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E’ stato difficile parlare con le donne arrivate alla stazione. Uno dei problemi maggiori è stata la lingua, ma anche là dove c’era la possibilità di avere una traduzione, con grande difficoltà erano disponibili a raccontare le loro storie. Per capire le motivazioni di questa chiusura bisogna conoscere le loro esperienze nel Paese da cui provengono oltre che i traumi subiti durante il viaggio. La composizione delle donne migranti era abbastanza diversificata, così some il paese di provenienza anche se durante il periodo iniziale gli Stati da cui fuggivano erano soprattutto quelli del Corno d’ Africa: Etiopia, Somalia, Eritrea. Pochissime volevano fermarsi in Italia e questo è anche uno dei motivi per cui per loro non era importante cercare di stabilire delle relazioni. Alcune sono arrivate da sole con un progetto lavorativo da realizzare là dove c’è più possibilità di lavoro. Questo è un fatto abbastanza recente perché fino a un po’ di anni fa, almeno per quanto riguarda i paese dell’Africa, erano solo gli uomini scelti dalla famiglia che partivano. Adesso anche le donne partono secondo un piano familiare ben strutturato e prendendo su di sé la responsabilità di dare un futuro alla famiglia. Le lavoratrici straniere sono infatti divenute necessarie all’interno di alcune niccchie di mercato riservato specificatamente alle donne, soprattutto nel settore dei servizi a bassa qualificazione che, garantendo condizioni di lavoro estremamente precarie, paghe basse e scarsa considerazione sociale, fanno sì che simili occupazioni divengano appetibili solo per le straniere, più povere e bisognose di denaro. Alcune sono arrivate per un ricongiungimento familiare, altre arrivate insieme ai coniugi in un percorso migratorio più familiare, altre attraverso il mercato del sesso e infine altre scappate da condizioni di povertà in conseguenza di conflitti armati o da situazioni di violenza. Diversi sono i modo in cui la violenza viene agita. Le donne sono discriminate in maniera molto netta per quanto riguarda l’istruzione, discriminazione che inizia fin da quando sono ragazze o bambine. A loro spesso tocca il compito di stare a casa per aiutare nelle faccende domestiche. In molti casi

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E’ stato difficile parlare con le donne arrivate alla stazione. Uno dei problemi maggiori è stata la lingua, ma anche là dove c’era la possibilità di avere una traduzione, con grande difficoltà erano disponibili a raccontare le loro storie.Per capire le motivazioni di questa chiusura bisogna conoscere le loro esperienze nel Paese da cui provengono oltre che i traumi subiti durante il viaggio. La composizione delle donne migranti era abbastanza diversificata, così some il paese di provenienza anche se durante il periodo iniziale gli Stati da cui fuggivano erano soprattutto quelli del Corno d’ Africa: Etiopia, Somalia, Eritrea. Pochissime volevano fermarsi in Italia e questo è anche uno dei motivi per cui per loro non era importante cercare di stabilire delle relazioni. Alcune sono arrivate da sole con un progetto lavorativo da realizzare là dove c’è più possibilità di lavoro. Questo è un fatto abbastanza recente perché fino a un po’ di anni fa, almeno per quanto riguarda i paese dell’Africa, erano solo gli uomini scelti dalla famiglia che partivano. Adesso anche le donne partono secondo un piano familiare ben strutturato e prendendo su di sé la responsabilità di dare un futuro alla famiglia. Le lavoratrici straniere sono infatti divenute necessarie all’interno di alcune niccchie di mercato riservato specificatamente alle donne, soprattutto nel settore dei servizi a bassa qualificazione che, garantendo condizioni di lavoro estremamente precarie, paghe basse e scarsa considerazione sociale, fanno sì che simili occupazioni divengano appetibili solo per le straniere, più povere e bisognose di denaro.Alcune sono arrivate per un ricongiungimento familiare, altre arrivate insieme ai coniugi in un percorso migratorio più familiare, altre attraverso il mercato del sesso e infine altre scappate da condizioni di povertà in conseguenza di conflitti armati o da situazioni di violenza. Diversi sono i modo in cui la violenza viene agita. Le donne sono discriminate in maniera molto netta per quanto riguarda l’istruzione, discriminazione che inizia fin da quando sono ragazze o bambine. A loro spesso tocca il compito di stare a casa per aiutare nelle faccende domestiche. In molti casi sono loro a dover affrontare lunghi cammini per procurare l’acqua a tutta la famiglia. Circa 14 milioni di donne in differenti paesi dell’Africa sub sahariana trascorrono le proprie lunghe giornate camminando per chilometri e chilometri e caricandosi al ritorno di chili di acqua. Gli aspetti più preoccupanti riguardano il tragitto che le donne devono spesso percorrere, talvolta in zone impervie o controllate da gruppi ribelli, milizie armate di varia natura, altre volte in territori pericolosi come paludi, foreste, deserti. E in queste condizioni è facile che vadano incontro ad un altro tipo di violenza. In questi percorsi , per il lungo periodo che stanno in strada, sono più esposte al rischio di abusi sessuali. Non a caso una delle conseguenze di questi abusi o di violenza contro le donne, soprattutto quelle più giovani è l’infezione da HIV. Tra i 15 e i 24 anni la percentuale delle donne infettate sale al 75% rispetto al 60% dell’intera popolazione femminile. Oltre all’alta possibilità di contrarre il virus, c’è una bassa possibilità di accedere al test e anche uno scarso accesso al trattamento farmacologico. Spesso sono le donne stesse che rifiutano di sottoporsi al test, pur avendo il sospetto di aver contratto l’infezione, perché le conseguenze della diagnosi sono l’allontanamento dalla famiglia o il ripudio da parte dei mariti. Le donne malate sono considerate inferiori e quindi da tenere lontano. Ma se una donna vuole proteggersi non le è permesso; non è raro vedere uomini picchiare donne che rifiutano il sesso o che chiedono di usare il preservativo.

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In generale la possibilità di accedere alle cure è molto bassa per le donne. SE rimangono incinte nel 57% dei casi ricevono un trattamento durante la gravidanza, ma solo il 30 % riceve un trattamento per la sua infezione e quindi per la propria salute. Più spesso le donne cominciano a soffrire fin da giovani di patologie che nei nostri paesi compaiono più in tarda età, sia per i lavori pesanti a cui si sottopongono, sia anche perché, a causa della loro scarsa istruzione, hanno scarsa conoscenza delle patologie. Per molte di loro la parola cancro non esiste nel loro vocabolario.Nell’Africa sub sahariana c’è anche il primato della mortalità materna: su 100.000 nascite, si registrano più di 500 decessi. E’ questa una delle parti del mondo dove il fenomeno della mortalità materna si manifesta in forma così grave.Ma la violenza non avviene solo da parte di estranei. Spesso viene dalla famiglia stessa: 1° testimonianzaVolevo studiare, diventare indipendente. Ho visto infrangere il mio sogno a 14 anni. I miei genitori erano molto poveri e non potevano permettersi di farmi studiare. Mi tolsero dalla scuola e comincia a dare una mano a casa. Ma ancora non bastava. I miei genitori pensarono di darmi in sposa.Non ci si può opporre ad un matrimonio combinato, così come non ci si può ribellare al marito. In alcuni di questi paesi il codice civile non prevede il reato di stupro e la situazione è ancora peggiore dove persiste una guerra civile o una guerra di religione. In alcune culture il marito dispone dello IUS CORIGENDI, cioè il diritto/dovere di educare la moglie anche ricorrendo ad atti lesivi. Le donne non hanno una loro autonomia economica. Spesso non hanno il diritto di lavorare e anche quando questo viene loro concesso si tratta sempre di lavori sottopagati, degradanti, senza diritti, nei quali si trovano a svolgere mansioni di secondo grado.Tra le violenze più diffuse ci sono le mutilazioni genitali. Queste sono molto comuni nel continente africano dove circa 3 milioni di donne e bambine sono a rischio ogni anno. Complessivamente sono 91,5 milioni le ragazze superiori ai 9 anni vittime di questa pratica.I paesi dove le mutilazioni genitali sono più diffuse sono il Mali, il Gambia, l’Egitto, l’Etiopia, la Somali, l’Eritrea, la Guinea. Il Sudan, la Sierra Leone. Molti di questi paesi sono proprio quelli da cui provengono le donne migranti che sono arrivate a Como.In Somalia ad es. 98 donne su 100 subiscono mutilazioni genitali, quindi quasi tutta la popolazione femminile. Il numero di donne che chiedono asilo dai paesi in cui si praticano le mutilazioni genitali sono in costante aumento, ma di questo le donne non parlano. I motivi per cui si praticano le mutilazioni genitali sono diversi: la credenza - dovuta allo scarso livello di istruzione (l’85% delle donne è analfabeta), che questo sia un precetto islamico, mentre in realtà nel Corano non vi è traccia di questa pratica. Ma quello religioso è solo uno dei numerosi motivi di questa pratica. Esistono delle ragioni sessuali che si concretizzano nella volontà di dominare o ridurre la sessualità femminile; delle ragioni igieniche ed estetiche secondo le quali i genitali femminili sono reputati portatori di infezioni e osceni e infine delle ragioni sanitarie, poiché si pensa che la mutilazione possa favorire la fertilità della donna e la sopravvivenza del bambino. In ultimo luogo, nonostante alcuni progressi ottenuti e nonostante sia formalmente illegale in molti paesi africani, le mutilazioni genitali femminili rimangono una pratica tradizionale, quindi con motivazioni sociologiche e culturali, legata alla cultura locale che vede nella mutilazione una sorta di rito di passaggio all’essere donna o un requisito essenziale per il matrimonio, un mezzo di

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integrazione sociale delle giovani e quindi un metodo di mantenimento della coesione nella comunità.L'OMS individua 4 tipi di mutilazioni genitali femminili: I - rimozione del cappuccio o prepuzio clitorideo (la piega della pelle attorno al clitoride)

con asportazione parziale o totale del clitoride stesso. II - rimozione delle piccole labbra, con asportazione parziale o completa del clitoride e

delle grandi labbra III - rimozione parziale o totale sia delle piccole che della grandi labbra, con cucitura

della vagina lasciando solo un piccolo foro per il passaggio dell'urina e del sangue delle mestruazioni. Quest'ultima è propriamente definita infibulazione.

IV - altri atti vari, tra cui cauterizzazione del clitoride, taglio della vagina ed introduzione in essa di sostanze corrosive per restringerne il canale vaginale.

Testimonianza n. 2«A 10 anni volevo operarmi come tutte le mie amiche. Mia madre non voleva che venissi infibulata, lei aveva sofferto tanto, ma a all'età di dieci anni io non capivo. Ogni giorno piangevo, mi rifiutavo di mangiare, mi ero barricata in casa, non volevo più parlare con nessuno, urlavo in continuazione: -Ti prego mamma fammela fare, voglio essere come tutte le altre mie amiche-. Mi sentivo male quando stavo in mezzo alle mie compagne di gioco. Mi prendevano in giro e mi insultavano: -Sei grande, hai dieci anni e non hai ancora fatto l'infibulazione. Tu non sei una musulmana, sei una cristiana. Sei una puttana. Sei tutta aperta, bisogna chiudere. Una ragazza per bene deve essere infibulata-. Ero disperata perché ero diversa dalle mie amiche che sghignazzando mi provocavano: -Se non sei una puttana, facci vedere che sei cucita, ma se sei aperta vuol dire che sei una puttana-».Alcune donne sono arrivate incinte. Se sono sole, senza un compagno o un marito, nasce una domanda che è difficilissimo fare: “ Sei stata vittima di violenza?” Se la donna denuncia ha diritto alla protezione internazionale ma dovrà rivivere il suo dramma raccontando tutto quello che è successo in Commissione. Territoriale.La condizione delle donne migranti che arrivano in Italia è molto complessa. Alcune raccontano di essere fuggite dal proprio paese per la condizione vissuta lì, e poi finiscono in un bordello in uno dei paesi lungo la strada, senza soldi, senza documenti, senza sapere come tornare indietro, spesso senza poter tornare indietro né come andare avanti.Spesso sono costrette a soffocare i traumi che hanno vissuto: non possono parlarne con nessuno per vergogna anche perché spesso provano rabbia nei confronti di se stesse in quanto pensano di essersi meritato quello che è successo loro e inoltre devono confrontarsi con la frustrazione del fallimento in quanto dopo tutta la fatica che hanno fatto non trovano il sogno Europa che è stato promesso loro prima di partire. I familiari in Africa spesso non credono che le donne si trovino in una condizione di indigenza e spesso sono le donne stesse a rassicurare i familiari, ma anche a trovare scuse per giustificare il mancato invio di soldi a casa. Frequentemente, anche se non lo danno a vedere, sono annientate, non si sentono esseri umani e se si accorgono che chi le ascolta non è in grado di sostenere la situazione, si chiudono e non si fanno aiutare. Prima che di asilo politico hanno bisogno che venga riconosciuto il loro status di persona.Nei campi inoltre gli aiuti sono stati calibrati in particolar modo per una presenza maschile e si trascura il bisogno sanitario e psicologico di cui sono portatrici le donne.