimae civitatis topographia accuratissime delineata, 1584

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natura degli edifici che compongono gl’isolati e la loro possibile permanenza. Si possono però

fare alcune considerazioni, che aiutano nella riconoscibilità delle stratificazioni intervenute:

attraverso gli studi storici noti, il reticolo fondiario e la documentazione allegata al progetto

del Guidotti esistente nell’archivio comunale.

Fanelli documenta che nel XIV secolo, che è il periodo in cui con certezza è avvenuta

l’edificazione degl’isolati, non risulta nell’iniziale sviluppo verso nord la presenza di

particolari emergenze; all’urbanizzazione dell’ambito partecipa dunque l’edificazione da parte

di un ceto borghese e artigianale, per cui se ne può dedurre la presenza di edifici, soprattutto

lungo la via degli Spadai, appartenenti alla categoria del “casolare” tipica dell’edilizia minore

dell’epoca.

La tipologia ha origine da un lotto trasversale alla strada, con 4–7 m di fronte e 10–15 m di

profondità, con un’area di 50–100 mq. Un affaccio sulla via, quindi limitato, con in genere

due finestre in ragione della tassa sulle luci, e uno sviluppo prevalente all’interno dell’isolato,

con uno spazio di pertinenza, più o meno grande, destinato a giardino o ad uso agricolo

(Fanelli, 1980). Tipologia che si evolve nel tempo subendo accorpamenti e sopraelevazioni, e

che si riscontra ancora così modificata in molti isolati soprattutto dei quartieri corrispondenti

ai borghi, come San Spirito e Santa Croce; presente, inoltre, sia nella sua versione originale

che nella sua evoluzione, nel dipinto di Palazzo Vecchio che rappresenta via de‛Martelli nel

XVI secolo assieme alla via Grande durante la giostra del Saracino8.

Un aspetto particolare della tipologia a “casolare” è il trattamento del rivestimento

corrispondente al piano terra, nel caso in cui l’edificio sia prospicente a percorsi o spazi

urbani di particolare rilievo. In questo caso, ma anche nel caso di tipologie di maggiore fronte

su strada, è prescritto l’uso di arcate a bugnato rustico per le facciate dei locali destinati a

magazzino o negozio. Fanelli ne indica l’uso a partire dal 1388 per la sistemazione delle

costruzioni lungo il perimetro della Cattedrale, sul lato nord tra via Buia (primo tratto di via

dell’Oriuolo) e la via degli Spadai. Le arcate prendono la denominazione di forni e

costituiscono, con la loro sequenza, una specie di finto portico continuo, raggiungendo il

davanzale delle finestre del primo piano poste, per regolamento, a una altezza di dodici

braccia da terra (Fanelli, 1980).

Il reticolo fondiario attuale, confrontato con i rilievi dei piani terra degli edifici degli isolati 9,

ci rivela, dall’andamento delle murature che ne costituiscono la struttura, l’irregolarità attuale

8 L’immagine del dipinto è stata pubblicata da Bargellini e Guarnirei nell’opera citata, senza datazione. La

Giostra si svolge davanti al palazzo Medici Riccardi, in fondo alla via si vede emergere la copertura del

Battistero (oggi non più visibile per l’aumentata altezza degli edifici) e sulla estremità opposta si intravede il

sagrato della Chiesa di San Giovanni Battista, tra le case e il palazzo, si nota che non è stato ancora edificato il

collegio dei gesuiti. 9 L’ambito urbano, come altri della città storica, è stato oggetto di rilievi sviluppati negli anni dall’Istituto di

Restauro della Facoltà di architettura di Firenze, nel periodo in cui ne era direttore il professore Sampaolesi. I

rilievi interessano tutti i livelli di piano degli isolati, ottenuti dalla verifica sul campo dell’assemblaggio delle

canapine catastali. Gli stessi, in parte, sono stati pubblicati nel volume: FANELLI, Firenze architettura e città,

Firenze 1973.

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Figura 8 ‒ Base cartografica del sistema (particolare), è visibile lo strato archeologico(tracce

preesistenze medioevali tra cui Santa Reparata) e l’isolato del Teatro Niccolini

Figura 9 ‒ Veduta di via degli Spadai durante la Giostra del Saracino, affresco 1561, Palazzo

Vecchio Firenze

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che è indizio della permanenza nel parcellare delle vecchie tipologie inglobate nelle nuove

costruzioni. Per cui l’attuale reticolo fondiario non è altro che il risultato degli accorpamenti

di unità di dimensioni più limitate preesistenti, e che è buona ipotesi considerare appartenenti

a quella suddetta originaria tipologia.

La documentazione esistente presso l’archivio comunale relativa al progetto del Guidotti10

ce

ne dà conferma; comprende, assieme agli atti burocratici, vari elaborati grafici che

costituiscono il rilevo dell’area interessata dall’intervento, il taglio progettato degli edifici per

l’allargamento stradale e la valutazione ai fini dell’esproprio. Sono rappresentati, per singoli

edifici, il rilievo dello stato di fatto, antecedente al luglio del 1869, e la sovrapposizione delle

demolizioni e delle ricostruzioni da eseguire, attraverso l’uso di campiture a colore (rosso

nuova edificazione e giallo demolizioni). Sono, inoltre, rappresentati i prospetti delle singole

unità nel loro stato e nella trasformazione di progetto, a volte prefigurando due proposte di

soluzioni successive.

Partendo dall’estremità nord della via, dalla testata dell’isolato trasversale prospiciente la

Chiesa di San Giovanni, gli elaborati grafici denominati “lotto 1” nella documentazione

d’archivio, ci restituiscono in pianta e in alzato due edifici molto diversi tra loro. Il primo,

infatti, ha un carattere che lo differenzia fortemente dagli altri nei quali appare più evidente la

matrice medioevale d’origine. L’edificio sembra il risultato di accorpamenti di unità

preesistenti ristrutturate in tempi vicini alla data del rilievo, con in facciata forme

neorinascimentali romane estranee al contesto fiorentino; un palese intervento ottocentesco di

rifacimento della facciata e di sopraelevazione.

L’edificio accanto rivela al contrario una esplicita appartenenza alla tipologia del “casolare”,

anche questo sopraelevato. Il progetto prevede l’accorpamento delle due unità trasformandole

in un unico palazzo, che utilizza la precedente struttura muraria, svettata per il taglio stradale

e integrata ad una nuova facciata. Quest’ultima riprende alcuni caratteri del primo edificio

utilizzando il paramento in bugnato di pietra forte al piano terra, la stessa tipologia di

aperture, di marcapiani e cantonali d’angolo. Il bugnato in pietra raggiunge il davanzale delle

finestre del primo piano e comprende le aperture archivoltate del portone e dei negozi, simili

per forma a quelle cieche del vicino palazzo Medici Riccardi (di fronte, sull’inizio della via

Larga oggi Cavour). I restanti piani sono semplicemente intonacati con finestre senza ordini

decorate con cimase semplici.

Il “lotto 2” e il “lotto 3” sono stilisticamente diversi anche se entrambi riconducibili a modelli

di origine medioevale. Dalla pianta e dalla disposizione delle aperture nel prospetto appare

evidente l’accorpamento di più cellule elementari. Il progetto prevede due soluzioni

successive, nella prima i due edifici trasformati dal taglio stradale sono ancora divisi. Molto

simili nella soluzione formale a quello del “lotto 1”: sono presenti il bugnato al piano terra, la

10

La documentazione richiamata e illustrata nelle figure che compaiono nell’articolo deriva dai faldoni esistenti

presso l’Archivio Storico del Comune di Firenze, riportati in appendice.

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superficie intonacata nei paramenti murari dei piani superiori, le cornici marcapiano e le

finestre con cimase semplici. Similitudine più accentuata nel “lotto 3” che presenta le aperture

archivoltate del portone e dei negozi e i cantonali bugnati d’angolo.

Il secondo progetto, del 1873, unifica il fronte dei due edifici in un’unica facciata,

caratterizzata da un maggiore accento decorativo. Sono aggiunte cornici raccordanti i timpani

triangolari o curvilinei delle cimase del piano nobile, in sostituzione di quelle semplici, e si

ripete l’espediente decorativo nell’ultimo piano. Il basamento bugnato perde gli archivolti

acuti, per aperture archivoltate a tutto sesto sia per il portone che per i negozi. Un balcone

monumentale al centro della facciata ne accentua l’importanza e unifica le tre aperture del

primo piano segnando la posizione del portone d’ingresso. Soluzione che si discosta dal

tentativo precedente di ricerca della continuità formale con le architetture preesistenti.

Il “lotto 4” è caratterizzato da tre particelle catastali, palesemente di matrice medioevale, la

più rilevante delle quali appare trasformata nella sua evoluzione sei–settecentesca in palazzo

nobiliare della famiglia Finzi, che nello stralcio catastale riporta la presenza di un giardino. Il

disegno ne restituisce una rappresentazione sintetica che non tralascia di indicare il muro di

recinzione e la presenza sulla parete di fondo di una vasca d’acqua di forma semicircolare.

Questo particolare fa presupporre l’esistenza di un fondale sulla parete estrema del giardino,

soprattutto se apparentato a quanto di sopravissuto rimane dell’analoga rappresentazione

planimetrica del successivo “lotto 5”. Del giardino non rimane traccia perché attualmente lo

spazio corrispondente è occupato da un grande vano coperto.

Nel rilievo del prospetto il gruppo di particelle risulta diviso in due distinti elementi, tra i

quali il palazzo Finzi risalta marcatamente. Nella prima stesura del progetto i due elementi

sono unificati in un unico fronte. I temi compositivi sono i soliti riscontrati nei precedenti

gruppi: basamento bugnato, paramento murario a semplice intonaco, cornice marcapiano e

finestre con cimase e cornice bugnata (motivo ripreso dal palazzo preesistente), mancano i

cantonali bugnati e il numero dei piani viene mantenuto nei tre del palazzo Finzi, poiché le

rimanenti particelle ricadono quasi del tutto nelle previste demolizioni. Nella seconda stesura

del progetto, del 1873, il fronte appare soprelevato di un piano, il piano nobile è messo in

maggiore risalto, con l’utilizzo di timpani triangolari sulle finestre in sostituzione delle cimase

semplici, e una cornice è aggiunta a quella bugnata precedente.

Il “lotto 5” comprende due particelle catastali una delle quali, la più grande, è il palazzo

nobiliare della famiglia Mazzoni. Nel prospetto del rilievo sono distinguibili le due unità

caratterizzate entrambe dall’evoluzione dell’originaria tipologia medioevale: finestre

archivoltate congiunte da una linea marcapiano lungo il davanzale, superficie del paramento

murario intonacata e grandi ingressi archivoltati. L’area libera di pertinenza del palazzo è

occupata da un giardino, di cui restano esigue tracce nella sua configurazione attuale,

nonostante la densificazione avvenuta di recente. Tracce che rivelano la presenza di una più

antica struttura documentata dal fondale in cui è incorporato un ninfeo, composto da un

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Figura 10 ‒ Piante dei primi due livelli del “lotto 5, Archivio storico comune di Firenze

Figura 11 a.b.c. ‒ Foto del ninfeo nel giardino del “lotto 5”, foto dell’autore

Figura 12 ‒ Prospetti, stato di fatto e di progetto, Giudotti, Archivio storico comune di Firenze

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“grotto” affiancato da quattro lesene in forma di cariatidi, evidente rappresentazione delle

stagioni, di derivazione manierista. Fondale posto in aderenza alla parete confinante dello

storico teatro Niccolini.

Nel prospetto di progetto i fronti delle due particelle sono unificati e vi compaiono temi

compositivi differenti rispetto a quelli riscontrati nei precedenti gruppi. Si nota una maggiore

attenzione per l’originario aspetto del palazzo Mazzoni: basamento bugnato non destinato a

botteghe, facciata intonacata dei piani superiori, cornice marcapiano e finestre archivoltate

con cornice bugnata; riferimento sia al medioevo fiorentino, che al periodo rinascimentale

quattrocentesco. Aspetto quest’ultimo che fa apparire questa soluzione più confacente con le

indicazioni dello stesso Poggi che per le ricostruzioni prescriveva l’adozione dello stile del

rinascimento fiorentino.

Gli elaborati che fanno parte della documentazione storica del “lotto 6” non comprendono il

rilievo del prospetto precedente al taglio; dalla restituzione planimetrica si può dedurre che il

gruppo comprende tre particelle delle quali la più grande è il palazzo del barone Giulio

Barozzi. Si può ipotizzare, anche in questo caso, la permanenza dei caratteri dell’architettura

medioevale fiorentina come in quelli analoghi dei gruppi precedenti.

Nella stesura di progetto, il prospetto del gruppo appare unitario, due particelle erano state

così ridotte dallo svettamento da essere inglobate in quella più grande. I temi compositivi

presentano qualche differenza rispetto a quelli che hanno informato i precedenti gruppi: il

piano terreno non è più il basamento formale della facciata lavorato a bugnato, ma ne è parte

integrante uniformato com’è all’intonacatura del paramento murario. Le aperture al piano

terra, inoltre, di forma rettangolare con cornice e cimasa al posto delle solite archivoltate,

escluderebbero la destinazione commerciale.

Del “lotto 7” fanno parte le particelle poste sul lato ovest della via e confinanti con la piazza

del Duomo. Il taglio, che doveva interessare quella parte, non è stato eseguito. Ne consegue

che il rilievo dello stato di fatto precedente al 1869 è molto simile alla situazione attuale; ciò

ci consente di riconoscere nei piani inferiori l’aspetto delle quinte urbane dell’ambito nella

versione più antica, e di poterlo considerare estendibile ai fronti trecenteschi di via

de‛Martelli. Questa ipotetica ricostruzione della fondazione medioevale dell’ambito è

deducibile grazie agli interventi di restauro eseguiti sui paramenti murari degli edifici sulla

piazza del Duomo, che hanno riportato in superficie la lavorazione con arcate a bugnato

rustico sulle facciate dei locali destinati a magazzino o negozio e che, solo in parte, sono

disegnati nei prospetti del rilievo.

Fatte queste considerazioni e dall’accostamento dei prospetti del rilievo degli edifici eseguiti

dal Giudotti, riportati alle dimensioni dell’attuale reticolo catastale degli isolati, è possibile

restituire una immagine abbastanza veritiera delle quinte edilizie demolite di via de‛Martelli

che a loro volta ci rimandano all’aspetto che le stesse, molto probabilmente, avevano nella

fase trecentesca di edificazione.

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È, inoltre, possibile con lo stesso metodo la ricostruzione dell’originaria idea progettuale del

Giudotti, che rivela l’iniziale rigore ricostruttivo (rigore già cedevole nella versione più tarda

dei prospetti dei lotti 2, 3 e 4 del 1873) e che, se raffrontata con il rilievo dello stato attuale

dei prospetti degli isolati, rivela l’evidente scostamento della realizzazione dalle previsioni

progettuali.

La realizzazione appare, infatti, informata a criteri sostanzialmente diversi: una maggiore

densificazione, con l’aggiunta di piani non previsti e la destinazione di tutti quelli terreni ad

attività commerciali. Sul piano formale l’adesione ad uno stile neorinascimentale più ricco,

che in alcuni episodi sconfina decisamente nell’eclettismo. Un bugnato liscio di basamento

con aperture in prevalenza archivoltate, finestre con cornici sormontate da timpani, a volte

alternate con cimase curvilinee, listate da cornici di raccordo in tutti i piani, presenza di

riquadri e decorazioni e maggiore importanza del cornicione di coronamento.

Soluzioni che accentuano l’aspetto monumentale delle quinte prospettiche della via, secondo

un fare ormai tipico delle trasformazioni urbane europee coeve, che fanno transitare la città di

antico regime in quella borghese del XIX secolo.

Figura 13‒ Il fronte est di via dé Martelli, prima del taglio, ricostruito coll’accostamento dei prospetti

rilevati dal Guidotti

Figura 14 ‒ Il fronte est di via dé Martelli, dopo il taglio, ricostruito coll’accostamento dei prospetti

progettati dal Guidotti

Figura 15 ‒ Stato attuale del fronte dell’isolato maggiore su via dé Martelli, rilievo dell’autore

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4. BIBLIOGRAFIA

Bargellini P., Guarnieri E. (1978), Le strade di Firenze, Firenze.

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Archivio storico del comune di Firenze, faldoni:

N. 5091, Piano Regolatore Edilizio, Decreti Reali 1864–1888.

N. 5250, Allargamento di via Martelli 1868–1887, espropriazioni.

N. 5251, Allargamento di via Martelli 1868–1887, progetto.

N. 5252, Allargamento di via Martelli 1868–1887, vertenza Ricasoli.

Archivio storico del comune di Firenze, microfilm:

N. 02601, Martelli pianta 1:200, 1890.

N. 02601, Martelli piani 1°,2°,3°.

Page 26: XXXIII CONFERENZA ITALIANA DI SCENZE REGIONALI IL … · In aggiunta ai dati di archivio consente ... La riflessione sulla smisurata estensione semantica di ... Anche nei confronti

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5. ABSTRACT

The Geographic Information Systems (GIS) for the old town districts can be considered in

the experimental phase because of the extreme complexity of the existing issues, which have

undergone a substantial change recently in both their formal and practical aspects.

The analysis through the GIS of a sector of old town in Florence provides not only data useful

to understand one of the most complex urban environment in town, but also the instruments to

properly manage and develop the area. The structure of the system allow to access data

scattered throughout the various historic archives and in particular the municipal one.

Furthermore the system can access the files from the Restoration Institute of the University of

Florence, compiled in the 70's by prof. Sampaolesi, and the findings from the recent

evaluation of the building estates executed by city hall. The examination of the elevation

stratification of the structures facing Piazza Duomo and via dei Martelli shows the

transformation of the buildings and the destination of the open spaces within the blocks, the

presence of valuable elements on via dei Martelli protected inadequately and scarcely

utilized. The implementation of the GIS platform can be used also to detect the tourist

presence in both space and time in order to examine the fruition of one of the most "utilized"

areas in the world (cifr. experiences of Carlo Ratti, MIT).