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La fede L’uomo è un cercatore di verità: la sua natura razionale è essenzialmente inclinata a questo. 1 Le verità che cerchiamo non sono soltanto quelle al di fuori di noi, sono soprattutto quelle che riguardano il nostro intimo essere ed il mistero che ci costituisce come persone-in-cammino. Dunque una verità che è “dietro di noi”, la verità costitutrice del nostro essere, verità creatrice; e una verità che è “davanti a noi”, la verità che costituisce la meta del nostro divenire e del nostro dover-essere, verità salvifica. 2 Queste verità che riguardano il nostro intimo essere, in realtà ci trascendono. Se interroghiamo la nostra costituzione ontologica ci appaiono evidenti alcuni tratti di queste verità, i quali riposano su una costatazione inoppugnabile: il nostro essere è contingente; c’è, di fatto, ma potrebbe non esserci. Dunque il nostro “esserci” non può essere “da sé”: siamo, ma è chiaro che “non ci siamo fatti da soli”, che è ad un Altro che dobbiamo il nostro essere. Un Altro è depositario della verità creatrice su di me. Ma la nostra contingenza implica anche la tragica possibilità di “non essere più”, unita – per altro – al desiderio di “essere sempre”. Dunque, se sarà possibile “essere sempre”, essere salvati dal “non essere”, ciò non può venire da noi stessi, non può essere frutto di una nostra operazione, ma sarà frutto dell’azione di un Altro. Un Altro è depositario della verità salvifica su di me. Questo ci viene detto dalla ragione, che si mostra costitutivamente aperta ad una verità che la trascende. Il rivelarsi di questa Verità, dell’Altro come creatore e salvatore, è puro dono, pura grazia. A questa grazia si risponde mediante la fede. E la fede ha una valenza etica essenziale, perché ristruttura secondo la Verità della grazia tutta la percezione dei valori, degli ideali e delle norme, e rende testimoni operosi della grazia ricevuta. 1 Cfr. S. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I-II, q. 94, a. 2, c. 2 Cfr. M. COZZOLI, Etica teologale, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1991, p. 43. 1

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La fedeL’uomo è un cercatore di verità: la sua natura razionale è essenzialmente inclinata a questo.1 Le

verità che cerchiamo non sono soltanto quelle al di fuori di noi, sono soprattutto quelle che riguardano il nostro intimo essere ed il mistero che ci costituisce come persone-in-cammino. Dunque una verità che è “dietro di noi”, la verità costitutrice del nostro essere, verità creatrice; e una verità che è “davanti a noi”, la verità che costituisce la meta del nostro divenire e del nostro dover-essere, verità salvifica.2

Queste verità che riguardano il nostro intimo essere, in realtà ci trascendono. Se interroghiamo la nostra costituzione ontologica ci appaiono evidenti alcuni tratti di queste verità, i quali riposano su una costatazione inoppugnabile: il nostro essere è contingente; c’è, di fatto, ma potrebbe non esserci. Dunque il nostro “esserci” non può essere “da sé”: siamo, ma è chiaro che “non ci siamo fatti da soli”, che è ad un Altro che dobbiamo il nostro essere. Un Altro è depositario della verità creatrice su di me.

Ma la nostra contingenza implica anche la tragica possibilità di “non essere più”, unita – per altro – al desiderio di “essere sempre”. Dunque, se sarà possibile “essere sempre”, essere salvati dal “non essere”, ciò non può venire da noi stessi, non può essere frutto di una nostra operazione, ma sarà frutto dell’azione di un Altro. Un Altro è depositario della verità salvifica su di me.

Questo ci viene detto dalla ragione, che si mostra costitutivamente aperta ad una verità che la trascende. Il rivelarsi di questa Verità, dell’Altro come creatore e salvatore, è puro dono, pura grazia. A questa grazia si risponde mediante la fede.

E la fede ha una valenza etica essenziale, perché ristruttura secondo la Verità della grazia tutta la percezione dei valori, degli ideali e delle norme, e rende testimoni operosi della grazia ricevuta.

I. Il contestoIn prima istanza vogliamo chiarire il significato umano del credere (A) e poi interrogare, nella

cultura contemporanea, le ragioni della crisi e dell’esigenza della fede (B).

A. Significato antropologico della fedeGabriel Marcel distingue tre livelli di conoscenza:3 il sentio, livello tipicamente animale, che

consiste nel subire determinate sensazioni; il cogito, livello razionale in cui si arriva ad accumulare un patrimonio di conoscenze certe, oggettive e comunicabili, che hanno in sé la capacità di costringere all’assenso (verità della scienza, “verità-avere”); il credo, in cui la conoscenza non ha di fronte un mero “oggetto” (un “lui”, un “ciò”, un “esso”, un “terzo”), realtà anonima sulla quale si accumulano nozioni, bensì un soggetto con il quale entriamo in relazione, in dialogo, in comunione: un “tu” che si rivela e si offre.

Qui il conoscere non è uno scoprimento del conoscente, ma un rivelarsi del conosciuto. Ciò significa che non si dà conoscenza al di qua di questo donarsi conoscitivo e delle sue condizioni di possibilità che sono condizioni di sintonia comunicativa. È un conoscere che risponde per ciò stesso ad una logica di libertà (…). È la logica del “vieni e vedi”.4

1 Cfr. S. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I-II, q. 94, a. 2, c.2 Cfr. M. COZZOLI, Etica teologale, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1991, p. 43.3 Cfr. G. MARCEL, Journal métaphisique, Gallimard, Paris 1927, 44-ss.4 M. COZZOLI, Etica…, p. 49.

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Qui il credere non ha il significato di “avere un’opinione non verificata” (come nel linguaggio comune: “credo che questa squadra vincerà la partita”, “credo che al Cairo oggi faccia caldo”), al contrario, si riferisce ad una persona a cui ci si affida, perché la si ritiene degna di fiducia:

L’atto dell’affidarsi nella fiducia, nella fedeltà, nell’amore: fede fiduciale; fides qua creditur: “credo in/a”. E atto nel contempo rivelativo-conoscitivo dell’altro nella profondità del suo essere personale: fede assertiva; fides quae creditur: “credo che”. Nell’affidamento fiducioso del “credo” si sviluppa un conoscere per via comunicativa che mi rende partecipe della vita dell’altro; del suo pensare, sapere, comprendere e volere; del modo in cui egli vede il mondo delle cose e degli uomini. È il conoscere eminente e inglobante dell’amore: tantum cognoscitur quantum diligitur.5

È quindi evidente che la dimensione fiduciale e quella assertiva della fede sono assolutamente inseparabili. Una fede fiduciale senza confessione di fede si trasforma in un sentimentalismo vago ed alienante; una fede assertiva senza relazione fiduciale cede fatalmente il passo al razionalismo o al tradizionalismo più aridi ed inutili.

La fede in Dio è sempre e indivisibilmente, secondo la classica e significativa formulazione, «credere Deum, Deo, in Deum»: espressione rispettivamente del momento conoscitivo-confessionale, del motivo fondante e della dinamica interpersonale della fede. Fede è professare Dio ( credere Deum) sul fondamento della sua testimonianza (credere Deo), riconosciuta e accolta in una relazione di adesione fiduciosa (credere in Deum).6

La fede è pertanto una forma autentica e irriducibile di conoscenza, fondata e consistente in una relazione interpersonale amante.

B. La crisi contemporaneaLa sete di verità che caratterizza l’essenza dell’uomo, come è già stato detto, non si appaga

delle verità “fuori di noi”, le verità della scienza, del cogito, ma tende alla verità del mistero che è “in noi”, che ci costituisce come persone e fissa una meta al nostro esistere. È questo tipo di verità che viene dischiusa nel credo. Abbiamo parlato di “verità creatrice” e “verità salvifica”. Potremmo denominare la ricerca di queste verità come “ricerca di senso”: c’è un “senso” nella mia vita? qual è?

L’espressione “senso della vita”, per quanto logora ed abusata, possiede ancora un suo irriducibile fascino, forse proprio a causa della sua ambiguità. Per “senso”, infatti, possiamo intendere il significato (posso comprendere cosa è la mia vita?), possiamo intendere la direzione (verso dove va la mia vita?), possiamo intendere il sapore (che gusto c’è a vivere?).

In un sistema di totalità etica, con delle concezioni metafisico-religiose fortemente condivise, la questione del senso si pone in termini piuttosto accademici e scarsamente problematici. Per l’uomo del medioevo – ad esempio – il problema non è di sapere “chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo?”, ma come essere fedeli al Dio che ci ha creati a sua immagine, traendoci dal nulla e destinandoci alla vita eterna. La fede ha una sua “plausibilità sociale” indiscussa, che la mette al riparo dalle crisi, ma può condurre anche ad un’adesione molto superficiale alla fede assertiva, che non si apre alla relazione fiduciale.

Il pensiero moderno, nato dalla rivoluzione scientifica, galileiana, newtoniana e cartesiana, porta l’uomo a comprendersi unicamente in rapporto a se stesso, come conoscitore e dominatore del mondo. La questione del senso, lungo tutto l’Illuminismo, è praticamente rimossa. Nell’epoca romantica si ripropone in termini volontaristi o tradizionalisti o estetici, e – nel secolo appena

5 Ibid., p. 51.6 Ibid., p. 53.

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trascorso – viene posta in corto circuito dalle grandi ideologie, col loro apparato mitologico ed utopistico, poi fallito miseramente nelle immani tragedie dei totalitarismi. La critica esistenzialista ad ogni effimera offerta di senso è, probabilmente, la più coerente eredità culturale che il ‘900 lascia al secolo successivo.

Il “postmoderno” si presenta come un clima culturale consapevolmente vuoto di senso, e consapevolmente produttore di surrogati di senso: dallo star-system alla demenzialità elevata a proposta culturale, passando attraverso la “cultura dell’effimero”, lo “sballo”, la droga, la violenza…

Di fronte a questi fenomeni, qual è l’atteggiamento delle “persone di fede”? Purtroppo la maggior parte di loro si schiera su due fronti: da un lato quelli che si scandalizzano di tanta corruzione e si chiudono nella torre d’avorio delle proprie certezze; dall’altro quelli che cercano di “cavalcare la tigre”, assumendo uno stile giovanilistico e adeguando la proposta di fede alla provvisorietà debolistica della cultura contemporanea. Ci sarebbe invece una terza via da battere: cogliere, proprio nella consapevolezza del vuoto e nella ricerca cosciente di surrogati, la forza della domanda di senso che angoscia l’uomo postmoderno, e farne il punto di forza per annunciare la fede:

In un tempo critico per la fede, in cui l’uomo per affermare la propria emancipazione dice di poter e dover prescindere da essa, la fede trova un campo sorprendentemente nuovo di fecondazione. Proprio quel campo che doveva costituire il suo superamento ne diventa l’inedita postulazione. La crisis sta significando il kairos di nuove possibilità… Sono nuovi spazi che per essa si aprono fra le fessure e i vuoti di un mondo in cui l’opulenza dell’avere non significa la pienezza dell’essere.7

In questo contesto, dunque, dobbiamo presentare il senso autentico della fede alla luce della rivelazione cristiana.

7 Ibid., p. 59.3

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II. Insegnamento biblicoI testi biblici, da una parte mostrano tutti di presupporre una ben determinata fede religiosa,

d’altra parte essi tendono a suscitare questa fede o a confermarla ed approfondirla.

Il Dio della Bibbia è un dio “verso l’uomo” e l’uomo è un uomo “da Dio e verso Dio”. Nella fede questo rapporto vicendevole non solo viene riconosciuto, maviene anche affermato e voluto. Credere significa per l’uomo sicurezza nel rispondere alle sue domande ultime, ma al tempo stesso significa obbligazione ad un determinato modo di comportamento. Vivere secondo la fede fa dell’uomo un “fedele”, un “credente” che come tale può essere riconosciuto.8

A. Antico testamentoLa fede appare come la risposta dell’uomo al Dio dell’alleanza che si rivela.

1. Terminologia

L’atto di fede è espresso prevalentemente mediante la forma verbale !mia/h,, hiphil dalla

radice !ma, essere saldo, fermo, sicuro. !mia/h, è seguito di solito dalle proposizioni B.,

l.; il suo significato originario è poggiare su, appoggiarsi a. La formula classica hw"hyB; !mia/h, o hw"hyl; (o anche ~yhil{aBe, ~yhil{ale) ricorre tredici volte (Gn 15, 6; Es 14, 31; Nm 14, 11; 20, 12; Dt 1, 32; 9, 23; 2 Re 17, 14; Is 43, 10; Giona 3, 5; Sl 78, 22; 106, 12.24; 2 Cr 20, 20). Questo termine è tradotto dalla LXX con pisteu,ein e significa sentirsi sicuro, confidare, dire amen a Dio, prenderlo sul serio come Dio.9 La fede consiste nell’appoggiarsi a Dio, nel fondarsi sulla sua parola. La debolezza dell’uomo diventa forza se egli si appoggia al Forte.

Oltre a questo termine vengono usate altre radici come hjb (LXX: pepoiqe,nai, evlpi,,zein): senstirsi sicuri; hsx (LXX: euvlabei/sqai, evlpi,,zein, pepoiqe,naiì): cercar

scampo, nascondersi, essere riparato; hwq: attendere, sperare, confidare; lxy: aspettare,

pazientare; hkx: aspettare, sperare.

2. Sezioni storicheLa lettera agli Ebrei, c. 11, nella trattazione della fede dei padri, si rifà a Noè, Enoch, Abele, fino

all’evento della creazione. Tuttavia, la Scrittura comincia esplicitamente a parlare della fede nella storia di Abramo:

La parola del Signore fu rivolta ad Abram in visione, in questi termini: «Non temere, Abram! Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà grande assai». Rispose Abram: «Mio Signore Dio, che cosa mi donerai, mentre io me ne vado spogliato e l'erede della mia casa è Eliezer di Damasco?». Soggiunse Abram: «Vedi che a me non hai dato discendenza e che un mio domestico sarà mio erede?». Ed ecco gli fu rivolto un oracolo del Signore in questi termini: «Non costui sarà il tuo erede, ma colui che uscirà dalle tue viscere, lui sarà il tuo erede». Poi lo fece uscir fuori e gli disse: «Guarda in cielo e 8 J. PFAMMATTER, “La fede secondo la sacra Scrittura”, in Mysterium Salutis I/2, Queriniana, Brescia, 19774, p. 378.

Tutto il saggio (pp. 377-403) costituisce la linea-guida di quanto segue, assieme a J. ALFARO, Esistenza cristiana, P. Università Gregoriana, Roma 19853, pp. 2-ss.

9 Cfr. J. PFAMMATTER, “La fede…”, cit., p. 3784

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conta le stelle, se le puoi contare»; e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore che glielo accreditò a giustizia. (Gn 15, 1-6).

Per Abramo, credere significa attribuire a Dio ed aspettare da Dio ciò che è impossibile all’uomo. Dio glielo “accredita a giustizia”, nel senso che ratifica la bontà dell’atteggiamento assunto da Abram: si è messo nella disposizione giusta richiesta all’uomo davanti alla parola di Dio, perché ne riconosce la verità e ha capito che niente è impossibile a Dio (Gn 18, 14). Il racconto del sacrificio di Isacco (Gn 22; cfr. Ebr 11, 17 ss) evidenzia la prova della fede e la fermezza di Abramo nel non dubitare della parola di Dio.

La vicenda dell’Esodo rappresenta la nascita della fede di Israele in quanto popolo. Nella vocazione di Mosè il Signore promette di manifestare la sua potenza prodigiosa, affinché il popolo creda che Egli è veramente apparso a Mosè (Es 4, 1-5). E, di fatto, il popolo “credette” (cfr. Es 4, 30-31; 14, 31) ed accetto di mettersi in cammino per essere liberato.

Di fronte alle difficoltà del deserto, in diverse occasioni gli Israeliti rifiutano di credere al Signore (cfr. Nm 14, 11; 20, 12; Dt 1, 32; 9, 23): questi rifiuti vengono condannate come cocciutaggine, negazione degli evidenti prodigi salvifici del Signore, ingratitudine, disprezzo della Parola e dei comandamenti. “L’incredulità mostra così per contrasto le dimensioni della fede”.10

Le sezioni narrative dell’AT sono ricche di esempi di fede: si pensi a Davide, che va incontro a Golia dicendo:

«Tu vieni contro di me con la spada, la lancia e il giavellotto, ma io vengo contro di te nel nome del Signore degli eserciti, Dio delle schiere d'Israele, che tu hai sfidato. Quest'oggi il Signore ti consegnerà in mio potere e io ti colpirò e mozzerò la tua testa da te e darò in questo giorno la tua carogna e le carogne delle truppe dei Filistei agli uccelli del cielo e alle bestie della terra. Così tutta la terra saprà che Israele ha un Dio. Tutto questo assembramento conoscerà che il Signore non concede la vittoria con la spada e l'asta, perché al Signore appartiene la guerra e vi ha consegnato in nostro potere». (1 Sam 17, 45-47).

Si pensi a Gedeone, che addirittura – in obbedienza al comando del Signore – deve ridurre il numero dei suoi uomini a 300 per sconfiggere “i Madianiti, gli Amaleciti e tutti gli orientali che coprivano la valle, numerosi come le cavallette; i loro cammelli non avevano numero, erano come la sabbia sul lido del mare” (Gdc 7, 12), e questo perché gli Israeliti non si glorino dell’impresa contro il Signore, “pensando di essersi salvati per opera loro”.

3. ProfetiIl profeta è un inviato nell’ambito della fede: è uno che nell’esperienza della vocazione ha

definitivamente imparato a fidarsi di Dio e non di se stesso (cfr. Ger 1, 4-10; Ez 2, 1- 3, 11). Ed è uno che predica al servizio della fede.

È centrale l’annuncio che fede ed incredulità decidono della durata dei popoli: “Se non avete fede, non sussisterete” (Is 7, 9), gioco di parole ebraico, difficilmente traducibile:

Wnmea'te al{ yKi Wnymia]t; al{ ~ai. In questo testo, come anche in Is 28, 16 (“Chi crede non vacillerà”), la fede consiste fondamentalmente nel confidare nella fedeltà di Dio (cfr. Is 49, 7), di fronte alle minacce dei popoli e alla tentazione di risolvere i problemi con alleanze umane.

Si capisce, quindi, che l’effetto della fede sia la liberazione da ogni paura (Is 43, 1-5; 44, 1-5), il conforto e il ristoro per quello che sono sfiduciati e spossati (Is 40, 25-31), la consolazione dei

10 J. ALFARO, Esistenza…, cit., p. 4.5

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desolati (Is 49, 14-17), l’esultanza per tutto il popolo (Is 44, 21-23; 51, 1-3). In questi contesti la terminologia della fede e quella della speranza, praticamente, coincidono.

Tuttavia non manca la dimensione propriamente confessionale della fede, laddove i verbi

“sapere” ([dy) e “credere” (!ma):

«Voi siete i miei testimoni, oracolo del Signore, voi siete miei servi, che ho eletto, perché sappiate, crediate in me e comprendiate che sono io. Prima di me non fu fatto alcun dio e dopo di me non vi sarà alcuno. Io, io sono il Signore e all'infuori di me non c'è alcun salvatore!» (Is 43, 10).

Uno dei compiti più importanti del profeta è quello di interpretare la storia a partire dalla fedeltà di Dio e di mostrare come in essa si compie il suo disegno. Dio è Signore: i Salmi riconoscono la bellezza delle sue opere nella creazione (Sal 8; 104), la sua benevolenza verso il credente (Sal 103; 107), ma soprattutto il suo dominio sulla storia (Sal 78; 105; 106; 136).

4. SapienzialiTra gli scritti sapienziali, i Salmi sono quelli in cui il tema della fede è più esplicitamente

presente. Il verbo !mia/h, vi compare 7 volte, in contesti che contrappongono la fede alla sua mancanza. La fede comporta il ricordo delle opere del Signore nella storia di Israele, la fiducia nella sua parola, l’osservanza dei comandamenti (Sal 78, 4.7; 106, 2-3.12). La mancanza di fede consiste nel dimenticare le opere del Signore, nel dubitare delle sue promesse e nell’infedeltà all’alleanza (Sal 78, 7.10-11.19.22.37.42.56; 106, 3.7.12.21.24-25). Come in Isaia, troviamo spesso coincidenza tra terminologia della fede e della speranza.

Negli altri scritti si parla della fede in termini poco espliciti; ne viene però descritta la realtà, soprattutto in termini di “timore del Signore” (fo,boj kuri,ou) cui corrisponde il dono della sapienza (Sir 1, 9 ss; Sap 8, 21) e della stessa fedeltà (Sir 6, 37). “In tutti questi testi è significativo il ruolo che svolge la Legge. Essa precisamente offre il contenuto al quale sono indirizzati gli atti del credente (obbedienza, fedeltà, confidenza, speranza)”.11

* * *

Nell’AT, dunque, la fede comprende tre dimensioni inseparabili: la fiducia, la conoscenza e l’obbedienza; in termini teologici potremmo dire che è fede fiduciale, fede assertiva e fede viva, il tutto in un contesto di comunione personale e interpersonale con il Signore.

B. Nuovo TestamentoAnche nel NT la fede è essenzialmente risposta all’azione di Dio, per cui lo sguardo deve essere

rivolto al passato, a quanto è avvenuto nella storia. Solo che lo sguardo credente si fissa quasi esclusivamente su un unico avvenimento: l’evento Cristo, l’intervento escatologico di Dio che ha inaugurato i tempi nuovi ed ha aperto, con la sua pasqua, la nuova ed eterna alleanza. La fede cristiana può essere brevemente definita come “accettazione del kerygma di Cristo”.

1. I SinotticiL’attività e l’insegnamento di Gesù riguardavano essenzialmente l’avvento del Regno di Dio.

Pertanto, nella prima fase del suo ministero, nelle sue parole e soprattutto mediante i miracoli, si è limitato a suscitare la fede nella venuta immediata del Regno di Dio. Ma sia il modo di predicare

11 J. PFAMMATTER, “La fede…”, cit., p. 379.6

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una dottrina nuova con autorità, sia soprattutto i miracoli portano, come in un crescendo, alla posizione della domanda di fondo, riguardo alla persona stessa di Gesù.

Per questo, nella seconda parte della sua attività, Gesù comincia a richiedere la fede in sé stesso come Messia: si veda a questo proposito l’episodio di Cesarea di Filippo (cfr. Mc 8, 27-30 //) e la questione degli inviati di Giovanni il Battista (Mt 11, 2-6 //, cfr. Is 29, 18 s; 35, 5 s.; 61, 1).

Se esaminiamo le pericopi in cui compaiono i termini pi,stij e pisteu,w, possiamo classificare diverse condizioni della fede.

a) Si parla anzitutto di una fede dei miracoli, che però ha un duplice senso. Da una parte Gesù richiede la fede come condizione per operare i prodigi e le guarigioni richieste; d’altra parte, a partire dal miracolo, l’uomo può essere condotto alla fede. I miracoli, quindi, possono essere intesi come segni, che sollecitano e rendono possibile la fede, pur senza necessariamente ottenerla (è una prospettiva assai sottolineata in Giovanni, ma presente già nei Sinottici). Il peccato dell’incredulità sussiste proprio in coloro che hanno visto e udito, eppure si decidono contro Gesù (Mt 8, 10-12 //; Mt 11, 21-24//; Mt 23, 37-39 //).

b) Il giudizio (come dice anche Gv 3, 18) avviene fondamentalmente in questa decisione pro o contro Gesù: c’è un dovere di riconoscerlo nella fede e di confessarlo davanti agli uomini (Mt 10, 32-33 //; Mc 8, 38 //). La salvezza o la condanna dipendono dalla fede: «Chi crederà e si farà battezzare sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16, 16).

c) La fede come fiducia è richiesta anche nella preghiera; la fede che “sposta le montagne” (Mc 11, 22 ss //) ottiene ciò che è impossibile alle forze umane perché “pone, per così dire, in movimento l’onnipotente bontà divina”.12

d) Ma la fede è soprattutto una reazione all’ascolto, un’assimilazione interiore che non si limita alla percezione fisica delle parole:

«Chi ha orecchi da intendere, intenda!». […] «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio, ma per quelli che sono fuori tutto avviene in parabole, affinché vedendo vedano, ma non intendano, e ascoltando ascoltino, ma non comprendano, perché non avvenga che si convertano e sia loro perdonato» (Mc 4, 9.11-12; cfr. //).

Si tratta di una risposta del cuore, non solo di atti esterni: Gesù considera miscredenti quei Giudei che confessano quotidianamente Dio soltanto con le labbra (cfr. Mt 17, 17).

In questa prospettiva l’ascolto (avkou,w) porta al comprendere (suni,hmi), che apre alla sequela (avkolouqe,w), a diventare suoi discepoli (maqhtai,) ed entrare con lui nella vita eterna (zwh.. aivw,nioj).

e) La vita eterna, che - secondo Giovanni - si ottiene credendo nel Figlio (3, 36), “secondo i Sinottici consiste nella rinuncia totale ad ogni sicurezza materiale e nella dipendenza assoluta dal maestro che adesso il discepolo segue”.13 Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo (Mt 8, 20 //), così chi lo segue: si deve entrare in una relazione di totale dipendenza, nella fede, dalla bontà del Padre. La raccomandazione è quindi quella di non essere “gente di poca fede” (ovligo,pistoi) davanti alla provvidenza di Dio (cfr. Mt 6, 25-34 //).

f) Infine, la fede ha un carattere essenziale di dono. Intanto è risposta ad una rivelazione gratuitamente donata («Nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo», Mt 11, 27 //). E poi, la stessa risposta umana è

12 J. SCHMID, cit. Ibid., p. 385.13 Ibid., p. 387.

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suscitata “non dalla carne e dal sangue”, ma dal Padre – come attestano le parole di Gesù a Pietro (Mt 16, 17). Gesù stesso pregherà il Padre perché la fede di Pietro non venga meno (Lc 22, 32).

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