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I Cappuccini giuliesi dal primo Dopoguerra al 1928 di Sandro Galantini La ripresa a regime della macchina cappuccina abruzzese dopo il lungo e tormentato periodo della Prima guerra mondiale, si aveva con la prima congregazione del definitorio organizzata dal provinciale Filippo da Borrrello all’Aquila dall’11 al 13 marzo 1919, in occasione della quale si faceva peraltro il punto sulla situazione. 125 erano complessivamente i religiosi, ma di essi 6 sacerdoti su 61, 14 studenti su 20, due dei tre terziari regolari ed un laico sui 26 contabilizzati nell’apposita statistica generale risultavano ancora impegnati nelle forze armate. Di talché, escludendo un sacerdote dimorante in altra provincia, il personale effettivo constava di 99 religiosi dislocati in 14 conventi, oltre che nel noviziato di Penne, nello studentato di Aquila e nel collegio dell’Incoronata a Vasto. Quanto poi a Giulianova, erano ben cinque i frati a dimorare nel locale convento: p. Matteo Di Donato da Spoltore, prossimo a festeggiare il sessantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale ma ciò nonostante ancora in grado di guidare come presidente la rinvigorita fraternità 1 , p. Nunzio Chicchirichì da Mosciano 2 , p. Leopoldo da Spoltore, p. Raffaele da Caramanico ed il laico frà Ludovico da Scurcola 3 . Considerando tuttavia che rispetto al 1914 i dati rimangono pressoché gli stessi 4 , registrandosi anzi una variazione positiva seppur lievissima, può concludersi come la Provincia monastica abruzzese nel complesso avesse retto bene all’urto delle vicende del ’15-’18. Di ciò aveva piena consapevolezza p. Filippo da Borrello il quale infatti, a nemmeno quarantott’ore dalla conclusione della congregazione, quindi il 15 marzo, sottolineava come “dopo tante burrasche” la provincia di S. Bernardino fosse ormai tornata “allo stato normale della sua vita religiosa”. Ma la Grande guerra aveva creato - con le migliaia di morti i cui corpi ancora a fatica venivano restituiti ai luoghi d’origine e con l’effetto indiretto costituito dalla ripresa dell’emigrazione - le premesse di una vera e propria emorragia demografica malthusiana. In più aveva devastato l’economia deflagrando con sicure risultanze nelle morfologie spirituali degli italiani, dei quali aveva modificato pensieri e stati d’animo. Per questo il provinciale, il quale confidando in un “vero 1 Nel 60° anniversario dell’ordinazione sacerdotale del M.R. P. Matteo da Spoltore, Cappuccino , “L’Araldo Abruzzese”, 18 aprile 1919. I festeggiamenti, organizzati da p. Leopoldo da Spoltore e p. Nunzio da Mosciano il 9 aprile, avrebbero fatto registrare sin dal primo mattino un “accorrere continuo al convento di gente di ogni condizione”. Alle 10,30 si sarebbe poi celebrata in chiesa una messa musicata dalla Cappella del duomo di Teramo sotto la direzione del maestro Antonio Biondi e con accompagnamento di violino di Giuseppe Righetti. Ad omaggiare l’anziano frate con i suoi versi anche il parroco di S. Atto, don Tito Nespeca. 2 Per il biogramma relativo cfr. P. Paolino da Bagno, Necrologio dei Frati Minori Cappuccini d’Abruzzo, Amatrice, Scuola Tipografica dell’Orfanotrofio Maschile, 1941, primo semestre, p. 27. 3 Cfr. Curia Provincializia Cappuccina, Statino della monastica Provincia abruzzese compilato nella Congregazione tenuta in Aquila nei giorni 11 - 13 marzo 1919 , Aquila, Tip. Priv. del SS. Cuore di Gesù, s.d. [ma 1919]. 4 Si rimanda in proposito a Sandro Galantini, Giulianova e i cappuccini 1901-1918. Vicende religiose, politiche e sociali, in “La Madonna dello Splendore”, n. 34, 2015, p. 20.

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I Cappuccini giuliesi dal primo Dopoguerra al 1928di Sandro Galantini

La ripresa a regime della macchina cappuccina abruzzese dopo il lungo e tormentato periodo della Prima guerra mondiale, si aveva con la prima congregazione del definitorio organizzata dal provinciale Filippo da Borrrello all’Aquila dall’11 al 13 marzo 1919, in occasione della quale si faceva peraltro il punto sulla situazione.

125 erano complessivamente i religiosi, ma di essi 6 sacerdoti su 61, 14 studenti su 20, due dei tre terziari regolari ed un laico sui 26 contabilizzati nell’apposita statistica generale risultavano ancora impegnati nelle forze armate. Di talché, escludendo un sacerdote dimorante in altra provincia, il personale effettivo constava di 99 religiosi dislocati in 14 conventi, oltre che nel noviziato di Penne, nello studentato di Aquila e nel collegio dell’Incoronata a Vasto. Quanto poi a Giulianova, erano ben cinque i frati a dimorare nel locale convento: p. Matteo Di Donato da Spoltore, prossimo a festeggiare il sessantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale ma ciò nonostante ancora in grado di guidare come presidente la rinvigorita fraternità1, p. Nunzio Chicchirichì da Mosciano2, p. Leopoldo da Spoltore, p. Raffaele da Caramanico ed il laico frà Ludovico da Scurcola3.

Considerando tuttavia che rispetto al 1914 i dati rimangono pressoché gli stessi4, registrandosi anzi una variazione positiva seppur lievissima, può concludersi come la Provincia monastica abruzzese nel complesso avesse retto bene all’urto delle vicende del ’15-’18.

Di ciò aveva piena consapevolezza p. Filippo da Borrello il quale infatti, a nemmeno quarantott’ore dalla conclusione della congregazione, quindi il 15 marzo, sottolineava come “dopo tante burrasche” la provincia di S. Bernardino fosse ormai tornata “allo stato normale della sua vita religiosa”. Ma la Grande guerra aveva creato - con le migliaia di morti i cui corpi ancora a fatica venivano restituiti ai luoghi d’origine e con l’effetto indiretto costituito dalla ripresa dell’emigrazione - le premesse di una vera e propria emorragia demografica malthusiana. In più aveva devastato l’economia deflagrando con sicure risultanze nelle morfologie spirituali degli italiani, dei quali aveva modificato pensieri e stati d’animo. Per questo il provinciale, il quale confidando in un “vero risorgimento individuale e comune, pubblico e privato” aveva voluto intitolare il proprio scritto Recedent vetera: Nova sint omnia5, richiedeva ai suoi Cappuccini - che voleva spogliati “dell’uomo vecchio” ostaggio delle “ingannatrici passioni” e rivestiti “dell’uomo nuovo, creato secondo Dio, nella giustizia e nella sanità” - un più deciso impegno.

Un impegno, specificava il superiore provinciale, che doveva riguardare sia la predicazione, informata “alla Sacra Scrittura, alla Patristica, al Domma, alla morale e al nuovissimo Codice Canonico, annunziando ai popoli i doveri, i vizi e le virtù colla pena o la gloria che ne seguirà”, sia la condotta personale, modulata sull’obbedienza più sollecita ed aliena da ogni “superbia, vanagloria, invidia, avarizia, cura mondana, dalla detrazione e mormorazione, cercando con ogni sollecitudine di avere lo spirito del Signore e la sua santa operazione”.Un’impostazione rigoristica che p. Filippo da Borrello, rieletto nel centosedicesimo capitolo provinciale celebrato all’Aquila il 13 giugno, aveva modo di rimarcare esattamente dieci giorni dopo, sincronicamente all’esordio del nuovo governo Nitti.

1 Nel 60° anniversario dell’ordinazione sacerdotale del M.R. P. Matteo da Spoltore, Cappuccino, “L’Araldo Abruzzese”, 18 aprile 1919. I festeggiamenti, organizzati da p. Leopoldo da Spoltore e p. Nunzio da Mosciano il 9 aprile, avrebbero fatto registrare sin dal primo mattino un “accorrere continuo al convento di gente di ogni condizione”. Alle 10,30 si sarebbe poi celebrata in chiesa una messa musicata dalla Cappella del duomo di Teramo sotto la direzione del maestro Antonio Biondi e con accompagnamento di violino di Giuseppe Righetti. Ad omaggiare l’anziano frate con i suoi versi anche il parroco di S. Atto, don Tito Nespeca.2 Per il biogramma relativo cfr. P. Paolino da Bagno, Necrologio dei Frati Minori Cappuccini d’Abruzzo, Amatrice, Scuola Tipografica dell’Orfanotrofio Maschile, 1941, primo semestre, p. 27.3 Cfr. Curia Provincializia Cappuccina, Statino della monastica Provincia abruzzese compilato nella Congregazione tenuta in Aquila nei giorni 11 - 13 marzo 1919, Aquila, Tip. Priv. del SS. Cuore di Gesù, s.d. [ma 1919].4 Si rimanda in proposito a Sandro Galantini, Giulianova e i cappuccini 1901-1918. Vicende religiose, politiche e sociali, in “La Madonna dello Splendore”, n. 34, 2015, p. 20.5 Aquila, Tip. Priv. del “Sacro Cuore di Gesù”, s.d. [ma 1919].

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Ed ora - scriveva infatti il riconfermato provinciale il 23 giugno - non ci rimane che raccomandarvi quella divina carità, che rendendovi pazienti e benigni, non vi fa essere astiosi, né insolenti, né ambiziosi: non vi fa cercare il proprio interesse, non vi muove all’ira, non vi fa pensar male; che anzi facendovi accomodare a tutto, tutto vi fa credere, tutto sperare, tutto sopportare6.

Il passo ulteriore era il consueto movimento di religiosi nell’ambito della provincia monastica, con il convento di Giulianova che a fine giugno arrivava ad annoverare ben sette frati, giacché al presidente Matteo da Spoltore ed ai già menzionati Leopoldo da Spoltore e Nunzio da Mosciano (ma non a p. Ludovico da Scurcola, altrove traslocato) si aggiungevano i sacerdoti Raffaele da Caramanico, Nicola da Sulmona, Ilario da Luco ne’ Marsi ed il laico Giuseppe Di Massimo da Scurcola7.

Amato Alfonso e Cesare Migliori con il Cardinal Vannutelli

Non tardava perciò ad intervenire la comunicazione “urgentissima” che il presidente della Congregazione di carità Amato Alfonso Migliori inviava a p. Matteo da Spoltore il 7 luglio 1919 e nella quale, lamentando la presenza di “un numero di Padri Cappuccini in eccedenza assoluta al numero stabilito dalle disposizioni” a noi ormai notissime, ne ingiungeva l’immediato allontanamento8.

Sulla questione, rimbalzata ovviamente alla curia provincializia, p. Filippo da Borrello intendeva a quanto pare vederci chiaro, nutrendo più di un dubbio sulla portata reale delle ragioni algidamente e sinteticamente, per quanto null’affatto apodittiche, poste a base del provvedimento. Qualche giorno prima, infatti, “L’Avanti” - col malizioso e allusivo titolo Trastulli Frateschi - aveva denunciato un episodio nient’affatto edificante avvenuto nei locali dell’ospedale, quelli dove - non mancava di puntualizzare il

6 Monastica Provincia Abruzzese, Capitolo Provinciale CXVI tenuto in Aquila nel 13 Giugno 1919, s.l. [ma Aquila], s.n., s.d. [ma 1919].7 P. Paolino da Bagno, Necrologio dei Frati Minori Cappuccini d’Abruzzo, cit., primo semestre, addenda, sub 7 marzo 1959 e “Annali dei FF.MM. Cappuccini degli Abruzzi”, vol. VII (1959), fasc. XXV, pp. 203-204.8 Archivio Convento dei Cappuccini di Giulianova (d’ora in poi ACCG), Acta Conventus, pacco 1, doc. 30.

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giornale - “abusivamente e consenziente la Congrega di Carità, vivacchiano diversi frati”. Alcuni dei quali, secondo la ricostruzione fornita dal giornale socialista che pure evitava di fare nomi, “si sono, fra loro, bastonati di santa ragione; tanto che uno di essi trovasi ricoverato (addio clausura!) in una casa privata”.

Ed è perciò che il 12 luglio il provinciale reclutava in qualità di suo commissario p. Francescantonio Savini da Cologna spedendolo nel convento giuliese dove il frate, come ci è noto, in altri tempi aveva esercitato la guardianìa9. Suo compito quello di verificare “senza spirito di parte, ma colla massima esattezza, imparzialità e scrupolosità”, la fondatezza delle ragioni sottese all’intimazione di sfratto, per poi effettuare una personale ricognizione sullo stabile avendo cura di precisare “il numero e la qualità delle stanze concesse o ridotte ai Religiosi colà abitanti” e quindi prelevare, portandoli all’Aquila, i registri delle messe, dell’introito ed esito della comunità religiosa insieme con quelli relativi al Santuario. All’apparenza nulla di insolito, essendo un’attività di carattere ricognitivo senza dunque alcun nesso con l’episodio denunziato dal giornale socialista. Senonché tra i compiti assegnati ce n’è uno assai indicativo che da solo qualifica la missione affidata a p. Francescantonio. Quest’ultimo, infatti, in base alle disposizioni ricevute era tenuto altresì ad esperire apposite indagini per acclarare cosa vi fosse stato “di positivo” tra p. Leopoldo da Spoltore e p. Raffaele da Caramanico: al di là della pudica indeterminatezza della frase, se realmente i due, come riferito dal foglio socialista, fossero dunque venuti alle mani10.

E che le cose avessero un fondo di verità lo intuiamo in una lettera che p. Filippo da Borrello inviava il 17 settembre seguente dal convento di Avezzano dopo aver consegnato alle stampe, il 14 luglio, il regolamento educativo-disciplinare per i collegiali, uniformato al nuovo codice di diritto canonico11, e quindi emanato, il 12 agosto, apposite istruzioni a p. Matteo per “rappresentare bene l’Ordine” al sinodo diocesano da tenere a Teramo il 3, 4 e 5 settembre.

Ricorrendo more solito ad espressioni che se non criptiche risultano comunque assai sfumate ma per noi eloquenti, il ministro provinciale consigliava a p. Matteo di regolarsi con p. Raffaele “come meglio la carità e la prudenza […] dettano”12, mentre il tono cambia significativamente, divenendo brusco, in una seconda missiva, quella del 26 settembre, con la quale il provinciale, sempre pel tramite di p. Matteo, ordinava questa volta a p. Leopoldo di “recarsi subito e recto tramite alla sua nuova residenza” proibendogli perentoriamente di venire all’Aquila “sotto pena di essere dichiarato apostata”13.

Nulla però è più istruttivo delle decisioni assunte dal provinciale il 15 di ottobre, a ventiquattr’ore esatte dalla conclusione della congregazione tenuta come al solito all’Aquila e seguendo di una manciata di giorni la definizione dell’organigramma relativo alle undici commissioni istituite “per l’esatto disimpegno dei diversi uffici”14.Due nomi non a caso si trovano ancora appaiati nell’ambito di una movimentazione volta a sfoltire la religiosa famiglia giuliese così ottemperando, sia pur tardivamente, alle intimazioni giunte dalla Congregazione di carità: quello di p. Leopoldo, traslocato con il confratello p. Nunzio a Campli, e l’altro di p. Raffaele, destinato al convento di Guardiagrele. Per cui, aggiungendo a questi trasferimenti anche il ritorno nella città nativa di p. Nicola da Sulmona, nel convento di Giulianova risultavano dimoranti i soli p. Matteo, riconfermato presidente, il laico frà Giuseppe da Scurcola e l’economo p. Ilario da Luco ne’ Marsi, che peraltro di qui pochissimo sarebbe stato trasferito in altra sede15.

In quanto poi a V.[ostra] P.[aternità] ed a cotesto P. Giuseppe [scil. da Scurcola], se cotesta Congregazione di carità tollera, rimarrete, altrimenti - scriveva a p. Matteo, con dissimulata preoccupazione, il provinciale nella lettera spedita dal convento aquilano di S. Chiara il 23 ottobre - d’ogni cosa mi terrete subito informato16.

La Congregazione in effetti è tollerante ma per i frati comunque mala tempora currunt.E poco o nulla giova ad elidere la loro condizione di permanente instabilità l’intervento di Vincenzo

Bindi pubblicato nel fascicolo di settembre-ottobre 1919 della prestigiosa “Rassegna d’Arte” con il quale l’illustre intellettuale giuliese, riservando al Santuario una parte cospicua del suo studio, piuttosto che sui pregevoli quadri del Farelli, sull’elegante tabernacolo, sui paliotti e gli arredi sacri “di squisito gusto artistico”, preferiva indugiare sulla quattrocentesca statua mariana, che egli aveva potuto attentamente studiare agevolato dal “veramente egregio e venerando guardiano P. Matteo da Spoltore”17.

Le belle pagine dell’intervento bindiano, con l’attestazione di stima riservata dall’illustre intellettuale a P. Matteo, facevano pendant con la per vero turbolenta fase politica giuliese, alimentata dalla 9 Cfr. Sandro Galantini, Giulianova e i cappuccini 1901-1918, cit., p. 15.10 Archivio Provinciale dei Cappuccini dell’Abruzzo - L’Aquila (d’ora in avanti APCA), Conventi, cartella Giulianova.11 F. Filippo da Borrello Cappuccino, Regolamento educativo-disciplinare per i nostri collegiali, Aquila, Tip. Priv. del Ss. Cuore di Gesù, 1919.12 ACCG, Acta Conventus, pacco 1, doc. 31.13 Ibid., pacco 1, doc. 32.14 Provincia monastica Cappuccina Abruzzese, Abramo e i suoi Figli, Aquila, Tip. priv. del SS. Cuore di Gesù, s.d. [ma 1919].15 Cfr. in proposito Curia Provincializia Cappuccina, Statino della monastica Provincia abruzzese compilato nella Congregazione tenuta in Aquila nei giorni 12 - 14 ottobre 1919, Aquila, Tip. priv. del SS. Cuore di Gesù, s.d. [ma 1919].16 ACCG, Acta Conventus, pacco 1, doc. 33.

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contrapposizione - presto divenuta violenta - tra socialisti e nazionalisti su un terreno reso fertile dai gravi problemi posti dagli ex combattenti e da una vasta mobilitazione delle classi contadine ed operaie18.

In questo clima burrascoso la presidenza della Congregazione di carità nel frattempo era passata da Amato Alfonso Migliori al geometra e imprenditore edile Alessandro Campetti. Al quale pertanto p. Matteo da Spoltore rimetteva il 27 gennaio 1920 una nota con la quale frustrava ogni pretesa accampata dall’Ente sui donativi a favore della Madonna dello Splendore giacché essi - rilevava il rettore del Santuario invocando le leggi canoniche e sinodali - “sono proprietà della Madonna stessa” e perciò sottratti ad ogni atto di disposizione, foss’anche quello dell’autorità ecclesiastica cui competeva la redazione annuale di apposito inventario19.

Tracce di una vecchia querelle insomma, che ancora si trascina in parallelo con l’altra questione della sostenuta permanenza abusiva della fraternità cappuccina emersa la prima volta - come sappiamo - nel 1914 con l’esposto presentato da Alessandro Pica20 e forse da mettere in relazione con la decisione presa dal vescovo Alessandro Zanecchia il 19 gennaio di affidare l’erigenda nuova parrocchia della Natività nella Borgata “Marina”, “costruita appositamente per i bisogni spirituali della popolazione cresciuta assai nella spiaggia stessa”, non ai locali Cappuccini, ai quali si ricorderà era stata offerta dallo stesso presule sei anni prima21, bensì ai Frati Minori, per conto dei quali il ministro provinciale Giacinto D’Agostino proprio il 27 gennaio con sua missiva spedita da Lanciano aveva assicurato tutto il suo impegno per ottenere dal definitorio il relativo parere favorevole circa il progetto che la morte del vescovo di Teramo, avvenuta dopo una breve ma fulminante malattia il 21 febbraio, aveva sostanzialmente dissolto22.

Della permanenza “abusiva” dei Cappuccini - ritenuti dai socialisti pericolosi propagandisti del Partito Popolare, la cui sezione era stata aperta in città da Saverio Sechini e Francesco Iaconi il 18 marzo di questo 192023 - tornava non a caso ad occuparsi Alessandro Pica su “Falce e Martello”.

Per chi non lo sapesse - scriveva dunque Pica il 20 marzo in una sua urticante corrispondenza che il periodico socialista pubblicava cinque giorni dopo - a Giulianova esiste un teatro di burattini, che, per anacronismo, chiamasi Consiglio della Congrega di Carità. A capo di essa vi è un presidente travicello, che firma ordinanze e sfratti senza avere il coraggio di dare ad essi esecuzione. Infatti parecchi mesi fa, […] il presidente travicello - udito il consiglio dei burattini - sottoscrisse una ingiunzione di rilascio di possesso entro 10 giorni e, per tramite dell’Ufficiale Giudiziario locale, la fece notificare a Padre Matteo da Spoltore; il quale, sorridendo, forse, vi appose la sua firma come ricevuta. […] Poiché sono trascorsi parecchi mesi ed i frati, invece di andarsene, sono aumentati di numero non solo, ma in quei locali, dove abusivamente vivacchiano, hanno impiantato il quartiere generale di propaganda per il trionfo del Pipi. I frati possono restare tranquilli a maggior gloria di dio, delle beghine e del Pipi: se qualcuno non arriverà, forse presto, a guastare la festa, s’intende.

La risposta del “presidente travicello” non si faceva attendere, e defletteva parecchio rispetto a quella che un suo collega egualmente finito nel mirino del Pica a causa però dei lavori in corso relativi alla strada per la stazione, cioè il geometra “progressista” Gaetano Capone Braga, affidava alle pagine del nuovissimo settimanale a tendenza nazionalistica fondato e diretto da Livio De Luca, “L’Adriatico degli Abruzzi”, stampato dalla Tipografia Artistica Libraria Industriale inaugurata a febbraio da Giulio Braga.

Sicché, mentre il Capone Braga otteneva la sua revanche smontando agevolmente e con garbo le insinuazioni di Alessandro Pica sul preteso sfruttamento dei lavoratori a cottimo24, viceversa l’adiratissimo geometra Campetti, che otto anni prima come segretario del comitato direttivo centrale per la 17 Cfr. Vincenzo Bindi, Antico Tempio di San Flaviano La Madonna dello Splendore. S. Maria a Mare presso Giulianova ed alcune opere di oreficeria abruzzese, in “Rassegna d’Arte”, a. XIX (1919), n. 9-10, p. 174 , anche in estratto, Milano, Alfieri e Lacroix, 1919.18 Circa gli eventi verificatisi nel 1919 si rimanda a Luigi Ponziani, Le elezioni del 1919 a Teramo. Lotte politiche e sociali, Teramo, Libera Università Abruzzese degli Studi “G. D’Annunzio” - Facoltà di Scienze Politiche - Istituto storico-sociologico, 1977.19 ACCG, Acta Conventus, pacco 1, doc. 31.20 Cfr. Sandro Galantini, Giulianova e i cappuccini 1901-1918, cit., p. 20.21 Ibid., p. 21.22 Cfr. Ottavio Di Stanislao, La Chiesa della Natività di Maria Vergine, S. Gabriele, Ed. Eco, 1984, pp. 31-32, poi in La spiaggia di Giulianova e la sua chiesa. Mostra iconografico-documentaria, a cura di Ottavio Di Stanislao, s.l., s.n. [ma Giulianova, Tipografia Braga], 2011, p. 48.23 Sull’attività del Partito Popolare in provincia di Teramo si rimanda a Luigi Ponziani, La nascita del PPI a Teramo e la mancata presentazione alle elezioni del 1919, in “Trimestre”, a. XV (1982), n. 1-2, pp. 109-123. Circa il Sechini, una figura senz’altro notevole, si vedano Francesco Barberini, Sechini Saverio, in Dizionario storico del Movimento cattolico in Italia 1860- 1980, III/2, Casale Monferrato, Marietti, 1984, p. 796 e Ottavio Di Stanislao, Sechini Saverio, in Gente d’Abruzzo. Dizionario biografico, a cura di Enrico Di Carlo, Castelli, Andromeda Editrice, 2006, vol. 9, pp. 247-248. Altre utili notizie in Alberto Aiardi, Movimento Cattolico e Partito Popolare Italiano. Origini, attività e promotori in Abruzzo e nel teramano, in Alberto Aiardi, Adelmo Marino, L’impegno politico dei cattolici nel teramano. Tra Partito Popolare Italiano e Democrazia Cristiana, Teramo, Demian, 1995, p. 68.24 “L’Adriatico degli Abruzzi”, 15 febbraio 1920.

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candidatura Foligno pure aveva avuto al suo fianco i socialisti Emilio Campeti ed Andrea Ettorre, meno prosaicamente rispondeva con un’aggressione fisica patita dal fabbro-giornalista nella mattinata del 28 marzo.Leo Leone.

“Ho parata l’aggressione, impedendogli di colpirmi colla frusta, fino a che - dopo qualche pugno scambiatoci… fraternamente - siamo stati divisi. Nulla di male per tutto ciò”, scriveva il Pica nella sua corrispondenza 28 marzo cogliendo peraltro l’occasione di esortare i compagni a non “retrocedere dalla via tracciata” che, nonostante le “minacce di volgari teppisti, con diploma o non”, secondo il fabbro-giornalista-militante avrebbe condotto “ineluttabilmente al Socialismo”. Propositi che, con ben altri toni, la

sezione giovanile socialista, di cui era segretario Vincenzo Alfonso Cermignani, un irruento diciottenne destinato all’esilio politico e ad una discreta fama in campo artistico, intendeva puntualizzare votando un ordine del giorno in cui si garantiva che il partito “saprà a suo tempo trarre sue giuste vendette contro i prepotenti”25.

Minacce, dunque, e scomposte polemiche che ormai dalle colonne dei giornali si avvicinavano sempre più pericolosamente alla pratica della politica violenta. Ed è una deriva che non poteva non impensierire il sindaco de Bartolomei, il quale, per evitare disordini e proteste da parte della tumultuante ed organizzata sinistra, autorizzava la manifestazione voluta dalla locale Lega proletaria e da questa tenuta la domenica del 2 maggio. In quel giorno, reso memorabile dall’apposizione su una colonna del portico de Bartolomei, in piazza Vittorio Emanuele, di una lapide in memoria dei “proletari vittime della guerra borghese”, tra il garrire delle bandiere rosse avrebbero concionato il deputato maceratese Francesco Quarantini e non

senza significato Attilio Conti, un anarchico pescarese ben noto agli organi di polizia e assai gradito ai militanti giuliesi essendo tornato nella città dove era venuto nemmeno cinque mesi addietro su invito e in compagnia di Lidio Ettorre, e in cui aveva ancora comiziato nell’ottobre dell’anno prima26.

Del tutto scontata perciò, il 9 maggio successivo, la furibonda reazione dell’“Adriatico degli Abruzzi”, che non perdonando al sindaco la collocazione in prossimità della chiesa di S. Flaviano, monumento nazionale, di due irriguardosi vespasiani, ne aveva anche - con la penna di Leo Leone o Germinale d’Alba dir si voglia - per l’attivissimo Lidio Ettorre e per i suoi compagni di partito27.

I quali tutti, dopo il congresso regionale socialista di Pescara del 22 e 23 maggio in cui avevano propugnato senza successo il loro astensionismo d’ispirazione bordighiana28, avrebbero avuto occasione di riattualizzare una vecchia ma mai sopita questione cittadina - beninteso lo sgombero dei frati dal convento - prendendo spunto dai risultati sortiti il 27 maggio da una udienza della commissione arbitrale mandamentale agraria.

Quel giorno, infatti, al cospetto del pretore Rocco Pasquale, il presidente della Congregazione di carità Alessandro Campetti e p. Matteo da Spoltore, nell’occasione rappresentato da Giovanni Di Marco, si erano accordati in ordine al rinnovo dell’affitto a favore dei frati di un ettaro circa di terreno in proprietà della Congrega, prorogato fino al 31 dicembre 1921. I religiosi dal canto loro si erano impegnati all’immediato rilascio di tutta l’area incolta adiacente all’ospedale autorizzando l’Ente a porre in essere “tutte quelle opere che si credono indispensabili nell’interesse di detto Ospedale, come fogne, canali di scarico, ecc.” anche nell’eventualità che i lavori “dovessero, per tutta la sua lunghezza, attraversare l’orto coltivato”, il quale giocoforza veniva gravato di servitù di passaggio senza obbligo di indennizzo29.

La transazione, distante le mille miglia dall’estromissione dei frati anelata dai socialisti, offriva pertanto materia in abbondanza per una polemica interrogazione del figlio poco più che trentenne del possidente Giovanni Cermignani, il consigliere della Congregazione Vincenzo, sul cui esito avrebbe dato ragguagli il solito Alessandro Pica nella corrispondenza spedita da Giulianova il 26 giugno ma pubblicata su “Falce e Martello” il primo del mese successivo.

Dopo un continuo palleggiare sul perché i frati non venivano sfrattati - come per legge si avrebbe dovuto - dai locali dell’Ospedale Civile, finalmente il Consiglio della Congrega di Carità, buttando la maschera - e, con essa, ogni principio di dignità - ha respinto la proposta del Consigliere Vincenzo Cermignani, che di tale sfratto ne aveva fatto una questione di diritto.

25 “Falce e Martello”, 1 aprile 1920.26 Cfr. in proposito Sandro Galantini, Su due fronti. Giulianova e i giuliesi durante la Grande guerra, in “Aprutium”, n.s., a. XXII (2015), n. 1, pp. 134-135.27 “L’Adriatico degli Abruzzi”, 9 maggio 1920.28 “Falce e Martello”, 27 maggio 1920. In argomento cfr. Egidio Marinaro, Novembre 1920: la campagna amministrativa dei socialisti in provincia di Teramo, in “Rivista Abruzzese di Studi Storici dal fascismo alla Resistenza”, a. I [1980], n. 3, p. 29 e amplius Id., I Socialisti (e gli altri) nell’Abruzzo Teramano. 1896- 1949, Castelli, Verdone Editore, 2011, pp. 76-78.29 APCA, Conventi, cartella Giulianova.

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Meglio così. Almeno sappiamo che i frati stanno lassù, perché diversi componenti la Congrega di Carità vogliono ch’essi ci stiano a tutto danno dell’Ospedale30.

Ma più degli strepiti socialisti, erano le “gravi lagnanze” sulla condotta dei frati giuliesi fatte pervenire da “persona degna di fede, sotto ogni rapporto”, a preoccupare l’emiliano Giuseppe Antonio da S. Giovanni in Persiceto, da un paio di mesi ministro generale dell’Ordine. Donde la richiesta al provinciale Filippo da Borrello, spedita da Roma il 24 giugno, di acquisire, e quindi inoltrare alla curia generalizia a Roma, “esatte informazioni al riguardo”31.

Quali concretamente fossero gli addebiti mossi ai religiosi, a far luce sui quali il provinciale provvedeva sollecitamente inviando un suo commissario a Giulianova, non ci è dato sapere, promettendo p. Filippo da Borrello, nella missiva di risposta spedita dall’Aquila il 5 luglio, di ragguagliare il suo superiore “a voce”32.

È un fatto comunque significativo che fossero solo tre i religiosi - nell’ordine Mario Bucci da Luco dei Marsi33, a cui era stata assegnata la presidenza, p. Matteo da Spoltore e frà Giuseppe Di Massimo da Scurcola - a comporre la religiosa famiglia giuliese all’indomani della congregazione tenuta all’Aquila il 7 e l’8 di settembre. Una reductio in chiave locale contrapposta all’espansione dei Cappuccini negli Abruzzi, che proprio a settembre potevano esibire cifre più che rassicuranti rispetto anche solo ad un anno prima, essendo ora i conventi saliti a 15 dai 14 contabilizzati nel 1919, 62 i sacerdoti dai 61 dell’anno prima, i laici cresciuti a 27, i novizi raddoppiati (da 3 a 6) e con un sensibile aumento registrato tra i collegiali (18 rispetto a 12) pur essendo gli studenti diminuiti a 14, per un totale di 131 religiosi rispetto ai precedenti 12534.Si trattava di una crescita non ragguardevole ma comunque apprezzabile tenuto conto della contrazione patita complessivamente dall’Ordine tra il 1910 e il 1920, con i religiosi scesi a 9.650 dai 9.991 che erano, benché i conventi fossero saliti a 824, 74 in più rispetto alle statistiche compilate nel 1910.

Più contenuta la contrazione delle missioni (42 nel 1920, 44 cinque anni prima) e dei missionari, scesi a 1.010 da 1.059. Vistosissima, invece, la crescita del Terz’Ordine, protagonista indiscusso di questi anni, disponendo nel 1920 di 989.548 terziari professi, con un aumento superiore alle 100 mila unità35.

I Cappuccini dalla fine dell’età giolittiana al FascismoIl 20 settembre 1921 partiva dalla curia provincializia dell’Aquila una missiva per il presidente della

Congregazione di carità giuliese, non più il geometra Alessandro Campetti, tornato semplice consigliere, bensì l’avvocato Francesco Cerulli. In essa veniva a chiedersi, stante le proibizioni imposte dal diritto canonico di abitare sui luoghi sacri e affinché la locale famiglia religiosa potesse disimpegnare il proprio ministero “economicamente, decentemente ed igienicamente”, la riconsegna ai Cappuccini dei locali esistenti sopra la sacrestia sino al campanile compreso, con possibilità di realizzare nuovi vani, nonché l’affitto dell’orto per 29 anni.

In aggiunta a richieste che, cozzando contro orientamenti e pianificazioni da tempo noti e ormai sedimentati, avevano ben poche chances di successo, il provinciale p. Filippo da Borrello aggiungeva anche l’atto formale di riconoscimento, con relativo stipendio da convenirsi, del nuovo custode del Santuario, il predicatore p. Nicola Baldini da Tortoreto36, legatissimo al Terz’Ordine Francescano che l’anno prima aveva radicato a Cellino Attanasio37 e vero protagonista delle vicende a venire, avendo infatti p. Matteo da Spoltore manifestato alla Congregazione la decisione di abbandonare proprio allo spirare dell’anno in corso un incarico ormai più che decennale.

Di un’altra imminente scadenza, quella relativa alla proroga per l’affitto di un ettaro di terreno a favore dei frati concordato come si ricorderà nell’arbitrato del 1920, e più ancora dell’intimazione di sfratto dall’orto per i lavori da eseguirsi sull’ospedale, notificata il 10 novembre38, scriveva allarmato p. Nicola da Tortoreto invocando dal suo superiore provinciale, rimasto muto nonostante una precedente missiva, opportune indicazioni. “Il caso è urgente”, sottolineava p. Nicola, proponendo di citare la Congregazione “per lo stipendio al Custode e compagni” secondo la strategia suggeritagli da un legale opportunamente

30 “Falce e Martello”, 1 luglio 1920.31 APCA, Conventi, cartella Giulianova.32 Archivio Generale Frati Minori Cappuccini - Roma (d’ora in avanti AGCap), G.5 (Provincia Aprutina), cart. 5, sezione A-L, fasc. Giulianova.33 P. Paolino da Bagno, Necrologio dei Frati Minori Cappuccini d’Abruzzo, cit., primo semestre, addenda, sub 11 maggio.34 Cfr. Curia Provincializia dei Minori Cappuccini Abruzzesi, Statino della monastica Provincia abruzzese compilato nella Congregazione tenuta in Aquila nei giorni 7 - 8 settembre 1920, Aquila, Tip. Priv. del SS. Cuore di Gesù, s.d. [ma 1920], sub Giulianova.35 Cfr. Mariano D’Alatri, I Cappuccini, Storia di una famiglia francescana, Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 1994, pp. 212, 243, 245.36 Su p. Nicola da Tortoreto (1879-1945), al secolo Pasquale Donato Baldini, si veda il relativo biogramma in P. Paolino da Bagno, Necrologio dei Frati Minori Cappuccini d’Abruzzo, cit., primo semestre, addenda, sub 14 maggio e le più ampie notizie in “Annali dei FF. MM. Cappuccini d’Abruzzo”, fasc. X, novembre 1944, p. 28.37 Questa notizia in “L’Abruzzo Francescano”, a. III (1933), n. 1, p. 20.38 Archivio di Stato di Teramo (d’ora in avanti ASTe), Prefettura, Gabinetto, vers. 1970, b. 183, fasc. 12.

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interpellato e la cui identità, al momento taciuta, ci sarà tra breve nota. Sul tappeto oltre a questo c’era anche l’altro problema rappresentato dalla statua del S. Cuore, che il presidente della Congregazione, l’avvocato Francesco Cerulli, impediva di trasportare in chiesa per la festa rivendicandone la proprietà all’Ente: questione circa la quale, come ragguagliava p. Nicola, la Curia vescovile - ancora retta dal vicario Giovanni Muzj nonostante l’avvenuta consacrazione del nuovo vescovo Settimio Quadraroli39 - assicurava ogni appoggio esortando a non rinunziare a ciò che “spetta per diritto”40.

Nell’alveo di rapporti tra fraternità cappuccina e Congregazione come ci è noto raramente sereni, si è giunti oramai al muro contro muro; una escalation confermata dalla dichiarazione fatta mettere a verbale da p. Matteo da Spoltore il 31 dicembre, in occasione della ripresa di possesso dell’orto, di non proseguire nella custodia ed officiatura del Santuario in mancanza di un regolamento dei rapporti passivi “dipendenti dalle mansioni affidategli”. Per intenderci il pagamento di quanto dovuto, interessi compresi, da parte della Congregazione di carità secondo una strategia giuridica - di cui traspare in filigrana l’intento dilatorio - evidentemente recepita e diligentemente attuata.

Sicché, essendo rimasta senza effetto “ogni pratica per il regolamento amichevole” della questione, a p. Matteo altro non rimaneva che rivolgersi, nel gennaio dell’ormai nuovo anno 1922, all’ufficiale giudiziario per invitare perentoriamente il sindaco de Bartolomei e il presidente della Congregazione Cerulli a ricevere la riconsegna del Santuario, locali annessi e quant’altro inerente, “previa verifica e valutazione e pagamento da stabilirsi da persona tecnica da aequo et bono delle spese fatte dall’istante” per il tempo stabilito dalla legge41.All’offensiva sferrata da p. Matteo, che differentemente dalla perentorietà dei termini assegnati e dal suo arroccamento in realtà non aveva prodotto, come tra poco verificheremo, quell’irreparabilità facile da immaginare, corrispondeva d’altronde l’irrigidimento, con toni solo in apparenza sfumati, della Congregazione di carità.

All’Ente, difatti, p. Nicola da Tortoreto si era rivolto l’8 settembre di quest’anno 1922, a tre mesi dalla rielezione a ministro provinciale di p. Giuseppe da Tussio42 e ormai in prossimità della congregazione aquilana che lo confermerà alla guida della religiosa famiglia giuliese43, con l’utopistica istanza di cessione della chiesa, campanile e sagrestia, nonché di metà del terreno annesso al Santuario “in sezione longitudinale e dalla parte occidentale” per rendere possibile l’edificazione di una “modesta abitazione”, cioè di un conventino, offrendo come corrispettivo, oltre alla regolare officiatura ed alla costante manutenzione del “Sacro Tempio”, beninteso il Santuario dello Splendore, il rilascio degli ambienti attualmente occupati “a beneficio e compimento dell’Ospedale”.

Una proposta che, riprendendo a grandi linee quella a sua tempo avanzata da p. Filippo da Borrello, e avendo sullo sfondo la vertenza legale di p. Matteo da Spoltore, aveva ben poche probabilità di successo.La decisione presa dalla Congregazione di carità poco prima della marcia su Roma, il 17 ottobre 1922, ma trasmessa a p. Nicola da Tortoreto il 3 novembre seguente su foglio vergato dal sindaco Giuseppe de Bartolomei, frustrava infatti ogni ambizione giacché tutte le parti del fabbricato, compreso l’orto, risultavano necessarie “per il buon andamento dell’ospedale, il quale dovrà essere anche ampliato e refinito [sic]”. Ed in ogni caso - secondo quanto il presidente Cerulli aveva sottolineato nella sua relazione, prontamente accolta dai consiglieri della Congregazione di carità - non si reputava conveniente agli interessi dell’Ente “addivenire ad una parziale alienazione da quanto ebbe in cessione” con l’ormai famoso deliberato del 19 aprile 1883. Ragioni giuridiche e motivi di opportunità venivano dunque addotti, secondo impostazioni con le quali abbiamo ormai dimestichezza, a sostegno di argomentazioni che in sostanza erano una fin de non-recevoir.

39 Mons. Settimio Quadraroli, maceratese di Belforte del Chienti, fu nominato vescovo di Teramo da Benedetto XV il 26 agosto 1921 e, dopo la sua consacrazione a Camerino il 6 novembre, fece il suo ingresso nel capoluogo aprutino il 18 dicembre successivo. Cfr. in proposito Gabriele Orsini, La Diocesi di Teramo-Atri all’alba del terzo millennio, Teramo, Edizioni Interamnia, 1999, pp. 81-82.40 APCA, Conventi, cartella Giulianova.41 ACCG, Acta Conventus, pacco 1.42 Provincia Monastica dei Minori Cappuccini Abruzzesi, Circolare. Capitolo Provinciale 9 giugno 1922, Aquila, Tip. priv. del SS. Cuore di Gesù, s.d. [ma 1922].43 Statino della Provincia Monastica Abruzzese compilato nella Congregazione tenuta in Aquila nei giorni 11-17 settembre 1922, s.l. [ma Aquila], Tip. priv. del SS. Cuore di Gesù, s.d. [ma 1922], sub Giulianova. La religiosa famiglia di Giulianova, oltre che da p. Nicola da Tortoreto, a partire da quella data risulta formata da p. Matteo da Spoltore, p. Cesidio da Scurcola, p. Vincenzo da Cese e dal laico fra Giuseppe da Scurcola.

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Pianta ospedale - Convento Pianta ospedale primo piano Pianta ospedale secondo piano

Tuttavia non doveva forse sottovalutare il presidente Cerulli le insidie connesse all’eventuale ed ulteriore inasprimento di rapporti con la famiglia cappuccina, pur non mancando di rilevare, con malcelata irritazione, come da parecchio tempo la Congregazione fosse stata e continuasse ad essere “assillata [sic] dalle pretese del Baldini”, cioè di p. Nicola da Tortoreto, “il quale accampando diritti inesistenti ha cercato e cerca di creare fastidi alla Congregazione stessa”. E da buon avvocato il presidente della Congregazione di carità probabilmente neppure dimenticava le richieste - queste si giuridicamente fondate - del venerando p. Matteo, con tutto ciò che comportavano in termini di oneri economici ma soprattutto per l’impatto che la riconsegna del Santuario avrebbe inevitabilmente avuto sulla cittadinanza.

È tenendo a mente tutto ciò che diventa allora intelligibile quella sorta di captatio benevolentiae, per quanto non immune da sapide messe a punto, all’indirizzo del custode del Santuario. Il quale, rimasto evidentemente al suo posto, è vero - argomentava il presidente Cerulli - che alle sue funzioni aveva “sempre provvisto e vi provvede in un modo degno e con piena soddisfazione dei credenti”; ma è pure vero, aggiungeva allusivamente, che per l’adempimento delle sue funzioni p. Matteo da Spoltore aveva ricevuto, in luogo della “modesta abitazione” imposta dall’atto di cessione, una “comoda casa con annessi magazzini”44.

La “comoda casa” concessa ai religiosi solo per benevolenza e con grande tolleranza, come sosteneva il Pio Ente non senza rimarcare la deroga a disposizioni di legge recanti l’obbligo di fornire l’alloggio unicamente al custode del Santuario, era costituita in verità da quattro vani tutt’altro che confortevoli e certo insufficienti a contenere una comunità da qualche tempo - pur tra frequenti fluttuazioni - numericamente assestatasi su cinque religiosi.

La questione non si sarebbe comunque risolta con il granitico rifiuto opposto dalla Congregazione di carità, il cui presidente, e con lui i componenti Giuseppe Corini, Alessandro Campetti, Tommaso Borrelli, Alfredo De Virgilis, Marco Aurelio Forcellese, Serafino Morganti, Guido De Martiis e Giuseppe Ruffini, avrebbero presto sperimentato quel giro di vite deflagrato con la salita al potere di Mussolini di cui l’esempio certamente più emblematico e vistoso era il trasferimento a Cosenza del prefetto Osvaldo Nobile, disposto il 21 novembre a poco più di quattro mesi dal suo insediamento a Teramo45.

All’esautorazione di un funzionario sgradito ai fascisti per aver organizzato in estate la repressione contro gli squadristi di Rosburgo46, seguiva infatti a dicembre, entro la cornice di un generalizzato

44 ACCG, Acta Conventus, pacco 1, e Archivio Storico Comune di Giulianova (d’ora in poi ASCG), cat. VII, cl. 6, b. 1, fasc. 2.45 Al dicembre 1922 sarebbero stati 22 i comuni sciolti nella provincia di Teramo; l’azzeramento delle amministrazioni comunali, non sempre su base conflittuale, oltre ad estromettere i socialisti dalla gestione del potere locale intendeva inibire le “velleità autonomistiche di notabili locali”, riconfermando quindi gli equilibri o i problemi “presenti nell’amministrazione locale”. Così Francesco Bonini, Il ceto amministrativo e politico, in Monografia della Provincia di Teramo. Il XX secolo, S. Atto di Teramo, Edigrafital, 1999, p. 303 e ss. Per un inquadramento più generale si rimanda a Luigi Ponziani, Il Fascismo dei prefetti. Amministrazione e politica nell’Italia meridionale 1922- 1926, Catanzaro-Roma, Meridiana libri-Donzelli, 1995 e Id., Fascismo e autonomie locali, in Lo stato fascista, a cura di Marco Palla, Milano, La Nuova Italia, 2001, pp. 317-328.46 Ricostruisce gli avvenimenti, svoltisi a partire dal 18 agosto, Raffaele d’Ilario, I primi cento anni di Roseto degli Abruzzi, vol. 2, Pescara, Arte della Stampa, 1965, p. 49 e ss.

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dissolvimento delle amministrazioni locali, e a corollario delle reiterate intimidazioni di cui era stato fatto segno sin da settembre47, la fine della sindacatura de Bartolomei.

Inevitabili, quindi, le dimissioni dei consiglieri Aurelio Forcellese, Flaviano Paolini, Guido De Martiis, Alberto Di Domenico, Alfredo De Virgiliis, Giulio Ianni, Saverio Sechini, Domenico Gentile, Giuseppe Piercecchi, Umberto Falini, Antonio Bizzarri, Ferdinando Scarafoni, Serafino Morganti e Giovanni De Angelis che, suggellate dal nuovo prefetto Stefano De Ruggiero con decreto del 17 dicembre 1922, rendevano possibile la “conquista” fascista del Comune con l’insediamento, in qualità di Regio commissario straordinario, del colonnello Bernardo Azzoni, da qualche mese sostituitosi a Nemesio Aquini nella segreteria politica della locale sezione delle camicie nere.

Ed era proprio l’Azzoni a suggerire al malleabile De Ruggiero una severa inchiesta sulla pluriennale gestione del deposto sindaco che il prefetto avrebbe affidato allo stesso proponente nel gennaio del 1923, forse in non del tutto casuale concomitanza con la venuta a Giulianova di Achille

Starace.Il neppure troppo velato obiettivo di screditare la classe dirigente cittadina, minando le basi di

credibilità e di onestà soprattutto del vertice della passata amministrazione, avrebbe trovato più di un appiglio nelle molteplici irregolarità amministrative, talune davvero macroscopiche, diligentemente evidenziate dall’Azzoni, di talché, il 1 marzo seguente, lo scioglimento del consiglio e la nomina a Regio commissario straordinario del montoriese Alfredo Angeloni.

Che al nuovo venuto non facessero difetto né zelo e né la capacità di scelte ponderate stava ad indicarlo la decisione di rivitalizzare l’avvizzita commissione di vigilanza per il cimitero nominandone alla presidenza il cavalier Giulio Federici, le cui tendenze “democratiche” avevano lasciato il posto ad un’adesione toto corde al fascismo, e come membri Vincenzo Parere con il nipote Igino, l’ingegnere Ernesto Pelagalli e Ferdinando Scarafoni, chi più chi meno legati alla passata amministrazione de Bartolomei a confermare il passaggio tutto sommato “indolore”, e comunque non traumatico, nella nuova fase politica di personaggi che nell’immediato passato avevano incarnato da protagonisti l’afascismo quando non addirittura l’antifascismo.

Non deve quindi stupire come tra i primi e più importanti obiettivi inseriti dall’Angeloni nella sua agenda programmatica vi fosse quello di dotare la città di una nuova struttura sanitaria, concepita secondo moderne esigenze, risolvendo nel contempo la tralaticia questione dell’ex convento cappuccino.Di questa sua volontà è testimonianza la deliberazione 12 maggio recante la decisione di cedere ai frati, insieme con l’orto, anche l’edificio in cui aveva sede l’ospedale che, a distanza di nemmeno un decennio dai lavori di ristrutturazione e di ampliamento della struttura, già risultava “bisognoso di restauri per gravi lesioni ai muri e per crollo dei pavimenti”. V’è da aggiungere che ai Cappuccini il decisionista commissario straordinario del Comune aveva posto sia l’obbligo di corrispondere una “congrua somma” che quello di reclutare un “ingegnere specialista” cui affidare la stima dei beni da alienare e la stesura del progetto del nuovo ospedale “per rimpiazzare quello esistente”48.

Ma il responso fornito in tempi rapidissimi dall’“ingegnere specialista”, 300 mila lire il valore dell’ex convento e del finitimo orto, 500 mila la somma necessaria per la realizzazione del nuovo ospedale, prospettava da subito ai frati giuliesi un ostacolo difficilmente valicabile. Ed infatti non sarebbero stati sufficienti per conseguire l’ambizioso obiettivo né le numerose prove di generosità offerte dai benefattori, mobilitati da p. Nicola da Tortoreto anche tramite un manifesto a stampa dai contenuti però ambigui venendo fatto appello alla generosità per un generico “ripristino dell’avito decoro del Santuario”49, e nemmeno l’autorevole interessamento del vescovo Quadraroli che pure aveva garantito il suo intervento finanziario con l’intesa di destinare un’ala dell’immobile “come edificio per la villeggiatura dei seminaristi teramani”.

Ernesto Pelagalli.

Sicché il commissario Angeloni, a cui non era neppure riuscito di dare esecuzione al piano regolatore per la Borgata Marina da egli deliberato il 4 luglio con l’intento di assecondare il “promettente sviluppo” della dinamica e popolosa frazione litoranea, doveva necessariamente ripiegare sui restauri da farsi all’ospedale, e, rinviando gli atti “per più concrete proposte sull’argomento”, addossare in capo a p.

47 Nell’articolo a firma Pertinax pubblicato nell’edizione 14-15 settembre de “Il Mattino”, significativamente ed enfaticamente titolato Giulianova redenta dal bolscevismo, oltre ad un ragguaglio degli avvenimenti succedutisi in città “con vertiginosa rapidità”, ed alla sottolineatura del ruolo ricoperto da Livio De Luca, Nemesio Aquini, segretario e fondatore del fascio locale, Antonio Montebello, Attilio Borghese, Edgardo Cugnini, Giulio Del Re, Alberto Testoni e Pasquale Battistella, “fascisti di prontissima azione”, si diceva significativamente: “Col comm. Giuseppe De’ Bartolomei faremo i conti fra breve”.48 Cfr. Gianfranco Garosi, Storia dell’ospedale di Giulianova, Teramo, Ricerche&Redazioni, 2008, p. 58.49 Cfr. Giovanni Di Giannatale, Ancora sull’espulsione dei cappuccini di Giulianova, in “La Madonna dello Splendore”, n. 31, 2012, pp. 33, 35.

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Nicola da Tortoreto “le spese per la redazione del progetto di stima dell’ex convento dello Splendore e del progetto del nuovo ospedale”50.

Il quale p. Nicola, secondo le determinazioni assunte nella congregazione celebratasi all’Aquila dal 15 al 18 ottobre51, era stato intanto confermato alla presidenza della religiosa famiglia giuliese composta da p. Matteo da Spoltore, da p. Cesidio da Scurcola, da p. Giustino da Santa Maria del Ponte e dal laico fra Giuseppe da Scurcola, questi in sostituzione di p. Vincenzo da Cese traslocato a Penne52.

Tentata senza successo la velleitaria carta dell’acquisizione dell’immobile, ai Cappuccini non restava che rispolverare il più modesto progetto dell’acquisto dell’orto su cui edificare un nuovo convento.

Ed era appunto questa l’istanza rivolta dal guardiano ad Ermanno Colucci, subentrato il 16 settembre 1923 all’Angeloni per mancata ricostituzione del consiglio comunale, donde, nel febbraio dell’ormai nuovo anno 1924, l’incarico al tecnico comunale di procedere alla stima del terreno, valutato in 30.750 lire, ed infine, il 4 luglio seguente, la richiesta da parte del commissario prefettizio di conoscere le intenzioni dei frati53.

Ma i religiosi al momento avevano altro a cui pensare, approssimandosi un evento particolarmente importante e che si voleva rendere solenne e memorabile: il decennale dell’incoronazione della Vergine dello Splendore.

In relazione al quale già il 21 giugno p. Nicola aveva dato mandato a Costantino Imperiale, rappresentante per l’Italia meridionale delle celebri industrie grafiche Dalle Nogare e Armetti di Milano, di stampare 32 mila cartoline-ricordo del Santuario al prezzo “specialissimo” di 1.646,80 lire 54, mentre un comitato di devoti, col soccorso del Terz’ordine francescano, un sodalizio di molto incrementatosi grazie al dinamico frate tortoretano, si era impegnato nella raccolta di fondi per la realizzazione di quattro campane da intitolare rispettivamente a Maria Ss. dello Splendore, al S. Cuore, alla Regina della pace e a S. Francesco.

Sicché la comunicazione che il Colucci riceveva ormai ad estate inoltrata dal superiore del convento non riguardava la questione del terreno bensì proprio la collocazione delle campane nel frattempo fuse presso la ditta Pasqualini di Fermo e per le quali si richiedeva la relativa autorizzazione previa verifica tecnica delle condizioni del campanile.

L’incarico veniva conferito il 16 agosto dal commissario prefettizio ad un ingegnere col quale ci siamo già imbattuti e destinato alla presidenza dell’Opera Nazionale Balilla, Ernesto Pelagalli, che il 21 seguente rilasciava il relativo nulla osta garantendo la massima affidabilità della torre nonostante il rilevante peso delle quattro campane (10 quintali complessivi, 6 dei quali solo per la campana dedicata alla Regina della pace, fusa in bronzo di guerra), grazie allo speciale sistema di inceppamento e alla inchiavardatura con quattro chiavi in ferro a tenditore55.

Il 24 agosto poteva quindi celebrarsi l’evento atteso: festa di fede sincera e, insieme, sintesi di quella storia “tenera e commovente della prodigiosa immagine” che avrebbe spinto folte schiere di devoti, commossi dalla parola del predicatore marchigiano p. Donato da Loro Piceno56 o inteneriti dalle musiche della Cappella Cantori di Teramo, a riversarsi “nella solitudine del s. tempio, tratti irrimediabilmente da un dinamismo arcano”, secondo il resoconto della giornata57.

A rendere indelebile il decennale era però la collocazione delle quattro campane, benedette previamente dal vescovo Quadraroli nell’occasione affiancato dal definitore cappuccino Luigi Rauco da Leonessa58.Con l’avvenuta celebrazione del decennale, e dopo aver ospitato, il 27 settembre, il visitatore generale p. Maurizio da Villa di Serio, che su specifiche disposizioni del procuratore dell’Ordine Melchiorre da Benisa, di qui a non molto nuovo ministro generale, aveva dato inizio alle sue ricognizioni proprio con la Provincia di S. Bernardino per problemi d’indole finanziaria59, p. Nicola da Tortoreto poteva quindi tornare ad

50 Cfr. Gianfranco Garosi, Storia dell’ospedale di Giulianova, cit., p. 59.51 Provincia Monastica dei Frati Minori Cappuccini Abruzzesi, Lettera Circolare della Congregazione celebrata in Aquila nei giorni 15-18 ottobre 1923, Aquila, Tip. priv. del SS. Cuore di Gesù, s.d. [ma 1923].52 ACCG, Acta Conventus, pacco 1.53 Ivi.54 Ivi.55 ASCG, cat. VII, cl. 6, b. 1, fasc. 2. Eloquente l’iscrizione della campana dedicata alla Regina della pace: Me fregit furor hostis at hostis ab aere revixi (il furore del nemico mi mandò in frantumi ma dal bronzo del nemico rinacqui).56 Sulla figura di P. Donato da Loro Piceno, rivelatosi verseggiatore dialettale di non trascurabile importanza, cfr. P. Bernardo Gabrielli, Padre Donato da Loro Piceno predicatore cappuccino, Ancona, Provincia dei Cappuccini delle Marche [Industrie Grafiche F.lli Aniballi], s.d. [1976?].57 Le notizie sono tratte da un dattiloscritto sotto il titolo Appunti storici sul Santuario della Madonna dello Splendore, datato 24.8.1924, in APCA, Conventi, cartella Giulianova.58 Su p. Luigi da Leonessa (1875-1942), al secolo Giacomo Rauco, si veda il necrologio pubblicato negli “Annali dei FF. MM. Cappuccini d’Abruzzo”, fasc. VIII, luglio 1942 - gennaio 1943, pp. 26-27.59 La decisione, presa il 4 agosto 1924 dal procuratore e commissario generale dell’Ordine Melchiorre da Benisa, di procedere per la consueta visita iniziando proprio con la provincia abruzzese di S. Bernardino, era stata notificata da p. Giuseppe da Tussio insieme con l’indicazione degli itinerari il 1 settembre. ACCG, Acta Provinciae, pacco 1. Sui problemi della provincia abruzzese dei Cappuccini v. Luigi Pellegrini, I

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occuparsi con maggior agio della questione relativa all’acquisto del terreno. Che però il commissario prefettizio, dandone comunicazione con nota del 2 ottobre, aveva deciso di sottoporre all’esame della Congregazione di carità una volta ricostituitane l’amministrazione ordinaria60.

La decisione, sostanzialmente interlocutoria e fors’anche pilatesca di Ermanno Colucci, un funzionario tutt’altro che indolente e del quale sono note le robuste e talvolta persino audaci iniziative assunte nel corso della sua gestione61, non soddisfaceva e ancor meno rassicurava i frati essendo a loro ben noti gli esasperati e persistenti personalismi che, avendo impedito sinora le elezioni, a ragione rendevano improbabile in tempi brevi la normalizzazione amministrativa.

Perciò non ci sorprende poi molto se il 14 novembre, lo stesso giorno in cui Melchiorre da Benisa comunicava alla curia aquilana dei Cappuccini gli esiti confortanti della visita effettuata da p. Maurizio da Valle Serio (“i disordini denunciati, almeno in quella estensione e gravità, con cui furono denunciati, non furono riscontrati”62), p. Matteo da Spoltore tornava impetuosamente in scena facendo notificare l’atto di citazione contro Comune e Congregazione di carità per vederli condannare, nell’udienza fissata il 2 dicembre presso il Tribunale di Teramo, al pagamento in suo favore - a far tempo dal 1892 in poi e in ragione di 15 mila lire annue - delle spese per officiatura e custodia del Santuario nonché a ricevere sul luogo, una volta eseguito il pagamento, la riconsegna del sito, locali annessi e quant’altro inerente, costringendo pertanto il Colucci, con deliberazione del 27 novembre successivo, a conferire il mandato ad litem all’avvocato Carlo Guazzieri63.

Cesare Migliori e la moglie Gilda Lubrano.

Nelle more di un contenzioso civile che, dirupando nei rinvii, si sarebbe trascinato ben oltre l’anno in corso, p. Nicola da Tortoreto, dopo essere stato riconfermato il 21 novembre alla presidenza della religiosa famiglia di Giulianova64, veniva autorizzato dal superiore provinciale a dar seguito, essendone impossibilitato don Tito Nespeca65, già parroco di S. Atto e subentrato al Pistilli nella titolarità dell’arcipretura di S. Flaviano, all’officiatura della chiesa nella Borgata Marina66, il cui iter per l’erezione in parrocchia, dopo una fase prodromica irta di difficoltà, era stato finalmente avviato nella decorsa primavera.

Proprio l’arciprete Nespeca, fratello del presidente della Società operaia Alfonso e dell’ex frate cappuccino Giuseppe, rettore dal 1878 della chiesa dell’Annunziata67, a partire dal 13 luglio del successivo anno 1925 dava la stura ad una speciosa querelle con i religiosi del Santuario che, invelenendo gran parte dell’estate, si sarebbe protratta sino all’inoltrato settembre per poi inabissarsi e tornare a rampollare tra circa un anno in forme diverse dalla batracomiomachia degli esordi e con gli esiti che vedremo.

Motivo del contendere una processione extra ecclesiam guidata da p. Nicola da Tortoreto che a detta di don Tito Nespeca aveva vulnerato le prerogative riconosciute al parroco da specifiche prescrizioni del codice canonico68.

Frattanto il 10 maggio sempre di quest’anno 1925, poco prima del passaggio di consegne tra il prefetto De Ruggiero e il neo promosso Umberto Albini, erano state finalmente indette le elezioni che, nel

Cappuccini tra XVI e XX secolo. Annotazione dagli Annali dei Cappuccini d’Abruzzo , in “Franciscana”, 15 (2013), p. 306.60 Ibid., Acta Conventus, pacco 1.61 Alquanto istruttiva, in proposito, è la Relazione del Cav. Dr. Ermanno Colucci Commissario Prefettizio per la temporanea Amministrazione del Comune dal 16 settembre 1923 al 31 maggio 1925, Giulianova, Stabilimento Tipografico T.A.L.I.A., 1925.62 La relazione è riportata in Provincia Monastica dei Minori Cappuccini d’Abruzzo, Lettera Circolare della Congregazione tenuta in Aquila nei giorni 18 - 21 novembre 1924, s.l. [ma Aquila], s.n., s.d. [ma 1924].63 ASCG, Deliberazioni del consiglio comunale dal 1 ottobre 1923 al 31 gennaio 1925, n. 172 del 27 novembre 1924.64 ACCG, Acta Conventus, pacco 1. I religiosi di famiglia, come dalle decisioni assunte nella Congregazione tenuta all’Aquila dal 18 al 21 novembre, risultano essere p. Matteo da Spoltore, da p. Cesidio da Scurcola, p. Marco Ciangoli da Luco nei Marsi, p. Tommaso da Ateleta e frà Antonio Fabrizi da Meta. Su Antonio da Meta APCA, Descriptio localis et personalis Ordinis Fratrum Minorum S. Francisci Capuccinorum a Rev. Mo P. Pacifico a Sejano Ministri Generali indicta, Provincia Aprutina, ab anno Domini 1912, pars II, Fratrum laicorum iuxta Religionis antianitatem, n. 42.65 Sul quale cfr. utilmente Mario Montebello, Don Tito Nespeca (Giulianova 1866-1944) e la società post-risorgimentale, in Deputazione Abruzzese di Storia Patria, Incontri culturali dei soci, XVII, L’Aquila, Deputazione Abruzzese di Storia Patria, 2010, pp. 25-29.66 ACCG, Acta Conventus, pacco 1, lettera provincializia del 23 novembre 1924.67 Cfr. Giovanni Di Giannatale, I Passionisti a Giulianova. 1858- 1866, S. Gabriele, S. Gabriele Edizioni, 2013, p. 136 e nota 19.68 Il relativo e concitato carteggio è in APCA, Conventi, cartella Giulianova.

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mettere fine alla sequela delle gestioni straordinarie protrattesi non senza ombre fino al Colucci69, di qui a breve commissario prefettizio a Notaresco, suggellavano il ritorno da protagonista sulla scena cittadina di un personaggio a noi ben noto: l’industriale e gioielliere Amato Alfonso Migliori.

Il risultato pressoché plebiscitario ottenuto nelle elezioni, 1.026 preferenze su un totale di 1.271 votanti70, spalancavano al Migliori, candidato di punta del Fascio giuliese di combattimento, le porte del palazzo municipale su corso Garibaldi.

Il suo insediamento come sindaco, avvenuto, in un tripudio di camicie nere e tra il garrire dei vessilli tricolori, la domenica 1 giugno, era stato anticipato un giorno prima da quello della giunta, nella quale, accanto a Bernardo Azzoni, ad Alfonso De Santis, a Vincenzo Parere, a Raffaele Morganti e ad Antonio Bizzarri, nomi più o meno noti delle precorse stagioni politiche, ritroviamo un’altra nostra vecchia conoscenza, l’albergatore Giulio Federici71, anch’egli confluito in una concentrazione in cui potevano convivere ex socialisti, giolittiani di destra ed esponenti del PPI e presto reclutato come presidente facente funzioni della Congregazione di carità, al cui massimo vertice, peraltro, si sarebbe di qui a poco insediato il fratello del nuovo sindaco, quel Cesare Migliori col quale ci siamo più volte imbattuti.

Una manciata di giorni dopo, il 4 giugno, p. Giuseppe da Tussio rassegnava invece le dimissioni da ministro provinciale essendo ormai spirato il termine triennale del suo incarico e non avendo la curia generale concessa l’autorizzazione per la convocazione del nuovo capitolo.Nel darne comunicazione il 10 giugno successivo, in un commiato intriso di toni decisamente commossi (“Padri e Fratelli carissimi, è questa l’ultima volta che ho il piacere di salutarvi”), l’ormai ex provinciale invitava i religiosi abruzzesi ad accogliere serenamente ogni sacrificio e dovere, esortandoli altresì ad una costante dedizione nei confronti della Provincia e ad una assoluta disciplina, da serbare in particolare al futuro superiore72.

Questi, il quarantenne p. Roberto Ventura da Manoppello73, già segretario di Provincia, definitore e quindi guardiano, avrebbe assunto il supremo ufficio molto più tardi, il 3 novembre, con le difficoltà ed i problemi resi manifesti, oltre che dalla lunga vacatio, anche dalla procedura seguita, schede e decreto del generale.

Il 22 dicembre 1925, ad oltre un mese dall’insediamento dell’intraprendente, saggio e risoluto religioso, al primo incarico nelle vesti di ministro provinciale, la Sacra Congregazione dei Religiosi finalmente approvava le nuove costituzioni dell’Ordine, il cui testo, divenuto definitivo tre anni prima, aveva conservato forte ed integra l’unzione mistica originaria74. E sarà ancora durante il suo provincialato che Roberto da Manoppello assisterà, avendo giocato nella vicenda un ruolo tutt’altro che marginale, alla posa della prima pietra dell’erigendo convento giuliese dei Cappuccini.

Quod erat in votis. Dal sogno alla realizzazioneLa realizzazione del convento, un obiettivo sinora frustra temptatum tanto da rimanere confinato tra i

sogni di intere generazioni di frati ma anche di tanti giuliesi, si apprestava a divenire realtà nel dicembre 1926, esattamente a sessant’anni di distanza dalla consegna a favore del Comune di “locale, Chiesa annessa, mobili e mobilia appartenenti al Santuario e Convento”.

Le tessere di un mosaico, chiamiamolo così, che pur aveva preso forma in precedenza, iniziano infatti a trovare la loro esatta collocazione il primo gennaio appunto del 1926 con una comunicazione per p. Nicola firmata da Pasquale Tentarelli, il longevo segretario della Congregazione di carità con il quale ci siamo già imbattuti.

O’ [sic] redatta la deliberazione quale a voi ed alla comunità spettava di diritto, ma non ho potuto entrare a discutere il merito della retribuzione perché il ff. Presidente Federici non ha creduto di farlo. Quale la ragione io la ignoro.Procurerò riservare una mezz’ora di tempo per procurarmi il piacere di sentirci col vivo della voce e fra un’ora al massimo sarò da voi75.

La nota, chiaramente confidenziale, minus dixit quam voluit; e tuttavia, al di là del manchevole oggetto sotteso, poco spazio lascia al dubbio, trattandosi com’è facile intuire del tentativo esperito da Giulio Federici, dietro il quale ovviamente occhieggia l’influentissimo Cesare Migliori, prossimo a sostituirsi al Federici nella presidenza dell’Ente, di impostare su basi nuove il rapporto tra Congregazione

69 Si vedano in proposito le sapide corrispondenze apparse sull’antifascista “Il Risveglio” nelle edizioni del 14 luglio, del 12 agosto e del 5 settembre 1925.70 “Il Solco”, 17 maggio 1925.71 Azzoni, Federici, De Santis, Parere, Morganti e Bizzarri, avevano conseguito nelle elezioni, rispettivamente, 962, 947, 1001, 960, 992 e 940 voti. “Il Solco”, 7 giugno 1925.72 ACCG, Acta Provinciae, pacco 1.73 Per il biogramma di p. Roberto da Manoppello, al secolo Pasquale Ventura, nato nel 1886 e morto nel 1956, cfr. P. Paolino da Bagno, Necrologio dei Frati Minori Cappuccini d’Abruzzo, cit., primo semestre, addenda, sub 24 maggio. Altre utili notizie nel necrologio pubblicato negli “Annali dei FF. MM. Cappuccini d’Abruzzo”, fasc. XX, agosto 1955 - maggio 1956, pp. 49-52.74 Cfr. Mariano D’Alatri, I Cappuccini. Storia d’una famiglia francescana, cit., pp. 208-209.75 ACCG, Acta Conventus, pacco 1.

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di carità e Cappuccini, ridimensionando o elidendo attriti e tensioni perduranti. Un atteggiamento quindi diverso, s’intende di maggiore disponibilità, che costituisce la piattaforma su cui poggeranno le iniziative dell’immediato futuro.

La volontà di edificare un clima più disteso è peraltro confermata dalla parallela e pressoché sincronica azione avviata dal sindaco Amato Alfonso che, rivoltosi a mons. Quadraroli, aveva da questi ottenuto il 2 gennaio il gradimento circa la nomina, deliberata dal consiglio comunale il precedente 22 dicembre 76, di un cappellano-custode per il locale cimitero, ricevendo poi, il 6 gennaio, l’invito a procedere alla relativa designazione.

La scelta della giunta, allineatasi ai desiderata del sindaco, è caduta su p. Nicola da Tortoreto “quale persona la più idonea per il delicato incarico”, come Amato Alfonso Migliori s’affretta a scrivere il 9 gennaio al diretto interessato pregandolo di accettare la designazione e con l’invito a munirsi del relativo nulla osta, “dopo di che quest’Amministrazione - assicura il sindaco - procederà alla regolare nomina, con l’annuo assegno a carico del bilancio comunale di L. 2400”77.

Due altre nomine interne all’Ordine dei Cappuccini precedevano nel frattempo quella su cui tanto si sta adoperando il capo dell’amministrazione comunale e che verrà ratificata dalla giunta il 4 febbraio78. La prima, conferita a p. Nicola all’indomani della congregazione tenutasi all’Aquila dal 22 al 27 gennaio, è a collettore provinciale per l’opera serafica delle sante messe79. La seconda, a economo del convento di Giulianova, rientra nella consueta ridefinizione della fraternità che a partire dal 3 febbraio, con il trasloco a Campli sia di p. Antonio Fabrizi da Meta80 che di p. Cesidio Talone da Scurcola, risulta formata da p. Marco Ciangoli da Luco ne’ Marsi81, da p. Tommaso Mannella da Ateleta, dal laico Giuseppe Di Massimo da Scurcola qui venuto dalla curia generale82, nonché dal venerando p. Matteo da Spoltore, tornato a fare il guardiano83.

A questi incarichi, non poco impegnativi, il Federici ha intenzione di aggiungere - ed ecco svelarsi il criptico contenuto della “riservata” a firma Tentarelli - anche la nomina a cappellano della chiesa di S. Rocco, come ha cura di comunicare a p. Nicola da Tortoreto con sua nota del 12 febbraio.

Il discorso circa le nomine, segnatamente quella disposta dal sindaco Migliori e l’altra meditata dal Federici su una convergente finalità di concordia ordinum, potrebbe anche terminare qui.

Senonché a scompaginare le carte interviene a marzo, facendo seguito all’atto di nomina a cappellano del cimitero rilasciato il 5 del mese dal vescovo Quadraroli, il provinciale p. Roberto da Manoppello. Il quale notifica a p. Nicola la sua decisione di considerare formalmente come “non data” la canonica approvazione del 21 febbraio, giacché a suo dire risultano “inaccettabili e indecorose per un ministro di Dio” le limitazioni stabilite dal presule aprutino, rispettivamente la sola celebrazione di messe lette e, nel cimitero, “quelle preghiere, che non richiedono la stola e l’aspersione dell’acqua benedetta”84.

Di tenore non dissimile le ulteriori riserve espresse pure a marzo dal ministro provinciale sulle condizioni contemplate per la cappellania del S. Rocco, essendo in questo caso riservato un evidente favor al locale parroco, consistente nell’amministrazione dei divini uffici in occasione delle solennità con evidente mortificazione delle funzioni del cappellano85.

Un vero e proprio vicolo cieco destinato a rimanere a lungo tale, almeno relativamente all’incarico per la chiesa dell’orfanotrofio “Castorani”, con l’autorità diocesana ferma sulle sue posizioni cui fa da contraltare, nonostante la timida mediazione di suor Isabella Soleri, superiora delle Figlie della Carità, l’irrigidimento del superiore provinciale dei Cappuccini.

Al quale ultimo piuttosto preme risolvere il nodo gordiano dell’erigendo convento, donde la lettera 16 aprile 1926 per il ministro generale, primo e necessario atto d’impulso per una procedura tutt’altro che semplice e di cui avremo modo di seguire attentamente le varie fasi.

La Congregazione di Carità di Giulianova, la quale per le leggi di soppressione detiene quel nostro antico Convento, ora trasformato in Civico Ospedale, ha imposto ai nostri Frati di lasciar

76 APCA, Conventi, cartella Giulianova.77 ACCG, Acta Conventus, pacco 1.78 ASCG, Deliberazioni della giunta municipale dal 27 settembre 1923 al 17 marzo 1927, n. 513 del 4 febbraio 1926.79 Cfr. Provincia Monastica dei FF. Minori Cappuccini dell’Abruzzo, Stato Personale della Provincia e delle Famiglie ordinato nella prima Congregazione tenuta in Aquila nei giorni 22 - 27 gennaio 1926, Aquila, Tipog. priv. del SS. Cuore di G., s.d. [ma 1926].80 Al secolo Salvatore Fabrizi nato il 25 dicembre 1906, professione dei voti semplici nel 1924: il 17 luglio 1930 “sponte habitum dimisit”. APCA, Descriptio localis et personalis Ordinis Fratrum Minorum S. Francisci Capuccinorum a Rev. Mo P. Pacifico a Sejano Ministri Generali indicta, Provincia Aprutina, ab anno Domini 1912, pars II, Fratrum laicorum iuxta Religionis antianitatem, n. 42.81 Al secolo Luigi Ciangoli, nato 1 gennaio 1882 e sacerdote nel 1904.82 Su frà Giuseppe Di Massimo da Scurcola Marsicana (1879- 1947), si veda il necrologio in “Annali dei FF. MM. Cappuccini d’Abruzzo”, vol. VII (1959), fasc. XXV, pp. 203-204.83 ACCG, Acta Conventus, pacco 1.84 APCA, Conventi, cartella Giulianova.85 Ivi.

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presto anche la meschinissima parte di fabbricato, che hanno finora abitata pel servizio della chiesa, che è Santuario celebre di quella regione.Quel popolo, attaccatissimo al nostro Ordine, per non perdere i nostri Religiosi, si è offerto ad acquistare a proprie spese l’orto adiacente allo scopo di edificarvi un conventino, e il detto orto è della stessa Congregazione di Carità. La spesa per l’acquisto si aggira sulle trentamila lire, poiché ha considerevole estensione ed al prezzo di L.it. 5 al mq.86.

L’autorizzazione, invocata da p. Roberto da Manoppello con sollecitudine estrema (“poiché un ritardo, anche breve, potrebbe creare complicazioni e perdere tutto”), veniva spedita da Roma di li a poco, il 21 aprile87, un giorno più che significativo per i frati giuliesi essendo ormai imminenti i consueti festeggiamenti mariani cui da tempo attende, come presidente della relativa “Deputazione”, il sindaco Migliori88.

Ed è forse all’indomani delle celebrazioni del 22 aprile che sortisce l’anonima “lagnanza” - frutto di un costume sappiamo quanto risalente - per la curia provinciale cappuccina dell’Aquila, e da questa il 3 maggio fatta rimbalzare a Giulianova con l’ordine di rimuovere senz’indugio dall’altare della chiesa dello Splendore “qualunque oggetto o cose contrarie alle leggi della Chiesa”89.

Di non minore severità è il tenore di un’altra missiva che p. Roberto da Manoppello spedisce due giorni dopo all’arciprete Nespeca, quest’ultimo rivoltosi il 10 aprile a p. Matteo da Spoltore senza aver ottenuto soddisfazione e quindi, il 17 dello stesso mese, al provinciale dei Cappuccini con una sorta di cahier de doleances farcita di gravi accuse sui comportamenti presenti e passati dei frati giuliesi, aventi ad oggetto non esclusivamente ma prevalentemente la presunta - e, a quanto pare, persistente - lesione dei diritti parrocchiali, lamentati come sappiamo un anno prima e assunti a motivo di una convivenza non più pacifica.

“Appunto per ottenere la pacifica convivenza - afferma seccamente il provinciale, dopo aver dichiarato il difetto di ogni lesione nei confronti delle prerogative parrocchiali - sarebbe bene che la S.V. Rev.ma non si interessasse di quanto non La riguarda, essendovi nell’Ordine superiori legittimi per la direzione e governo dei suoi Religiosi”90.

Ristabilita così l’autonomia dei Cappuccini anche nei confronti dell’autorità diocesana, invocata e coinvolta dall’arciprete ma rimasta prudentemente in disparte, per p. Roberto da Manoppello e per i suoi frati giuliesi si tratta ora di impostare concretamente - e definire nei dettagli - l’ormai prossimo atto per l’acquisto dell’orto.

A questo si provvede il 20 maggio mettendo mano ad uno schema di convenzione su quattro punti, nel primo dei quali viene stabilita la cessione dei quattro vani soprastanti chiesa e sacrestia “a scopo di culto e, secondo il Diritto Canonico, per non essere adibito ad usi profani”, nel secondo il libero accesso al campanile con la gradinata che vi conduce, e nel terzo - il più radicale - la richiesta alla Congregazione di rinunziare al suo diritto di nomina del custode nonché a “qualunque ingerenza in riguardo della Chiesa e ciò per conformità ai sacri canoni”. Infine, ed è il quarto punto, la cessione del piazzale esterno antistante alla chiesa insieme con la zona laterale, necessaria per l’eventuale ampliamento dell’edificio di culto91.

Sulla minuta, che precede di un sol giorno il deliberato con cui la Congregazione di carità conferiva a Cesare Migliori il mandato “incondizionato” per le operazioni connesse all’alienazione del terreno, di qui a non molto avrà modo di esercitare la sua valentia giuridica un anziano principe del foro di Ancona. Si tratta del sessantaseienne Edoardo Guarino, primogenito dell’ex giudice regio Nicola lungamente in servizio a Giulianova prima di trasferirsi nella città dorica, assai avvezzo alla latitudini abruzzesi disponendo ancora di proprietà terriere e residenza estiva nel luogo d’origine della madre Vincenza Capanna, a Tortoreto Spiaggia92, già altre volte consultato da p. Nicola e in questa occasione reclutato come suo consulente circa il “certo affare” su cui il professionista si limita a fare discretissimo cenno nel memorandum 30 luglio 1926 per il ministro provinciale dei Cappuccini.

86 AGCap, G.5 (Provincia Aprutina), cart. 5, sezione A-L, fasc. Giulianova.87 APCA, Conventi, cartella Giulianova.88 Cfr. in proposito Sandro Galantini, La cattedrale di Giulianova nella corrispondenza epistolare Vincenzo Bindi - Alfonso Migliori, in Deputazione Abruzzese di Storia Patria, Incontri culturali dei soci. VII, L’Aquila, Deputazione Abruzzese di Storia Patria, 1998, p. 135 riproposto, con alcune modifiche e col diverso titolo “Per la nostra amatissima Giulianova”. La Chiesa di San Flaviano nella corrispondenza epistolare Vincenzo Bindi - Alfonso Migliori, in “La Madonna dello Splendore”, n. 17, 1998, pp. 58- 63.89 ACCG, Acta Conventus, pacco 1.90 Ivi.91 Ivi.92 Edoardo Guarino, nato nel 1860 e laureatosi a Roma a soli vent’anni, autore nel 1885 di un apprezzato trattato giuridico su La pena e l’emenda, nel 1905 - l’anno in cui, unitamente al collega Francesco Sagaria, si era occupato dell’integrità del mandamento di Tossicia - aveva intentato causa, rappresentando anche la madre, contro il Comune di Tortoreto per una questione legata ad una strada pubblica. Sul padre Nicola, magistrato a Giulianova a partire dal 1854, v. il necrologio apparso nel “Corriere Abruzzese”, 14 aprile 1897, ora riproposto in L’ultima dimora. 24 anni di annunci funebri sul Corriere Abruzzese (1876-1899), a cura di Federico Adamoli, s.l. [ma Teramo], Libri artigianali, 2008, parte seconda, pp. 216-217.

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Espliciti e insistiti, nel memorandum medesimo, sono invece i riferimenti alla causa giudiziaria intentata da p. Matteo che, ragguaglia il Guarino, è stata ormai cancellata dal ruolo a seguito dei numerosi differimenti. Pertanto, consiglia saggiamente il legale, sarebbe opportuno considerare la vertenza tamquam non esset tanto più che - come ha fatto sapere il sindaco Migliori a p. Nicola da Tortoreto - “sino a che la causa era in piedi non si poteva parlare di accordo”.

Al pacificatore, ragionevole e insieme tattico passo indietro suggerito dal Guarino ed in effetti attuato dal provinciale, fa non a caso pendant l’ampia falcata in avanti della Congregazione di carità che nell’autunno inoltrato, dopo l’approvazione da parte dell’autorità tutoria, il 13 settembre, sulla deliberazione di incarico al presidente Migliori, appronta e dunque invia ai frati, e costoro alla curia aquilana dei Cappuccini, la minuta di convenzione.

Sicché l’inchiostro che il 4 novembre verga in nitida grafia, conferendo forma e sostanza all’articolata controproposta, è intinto nel calamaio di p. Roberto da Manoppello, che naturalmente si è consultato con i

suoi tre definitori, nell’ordine il già incontrato Luigi Rauco da Leonessa, Pio Ricci da Ateleta e Agostino Lepore da Sulmona93.

Non poche, e non poco penetranti, sono le modificazioni che, a detta dei vertici cappuccini, dovrebbero apportarsi alla convenzione, iniziando dalla dilatazione dei due anni fissati come termine improrogabile per la costruzione del nuovo convento essendo noto a tutti, Congregazione compresa, che la somma necessaria per i lavori, reperita grazie alla “pietà dei fedeli”, è ancora lungi dall’essere raggiunta.

Non può parimenti accettarsi, prosegue p. Roberto, la condizione che vieta qualsiasi cessione del terreno: il divieto “è giusto per l’area soltanto che è in prossimità del Santuario per una distanza da determinare”.

Terza questione è quella relativa all’uso esclusivo ai religiosi dell’erigendo fabbricato; la limitativa clausola prevista dalla Congregazione per la destinazione d’uso, difatti, cozza contro il proposito di dare vita insieme con il convento anche ad un istituto per la formazione e l’educazione. Pertanto - argomenta il provinciale - “i giovani allievi e personale di servizio, che non sono religiosi, devono aver dimora nel costruendo edificio”.

Ma il vero punctum dolens è altro che non questi aspetti, o quelli tutto sommato marginali riguardanti le spese per la compilazione della pianta da

allegare all’atto e per la manutenzione del fontanino esterno, che a detta del provinciale sarebbero ambedue da ascrivere alla Congregazione. Ed è precisamente l’obbligo, che si vuole a carico dei religiosi, di corrispondere un fitto per l’uso della sacrestia, della gradinata che conduce al campanile e dei quattro vani sovrastanti il Santuario. Un onere ritenuto non a torto assurdo dal provinciale e dai suoi definitori considerato che le stanze sono adibite ad alloggio del custode e della fraternità ed “essendo la sacristia e l’ingresso al campanile locali necessari per il culto”. E pertanto, ribatte il provinciale approssimandosi pericolosamente ad un terreno assai infido, “non la Congregazione dovrebbe richiedere, ma dovrebbe corrispondere ai religiosi un qualche compenso per il servizio che prestano”.

È insomma tornata inopinatamente sul tappeto la pretesa agitata a suo tempo da p. Matteo da Spoltore: per la Congregazione, si sa, molto più di una puntura di spillo, e per i frati un capitolo cui obtorto collo si è deciso di rinunziare ma, a quel che sembra, utile da rievocare per la sua efficacia dissuasiva e nel contempo persuasiva. Non è infatti del tutto casuale che si riservi al punto immediatamente successivo un altro paio di concretissime messe a punto. I locali richiesti, e dove i frati tuttora dimorano, verranno senz’altro rilasciati ma - aggiunge perentoriamente p. Roberto - solo all’ultimazione dei lavori e sussistendo tutte le condizioni igieniche e di abitabilità; dopo di che per le innovazioni apportate dai religiosi ai locali stessi la Congregazione dovrà corrispondere “una somma da convenire” secondo la disciplina civilistica dell’utiliter coeptum.

Gilda Lubrano, la primogenita Margherita e Cesare Migliori.

Quanto alle messe da celebrare nella chiesa di S. Rocco annessa all’orfanotrofio “Castorani”, per le quali la Congregazione aveva richiesto un apposito accordo, il provinciale taglia corto: nell’atto di compravendita del terreno “nessun accordo può formarsi per la celebrazione di messe in altra Chiesa, sia pure del patronato della Congregazione, nessun onere potendosi per tal riguardo assumere dai religiosi”94.

Questo nostro indulgere sul documento cappuccino con sostanziale pretermissione di quello precedente che pure ne è all’origine, trova la sua ragione giustificatrice nella mansueta e persino sussiegosa nota 8 novembre della Congregazione di carità che suggella il successo della linea rigoristica e tutto sommato “temeraria”, per quanto non irragionevole, assunta da p. Roberto da Manoppello nel suo preliare pro aris et focis.

Passano così, sostanzialmente accolte de plano, tutte le modificazioni proposte dal ministro provinciale. E quando pure l’Ente presieduto da Cesare Migliori avanza la sua riserva in ordine ad un solo 93 Su p. Agostino da Sulmona (1872-1947), al secolo Salvatore Lepore, si veda il relativo necrologio in “Annali dei FF. MM. Cappuccini d’Abruzzo”, fasc. XI, ottobre 1945 - giugno 1947, pp. 41-42.94 APCA, Conventi, cartella Giulianova anche per i documenti successivi.

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punto, quello relativo al termine biennale stabilito per la riconsegna dei locali, quasi sembra scusarsi per l’impossibilità di fissare un termine superiore ai tre anni accordati “dato l’assoluto bisogno per l’Ospedale di avere altri locali”.

Non è quindi per una concessione all’iperbole che p. Nicola definisca “molto gentile” il tenore complessivo del documento. Sicché, procurando di trasmetterlo il 9 novembre a p. Roberto da Manoppello insieme con alcuni suggerimenti dell’avvocato Guarino, pur’egli “restato meravigliato” da tanta arrendevolezza, ben si comprende l’esortazione alla massima speditezza ora che la Congregazione, come esattamente rileva il presidente della religiosa famiglia giuliese, è disposta “a fare quello [che] vogliamo noi”.

Attilio Quercetti.

Il giorno in cui p. Nicola informa il suo superiore della positiva piega che ha preso la questione, sono passate ventiquattr’ore esatte dalla conclusione all’Aquila della periodica congregazione. Da cui sono sortite, insieme con l’appagante presa d’atto di una ripresa vocazionale che ha fruttificato 18 chierici, 14 novizi e 36 collegiali, le innovative disposizioni, rese immediatamente esecutive, sulla sottoposizione dei Santuari cappuccini, “senza nulla ledere i doveri e diritti” dei superiori locali, alla esclusiva e più penetrante direzione del ministro provinciale, la cui longa manus - diciamo così - è garantita in ambito locale dal revisore, una figura di nuovo conio con compiti di verifica amministrativa95.

Novità che il 10 novembre successivo trovano applicazione anche nella ridefinita fraternità cappuccina di Giulianova ora sottoposta alla presidenza di p. Matteo da Spoltore, essendo stata assegnata la funzione di revisore tanto a p. Tommaso da Ateleta quanto al confratello Cesidio Talone da Scurcola, il quale, tornando nel convento di cui era stato in passato superiore, con la sua presenza ha portato a sei il numero dei religiosi dimoranti nell’insediamento giuliese96.

Su di essi, già da tempo impegnati a rastrellare fondi per l’acquisto del terreno di cui ormai è imminente l’atto, grava peraltro un onerosissimo sussidio di 12 mila lire, il più alto in assoluto tra quelli imposti dalla curia aquilana dei Cappuccini ai conventi abruzzesi per ripianare, o per lo meno arginare, lo spaventoso debito di 1.113.646,85 lire che affligge la Provincia di S. Bernardino, ora più che mai esposta - come p. Roberto ammette con preoccupazione, non potendosi confidare sugli aiuti finanziari invano richiesti alla curia generale di Roma - alla “catastrofe materiale e morale”97.

Se questo è il clima, con tutti gli impacci ed i rovelli facili da immaginare, allora ben si giustificano le cautele invocate dall’avvocato Guarino nella sua lettera 12 novembre per il ministro provinciale, essendo obiettivo del legale quello di ottenere previamente, ed esaminare con attenzione, la minuta dell’atto da stipulare affinché “non nascano all’ultimo momento complicazioni, che tutto potrebbero guastare”.

Con la minuta trasmessa da Giulio Federici cinque giorni dopo, e prontamente esaminata dal Guarino, tutto è ormai pronto per la redazione dell’atteso “strumento”.

L’atto del 1° dicembre 1926: la fine dei problemi, l’inizio del nuovo conventoIl primo dicembre 1926 a Giulianova, nella lussuosa villa che Cesare Migliori possiede in contrada

Montagnola e dove i precedenti proprietari, gli Acquaviva d’Aragona, avevano accolto nel lontano e memorabile 15 ottobre 1860 re Vittorio Emanuele, prende finalmente corpo il sogno lungamente vagheggiato dai Cappuccini e a cui conferisce la necessaria veste e fede giuridica il notaio Alfonso Pannella, colui che proprio nel dicembre di dodici anni prima, lo si ricorderà, aveva rogato l’atto relativo

alla sopraelevazione di due piani sopra la sacrestia del Santuario con tutti i risvolti che ormai ben conosciamo98.

Oltre a Cesare Migliori, prendono parte a questo storico evento il tesoriere della Congregazione di carità ed esattore comunale Luigi Meo, marito e padre delle terziarie francescane Chiarina e Anna, nonché, per la controparte cappuccina, Roberto da Manoppello, Nicola da Tortoreto ed un frate quarantanovenne, Gustavo Conti, che ha assunto in religione il nome assai rievocativo di Faustino da Spoltore99.

La Congregazione di carità, nel ricevere in contanti la somma pattuita, 43.475 lire, circa diecimila in più rispetto al valore stimato tre anni prima, come da accordo cede pertanto ai religiosi circa 8.030 mq. di terreno con relativo muro di cinta assegnando altresì ai Cappuccini l’uso perpetuo di sacrestia, gradinata al campanile e delle quattro camere soprastanti al Santuario, da isolare convenientemente dall’ospedale, insieme con il pozzo ed il fontanino esistenti sul residuo terreno rimasto nella proprietà dell’Ente100.

95 Provincia Monastica dei FF. Minori Cappuccini dell’Abruzzo, Stato Personale della Provincia e delle Famiglie ordinato nella Congregazione tenuta in Aquila nei giorni 5-6-7-8 novembre 1926, Aquila, Officine Grafiche Vecchioni, 1926.96 ACCG, Acta Conventus, pacco 1.97 Ivi. Missiva provincializia del 5 novembre 1926.98 Cfr. Sandro Galantini, Giulianova e i cappuccini 1901-1918, cit., p. 21.

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Il rogito Pannella del 1 dicembre 1926, trascritto il 7 seguente all’ufficio delle ipoteche di Teramo, nel fissare limiti ed estensione ad obblighi e diritti, peraltro riconoscendo contrattualmente - e quindi consolidando in uno stato di diritto - un modus vivendi da lungi venuto a stabilirsi, al tempo stesso chiudeva definitivamente ogni controversia di coabitazione tra Cappuccini e l’ospedale gestito dalla Congregazione di carità.

Dalla quale gli unici atti posti in essere nei postremi giorni di quest’anno sono, rispettivamente, l’annullamento dell’ordine di incasso di 130 lire relativo al fitto del terreno per l’anno in corso, come il segretario Tentarelli il 23 dicembre è ben lieto di riferire a p. Nicola101, e la reiterata nomina di quest’ultimo - con decisione deliberata lo stesso giorno da Giulio Federici, Luigi Crocetti, Luigi Orsini e Luigi Iaconi sotto la presidenza Migliori - a cappellano di S. Rocco, essendo il frate espressione di quella “benemerita Comunità dei religiosi Padri Cappuccini” che, impegnata a garantire sollievo all’“umanità sofferente”, nondimeno è sempre prontamente accorsa “dove il bisogno religioso lo ha chiamata e lo chiama” esplicando il proprio mandato “con amorevole carità e più di ogni altro verso i sofferenti del nostro civico Ospedale”102.

Siamo dunque arrivati al fatidico anno 1927 e il solerte p. Nicola da Tortoreto, in ambascia per gli scarsi fondi a disposizione che il difficile momento economico non contribuisce certo a far lievitare, il 5 gennaio prende carta e penna scrivendo una lettera accorata al sindaco Amato Alfonso Migliori impetrandone il “valido appoggio” per la costruzione del nuovo convento che, aggiunge, “sarà un vero bene comune”.

Pesa la spada di Damocle della riconsegna dei locali, e l’ambizioso progetto - sottolinea il religioso, il quale due giorni dopo, peraltro, riceverà l’ennesimo ma non risolutivo beneplacito vescovile per le funzioni di cappellano a S. Rocco103 - non può ragionevolmente portarsi a compimento solo con “le nuove offerte e carità dei fedeli devoti alla Madonna”, rendendosi necessario un ben più consistente e generoso impegno: quello, appunto, che il dovizioso e potente interlocutore è in grado di garantire104.

Ma il sindaco, che mesi prima si era messo a capo di un comitato per dotare il duomo di San Flaviano di una nuova campana, in effetti realizzata mediante la fusione di quella ottocentesca e resa preziosa da una epigrafe dettata per l’occasione dal celebre Enrico Cocchia, ed oltretutto ancora impegnato per l’isolamento del sacro edificio il cui progetto - grazie ai buoni uffici dell’amico e consulente Vincenzo Bindi - ha incontrato il favorevole appoggio del soprintendente all’arte medioevale e moderna Armando Vené105, suo malgrado può fare ben poco nonostante la speciale venerazione da egli serbata al culto mariano e la stima per quei padri Cappuccini che ne sono i solerti custodi. Ed è esattamente garantire la sua adesione, aggiungendo la propria firma a quelle di due personaggi in precedenza incontrati nelle rispettive vesti di membro della Congregazione di carità durante il sindacato de Bartolomei e di autorevole esponente del Partito popolare, il veterinario Attilio Quercetti e Saverio Sechini, l’uno diventato segretario del Fascio e l’altro inserito dal Migliori nella commissione per la toponomastica comunale, ad una speranzosa istanza di sussidio che il 15 febbraio viene inoltrata al ministro della pubblica Istruzione Pietro Fedele con la preghiera di farsene interprete presso il Duce.

Oggetto è naturalmente il nuovo convento che il popolo di Giulianova, “fascista della prima ora”, intende realizzare sia per “sostenere il Culto” che si presta nel Santuario mariano, ove “non solo l’Abruzzo, ma anche le regioni limitrofe si portano in sacra peregrinazione più volte l’anno”, e sia “per sopperire al mancato alloggio dei PP. Cappuccini” destinati all’estromissione, come esplicitano i rappresentanti del comitato cittadino che si è assunto l’oneroso compito di reperire i fondi necessari, nell’ordine Pasquale Baldini, cioè il nostro p. Nicola da Tortoreto, Francesco Fedele e l’insegnante Umberto Jori, cofondatore del locale circolo musicale filodrammatico “Primo Mascagni”.

Da Roma la pratica veniva fatta rimbalzare all’Aquila finendo sulla scrivania del sovrintendente Venè, che perciò il 14 marzo, onde “riferire al Superiore Ministero e formulare concrete proposte in merito alla questione”, richiedeva al sindaco “più precise notizie”.

Ma queste, fornite ai primi di aprile dal Migliori, che oltre ad una breve sintesi storica relativa al Santuario non a caso s’era soffermato sul “non trascurabile patrimonio artistico” presente premurandosi di fare in proposito rinvio al saggio di Bindi pubblicato otto anni prima sulla prestigiosa “Rassegna d’arte” e che abbiamo già citato, non sono sufficienti a persuadere il ministero giacché l’erigendo convento - come un sinceramente rammaricato Venè comunica il 16 maggio al Migliori, da un mese diventato podestà – “pur interessando indirettamente la locale Chiesa della Madonna dello Splendore, non riguarda a rigore, la conservazione della medesima”106.99 Su p. Faustino Conti da Spoltore (1877-1947), peraltro abile ebanista, si veda P. Paolino da Bagno, Necrologio dei Frati Minori Cappuccini d’Abruzzo, cit., primo semestre, addenda, sub 2 febbraio e il necrologio in “Annali dei FF. MM. Cappuccini d’Abruzzo”, fasc. XI, ottobre 1945 - giugno 1947, p. 43.100 L’atto è in APCA, Conventi, cartella Giulianova.101 ACCG, Acta Conventus, pacco 1.102 APCA, Conventi, cartella Giulianova.103 Ivi.104 Cfr. Pierino Santomo, Una raccomandazione… a fin di bene (dall’archivio Orsini alla Rivista), in “La Madonna dello Splendore”, n. 17, 1998, p. 89.105 Sandro Galantini, La cattedrale di Giulianova nella corrispondenza epistolare Vincenzo Bindi - Alfonso Migliori, cit., pp. 129- 140.106 ASCG, cat. VII, cl. 6, b. 1, fasc. 2.

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Il cospicuo soccorso economico su cui aveva confidato p. Nicola tuttavia giungerà ugualmente, venendo garantito dal presidente della Congregazione di carità e fratello del podestà, il cavalier Cesare Migliori, che nel ricordo del genero Vincenzo Spinozzi, morto inopinatamente il 12 giugno a soli 26 anni 107, oltre alle 25 mila lire per la sistemazione dell’ospedale, ed alla eguale somma per l’acquisto o costruzione del palazzo municipale, donerà ben 30 mila lire per consentire l’ampliamento della chiesa dello Splendore108, presso la quale il 15 giugno seguente si erano tenute nella generale commozione le esequie dello sfortunato giovane.

Sicché, attivate le necessarie procedure presso la Cassa nazionale d’assicurazione per gli infortuni sul lavoro109, potevano finalmente principiare i lavori di costruzione per il nuovo convento, tuttavia differiti a causa della prematura scomparsa del vescovo Quadraroli.

È p. Roberto da Manoppello a porre, il 27 agosto, la prima pietra dell’erigendo convento al cospetto di numerose autorità per l’occasione intervenute e di una folla imponente. Un giorno memorabile e possiamo immaginare quanto festoso per ogni Cappuccino che “riposa ma non possiede letto, [che] si ricovera ma non possiede tetto [...], pronto a rimanere come a partire” secondo le espressioni impresse in una pergamena stampata per eternare l’evento e delle quali autore è Leo Leone, divenuto nel frattempo avvocato, già “fascista dissidente” poi repubblicano ed ormai politicamente innocuo, almeno stando alle reiterate richieste di radiazione dall’albo dei sovversivi.

Ma qualche mese dopo, a dicembre, è una illuminante missiva a renderci edotti di come al festoso momento della posa della prima pietra non fosse poi seguito alcunché di significativo, rimanendo anzi i lavori

sostanzialmente al palo. A firmarla, inviandola ad un destinatario di grandissimo riguardo, la regina Elena di Savoia, è Lida Contaldi, figlia del notaio Francesco e moglie dell’ex sindaco Giuseppe de Bartolomei. La quale, in qualità di presidente del Terz’Ordine Francescano, avanza la richiesta di un sussidio “col quale venire in aiuto dei Rev.di Padri Cappuccini di Giulianova nella costruzione della loro Casa”. Un soccorso economico necessario ed impellente, sottolinea la Contaldi, giacché i frati “saranno costretti a sloggiare dalla loro dimora attuale di proprietà della Congregazione” mentre nel frattempo l’aiuto finanziario “è venuto a mancare dimodoché i lavori sostano con rincrescimento unanime”.

I funerali di Vincenzo Spinozzi, 15 Giugno 1927.

È un’accorata richiesta che, molto probabilmente al di là delle intenzioni di Lida Contaldi, metteva in moto l’apparato prefettizio con richiesta di lumi, a mezzo di nota ufficiale del 31 gennaio 1928, al presidente della Congregazione di carità. Il quale, dopo aver ragguagliato il prefetto di Teramo Giuseppe Palumbo circa la ormai ben nota questione della difficile coabitazione tra frati ed ospedale a partire dal 1909, concludendo con la necessità di estromettere i religiosi entro l’anno in corso dagli ambienti ancora occupati, cioè le 4 camere, il refettorio, la cucina ed accessori, il 4 febbraio seguente scriveva a Lida Contaldi, causa dei suoi recentissimi grattacapi.

Con evidente irritazione Cesare Migliori, dopo aver rimproverato alla sua interlocutrice di aver preso un’iniziativa “con tanta leggerezza”, le contestava pure una somma superficialità essendo giunta “a chiedere provvedimenti contro Enti elemosinieri senza avere neppure sentore di fatti”. Grave poi, aggiungeva Migliori, “parlare di tutelatori di religione immortale, quando nell’immobile che intendeva requisire esiste un Istituto di cura e sollievo dell’umanità sofferente”110.

Ma a far svaporare una contrapposizione che pure avrebbe potuto produrre esiti negativi per ambo le parti interveniva, il 14 marzo, la morte di un grande protagonista di queste vicende, p. Matteo da Spoltore, sincerante compianto e il cui ricordo avrebbe accompagnato i giorni a venire dei suoi confratelli e di tanti giuliesi.

107 “L’Araldo Abruzzese”, 15 giugno 1927.108 “Il Popolo di Roma”, 30 giugno 1927.109 ACCG, Acta Conventus, pacco 1.110 ASTe, Prefettura, Gabinetto, II-6, 3° vers., fasc. 9/G, b. 26.