XW XVIII il - Liceo XXV Aprile · vano con stupefazione nei luoghi più frequentati della città....

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lltema della peste nella letteratura (ll) Secondo una giusta osservazione del grande storico del Medioevo Marc Bloch, solo un ingenuo può pen- sare di capire $i uomini ignorando quali siano le loro condizioni flsiche. Gli scritti sulla peste, dun- que, non si limitano a svo§ere un topos letterario, ma documentano il nemico invisibile che tra XW e XVIII secolo, a intervalli ricorrenli, colpì l'Occidente a dispetto di qualsiasi'{isura difensiva. Evento dirompenre e traumatico, la peste non si limilò a npgqcgrLtime, ma (evas1fl il territorio, condi- zionò I'economia, dilfuse in Occidente una grandefoaur| the, come già iin4fàntichità, rischiava di mi- nare Ie basi stesse della società civjle coinvolta, tantb'Mindurre i contemporanei ad astenersi perfino dal pronunciare Ia parola. Non è possibile pertinente delineare in questa sede una storia della peste nella cultura eiiropea; si riportano però tre brani variamente dislocati nello spazio e nel tempo per pro- spettare le diverse angolature della rappresentazione letteraria. 11 passo di Marzoni mette a fuoco il tabù linguistico della peste, tanto più grave in quanto i medici stessi, astenendosi dal pronunciare ia parola 'peste', non prendevano Ie misure necessarie per evitare il contagio. Ma sul finire del mese di marzo, cominciarono, prima nel borgo di porta orientale, poi in ogni quarliere delia città, a farsi frequenti le maJattie, ie morti, con accidenti strarLi di spasimi, di palpitazioni, di letargo, di delùio, con quelle insegne funeste di lividi e di bubbj»rU@rti per lo piÌr celeri, violente, non di rado re- pentine, serua alcun indizio antecedente di malattia. I[nedi]i'opposti aJla opinion del contagio, non volen- do ora con-fessare ciò che avevan deriso, e dovendo p§r#e un nome generico alla nuova malattia, dive- nuta troppo comune e troppo palese per andame senza, trova.rono quelìo di febbri maligne, di febbri pe- stilenli: miserabile transazione, anzi trufferia di parole, e che pur faceva gran danno; perché, flgurando di riconoscere la verità, riusciva ancora a non Iasciar credere ciò che più importava di credere, di vedere, che il male s'attaccava pet mezzo del contatto. I magistrati, come chi si risente da un profondo sormo, principiarono a dare un po'più orecchio agìi awisi, alle proposte della Sanità, a far eseguire i suoi editti, i sequestri ordinati, le quarantene prescritte da quel tribunale. Durante la peste del Seicento i monatti erano inacaricati di lrasportare gli ammalati nel lazzaretto (ospedale per ma- lattie contagiose) e di portare via i morti per il seppellimento. Il passo di.UFpe- contrappone le misure preventive, tanto accurate quanto inefficaci, al quadro di una morte che disseminava cadaveri per vie e vicoli cittadini. La gente usava ogpi precauzione possibile: quando qualcuno comprava al mercato unpezzo di carne non lo prendeva di solito dalla mano del macellaio, ma lo staccava dai ganci con Ie proprie mafli. D'altro canto il macellaio non soÌeva toccare il denaro, ma lo metteva in un vasetto pieno d'aceto che teneva a questo scopo. Il compratore portava sempre spiccioli per raggiungere la ci-fra richiesta, in modo da non dover cambiare. Portavano botti$ie di profumi ed esserze sulle mani, e ricorrevano a tutti i mezzi cui si poteva A. Manzoni, I promessi sposi, cap.XXXl D,Deloe, Diario delf anno dipeste, trad. it., Sansoni, Firenze 1957 L

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lltemadella pestenella letteratura (ll)

Secondo una giusta osservazione del grande storico del Medioevo Marc Bloch, solo un ingenuo può pen-

sare di capire $i uomini ignorando quali siano le loro condizioni flsiche. Gli scritti sulla peste, dun-que, non si limitano a svo§ere un topos letterario, ma documentano il nemico invisibile che tra XW eXVIII secolo, a intervalli ricorrenli, colpì l'Occidente a dispetto di qualsiasi'{isura difensiva. Eventodirompenre e traumatico, la peste non si limilò a npgqcgrLtime, ma (evas1fl il territorio, condi-zionò I'economia, dilfuse in Occidente una grandefoaur| the, come già iin4fàntichità, rischiava di mi-nare Ie basi stesse della società civjle coinvolta, tantb'Mindurre i contemporanei ad astenersi perfinodal pronunciare Ia parola. Non è possibile né pertinente delineare in questa sede una storia della peste

nella cultura eiiropea; si riportano però tre brani variamente dislocati nello spazio e nel tempo per pro-

spettare le diverse angolature della rappresentazione letteraria.11 passo di Marzoni mette a fuoco il tabù linguistico della peste, tanto più grave in quanto i medici stessi,

astenendosi dal pronunciare ia parola 'peste', non prendevano Ie misure necessarie per evitare il contagio.

Ma sul finire del mese di marzo, cominciarono, prima nel borgo di porta orientale, poi in ogni quarliere

delia città, a farsi frequenti le maJattie, ie morti, con accidenti strarLi di spasimi, di palpitazioni, di letargo,

di delùio, con quelle insegne funeste di lividi e di bubbj»rU@rti per lo piÌr celeri, violente, non di rado re-pentine, serua alcun indizio antecedente di malattia. I[nedi]i'opposti aJla opinion del contagio, non volen-

do ora con-fessare ciò che avevan deriso, e dovendo p§r#e un nome generico alla nuova malattia, dive-

nuta troppo comune e troppo palese per andame senza, trova.rono quelìo di febbri maligne, di febbri pe-

stilenli: miserabile transazione, anzi trufferia di parole, e che pur faceva gran danno; perché, flgurando diriconoscere la verità, riusciva ancora a non Iasciar credere ciò che più importava di credere, di vedere,

che il male s'attaccava pet mezzo del contatto. I magistrati, come chi si risente da un profondo sormo,

principiarono a dare un po'più orecchio agìi awisi, alle proposte della Sanità, a far eseguire i suoi editti, isequestri ordinati, le quarantene prescritte da quel tribunale.

Durante la peste del Seicentoi monatti erano inacaricati di

lrasportare gli ammalati nellazzaretto (ospedale per ma-lattie contagiose) e di portare

via i morti per il seppellimento.

Il passo di.UFpe- contrappone le misure preventive, tanto accurate quanto inefficaci, al quadro di unamorte che disseminava cadaveri per vie e vicoli cittadini.

La gente usava ogpi precauzione possibile: quando qualcuno comprava al mercato unpezzo di carne non

lo prendeva di solito dalla mano del macellaio, ma lo staccava dai ganci con Ie proprie mafli. D'altro canto

il macellaio non soÌeva toccare il denaro, ma lo metteva in un vasetto pieno d'aceto che teneva a questo

scopo. Il compratore portava sempre spiccioli per raggiungere la ci-fra richiesta, in modo da non dover

cambiare. Portavano botti$ie di profumi ed esserze sulle mani, e ricorrevano a tutti i mezzi cui si poteva

A. Manzoni, I promessi sposi,

cap.XXXl

D,Deloe, Diario delf anno

dipeste, trad. it., Sansoni,

Firenze 1957

L

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ricorrere; ma i poveri non potevano fare nemmeno queste cose, e conevano tutti i rischi. s,udivano, aqlesto proposito, innumerevoÌi storie terriflcanti: qualche volta un u0m0 o una doma stramazzavano ca-daveri in pieno mercato, giacche molte persone, chè avevano Ia peste in corpo, non ne sapevano nulla, sinal momento in cui Ìa cancrena interna non aveva intaccato $i orsani vitali; e moriuano in pochi istanti. Nedgrivava che parecchi perivano aJl'improwiso a quel modJperfe strade,'seru'alcun segno pr..onito..;aJtri, invece, facevano forse in tempo ad andare sino alla baracca più vlcina, o in una bolteguccia, o sottoqualche porta, o porticato, non altro che per sedervisi e morire, come ho deito prima.Questi spettacoli erano così frequenti nelle vie, che quando la pestilerza $unìe al cr.rÌmine, era difflcilepassare per Ie vie serua imbattersi in morti sparsi in terra qua e là; è invàce da osservare .fr. fuAÀuì,dapprincipio, la gente, mentre andava per Ia sua strada, soleva in simili casi fermarsi a dare una voce aivicini perché in un'occasione del genere uscissero, in seguito, non ci si badava più, arzi se quaJche volta sitrovava un cadavere per terra, si attraversava Ìa strada e non ci si accostava adesso; o se si era in un vico-Io stretto, o in un passaggio, si totnava indietro, e si cercava qualche altra via per andarsene per i fattipropri; e in quei casi i cadaveri venivano sempre iasciati in abbandono sinché non Io venivano , ,upa."g1ufficiali sanitari, i quali arrivavano a portaxli via; o sino a notte, quando i monatti addetti al carro À,rebieIi raccoglievano e li portavano via; né quelf imperterrita genia, che a tali mansioni era adibita, **.* difrugar Ie tasche ai motti, e quaJche volta cavava loro di dosso gli abiti, se erano ben vestiti, come talvoltasuccedeva, e portava via quello che poteva prendere. !

In-Q,amus,.come si è grà d..ttq.(_"d. Iltema d,ellapeste nelkt,letteratura (I),pp.104-l0b), il tema deilapeste acquista valenze simboliche sempre più ampie in riferimento at ,làrlimà, inteso come puiolosiudella storia, e alla condizione umana in genèrde, aisediata dalle insidie d;iild. Ma in questa'prg,"iitema letterario prende corpo nella ripugnante invasione deilgple cuÌmina nelt'impressi'one ù§biiih*del passante nottumo, che-awerte sotto il piede Ia massa elffia di urLa caràgna di topo. Neiffiiffi*iftrapasso..della fal!à.al sJÀAhglo matura nell'assimilazione dell'epidemia a]l'aff,oiare del marciume (osa-nis") dala profondirà dellirerra.

Fu press'a poco a quest'epoca, in ogni caso, che i nostri concittadini cominciarono a essere inquieti. Gli è A, Camus, La peste, trad. it.,che, a paitire daI i8, le off,cine e imagazùitraboccarono, effettivamente, cli centinaia di topi morti. In Bompiani, Milano 1974alcuni casi, si fu costretti a finire le bestie, la cui agonia eratroppo lunga. Ma dai quartieri esteml sino Jcentro della città, dolT inQue[dottor Rieux.passasse, dolrunque si radùavano i nostri concittadini, I toplaspettavano a mucchi, nelleYattumiere, o in lunghe flle, nei cana.letti di scolo. La stampa aeUa sera, daquel giorno in poi, s'impadronì della faccenda e domandò se il municipio, sì o no, si proponesse di intewe-1ire, e quali misure urgenti si fossero escogitate per difender gli amministrati OaUjripisnante i.,uasionà.Il mlnicipio non si era proposto nulla e mrlla aveva consideruto, ** cominciò .of .i*lrri in .onrigfio p.ìdeliberare. Fu dato ordine al reparto di derattizzazione di racco$iere i topi morti ogni mattina ,.ff,AUu.Finita Ia raccolta, due fi.rgoni del reparto dovevano portare le Oeitie at foÀo crematorio delle immondi-zìe, per bruciarid. Ma, nei giorni cheìeguirono, la situazione si aggravò; ifn *e.o dei roditori trovati an-dava aumentancfo, e la raccolta era ogni mattina più copiosa. Dopo il quarto giorno, i topi pe. mo.ire, co-mingiarono a uscire a gruppi Dagli sgabuzzini, dai soitosuoli, d-ale cantine]aale chiaviÀe, salivano mIunghe titubanti schiere sino a vacillar nella luce, a girare su se stessi . u *o.iru presso creature umane.La notte, nei corridoi o nei vicoli, si udivano distintamente i loro piccoli gridi diìgonia. l,u *utt*u, ì.isobborghi, li si trovava nel bel mezzo degli scoli, con.un piccolo fioìe di sàgue rut *rro puntuto, g unigonfl e putrldi, gli altri irr€iditi e con i balfl ancora dritti. NeÌta città stessa"li si trovava a mucchieiti, suipianerottoìi o nei cor"tili. Venivano anche a morire is-olatamente nell'atrio Oegti ufnci amdrustratd;;coftile di riffeazione delle scuole e, talvolta, fra i tavolini all'aperto dei caffè. I"nostri concittadini li scàpri-vano con stupefazione nei luoghi più frequentati della città. Lapiazza d'Armi, i ulati, ta passeggiaia'ùmare, di tanto in tanto n'erano insudiciati. Ripulita all'alba detle ìue bestie *ort., t .ittà le rf,iovava apoco a poco, sempre piùnumerose, durante la giornata. Sui marciapiedi, capitava a più d,un passartenottumo di sentirsi sotto il piede la massa elastica d'una carogpa ancor fresca. Si sarebbe deffio cÀe h ter-ra stessa, dov'erano piantate ie nostre case, si purgasse del suo carico d'umori, Iasciasse salire aJIa supeifcie sanie e foruncoli che sino ad allora l'avevano trava$iata intemamente. S'immaguli soltanto lo stupo-re della nostra cittadina, {1o a oui così tranquilla, e sconvolta in pochi giorni, come un uomo in buona sa-Iute il cui sangue denso all'improwiso si metta in tumujtol

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CAMUS LA PESTE (1947)!

Il romanzo fa perno su un'immaginaria epidemia di peste che si abbatte su Orano, in Algeria. Attraverso il diario del dottor Rieux, Albert Camus ci permette di assistere alla drammatica recrudescenza di questo flagello, dalle sue primissime avvisaglie fino al giorno in cui la città non è più asserragliata dal male, che l'ha costretta a un lungo isolamento dal mondo, e può dunque rinascere a nuova vita. Nella peste, metafora del male che attecchisce nella mente dell'uomo propagandosi  come un'epidemia inarrestabile, si intravedono gli spettri del nazismo e i timori legati a una Terza guerra mondiale. La peste simboleggia anche il castigo che Dio infligge agli uomini affinché possano espiare i loro peccati e riscattarsi attraverso un processo di purificazione, da intendersi nella sua accezione più sublime di "consapevolezza". Non tutti gli abitanti di Orano scorgono l'insegnamento, che si cela fra le pieghe di questa punizione divina: c'è chi tenta di fuggire, chi si nasconde, chi indulge allo sciacallaggio. Eppure, qualcuno sceglie il sentiero della fratellanza e della solidarietà, che condurrà a una progressiva sconfitta della pestilenza, e al trionfo della vita sulla morte (anche in senso allegorico). !!Dal porto oscuro salirono i primi razzi dei festeggiamenti ufficiali. La città li salutò con una lunga e sorda esclamazione. Cottard, Tarrou, coloro e colei che Rieux aveva amato e perduto, tutti, morti o colpevoli, erano dimenticati. Il vecchio aveva ragione, gli uomini erano sempre gli stessi. Ma era la loro forza e la loro innocenza, e proprio qui, al disopra d'ogni dolore, Rieux sentiva di raggiungerli. In mezzo ai gridi che raddoppiavano di forza e di durata, che si ripercuotevano lungamente sino ai piedi della terrazza, via via che gli steli multicolori si alzavano più numerosi nel cielo, il dottor Rieux decise allora di redigere il racconto che qui finisce, per non essere di quelli che tacciono, per testimoniare a favore degli appestati, per lasciare almeno un ricordo dell'ingiustizia e della violenza che gli erano state fatte, e per dire semplicemente quello che s'impara in mezzo ai flagelli, e che ci sono negli uomini più cose da ammirare che non da disprezzare. !Ma egli sapeva tuttavia che questa cronaca non poteva essere la cronaca della vittoria definitiva; non poteva essere che la testimonianza di quello che si era dovuto compiere e che, certamente, avrebbero dovuto ancora compiere, contro il terrore e la sua instancabile arma, nonostante i loro strazi personali, tutti gli uomini che non potendo essere santi e rifiutandosi di ammettere i flagelli, si sforzano di essere dei medici. Ascoltando, infatti, i gridi d'allegria che salivano dalla città, Rieux ricordava che quell'allegria era sempre minacciata: lui sapeva quello che ignorava la folla, e che si può leggere nei libri, ossia che il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare per decine di anni addormentato nei mobili e nella biancheria, che aspetta pazientemente nelle camere, nelle cantine, nelle valigie, nei fazzoletti e nelle cartacce e che forse verrebbe giorno in cui, per sventura e insegnamento agli uomini, la peste avrebbe svegliato i suoi topi per mandarli a morire in una città felice.