1.3 Energia Solare -...

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Ricerca delle condizioni di applicabilità delle Fonti Energetiche Nuove e Rinnovabili sul territorio. Il modulo urbano sostenibile per piccoli insediamenti 1.3 Energia Solare

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Ricerca delle condizioni di applicabilità delle Fonti Energetiche

Nuove e Rinnovabili sul territorio.

Il modulo urbano sostenibile per piccoli insediamenti

1.3

Energia Solare

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L’energia solare, per il nostro pianeta, è indubbiamente la fonte energetica per eccellenza. Facendo un rapido calcolo dell’ammontare di energia di cui la Terra dispone, il Sole con il suo irraggiamento contribuisce per il ben 99,98%. Con la sua “inesauribile” attività (almeno per i parametri umani), questa stella è alla base della nostra vita e di quella di tutti gli altri esseri viventi presenti. La potenza irradiata verso il nostro pianeta in ogni istante è pari a circa 1,73⋅1017 W, corrispondente ad un flusso energetico orario che soddisferebbe l’attuale fabbisogno annuale dell’intera popolazione umana.

È l’energia solare che alimenta e movimenta tutti quei processi presenti sulla Terra, come il ciclo idrologico, le correnti oceaniche, i venti e il processo di fotosintesi clorofilliana, tra i più importanti e significativi. Il Sole stesso ha poi permesso il lento e continuo processo d’accumulo d’energia, attraverso il quale, si sono prodotti gli idrocarburi, come il petrolio e tutti i combustibili fossili, sui quali si è basato fino ad oggi lo sviluppo tecnologico e culturale dell’uomo. Anche se questo continua ad essere il presente dell’industrializzazione e del progresso, il futuro si può, in modo convincente, riporre in questa fonte che è il Sole, in particolare per la sua entità energetica teorica globale elevatissima e nonostante la sua bassa concentrazione superficiale e la sua discontinuità nel tempo. I dispositivi, che consentono di ricavare direttamente energia dai raggi solari, si dividono sostanzialmente in due categorie tecnologiche: quelle che sfruttano il riscaldamento causato dall’irraggiamento, l’energia solare termica, e quelle che permettono la trasformazione diretta delle radiazioni solari in energia elettrica, l’energia fotovoltaica. La radiazione solare Il Sole, con una certa approssimazione, si può definire come un corpo nero, cioè come un perfetto emettitore. Le sue continue reazioni termonucleari di fusione sono un’immensa e straordinaria fonte di radiazioni elettromagnetiche, con lunghezza d’onda compresa tra i 0,1nm e i 4000nm (circa il 50% è comunque appartenente alla banda del visibile, in pratica tra

Fig. 23 – Suddivisione del flusso solare; [34]

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380nm e 780nm) e una temperatura di circa 5800K. Il valore di questo enorme flusso di energia incidente, prima di oltrepassare l’atmosfera terrestre, è pari alla costante solare:

21367 mWS = . Una volta che la radiazione entra nell’atmosfera terrestre, una parte del flusso viene assorbito o diffuso dagli aerosol atmosferici. La restante radiazione, che raggiunge la superficie terrestre direttamente, è detta per l’appunto irraggiamento diretto, mentre la frazione di irraggiamento solare diffusa dall’atmosfera è detta irraggiamento diffuso. Per ultimo si ha l’irraggiamento riflesso, ovvero la radiazione che un oggetto può ricevere, dopo che questa è stata riflessa dal suolo o da qualsiasi altro elemento circostante, e che rappresenta la terza delle tre componenti che costituiscono insieme l’irraggiamento globale, che raggiunge un oggetto qualsiasi sulla superficie terrestre. L’irraggiamento totale che raggiunge il terreno è molto variabile, infatti, in aggiunta alle regolari variazioni, che avvengono durante il giorno e durante l’anno (dovute al moto di rotazione e di rivoluzione della Terra), esistono anche variazioni irregolari e del tutto imprevedibili, causate dalle condizioni climatiche del momento. Un importante fattore, caratterizzante l’effetto che subiscono i raggi solari, è la massa d’aria (air mass), vale a dire lo spessore di atmosfera che le radiazioni devono attraversare fino a raggiungere la superficie terrestre. Si indica con AM0 lo spettro solare dell’irraggiamento al di fuori dell’atmosfera, con AM1 ( )1=airmass lo spettro solare dell’irraggiamento perpendicolare alla superficie terrestre (Sole allo zenith) al livello del mare con il cielo sereno. Per tutte le altre angolazioni che il Sole assume rispetto alla Terra, si ha zairmass θcos1= , dove con zθ si indica l’angolo formato dalla congiungente Sole-Terra e la perpendicolare alla superficie terrestre nel punto d’irraggiamento (angolo complementare alla elevazione solare β). L’irraggiamento tipico che si prende mediamente come riferimento, in funzione dell’inclinazione del Sole sull’orizzonte e in condizioni di cielo sereno, è quello pari a AM1,5 (valore medio riscontrabile ad una latitudine di 45°), che corrisponde a 21000 mW . In realtà, per tutte le variabili prima ricordate, la radiazione utile, realmente percepibile, è chiaramente di molto inferiore. Questa quantità è quella che tecnicamente si definisce irraggiamento, incidente su una superficie unitaria in un intervallo di tempo unitario, tipicamente un giorno [ ]giornomkWh 2 , mentre con radianza si indica il valore istantaneo [ ]2mkW . L’irraggiamento è più elevato in prossimità delle latitudini del tropico del Cancro e del Capricorno, laddove è più basso nelle regioni equatoriali a causa del frequente rannuvolamento mentre alle alte latitudini a causa della bassa elevazione solare. Ricordando la costante solare S e determinando l’area dell’emisfero terrestre sul quale incidono i raggi solari pari a πR2 (con R raggio della terra), si può calcolare un valore di flusso radiante medio pari a:

( ) 22

2

34244

mWS

RRS ==⋅

ππ

Tenendo conto, come evidenziato precedentemente, che circa il 30% dei raggi solari viene riflesso dall’atmosfera e disperso nello spazio esterno come radiazione a piccola lunghezza d’onda, con un semplice calcolo è possibile valutare il valore di irraggiamento solare medio sul suolo terrestre, evidentemente del tutto ipotetico:

( ) giornomkWhI medio275,5247,0342 =⋅⋅=

I valori medi annuali che in realtà si possono, invece, rilevare in Italia variano da giornomkWh 26,3 della pianura padana a giornomkWh 27,4 del mezzogiorno, fino a giornomkWh 24,5 in Sicilia.

Calcolo della radiazione solare su una superficie inclinata

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Esistono numerosi metodi per il calcolo dell’energia solare captata da una superficie comunque orientata e tutti seguono algoritmi che vedono, come dati in input, variabili dipendenti dalla geometria solare e da rilevazioni, più o meno estese nel tempo, nelle varie località interessate, dell’irraggiamento medio. Un primo metodo, abbastanza semplice, utile in particolare per valutazioni preliminari e studi di fattibilità, è quello implementato da Lorenzo nel 1989 e Duffie e Beckman nel 1991. Esso prevede la conoscenza preliminare dell’irraggiamento globale giornaliero tipico per ciascun mese su una superficie orizzontale (IG) e di tutti i dati che permettono di determinare la posizione del Sole nella volta celeste. Il primo passo consiste nel calcolare l’intensità delle radiazioni solari incidenti al di fuori dell’atmosfera in 24 ore su una superficie unitaria (I0). L’indice di chiarezza corrisponde al rapporto:

0II

K GT = ,

esso descrive l’attenuazione media che l’atmosfera realizza sui raggi solari. Esistono, ora, diverse formule empiriche che legano questo fattore all’irraggiamento diffuso (Id), una di queste, particolarmente semplice, è sicuramente quella stabilita da Page nel 1961:

TG

d KII

13,11 −= .

Una volta ottenuto da questa il valore Id si può immediatamente ricavare anche l’irraggiamento diretto (Ib), trascurando in prima approssimazione la presenza dell’albedo:

( )TGdGb KIIII ⋅=−= 13,1 Da questo valore appena ricavato, una volta introdotti gli angoli per l’individuazione della posizione del Sole durante la sua evoluzione giornaliera, si può determinare il valore dell’irraggiamento diretto in funzione degli angoli di inclinazione della superficie captante Ib(γ,ψ), dove γ è l’angolo compreso tra la proiezione sul piano terrestre della perpendicolare alla superficie inclinata e la proiezione sul suddetto piano della congiungente superficie-Sole, mentre ψ è l’angolo effettivo di inclinazione compreso, quindi, tra la perpendicolare alla superficie e la proiezione sul piano passante per la perpendicolare stessa e ortogonale al piano terrestre della congiungente superficie-Sole. Ipotizzando, poi, una distribuzione isotropica delle altre due componenti d’irraggiamento nella volta del cielo, si ricavano due relazioni del tipo:

( ) ( )Ψ+=Ψ cos121

dd II , ( ) ( )Ψ−⋅=Ψ cos12

1 II r ρ , con ρ uguale all’albedo, cioè il parametro adimensionale che indica la frazione dell’irraggiamento globale riflesso da tutti gli elementi circostanti presenti ( 2,0=ρ è il tipico valore valido in un contesto urbano). In definitiva, il calcolo della radiazione solare su una superficie inclinata si ottiene come sempre dalla somma delle tre componenti:

( ) ( ) ( ) ( )Ψ+Ψ+Ψ=Ψ rdbG IIII ,, γγ , [ ]giornomkWh 2 . Un secondo algoritmo, più efficace nel caso del contesto italiano, vede come dati d’ingresso gli stessi valori medi d’irraggiamento diffuso e diretto per ciascun mese dell’anno, ricavabili dalle tabelle climatiche pubblicate dall’UNI, insieme, come sempre, alle caratteristiche geometriche della posizione del Sole e del piano captante. In questo caso, però, come prima cosa, si calcola mediante apposite formule il valore di irraggiamento diffuso orario medio mensile (Ihd) sempre su superficie orizzontale, che è interessante far notare coincide con la potenza radiativa, allora, espresso in [ ]2mW ; dopodiché si determina l’analogo irraggiamento globale orario medio mensile (IhG). In ultimo si ottiene:

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hdhGhb III −= . A questo punto, si potrà passare ai medesimi dati orari per una superficie inclinata, una volta introdotti i parametri necessari alla definizione della geometria solare relativamente al sito e in funzione delle variabili (γ,ψ) che identificano la disposizione spaziale della superficie stessa. Per definire, quindi, una volta ricavati tutti i parametri precedenti, quello che è l’irraggiamento globale orario medio mensile incidente su una superficie comunque orientata, si scrive:

( ) ( ) ( ) ( )Ψ+Ψ+Ψ=Ψ hrhdhbhG IIII ,, γγ , [ ]2mW , che si distingue essenzialmente, dal precedente risultato, dalle dimensioni che, in quest’ultimo caso, sono di una potenza, ma che, come precedentemente spiegato, possono intendersi anche come valori d’energia intercettata dalla superficie in un’ora.

1.3.1. Solare termico Quando si parla di “solare termico”, s’intende lo sfruttamento dell’irraggiamento del Sole per la produzione di calore a bassa, media o alta temperatura. La tecnologia a bassa temperatura riguarda sostanzialmente i sistemi di produzione di acqua calda sanitaria o per il riscaldamento di locali abitativi. Le tecnologie a media e alta temperatura intervengono, invece, soprattutto in diverse applicazioni industriali per mezzo di sistemi a concentrazione parabolici lineari o puntuali. In particolare, i collettori parabolici puntuali o a disco sono stati sviluppati in Germania, Stati Uniti, Israele e Australia, mentre in Italia è di rilievo la più grande centrale solare del mondo, in questo settore, realizzata presso Adrano, in provincia di Catania. L’impianto, denominato Eurelios, ha una potenza di 1MW e funziona con un fluido, che viene portato allo stato di vapore dal calore raccolto sulla sommità di una torre, situata al centro di un campo di specchi (in altri casi si possono avere condotti che percorrono la linea di fuoco di specchi concentratori parabolici), dopodiché lo stesso fluido espande in turbine analogamente a ciò che avviene in una tradizionale centrale termoelettrica. Ciò che, comunque, interessa ai fini di questa trattazione, sono quei sistemi della prima categoria elencata, che usano un collettore solare per riscaldare un liquido o l’aria e trasferire tale energia assorbita per produrre acqua calda o climatizzare un ambiente. Allo stato attuale, le tecnologie a bassa temperatura hanno conseguito tali risultati di prestazione e affidabilità, che possono essere considerate alla pari dei più consolidati e tradizionali sistemi per il riscaldamento dell’acqua e dell’aria ad uso domestico o produttivo. Inoltre, con tali impianti solari vengono ad aggiungersi i vantaggi di una produzione più razionale, da un punto di vista energetico, e più pulita, da un punto di vista ambientale. Con la denominazione “bassa temperatura” ci si riferisce a fluidi scaldati al di sotto dei 100°C e, solo in rare occasioni, si possono raggiungere i 120°C. Nella maggior parte dei Paesi industrializzati, la gran parte della domanda totale d’energia in ambito residenziale è utilizzata proprio per la produzione di calore a bassa temperatura, ovvero la forma meno pregiata d’energia; è, quindi, proprio

Fig. 24 – Schema di sezione di un pannello solare termico; [W11]

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l’applicazione solare, di certo, la più idonea a tale fine, anziché ricorrere a forme ben più “nobili” quali quella elettrica o quelle dovute alla combustione di idrocarburi. La storia di questa tecnologia incomincia già nel XVIII secolo, quando lo scienziato svizzero Horace Benedict de Saussure costruisce il primo pannello solare termico. La struttura era ancora piuttosto rudimentale, fatta di una semplice scatola di legno ricoperta da un vetro, capace di assorbire l’energia solare e intrappolarla all’interno senza disperderle, grazie alle proprietà termoisolanti del legnoW12. Fin da allora, tale semplice collettore permetteva di raggiungere la ragguardevole temperatura, dell’acqua contenuta al suo interno, di 87°C. Solo, però, in tempi moderni si sono fatti passi avanti nello sviluppo di tale scienza tecnologica e, a livello internazionale, si è vista la prima distribuzione su larga scala intorno agli anni ’50. Principio di funzionamento Il principio di funzionamento di un impianto solare termico è molto semplice. L’elemento fondamentale è il collettore solare o anche spesso chiamato pannello solare, per la forma che più spesso assume. In esso si attua quello che comunemente è noto come “effetto serra”. Questi consiste in quel fenomeno che si realizza una volta che i raggi solari incidono su una superficie vetrata: una piccola frazione di tale radiazione viene riflessa (circa il 4%), mentre quasi tutta la restante parte attraversa la faccia esterna e penetra all’interno, dove viene assorbita da una piastra captante di colore nero (ciò avviene, comunque, con qualsiasi altro corpo, anche se in minore entità). Una volta che tale elemento si scalda, riemette progressivamente energia sotto forma di radiazione infrarossa (la lunghezza d’onda è stabilita dalla legge di Wien: T2897=λ , dove T è la temperatura espressa in gradi Kelvin), mentre il vetro, nei confronti di questa stessa emissione ad elevata lunghezza d’onda, si comporta come se fosse opaco, riflettendola e trattenendola così all’interno del collettore. La quantità d’energia assorbita e riflessa dalla lastra trasparente di copertura è valutabile attraverso il coefficiente di trasmissione (τ) caratteristico del materiale, che può essere vetro temprato privo di ferro, con ottime caratteristiche di trasmittanza ottica, ma più fragile e soprattutto costoso, oppure materia plastica, che risulta essere nettamente più economica, resistente e anche leggera, ma che ha l’inconveniente di lasciar passare maggiormente radiazioni infrarosse a lunghezze d’onda tra 0,75µm e 1mm e di essere fisicamente meno stabile nel tempo. Entrando nello specifico del funzionamento di tali sistemi solari in analisi, bisogna aggiungere come il colore scuro della piastra captante ha il fine di migliorare il coefficiente di assorbimento (α), che dipende dall’angolo d’incidenza allo stesso modo del coefficiente di trasmissione. La piastra cede, poi, il calore assorbito ad un fluido vettore, il quale trasporterà l’energia accumulata per assolvere le varie funzioni cui è destinato. Per aumentare, inoltre, tale effetto serra sono importanti ulteriori accorgimenti, come quello di evitare dispersioni energetiche per altra via. È, allora, necessaria un’accurata sigillatura del vetro con opportune guarnizioni e una buona coibentazione del pannello stesso verso l’esterno, in modo di sfruttare al massimo il calore “intrappolato” progressivamente nel sistema. I pannelli solari sono sensibili, oltre all’irraggiamento diretto, anche a quello diffuso, così da essere efficienti, seppur in modo ridotto, anche in caso di cielo coperto.

Caratteristiche tecniche Il bilancio energetico che si realizza alla piastra può essere descritto come:

( ) SPUcGA QQQAIQ ++=⋅⋅⋅= ατ , dove si indica con: QA, la potenza assorbita dalla piastra; IG, la radianza globale incidente il pannello solare; Ac, la superficie captante del pannello stesso;

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τ, il coefficiente di trasmissione della lastra trasparente; α, il coefficiente di assorbimento della piastra assorbente; QU, la potenza utile ceduta al fluido vettore; QP, la potenza persa verso l’esterno per convezione, irraggiamento e conduzione; QS, la potenza immagazzinata dalla piastra (nulla se il collettore lavora in regime stazionario). L’efficienza del collettore si esprime attraverso:

�=

t G

tc

U

dtI

dtAQ

η ,

e se consideriamo l’efficienza istantanea si ha:

Gc

U

G

cU

IAQ

IAQ

⋅==η .

Nel valutare la potenza persa, introducendo il coefficiente di perdita UP, che tiene conto dello scambio termico tra collettore e l’aria che lo circonda, si ha:

( )amcPP TTAUQ −⋅⋅= . In dettaglio, è possibile vedere che le perdite di calore vengono ad aversi sia sulla faccia anteriore del pannello che su quello posteriore, allora:

bfP UUU += . Si è indicato con Uf le perdite accusate sulla parete anteriore e, allora, considerando le resistenze termiche degli elementi che separano la piastra dall’aria esterna, si ottiene:

321

1RRR

U f ++= ,

dove è ipotizzata la presenza di 2 vetri e, allora,

R1, resistenza termica piastra-vetro: 11

1

1

rc hhR

+= ,

R2, resistenza termica vetro-vetro: 22

2

1

rc hhR

+= ,

R3, resistenza termica vetro-ambiente esterno: 33

3

1

rc hhR

+= ,

con

( ) ( )[ ]

( )( ) ( )( )( ) ( )

( )( )���

���

++=

−++=

−+++=

+=

∆⋅⋅+⋅=

−−

22223

22

21212

1121

211

3

3/12,12,1

12

1

8,37,5

017,0060,0

avavvr

vvvvvr

vpvpvpr

c

Grc

TTTTh

TTTTh

TTTTh

Vh

LNSKh

σεεσ

εεσ

nomenclatura: K, conducibilità dell’aria compresa tra le due superficie, S, inclinazione in gradi sull’orizzontale del collettore, NGr, numero di Grashoff, ∆L, distanza tra le due superfici, V, velocità dell’aria esterna in m/s, σ, splendore energetico del corpo nero, Tp, temperatura della piastra, Tv1, Tv2, temperature corrispettive del primo e secondo vetro,

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Ta, temperatura dell’aria esterna, εp, coefficiente di emissione della piastra, εv, coefficiente di emissione del vetro. Per quanto riguarda, invece, Ub, analogamente si esprime:

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1RR

Ub += ,

dove si indica allo stesso modo con

R4, resistenza termica piastra-superficie isolante posteriore: is

is

Ks

R =4 (sis spessore dello strato

di materiale isolante e Kis la sua conducibilità), R5, resistenza termica isolante-ambiente esterno, trascurabile rispetto al primo termine appena descritto. Allora:

is

isb s

KU =

Da queste relazioni, quindi, si può ricavare definitivamente il coefficiente di perdita e, conseguentemente, la potenza persa, così da poter applicare anche il metodo indiretto sempre per la determinazione del rendimento del collettore.

Sistemi solari termici Un sistema solare termico è costituito essenzialmente da 4 elementi: • il collettore solare; • il circuito solare; • il serbatoio d’accumulo; • il sistema di controllo e regolazione. Collettore solare Di collettori solari, normalmente, se ne usano in un impianto più di uno per assolvere la funzione captante dei raggi solari. Essi, in ambito residenziale, possono essere integrati o posati più semplicemente sulla copertura del tetto, se poi sono disponibili terrazze o giardini, vengono installati tramite opportuni tralicci. Le tipologie principali a livello commerciale di pannelli solari per uso residenziale sono quattro: collettori piani, collettori a tubi sottovuoto, collettori scoperti e collettori ad aria. Collettori piani: questi pannelli sono quelli con la struttura più tradizionale e classica, e sono tra i più diffusi in commercio negli ultimi venti anni di produzione. Seppur sono migliorati profondamente dal punto di vista dell’efficienza e del tempo utile di vita, tali collettori hanno, solitamente, sempre presenti alcuni elementi base. Essi sono, sostanzialmente, una superficie trasparente, di vetro temprato o materiale polimerico, un fascio di tubi fissati su di una piastra assorbente di colore scuro, una struttura portante, costituita da una cornice di acciaio o alluminio anodizzato più un fondo piano retrostante in lamiera zincata o vetroresina, e da uno strato isolante di lana di roccia o

Fig. 25 – Collettore solare piano; [37]

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poliuretano, per la coibentazione. All’interno dei tubi scorre, come detto, il fluido termovettore, di solito una miscela di acqua e glicole (antigelo utile nei periodi particolarmente freddi e con il vantaggio ulteriore di essere capace di raggiungere in fase liquida temperature molto elevate, fino anche a 150°C). Questi collettori, dal profilo rettangolare, contengono al loro interno generalmente aria, ma possono anche essere riempiti con gas nobili per migliorare le prestazioni. Le dimensioni variano moltissimo e

vanno da 1,5m2 a modulo fino a 8m2 e la tendenza dei produttori è quella di rendere disponibili sul mercato moduli di taglia sempre maggiore. Questo comporta vantaggi come quello di ridurre il numero di giunzioni tra più moduli e quello di minimizzare il rapporto superficie/volume per limitare al massimo le perdite di calore. Di contro, però, questo significa strutture adeguatamente più robuste e stabili. È importante sottolineare che il cuore del collettore è proprio la piastra assorbente. Essa può avere differenti geometrie e strutture, i materiali più usati sono, solitamente, rame o alluminio (più raramente nei casi di temperature particolarmente basse si opta verso materiali plastici come EPDM, polipropilene o polietilene) ed è collegata solidamente ai tubi in cui il fluido scorre. Poiché si è visto che questo elemento assorbe la radiazione solare a bassa lunghezza d’onda ed emette calore ad elevata lunghezza d’onda, si può esprimere come coefficiente di emissione (ε) il rapporto tra il calore emesso e l’energia assorbita. Proprio allo scopo di contenere nel modo più efficace tale parametro, si applica un rivestimento superficiale

Fig. 26 – Particolare di un collettore piano; [38]

Fig. 27 - Caratteristiche ottiche di rivestimenti selettivi assorbenti; [38]

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selettivo, capace di massimizzare la conversione dell’irraggiamento in calore e di trattenerlo. Tali rivestimenti sono caratterizzati dall’avere un elevato coefficiente di assorbimento nell’intervallo dello spettro solare che va dagli 0,3µm ai 2,5µm, mentre un basso coefficiente di emissione tra i 2,5µm e i 50µm. Questo rimedio permette di raggiungere un livello di assorbimento fino al 90% e prevede che la superficie dell’assorbitore di calore venga sottoposta ad uno specifico trattamento a creare un rivestimento selettivo all’infrarosso. Una tecnica spesso usata è quella del cromo nero su un substrato di nichel applicato alla piastra generalmente di rame. L’applicazione galvanica di tali rivestimenti selettivi ha dato luogo ad assorbitori di buone prestazioni e di lunga durata alla pari di quella del modulo intero. Un’altra tipologia spesso usata è anche quella dell’ossido d’alluminio con pigmenti di nichel adatto ad applicazioni esclusivamente su alluminio. In questo caso, però, bisogna prestare particolare attenzione ad eventuali formazioni di condensa interna o di eventuale penetrazione d’umidità alla quale questo rivestimento è particolarmente sensibile[38]. Passando alla copertura trasparente, questa serve, come visto inizialmente, a favorire la penetrazione dei raggi solari, che vanno ad incidere sulla piastra assorbente. Il numero di tali lastre da inserire in successione dipende dalla natura e velocità del fluido termovettore e dalla

temperatura dell’aria esterna. Infatti, se il fluido circola a bassa velocità, la piastra assorbente tenderà a riscaldarsi di più e, allora, sarà necessario un numero maggiore di lastre allo scopo di trattenere tutto il calore intercettato. Se, invece, la temperatura esterna è particolarmente bassa, per limitare il più possibile il ∆t tra le due facce della lastra più esterna, anche in questo caso si tenderà ad aumentare il numero di queste ultime. Questo tipo di accorgimento, comunque, è limitato dal fatto che più elevato è il numero di lastre presenti e più elementi vengono ad interporsi tra il Sole e la piastra assorbente, così da ridurre la radiazione realmente captata. L’uso di due vetri è già sufficiente a dimezzare il valore del coefficiente di perdita Up che si avrebbe nel caso di vetro singolo. Un interessante prototipo ideato dalla casa tedesca Solar-Energie-Technik (SET), apparentemente simile ai modelli standard, si differenzia, invece, proprio nella copertura esterna. Infatti, la copertura trasparente ha il doppio dello spessore, perché è composta di due lastre di vetro e, interposto tra esse, vi è uno strato di capillari di vetro. Essi, ortogonali alle lastre, sono lunghi 100mm, hanno un diametro di 7mm

Fig. 28 - Caratteristiche della trasmissione spettrale di alcune tipologie di coperture; [38]

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e sono densamente distribuiti. Con questo tipo di pannello si sono registrati valori per il coefficiente di assorbimento pari a 96,0=α e per il coefficiente di emissione pari a 12,0=ε

39. In tutti i casi, l’involucro intero, cornice e cassa, oltre ad avere una funzione protettiva dalle eventuali condizioni climatiche avverse esterne, ha l’importante ruolo di isolare

completamente termicamente l’ambiente interno ad esso. Ciò è garantito attraverso la protezione dalle correnti d’aria e dai venti, che comporterebbero perdite per convezione, e la limitazione massima delle perdite per conduzione, attraverso l’inserimento di materiali isolanti sul perimetro laterale e posteriore, come schiume poliuretaniche o fibre minerali quali lana di roccia e fibra di vetro. I materiali più spesso usati per la cassa del pannello sono, come già anticipato, alluminio (leggero e quindi disponibile per le taglie più svariate), acciai legati e acciai zincati (piuttosto pesanti) e anche, specialmente per la versatilità nell’integrazione edile, materie plastiche e legno[40].

I collettori piani sono, sicuramente, tra i modelli più collaudati in commercio e questo permette loro di garantire un ottimo rapporto qualità/prezzo. Collettori a tubi sottovuoto: per incrementare l’efficienza dei moduli, si è pensato di praticare il vuoto tra l’assorbitore e la copertura trasparente. Questa soluzione, non facilmente adottabile nei collettori piani per problemi di fragilità e tenuta stagna, ha dato luogo ad

un’altra categoria di moduli a tubi sottovuoto. Il singolo modulo è composto di più tubi paralleli tra loro (spesso circa 6÷9 tubi), i quali rappresentano evidentemente l’unità base di funzionamento dell’intero sistema. Le elevate prestazioni di tali collettori sono dovute al fatto che, in fase d’assemblaggio, l’aria viene aspirata dall’involucro tubolare trasparente a tenuta. L’assenza d’aria riduce

Fig. 29 - Dettaglio della sezione del prototipo della Solar-Energie-Technik; [39]

Fig. 30 – Sezione di un tubo sottovuoto; [39]

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drasticamente le dispersioni di calore verso l’esterno di tipo convettivo e conduttivo. Ciascun tubo prevede al suo interno una lamina di materiale selettivo e, posteriormente a questa, vi sono i tubi in cui viene fatto scorrere un fluido a bassa temperatura d’ebollizione (pentano ma eventualmente anche acqua), che raccoglie il calore per mezzo di un cambiamento di fase per poi cederlo, attraverso uno scambiatore in cima al modulo, ai fini delle varie funzioni. Con

questa tecnica ad alta efficienza si possono raggiungere temperature anche piuttosto elevate tra i 75÷150°C. Un’altra alternativa è anche quella di unire le estremità di un tubo esterno, trasparente, e un tubo interno, assorbitore e quindi ricoperto di uno strato altamente selettivo, ed estrarre l’aria dall’intercapedine formata. Questa soluzione permette di sfruttare al meglio la componente d’irraggiamento diffusa oltre che a quella diretta e, in aggiunta, la struttura circolare in questo caso dell’assorbitore permette d’intercettare, per gran parte della giornata, i raggi solari perpendicolarmente. Si può ritenere utile, poi, aggiungere, sul fondo della cassa del modulo, uno strato riflettente di alluminio anodizzato allo scopo di rinviare e focalizzare sui tubi la restante parte dei raggi solari captati. Questa categoria di collettori ad alta efficienza, capaci di raggiungere più elevate temperature, è comunque anche più costosa, ma ben utilizzabile tutto l’arco dell’anno, idonea anche all’impiego in zone ad

Fig. 31 – Collettore a tubi sottovuoto; [41]

Fig. 32 – Collettore scoperto; [41]

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insolazione medio bassa e con condizioni climatiche rigide e per integrazione con l’impianto di riscaldamento. Collettori scoperti: sono costituiti sempre da una serie di tubi di plastica, colorati di nero, ma si distinguono per essere privi della copertura trasparente superiore. Sono generalmente sistemi molto semplici dove l’acqua riscaldata viene direttamente usata. Per funzionare adeguatamente hanno bisogno di temperature esterno non inferiori ai 20°C e, allo stesso tempo, non consentono di raggiungere temperature dell’acqua particolarmente elevate, non essendo neanche isolati termicamente. È per questo motivo che trovano la loro giusta applicazione là dove sono utilizzati esclusivamente nel periodo estivo, come per il riscaldamento delle piscine, installazioni in stabilimenti balneari, campeggi e seconde case ad uso stagionale. I materiali usati per costruire tali pannelli sono solitamente PVC, neoprene o polipropilene. Con i primi due si possono raggiungere pressioni massime di 1atm, mentre con il polipropilene è possibile spingersi fino a 6atm, dando adito ad applicazioni più impegnative. La loro semplicità, evidentemente, va a discapito della loro efficienza, ma il loro uso essenzialmente stagionale è permesso dai costi d’installazione particolarmente basso42. Collettori ad aria: differiscono in quanto il fluido termovettore primario non è un liquido ma semplicemente aria. A causa delle diverse caratteristiche di tale fluido, questi pannelli vengono utilizzati più spesso per il riscaldamento degli edifici. Questa soluzione prevede l’uso di pannelli piani, dove l’aria scorre non più in tubi, ma circola più semplicemente tra vetro e assorbitore oppure tra quest’ultimo e il fondo del collettore. La scelta è spesso condizionata dalle condizioni climatiche tipiche dell’area d’installazione, per questo si preferisce indirizzare il flusso d’aria tra la piastra assorbente e il fondo isolato termicamente, nel caso di predominanza di temperature rigide nell’arco dell’anno. Nel caso, comunque, che il fluido non venga riscaldato più di 17°C oltre la temperatura esterna, la scelta tecnica risulta assolutamente libera[41]. L’assorbitore, inoltre, è alettato in modo da rendere lento e tortuoso il percorso da compiere da parte del flusso d’aria, questo per permettere ad essa una più lunga permanenza all’interno del pannello e far sì che assorba la maggior quantità di calore possibile. In questo modo si supera il problema della minore capacità dell’aria nello scambio di calore rispetto ai liquidi. Questi collettori possono essere affiancati nel loro funzionamento a quelli già analizzati nel paragrafo riguardante i sistemi solari passivi, applicabili come normale rivestimento delle pareti di tamponamento negli edifici e dove l’aria circola, come visto, nell’intercapedine. Infine, i collettori ad aria hanno il vantaggio di non subire i problemi arrecati dal rischio di gelate o ebollizione del fluido vettore cui, invece, sono soggetti più facilmente i liquidi.

Circuito solare Il circuito solare consiste in un normale circuito idraulico costituito da tubazioni, eventualmente una pompa di circolazione, valvole di regolazione e un vaso d’espansione, al

Fig. 33 – Collettore ad aria; [41]

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fine di contenere la dilatazione del fluido termovettore quando s’innalza la temperatura d’esercizio. Per minimizzare il più possibile le perdite di calore è opportuno che la distanza tra il collettore e il serbatoio sia la più breve possibile. Le tubazioni sono solitamente in rame accuratamente coibentate, particolarmente quelle che passano all’esterno dell’edificio, con materiali resistenti alle intemperie e ai raggi UV [40]. I circuiti solari possono distinguersi in due categorie: “open loop”, sistema che prevede l’uso della stessa acqua dell’impianto domestico per uso sanitario, che circola prima all’interno del collettore per riscaldarsi e poi finisce direttamente all’utente, e “closed loop”, sistema che presume l’uso di due circuiti separati. Abbiamo quello primario, proprio del pannello, dove scorre una miscela di acqua e antigelo, che raccoglie il calore del Sole, e il circuito secondario, collegato all’impianto idraulico della casa, al fine di utilizzare l’acqua calda prodotta per i servizi domestici. Questa seconda soluzione, più comune perché più efficace in ambito residenziale, prevede quindi uno scambio termico tra i due circuiti. In questo modo si ottimizzano le proprietà necessarie per ogni fase di funzionamento dell’intero sistema termico, in particolare, è possibile usare come detto una soluzione antigelo nel circuito primario così da prevenire il rischio di gelate e conseguenti avarie nel collettore. Oltre, però, essere un poco più costosi tali sistemi, è importante anche una buona manutenzione che prevede controlli annuali e il cambio della miscela ogni 3÷10 anni, secondo la qualità del glicole usato e la temperatura del normale esercizio. È, inoltre, importante assicurare una sicura separazione tra i due circuiti per evitare una qualsiasi forma d’inquinamento dell’acqua sanitaria37.

Serbatoio d’accumulo Il sistema solare termico comprende, poi, un serbatoio termicamente isolato, allo scopo di accumulare a lungo termine l’acqua calda prodotta. Se il sistema è destinato esclusivamente alla produzione d’acqua calda sanitaria, la capacità deve essere circa 1,5÷2 volte il consumo giornaliero, tenuto conto che una persona richiede al dì circa 50÷60 litriW13. La superficie interna è

Fig. 34 – Schema di circuito solare chiuso; [37]

Fig. 35 - Sezione dell’accumulatore solare Conus 502 della Consolar; [43]

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generalmente fatta d’acciaio smaltato o acciaio inossidabile (più durevole, ma anche più costoso), mentre lo strato coibentante, spesso di materiale plastico, deve raggiungere almeno i 10cm di spessore. Tale contenitore, nel caso sia prevista una struttura “closed loop”, prevede al suo interno uno scambiatore di calore, nel quale circola il liquido caldo del circuito primario, che riscalda l’acqua contenuta nel serbatoio stesso. Quest’ultimo, allora, contiene solitamente due “serpentine” ad alta efficienza in rame, una nella parte bassa fa parte, come detto, del circuito solare, l’altra nella parte alta è collegata ad un sistema di riscaldamento ausiliario termico o elettrico (in questo caso è prevista una resistenza), il quale interviene tutte le volte che il soleggiamento è insufficiente o nel caso di avarie del sistema energetico solare. La disposizione verticale di tale accumulatore consente l’ottenimento di un’utile stratificazione termica, cosicché l’acqua calda venga a trovarsi sempre nella parte più alta del serbatoio, dove poi avviene il prelievo[43]. Inoltre, si può dire, che è importante stabilire un’abbondante capacità di accumulo, per garantire il giusto risparmio energetico, giacché di solito il maggiore uso d’acqua calda coincide con i periodi di assenza del Sole. È, allora, bene poter disporre di una riserva soddisfacente per tutte le varie funzioni domestiche, per le quali l'acqua calda prodotta è stata prevista nel progetto iniziale. Infine, bisogna ricordare che esistono i collettori con serbatoio integrato, nei quali l’assorbitore e il serbatoio coincidono in un’unica struttura dove l’acqua accumulata viene direttamente scaldata dai raggi solari. Comodi perché compatti ed economici, questi pannelli hanno però un rendimento piuttosto basso[42]. Sistema di controllo e regolazione Tale sistema ha il compito di governare completamente e in modo efficace il funzionamento dell’impianto. Esso prevede una centralina elettronica che comanda l’avvio e lo spegnimento della pompa di circolazione, se prevista, e in ogni caso tutto il sistema di circolazione del fluido termovettore, in relazione ai segnali che riceve dai sensori posti nel serbatoio e nei pannelli. La centralina, infatti, confronta (per mezzo di un termostato differenziale) la temperatura dell’acqua nel serbatoio con quella del fluido nei pannelli, se quest’ultima è superiore alla prima di circa 5÷8°C, il sistema di controllo innesca la circolazione, così da immagazzinare l’energia termica utile. Quando, invece, la differenza di temperatura si riduce a meno di 2÷3°C, il sistema di circolazione si blocca attraverso l’inserimento di una valvola di non ritorno a monte dei collettori. Fig. 37 – Tipologia di impianto a circolazione naturale;

[37]

Fig. 36 - Spaccato di un sistema combinato collettore – serbatoio; [W14]

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Tipologie impiantistiche Il collettore solare, qualunque tipo esso sia, deve sempre essere concepito come un elemento facente parte di un più complesso organismo, che è l’impianto, in cui deve lavorare. Anche il migliore dei pannelli solari non potrà mai rendere al massimo se inserito in un sistema poco efficiente. Innanzi tutto, gli impianti solari termici possono essere distinti in due grandi categorie: a circolazione naturale e a circolazione forzata. I primi sono abbastanza semplici e necessitano, per un corretto funzionamento, che il serbatoio d’accumulo sia posizionato più in alto dei pannelli captanti e a breve distanza da questi, visto che la potenza del flusso è di solito bassa. Esistono, per questo motivo, sistemi monoblocco, dove l’accumulatore è posizionato all’esterno con il collettore, immediatamente sopra ad esso. Il funzionamento si basa sul concetto che il fluido vettore, una volta riscaldato dai raggi del Sole, diminuisce di densità, diventa più leggero e tende conseguentemente a salire verso l’alto, rispetto a quello che si trova nello scambiatore a contatto con l’acqua d’accumulo più fredda. Ovviamente, nel momento in cui l’irraggiamento si fa più debole, il fluido nel collettore diventa più pesante di quello transitante nel serbatoio e il ciclo si ferma, impedendo la dispersione dell’energia termica ormai raccolta. I lati positivi di questa tipologia impiantistica sono che, essendo privi di gruppo pompa e di centralina di controllo, si risparmia sulle spese d’investimento, d’esercizio e di manutenzione. A svantaggio di ciò c’è, però, da dire che, oltre al vincolo della scelta della disposizione del serbatoio, si aggiunge un rendimento dell’impianto leggermente inferiore, dato da una circolazione che spesso risulta non ottimale andando conseguentemente ad influire sulla qualità dello scambio termicoW13. Gli impianti a circolazione forzata sono dotati, invece, di una pompa che spinge il fluido termovettore nel suo percorso. Questa tipologia di impianti ha, prima di tutto, una più comoda e spesso estetica installazione, giacché non si è vincolati nel posizionamento del serbatoio, problema non trascurabile visto che ciò significa poter evitare di ospitare il pesante contenitore di circa 300÷500Kg sul tetto o nel sottotetto. Inoltre, la circolazione più rapida e fluida permette di stabilire un’efficienza d’impianto superiore, a discapito, però, di costi d’installazione più elevati e ad un’evidente necessità, seppur minima, di energia elettrica per il funzionamento. Le modalità impiantistiche sono davvero molteplici e variano soprattutto secondo l’applicazione alla quale sono destinate. L’impiego più comune, in assoluto nell’ambito residenziale, per questa tecnologia solare è quello della produzione d’acqua calda sanitaria. Impianti, invece, più complessi possono essere anche destinati con un certo successo per l’impiego combinato per la produzione d’acqua calda sanitaria e per il riscaldamento domestico. Di particolare interesse, poi, risulta essere tale applicazione per il riscaldamento dell’acqua delle piscine. Riscaldamento acqua calda sanitaria Le odierne tecnologie solari termiche permettono abbastanza facilmente di produrre acqua calda sufficiente a coprire circa l’80÷95% del fabbisogno familiare, secondo la zona climatica

Fig. 38 – Schema di impianto a circolazione forzata; [44]

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in cui ci si trova. Si può rilevare come tale fabbisogno quasi non varia a livello stagionale, rimanendo pressoché costante durante tutto l’arco dell’annoW13. Comunemente, la frazione di domanda energetica, destinata ogni anno a tale applicazione, è davvero rilevante sulla spesa energetica di ciascuna famiglia, è evidente, allora, come il Sole possa portare un enorme risparmio. Gli schemi più comuni previsti per la produzione d’acqua calda comprendono sia la possibilità di circolazione naturale che di quella forzata. I primi sono consigliati nel caso di piccolo nucleo familiare (2÷3 persone al Nord, 3÷4 persone nelle aree più mediterranee), mentre i secondi sono validi per impianti più grandi o dove si vuole essere liberi dai suddetti vincoli per la disposizione del serbatoio. L’impianto deve, nella maggior parte dei casi, sempre prevedere l’integrazione del sistema solare da parte di impianto ausiliario tradizionale, che può trattarsi di una caldaia, una pompa di calore o una resistenza elettrica. Si tenga presente che questi impianti solari riescono a produrre quasi il 100% della domanda d’acqua calda nel periodo che va da Aprile ad Ottobre e, quindi, per tutto questo periodo la caldaia o qualsivoglia impianto integrante può rimanere praticamente spento. Quest’ultimo può trovarsi sia in serie che in parallelo rispetto al sistema solare. Una soluzione che può essere intesa ottimale è l’integrazione per mezzo di una tradizionale caldaia murale a gas. Con una valvola deviatrice a tre vie, è possibile, nel periodo estivo, sfruttare quasi esclusivamente l’impianto solare, mentre in inverno si fa passare l’acqua, proveniente dai pannelli solari, nella caldaia. Questa funziona, quindi, unicamente quando l’insolazione non è sufficiente, ma in questi casi lavorerà comunque in minor misura, infatti, il circuito solare fornirà sempre un certo preriscaldamento dell’acqua stessa. Anche nelle giornate coperte, attraverso la componente diffusa dell’irraggiamento, la radiazione permetterà un riscaldamento, seppur minimo, del fluido termovettore, cosicché l’acqua che giunge nella caldaia abbia una temperatura superiore a quella proveniente direttamente dall’acquedotto. Installazione: in genere si preferiscono le applicazioni sui tetti piani, terrazze e giardini, per la loro facile accessibilità e per la possibilità di un posizionamento e un orientamento dei collettori ottimale. Nelle applicazioni residenziali, si dovrà studiare attentamente la geometria solare che determina le zone più soleggiate e quelle ombreggiate durante l’arco dell’anno, così da poter stabilire la migliore collocazione dei pannelli solari. L’esigenza della migliore esposizione e conseguentemente del più alto rendimento dell’impianto deve trovare il giusto compromesso con l’accessibilità, la semplicità d’ancoraggio dei collettori al fine di determinare la soluzione globale più conveniente. La captazione ideale si ottiene con un orientamento a Sud, con una tolleranza, comunque, piuttosto ampia di un massimo di

°÷± 3025 sull’orizzontale. L’inclinazione ottimale sulla verticale è di circa 35÷40°, ricordando però che nei funzionamenti annuali i collettori devono avere inclinazione pari alla latitudine del luogo, la quale aumenta o diminuisce secondo che si voglia favorire l’irraggiamento nei periodi rispettivamente invernali o estivi (si può passare dai 25° negli usi prevalentemente estivi ai 60° invernali quando il Sole rimane più basso. Utile accorgimento è, infine, la presenza di ostacoli che frenino l’intensità dei venti dominanti, ovviamente stando attenti che ciò non provochi ombre sui pannelli stessi. Dimensionamento: per dimensionare correttamente un impianto ad energia solare è assolutamente necessaria un’adeguata conoscenza del clima caratteristico di tale area. In un secondo momento, si deve individuare il fabbisogno medio giornaliero d’acqua calda da dover coprire con tale impianto. È importante, quindi, conoscere il numero degli utenti e, in termini del tutto generali, si può ritenere valido un consumo mai inferiore ai 30÷50litri/giorno per persona. È opportuno, in tale fase, tener conto di una disponibilità in eccesso in modo da preservarsi in caso di prolungata assenza del Sole. Se si tiene conto, poi, dei consumi di elettrodomestici come lavatrice e lavastoviglie, si può valutare il consumo medio di una famiglia pari a circa 300litri al giorno.

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I serbatoi vanno dimensionati generalmente per contenere almeno 50÷80litri/m2 di collettori installati. In particolare, se il funzionamento è destinato all’intero arco dell’anno, allora l’accumulo previsto deve ipotizzare almeno due o tre giorni d’autonomia, il che vuol dire circa 70÷120litri a persona. Si ricordi, infatti, che oltretutto con 100litri di acqua a 60°C si ottengono, tramite miscelazione, circa 200litri a 35÷38°C, vale a dire la temperatura normale d’impiego dell’acqua calda sanitariaW13. Alcune regole generali e approssimative per un primo dimensionamento di massima possono essere schematizzate come segue:

Zona climatica Superficie collettori

[ ]personam 2 Inclinazione collettori

[ ]gradi Milano 1÷1,2 45÷50 Roma 0,7÷0,8 41÷45

Palermo 0,6÷0,65 38÷40 Tab. 8 - Caratteristiche principali per dimensionamento e installazione dei collettori solari; [W14]

Tipologie impiantistiche per condomini[42]: i sistemi condominiali, se ben progettati, possono davvero offrire eccellenti benefici tecnici ed economici. Esistono numerose ragioni per cui si ritiene assolutamente svantaggioso e negativo, sotto ogni aspetto sia funzionale che economico, l’installazione di impianti monoblocco monofamiliari da collocare sui terrazzi dei condomini. Questo, invece, spesso accade perché le imprese costruttrici tendono ad accontentare in modo semplicistico le richieste dei committenti. Questi ultimi vogliono poter prendere le proprie decisioni autonomamente, senza dipendere nelle scelte dagli altri condomini e potere, e dovere, intervenire solo sul proprio impianto quando lo ritiene opportuno. Queste preoccupazioni sono immotivate perché l’esperienza dimostra che i pannelli solari, anche se sono garantiti normalmente per una vita utile di 15÷20 anni, possono arrivare a lavorare fino a 40÷50 anni. Inoltre, l’energia solare è totalmente gratuita e quindi l’utente non subisce nessuna perdita nel cedere parte della sua acqua calda, accumulata in eccesso perché superiore ai suoi bisogni del momento, quando non gli serve o quando è assente. Una configurazione più adatta ad un condominio risulta essere, allora, tale che ogni utente possieda un boiler solare di circa 120÷150litri, il quale è collegato e alimentato a due soli collettori di adeguata dimensione, collegati a loro volta all’intero parco solare, dislocato sul tetto. La superficie dei pannelli non deve essere inferiore ai 2m2 per famiglia, ipoteticamente costituita mediamente da quattro membri. Ciascun serbatoio d’accumulo è, quindi, dotato di una centralina elettronica, la quale misura continuamente la temperatura dello stesso e quella dei pannelli solari. Appena i pannelli vengono irradiati, sufficientemente da verificare una

Fig. 39 – Tipologia di impianto solare per condominio; [42]

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differenza di temperatura prestabilita rispetto all’acqua contenuta nell’accumulatore, la centralina apre l’elettrovalvola per far sì che l’energia del parco solare venga indirizzata da una pompa a quel singolo boiler. Poiché è molto improbabile che nel condominio vi sia la totale contemporaneità della domanda di tutti gli utenti, normalmente si determinerà un esubero di superficie captante, a beneficio dei singoli condomini presenti. Rimane, in ogni modo, precauzionale la presenza di una caldaia a gas integrante. Una seconda tipologia, efficiente per le esigenze di un condominio, è quella che vede un impianto dimensionato in funzione del numero totale dei condomini utenti. Vi sarà, allora, un parco solare e un boiler comune a tutti, quest’ultimo sistemato eventualmente nella centrale termica. Questa configurazione comporta diversi vantaggi: come prima osservazione, la conservazione del calore è facilitata dal fatto che in questo caso il serbatoio è più capiente e ha un rapporto superficie/volume minore, così da limitare le dispersioni termiche. Anche i costi d’installazione della distribuzione idrica sono notevolmente ridotti, poiché è previsto un unico tubo di alimentazione dell’acqua fredda ed uno solo di distribuzione dell’acqua calda. Si raggiunge, quindi, un livello di funzionalità ed economia piuttosto elevato. Sono previsti, infine, speciali contatori di sottrazione, per ogni singola abitazione che permettono la contabilizzazione dei consumi famigliari.

Riscaldamento domestico Nell’edilizia residenziale spesso, quando si opta per l’installazione di un impianto solare termico, si sceglie di non limitare l’applicazione al solo riscaldamento dell’acqua sanitaria, ma di cimentarsi in un impianto più grande e, se si vuole, anche più complesso, ma che permetta allo stesso tempo di riscaldare con esso gli ambienti domestici. È bene sottolineare fin dall’inizio che questo impianti lavorano in condizioni critiche, avendo la massima richiesta di calore proprio nei periodi di minore soleggiamento. Sono necessari, allora, superfici captanti di notevoli dimensioni e serbatoi d’accumulo di elevata capacità. Con le tecnologie attuali si riesce ad ottenere al massimo una copertura di circa il 60% del riscaldamento dei locali abitativi. Per conseguire, però, tale risultato sono necessarie alcune condizioni. Innanzi tutto, bisogna essere equipaggiati di un impianto di riscaldamento a bassa temperatura, che funzioni con pannelli radianti sotto il pavimento o eventualmente a parete, che utilizzino acqua calda a temperatura non superiore ai 40°C, massimo 50°C. Ciò rimane perfettamente compatibile con le disponibilità fornite dai collettori solari nella stagione invernale, lo stesso, invece, non sarebbe possibile, se utilizzassimo i tradizionali caloriferi che necessitano di acqua a temperature di circa 70÷80°C. Tale impianto di riscaldamento potrà essere proficuamente alimentato per mezzo di un buon numero di pannelli solari, quasi esclusivamente del tipo sottovuoto, in modo da sfruttare il loro alto rendimento nei periodi invernali. Si ha bisogno di circa 9m2 di superficie captante

Fig. 40 – Tipologia di impianto solare per condominio; [42]

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per 150m2 di superficie abitata; si deve installare, poi, uno o più serbatoi per una capacità totale di 1.500÷2.000litri. Infine, è di fondamentale importanza che gli edifici siano costruiti con una moderna concezione nel contenimento delle dispersioni termiche e, quindi, che sia adeguatamente isolata termicamente per agevolare il più possibile il compito del sistema solareW13. Un accorgimento utile per ottimizzare l’efficienza dell’intero impianto è quello di disporre il serbatoio dell’acqua sanitaria, più piccolo, all’interno di quello per l’acqua calda destinata al riscaldamento, ben più grosso. Dimensionamento: nel caso della progettazione di un impianto destinato anche al riscaldamento dell’edificio, è necessaria la conoscenza di un numero maggiore di parametri ulteriori. Prima di tutto si deve valutare la dimensione della casa e in particolare il volume da riscaldare, l’isolamento termico presente, il numero dei corpi riscaldanti e la tipologia di questi ultimi. Una soluzione alternativa, nell'ambito del riscaldamento residenziale, è costituita dagli impianti solari ad aria abbinati, evidentemente, ai collettori ad aria. In tali sistemi, sono previsti accumulatori a letto di pietre con grandi superfici di scambio. La loro convenienza va valutata caso per caso, tenendo presenti svantaggi quali una maggiore richiesta di potenza dei ventilatori, necessari al trasporto del fluido vettore, e condotti nettamente più ingombranti.

Riscaldamento piscine I collettori solari scoperti o integrati sono certamente i più adatti ad uso prettamente estivo e, quindi, anche per il riscaldamento dell’acqua delle piscine. I collettori di materiale sintetico nero lavorano all’interno di un impianto piuttosto semplice, con un unico circuito in cui passa la stessa acqua della piscina. Questo fa sì che tali apparati costino meno, anche se richiedono superfici piuttosto ampie perché poco efficienti e, inoltre, devono essere svuotati in inverno per evitare rischi di congelamento dell’acqua nei tubi. Il basso investimento finanziario permette, però, di essere ripagato rapidamente anche in un solo anno e mezzo.

Integrazione in ambito residenziale L’integrazione dei pannelli solari, sugli involucri degli edifici in ambito residenziale, è diventato un importante obiettivo delle aziende produttrici, per favorire un sicuro conseguente stimolo ad una più ampia diffusione di questa utile ed efficiente tecnologia solare. Una volta individuata sull’edificio la giusta area d’installazione, i collettori non hanno particolari esigenze e possono davvero adattarsi bene a qualsiasi superficie. Sui tetti a falda spiovente, ovviamente, bisogna più o meno accontentarsi dell’inclinazione predefinita dalla collocazione stessa, più liberi, invece, si può essere sui tetti piani, le terrazze e i giardini. Questi ultimi permettono di seguire l’orientamento e l’inclinazione ottimale, attraverso appositi sostegni e ancoraggi. Quando

Fig. 41 – Integrazione di collettore piano su falda inclinata; [W12]

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possibile, però, si cerca di evitare l’uso di tali strutture di supporto, costose e deteriorabili, e si cerca di utilizzare direttamente le chiusure esterne degli edifici. Questo permette sia di risparmiare sui materiali edili e sia di eliminare i costi aggiuntivi di sostegno dei collettori solari. Oggi giorno, i pannelli captanti, in passato di notevole impatto visivo, hanno forme e aspetto sempre più gradevole. Installazioni verticali sono anche possibili, ad esempio al posto dei parapetti dei balconi esposti a Sud. Un interessantissimo studio compiuto con un certo successo dal Florida Solar Energy Center, con il supporto del National Renewable Energy Laboratory (NREL), ha esplorato le performance di un sistema solare termico prototipo, totalmente integrato nel tetto

dell’edificio. Quest’impianto, denominato Roof-Integrated Solar Absorber (RISA), realisticamente, risulta del tutto indistinguibile ed inserito in una normale comune copertura. Esso viene installato come successivi strati: esternamente tegole di materiale bituminoso, che si surriscaldano e lasciano penetrare il calore dei raggi solari, di seguito un substrato di legno compensato di sostegno, che funge anche da strato assorbente, con una lamina d’alluminio incollata immediatamente sulla faccia inferiore, per facilitare la trasmissione del calore. Sottostante vi sono, quindi, le tubazioni, in cui fluisce il fluido termovettore, in materiale plastico (PEX-AL-PEX), il

tutto, infine, chiuso da uno strato coibentante, che isola termicamente gli ambienti abitativi, posti sotto, dall’impianto solare. Il sistema ha un’efficienza piuttosto bassa, con un valore medio annuale della conversione solare che può arrivare fino al 18%. Efficienze superiori si possono ottenere con un altro prototipo sperimentato, che prevede una copertura metallica, sempre sopra uno strato di legno compensato, ma dove i tubi si trovano in questo caso nell’intercapedine formata dai suddetti piani. Con questa tipologia impiantistica si possono

raggiungere rendimenti doppi rispetto a quelli

documentati precedentemente, anche se, in questo caso, si risente decisamente dell’azione dei venti e delle brezze, aumentando notevolmente le perdite di calore verso l’esterno. Entrambi i sistemi sono ancora lontani dalle performance dei collettori standard vetrati, ma hanno il grandissimo

vantaggio di essere totalmente “invisibili” e di non alterare minimamente l’aspetto estetico dell’edificio45.

Fig. 42 - [45]

Fig. 43 - [45]

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Costi e mercato del “solare termico” in ambito residenziale Le considerazioni tecnico-energetiche che sono state proposte riguardo alla tecnologia solare termica, insieme alle ormai note considerazioni ambientali, non sarebbero mai sufficienti a supportare investimenti commerciali se non sussistessero valide opportunità di risparmio economico che possano spingere gli utenti all’acquisto. Come già detto fin dall’inizio, il solare termico è ormai una tecnologia comprovata e matura commercialmente, che può contribuire realmente in un risparmio non trascurabile sulla bolletta energetica di ogni famiglia. Il costo al metro quadro dei collettori solari è in realtà poco indicativo per una valutazione d’investimento, poiché il vero costo deve essere correlato a più fattori quali la tipologia d’impianto installato, il suo utilizzo effettivo, il sito e il costo dell’energia utilizzata in alternativa. In generale, comunque, si può affermare che un impianto solare termico si ammortizza in pochi anni e quindi permette un risparmio per la restante vita utile, che non è mai inferiore ai 20 anni e che può ragionevolmente arrivare anche oltre i 40 anni. I costi di manutenzione annuali sono stimabili usualmente in circa il 2% del costo iniziale dell’impianto, necessari per il controllo e mantenimento di spie e centralina. Ipotizzando inizialmente un impianto solare monofamiliare (famiglia composta da 4 persone) per la produzione d’acqua calda sanitaria, comunemente si tratta di sistemi di 4m2 con serbatoio di circa 200litri, per la produzione di acqua a 55÷65°C.Tenendo conto, ora, che una persona usa circa 50litri d’acqua calda al giorno, alla temperatura di 55°C, e ipotizzando una temperatura dell’acqua proveniente dall’acquedotto di circa 15°C, si può calcolare un consumo medio giornaliero procapite pari a:

( ) [ ] [ ] [ ] kWhkcalCClkcallTTcGQ AUpp 3,2200040150 ==°⋅°⋅=−⋅⋅= , che comporta un consumo familiare annuo di oltre 3000kWh. Se tale fabbisogno venisse coperto per mezzo di uno scaldabagno elettrico, questo, ipotizzando un’efficienza di conversione del 90%, necessita di 2,6kWh elettrici al giorno per persona, per un totale, quindi, di 3700kWh. È bene ricordare che per produrre 1kWh elettrico, in una comune centrale elettrica italiana, c’è bisogno di combustibili da fonte primaria per circa 2,54kWh. Si parte, allora, da kcalkWh 57006,654,26,2 ==⋅ per ottenere 2000kcal, cioè solo il 35% dell’energia primaria viene effettivamente utilizzata dall’utente. Nel caso di produzione dello stesso quantitativo d’energia per mezzo di una caldaia a gas, con un rendimento minimo assicurato dell’80%, ci vogliono 2500kcal al giorno per persona, pari a 2,9kWh (si pensi che la sola fiamma pilota di molte caldaie consuma quasi 1m3 di metano al giorno “inutilmente”). Ciò corrisponde, nell’arco di un anno per l’intera famiglia, ad oltre 4200kWh, pari alla combustione di circa 450m3 di gas naturale (potere calorifico inferiore

33 5,98200 mkWhmkcal = ). Se ora l’impianto solare va a sostituire tali impianti tradizionali, con una copertura del fabbisogno pari all’80%, si ha: nel primo caso un risparmio economico annuale di oltre 500� (0,17�/kWh), mentre per quanto riguarda la caldaia a gas circa 180� (0,50�/m3). Tenendo conto che i costi specifici dei collettori sono molto variabili secondo la loro tipologia, è possibile in generale definire una linea guida dei prezzi che li caratterizzano. I collettori a tubi sottovuoto sono sostanzialmente i più cari, con prezzi che vanno dai 500�/m2 ai 1250�/m2, i più diffusi collettori piani vetrati si aggirano intorno ai 150÷600�/m2, infine, quelli più economici, i collettori scoperti, variano tra appena 25�/m2 fino a 100�/m2. Questo significa che, per installare un buon impianto solare monofamiliare, bisogna investire circa 2000÷2500�, ammortizzabili in intervalli di tempo, che possono andare dai 3÷4 anni ad un massimo di una decina d’anni. Questi tempi sono destinati a diminuire ricordando gli incentivi oggi presenti e di eventuali finanziamenti da parte di alcune Regioni. Per quanto riguarda gli impianti solari per il riscaldamento, questi risultano essere certamente più costosi e con tempi d’ammortamento ben più lunghi. Ad esempio, tale sistema per un appartamento di 150m2, consistente in 9m2 di pannelli a tubi sottovuoto di buona qualità e un

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serbatoio di 2000litri, può arrivare a costare 10.000�. Va sottolineato che questi impianti permettono al massimo la copertura del 60% della domanda di climatizzazione invernale. I costi, come sempre, continueranno a scendere fino a quando il mercato del solare termico continuerà ad espandersi. Negli ultimi dieci anni in Europa è cresciuto con un tasso annuo dell’11,7% (dati pubblicati dalla European Solar Thermal Industry Federation, ESTIF), raggiungendo una superficie totale in esercizio alla fine del 2002 stimata intorno ai 12,3 milioni di metri quadri[46]. Tuttavia ben l’80% delle installazioni sono concentrate in soli tre Paesi: Germania, Grecia e Austria. L’Italia, purtroppo, partendo da livelli piuttosto insufficienti, a fatica cerca di recuperare il gap, stabilendo negli ultimi 5 anni una crescita annuale del 25% (Ambiente Italia, progetto Soltherm Europe) [47]. La motivazione di tale confortante avanzamento del settore sta in un rinnovato interesse in questa tecnologia, affiancato da una maggiore diffusione dei programmi d’incentivazione. Al 2001 si stima nel nostro Paese una superficie di collettori solari in esercizio di circa 340.000m2, di cui circa 50.000m2 installati proprio nel anno medesimo. Si è valutato negli Stati membri dell’Unione Europea, un potenziale tecnico economico per il solare termico pari a 1,4 miliardi di metri quadri, capaci di generare fino a 682TWh (58,7 milioni di TEP) di energia termica in un anno. Ciò corrisponde oggi giorno a circa il 30% delle importazioni di petrolio dal Medio Oriente che i Paesi comunitari hanno compiuto nel 1999. Allo stato attuale si è raggiunto solo l’1% di tale potenzialità e, quindi, è evidente quanto ancora ci sia da fare[46]. Benefici ambientali I vantaggi ambientali, che si ottengono per mezzo dell’utilizzo di tali impianti solari termici, sono notevoli ed hanno in ogni caso una ripercussione su tutti quei costi indiretti che vanno comunque a gravare sugli utenti. L’inquinamento ambientale, infatti, comporta spese da parte dello Stato, che ogni cittadino dovrebbe tenere presente nel momento in cui dovesse decidere per un investimento in un impianto termico. Un primo indicatore di confronto tra le diverse tecnologie disponibili è sicuramente la quantità di anidride carbonica immessa nel habitat. Ricordando ora i valori precedentemente ricavati, il consumo medio giornaliero procapite, per l’acqua calda sanitaria, è pari a 2,3kWh termici, cioè a circa 2,6kWh elettrici, i quali presupporrebbero un’emissione di 1,7kg di CO2, se prodotti secondo il mix elettrico medio delle centrali termoelettriche italiane pari a 0,655kgCO2/kWhel. Per una famiglia, ciò vuol dire, in un anno, circa 2450kg di anidride carbonica non immessi più in natura, una volta che si faccia uso dell’impianto solare. Nel caso, invece, di una caldaia a metano, nella combustione si formano 0,25kgCO2 per ogni kWh termico prodotto, questo significa quindi a 22 58,03,225,0 kgCOkWhkWhkgCO =⋅ emessi in meno al giorno per ogni utente (850kgCO2 per famiglia all’anno)W15.

1.3.2. Solare fotovoltaico Il sistema fotovoltaico ha la funzione di trasformare direttamente ed istantaneamente l’energia solare in energia elettrica. Questo fenomeno fu osservato per la prima volta nel 1839, quando il fisico francese Alexandre Edmund Becquerel notò che la corrente indotta in una pila composta di due elettrodi di platino, immersi in una soluzione conduttrice di nitrato di piombo, all’interno di un contenitore di vetro, aumentava se esposta ai raggi del Sole. Questo esperimento portò al primo vero manifesto dell’effetto fotovoltaico: “Memoria sugli effetti elettrici prodotti sotto l’influenza dei raggi solari”, presentato all’Accademia delle Scienze di Parigi dallo stesso studioso in quell’anno. La vera tecnologia fotovoltaica nasce però con gli studi di Smith, Adams e Day, i quali, nel 1876, fanno nascere il primo dispositivo allo stato solido, composto da selenio e ossidi metallici. Lo sviluppo avanza con gli approfondimenti e le osservazioni d’inizio secolo scorso di Hertz e Einstein e con l'utilizzo esteso dei semiconduttori. Bisogna aspettare, però, il 1954 per avere definitivamente le prime celle fotovoltaiche, come oggi vengono intese, per uso commerciale, secondo la tecnologia del silicio.

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Principio di funzionamento La cella fotovoltaica è la parte costitutiva elementare del sistema e basa il suo funzionamento e le sue proprietà sul già menzionato effetto fotovoltaico che si produce quando i fotoni, che compongono le radiazioni solari, vanno a colpire gli atomi dei materiali semiconduttori come il silicio (secondo elemento più presente in natura dopo l’ossigeno), costituenti tipicamente le celle stesse. Questi cedono energia agli elettroni di legame, così da spezzare il loro legame elettrostatico, facendo in modo che passino al livello energetico superiore, detto banda di conduzione. In questo modo, l’elettrone viene liberato ed ha la possibilità di muoversi all’interno del materiale. Questo moto di cariche elettriche negative genera un flusso di elettricità e, contemporaneamente, esse lasciano nell’atomo un posto libero, denominato lacuna, che può essere subito occupato da elettroni di atomi adiacenti, così da dar luogo parallelamente ad un movimento di lacune stesse, le quali convenzionalmente assumono il ruolo di cariche positive. Al fine di facilitare e potenziare questo fenomeno, vengono introdotti nel semiconduttore atomi di altri elementi chimici, con un processo denominato drogaggio. Si possono introdurre due tipi di “impurezze”: quelle di tipo “n” (nel caso del silicio si tratta del fosforo), disponibili a cedere elettroni, e quelle di tipo “p” (boro sempre nel caso del silicio), disponibili a cedere lacune. La struttura della cella è, ora, schematizzabile come la sovrapposizione di due strati di materiale semiconduttore, uno di tipo “n” e l’altro di tipo “p”, attraverso i quali si dà luogo ad una giunzione p-n. Si crea pertanto un flusso elettronico dalla zona negativa alla zona positiva, così in un primo momento un certo numero di elettroni passerà dal primo al secondo lato e, viceversa, per quanto riguarda le lacune. Una volta raggiunto l’equilibrio elettrostatico,

si saranno formate due zone opposte, così da generare, ai capi del dispositivo, una differenza di potenziale e contemporaneamente la giunzione stessa agirà da vera e propria barriera di potenziale così da impedire un ulteriore flusso di cariche.

Fig. 44 – Schema di funzionamento di una cella fotovoltaica; [34]

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L’energia trasportata dai fotoni può essere valutata attraverso la formula:

( )λ

λ chE f

⋅= , [ ]J

dove: h è la costante di Planck, c la velocità della luce nel vuoto e λ la lunghezza d’onda della radiazione, cui il fotone appartiene. Non tutti i fotoni concorrono utilmente al processo di conversione energetica, infatti, solo quelli che possiedono un contenuto energetico superiore al valore minimo EG, detto Energy Gap, consentono la liberazione degli elettroni e delle corrispondenti lacune, che quando rientrano nell’influenza del campo elettrico, vengono spinti in direzioni opposte. La lamina al fosforo, ora carica positivamente, sarà capace di attirare gli eventuali elettroni generati dai fotoni incidenti la giunzione, mentre la lamina al boro attirerà le corrispondenti lacune. È

questo il processo che dà vita al flusso elettronico che, in caso di connessione della cella ad un circuito elettrico esterno, si traduce in corrente elettrica continua. Caratteristiche tecniche Una stima approssimata delle proprietà elettriche e tecniche, che si possono ricavare attraverso la tecnologia fotovoltaica, si può effettuare dopo aver premesso che, in una giornata serena, sono circa 4,4⋅1017 i fotoni che colpiscono 1cm2 di superficie terrestre ogni secondo. Come già menzionato, solo quelli appartenenti ad una radiazione solare con una lunghezza d’onda al di sotto di un valore massimo possono produrre effetto fotovoltaico e, per esempio, per il silicio questo valore si calcola facilmente,

sapendo che il suo energy gap caratteristico è pari a JeVE silicioG19

)( 1079,112,1 −⋅== :

( ) ( )m

Ech

Gsilicio

719

834

)max( 101,111079,1

10310626,6 −−

⋅=⋅

⋅⋅⋅=⋅=λ , ( ) ( ) [ ]m

JsmsJ

=��

� ⋅⋅.

È possibile, a questo punto, valutare l’intensità di corrente elettrica idealmente producibile attraverso la conversione fotovoltaica:

qNAI = , dove si indica con: q, la carica elettrica elementare pari a 1,602⋅10-19C; N, il numero di fotoni compresi nella banda spettrale utile; A, l’area della superficie di materiale semiconduttore captante. Esiste anche un limite superiore nel voltaggio ottenibile, sempre idealmente, in questi materiali semiconduttori e consiste in:

qE

V G= ,

confine ancora ben lontano dagli attuali reali valori raggiunti dalla tecnica. Il comportamento della cella fotovoltaica è descritto dalle curve caratteristiche tensione-corrente (V-I) che permettono di individuare le sue condizioni d’esercizio, in relazione alle condizioni operative d’irraggiamento. La curva vede come estremi la corrente di corto circuito (Icc) e la tensione a circuito aperto (Voc): la prima dipendente principalmente dall’intensità dell’irraggiamento, mentre la seconda soprattutto dalla temperatura di esercizio. La potenza è, come sempre, espressa da:

IVP ⋅= , cosicché in situazione di corto circuito si ha WIP cc 00 =⋅= e, allo stesso modo, per un circuito aperto si ha WVP oc 00 =⋅= . La potenza massima estraibile dalla cella, per

Fig. 45 - Curva V-I; [W17]

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condizioni prefissate di temperatura, radianza e spettro solare, corrispondente anche alla potenza nominale (Pn), si ottiene per:

mm IVP ⋅=max e viene misurata in Watt di Picco [Wp], che convenzionalmente si intende quella potenza massima ricavabile in condizioni STC (Standard Test Conditions), vale a dire temperatura alla giunzione di 25°C, radianza di 21 mkW e in situazione AM1,5. L’efficienza della cella è data dal rapporto tra la potenza nominale e la radiazione intercettata dalla superficie captante sempre in condizioni STC, quindi:

AIP

STC

nc ⋅

=η ,

con: ηc, efficienza della cella fotovoltaica, Pn, potenza nominale della cella, ISTC, radianza in condizioni STC pari a 21 mkW , A, area superficiale della cella.

È importante sottolineare che quando si parla di efficienza di una cella bisogna distinguere tra efficienza teorica, limite massimo raggiungibile dalla singola tecnologia, efficienza di laboratorio, ottenibile in condizioni ottimali, ed efficienza pratica, raggiungibile concretamente in un contesto applicativo. Un ultimo parametro, interessante nella stima delle prestazioni di conversione energetica, è il fattore di riempimento (Fill Factor) fornito dalla:

ccoc

mm

IVIV

FF⋅⋅

= ,

che coincide con il rapporto tra la potenza nominale e la potenza massima ideale, d’altronde mai raggiungibile. I valori comuni si aggirano tra 0,70÷0,80 e non va confuso con il fattore di riempimento del modulo che è il rapporto tra l’area superficiale del modulo intero e la somma delle aree delle celle da cui è composto[36].

Il sistema fotovoltaico Il sistema fotovoltaico è un apparato relativamente semplice, che nasce dall’integrazione di vari dispositivi, meccanici, elettrici ed elettronici, atti a captare, trasformare e regolarizzare l’energia ricavata dalla fonte solare. Nel sistema si intendono compresi, quindi, anche tutti quegli elementi non strettamente caratteristici della conversione fotovoltaica. I componenti caratteristici di un sistema fotovoltaico classico sono: • il generatore fotovoltaico; • il sistema di condizionamento e controllo della potenza; • il sistema di accumulo dell’energia elettrica. Gli ultimi due raggruppamenti, insieme a tutto il cablaggio e alla stessa struttura di sostegno e di ancoraggio dell’intero impianto, sono solitamente uniti sotto la denominazione BOS, acronimo della terminologia inglese Balance of System. Generatore fotovoltaico Esso costituisce il vero cuore del sistema e consiste in un insieme di moduli fotovoltaici, interconnessi tra loro a formare l’unità di produzione di corrente elettrica. La struttura di un modulo si basa sulle celle fotovoltaiche. Queste vengono connesse in serie e/o parallelo, in modo da ottenere la tensione e la corrente desiderate. In genere un modulo è composto di 30÷36 celle, ha una superficie di circa 0,5m2 e pesa 7÷8Kg. Raggiunge potenze nominali di 40÷60Wp con correnti di circa 2,5÷3,5A e tensioni di 17÷18V. Queste caratteristiche sono state dettate inizialmente dall’esigenza di ricaricare batterie da 12V, ma oggi i produttori,

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attratti da nuove e più stimolanti applicazioni, propongono prodotti variamente diversificati per dimensioni e prestazioni. Un dato fondamentale per prevedere le effettive prestazioni di un modulo di celle in silicio è certamente la sua efficienza effettiva:

( )[ ]1004,0100

modSTCc

eff

tt −−⋅=ηη

,

dove: mod

modmod AI

P

STC ⋅=η , efficienza nominale del modulo (con Pmod, potenza nominale del

modulo, 21 mkWI STC = e Amod, area superficiale captante del modulo) tc, temperatura delle celle in condizioni d’impiego

CtSTC °= 25 , temperatura in condizioni STC L’efficienza effettiva, come si vede, tiene conto dell’influenza della temperatura sulle performance delle celle di cui il modulo è costituito. È per questo motivo che è utile inserire un altro parametro di giudizio ovvero la NOCT (Normal Operating Cell Temperature), vale a dire la temperatura della cella quando il modulo lavora in condizioni di: radianza 28,0 mkW , spettro solare AM1,5, temperatura ambiente 20°C e velocità del vento sm1> . Questo parametro varia tra 42°C e 46°C e permette di calcolare la temperatura di lavoro della cella (tc) in determinate condizioni ambientali (tamb):

Gambc INOCT

tt ⋅−=−8,0

20,

ricordando che IG è il valore di radianza globale incidente sul modulo36. In breve, viene ora riportata una descrizione semplificata di come viene assemblato il cosiddetto sandwich fotovoltaico. Innanzi tutto, si ha una copertura esterna di vetro ad elevata trasmittanza nella banda del visibile e di buona resistenza meccanica a protezione dalle intemperie. Le celle sono fissate a questo, tramite un foglio adesivo trasparente, sigillante, che attua anche un buon isolamento termico. Al di sotto, oltre ad un altro foglio sigillante, si ha la copertura posteriore provvista della cassetta di giunzione con le terminazioni elettriche del modulo. Vengono posti, infine, dei diodi di by-pass per evitare che alcune celle, a causa di una loro eventuale momentanea ombreggiatura, si trasformino in carichi da “soddisfare”. Stato dell’arte delle celle fotovoltaica: la tipica cella prodotta industrialmente è costituita in primo luogo da una sottile fetta di silicio mono o policristallino, di spessore pari a circa 0,25÷0,35mm. È di forma generalmente quadrata, recentemente anche rettangolare oppure, ormai in disuso, circolare, con una superficie che varia tra i 100cm2 e i 225cm2. Gli elettrodi, con lo scopo di raccogliere e convogliare la corrente generata, vengono applicati attraverso dei contatti elettrici metallici (argento o alluminio). Lo strato superiore, cioè la lamina tipo “n”, è molto sottile (circa 0,4µm) e vi è sovrapposta una griglia tale da ottimizzare il rapporto tra la

Fig. 46 – Schema di cella fotovoltaica; [W17]

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trasparenza alla radiazione incidente e la sua funzione di contatto elettrico con la capacità di raccogliere la corrente prodotta. Non avendo, invece, problemi di ricezione dei raggi solari, sul lato inferiore l’elettrodo occupa l’intera superficie, con la possibilità di renderlo anche riflettente alla radiazione in modo da intrappolare quest’ultima negli strati interni e migliorare il basso coefficiente di assorbimento del silicio. La vera soluzione al problema è, comunque, l’ARC (AntiReflecting Coating), ossia un rivestimento di ossido di titanio (TiO2), materiale dielettrico che porta il coefficiente di assorbimento, relativo allo spettro solare, prossimo all’unità. Questo tipo di cella fornisce in media una corrente di circa 3A a tensione di 0,5V (Pn=1,5Wp) e potrebbe raggiungere, a livello teorico, un’efficienza del 30% mentre in realtà, in condizioni standard di utilizzo, il valore di efficienza pratica si aggira intorno al 14÷15% con punte del 20%. Un problema di non trascurabile importanza, nella crescita della tecnologia del silicio cristallino, è quello che l’industria fotovoltaica si alimenta dagli stessi scarti dell’elettronica. Si rischierà presto una frenata nello sviluppo dovuta ad una domanda che supererà l’offerta. Inoltre, legato a questo, la stessa materia prima ottenuta dal settore elettronico non è evidentemente ottimizzato agli scopi fotovoltaici, elevando conseguentemente costi relativamente abbattibili. Sono questi i presupposti che stanno motivando ricerche sostenute verso direzioni alternative; così, un’altra importante tecnologia che si sta sempre più affermando anche a livello commerciale è quella dei moduli a film sottile. Il processo produttivo di questi ultimi si basa sulla deposizione di uno strato di materiale semiconduttore (silicio amorfo o composti policristallini) di solo pochi micron direttamente su un substrato di vetro. Con questa tecnica non si parla più di celle, perché essa permette la produzione diretta dei moduli. Ciò rende possibile una versatilità unica ed una vastissima gamma di prodotti fotovoltaici commercializzabili in tutti i settori. Ad oggi, l’efficienza comprovata di questi moduli è ancora piuttosto bassa, ma di sicuro sviluppo futuro. Attualmente l’efficienza pratica è limitata a valori del 7÷10%, con aspettative future fino al 17%, mentre l’efficienza teorica raggiunge limiti fin oltre il 25% [35]. Prospettive future: l’evoluzione di questa tecnologia è in forte ascesa e i tentativi di renderla competitiva a livello commerciale spingono la ricerca un po’ in tutte le direzioni. Oltre all’ormai affermato silicio monocristallino, policristallino e amorfo, si stanno inserendo i moduli a film sottile di tellurio di cadmio (CdTe) e di diseleniuro di indio e rame (CuInSe2) con efficienze pratiche ancora dell’8÷10%, ma con limiti teorici fino al 28%. Non bisogna, poi, dimenticare le celle a eterogiunzione come quelle sempre di diseleniuro di rame e cadmio oppure di solfuro di rame (Cu2S) o solfuro di cadmio (CdS) con bassa efficienza ma ottimo rapporto costo-prestazione. Non vengono citate inoltre quelle tecnologie e materiali che, per i loro altissimi costi, trovano impiego solo nelle applicazioni spaziali, ma che, in un futuro non troppo lontano, potrebbero trovare spazio in larga scala grazie alle loro efficienze che superano il 30% pratico e il 40% teorico[35]. Il sistema di condizionamento e controllo della potenza Per garantire un valore costante della tensione in uscita dal generatore fotovoltaico, oltre che una fornitura di corrente elettrica alternata e un corretto funzionamento dell’impianto, è necessario l’inserimento di un insieme di apparecchiature, capace di stabilizzare e ottimizzare le prestazioni dell’installazione nel suo complesso. È questo lo scopo del sistema di condizionamento e controllo, infatti, il generatore produce energia in modo fortemente variabile, a seconda soprattutto dell’irraggiamento istantaneo e della temperatura, mentre i carichi, se pur variabili anch’essi, richiedono caratteristiche più omogenee nel tempo. Questo sistema consta di un insieme di elementi, che possono molto spesso cambiare secondo le diverse necessità delle applicazioni, cui l’impianto fotovoltaico è destinato. Le apparecchiature che più di frequente compaiono nella struttura sono:

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diodo di blocco: la cella solare, quando non viene irradiata, si comporta come un diodo e nel periodo notturno, questo comportamento causerebbe una scarica dell’accumulatore. Il diodo di blocco, frapponendosi tra i due elementi, impedisce questo fenomeno; regolatore di carica: esso controlla, interrompendo eventualmente il flusso di corrente prodotta, le modalità di carica dei dispositivi di stoccaggio (quando presenti) in modo da preservare il loro corretto funzionamento; inseguitore del punto di massima potenza: MPPT (Maximum Power Point Tracker) consente di estrarre sempre dal campo fotovoltaico la massima potenza, in relazione alle condizioni di irraggiamento e temperatura dei moduli. Esso funziona facendo variare leggermente la tensione in ingresso all’inverter a intervalli ravvicinati, se questo comporta un aumento di potenza, allora la variazione continua nello stesso senso, altrimenti si inverte. Il MPPT si trova generalmente nell’involucro dell’inverter, più raramente in quello del regolatore di carica; convertitore DC/AC (inverter): come è noto, i moduli fotovoltaici producono corrente continua, mentre le più comuni utenze richiedono corrente alternata, è necessario, allora, l’inserimento nel sistema di un dispositivo atto a compiere questa conversione. L’efficienza di un inverter si aggira intorno al 90% anche se ci sono inverter di ultima generazione che arrivano fino al 95%. Il sistema di accumulo dell’energia elettrica Poiché generalmente i tempi di produzione di energia, da parte dell’impianto fotovoltaico, non coincidono con quelli tipici dei comuni carichi da esso alimentati, è necessario un sistema di accumulo. La sua funzione principale è, quindi, quella di garantire la continuità temporale di alimentazione elettrica nei periodi “morti” del generatore, quando l’assenza o la limitatezza d’irraggiamento impedirebbero il soddisfacimento della richiesta. In questo modo si viene a sopperire anche ad

Fig. 47 - Tipologie di batterie d’accumulo; [W6]

Fig. 47 – Generatore fotovoltaico - [34]

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improvvisi malfunzionamenti dell’impianto a monte dell’accumulatore o ad improvvisi picchi di carico. Come sistema di accumulo s’intende comunemente l’insieme di batterie che, per motivi di facile reperibilità e di costi contenuti, derivano dal settore automobilistico. A seconda, però, della tipologia di applicazione si possono prevedere altre diverse soluzioni quali il pompaggio d’acqua, la compressione d’aria, l’uso di un volano o anche l’integrazione con celle a combustibile (ciclo dell’idrogeno). Allo stesso modo, si deve interpretare la stessa rete elettrica nazionale come un sistema d’accumulo, dove l’energia elettrica prodotta in eccesso viene immessa e dalla quale si alimenta l’utenza in caso di produzione scarsa e insufficiente alle esigenze.

Tipologie impiantistiche Gli impianti fotovoltaici per la loro modularità si prestano ad adattarsi ad una qualsiasi utenza. La loro flessibilità applicativa permette la realizzazione di impianti che vanno da alcuni milliwatt fino ad alcuni megawatt di potenza. Una prima classificazione, che si può eseguire tra le varie tipologie fotovoltaiche, viene brevemente elencata ed analizzata di seguito. Sistemi isolati (Stand alone) Si intende per sistema isolato quella tipologia di utenza lontano dalla rete di distribuzione di energia elettrica. Questo, storicamente, è il primo tipo di applicazione, che è risultata competitiva anche dal punto di vista strettamente economico, in alternativa ai più tradizionali gruppi elettrogeni alimentati da combustibile fossile, in tutti quei casi per cui l’attivazione di un servizio elettrico convenzionale comporterebbe costi difficilmente ammortizzabili nel tempo. Queste situazioni sono spesso frequenti in moltissimi settori, tra i più comuni citiamo per esempio l’ambito agricolo con le necessità di pompaggio dell’acqua o per sistemi d’irrigazione automatici. Nell’industria si segnalano in particolare le protezioni catodiche di gasdotti, oleodotti e di altre tubazioni varie, mentre sempre più il campo delle telecomunicazioni, in forte espansione oggi, richiede sistemi fotovoltaici per l’alimentazione di ripetitori radiotelevisivi isolati o di stazioni di rilevamento e trasmissione dati. Inoltre, abbiamo, facente parte di questa tipologia, tutti quei sistemi meccanici, elettronici e edili, che hanno bisogno di energia elettrica per il loro funzionamento, situati in aree remote, come case, rifugi montani e segnaletica stradale marittima e aerea, o, ancor più a maggior ragione, in tutti quei paese in via di sviluppo, dove non esiste un vero e proprio sistema di distribuzione elettrica. L’energia prodotta in questo tipo d’impianto è destinata dapprima alla carica del sistema di stoccaggio, in modo così da svincolare l’utenza dall’aleatorietà della fonte solare. Il sistema d’accumulo dovrà allora essere dimensionato in modo appropriato per garantire autonomia per un periodo adeguato alle esigenze d’utilizzo. Per motivi di sicurezza questo tipo d’impianto potrebbe vedere necessario un gruppo elettrogeno d’emergenza integrato.

Fig. 48 - Sistema Stand-alone; [W6]

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Sistemi connessi alla rete (Grid connected)

Nei casi in cui è possibile la connessione ad una rete di distribuzione energetica, si preferisce evitare l’accumulo propriamente detto e utilizzare la rete stessa come elemento tampone. Ciò offre l’indubbio vantaggio di potersi liberare delle perdite di carica e scarica delle batterie e di evitare l’impiego di locali appositi, per lo stivaggio di tali apparecchiature. In questa categoria compaiono due tipi sostanziali di sistemi, tra loro molto differenti. La prima categoria, meno interessante a causa del suo ancor consistente impatto sul territorio, è quella costituita dalle centrali di grossa taglia collegate alla rete di media tensione. Sono questi impianti rivolti alla ricerca sperimentale e un ottimo esempio che merita essere citato è di sicuro la centrale dell’ENEL a Serre (SA), che vanta una potenza nominale di 3,3MWp su un’estensione di 7 ettari ( )24107 m⋅ , divisa in 10 sottocampi, per un totale di due milioni e seicentomila celle fotovoltaiche. La seconda categoria, maggiormente degna di attenzione, è quella, tuttavia, dei piccoli impianti collegati alla rete di bassa tensione, solitamente destinati ad un ambito residenziale urbano. Essi hanno la particolarità di lavorare in regime d’interscambio con la rete elettrica locale, che funziona come un vero e proprio sistema d’accumulo, fornendo corrente elettrica nei periodi di scarsa disponibilità e raccogliendo le eccedenze di sovrapproduzione. Sono necessari, allora, due contatori per contabilizzare gli scambi energetici tra la rete e l’utente. Queste considerazioni svincolano la progettazione di questi impianti rispetto a parametri rigidi e permette di definire la taglia liberamente, sulla base di una più attenta valutazione economico ambientale. I sistemi più diffusi in questa categoria hanno potenze di circa 1,5÷3kWp con picchi che non superano mai i 20kWp. Queste strutture hanno il compito principale di assolvere in primo luogo alla funzione di “peak shaving”, ovvero di coprire i picchi della domanda energetica nazionale, mentre lasciano il compito ai tradizionali impianti centralizzati, di grossa taglia e ad alto rendimento, di coprire la porzione base dei diagrammi nazionali di carico, evitando così un necessario sovradimensionamento di questi ultimi. Le uniche specifiche, che questo tipo di sistemi deve rispettare, sono riferite ai requisiti d’interfacciamento con la rete, dettati solitamente dalla società elettrica distributrice locale. Dimensionamento di massima di un impianto connesso alla rete: l’elemento che differenzia sostanzialmente la progettazione di questa tipologia applicativa è che il sistema fotovoltaico non rappresenta l’unica fonte energetica per l’utenza, ma solo un sistema integrativo. Questo fa sì che i criteri di dimensionamento possano essere meno rigidi e maggiormente rivolti ad aspetti meno energetici, ma più vicini alle esigenze finanziarie del committente e alle spesso limitate capacità superficiali, che si intrecciano tra di loro.

Fig. 49 - Sistema Grid-connected; [49]

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Com’è sempre necessario fare come primo passo, bisogna eseguire un’attenta analisi del carico da soddisfare. Generalmente, i dati essenziali da ottenere, oltre ad un quadro completo dell’andamento globale dei fabbisogni, sono il carico complessivo nei giorni medi mensili [ ]giornokWh e il carico complessivo annuo [ ]annokWh . Questi si ottengono in modo presumibilmente dettagliato con un’analisi delle apparecchiature da soddisfare e delle rispettive ore d’esercizio:

τ⋅= PE , con: E, l’energia consumata dal dispositivo [kWh], P, la potenza elettrica del dispositivo stesso [kW], τ, il tempo d’esercizio [h]. Di solito si possono usare varie tabelle che riportano tali dati e in prima approssimazione si può anche fare uso di altri indici che aiutano a tali valutazioni di massima. Il secondo step è quello di stimare l’energia producibile dal sistema fotovoltaico. La formula di partenza risulta essere:

( ) sitoSTCPVPVBOSsitoPVPVBOSPV IIAKIPKE ⋅⋅⋅⋅⋅=⋅⋅⋅= modηηη , dove: EPV è l’energia prodotta dal sistema fotovoltaico [kWh], ηBOS è l’efficienza del BOS (valori medi 0,8÷0,9), KPV è il fattore di riduzione dovuto a varie perdite causate dal surriscaldamento, dall’usura ecc. (convenzionalmente pari a 0,9), PPV è la potenza nominale del generatore fotovoltaico [kWp], ηmod è l’efficienza del singolo modulo, APV è la superficie di captazione dell’intero generatore fotovoltaico [m2], ISTC è l’irraggiamento in condizioni STC, Isito è l’irraggiamento solare incidente nel sito [ ]2mkWh . Allo stato attuale della tecnologia, proposta in larga scala a livello commerciale, si può presupporre che un sistema fotovoltaico produca un corrispettivo d’energia elettrica pari al 10% della radiazione solare captata. Secondo le priorità, tenendo fissi i parametri caratteristici della scelta tecnologica (ηBOS, KPV e ηmod), si possono far prevalere come variabili EPV (aspetto energetico), APV (aspetto relativo

all’ampiezza superficiale) o PV

PVinv C

PC = (aspetto economico, dove, oltre alla già nota

simbologia, si indica con Cinv i costi d’investimento e con CPV il costo della particolare tipologia impiantistica per unità di potenza [�/kWp])36. Sistemi ad utilizzo diretto Questi sistemi sono piuttosto rari, ma possono risultare idonei in alcuni particolari casi. Essi vedono coincidere i tempi di produzione, e quindi d’irraggiamento solare, con i tempi di consumo della corrente elettrica. Questo parallelismo permette una struttura particolarmente semplificata dell’impianto, dove viene a mancare totalmente il sistema d’accumulo e stoccaggio dell’energia. Un esempio caratteristico di questa tipica configurazione sono le elettropompe usate per l’irrigazione od anche i dispositivi per la convezione forzata nei collettori solari termici. Di seguito si andranno ad analizzare in particolare le applicazioni caratteristiche nell’edilizia residenziale.

Integrazione in ambito residenziale Una delle più promettenti applicazioni del fotovoltaico è, senza ombra di dubbio, quella dedicata al settore edile e, in particolare modo, al comparto residenziale urbano.

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Questo tipo di generazione diffusa, intesa cioè come produzione elettrica non più centralizzata, ma distribuita tra numerosi piccoli generatori connessi alla rete a basso voltaggio (110 – 220V), favorisce il rafforzamento della rete stessa, ma comporta però anche degli accorgimenti, dovuti al fatto che, a questo livello, la rete ha una struttura radiale e non più a griglia e che i generatori non sono più interconnesi tra loro, cosicché l’interfacciamento potrebbe causare disturbi di varia natura per la linea elettrica. È possibile eludere tale inconveniente attraverso l’adozione di inverter con gli adeguati requisiti richiesti, al fine di evitare interferenze ad alta frequenza. Esistono, innanzi tutto, due categorie di possibili interventi che si possono attuare in ambito edilizio, attraverso l’inserimento di un impianto fotovoltaico: a seconda che ci si rivolga alla riqualificazione di una struttura già esistente, categoria denominata di retrofit, oppure a seconda che s’intenda sviluppare la nascita di una nuova costruzione che vede la tecnologia fotovoltaica parte integrante dell’organismo edilizio stesso e questo tipo d’intervento è detto d’integrazione architettonica. Questo tipo d’applicazione, della tecnologia fotovoltaica in ambito edilizio, permette il raggiungimento di un numero elevato di evidenti vantaggi, i quali aumentano considerevolmente il valore dell’energia prodotta. Questo valore aggiunto nasce dal passaggio dell’impianto fotovoltaico da semplice sistema produttivo a strumento per il risparmio energetico. I vantaggi immediatamente percepibili sono: ⋅ energia prodotta in prossimità dell’utenza, aumentandone il valore rispetto a quella fornita

dalle centrali elettriche, evitando le inevitabili perdite dovute al trasporto; ⋅ livellamento dei picchi giornalieri della curva di domanda; ⋅ installazione in siti già sfruttati per altri scopi, dove il territorio viene a subire in ogni caso

un certo impatto ambientale; ⋅ multifunzionalità del generatore fotovoltaico, anche a livello architettonico; ⋅ costo globale dell’edificio alleggerito dal ruolo di rivestimento degli stessi moduli e, nel

contempo, risparmio sulle strutture portanti per l’impianto fotovoltaico, realizzate dalla stessa costruzione[50].

La potenzialità di questa applicazione si va sempre più rafforzando, spinta anche dal fatto che va a coprire solitamente picchi di domanda che in molti casi corrispondono anche ai costi di corrente elettrica più elevati. Un esempio tipico è la sempre più sentita necessità di raffrescamento estivo, quando i condizionatori d’aria danno luogo ai maggiori consumi parallelamente agli stessi periodi di maggior insolazione e produzione di energia elettrica da parte dei moduli fotovoltaici, quando infatti i raggi del sole si fanno più intensi. In molti paesi, come appena detto, il costo dell’energia elettrica è più elevato nelle fasi di maggiore richiesta e così la possibilità di un’autoproduzione, corrispondente proprio a questi intervalli di tempo, incrementa il valore stesso di questa energia.

Fig. 50 - Applicazione di moduli di silicone amorfo depositato su substrati flessibili; [51]

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Un’idea della potenzialità dell’integrazione del fotovoltaico nel settore edile si può ottenere attraverso stime approssimative effettuate da Bloss et al. (1991) che vedono, per esempio, in Germania, con una superficie di tetti tecnicamente adatti all’installazione di generatori fotovoltaici di circa 650km2, non tenendo conto della potenzialità delle facciate anch’esse utilizzabili e ipotizzando un’efficienza di conversione pari all8%, la possibilità di raggiungere una potenza installata di circa 52GWp. È, ovviamente, importante sottolineare come queste stime richiedono una certa cautela ad essere giudicate, anche perché non tengono conto di molti fattori di vincolo come, ad esempio, quelli di ordine estetici e storico culturali. Esistono aree che, per motivi paesaggistici e di preservazione di caratteri folcloristici e tradizionali, rendono difficile o impossibile l’installazione di questa tecnologia. Ci sono soluzioni se pur parziali a questo inconveniente che deve, però, essere tenuto in forte conto specialmente in certe aree protette. Senza spingere al limite questo tipo di stime, valori approssimati sono stati ricavati anche per l’ampio, ma difficile mercato statunitense dove, con circa dieci milioni di edifici ad uso familiare con un adeguato accesso all’irraggiamento solare e con tetti con giusta angolazione rispetto ad esso, si può prevedere un’installazione pari a circa 30GWp

[35]. Le prospettive migliori in questo settore avanzano a pari passo con gli sviluppi sull’efficienza di tali sistemi e con le qualità estetiche dei generatori, che i produttori cercano costantemente di migliorare ed affinare, per facilitare l’opera degli ingegneri e degli architetti nel soddisfare le esigenze dei committenti. Infatti, i generatori fotovoltaici, avendo un forte impatto visivo sull’immagine dell’involucro dell’edificio sul quale vengono applicati, hanno bisogno, oltre che di una resistenza meccanica, anche di una certa cura estetica. Quest’ultima non è assolutamente da trascurare perché, favorendo l’aspetto del sistema fotovoltaico e la sua accettabilità da parte del committente, stimola una diffusione su larga scala di tali prodotti che portano, conseguentemente nel lungo tempo, anche un vantaggioso abbattimento dei costi. In ultimo, ma certamente non meno importante, si deve porre l’accento su un altro vantaggio, che stimola l’espansione di quest’applicazione a livello residenziale, ovvero la facile manutenzione. Sono questi sistemi che richiedono davvero poco tempo e basse spese durante l'intero ciclo di vita del sistema che si aggira normalmente attorno ai 20÷30 anni. L’unico problema in ambiente urbano, che si aggiunge a quelli di ordine classico di controllo e sicurezza, è quello causato dalle polveri presenti in elevata percentuale nell’aria delle aree densamente abitate. Questo inconveniente si risolve comunque facilmente con un’adeguata pulizia delle superfici vetrate dei moduli, spesso sfruttando il lavaggio naturale delle piogge. Analisi del ciclo di vita dei sistemi fotovoltaici nell’ambito residenziale La fase d’esercizio di un impianto fotovoltaico ha un impatto ambientale nullo, questo, però, non significa che l’intero ciclo di vita non abbia fasi che si ripercuotono sull’ambiente. I momenti, che precedono (processi upstream) e che seguono (processi downstream) l’applicazione propria, richiedono flussi energetici non trascurabili, i quali hanno un peso specifico importante nell’analisi. Questi consumi energetici non devono essere trascurati in previsione di una commercializzazione su larga scala. L’energia spesa nella produzione del sistema è formata da tre contributi: l’energia consumata nella realizzazione della cella, nell’assemblaggio dei moduli e quella associata nella composizione di tutti gli altri elementi costituenti. L’origine di quest’elevato consumo risiede, in primo luogo, in una produzione del silicio monocristallino non ottimizzata per l’uso fotovoltaico. La materia prima, come già accennato, proviene per praticità dagli scarti dell’industria elettronica, che necessita di un silicio ad elevato grado di purezza. Per ottenere questa qualità di materiale è necessario un forte consumo energetico e conseguenti pesanti oneri economici, che nel campo fotovoltaico non ripagano attraverso un successivo proporzionale aumento dell’efficienza. A seconda del tipo d’installazione, si possono valutare, nel ciclo di vita, consumi energetici che si aggirano intorno ai 7.000÷8.000kWhel per kWp installato.

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Per quanto riguarda, invece, l’energia prodotta mediamente da un impianto fotovoltaico ad uso residenziale nell’arco della propria vita si possono ottenere valori piuttosto variabili secondo la tipologia impiantistica e il suo inserimento all’interno dell’architettura. Ipotizzando un’efficienza presumibile del 12,5%, un’efficienza del BOS dell’85%, un irraggiamento medio annuo pari a 21500 mkWh e un tempo di vita garantibile di 25 anni, si conseguono valori che vanno da un minimo di 22.000kWhel fino a circa 32.000kWhel

[52]. È evidente come, per questo tipo di tecnologia, l’ottimizzazione dell’esposizione al Sole dei moduli recettori sia di fondamentale importanza. Ciò consiste in un giusto posizionamento dei pannelli in modo da intercettare la massima porzione di radiazione solare nell’arco dell'anno, possibilmente facendo coincidere il più possibile la produzione con la domanda energetica. In prima approssimazione, si può dire che l’energia prodotta è direttamente proporzionale all’area apparente della superficie captante rispetto alla sorgente radiante. Poiché, però, in questo caso, la sorgente è in continuo movimento, a causa del moto apparente del Sole attorno alla Terra, e risultando particolarmente onerosi i costi di un eventuale sistema d’inseguimento della fonte luminosa, con un conseguente consumo energetico, si preferisce individuare una disposizione fissa dei moduli, tale da garantire il miglior guadagno d’energia possibile. L’orientamento generalmente consigliato per un generatore fotovoltaico è quello verso Sud (emisfero boreale), con un’inclinazione pari all’angolo di latitudine del sito stesso. Questa configurazione non è quella ottimale in assoluto, ma è quella che riduce maggiormente le disparità tra le disponibilità estive e invernali, creando più uniformità nella produzione energetica stagionale. L’assetto, invece, che permette di captare la maggior quantità d’energia solare nell’intero corso dell’anno, corrisponde nuovamente all’orientamento verso il Sud esatto, ma accoppiato ad un’inclinazione del pannello pari all’angolo di latitudine diminuito di un certo numero di gradi, dipendente dal contesto climatico della stessa località in analisi. Una regione particolarmente nuvolosa, in cui prevale la componente diffusa dell’irraggiamento solare, vede per esempio un detrimento dell’angolo di latitudine pari a 10 gradi, così da inclinare meno il piano e affacciarsi maggiormente verso la volta celeste, vera fonte radiativa principale. Un giusto compromesso, valido per le aree della fascia mediterranea, è quello di sottrarre 5 gradi dallo stesso angolo di partenza. Nel caso, però, si vogliano privilegiare i guadagni invernali si può invertire la tendenza e si può al contrario sommare alla latitudine un angolo addizionale pari fino anche a 15 gradi. Requisito primario per il buon successo dell’installazione è, certamente, l’eventuale presenza di ostruzioni ai raggi solari che, un contesto densamente urbanizzato, penalizza notevolmente. Sono proprio queste condizioni che richiedono le analisi più dettagliate, per determinare sull’edificio le superfici con le caratteristiche più idonee all’applicazione. Un notevole aiuto allo svolgimento di tale studio è dato, oltre che da calcoli di geometria solare e dall’uso delle maschere di ombreggiamento, da software specifici, capaci di simulare l’interazione tra il Sole e la struttura in analisi. Per la scelta della tecnologia più adatta, tra quelle disponibili commercialmente per le celle fotovoltaiche da utilizzare nel settore residenziale, bisogna tenere in conto alcuni criteri. Innanzi tutto, per quanto riguarda le celle al silicio mono e policristallino, i moduli si presentano come laminati vetro-vetro o vetro-tedlar. Essi possono essere utilizzati mediante la tecnica del curtain wall (lastre di vetro circoscritte da cornici metalliche generalmente in alluminio) oppure del vetro strutturale (privo di cornice)[53]. I moduli al silicio amorfo, invece, oltre a queste tecniche, aggiungono la possibilità di usare stratificazioni di fogli flessibili di materiale plastico. Essi possono venire applicati come una guaina di rivestimento, anche se con l’accorgimento di non eccedere in curvature marcate. In generale, comunque, la natura stessa di tutti i moduli fotovoltaici garantisce all’involucro dell’edificio impermeabilizzazione, schermatura e finitura esterna. Scarse sono, invece, le qualità termoacustiche che equivalgono sommariamente a quelle di un semplice vetro. In dettaglio, per i moduli al silicio cristallino si deve avere la precauzione di assicurare la dispersione del

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calore, per questo se ne sconsiglia l’installazione su strati isolanti, che ne favorirebbero al contrario l’accumulo. Infine, il fissaggio alla struttura edile, diretto o attraverso supporti, deve essere garantito rispetto alle più severe condizioni climatiche riscontrabili. A questo punto, i livelli d’inserimento architettonico, che si possono individuare nell’applicazione del complesso fotovoltaico, in particolare dei moduli di captazione solare, sono essenzialmente tre, secondo come viene ad essere interessato l’edificio. Applicazione indipendente S’intende per applicazione indipendente quel tipo d’intervento in cui l’edificio assolve esclusivamente la funzione di supporto. Al contempo, il generatore fotovoltaico non svolge alcun ruolo di chiusura rispetto all’involucro esterno dell’edificio medesimo e la loro disposizione rimane totalmente libera nei confronti della costruzione stessa, al fine di ottimizzare al massimo le capacità produttive del sistema energetico. È, quindi, questa l’applicazione che si discosta maggiormente da una vera e propria integrazione edile e si adatta particolarmente bene ad edifici dotati di coperture piane. Non essendo richieste specifiche particolari, se non la presenza di superfici con valori di soleggiamento opportuni, per la loro semplicità d’installazione, rapida ed economica, si prestano soprattutto ad operazioni di retrofit, spesso facilmente affiancabili a normali lavori di manutenzione straordinaria. Gli accorgimenti basilari per un’idonea resistenza meccanica sono la tenuta alla spinta del vento e all’azione di tutti gli altri agenti atmosferici preponderanti. Applicazione per sovrapposizione Questo tipo d’installazione prevede un’apposita struttura di fissaggio e ancoraggio, tale da permettere il posizionamento dei pannelli a poca distanza dal perimetro esterno dell’edificio, in modo da seguire ed adattarsi alle forme dello stesso involucro, il quale mantiene la funzione di supporto. Gli interventi più frequenti per questa categoria si hanno sempre in lavori di retrofit, specialmente su coperture a falda e su facciate. Va rilevato come la configurazione dell’edificio influenzi fortemente l’orientamento e quindi le prestazioni del sistema fotovoltaico. L’integrazione nell’edificio, in questo caso, non è effettiva ma solo visiva e quindi quest’applicazione può risultare adatta quando è necessario rispettare certi vincoli estetico paesaggistici, caratteristici di certe aree culturali. In questo caso si cercano soluzioni facilmente mimetizzabili, ottenibili spesso proprio attraverso l’uso d’impianti per sovrapposizione. Anche in questo caso, le strutture d’ancoraggio sono quelle classiche, come semplici staffature, ma si arriva fino all’impiego, in situazioni specifiche, di elementi tecnici straordinari, che permettono un’applicazione diretta alle tegole del tetto. Applicazione per integrazione

Fig. 52 - Sistema sovrapposto alla copertura preesistente; [W6]

Fig. 51 - Copertura piana praticabile; [W18]

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Quest’applicazione è l’unica che rispecchia in pieno il significato d’integrazione architettonica, vale a dire l’inserimento del generatore fotovoltaico nell’organismo edilizio, il quale viene ad assumere oltre che le funzioni strettamente energetiche anche quelle strutturali di chiusura e schermatura. A tal fine, i moduli fotovoltaici adoperati non sono quelli standard, normalmente commercializzati, ma vengono studiati appositamente per i singoli impieghi. Le case produttrici facilitano la scelta dei progettisti, mettendo sul mercato un’ampia scelta differenziata; è, in ogni modo, nell’abilità di questi ultimi, la capacità di scegliere moduli convenzionali sicuramente più economici. L’installazione ottimale si avrebbe, più di tutto, nei casi di progettazione ex novo della costruzione e si possono distinguere due tipologie: integrazione complementare, quando i moduli costituiscono lo strato esterno di chiusura dell’involucro e assolvono, parallelamente alla funzione energetica, quelle architettoniche d’impermeabilizzazione e tenuta all’aria, e integrazione totale, per la quale i moduli sostituiscono del tutto i materiali di rivestimento dell’edificio, svolgendo anche la funzione d’isolamento termico. Un’ulteriore classificazione dell’integrazione impiantistica può essere determinata, ora, in relazione alla porzione di superficie esterna del complesso strutturale, interessata. Coperture inclinate: questo tipo di falda, normalmente rivestita con tegole (singole, doppie o multiple) sono tipiche delle aree geografiche contrassegnate da inverni rigidi e da frequenti precipitazioni nevose oppure di tutti quei centri urbani, di una certa dimensione, nati e sviluppatisi anteriormente agli anni ’40. In generale, la falda inclinata offre il vantaggio di avere a disposizione una superficie con un’angolazione spesso ottimale, ma allo stesso tempo si tratta di un’inclinazione rigida per sua natura, per questo solo i fabbricati che possiedono coperture inclinate a Sud (da 45° SE fino a 45° SO) sono da ritenere idonei. Nel caso si operi a livello retrofit, il risultato sarà difficilmente ottimale, perché bisognerà sottostare ad una situazione preesistente, ma si raggiungeranno ugualmente valori d’irraggiamento utile intorno al 90% di quelli riscontrabili con una perfetta esposizione. Soluzioni integrate sono, invece, più efficienti e soprattutto, come già detto, offrono un impatto estetico migliore. Attraverso le tegole fotovoltaiche si raggiungono livelli di mimetismo unici, al punto che, celle al silicio amorfo inglobate in una matrice plastica, danno le stesse sensazioni cromatiche di tegole standard. Esse possono ricordare l’ardesia o il cotto, assomigliare a tegole nostrane come i coppi romani e possono essere anche flessibili e calpestabili. Ricerche avanzate hanno proposto anche una nuova tecnologia di celle ai nanocristalli che danno la sensazione di vetrate fumé, così da poter sfruttare a livello energetico anche superfici utilizzate come finestre o prese di luce. Per i moduli classici al silicio cristallino, per facilitare la dispersione della frazione termica della radiazione solare incidente, se non retroventilati, è necessario un rivestimento del tipo a tetto ventilato. Normalmente, secondo un’analisi dell’intero ciclo di vita, si possono riscontrare per tali impianti valori particolarmente bassi d’energia consumata, in maggior modo per quelli ideati ed integrati nell’assetto architettonico. Si possono considerare attendibili al giorno d’oggi, quindi, valori d’energia spesa di circa 6.900kWhel per kWp installato, contro i quasi 30.000kWhel prodotti durante l’intero tempo di vita[52].

Fig. 53 – Esempio di integrazione su copertura inclinata; [W6]

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Coperture piane: questo tipo di superficie è solitamente destinato alla tipologia applicativa indipendente, avendo essa, in aggiunta, una marcata predisposizione ad interventi di categoria retrofit. Probabilmente, si può ritenere questo tipo di copertura come tra i più frequenti e diffusi nei centri urbani di più grande dimensione, soprattutto per quegli edifici dell’immediato dopoguerra in poi. Trattandosi di aree piane, spesso vere e proprie terrazze, si può facilmente provvedere ad inclinare ed orientare in modo ottimale i pannelli, sostenendoli per mezzo di opportune strutture leggere di supporto. Esistono anche prodotti specifici destinati ad una pura installazione orizzontale, ma il loro impiego è piuttosto limitato perché i risultati sono penalizzati da un’inclinazione, alle latitudini europee, lontana da quella ottimale. Inoltre, in questi casi vi potrebbero essere anche accumuli di sporcizie e, in certi climi, di neve, che andrebbero ad oscurare e danneggiare le qualità di captazione delle celle. Evidentemente, questo non è l’unico modo di intendere ed utilizzare le coperture piane, bensì esistono configurazioni più complesse, tramite le quali si possono raggiungere livelli d’integrazione più approfonditi. Una possibilità di particolare interesse è data da coperture a dente di sega o che, comunque, presentino lucernari, le cui superfici rivolte a Sud siano costituite da vetrature semitrasparenti contenenti le celle fotovoltaiche. Si può trarre un duplice vantaggio utilizzando il lato degli shed esposto a Sud: si blocca, infatti, l’ingresso di radiazione diretta nei locali abitativi, migliorando il comfort luminoso, e si riduce il pericolo di surriscaldamento degli ambienti interni, così da ridurre il fabbisogno diurno di corrente elettrica, in particolare nella stagione estiva, mentre, al contempo stesso, si massimizza la captazione d’energia solare. Il ciclo di vita per questo tipo di applicazione è caratterizzato da una quantità media di energia consumata pari a circa 7.500kWhel per kWp installato, mentre una produzione totale particolarmente elevata che può raggiungere valori fino a 32.000kWhel

[52]. Facciate: sarebbe erroneo ritenere secondario questo tipo d’applicazione, infatti, porre i moduli fotovoltaici sulle facciate della struttura non implica automaticamente che il loro posizionamento comporti un’inclinazione strettamente verticale. Le pareti perimetrali sono, comunque, privilegiate alle latitudini settentrionali per la loro maggiore predisposizione ad intercettare le radiazioni del Sole nei suoi percorsi più bassi sull’orizzonte. Allo stesso tempo, l’integrazione in facciata permette di sfruttare il generatore fotovoltaico in modo multifunzionale. Ad esempio i sistemi fotovoltaici frangisole, se non ombreggiati da edifici circostanti, risultano idonei a raggiungere inclinazioni assolutamente adeguate a raccogliere grandi quantitativi d’energia solare. Simultaneamente a questa esposizione ottimale, si affianca una riduzione del carico termico estivo. La facciata è, inoltre, la parte dell’edificio che offre maggiormente la possibilità di utilizzare la nuova tecnologia dei moduli semitrasparenti oppure i moduli fotovoltaici doppiovetro, con celle distanziate, entrambe i

Fig. 54 - Tipologia di facciate energeticamente attive; [W6]

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quali, oltre a produrre corrente elettrica, lasciano passare i raggi luminosi negli ambienti interni. Per le installazioni appartenenti a questa categoria, si può ricorrere sia a sistemi costruttivi tradizionali riadattati alla tecnologia solare, come le facciate continue, i vetri strutturali e le facciate ventilate, sia a sistemi progettati appositamente, cercando di affiancare le funzioni strutturali a quelle energetiche. Esempi importanti sono il sistema Rütihoff e il sistema Saint Gobain, con celle solari inserite tra due lastre di vetroW6. I valori d’energia consumata nell’intero ciclo di vita sono all’incirca pari a quelli del tetto inclinato e, quindi, piuttosto bassi, intorno ai 7.000kWhel per kWp installato. In questo caso, però, l’equivalente prodotto risente di una spesso non ottimale esposizione al Sole con valori che si fermano a circa 22.000÷23.000kWhel

[52]. Elementi d’involucro accessori o speciali: i moduli fotovoltaici possono, in aggiunta, assolvere una casistica applicativa assolutamente interessante, al fine di una riqualificazione energetica di elementi architettonici comuni e tradizionali utilizzabili sugli involucri esterni degli edifici. Le protezioni solari oppure i “light-shelf”, sistemi per la diffusione della luce naturale negli spazi interni, sono esempi di accessori, che i progettisti possono tenere in considerazione, nell’intento di raggiungere il massimo sfruttamento dalle potenziali capacità energetiche dell’involucro abitativo. Un esempio classico della prima categoria sono i brise soleil fotovoltaici che, intercettando i raggi solari, svolgono la duplice funzione, già più volte menzionata, di produzione di corrente elettrica e d’ombreggiamento degli interni. Allo stesso scopo si possono anche utilizzare pensiline e tettoie, mentre nel caso dei light-shelf, si può sfruttare la parte maggiormente esposta al Sole per la captazione dell’energia attraverso moduli fotovoltaici appositi e il resto della superficie può essere rifinito con materiale altamente riflettente. Costi e mercato dell’applicazione “grid-connected” ad uso residenziale Le aree metropolitane, con i loro ettari di tetti disponibili, sono un vero terreno fertile per la generazione fotovoltaica diffusa. La tipologia applicativa “stand-alone” non è sufficiente per spingere la tecnologia fotovoltaica ad una commercializzazione su larga scala e non comporta, quindi, un abbassamento dei costi ad essa relativi. Bisogna, allora, stimolare direttamente la diffusione della tipologia “grid-connected”, la quale ha come grande vantaggio quello di non causare ulteriore impatto ambientale, oltre a quello già esistente in tali zone, e di non necessitare un’ulteriore estensione delle linee elettriche per la connessione alla rete nazionale. Inoltre, essa rappresenta una porzione di mercato ben più ampia rispetto a quella delle applicazioni isolate, in particolare per i paesi industrializzati, dove quest’ultima è destinata a rimanere una nicchia commerciale. L’industria del fotovoltaico ha bisogno di mercato affidabile a lungo termine, che porti un volume di acquisti in costante e stabile crescita. Questo è possibile solo andando a valutare i costi di tale tecnologia sull’intero ciclo di vita e tenendo presente che si tratta di un investimento a basso rischio[54]. Affrontando il problema attraverso un’analisi del tempo di ritorno energetico EPBT (Energy Pay Back Time) si osserva un diverso comportamento secondo il tipo di applicazione scelto. L’EPBT si definisce come:

Fig. 55 - Sottostrutture in alluminio: sistema a “griglia” (sopra) e sistema

Rütihoff (sotto); [W6]

93

)(

)(

annoPV

totaleCons

E

EEPBT = ,

dove il significato di ECons(totale) è quello che si ricava dal ciclo di vita sommando tutti i contributi energetici necessari alla costituzione del sistema fotovoltaico, dalla fabbricazione delle singole celle all’assemblaggio e installazione di tutti i componenti, mentre EPV(anno) rappresenta l’energia dal sistema prodotta nell’intervallo di un anno[52].

Questo parametro piuttosto semplice, per la valutazione economica dei sistemi fotovoltaici, permette di dare un iniziale giudizio sulla convenienza di tali applicazioni. Facendo ricorso ai valori già riportati nelle sezioni dedicate alle singole applicazioni, si può vedere come, utilizzando condizioni al contorno medie abbondantemente ottenibili, le installazioni più convenienti sono quelle integrate nelle coperture inclinate e sulle terrazze piane, per le quali si raggiungono tempi di ritorno intorno ai sei anni. Questi risultati possono essere migliorati di molto se, come materiale di fabbricazione delle celle fotovoltaiche, non venisse più usato il silicio ultrapuro dell’industria

elettronica, ma si utilizzasse, invece, un silicio policristallino di “grado solare”, molto meno puro, ottimizzato per gli scopi fotovoltaici e con un risparmio, sulla quantità d’energia alla produzione, che raggiunge fino oltre l’80%. Questo porterebbe ad una diminuzione netta dei valori precedentemente rilevati dell’EPBT fino anche a meno di un anno e mezzo. Il raggiungimento di un livello di produzione elevato e di una riduzione dei costi per una commercializzazione accelerata del fotovoltaico sono i punti chiave, che possono spingere l’industria del settore ad investire su un’organizzazione produttiva su larga scala, meno artigianale e più automatizzata. Per fare ciò, sarebbe assolutamente insufficiente prevedere uno sviluppo di qualche chilowatt alla volta, ma, al contrario, è auspicabile una crescita di diversi megawatt l’anno in modo continuo e con successivi incrementi stabili[54]. Valutare le condizioni economiche cui il fotovoltaico è posto, non è particolarmente facile perché, attualmente, è una tecnologia in rapido sviluppo, grazie anche al sempre più crescente interesse, che i governi internazionali hanno dimostrato verso di essa. Ai fini di un’adeguata stima dei costi del fotovoltaico, vale la pena subito sottolineare come le spese che influenzano maggiormente sono quelle di realizzazione dell’impianto poiché quelle rivolte alla gestione e alla manutenzione sono assolutamente ininfluenti (stimabili intorno all’1% annuo dell’investimento iniziale), come d’altra parte va evidenziato che la fonte energetica di questa tecnologia, il Sole, è totalmente gratuita. In ambito residenziale, per applicazioni qui in particolare esaminate “grid-connected”, i costi di realizzazione possono essere riassunti intorno a cifre pari a 7.500÷10.000�/kWp, dove la spesa richiesta per i soli moduli pesa tra il 40% e il 70%. Una volta definiti tutti questi costi e stimata la produttività elettrica annuale dell’impianto, il costo dell’energia fotovoltaica si può calcolare come:

( ))(annoPV

meinvPV E

CCAC ++⋅

= ,

Fig. 56 - Percentuale d’incidenza dei singoli costi sull’investimento totale; [W18]

94

con: CPV, costo dell’energia fotovoltaica prodotta dall’impianto in analisi espresso in �/kWh,

A, fattore di annualizzazione dell’investimento calcolato come ( )

1

1 1

1−

=��

+= �

N

nni

A (dove

“N” rappresenta gli anni di vita utile dell’impianto e “i” il tasso d’interesse reale del capitale),

Cinv, investimento iniziale, Ce+m, spese annuali d’esercizio e manutenzione, EPV(anno), energia prodotta dall’impianto in un anno36.

Si possono determinare, per mezzo di questa formula, valori piuttosto generali di costi del fotovoltaico “grid-connected”, che oscillano in un range tra 0,34�/kWh e 0,45�/kWh. Essi sarebbero difficilmente paragonabili ai costi energetici tradizionali, se non si tenesse conto dei loro benefici ambientali, che valorizzano maggiormente il “chilowattora solare”. Infatti, i costi indiretti che si vanno ad aggiungere a quelli diretti, facilmente monetizzabili, gravano allo stesso modo sulla società e sono dovuti essenzialmente agli effetti che i sistemi convenzionali generano sull’ambiente, sulla salute pubblica e in rapporto con l’economia, come sull’occupazione. Di solito si tende, in un’analisi economica, a non includere tutti quegli elementi non quantificabili e valutabili, ed è per questo motivo che si sono fatti studi approfonditi sull’argomento con risultati interessanti. Una ricerca del 1984 del Fraunhofer Institut di Stoccarda, confermata da analisi più recenti negli Stati Uniti e in Inghilterra, ha dimostrato che i costi ambientali e sociali medi associabili a risorse convenzionali possono comportare un sovrapprezzo di circa 0,035÷0,075�/kWh[36]. Essendo il fotovoltaico per buona parte esente da tali spese aggiunte, il confronto sulla sfera economica con le fonti tradizionali sembra alleggerirsi e diventare meno sproporzionato, seppur sempre svantaggiato. In generale, secondo lo stato dell’arte attuale e per condizioni medie, il costo di realizzazione di un impianto fotovoltaico “grid-connected”, IVA esclusa, si aggira intorno ai 6.700÷8.300�/kWp, dove i prezzi vanno calando all’aumentare della taglia del sistema. È bene ricordare che, nell’intero ciclo di vita di un sistema fotovoltaico, compaiono emissioni di gas a effetto serra, dovute non tanto alla fase operativa, quanto ai processi di fabbricazione. Tale impatto è notevolmente ridotto, ma non nullo. Esso può essere quantificato in circa 0,005÷0,040kgCO2/kWel, secondo la tecnologia impiegata, in ogni modo abbondantemente al di sotto del fattore di emissione del mix elettrico alla produzione/distribuzione in bassa tensione pari a 0,655kgCO2/kWel (valore valido per la produzione elettrica in Italia, 1995)[36]. Vista l’importanza dei benefici della tecnologia fotovoltaica nel rispetto dell’ambiente è sicuramente utile fare un rapido calcolo: ipotizzando una vita utile di 30 anni per un impianto fotovoltaico di 2kWp, si può prevedere in totale la generazione di circa 80.000kWhel (capacità produttività media annua per l’area dell’Italia centrale: annokWkWh pel350.1 ), quindi

emissioni evitate = [ ] [ ] 22 400.52655,0000.80 kgCOkWkgCOkWh elel =⋅ . Si eviteranno, allora, l’immissione in atmosfera di circa 52 tonnellate di anidride carbonica (gas serra) prodotte dalla combustione di circa 20 tonnellate di combustibili fossili (250g di combustibili fossili per la produzione di un chilowattora).

1.3.3. Sistemi ibridi – cenni alla ricerca Il concetto di sistema ibrido fotovoltaico-termico è nato dalla necessità di migliorare le prestazioni delle celle fotovoltaiche che come visto tendono a peggiorare le loro performance all’aumentare della temperatura d’esercizio. Si è pensato, allora, di asportare questo calore in modo produttivo e quindi di poterlo utilizzare al fine dell’utenza. Solo una parte della radiazione solare incidente su di un modulo fotovoltaico viene convertita in corrente elettrica, la restante frazione si trasforma sostanzialmente in calore. Nell’intento di

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non sprecare questa comunque utile forma d’energia, si è pensato di raccoglierla per mezzo di un fluido termovettore, il quale successivamente trasporterà il calore per assolvere diverse funzioni, quali la produzione d’acqua calda sanitaria. Fondere in un unico pannello le proprietà fotovoltaiche con quelle eliotermiche, permette di recuperare energia altrimenti dissipata e provvedere al mantenimento dell’efficienza elevata nella produttività della corrente elettrica. La messa in pratica di questi concetti apparentemente naturali risulta in realtà piuttosto difficoltosa, poiché si deve tradurre nella ricerca di un equilibrio delicato. L’asportazione del calore dai moduli fotovoltaici e l’ottenimento del massimo guadagno termico, sono obiettivi che possono entrare parzialmente in conflitto. Gli studi e le sperimentazioni proseguono nella ricerca, perché le potenzialità connesse all’impiego architettonico in ambito residenziale dei sistemi ibridi sono assolutamente interessanti. Principio di funzionamento Una volta noto il funzionamento di base dei sistemi fotovoltaici e termici, che costituiscono un sistema ibrido, la loro concezione rimane piuttosto semplice. Si tratta di trasferire l’energia termica, assorbita prima, rilasciata poi dal modulo fotovoltaico, ad un fluido termovettore. Tale passaggio può avvenire principalmente attraverso scambi convettivi.

Caratteristiche tecniche Le prestazioni dei sistemi ibridi dipendono fortemente dalle specifiche condizioni operative e, quindi, prescindono strettamente dai singoli casi applicativi. Per individuare, in ogni modo, un parametro adatto a caratterizzare l’impianto, che si desidera installare, si può fare riferimento all’efficienza complessiva di conversione della radiazione solare in energia elettrica e termica:

ThPVG

thelThPV AI

PP

// ⋅

+=η ,

dove: Pel rappresenta la potenza elettrica generata [W]; Pth esprime la potenza termica generata [W]; IG corrisponde alla radianza globale [W/m2]; APV/Th indica la superficie di captazione del sistema ibrido [m2][36].