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1 capitolo XXI 1. Introduzione Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) ha un interesse speciale per gli psicoterapeuti per di- verse ragioni. La prima riguarda la quantità di sofferenza che il DOC determina nei pazienti e nei loro familiari: chi soffre di questo disturbo, infatti, spesso sperimenta un forte senso di soli- tudine di fronte alla malattia, con sempre meno strumenti per poter imparare a fronteggiarla e con scarsa consapevolezza su cosa gli stia succe- dendo. In aggiunta a ciò va detto che la difficoltà a parlarne con chiunque, anche con i familiari e le persone più vicine, perché teme di essere con- siderato “pazzo” , è rinforzata dalla sensazione di stranezza e bizzarria che accompagna la condot- ta sintomatica. La seconda ragione riguarda la conseguenza della sintomatologia sperimentata. Il DOC è un disturbo invalidante che limita, a volte annulla, le capacità di realizzazione esistenziale (Koran et al., 1996). I pazienti affetti da DOC, proprio a causa del loro disturbo, spesso, non riescono a svolgere un’attività lavorativa o la realizzano in modo saltuario o debbono contentarsi di man- sioni a bassa responsabilità, e comunque inferio- ri alle loro capacità lavorative (Mancini, 2005). Il disturbo si riflette negativamente anche sulla qualità e la durata delle relazioni amicali e af- fettive, infatti, il 50% dei pazienti non riesce a stabilizzare o a mantenere un rapporto di coppia (Smeraldi, 2003). Infine, la terza ragione, di interesse più specifi- camente clinico, riguarda la natura di ossessioni e compulsioni, ovvero se si tratti dell’espressio- ne di un danno neurale, della conseguenza di un deficit cognitivo, della risultante di condiziona- menti classici e operanti o, piuttosto, di un’atti- vità finalizzata al raggiungimento di scopi e alla soluzione di problemi. Il cognitivismo clinico at- tualmente propende per quest’ultima possibilità che, a sua volta, solleva un altro problema fonda- mentale, e cioè definire quali siano i determinan- ti cognitivi dell’attività ossessiva, ovvero scopi e rappresentazioni che la regolano (Mancini & Gangemi, 2010). Nel corso della trattazione all’interno del capi- tolo, dopo aver definito il DOC e aver fornito qualche dato di tipo epidemiologico, ci soffer- meremo proprio su quest’ultimo punto, quindi presenteremo l’approccio cognitivo compor- tamentale al disturbo e infine descriveremo un protocollo di trattamento, ma prima occorre fare una precisazione proprio sul protocollo di tratta- mento che andremo a presentare. La peculiarità dell’intervento, la presenza di tecniche di inter- vento specifiche e la necessità di strutturare un setting di tipo ambulatoriale rende la nostra pro- posta poco adatta a un intervento all’interno di un contesto ospedaliero. L’ospedalizzazione di pazienti affetti da DOC, inoltre, quasi mai por- ta a risultati significativi, anche se, in alcuni casi, può generare un miglioramento, soprattutto ri- guardo le risposte d’ansia del paziente. Secondo XXI Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo Giuseppe Romano, Francesco Mancini PER CORTESIA INSERIRE AFFILIAZIONE

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1capitolo XXI

1. Introduzione

Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) ha un interesse speciale per gli psicoterapeuti per di-verse ragioni. La prima riguarda la quantità di sofferenza che il DOC determina nei pazienti e nei loro familiari: chi soffre di questo disturbo, infatti, spesso sperimenta un forte senso di soli-tudine di fronte alla malattia, con sempre meno strumenti per poter imparare a fronteggiarla e con scarsa consapevolezza su cosa gli stia succe-dendo. In aggiunta a ciò va detto che la difficoltà a parlarne con chiunque, anche con i familiari e le persone più vicine, perché teme di essere con-siderato “pazzo”, è rinforzata dalla sensazione di stranezza e bizzarria che accompagna la condot-ta sintomatica.La seconda ragione riguarda la conseguenza della sintomatologia sperimentata. Il DOC è un disturbo invalidante che limita, a volte annulla, le capacità di realizzazione esistenziale (Koran et al., 1996). I pazienti affetti da DOC, proprio a causa del loro disturbo, spesso, non riescono a svolgere un’attività lavorativa o la realizzano in modo saltuario o debbono contentarsi di man-sioni a bassa responsabilità, e comunque inferio-ri alle loro capacità lavorative (Mancini, 2005). Il disturbo si riflette negativamente anche sulla qualità e la durata delle relazioni amicali e af-fettive, infatti, il 50% dei pazienti non riesce a stabilizzare o a mantenere un rapporto di coppia (Smeraldi, 2003).

Infine, la terza ragione, di interesse più specifi-camente clinico, riguarda la natura di ossessioni e compulsioni, ovvero se si tratti dell’espressio-ne di un danno neurale, della conseguenza di un deficit cognitivo, della risultante di condiziona-menti classici e operanti o, piuttosto, di un’atti-vità finalizzata al raggiungimento di scopi e alla soluzione di problemi. Il cognitivismo clinico at-tualmente propende per quest’ultima possibilità che, a sua volta, solleva un altro problema fonda-mentale, e cioè definire quali siano i determinan-ti cognitivi dell’attività ossessiva, ovvero scopi e rappresentazioni che la regolano (Mancini & Gangemi, 2010).Nel corso della trattazione all’interno del capi-tolo, dopo aver definito il DOC e aver fornito qualche dato di tipo epidemiologico, ci soffer-meremo proprio su quest’ultimo punto, quindi presenteremo l’approccio cognitivo compor-tamentale al disturbo e infine descriveremo un protocollo di trattamento, ma prima occorre fare una precisazione proprio sul protocollo di tratta-mento che andremo a presentare. La peculiarità dell’intervento, la presenza di tecniche di inter-vento specifiche e la necessità di strutturare un setting di tipo ambulatoriale rende la nostra pro-posta poco adatta a un intervento all’interno di un contesto ospedaliero. L’ospedalizzazione di pazienti affetti da DOC, inoltre, quasi mai por-ta a risultati significativi, anche se, in alcuni casi, può generare un miglioramento, soprattutto ri-guardo le risposte d’ansia del paziente. Secondo

XXIIl Disturbo Ossessivo-CompulsivoGiuseppe Romano, Francesco Manciniper cortesia inserire affiliazione

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Rachman e Hogdson probabilmente ciò avvie-ne poiché l’inserimento in un contesto ospeda-liero permette al paziente di sperimentare una riduzione della sensazione di responsabilità. Al prolungarsi del ricovero, infatti, la familiarizza-zione con i luoghi dell’ospedale produce un peg-gioramento graduale che tende a stabilizzarsi e a ritornare, quasi sempre, ai livelli precedenti al rientro a casa (Rachman & Hodgson, 1980).

2. Inquadramento diagnostico, comorbilità e dati epidemiologici

Il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) è un Disturbo d’Ansia che si caratterizza per la pre-senza di specifici sintomi che sono le ossessioni e le compulsioni.Il DSM IV-TR (APA, 2004) sottolinea due ca-ratteristiche principali del DOC: la prima è la frequenza, la ripetitività e la persistenza della attività ossessiva, la seconda è la sensazione che tale attività sia imposta e compulsiva. Il paziente si sente costretto ad agire o a pensare nel modo sintomatico e, di solito, cerca di contrapporsi e di resistere (Mancini, 2005).Prima di descrivere le diverse tipologie di DOC e chiarire cosa si intende per ossessioni e com-pulsioni, faremo una breve precisazione riguar-dante la diagnosi differenziale con le psicosi, sulla comorbilità e il rischio sucidiario e ci soffer-meremo brevemente su alcuni dati riguardanti la distribuzione e la frequenza del disturbo nella popolazione.

2.1. DOC e SchizofreniaA causa della tendenza a ipervalutare la natura bizzarra di alcuni rituali e determinate convin-zioni, spesso in passato si tendeva a non ricono-scere un quadro diagnostico primario di DOC e a effettuare con più facilità una diagnosi erronea di Schizofrenia. In realtà l’evoluzione del DOC in un disturbo schizofrenico avviene con una fre-quenza variabile dall’1 al 3%, frequenza sovrap-ponibile a quella che si osserva nella popolazio-

ne generale (Marazziti, 2003).Se dunque il sospetto può nascere per la bizzar-ria dell’ideazione ossessiva, la differenza sostan-ziale sta nella critica che il paziente DOC tende a effettuare più facilmente, nei confronti della propria ideazione, rispetto a quanto accada con il paziente schizofrenico.Il paziente DOC crede a idee bizzarre e stram-palate per scommessa, per l’utilizzo di un atteg-giamento iperprudenziale che lo porta non voler correre il rischio di non dare retta alla credenza di pericolo. Al contrario, per il paziente deliran-te la credenza delirante è autoevidente e non è, quindi, il frutto di una scommessa.Esiste un 20% circa di pazienti ossessivi che han-no vere credenze magiche e sono caratterizzati da esordio precoce prima dei 10/12 anni, tic, fa-miliarità, prevalenza di accumulo, ordine e sim-metria, schizotipia da adulti, prognosi infausta.Il restante 80%, come detto, crede al pensiero magico per scommessa (Lee et al., 2005).

2.2. DOC e suicidioI pochi dati presenti in letteratura sulla frequen-za dei tentativi di suicidio in pazienti con DOC sono spesso discordanti (Coryell, 1981; Khan et al., 2002; Moritz et al., 2004; Sørensen et al., 2004; Angst et  al., 2004), passando dall’impor-tante studio di Coryell (Coryell, 1981) che in un follow-up a 40 anni non ha nessuno dei 39 pazienti del suo campione con un sucidio o ten-tativo di suicidio, allo studio epidemiologico di Angst et al. (Angst et al., 2004) che rileva come il 26,7% dei pazienti con DOC mette in atto un tentativo di suicidio.Le ragioni di tanta differenza nei risultati proba-bilmente riguardano la presenza di alti tassi di comorbilità inclusa nei vari campioni, la varia-bile che sembra influire in modo importante sul rischio suicidario (Lecrubier, 2001; Angst, 1993; Chen & Dilsaver, 1995) dato confermato anche dallo studio di Hollander et al. (Hollander et al., 1996/1997) che all’interno di un campione epide-miologico hanno confrontato i tentativi di suici-dio dei pazienti DOC in assenza di comorbilità e

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di pazienti DOC con comorbilità psichiatrica, ri-levando una significativa differenza: il 16,7% dei pazienti DOC con comorbilità mette in atto un tentativo di suicidio nell’arco della vita a diffe-renza del 3,6% dei pazienti con un DOC “puro”. Infine un dato importante da segnalare è che i Disturbi dell’Umore, tra i disturbi psichiatrici in comorbilità, sembrano essere quelli maggior-mente correlati con il rischio suicidario (Perugi et al., 1997; Chen & Dilsaver, 1995).In ambito adolescenziale la frequenza di tenta-tivi di suicidio rispetto alla popolazione adulta risulta essere maggiore, pur restando un feno-meno meno frequente che in altre popolazioni di pazienti psichiatrici. Un dato interessante ri-guarda la valutazione del rischio suicidario mi-surata attraverso la Childhood Suicide Potential Scale in cui gli adolescenti con DOC ottengono punteggi paragonabili ad adolescenti con altri disturbi psichiatrici, probabilmente perché vi è una maggior frequenza nei pazienti con DOC di ideazione suicidaria piuttosto che di reali tenta-tivi (Apter et al., 2003).

2.3. Dati epidemiologiciDai risultati di diverse ricerche epidemiologiche si stima che la prevalenza life-time del DOC è di circa 2-2,5% ovvero ogni 100 persone che na-scono due/tre di esse avranno un DOC nell’arco della propria vita (Dèttore, 2003; Foa & Franklin, 2001; Ravizza et al., 1997).La prevalenza puntuale nella popolazione gene-rale è circa di 1,5%. Si può supporre, dunque, che in Italia in questo momento soffrono di DOC circa 900.000 persone. Se ci si concentra sulla popolazione giovanile tra i 15 e i 18 anni allora la prevalenza puntuale appare aumentare fino al 3% (Mancini et al., 1999). L’incidenza, vale a dire il numero di nuovi casi, è massima intorno ai 15 anni e intorno ai 25 (Ravizza et al., 1997). Giova-ni con una lunga aspettativa di vita e che, pertan-to, rischiano di soffrire per gravi danni esisten-ziali e di creare costi prolungati per l’assistenza, poiché il DOC tende a cronicizzarsi.Infine, qualche dato sull’evoluzione del disturbo.

Il decorso raramente è episodico; è un disturbo, infatti, che tende a cronicizzarsi, anche se con fasi fluttuanti di miglioramento e di peggioramento, e a diventare invalidante; inoltre, in una percen-tuale della popolazione variabile tra il 5 e il 10% il decorso è ingravescente (Andrews et al., 2003).La persistenza nel tempo della sintomatologia del DOC ha un impatto negativo sul funziona-mento sociale e occupazionale e sulla qualità di vita dei pazienti, riduce le possibilità di raggiun-gere obiettivi educativi e occupazionali adeguati, determina con elevata frequenza discontinuità lavorativa, pensionamenti precoci o disoccupa-zione, compromette le relazioni sociali e il ruolo coniugale e genitoriale (Koran, 2000; Hollander & Wong, 1998; Leon et al., 1995).Probabilmente a ragione di ciò, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito il DOC tra le prime dieci cause di disabilità per patologie me-diche o psichiatriche nel range di età compresa tra i 15 e i 44 anni (Bobes et al., 2001).Si tratta, dunque, di un disturbo con conseguen-ze gravi sia a livello personale sia sociale le cui possibilità di cura psicologica e farmacologica sono notevolmente progredite negli ultimi anni ma, ciò nonostante, la percentuale dei pazienti che risponde alla terapia, il grado delle risposte e la riduzione delle ricadute sono ancora lontani dall’essere soddisfacenti. Ciò giustifica l’impe-gno per una migliore comprensione dei mecca-nismi psicologici che sono alla base del disturbo, per la scoperta di nuove tecniche di intervento psicoterapeutico e per il miglioramento di quelle a disposizione.

3. Tipologie di Disturbo Ossessivo-Compulsivo

A differenza di altri disturbi psicologici, sostan-zialmente omogenei, il DOC nella pratica clinica si presenta con sintomi e fenomeni diversi e si possono distinguere con chiarezza quattro fami-glie di problemi, talvolta presenti anche contem-poraneamente (Leckman et  al., 1997; Summer-

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feldt et al., 1999; Mancini & Perdighe, 2010).

3.1. Ossessioni e CheckingSi tratta di ossessioni e compulsioni che implica-no timori ricorrenti e controlli protratti e ripetuti correlati al dubbio di aver dimenticato qualcosa o di aver fatto un errore o danneggiato qualcosa o qualcuno inavvertitamente. Il timore è che una propria azione o omissione sia causa di disgrazie. Controlli tipici riguardano l’aver chiuso la porta di casa, il gas o l’acqua; di aver contato bene i soldi o non aver scritto parole blasfeme.

3.2. Pulizia e lavaggiOssessioni e compulsioni connesse al rischio di contagi o contaminazioni. Le persone che ne sof-frono sono tormentate dall’insistente preoccupa-zione che loro stessi o un familiare possa amma-larsi entrando in contatto con qualche invisibile germe o sostanza tossica. Agenti “contaminanti” comprendono sostanze come urine, sangue, su-dore, saponi, solventi e, per generalizzazione, tutti gli oggetti o persone potenzialmente veico-lo di queste sostanze. Il contatto con la sostanza temuta è seguita da rituali tesi a neutralizzare la contaminazione, ovvero rituali di lavaggio (es. la-vaggio ripetuto delle mani, dei vestiti o di oggetti personali).

3.3. AccumuloConsiste nella raccolta compulsiva di oggetti e nella impossibilità a disfarsene. Il comportamen-to di accumulo può essere sintomo di diversi disturbi organici e mentali ma è stato messo in relazione con il Disturbo Ossessivo-Compul-sivo di Personalità e con il DOC (APA, 2004). In realtà i risultati delle ricerche dimostrano in modo sempre più evidente che la maggior parte di individui con gravi condotte di accumulo, non mostra sintomi ossessivi, spesso i pensieri relativi all’accumulo non sono intrusivi, sono ego sinto-nici, l’accumulo in molti casi suscita una sensa-zione di piacevole rassicurazione, la correlazione tra il comportamento di accumulo e altri tipici sintomi ossessivi è bassa. Tanto che nel DSM V

molto probabilmente l’accumulo sarà una cate-goria diagnostica a se stante (Pertusa et al., 2010; Bottesi & Novara, 2012).In realtà il comportamento di accumulo può es-sere un sintomo ossessivo ma nella maggior par-te dei casi non lo è. Le differenze tra accumulo ossessivo e non ossessivo appaiono evidenti se si considerano le motivazioni dell’accumulo stesso. Nei pazienti ossessivi l’accumulo è legato a pau-re di contaminazione, a pensieri superstiziosi, a senso di responsabilità verso gli oggetti (Mancini & Episcopo, 2004) alla not just right experience o al desiderio di contenere compulsioni di lavag-gio, ad esempio non buttare oggetti nella spaz-zatura per non doversi poi lavare le mani. Negli altri pazienti la motivazione principale dell’accu-mulo è l’affezione per l’oggetto o l’attribuzione a esso di un possibile valore pratico. Per giunta l’accumulo ossessivo è egodistonico e fortemen-te sofferto dal paziente che vorrebbe liberarsene (Pertusa et al., 2010).

3.4. Simmetria e OrdineSi tratta di sintomi correlati a un’intolleranza alla percezione che gli oggetti siano posti in modo disordinato o asimmetrico. Libri, fogli, penne, asciugamani, videocassette, abiti, piatti, devono risultare perfettamente allineati, simmetrici e or-dinati secondo una precisa logica (es. dimensio-ne, colore). Quando il paziente percepisce asim-metria o disordine si impegna anche per molte ore a riordinare questi oggetti, fino a sentirli “a posto”. Le ossessioni di ordine e simmetria posso-no riguardare anche il proprio corpo (es. pettina-tura dei capelli, abiti).

4. Definizione di ossessioni e compulsioni

Il DSM IV definisce le ossessioni come idee, pensieri, impulsi o immagini che insorgono im-provvisamente nella mente del soggetto e che vengono percepiti come intrusivi, fastidiosi e pri-vi di senso. Le ossessioni occupano la mente del

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soggetto procurandogli disagio e possono essere ricorrenti quando si ripresentano alla mente con frequenza e/o persistenza, ovvero quando occu-pano la mente in modo continuo.

Il termine ossessione, però, si presta a due equi-voci. Per cercare di chiarire il primo è oppor-tuno domandarsi che cosa intende il paziente quando dice: “sono ossessionato da” ad esempio “dall’idea dell’AIDS”?Il paziente di solito fa riferimento a due fenome-ni funzionalmente diversi, da una parte intende dire che spesso, anche a seguito di eventi banali, come ad esempio toccare la maniglia di un ba-gno pubblico, intrude nella sua mente il timore di essersi contagiato l’AIDS. In questo caso l’idea ossessiva illumina un pericolo. Dall’altra, inten-de che rumina anche molto a lungo sulla pos-sibilità di essersi effettivamente contagiato. La ruminazione ossessiva è finalizzata a falsificare con certezza assoluta ogni possibilità di contagio (Johnson Laird, 2006; Mancini et al., 2007), dun-que è un tentativo di sottrarsi alla minaccia.Il secondo equivoco nasce dalla confusione fra due modi in cui l’idea ossessiva può essere mi-nacciosa per il paziente. Il primo modo lo ab-biamo già considerato ed è il caso in cui l’idea ossessiva illumina una possibilità pericolosa, ad esempio, la possibilità di essersi contagiato l’AIDS o la possibilità di aver chiuso male il ru-binetto del gas e dunque essere responsabile di una esplosione. L’idea ossessiva, però, può essere problematica non per ciò cui fa riferimento, ne-gli esempi il contagio o l’esplosione del gas, ma per essere stata pensata. Ad esempio, il paziente può essere ossessionato da pensieri erotici o da bestemmie. In questi casi il problema è dato dal-la consapevolezza che la propria mente ha pro-dotto quel pensiero, perché tale consapevolezza implica, nel paziente, il sospetto di essere una persona immorale o pericolosa.Generalmente, il disagio sperimentato dal pa-ziente, a seguito delle ossessioni, è dovuto a due condizioni. La prima è una diretta conseguenza della permanenza nel tempo della ideazione os-

sessiva. La mente del paziente, per gran parte della giornata, è occupata da immagini, pensieri e/o idee che non lasciano tregua e spazio per de-dicarsi ad altro e lasciano il soggetto esausto a fine giornata.La seconda dipende dal fatto che le idee ossessi-ve possono essere minacciose per il paziente per due ragioni: o perché, come si è detto, illuminano un pericolo, ad esempio di contagio, o perché su-scitano il sospetto di essere delle persone immo-rali, cattive o pericolose.Le compulsioni possono essere definite come atti mentali (es. contare, pregare, ripetere paro-le) o comportamentali (es. controllare, pulire, ordinare) ripetitivi, messi in atto in risposta a un’ossessione secondo regole precise, allo scopo di neutralizzare e/o di prevenire un disagio e una situazione temuta (Mancini & Perdighe, 2010). Le compulsioni, dunque, fanno parte dei tenta-tivi di soluzione che il paziente mette in atto per prevenire o neutralizzare la minaccia rappresen-tata dalle idee ossessive.Da notare che tra i tentativi di soluzione andreb-bero annoverati anche la ruminazione e i tenta-tivi di allontanare o sopprimere le idee ossessive.

5. Strumenti di assessment e di misurazione dell’outcome

Le caratteristiche evolutive del disturbo, le im-plicazioni della sintomatologia sul funzionamen-to individuale e sociale, il peso sulle famiglie così come anche i costi determinati dalla patologia rendono complessa la misurazione dei risultati di efficacia di un trattamento.Nella maggior parte degli studi presenti in let-teratura la risposta al trattamento nel DOC è stata considerata in riferimento alla riduzione dei punteggi ottenuti a scale di valutazione psi-copatologica specifiche e/o a scale di valutazione globale.Tra gli strumenti utilizzati per svolgere asses-sment e misurazione dell’esito nei trattamenti psicoterapeutici la Yale-Brown Obsessive Com-

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pulsive Scale (Y-BOCS) è quella più importan-te ed è divenuta, nel corso degli anni, la scala di riferimento per la valutazione della gravità del DOC.La Y-BOCS ha buone proprietà psicometriche, validità e affidabilità sono state evidenziate in diversi studi (Goodman et  al., 1989; Goodman & Price, 1992; Kim et al., 1990; Kim et al., 1992), ed è sensibile agli effetti del trattamento (Amir et al., 1997).È una scala composta da 16 item, i cui primi 10 sono fondamentali e la somma di questi 10 item è considerata il punteggio totale della sca-la. Questi item riguardano, 5 le ossessioni e 5 le compulsioni. Per ciascuno dei due ambiti, viene indagato il tempo che occupano, l’interferenza, la sofferenza, la resistenza e il controllo su di una scala a 5 punti. I restanti 6 item esaminano la ca-pacità di insight, l’evitamento, aspetti patologici del rallentamento motorio, della responsabilità e del dubbio. In aggiunta è stata inserita una terza sezione di 3 item: Valutazione globale di gravità, Valutazione globale di miglioramento e attendi-bilità della valutazione. Alla scala è associata an-che una checklist (che può essere compilata dal paziente stesso) che illustra 70 diverse ossessioni e compulsioni e che serve a identificare i sintomi di cui si valuta la gravità.La Y-BOCS è in grado di fornire una buona mi-sura del cambiamento dei sintomi poiché valuta la gravità piuttosto che il tipo o la frequenza dei sintomi, inoltre, essendo una scala di eterovalu-tazione, consente di evitare i problemi di insight e di affidabilità tipici delle scale di autovaluta-zioneÈ corredata di un apposito manuale che fornisce la guida per l’intervista semistrutturata e le defi-nizioni per l’assegnazione dei punteggi.La modalità con cui viene valutata la resisten-za, ovvero lo sforzo compiuto dal soggetto per cercare di bloccare i pensieri ossessivi o i com-portamenti compulsivi, è la particolarità della Y-BOCS. Infatti, a differenza di altri strumenti che prendono in considerazione la resistenza, giudi-cando tanto più grave la malattia quanto mag-

giore è la resistenza, la Y-BOCS considera più grave la malattia se la resistenza opposta è mi-nore. Secondo altre scale di valutazione la spinta alla resistenza è accresciuta dalla gravità della malattia perché la resistenza è correlata con la gravità della sofferenza e con la sensazione del paziente di perdere il controllo sui suoi sintomi; in questo modo sofferenza, resistenza e controllo sono considerati assieme in un unico item: la Y-BOCS valuta questi aspetti separatamente for-nendo perciò una diversa e più sensibile misura del DOC (Conti, 2002).La valutazione basata in modo esclusivo sul miglioramento sintomatologico spesso non è completa e clinici e ricercatori si sono interro-gati sulla necessità di considerare, ai fini della valutazione di esito, anche altri aspetti come ad esempio le capacità di funzionamento sia sul piano sociale che su quello lavorativo, il grado di sofferenza soggettiva e l’impatto del disturbo sulla qualità di vita (Koran, 2000). Tuttavia la re-lazione tra questi indici è piuttosto complessa.Recentemente è stata elaborata una interessante proposta (Pallanti et al., 2002; Pallanti & Quer-cioli, 2006) che si realizza nella definizione di una stadiazione della risposta clinica nel DOC con l’individuazione di specifici criteri operativi, elaborati a partire dal consenso di un gruppo di esperti del settore.Sono stati definiti cinque differenti livelli di ri-sposta al trattamento: un primo livello in cui la risposta è clinicamente significativa che è carat-terizzato da una riduzione del punteggio totale della Yale-Brown Obsessive Compulsive Scale (Y-BOCS) di almeno il 35% e un punteggio di 1 o 2 alla CGI; un secondo livello, in cui la risposta è definita parziale, in cui avviene una riduzione compresa tra il 25 e il 35% del punteggio tota-le alla Y-BOCS; e un terzo livello, definito come quello della mancata risposta, in cui vi è una ri-duzione del 25% del punteggio alla Y-BOCS e un punteggio di 4 alla CGI.Al quarto livello abbiamo la riduzione della sin-tomatologia DOC a un risultato subclinico con un punteggio totale ottenuto alla Y-BOCS infe-

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riore a 16 (soglia che solitamente corrisponde al criterio di inclusione nei trial clinici) e al quinto livello una scomparsa quasi completa della sin-tomatologia (recovery) che corrisponde a un punteggio totale della Y-BOCS inferiore a 8.A questi livelli va aggiunta la ricaduta, definita come una riacutizzazione della sintomatologia (indicata da un punteggio alla CGI di 6 e da un incremento di almeno il 25% del punteggio tota-le alla Y-BOCS) dopo un periodo di remissione.

6. L’eziologia del DOC secondo la prospettiva cognitivista

In letteratura troviamo diversi orientamenti che hanno tentato di approfondire e spiegare quali siano le cause alla base del DOC e all’interno della prospettiva cognitivista si possono distin-guere due approcci eziologici (Tallis, 1995).Rientrano in questo approccio le spiegazioni in termini di underinclusion, cioè di tendenza a ipercategorizzare l’esperienza, i deficit delle fun-zioni esecutive e della memoria visuo-spaziale (Reed, 1985; Tallis, 1995; Galderisi et  al., 1996; Dèttore, 2003). Particolare attenzione ha ricevu-to l’ipotesi del deficit mesico. Negli ultimi anni numerose ricerche sperimentali (Radomsky & Rachman, 1999) hanno rivelato, però, che nei pazienti ossessivi non vi è un deficit di memoria ma piuttosto scarsa fiducia nella propria memo-ria e che tale sfiducia si accentua drasticamente in caso di controlli ripetuti. Più il paziente ripete una azione di controllo più diminuisce la salien-za del ricordo della singola azione e più aumenta la familiarità della azione, di conseguenza dimi-nuisce la fiducia nel ricordo di aver compiuto quella azione (van den Hout & Kindt, 2004).Un secondo approccio si muove, invece, sul pia-no delle spiegazioni che Dennet (Dennett, 2001) definirebbe personali, vale a dire, le spiegazioni che fanno riferimento alle intenzioni del pazien-te. Si ritiene infatti che l’attività ossessiva sia fi-nalizzata a raggiungere gli scopi del paziente e sia regolata dalle rappresentazioni che il pazien-

te ha di se stesso e della realtà.

7. L’approccio cognitivo

Osservando le azioni messe in atto da un pazien-te affetto da DOC ci si chiede se queste condot-te abbiano un senso. In altri termini, se esistano specifici criteri di inizio e di fine del comporta-mento.In un’ottica cognitivista, come noto, la mente è descritta come un sistema di scopi e conoscenze che regolano le reazioni emotive, l’attività men-tale e la condotta (Castelfranchi et al., 2002). I sintomi psicopatologici (anche quando appaiono bizzarri e irragionevoli, come per esempio nel caso di ossessioni e compulsioni) possono esse-re considerati espressione di attività finalizzate al raggiungimento di un obiettivo, insito nella mente del paziente, alla stregua di qualsiasi altra attività.Cosa, dunque, regola l’inizio e la conclusione di queste condotte? Dal punto di vista di un osser-vatore, i comportamenti (anche quelli mentali) e, soprattutto, la loro ripetizione (i cosiddetti ritua-li) non appaiono in nessun modo correlati all’ef-fetto prodotto sull’ambiente. Eppure, qualsiasi attività ci apprestiamo a svolgere è regolata dallo scopo di produrre un certo effetto (cambiamen-to) e, generalmente, l’interruzione dell’attività è data dal fatto che l’effetto si sia (o si ritenga) ot-tenuto. Quando si osserva un soggetto affetto da Doc, invece, si ha l’impressione che la condotta segua regole diverse (Mancini F, Perdighe, 2010). Quali sono queste regole?

8. Profilo interno del disturbo

Precedentemente abbiamo utilizzato un piano di interpretazione personale (Dennett, 2001), ovvero basato sulle spiegazioni che fanno rife-rimento alle intenzioni del paziente, ritenendo l’attività ossessiva finalizzata a raggiungere gli scopi del paziente.

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8 Giuseppe Romano, Francesco Mancini

E gli scopi che il paziente con DOC vuole per-seguire sono sostanzialmente due (e possono essere perseguiti anche contemporaneamente): prevenire una colpa e prevenire una contami-nazione. Prima di affrontare in dettaglio la que-stione descriveremo la condotta del paziente adottando uno schema attraverso il quale poter delineare il profilo interno del disturbo in cui inserire scopi, intenzioni e rappresentazioni del paziente.Lo schema, illustrato con un’esemplificazione clinica nella Tabella  I, è un’evoluzione del pa-radigma d’analisi di base della terapia cognitiva (ABC: evento attivante, valutazione, conseguen-ze emotive e comportamentali) e comprende cinque parti:

8.1. Evento criticoEvento occasionale che innesca la condotta os-sessiva. Può essere un circostanza specifica, un avvenimento concreto (aver toccato un oggetto o aver pronunciato una frase), oppure un pensie-ro, un’immagine o una sensazione. Nell’esempio riportato si osserva come sia sufficiente anche solo il dubbio che l’evento critico sia accaduto o addirittura l’impossibilità di escluderlo per inne-scare il timore.

8.2. Prima valutazioneRiguarda la valutazione che il paziente fa dell’evento sulla base dei propri scopi. In questa parte dello schema, quindi, è possibile individua-re gli scopi che regolano la condotta ossessiva, ovvero lo scopo di prevenire una colpa per irre-sponsabilità e lo scopo di prevenire la contami-nazione da sostanze disgustose (Mancini, 2005). Il timore di colpa nel caso di M è evidente: cerca di prevenire colpevole di un danno a sé e ai pro-pri cari a causa di una sua azione o omissione.

8.3. Tentativi di soluzione di primo ordineIn questa parte sono illustrati tutti i comporta-menti (le compulsioni) che il soggetto compie, intenzionalmente o automaticamente, con lo

scopo di prevenire, fronteggiare o neutralizzare la minaccia percepita. Alcuni comportamenti sono: gli evitamenti, i controlli, le neutralizzazio-ni, come ad esempio i rituali di lavaggio, le richie-ste di rassicurazione e le ruminazioni (come nel caso dell’esempio di M.), con le quali il paziente ragiona sulla possibilità che ci sia effettivamente la minaccia temuta.

8.4. Seconda valutazioneRiguarda la valutazione critica del soggetto sul-la propria condotta, attuata per fronteggiare la minaccia; in altri termini riguarda la critica che il paziente fa circa la propria sintomatologia: ri-tuali e compulsioni messi in atto. Solitamente la critica riguarda due aspetti: una considerazione sull’esagerazione delle proprie preoccupazioni e dei provvedimenti messi in atto; una preoccu-pazione per le conseguenze a lungo termine del mantenimento di queste condotte, sia per se stes-so sia per i propri familiari.

8.5. Tentativi di soluzione di secondo ordineQuesta parte riguarda le condotte che il paziente mette in atto al fine di contenere la sua preoc-cupazione e l’attività ossessiva. Poiché l’attività ossessiva è intenzionale e finalizzata, il paziente mette in atto una serie di condotte con lo scopo di interrompere la sofferenza e il disagio, frutto del conflitto presente nella nella seconda valuta-zione e, coerentemente con le valutazioni criti-che sulla propria condotta, cerca di contenere i sintomi. Nel caso di M., il paziente cerca di pre-venire la possibilità di dover effettuare nuovi ri-tuali di controllo e richieste di rassicurazione au-mentando i controlli e aggiungendo un controllo (con rassicurazione) in più. Le condotte messe in atto per contenere i sintomi, però, hanno spesso l’effetto paradossale di incrementarli, in quanto i sintomi vengono criticati per le loro conseguen-ze esistenziali, ma non viene messo in discussio-ne o abbandonato lo scopo iniziale di prevenire la minaccia di colpa o di contaminazione.

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9XXI Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo

9. Gli scopi minacciati nel DOC: il ruolo del timore di colpa

L’idea che alla base del DOC vi sia un esagera-to senso morale è antica. Nel XVII secolo, Tay-lor, un medico che per primo descrisse in modo scientifico il DOC, riteneva che alla radice del disturbo vi fosse una scrupolosità esagerata, un eccesso di religiosità e una spiccata attitudine alla preoccupazione morale. Successivamente altri studiosi, soprattutto anglosassoni (Insel,

1990) hanno ripreso questa idea. È ben noto che Freud (Freud, 1909), nel famoso saggio “L’uomo dei topi”, ha sottolineato la rilevanza del senso di colpa. Più recentemente McFall e Wolkershein (McFall & Wolkersheim, 1979), riprendendo alcune osservazioni psicoanalitiche in una pro-spettiva cognitivista, hanno ricondotto il DOC a una serie di convinzioni che sostengono una po-sizione onnipotente e di controllo, per cui il pa-ziente si ritiene responsabile della prevenzione di possibili disastri (Dèttore, 2003). La tradizione cognitivista italiana fa ampio riferimento al ruo-lo del rigore morale nella genesi e nel manteni-mento del DOC, sono da citare Guidano e Liotti (Bara et al., 1996), Reda (Reda, 1987), Lorenzini e Sassaroli (Lorenzini & Sassaroli, 1995), Bara, Manerchia e Pelliccia (Bara et al., 1996). Ugazio (1997) ha approfondito gli aspetti relazionali del DOC, tanto quelli attuali quanto quelli anamne-stici, sottolineando come in questo contesto as-suma un ruolo fondamentale il conflitto tra una moralità desiderata, ma considerata “mortifera”, e un’immoralità temuta ma, al contempo, desi-derata perché “vitale”. La letteratura cognitivista standard (Rachman, 1997; Rachman, 1998; Sal-kovskis, 1985; Salkovskis et al., 1998; Obsessive Compulsive Cognitions Working Group, 1997), dal canto suo, attribuisce un ruolo cruciale nel-lo sviluppo e nel mantenimento del DOC a un senso di responsabilità particolarmente spiccato (inflated responsibility).Ricerche sperimentali ed evidenze empiriche hanno confermato l’esistenza di una forte cor-relazione tra senso di responsabilità e comporta-menti ossessivo-compulsivi, sia in soggetti clinici (Steketee et al., 1998; Bouchard et al., 1999), che in soggetti non clinici (Wilson & Chambles, 1999; Menzies et  al., 2000). Inoltre, si è dimostrato che questa correlazione non è una conseguenza dell’Ansia e/o di sintomi depressivi bensì del ti-more di colpa (Salkovskis et al., 2000; Mancini et al., 2001). È stato, inoltre, dimostrato in nume-rosi studi che il timore di colpa e l’elevato senso di responsabilità predicono la tendenza ad avere ossessioni e compulsioni nella popolazione ge-

Tabella I. Profilo interno dell’attività ossessiva. Esemplificazione del caso M.

EventoDubbio di non aver chiuso la porta di casa a chiave quando sono uscito per andare in ufficio.

Prima ValutazioneE adesso che faccio? Torno indietro? Ho già fatto mezz’ora di strada… E se ho lasciato aperto ed entrano i ladri? Ho da poco comprato la macchina fotografica e poi ci sono i soldi che non ho ancora portato in banca… Però perché avrei dovuto dimenticare di chiudere? Lo faccio tutte le mattine… ma posso escludere d aver lasciato aperto? Ultimamente stanno facendo tanti furti in zona! Ecco dovevo stare più attento, sono il solito sbadato… Non posso rischiare, ci sono pure i computer dei miei figli, sai che danno. Devo tornare a controllare… E poi anche i gioielli di mia moglie, il danno sarebbe troppo grosso! Non è corretto, starebbero tutti male per colpa mia…

Tentativo di soluzione di primo ordineChiama la vicina per chiedere di controllare se la porta è aperta (controllo e richiesta di rassicurazione).

Telefona alla figlia che è a scuola per chiederle se ricorda (richie-sta di rassicurazione).

Ripercorre mentalmente tutti i passaggi compiuti (ruminazioni).

Arriva a casa, apre la porta e la richiude per tre volte.

Seconda ValutazionePerché devo rovinarmi la giornata così? Altro che giornata, già questo mese mi è successo 10 volte e ogni volta devo chiedere un permesso per entrare più tardi al lavoro. Mi sto rovinando la vita con tutti questi controlli, ieri ho perso 40 minuti davanti la macchina. Mi sembra assurdo e da matti, ma che gli altri tornano indietro se sono già arrivati al lavoro?

E poi tutti mi prendono in giro… ormai nel quartiere se ne sono accorti tutti… pure la vicina poco fa non mi ha fatto finire la frase ed è andata a controllare senza che le dicessi niente.

Devo trovare una soluzione per evitare di incastrarmi in questo modo.

Tentativo soluzione di secondo ordineChiude a chiave la porta e la riapre di seguito per 10 volte e all’undicesima volta fa un video con il telefonino… così quando ha il dubbio può ricontrollare.

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10 Giuseppe Romano, Francesco Mancini

nerale (Rachman et  al., 1995; Rhéaume et  al., 1995; Mancini et al., 2001).Perciò, tra i cognitivisti clinici (Rachman, 1997; Salkovskis et  al., 1998, Rachman, 2002, Salko-vskis, 1985; Salkovskis et  al., 2000; Obsessive Compulsive Cognitions Working Group, 1997), si è sempre più rafforzata la tesi che alla base dello sviluppo e del mantenimento di ossessio-ni e compulsioni vi sia una grave preoccupazio-ne morale, vale a dire un intenso e drammatico timore di colpa per irresponsabilità (Mancini, 2005).Diversi studi sperimentali, inoltre, hanno dimo-strato che la manipolazione della responsabilità in condizioni sperimentali, produce un aumen-to o una diminuzione della preoccupazione e dell’impulso a eseguire rituali sia nei soggetti cli-nici (Lopatka & Rachman, 1995; Shafran, 1997) sia, ancora più interessante, nei soggetti non cli-nici (Ladouceur et al., 1995; Mancini et al., 2004).Quelli citati sono solo una parte degli studi sul ruolo della responsabilità e della colpa nel DOC e si rimanda a Mancini e Gangemi (2004) per una più esaustiva analisi delle ricerche e della bibliografia sul tema.

10. Il ruolo del disgusto nel DOC

Per quanto riguarda il timore di contaminazione, Berle and Philips (2006) in una review sul ruolo del disgusto nel DOC, sostengono che ci sia una associazione tra sintomi ossessivi e disgusto, seb-bene sia limitata a particolari sottotipi di DOC, centrati sulla contaminazione e su temi religio-si. Tale associazione è confermata dagli studi di neuroimaging, che hanno mostrato come le insu-lae, che notoriamente costituiscono il substrato neurale del disgusto, siano coinvolte nella sti-molazione di sintomi ossessivi. Per giunta non è raro osservare nello stesso paziente, anche nello stesso periodo, compulsioni di lavaggio, correla-te a timori di contaminazione, e compulsioni di controllo o di ordine e simmetria, legati a timori di colpa. Si pone dunque una altra domanda: il

timore di colpa e quello di contaminazione sono associati per caso o c’è un nesso significativo? Una dimostrazione convincente di una relazione stretta fra colpa e disgusto viene dal cosiddetto effetto Lady Macbeth, la minaccia alla propria moralità induce la sensazione di essere fisica-mente sporchi e il bisogno di pulirsi e il lavaggio allevia il senso di colpa. Da una recente review di Lee e Schwarz (Spike et al., 2011) risulta che ef-fettivamente il lavaggio riduce il senso di colpa.

11. La “Not Just Right Experience” (NJRE)

Attraverso questi aspetti è possibile spiegare an-che la particolarità dell’attività ossessiva: infatti l’ossessivo è più preoccupato della correttez-za della propria performance che del risultato; l’importante per lui è prevenire la possibilità di essere colpevole per non aver fatto tutto quanto il suo dovere, più che prevenire effettivamente un certo danno. E poiché, come abbiamo appe-na sottolineato, l’attività ossessiva è fondamen-talmente finalizzata a prevenire la possibilità di essere disprezzati, oltre alle ragioni strettamente morali vi sono anche le ragioni legate al disgusto: la minaccia di colpa per irresponsabilità e quel-la di contaminazione, dunque, sono al servizio di una minaccia di critica sprezzante (Mancini, 2005).Nella comprensione del funzionamento del di-sturbo, è anche utile fare riferimento ad alcuni meccanismi di mantenimento a circolo vizioso o altri frutto di “automatizzazione” che contribu-iscono a determinare la persistenza e la ripeti-tività delle condotte sintomatiche (Tentativi di soluzione di Primo e Secondo Ordine).La NJREs (Coles et al., 2003) è una sensazione molto comune, che probabilmente quasi tutti gli individui provano, che ha però una caratteristica di sgradevolezza poiché segnala e delinea la di-screpanza tra la propria percezione dello stato del mondo (o di una propria prestazione) e i pro-pri standard. È possibile tradurla con l’espressio-

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11XXI Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo

ne “ho la sensazione che le cose non siano a po-sto come dovrebbero”.Anche i soggetti con un Disturbo Ossessivo-Compulsivo riferiscono frequentemente di pro-vare una sensazione fastidiosa che le cose non siano esattamente come vorrebbero o come dovrebbero essere e, in conseguenza di questa esperienza, sentono di dover compiere azioni affinché la sensazione non si riduca e le “cose” siano esattamente come dovrebbero essere.Ciò che distingue in modo particolare i soggetti con un DOC dai soggetti normali in riferimento all’esperienza di questa sensazione è la valuta-zione che essi danno di questa sensazione: i sog-getti con DOC, infatti, la valutano in modo più negativo.In particolare, sentirsi in colpa implica un au-mento dell’intensità dell’esperienza di NJRE e modifica la risposta alla NJRE: vi è una maggio-re tendenza a compiere azioni finalizzate all’eli-minazione di tale sensazione e riportare uno sta-to “just right” (Mancini et al., 2008).Nella Figura 1 una sintesi di quanto descritto fino a ora con l’aggiunta di alcuni fattori di manteni-mento del disturbo, fra cui la NJRE. Un evento critico attiva uno o più pensieri intrusivi, questi vengono valutati dal paziente come potenzial-mente minacciosi per incorrere in una colpa per irresponsabilità o in una minaccia di contami-

nazione; quest’ultima, però, è al servizio di una minaccia più grande, cioè quella di essere criti-cato aspramente e disprezzato; alcuni meccani-smi frutto di “automatizzazione” come la sensa-zione di non essere a posto (NJRE), cosi come gli effetti emotivi, cognitivi e comportamentali della prima valutazione alimentano meccanismi di mantenimento a circolo vizioso (ad esempio, il ragionamento emozionale produce effetti del tipo “se mi sento in colpa, allora devo aver fatto qualcosa di male”; la colpa influenza l’attenzione e la percezione di probabilità; le condotte di evi-tamento prevengono l’accettazione di un certo grado di minaccia).

12. L’intervento Psicoterapeutico: razionale e fasi del trattamento

Se l’assunto di base è che le ossessioni e le com-pulsioni sono un’attività finalistica regolata dal-lo scopo di prevenire una minaccia di colpa o di contaminazione, ne consegue naturalmente che l’aspetto cruciale del trattamento sarà aiutare il pa-ziente ad accettare o a ridurre la rappresentazione di minaccia. In altre parole il trattamento consiste nell’aiutare il paziente ad accettare di non prende-re provvedimenti nella direzione dell’azzeramento della minaccia e, dunque, a tollerare sia un certo grado di rischio di colpa o di contaminazione, sia i segnali interni abitualmente assunti dal soggetto come indicatori di una minaccia (ad esempio la sensazione che le cose non siano “a posto”).L’effetto atteso, coerentemente con la concettua-lizzazione proposta, è una riduzione della sinto-matologia in conseguenza del minore investimen-to nella direzione del prevenire colpa e/o disgusto; una riduzione della vulnerabilità e, dunque, una stabilizzazione dell’esito della terapia, conse-guente a una minore focalizzazione sulla propria “moralità”: il paziente accetta un più alto grado di rischio di colpa e contaminazione (e, dunque, di essere oggetto di disprezzo) e diventa meno cru-ciale decidere che tipo di persona è.Il trattamento è suddiviso in cinque fasi.

Figura 1. Stato mentale regolatore del DOC.

Stato menatale regolatore del DOC

Pensiero intrusivoContenuto

Presenza

Prima valutazioneMinaccia di colpa per irresponsabilità

Minaccia di contaminazione

MINACCIA DI CRITICA SPREZZANTE

NJRE

Funzioni cognitive

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12 Giuseppe Romano, Francesco Mancini

12.1. Prima fase: ricostruzione e condivisione dello schema del disturboQuesta fase, che segue una prima valutazione diagnostica, prevede la ricostruzione del profi-lo interno del disturbo con la diretta collabora-zione del paziente, che non solo è la principale fonte d’informazioni, ma è coinvolto in attività di auto-osservazione fuori dalla seduta. Lo scopo che sottende questa fase è triplice: la ricostruzio-ne del profilo interno del disturbo consente di pianificare razionalmente l’intervento terapeuti-co e di creare un linguaggio condiviso; la condivi-sione dello schema (e quindi della concettualiz-zazione sottostante) consente al paziente di dare un senso al suo disturbo e questo non solo riduce il disagio, ma può produrre un immediato mi-glioramento sintomatologico (laddove i tentativi di contenere i sintomi spieghino gran parte della sintomatologia); sia la ricostruzione che la con-divisione facilitano la costruzione dell’alleanza terapeutica in quanto fanno sentire il paziente compreso nel suoi timori (il terapeuta è in grado di rendere al paziente direttamente leggibile il proprio comportamento), attivano la collabora-zione attiva al trattamento e, inoltre, facilitano la fiducia nel terapeuta (che con domande mirate e con riformulazioni dimostra competenza nel comprendere lo stato mentale del paziente).

12.2. Seconda fase: accettazione “cognitiva” della minacciaQuesta fase è finalizzata alla modificazione delle assunzioni circa il proprio potere, i propri van-taggi e il proprio obbligo o dovere di impegnarsi nella riduzione o azzeramento del rischio. A tal fine sono utilizzate diverse tecniche cognitive. Ad esempio attraverso la procedura detta “dal conflitto alla scelta” (Mancini, 2002) il pazien-te è aiutato a uscire dal conflitto tra il desiderio di annullare il rischio e la critica dei comporta-menti messi in atto in tale direzione, ovvero a prendere una decisione circa l’opportunità di investire nella direzione della riduzione del ri-schio. La convinzione del paziente di avere il dovere di sottrarsi al rischio di colpa è contra-

stata, ad esempio, attraverso la modulazione de-gli standard morali di riferimento con la tecnica del doppio standard (van Oppen & Arntz, 1994; Mancini, 2005). Tale tecnica prevede la valuta-zione della propria condotta da un punto di vi-sta esterno (come giudicherebbe la stessa azione una persona degna di stima?) e la valutazione della stessa condotta se messa in atto da un’al-tra persona degna di stima e aiuta il paziente a considerare la propria condotta da un punto di vista più benevolo, ma al contempo socialmente ed eticamente accettabile.

12.3. Terza fase: E/RP come pratica dell’accettazione di una minacciaIn questa fase si aiuta il paziente ad accettare fattivamente un livello più altro di rischio attra-verso l’esposizione diretta alla minaccia. La pro-cedura usata è quella classica dell’E/RP (Esposi-zione e Prevenzione della Risposta) che consiste nell’esporre il soggetto agli stimoli temuti per un tempo superiore a quello normalmente tollera-to, bloccando le normali risposte messe in atto dal paziente (evitamenti e rituali covert e overt). Benché si tratti di una tecnica di diretta deriva-zione comportamentale, il razionale sottostante l’utilizzo di questa tecnica è che se il paziente au-menta il livello di rischio accettato, l’effetto è un minore investimento nell’attività preventiva, un minore ricorso a processi cognitivi prudenziali e, dunque, una minore resistenza al cambiamento delle assunzioni di minaccia.

12.4. Quarta fase: riduzione delle assunzioni di minacciaSe nella seconda e terza fase lo scopo è l’accet-tazione della minaccia, scopo di questa fase è la riduzione della percezione soggettiva di rischio e della percezione di contaminazione, così da ridurre le occasioni in cui il paziente si sente minacciato. Al tal fine ci si avvale principalmente di tecniche cognitive che contrastano l’impressione del pa-ziente che la propria condotta sia il determinante cruciale nel verificarsi di un evento temuto, la so-vrastima della probabilità che un evento si verifichi

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13XXI Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo

e la tendenza a ipervalutare la gravità dell’evento, ad esempio con la tecnica della torta (Spike et al., 2011). Nei pazienti la cui sintomatologia è centrata sul timore di entrare in contatto con sostanze di-sgustose gli interventi mirano a ridurre il potere di-sgustante delle sostanze temute e evitate. A tal fine, si utilizzano diverse procedure, ad esempio: si aiuta il paziente a considerare le dosi, la probabilità della presenza e la permanenza della sostanza. In altre parole, si aumenta la capacità di discriminazione così da contrastare la tendenza del paziente a re-agire alla possibile presenza delle sostanze sempre “come se” ci fosse una grande quantità di sostanze disgustose; si utilizzano esperimenti in seduta fina-lizzati a mostrare al paziente che le sensazioni non sono indicatori o prove affidabili del fatto che un evento si sia o non si sia realizzato (“posso non sen-tirmi sporco ma in realtà ci sono piccole quantità di urina nella mia mano e viceversa”).

12.5. Quinta e sesta faseLe ultime fasi del trattamento sono dedicate a interventi tesi a ridurre la vulnerabilità al DOC (quinta fase) e alla prevenzione delle ricadute (sesta fase). Con tecniche come l’Imagery with Rescripting (Arntz & Weertman, 1999), si aiuta il paziente a modificare la rappresentazione di sé e della propria esistenza apprese in episodi e espe-rienze di vita critiche, correlate allo sviluppo del disturbo. Al fine di prevenire che una episodica e normale ripresentazione dei sintomi sia assunta come il segnale di una propria inguaribilità e atti-vi meccanismi che facilitano una vera e completa ricaduta nel disturbo, invece, viene prevista e nor-malizzata la possibile ripresentazione di sintomi e vengono identificati i segnali precoci di rischio di ricaduta e le possibili strategie di fronteggia-mento, così da aumentare il senso di efficacia del paziente e la reale capacità di affrontare nuovi episodi sintomatici.

13. Efficacia dei trattamenti

Attualmente le linee guida internazionali indi-

cano nella terapia farmacologica e nella terapia cognitivo-comportamentale i trattamenti più ef-ficaci (o di dimostrata efficacia) e in particolare nell’esposizione la tecnica di elezione (Divisione 12 dell’American Psychological Association).Diversi studi di metanalisi hanno mostra-to l’efficacia degli interventi farmacologici e psicoterapeutici evidenziando la sostanziale equivalenza di queste strategie terapeutiche sia riguardo la percentuale di miglioramento sintomatologico sia per i casi di remissione (Van Balkom et  al., 1994; Eddy et  al., 2004; Abramowitz, 1997).In particolare una serie di metanalisi degli stu-di che hanno impiegato le tecniche dell’ERP sembrano suggerire che esiste una differenza rispetto ai trattamenti farmacologici a favore della terapia cognitivo comportamentale (Van Balkom et  al., 1994; Christenson et  al., 1987; Cox et al., 1993)Rispetto all’intervento farmacologico, da oltre quindici anni il trattamento di prima scelta del Disturbo Ossessivo-Compulsivo prevede l’uti-lizzo degli inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI) e la clomipramina, un antide-pressivo triciclico (TCA). Nonostante l’utilizzo di questi farmaci una percentuale consistente di pazienti affetti da DOC, variabile tra il 30 e il 60%, non mostra miglioramento dei sintomi o ottiene risultati molto scarsi (Fineberg, 1996; Hoehn-Saric et  al., 2000; Clomipramine Colla-borative Study Group, 1991).In diversi studi, inoltre, è stata dimostrata l’effi-cacia dell’associazione con gli SSRI dei neurolet-tici, sia tipici sia atipici e fra questi ultimi il rispe-ridone e la quetiapina, soprattutto in presenza di tic o in comorbilità con Disturbo di Personalità schizotipico (Marazziti et al., 2007).Infine, dalle ricerche emerge che i pazienti che rispondono meglio al trattamento farmacolo-gico (Denys, 2003) sono quelli che non hanno precedenti trattamenti, non hanno gravi sinto-mi ossessivo compulsivi e presentano punteggi modesti alla Hamilton Depression Rating Scale (HAM-D).

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14 Giuseppe Romano, Francesco Mancini

La prognosi dei pazienti con DOC è migliora-ta in modo significativo da quando, alla fine de-gli anni ’60, Victor Meyer riportò i primi casi di pazienti trattati con E/RP. La terapia cognitivo comportamentale negli studi di esito appare su-periore a qualsiasi altra forma di trattamento psicoterapico, se si considera la riduzione della sintomatologia, la stabilità del cambiamento, gli effetti collaterali, il rapporto costi-benefici, il mi-glioramento clinico. Come già detto in preceden-za, nel confronto con la terapia farmacologica il trattamento cognitivo-comportamentale risul-ta avere un’efficacia confrontabile o superiore a breve e medio termine, ma il vero vantaggio sembra essere nella stabilità del cambiamento (minori tassi di ricaduta) e nei minori effetti col-laterali (Barcaccia & Perdighe, 2005).Nella Figura 2 sono riportati i risultati di alcuni studi di efficacia sulla terapia cognitivo-compor-tamentale. Mancini et al. (2006) si riferisce a un gruppo di pz con Doc non selezionati rispetto alla comorbilità, alla gravità del DOC, alle terapie pregresse e al grado di compliance al trattamento, seguiti in un setting ambulatoriale privato.

14. Il coinvolgimento dei familiari

Il DOC incide pesantemente sulla qualità della vita oltre che dei pazienti anche dei loro familiari.Spesso i familiari sono chiamati a facilitare i ri-tuali, fornire rassicurazioni, partecipare in prima persona ai rituali dei pazienti, come anche a svol-gere mansioni al posto del paziente e a interveni-re su attività e abitudini familiari con modifiche e cambiamenti radicali. Questo fenomeno, noto come “Accomodation”, è correlato positivamente con la gravità della sintomatologia DOC e con una peggiore risposta terapeutica, sia ai tratta-menti farmacologici che cognitivo-comporta-mentali (Calvocoressi et al., 1995).Tuttavia nella maggioranza dei casi il paziente non sente diminuire l’ansia collegata ai rituali, mentre produce un aumento degli evitamenti degli stimoli ansiogeni. Anche nei familiari pro-duce un peggioramento della qualità della vita, con conseguente depressione, sensi di colpa, rabbia, frustrazione e vergogna e un’incremento delle dinamiche familiari negative (Calvocoressi et al., 1995; Cooper, 1996; Magliano et al., 1996).

Figura 2. Punteggi pre e post-trattamento alla Y-BOCS in diversi studi di esito (Mancini et al., 2006).

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Mancini et al. (2006) n. 37

Franklin et al. (2002) n. 100

Franklin et al. (2000) n. 56

Kozak et al. (2000) n. 18

Lindsay et al. (1997) n. 9

Fals-Stewart et al. (1993) n. 32

van Balkom et al. (1998) n. 19

Y-BOCS pre-trattamento

Y-BOCS post-trattamento

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Per tali ragioni è opportuno prevedere interventi sui familiari dei pazienti con l’obiettivo di incide-re sia sull’andamento del disturbo, contrastando il coinvolgimento dei familiari nella sintomatologia, sia sul funzionamento dell’intero nucleo familiare. In letteratura esistono due principali tipi d’inter-vento su questa linea: gli interventi di psicoterapia cognitivo-comportamentale assistita dai familiari e i gruppi psicoeducazionali (Bogetto et al., 2006).Riguardo il secondo tipo di intervento, specifichia-mo che con il termine psicoeducazione si intende un’azione di informazione sulla malattia rivolta al paziente e a coloro che gli gravitano attorno.Esistono diversi modelli di gruppi psicoeduca-zionali che si differenziano sostanzialmente ri-spetto alla struttura dell’intervento, destinata o solo ai familiari o in forma mista, familiari e pa-zienti contemporaneamente.Gli obiettivi perseguiti dalle diverse forme di psicoeducazione sono gli stessi e mirano a for-nire informazioni sul DOC e sulle sue possibi-li terapie, a stimolare riflessioni sul ruolo della famiglia nella gestione del disturbo, ad attivare percorsi di condivisione dei vissuti, a offrire sup-porto emotivo e a promuovere l’apprendimento di strategie di coping che consentano un minore coinvolgimento nel disturbo e una maggiore ca-pacità di convivere con esso (Albert et al., 2006).Fra le variabili che maggiormente influenzano l’ambiente familiare dei pazienti affetti da DOC, incidendo sulla genesi e il mantenimento del di-sturbo, vi sono gli alti livelli di emotività espressa. Con tale definizione si intende un ambiente e un clima familiare caratterizzato da atteggiamenti, condotte e comportamenti caratterizzati da ostili-tà, critica e iperinvestimento emotivo. Sebbene gli studi e le ricerche che indagano il ruolo dei livelli di emotività espressa in famiglie con pazienti af-fetti da DOC siano ancora pochi, dai risultati che si hanno a disposizione, tali condotte sembrereb-bero essere responsabili sia del mantenimento del disturbo, talvolta dell’esacerbazione delle condot-te sintomatiche e frequentemente delle ricadute (Waters & Barrett, 2000). Nei casi in cui ad alti livelli di emotività espressa in ambito familiare

si associa un importante livello di gravità del di-sturbo, è consigliabile, solitamente, proporre al paziente un ricovero ospedaliero, durante il quale è possibile interrompere molti dei circoli viziosi di natura interpersonale responsabili dell’esacerba-zione del disturbo e dare la possibilità al paziente di comprendere le peculiarità dell’approccio tera-peutico, intervenendo con programmi di psicoe-ducazione al disturbo.

15. Conclusioni

Concludiamo ricordando che, sebbene negli ulti-mi decenni siano stati fatti grandi passi in avanti nella comprensione e nella cura, la gravità del-la sofferenza e della compromissione della vita dei soggetti con Doc suggerisce l’importanza di offrire le terapie più efficaci e di sviluppare la ri-cerca in questa direzione, soprattutto se si consi-dera la lunga durata della malattia e il fatto che generalmente si ha l’esordio in giovane età.

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