Weil (Wittwer)

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Weil: ragione e violenza (appunti sul saggio di Wittwer). - Adolf Hitler come “maestro involontario” di Weil (l'esperienza concentrazionaria e la violenza pura). - Il tema della violenza (e della sua relazione con la ragione) è onnipresente nell'opera di Weil - Weil spezza l'equazione razionalistica (e kantiana – almeno secondo alcuni interpreti di Kant) tra libertà e ragione: l'uomo può decidersi contro la ragione, rimanendo libero (“la libertà precede la ragione”, scrive Weil nella Philosophie Morale). Da ciò deriva che tra “violenza” e “libertà” sussiste un legame non estrinseco, ma strutturale. La violenza è una possibilità dell'uomo così come lo è la ragione. - I presupposti antropologici di Weil. 1) Un primo tratto essenziale dell'uomo è la negatività: la capacità di oltrepassare il “dato”, nelle sue molteplici dimensioni (es.: il “presente” in direzione del “non presente”). 2) Un'altra caratteristica fondamentale dell'uomo è di essere esposto alla violenza sia interna che esterna (questo vale però anche per esseri viventi non umani). 3) Un altro tratto essenziale dell'uomo è la ricerca della “soddisfazione” o del “contento” (satisfaction, contentement: termini che Weil utilizza come sinonimi): essi designano quello stato in cui l'uomo è in pace con se stesso, in quanto si è liberato di ciò che limita la sua libertà, che lo rende passivo, lo fa soffrire, ecc. Nell'aspirazione al contento, l'uomo si serve della sua capacità negatrice per modificare e trasformare il mondo esterno (e se stesso); proprio perché il mondo non lo soddisfa, egli cerca di plasmarlo secondo i suoi bisogni e desideri. 4) Dalla negatività dell'uomo e dalla sua aspirazione al contento deriva un'ultima, decisiva caratteristica antropologica, che Weil pone continuamene in luce: l'azione (l'uomo non è un semplice osservatore, un essere “teoretico”, contemplativo; egli non cerca innanzitutto il discorso coerente, ma vuole vivere). - La definizione dell'uomo come animale razionale, pur non essendo falsa, esprime tuttavia solo un aspetto, sebbene essenziale, dell'umano: l'uomo è anche un essere razionale, ma non è soltanto questo. Come essere naturale, è violento ed esposto alla violenza. Come essere finito e bisognoso, non vuole semplicemente conservare la vita, ma trovare in essa un contenuto e un valore. - La filosofia è decisione per un discorso ragionevole. Il passaggio dalla violenza pura al discorso ragionevole è

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Weil: ragione e violenza (appunti sul saggio di Wittwer).

- Adolf Hitler come “maestro involontario” di Weil (l'esperienza concentrazionaria e la violenza pura). - Il tema della violenza (e della sua relazione con la ragione) è onnipresente nell'opera di Weil- Weil spezza l'equazione razionalistica (e kantiana – almeno secondo alcuni interpreti di Kant) tra libertà e ragione: l'uomo può decidersi contro la ragione, rimanendo libero (“la libertà precede la ragione”, scrive Weil nella Philosophie Morale). Da ciò deriva che tra “violenza” e “libertà” sussiste un legame non estrinseco, ma strutturale. La violenza è una possibilità dell'uomo così come lo è la ragione. - I presupposti antropologici di Weil. 1) Un primo tratto essenziale dell'uomo è la negatività: la capacità di oltrepassare il “dato”, nelle sue molteplici dimensioni (es.: il “presente” in direzione del “non presente”). 2) Un'altra caratteristica fondamentale dell'uomo è di essere esposto alla violenza sia interna che esterna (questo vale però anche per esseri viventi non umani). 3) Un altro tratto essenziale dell'uomo è la ricerca della “soddisfazione” o del “contento” (satisfaction, contentement: termini che Weil utilizza come sinonimi): essi designano quello stato in cui l'uomo è in pace con se stesso, in quanto si è liberato di ciò che limita la sua libertà, che lo rende passivo, lo fa soffrire, ecc. Nell'aspirazione al contento, l'uomo si serve della sua capacità negatrice per modificare e trasformare il mondo esterno (e se stesso); proprio perché il mondo non lo soddisfa, egli cerca di plasmarlo secondo i suoi bisogni e desideri. 4) Dalla negatività dell'uomo e dalla sua aspirazione al contento deriva un'ultima, decisiva caratteristica antropologica, che Weil pone continuamene in luce: l'azione (l'uomo non è un semplice osservatore, un essere “teoretico”, contemplativo; egli non cerca innanzitutto il discorso coerente, ma vuole vivere). - La definizione dell'uomo come animale razionale, pur non essendo falsa, esprime tuttavia solo un aspetto, sebbene essenziale, dell'umano: l'uomo è anche un essere razionale, ma non è soltanto questo. Come essere naturale, è violento ed esposto alla violenza. Come essere finito e bisognoso, non vuole semplicemente conservare la vita, ma trovare in essa un contenuto e un valore. - La filosofia è decisione per un discorso ragionevole. Il passaggio dalla violenza pura al discorso ragionevole è “contingente”, non è marcato da alcuna necessità. Abbiamo dunque bisogno della violenza per definire la filosofia (la filosofia si costituisce sullo sfondo e all'ombra del suo altro): essa è “rifiuto della violenza”. Ciò è da comprendere anche storicamente, poiché Weil sottolinea che il discorso filosofico si è formato nella storia come “reazione” e “risposta” alla violenza. Ontogeneticamente e filogeneticamente, la violenza viene dunque prima. - Ma la decisione per il discorso ragionevole, che di fatto ha plasmato la storia della cultura occidentale, non è definitiva e può sempre essere revocata: anche l'uomo “socializzato” e “civilizzato”, anche l'uomo che ha compiuto la scelta della ragione, può ritornare alla violenza e farlo con “cognizione di causa”. È quanto Weil intende mostrare nell'analisi della categoria dell'Opera (l'oeuvre). L'attitudine dell'Opera può sorgere solo dopo l'Assoluto, dopo che il discorso assolutamente coerente ha fatto la sua comparsa nella storia, ha superato e risolto in sé tutte le coerenze parziali dei discorsi precedenti, realizzando la coerenza totale. È questa coerenza (l'hegeliano “sapere assoluto”) che essa rifiuta. Più precisamente, l'uomo dell'Opera non “nega” la filosofia: la abbandona, la lascia dietro di sé, alle proprie spalle, come una possibilità consapevolmente sperimentata e pienamente compresa (e, proprio per questo, rifiutata). Si tratta dunque di un'attitudine non afilosofica, bensì antifilosofica. - Ragione e violenza nell'etica del discorso (Apel, Kuhlmann): possibili obiezioni alla tesi di Weil.