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Cinque celebri foto di Robert Capa Abbiamo già avuto modo di parlare di Robert Capa e, brevemente, della sua carriera quando abbiamo presentato i ritratti di Henri Cartier-Bresson , che di Capa fu collega e amico. Ma ad uno dei fotografi più celebri del ‘900 non potevamo non dedicare un articolo tutto intero, per ripercorrerne la vita. E per

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Cinque celebri foto di Robert Capa

Abbiamo già avuto modo di parlare di Robert Capa e, brevemente, della sua carriera quando abbiamo presentato i ritratti di Henri Cartier-Bresson, che di Capa fu collega e amico. Ma ad uno dei fotografi più celebri del ‘900 non potevamo non dedicare un articolo tutto intero, per ripercorrerne la vita. E per individuare, tra le tantissime fatte in carriera, le cinque fotografie a nostro modo di vedere più rappresentative.

Nato nel 1913 a Budapest col nome di Endre Ernő Friedmann, aveva iniziato a lavorare in uno studio fotografico nei primi anni ’30 a Berlino. Essendo di origini ebraiche, aveva però preferito lasciare il paese nel 1933 all’avvento del nazismo, spostandosi a Parigi. Qui avrebbe incontrato

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difficoltà a trovare lavoro, fino a quando nel 1935 non conobbe la giovane tedesca Gerta Pohorylle. Anche lei era scappata dalla Germania perché avversa al regime hitleriano.

I due si innamorarono e cominciarono a lavorare assieme, capendo anche di aver bisogno di nuovi nomi, più accattivanti per il mercato. Inventarono così prima l’identità di Robert Capa, cercando un’assonanza col celebre Frank Capra e fingendosi solo degli intermediari per il fantomatico fotografo americano. Dopodiché Friedmann iniziò ad assumere direttamente l’identità di Capa, mentre la Pohorylle inventò un nuovo pseudonimo per sé, Gerda Taro. Quest’ultimo nome era preso dall’artista giapponese Taro Okamoto, ma cercando anche qui un’assonanza con una diva del cinema, Greta Garbo.

L’idea si rivelò vincente e i due cominciarono a vendere le prime foto, anche spostandosi all’estero (la prima immagine di Capa pubblicata fu una foto di Trockij che parlava a Copenaghen). Nel 1936 scoppiò la Guerra civile spagnola, e Capa e la Taro – anche per il loro passato antinazista – ci si buttarono a capofitto. La Taro morì purtroppo l’anno successivo per un banale incidente al fronte, mentre Capa era a Parigi per piazzare le foto.

Terminata la guerra di Spagna fu immediatamente la volta della Seconda guerra mondiale, nella quale il fotografo ungherese si distinse come il miglior reporter di guerra del periodo. Partecipò anche direttamente allo sbarco in Normandia. Durante l’invasione della Francia si trovava infatti negli Stati Uniti e quindi seguì tutto il conflitto assieme alle truppe angloamericane.

Nel 1947 fondò a Parigi l’agenzia Magnum Photos assieme a Henri Cartier-Bresson, William Vandivert, David Seymour e George Rodger. Dopodiché visitò la Russia ed Israele. Nei primi anni ’50 seguì le truppe francesi in Indocina e qui morì, a quarant’anni d’età, nel 1954, dopo aver messo un piede su una mina. Ma ripercorriamo più in dettaglio la sua carriera vedendo assieme, come anticipato, cinque celebri foto di Robert Capa.

 

Morte d’un miliziano

Il simbolo della Guerra di Spagna

La fotografia sicuramente più celebre di Robert Capa è anche una delle prime che realizzò, nel 1936, ancora ventiduenne. Fu pubblicata alla fine del mese di settembre 1936 sulla rivista francese VU e successivamente ripresa da molte altre testate, tra cui l’americana Life . D’altronde, la Guerra civile spagnola era cominciata da appena due mesi ma già si prospettava come una seria minaccia alla pace in Europa.

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La foto divenne rapidamente emblematica di tutta la guerra e fu considerata forse la migliore nel fotogiornalismo di guerra fino a che, negli anni ’70, qualche studioso non iniziò a muovere dei dubbi sull’autenticità della stessa immagine. Le polemiche montarono fino a che negli anni Duemila lo spagnolo José Manuel Susperregui non condusse una serie di confronti sul paesaggio di Cerro Muriano, dove Capa aveva affermato di aver scattato la fotografia, e di altre località nei dintorni. Lo studioso stabilì che in realtà l’immagine doveva esser stata realizzata a Espejo, a più di 50 chilometri di distanza dalla location dichiarata dal fotografo e lontana anche dal fronte. Inoltre, il miliziano non sembrava essere l’anarchico Federico Borrell García, come invece si era sempre sostenuto, perché varie testimonianze lo davano morto in maniera diversa.

Gli studiosi a quel punto si divisero in due gruppi, tra quelli che sostenevano l’autenticità della foto e quelli che la ritenevano invece un’immagine costruita ad arte. A mettere la parola fine sulla questione è stato nel 2009 il ritrovamento di una serie di negativi di Capa e della Taro che si ritenevano perduti ma erano in realtà finiti in Messico. Donati alla Fondazione fondata dal fratello di Capa, dimostrarono che in quel giorno del settembre ’36 Capa e la compagna scattarono foto con miliziani messi ad arte in varie pose, anche appunto fingendo di essere stati appena colpiti.

 

Bilbao. Crowds running for shelter as the air-raid alarm sounds

I bombardamenti aerei dei franchisti

1937. Un anno era passato e Capa era diventato ormai un fotografo esperto, nonostante l’ancora giovanissima età. Era stato parecchio tempo al fronte, ma si era anche spostato nelle città dell’interno, per vedere le reazioni della gente comune alla partenza dei soldati e al clima di guerra. Vari scatti li aveva effettuati a Barcellona, che era il centro nevralgico del fronte repubblicano. Ma nel 1937 si spostò pure a Bilbao, città che rappresentava in quel momento il punto cardine della guerra.

I Paesi Baschi, infatti, erano fedelmente repubblicani ma staccati dal resto delle terre in mano agli anti-franchisti. Isolati, insomma, rischiavano di cadere quanto prima, anche perché all’interno del fronte di sinistra stavano nascendo i primi problemi. L’URSS, infatti, tentava di isolare e a volte assassinare gli anarchici e gli esponenti del POUM, il partito marxista antisovietico. A fine marzo era cominciata l’offensiva dei franchisti e Capa, passando per la Francia, era corso a documentare la resistenza della città basca, che veniva quotidianamente bombardata.

Prima che la città venisse presa

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In quest’immagine, scattata circa un mese prima della conquista della città da parte del generale nazionalista Fidel Dávila, si vede il momento in cui suona l’allarme del raid aereo. Il momento in cui la gente comincia a muoversi, tenendo gli occhi puntati verso il cielo, per trovare un rifugio. Un’immagine che diverrà fin troppo familiare durante la Seconda guerra mondiale.

 

Normandy. Omaha Beach. The first wave of American troops lands at dawn

Il D-Day e le foto scomparse

Come detto, una volta diventato reporter di guerra e persi i legami affettivi con la morte di Gerda Taro, Capa si ributtò subito in un’altra guerra, il secondo conflitto mondiale scoppiato mentre si trovava a New York in cerca di nuovi incarichi di lavoro. Dopo un paio d’anni di fotografie a star del cinema e della letteratura (tra cui Ernest Hemingway, di cui divenne grande amico per la comune vocazione nel raccontare le guerre), a partire dal 1943 fu aggregato stabilmente alle truppe americane. Le seguì prima durante lo sbarco in Sicilia e la risalita attraverso l’Italia, poi con lo sbarco in Normandia e l’ingresso nella “sua” Francia.

Il giorno del D-Day, il 6 giugno 1944, Capa era a bordo di un mezzo da sbarco americano che puntava verso la spiaggia chiamata col nome in codice di Omaha Beach. Documentò dalla primissima linea le operazioni, con una serie di scatti magari non nitidi e fermi ma dalla grande importanza storica. Si trattava infatti dei documenti più vivi e attendibili di come si svolsero le operazioni in quella decisiva battaglia della Seconda guerra mondiale.

Se quel giorno Capa riuscì a scattare le sue fotografie e soprattutto a sopravvivere, non altrettanto bene gli andò però quando tentò di far sviluppare quelle immagini. Il tecnico della camera oscura infatti, ansioso di vedere le foto dello sbarco, accelerò troppo i tempi dello sviluppo rovinando in maniera irrecuperabile circa novanta dei cento scatti effettuati da Capa. Ad ogni modo, le dieci immagini salvatesi entrarono subito nella storia dei reportage di guerra. In particolare a noi piace quella che riportiamo qui di fianco che, mossa e agitata, dà bene l’idea della fretta e dell’urgenza che caratterizzarono quell’azione militare.

 

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Pablo Picasso and Françoise Gilot

Ritratto dell’artista da vecchio

Prima di concludere la nostra rassegna, prendiamoci un attimo di pausa, perché anche Robert Capa dopo l’armistizio della Seconda guerra mondiale volle fermarsi per qualche tempo. D’altra parte, aveva vissuto come reporter di guerra sostanzialmente dal 1936 al 1945, per nove anni di fila, perdendo persone amate, intrattenendo relazioni fugaci, rischiando la vita fin troppo spesso. Anche lui, come tutti i soldati che avevano combattuto, voleva tornare a una vita più o meno normale.

Per questo si stabilì in quella che considerava la sua vera patria, la Francia, dopo una breve permanenza di qualche mese ad Hollywood. Lì cominciò a fare un po’ di bella vita, a frequentare artisti e colleghi fotografi. E tra gli artisti, quello che dominava la scena parigina da almeno un trentennio era Pablo Picasso, padre nobile del cubismo. Lo spagnolo viveva nella capitale dal 1900 e non se ne era andato neppure con l’invasione dei nazisti, contro i quali aveva già dipinto Guernica. Ma nessuno poteva toccarlo, tanta era la sua fama a livello internazionale.

Leggi anche: Cinque importanti opere di Pablo Picasso

Picasso amava conoscere fotografi e da essi farsi ritrarre, visto che anche quando abbiamo parlato delle foto di Cartier-Bresson abbiamo dovuto citarne una col pittore spagnolo datata 1944. Con Capa però il rapporto era anche più personale, visto che il pittore se lo portò al mare, in Costa Azzurra, assieme alla compagna Françoise Gilot e al loro primogenito Claude.

In questa foto, scattata in una spiaggia assolata, Picasso viene ridotto a un umile portaombrelloni per la sua musa, sorridente e sicura di sé tanto quanto lui appare goffo e vecchio. E ancora di più stride il confronto tra Picasso stesso e il giovane uomo muscoloso sullo sfondo. Una fotografia nata per esaltare il clima familiare che però, nemmeno troppo sotto traccia, lasciava trasparire le dinamiche di coppia che di lì a qualche anno sarebbero emerse. Sarebbe stata infatti proprio la Gilot a lasciare l’artista per le sue infedeltà, cosa che a Picasso non era mai successa prima e che per questo lo fece entrare in un periodo di depressione relativamente lungo. Periodo durante il quale molti suoi disegni a china finirono per rappresentare un vecchio nano che era il ritratto di se stesso.

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Child at the Sha’ar Ha’aliya transit camp for new immigrants

I profughi israeliani

Finita la Seconda guerra mondiale, l’Europa chiedeva pace. La chiese e la ottenne, almeno sul proprio suolo. Più difficile fu però ottenerla, anche proprio per colpe europee, altrove, dove c’erano ancora da sistemare gli effetti del conflitto mondiale e del cambiamento dei tempi. Capa era ormai una celebrità nel mondo della fotografia e non solo. I suoi reportage dalla Normandia, uniti a quelli dalla Spagna con cui aveva avvertito l’Occidente dei rischi del nazifascismo, ne avevano fatto quasi un divo. Non era un caso che terminata la guerra avesse ingaggiato una breve ma intensa relazione pure con Ingrid Bergman, diva, lei sì per davvero, del cinema hollywoodiano.

Per qualche mese anche Capa visse proprio a Hollywood, ma poi il richiamo del viaggio e della guerra si fece troppo forte. Visitò la Russia assieme a John Steinbeck, preparando un reportage in immagini e parole di un paese che era ancora poco conosciuto negli Stati Uniti ma che di lì a pochissimo sarebbe diventato il nemico numero uno. Poi, come anticipato, a Parigi fondò la Magnum Photos della quale divenne presidente nel 1952 e partì per Israele, dove nel 1948 era nato il nuovo Stato.

Anche quello era sostanzialmente un territorio di guerra. Appena fondato, lo Stato ebraico aveva subito l’attacco di Egitto, Siria, Libano, Iraq e Transgiordania, che però erano stati respinti in un conflitto rapido. Otto anni più tardi, nel 1956, sarebbe stata la volta della crisi di Suez, e poi di altre guerre negli anni ’60 e ’70. Ma tutte queste ultime cose avvennero quando Capa non era più in vita per poterle documentare.

Nel 1949, quando arrivò in Israele, trovò perciò solo profughi, immigrati, operai che cercavano di costruire nuove installazioni e coloni di vario tipo. Mancavano i palestinesi, questo è vero, visto che i soggetti erano sempre ebrei (come ebreo, anche se solo di origine, era pure Capa), ma bisogna anche ricordare che la sensibilità del 1950 su quel fronte era ben diversa da quella di oggi e lo stesso stato di Israele aveva dimensioni decisamente più minute. In questa foto, forse la più celebre di quel reportage, immortala la disperazione di una bimba per le difficoltà della vita nei campi profughi.

A causa di false accuse di comunismo, il governo degli Stati Uniti gli ritira il passaporto per alcuni mesi impedendogli di viaggiare per lavorare. Lo stesso anno è affetto da un grave mal di schiena che lo costringe a ricoverarsi.

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Nel 1954, in Aprile, trascorre alcuni mesi in Giappone, ospite dell'editore Mainichi. Giunge ad Hanoi attorno al 9 Maggio in veste di inviato di "Life" per fotografare la guerra dei francesi in Indocina per un mese. Il 25 Maggio accompagna una missione militare francese da Namdinh al delta del Fiume Rosso.

Durante una sosta del convoglio lungo la strada, Capa si allontana in un campo insieme con un drappello di militari dove calpesta una mina anti-uomo, rimanendo ucciso.