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Guerre, terra, libertà. Tre generazioni per attraversare il ’900 di BARBARA CANGIANO “Poi il secolo del tempo veloce si è fermato. Incastrati nei suoi rottami non riusciamo più a muoverci. Immobilizzati, anestetizzati, immemori. In mezzo a insensati ingorghi di lamiere, nella palude di deboli pensieri unici, nei cimiteri di fabbriche chiuse”. Ammesso che vi sia un non senso nella Storia, non può tanto facilmente esserci nelle storie che la attraversano, in quelle vite tese a speronare uno spazio, a saltare il cerchio del tempo, ad afferrare nel pugno quella svolta solo annusata. “Lascia che il mare entri”, il nuovo volume che Barbara Balzerani ha pubblicato per Derive Approdi - che sarà presentato oggi alle 18 alla libreria Feltrinelli - non è un romanzo tout court, come pure lo ha etichettato l’editore. E’ piuttosto il racconto struggente e poetico di tre generazioni di donne che sono, ognuna con le proprie caratteristiche ed il proprio vissuto,

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Guerre, terra, libertà. Tre generazioni per attraversare il ’900di BARBARA CANGIANO “Poi il secolo del tempo veloce si è fermato. Incastrati nei suoi rottami non riusciamo più a muoverci. Immobilizzati, anestetizzati, immemori. In mezzo a insensati ingorghi di lamiere, nella palude di deboli pensieri unici, nei cimiteri di fabbriche chiuse”. Ammesso che vi sia un non senso nella Storia, non può tanto facilmente esserci nelle storie che la attraversano, in quelle vite tese a speronare uno spazio, a saltare il cerchio del tempo, ad afferrare nel pugno quella svolta solo annusata. “Lascia che il mare entri”, il nuovo volume che Barbara Balzerani ha pubblicato per Derive Approdi - che sarà presentato oggi alle 18 alla libreria Feltrinelli - non è un romanzo tout court, come pure lo ha etichettato l’editore. E’ piuttosto il racconto struggente e poetico di tre generazioni di donne che sono, ognuna con le proprie caratteristiche ed il proprio vissuto, un inserto della grande e fratturata storia del Novecento italiano.Il sangue della prima guerra mondiale e i sacrifici del mondo contadino vengono sussurrati nei piccoli gesti quotidiani dell’anziana bisnonna, tanto perspicace a comprendere i meccanismi della depredazione, da chiudersi in un mutismo oracolare e quasi profetico. Il secondo dopoguerra e la fiducia dagli occhi bambini nell’innovazione (“Altro che terra, ci voleva l’industria per cambiare il destino dell’umanità”) rivivono in un

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nome, quello di Nenni, sputato all’improvviso dalla madre per riscattare la libertà segregata. E infine, un terzo millennio di metropoli e libri, di scuole che diventano palestre per la rivoluzione, di ansia di “pane condito di libertà” per realizzare un comunismo che fosse il “regno di utopia sulla terra”, che esplode nella penna di chi scrive. Balzerani si racconta, vomita fuori le sue inquietudini, le lacerazioni di figlia e di militante, anche se gli accenni (mai diretti) al passato nelle Brigate Rosse ed alla sua lunga detenzione in carcere, sono evanescenti rispetto al corpus di un volume che intreccia tre modi di sentire e vivere la vita, l’amore, la libertà e soprattutto la lotta al capitalismo. L’autrice non fa sconti: “Nessuno o tutti, o tutto o niente, cantavamo tra le macerie di vecchie ingiustizie. E così è stato, perchè a chi quella musica nuova non piaceva, è rimasto a rimestare nella polvere. Ha nutrito una ferocia - scrive - almeno pari alla paura di vedere cambiare secoli di privilegio e sudditanza. E’ rimasto in silenzio a coltivare odio, ad aspettare il suo momento e il nostro sangue».Ma la fermezza non è propria solo della rivoluzione armata. La sedizione - intesa come battaglia di libertà - può parlare più lingue, ed essere “più silente ma non meno radicale di quella dei miei anni ribelli”, ammette l’autrice parlando del carattere delle sue donne (la bisnonna e la madre) che le resta ancora oggi attaccato alla pelle. E poi flash. Effetto notte e bicchieri svuotati, in un sud che è liquido amniotico, tra Scilla e Cariddi, dove immergersi per rinascere alla grazia consapevole, in un mare che è natura e al quale, anzichè mostrare i pugni, è forse meglio cedere nei termini di “un’alleanza sapiente con tutto ciò che comprende”. Perchè il mare, va lasciato entrare. Ovunque, in un luogo che potrebbe essere tutti quelli in cui si riesce a sentire il grande respiro del mondo e a recuperarne la memoria.

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Ecco. E’ allora che si comprende quanto sia necessario “avere occhi per vedere e orecchie per sentire. E cuore per amare l’infinita pazienza di ciò che alla fine rimane. Indistruttibile”. In fondo esiste. Basta solo imparare a riconoscere il silenzio, fuori dalla chiacchiera che confonde. (. Barbara Balzerani, “Lascia che il mare entri”, Derive Approdi, 102 pagine, 12 euro).