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Gestione integrata: AMBIENTE, FAUNA E AGRICOLTURA COLLANA DI GESTIONE DELLE RISORSE FAUNISTICHE 3

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Gestioneintegrata: AMBIENTE, FAUNAE AGRICOLTURA

COLLANA DIGESTIONE DELLE

RISORSE FAUNISTICHE

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AUTORI DELLE FOTO: Riccardo Primi, Fioravante Serrani, Paolo Viola

GRAFICA: Vittorio Faggiani

STAMPA:La Tipografica ArtigianaCittàducale (RI)Aprile 2006

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A CURA DI:

SETTIMIO ADRIANI (1),ANDREA AMICI (2), MARCO BONANNI (1), ORLANDO LEONARDI (1),RAFFAELE PELOROSSO (2),RICCARDO PRIMI (2), FIORAVANTE SERRANI (2),PAOLO VIOLA (1).

DIPARTIMENTO DI PRODUZIONI ANIMALIOSSERVATORIO PER LO STUDIO E LA GESTIONE DELLE RISORSE FAUNISTICHE

[email protected] - www.unitus.it

Gestioneintegrata: AMBIENTE, FAUNAE AGRICOLTURA

RIETI - Via Cavour, 27 www.castellodirascino.it

(1) Liberi professionisti(2) Dipartimento di Produzioni Animali

UNIVERSITÀ DELLA TUSCIA

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INDICE

1. Introduzione

2. Il Capriolo

Gestione agricola

Gestione forestale

Controllo dei cani vaganti

Altri interventi

3. Il Cinghiale

Interventi di miglioramento

4. La Lepre

Pianura e bassa collina

Collina e montagna

5. La Starna

Fattori limitanti la conservazione

Miglioramenti ambientali

6. Il Fagiano

Interventi temporanei

Interventi permanenti

7. La Beccaccia

Interventi temporanei

Interventi permanenti

8. Uccelli migratori, Passeriformi e Columbiformi

Bibliografia

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5I N T R O D U Z I O N E1 L’abbandono del pascolo favorisce il ritorno del bosco

�1. INTRODUZIONE

Quando si affronta il tema dellagestione della fauna selvatica, imme-diatamente la nostra attenzione si fissasulle specie che da sempre sonooggetto di caccia e soprattutto di ripo-polamento: fagiano, starna, lepre.Fortunatamente da qualche anno sem-pre più spesso si sente parlare, ancheper ragioni economiche, della gestionedegli ungulati (cinghiale e cervidi) edegli interventi sulle specie opportuni-ste o problematiche (volpe, corvidi,ecc.), quelle che gli anglofoni defini-scono molto più pragmaticamente econ meno ipocrisia, “pest”: nocivi.

Purtroppo poco o per nulla si affron-tano le problematiche legate alla gestio-ne della selvaggina migratoria, vuoi per-ché essa si riproduce o sverna in altripaesi, vuoi perché le regolamentazioniper il prelievo a livello di areale di distri-buzione non sono congruenti. Da qui lasensazione che le specie migranti sfug-gono ad ogni tipo di controllo che è dasempre il cruccio degli appassionatimigratoristi. L’equivoco nasce dal fattoche gestire la fauna non significa soloconoscerne i parametri di popolazione eprogrammare ed intervenire di conse-guenza, ma significa soprattutto cono-scere e gestire l’ambiente in cui unadeterminata specie sverna o si riproduce.

In questa ottica gli interventi di miglio-ramento ambientale rappresentano lachiave di volta della gestione. Per le spe-cie migratrici legate agli ambienti agricoli,come la quaglia e la tortora, il tipo di col-tivazioni e soprattutto la tecnica colturaleutilizzata, influenzano fortemente il buon

esito della fase riproduttiva e la loro per-manenza su un territorio. Tale assunto èaltresì vero per le specie boschive per lequali determinati interventi selvicolturali(ceduazione, rimboschimento, ecc.) sidimostrano fondamentali sia per il cor-retto svolgimento della fase riproduttiva(tortora, colombaccio, ecc.) sia per losvernamento (turdidi, beccaccia).

Questa pubblicazione vuole essereun agile manualetto dedicato a chi ini-zia ad occuparsi dei miglioramentiambientali a fini faunistici, senza aver lapretesa di essere esaustivo su argo-menti di tale tanta complessità. Ladisponibilità di una vasta bibliografia sultema specifico rende piuttosto arduo ilcompito di redigere una sintesi organi-ca che non ometta passaggi e concettidi rilevante importanza applicativa.

In tale ottica, ed essendo questo unostrumento di lavoro destinato agli ope-ratori, si è ritenuto opportuno strutturar-lo come “supporto” per chi intenda pro-gettare (ad es. ATC, Agrotecnici e DottoriAgronomi e Forestali che non abbiano

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specifiche competenze in campo fauni-stico) ma anche per coloro che voglianoo debbano concretamente realizzare gliinterventi (ad es. AFV).

È opportuno evidenziare che l’obiet-tivo da raggiungere è quello del “man-tenimento della più elevata diversità ericchezza delle componenti ambientali”(Trocchi e Riga, 2005); questo concet-to, seppur vasto e generale, può rap-presentare una indicazione precisa siaper il progettista che per l’operatoreesperto del settore agricolo-forestale.

�2. IL CAPRIOLO

Il capriolo (Capreolus capreolus), sel-vatico autoctono del nostro paese, staconoscendo una significativa espansio-ne, ma ancora lontano appare l’obiettivo

di veder raggiunto quell’equilibrio che loporti ad essere considerato parte inte-grante della realtà uomo-ambiente. Unconfronto tra l’attuale presenza ed il suoareale potenziale induce a considerarecon attenzione la possibilità di una poli-tica gestionale che favorisca la diffusionespontanea della specie, e che ne con-senta una più omogenea distribuzionespaziale.

Una naturale presenza del capriolo èsostenibile anche in considerazione delfatto che limitati sono i danni inferti dallaspecie all’ambiente e alle colture e,comunque, nettamente inferiori a quellideterminati da altri Ungulati (cervo ecinghiale) (Tosi e Toso, 1992).

L’aumento delle capacità ricettive delterritorio ha il fine di migliorare lo svilup-po delle popolazioni selvatiche, ed ilcapriolo ben si presta a quest’opera, gra-zie anche alla notevole capacità di adat-tamento (è presente nei luoghi piùdiversi, dalla pianura coltivata alla mon-tagna). Il miglioramento ambientale siinserisce come un complesso di opera-zioni il cui scopo è quello di arricchire ledisponibilità alimentari e di aumentaremicroambienti idonei al rifugio e ai parti(Tosi e Toso, 1992).

Conoscere i fattori che limitano lespecie risulta un passo fondamentale,ed il capriolo si è rivelato sensibile più dialtri animali alle modificazioni avvenutenegli ultimi decenni per l’incuria dell’uo-mo. Proprio per la sua fedeltà al luogo diorigine e la dipendenza dal territorio,risulta necessario il tentativo di ripristina-re condizioni favorevoli e di ridurre gliimpatti più significativi causati dalle atti-vità produttive.

6 I L C A P R I O L O 2 Macchia mediterranea

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GESTIONE AGRICOLAMiglioramenti ambientali che limitino

certe pratiche agricole dannose alla vitadella fauna selvatica sono indispensabiliper il recupero di popolazioni che, comequella del capriolo, vivevano in equilibriocon le risorse naturali prima dell’avventodell’agricoltura “moderna”. Questa, con leattuali modalità di utilizzo del territorio, haportato ad un conflitto nel quale gli ani-mali hanno dovuto spesso soccombere.L’evoluzione dell’agricoltura ha permessoagli agricoltori di aumentare la capacitàproduttiva, e, al tempo stesso, alla zoo-cenosi selvatica di veder diminuire zonedi rifugio e fonti alimentari. La gestionedel capriolo sul nostro territorio non puòche passare attraverso una serie di pro-cessi che vedano il mondo agricolo dareun contributo fondamentale.

Gli interventi auspicabili per il caprio-lo mirano al ripristino di paesaggi ad altogrado di naturalità dove, ad una diversitàspaziale, si accompagni una diversitàstrutturale. Sia l’una che l’altra condizionesono atte a migliorare significativamentele potenzialità faunistiche, realizzandoun’alternanza di appezzamenti di minoridimensioni rispetto ai blocchi troppo este-si che spesso si osservano. Negli agroe-cosistemi moderni deve essere attribuitoun ruolo di estrema rilevanza alle fasceecotonali, zone di transizione dove laspecie vive maggiormente e dove conpiù facilità può attingere alle risorse.

In relazione agli obiettivi proposti ven-gono indicati i seguenti interventi:- il mantenimento e/o il ripristino di ele-

menti fissi di valore ambientale e fauni-stico: siepi, arbusti, cespugli e boschetti(Spagnesi et al., 1992);

- la semina di colture a perdere (cavolo,segale, rapa, grano saraceno, mais, erbamedica, miscele varie). L’abbandonodella montagna consente il facile repe-rimento di aree idonee all’impianto dicoltivazioni fruibili da parte degli anima-li selvatici, che li distolgano dal compie-re incursioni nelle colture di redditoancora esistenti (Tosi e Toso, 1992);

- la modificazione dei sistemi di colti-vazione attraverso una maggioreframmentazione degli appezzamentie delle colture;

- l’incremento e/o la conservazione dellesuperfici messe a riposo (Spagnesi etal., 1992);

- l’adozione di misure specifiche duran-te la raccolta delle colture al fine dievitare incidenti soprattutto a dannodei piccoli di capriolo;

- la falciatura e l’erpicatura di fasce divegetazione spontanea (Ferloni, 1998).

GESTIONE FORESTALEIl capriolo è una specie originaria-

mente connessa agli stadi evolutivi ini-ziali della foresta e alla presenza di mac-

7I L C A P R I O L O3 Sottobosco idoneo al rifugio della fauna

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chie e foreste ricche di sottobosco. Gliecosistemi forestali forniscono risorsetrofiche ai consumatori primari in tutti glistrati della vegetazione. La diffusione delcapriolo è legata a paesaggi dotati dibuone diversificazioni ambientali, conalternanza di campi coltivati, arbusteti,incolti e boschi, che devono mostrarsimisti e frammentati per veder aumenta-re le fasce di ecotono.

Appaiono essenziali delle tecniche digoverno non più impostate solamentein funzione della produzione di legno edella salvaguardia idrogeologica, ma checomprendano anche una migliore ido-neità al mantenimento della fauna sel-vatica (Tosi e Toso, 1992).

Compatibilmente con i diversi oriz-zonti fitoclimatici, saranno da preferireboschi misti di latifoglie e aghifoglie, e

l’attuazione di una serie di misure cheportino alla creazione di fonti alimentariall’interno delle aree boscate. La corret-ta gestione forestale dovrà seguire larealizzazione di una serie di interventi: - creazione di radure e strisce tagliafuo-

co per aumentare la diversità all’inter-no del bosco (6-12 di 0,7 ha per km2)(Ferloni, 1998);

- gestione dei tagli che favorisca l’etero-geneità forestale e l’aumento della lun-ghezza dei margini del bosco;

- utilizzo di specie autoctone;- tagli a raso di limitata estensione, 1-4

ha circa (Genghini, 1994), che portinoalla produzione di essenze vegetali utilida un punto di vista trofico;

- realizzazione di parcelle governate aceduo, in strutture gestite a fustaia(Ferloni, 1998);

8 I L C A P R I O L O 4 Coltura di trifoglioincarnato

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- tagli a scelta su grandi estensioni perricreare una struttura disetanea dellecompagini arboree (Tosi e Toso, 1992).

CONTROLLO DEI CANI VAGANTILa predazione e il disturbo canino

rappresentano uno dei fattori che piùcondizionano la diffusione uniforme deicervidi sul territorio. Negli ultimi decennisi è assistito ad uno spiccato incremen-to della popolazione di cani vaganti ed ilfenomeno, capillarmente diffuso, hacomportato problemi di tipo ecologico esanitario.

Con il termine vagantismo, secondodiversi autori, possono venir intese lesuddette tipologie:- cani padronali vaganti (liberi per una

parte del loro tempo);- cani randagi (privi di proprietario; dipen-

dono dall’uomo per alimentazione esussistenza);

- cani inselvatichiti (non dipendono dal-l’uomo).

L’impatto di questi animali su diversespecie, ed il capriolo si è mostrato parti-colarmente sensibile, passa dalla preda-zione diretta alle molteplici azioni didisturbo che portano i selvatici a com-piere spostamenti rilevanti ed a sotto-porsi a condizioni di stress e ad altera-zioni comportamentali che possonodefluire fino alla morte. Le azioni didisturbo sui cervidi nobili sono spessocausa e concausa di investimenti strada-li, annegamento, urti contro barriere erecinzioni (Tosi e Toso, 1992).

L’impatto si esplica sia su individuisani che malati ed è considerato unodei principali elementi che ostacolano la

9I L C A P R I O L O5 Stagno temporaneoall’interno di un’areaboscata

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ricolonizzazione degli Appennini centralie meridionali da parte del capriolo(Genovesi e Dupré, 2000).

Seppur i cani inselvatichiti mostrinoalcuni comportamenti eco-etologici simi-li a quelli dei canidi selvatici, non pos-seggono tuttavia quei meccanismi checonsentono al lupo di regolare la propriadensità in funzione delle risorse disponi-bili, risultando indesiderati alla zoocenosi(Tosi e Toso, 1992).

Visto che l’impatto esercitato dai canipadronali non controllati può esseremaggiore di quello dei cani inselvatichiti(Genovesi e Dupré, 2000), è auspicabi-le una corretta educazione come stru-mento per incidere positivamente sulcomportamento dei proprietari dei cani.Il fenomeno è purtroppo scarsamenteavvertito e spesso vengono ignorati gliaspetti ecologici del problema.

Misure di intervento, connesse inmaniera organica, devono passare quin-di indubbiamente attraverso una profon-da sensibilizzazione. Tra esse appaionofondamentali:

- rafforzamento dell’anagrafe canina; - effettivo controllo dell’avvenuta marca-

tura (utilizzo di microchip);- diminuzione delle risorse trofiche dispo-

nibili (controllo accesso alle discariche);- revisione delle normative (legge

281/91);- allontanamento dei cani vaganti;- potenziamento, ristrutturazione e miglio-

re efficienza dei canili.

ALTRI INTERVENTIEsistono altre misure che consento-

no un ulteriore aumento delle capacitàricettive del territorio:- controllo antibracconaggio;- controllo delle fonti di disturbo soprat-

tutto nei periodi critici (sci di fondo escialpinismo, escursionismo, infrastrut-ture, ecc.);

- controllo dei competitori (daino ecervo, raramente il cinghiale). Va limi-tato l’ingresso del bestiame nel boscospecie con cani pastore al seguito.

- controllo delle interferenze tra viabilitàe presenza del capriolo (animali espo-sti ad investimenti stradali). Pensare adun’adeguata opera di cartellonistica,utilizzare bande e specchi catarifran-genti nei punti di abituale attraversa-mento della rete viaria e creare pas-saggi aerei o sotterranei atti a consen-tire spostamenti nelle strade a trafficointenso (Tosi e Toso, 1992).

La somministrazione artificiale di ali-menti è una pratica spesso utilizzata chepresenta però alcuni aspetti negativi:- favorisce la sopravvivenza di individui

più deboli, alterando i rapporti sociali;- concentra gli ungulati, facilitando la pre-

dazione ed il bracconaggio, ed impedi-

10 I L C A P R I O L O 6 Le strade forestalirappresentano unhabitat ecotonale

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sce una più omogenea distribuzione;- produce un carico eccessivo per quan-

to riguarda i danni ad un’area;- crea una situazione innaturale di dipen-

denza dall’uomo.Gli svantaggi quindi sembrano supera-

re gli aspetti positivi. Questa praticapotrebbe risultare utile, tuttavia, per i con-trolli sanitari, per facilitare i censimenti ecome strumento di aiuto nelle fasi inizialidelle reintroduzioni (Tosi e Toso, 1992).

�3. IL CINGHIALE

Intervenire sull’ambiente al fine dicreare un habitat ideale per il cinghialesembra un’operazione contro corrente,vista la sua enorme capacità di adatta-mento.

In effetti, quando si parla di gestionedel cinghiale, si pensa ad azioni di conte-nimento numerico, non certo ad incre-mentarne la consistenza modellando asuo vantaggio l’ambiente. Perché spreca-re preziose energie in tal senso, quandoquesto suide, “risorsa inesauribile”, è per-fettamente in grado di adattarsi a qual-siasi tipologia ambientale esprimendovile sue enormi potenzialità riproduttive?

Questa è probabilmente l’opinionepiù comune. In realtà una pressionevenatoria eccessiva, affiancata alla ridu-zione della ceduazione con un conse-guente invecchiamento dei boschi eduna scarsa produzione di ghianda, puòportare ad una rapida perdita in terminidi densità relative alle aree interessateda tali fenomeni.

Il cinghiale, specie particolarmente pla-stica sia dal punto di vista alimentare che

ambientale, raggiunge i massimi valori didensità in specifiche condizioni ideali.

L’habitat più favorevole è rappresen-tato dai boschi di quercia, con fitto sot-tobosco e cespuglieti, in grado di confe-rire sicurezza e tranquillità ai siti di ripo-so e riproduzione, caratterizzati da unabuona disponibilità idrica che garantiscepunti di abbeverata e la possibilità di“insogliarsi” (Monaco et al., 2003)

L’alimento base della dieta di questoonnivoro è rappresentato dalla ghianda(Adriani, 2003). In annate in cui la pro-duzione è scarsa o insufficiente il cin-ghiale rivolge le attenzioni alimentariverso le coltivazioni, tra le quali prediligemais, grano, orzo, avena. Inoltre i frutte-ti specializzati (uva, olive, castagne) ren-dono l’area che le ospita un irresistibilepolo d’attrazione per il suide. Abitudinepeculiare di questa specie è inoltre l’at-tività di “grufolamento” attraverso laquale cerca, oltre a radici e tuberi, ancheinsetti, larve e lombrichi, rivoltando lostrato superficiale del terreno.

Una insufficiente copertura vegetale

11I L C I N G H I A L E7 Siepe composta da diverse speciearbustive e arboree

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del sottobosco si traduce invece nell’as-senza di siti sicuri in cui trovare prote-zione, e spesso in frequenti incursionida parte di cercatori di funghi e caccia-tori. Il disturbo antropico può indurre ilcinghiale a compiere spostamenti note-voli alla ricerca di siti più tranquilli.

INTERVENTI DI MIGLIORAMENTOGli interventi di miglioramento dovran-

no quindi puntare a: a) realizzare fitte superfici boschive

utilizzabili come luoghi di rifugio, tramite: - ringiovanimento del bosco (cedua-

zione).

In termini assai pratici, tagliare un bosco,significa far ripartire la vegetazione dalbasso, creando cosi, nell’arco di tre oquattro anni, lo sviluppo di un sottobo-sco ideale ad ospitare la specie. Il rila-scio della ramaglia, oltre ad offrire pro-tezione al suolo fino all’affermazionedel bosco, contribuisce, insieme allavegetazione arbustiva, a creare un sitodifficilmente accessibile e quindi sicuro.

- rimboschimenti con essenze in gradodi creare un intricato e spesso sotto-bosco, laddove fosse necessario.

b) Aumentare la disponibilità ali-mentare:- lasciando un numero maggiore di

matricine per ettaro (150-200/ha), inparticolare di Roverella (turni di 15-18anni) vista la notevole appetibilità dellasua ghianda, in corrispondenza delleoperazioni di taglio. In tal modo siotterrà una produzione di frutti (ghian-da, castagna) quantitativamente mag-giore, in grado di sostenere una popo-lazione consistente ed aumentare laprolificità nelle femmine e vitalità neigiovani. L’analisi dei carnieri dimostrache in annate particolarmente favorevo-li (pasciona), caratterizzate da abbon-danza di ghianda, il numero dei natiaumenta, mentre la mortalità neonata-le decresce grazie all’ottimale produzio-ne di latte. (Amici e Serrani, 2004)

- piantumando essenze fruttifere alter-native e seminando colture a perdereappetite dal cinghiale, per soddisfare apieno le esigenze alimentari di unapopolazione numerosa e sopperire adun eventuale scarsa produzione dighianda dovuta ad avverse condizioniclimatiche. Una possibile soluzione

12 I L C I N G H I A L E 8 Coltivazione di frumento destinata ai fasianidi

9 Radura

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potrebbe essere disboscare una fasciaperimetrale che funga da cessa tagliafuoco e da linea per le poste in previ-sione dello svolgimento dell’attivitàvenatoria, su cui seminare cerealiautunno-vernini che integrino la ghian-da nella dieta. Affinché le cesse tagliafuoco svolgano il loro compito, saràimportante prevedere la loro pulizia el’assenza di vegetazione durante la sta-gione secca. Per questa ragione si parladi cereali autunno-vernini come orzo eavena, particolarmente competitivi,poco suscettibili alle malattie, in gradodi attecchire anche in suoli poco lavo-rati, richiedendo uno sforzo minimo siain termini di tempo che di denaro. In talmodo le operazioni a sostegno dellapopolazione oggetto di interesse si tra-ducono in sicurezza durante l’attivitàvenatoria ed in prevenzione degliincendi nel periodo estivo, piaga a tuttiben nota. Riuscire a soddisfare le note-voli esigenze dei cinghiali significa inol-tre ridurre sensibilmente l’impatto eser-citato dalla specie sulle colture.

- destinando al pascolo superfici prossi-me alle aree boscate, a completamen-to degli altri interventi, si rende la zonafortemente attrattiva. Infatti, anche se laporzione animale della dieta è relativa-mente ridotta, pari al 3-5% (Monaco etal., 2003), il cinghiale risulta particolar-mente “ghiotto” di invertebrati comelombrichi, il cui sviluppo è favorito dalledeiezioni del bestiame pascolante.

c) Creazione o ripristino di insogli epunti di abbeverata.

Che il cinghiale riesca ad adattarsi conestrema facilità a condizioni ambientali eclimatiche assai variabili è una verità indi-

scussa, ma è altrettanto vero che il fatto-re di cui non può fare a meno sono lerisorse idriche.

La presenza di punti d’acqua è indi-spensabile non solo per la scontata esi-genza fisiologica, ma anche per lo svolgi-mento dei quotidiani bagni di fango,effettuati tutto l’anno e soprattutto inestate, per liberarsi dai parassiti. Il cin-ghiale, appena lasciata la lestra o unavolta soddisfatte le esigenze alimentari, èsolito rotolarsi in pozze di fango, definite“insogli”. Questi si trovano ovunque siapresente terreno argilloso in grado di trat-tenere un livello minimo di acqua duran-te tutte le stagioni. Generalmente l’inso-glio è profondo pochi centimetri, vistoche il fine ultimo del bagno non è trova-re refrigerio, ma inglobare i parassiti nellafanghiglia che si asciuga rapidamente,per liberarsene poi sfregandosi controtronchi rugosi o rocce definiti “grattatoi”.

Si potranno realizzare punti d’acqua“ex novo” o recuperare vecchi stagni,fontanili, vasche di abbeverata ecc.(Genghini e Nardelli, 2005).

Realizzare un insoglio ex novo dovenon c’è disponibilità idrica significa pre-

13I L C I N G H I A L E10 Siepe ai margini diun campo coltivato

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vedere periodici trasporti di acqua, scavidi forme e dimensioni variabili in base alnumero di animali e alla natura del suolo.Si possono incontrare insogli con dimen-sioni che vanno dai 2 ai 5 mq (a volteanche superiori). Chiaramente gli scavi,che non dovranno avere profondità parti-colari per le ragioni prima descritte, saran-no realizzati su terreni argillosi non per-meabili, in grado di trattenere l’acqua perun certo periodo di tempo, così da mini-mizzare i costi di trasporto.

�4. LA LEPRE

Per essere concreti, e utili nelle fasioperative, gli interventi di miglioramentoambientale per la lepre (Lepus euro-peaus) verranno proposti ripartendoliper ambienti omogenei: pianura e bassacollina, aree collinari e montane.

PIANURA E BASSA COLLINAIl principale problema delle zone di

pianura, nelle quali è concentrata l’agri-coltura intensiva, dipende dal fatto chela stragrande maggioranza delle seminesono primaverili (mais, barbabietola esoia) condizione che produce una mar-cata carenza di risorsa trofica per le lepriin periodo invernale. Questa svantaggio-sa condizione per la specie può essereovviamente risolta procedendo consemine di foraggere e cereali autunno-vernini (Debernardi e Bergero, 1991;Trocchi e Riga, 2005) (tab. 1).

In linea generale, le leguminose, spe-cie ad alto contenuto proteico, hanno illoro massimo sviluppo in primavera,quando la lepre si trova in fase riprodut-tiva e richiede, quindi, alimenti altamen-te proteici. Le graminacee, invece, aven-do una buona resistenza alle inclemen-ze invernali, garantiscono un’adeguatacopertura vegetale anche fra ottobre emarzo, periodo in cui il lagomorfo abbi-sogna di alimenti altamente energetici(Spagnesi e Trocchi, 1992).

In fase di localizzazione delle aree da

14 L A L E P R E 11 Caprini al pascolo

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15L A L E P R E

Specie Epoca di semina Seme/ettaro (IN KG)SEMINA CONVENZIONALE

Seme/ettaro (IN KG)SEMINA A PERDERE

Epoca di raccolta*

Tab. 1 - ALCUNE ESSENZE DESTINATE ALLA FAUNA SELVATICA

Erba medicaTrifoglio biancoVeccia villosa

LupinellaGinestrinoBarbabietola

Cavolo da foraggioVerza

FrumentoOrzoAvenaLoietto, LoiessaErba MazzolinaAgrostide

Febbraio-marzoMarzoSettembree primavera

Marzo

Febbraio

Aprile-giugno

Settembre, ottobre

Primavera, fine estate

301060-80

60 (semi sgusciati)

12-15100.000 semi/ha(monogerme genetico)10 piante/m2

2 piante/m2

5-8 piante/m2

180/200150130/1504010-15

15540

30 (semi sgusciati)

7-820.000 semi/ha2 piante/m2

2 piante/m2

2 piante/m2

805050155-8

Da maggio ad agosto

Tarda primavera

Novembre ed oltre

Prima decade di luglio

Fine giugnoGiugnoTarda primavera

LEG

UMIN

OSE

CHEN

OPO

DIAC

EEBR

ASSI

CACE

EG

RAM

INAC

EE

destinare a tali semine si dovrà essereaccorti a distribuirle omogeneamentesul territorio bisognoso di miglioramenti.Questa strategia sarà necessaria ancheper evitare pericolose concentrazionidelle lepri (Trocchi e Riga, 2005).

I cereali potranno essere raccolti nor-malmente, o, se seminati come colturea perdere, costituiranno un’importanterisorsa trofica per i granivori.

Diverso, più complesso e variabilenegli anni, potrà essere il trattamentodelle foraggere (tab. 2), da utilizzarsicome prati di sfalcio tardivo.

Gli erbai da sovescio, seminati entrosettembre e mantenuti per tutto marzo,

potranno essere realizzati con le specieriportate in tabella 1.

Nell’ottica di destinare le aree menoproduttive ai miglioramenti ambientaliper la lepre, non trascurando la loro ido-nea collocazione per la fauna selvatica ela debita distanza (almeno 100 m) daitracciati stradali soggetti a traffico signifi-cativo, altri interventi utili potranno esse-

Anno Trattamento

Tab. 2 - TRATTAMENTI DEI PRATI A SFALCIO TARDIVO

Primo Uno sfalcio entro il 30 aprile(per motivi agronomici).Ulteriori sfalci oltre la metà di luglio e, comunque, entro settembre

Successivi Solo sfalci tardivi

Dati tratti da: Trocchi e Riga (2005); Genghini e Nardelli (2005); modificati.* obbligo d’utilizzo della barra di involo

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16 L A L E P R E

Specie Seme/ettaro (IN KG) Epoca di semina Lavorazioni necessarie

Tab. 3 - MISCUGLIO DI SPECIE IDONEE AGLI INERBIMENTI DI FRUTTETI E VIGNETI

Erba MazzolinaFestuca arundinaceaLoietto ingleseErba MedicaLupinellaTrifoglio biancoVeccia comune

6,38,38,33,512,5212,5

Autunno nei climi miti

Primavera nelle aree settentrionalie montane

Aratura ed erpicatura per preparare un buonletto di semina

re (Perco, 1996; Trocchi e Riga, 2005): a) realizzazione di fasce e/o appez-

zamenti a maggese con uno sfalcio inagosto;

b) aratura tardiva delle stoppie(possibilmente all’inizio della primave-ra successiva all’anno di semina);

c) trasemina di foraggere da redditonelle colture di cereali autunno-vernini;

d) coltivazione di cavoli da foraggiosu piccoli appezzamenti.

La carenza di foraggere può ridurre

l’idoneità dei vigneti e dei frutteti allapresenza della lepre. L’inerbimento diquesti siti può essere realizzato utiliz-zando il miscuglio indicato in tabella 3(Debernardi e Bergero, 1991; Trocchi eRiga, 2005):

Sapendo che la lepre frequenta pre-feribilmente le aree marginali di frutte-ti e vigneti, è opportuno procedere adinerbire, preferibilmente, gli interfilaripiù esterni e le aree prossime allecapezzagne.

Tab. 4 - INTERVENTI SUI BOSCHI

Conservazione delle aree aperte, conte-nendo la naturale espansione del boscoRipristino delle vecchie radureTrattare i boschi fino a fornirgli una struttura disetaneaConservare e/o incrementare gli indici di ecotonoAumento e/o mantenimento della diversità ambientaleMantenimento e/o ripristino degli elementi fissi del paesaggio (siepi, frangivento, boschetti ecc.)Gestione a mosaico dei cespuglieti più estesiConservazione delle naturali fasce cespugliate ai margini del bosco

Taglio

TaglioTaglio

Taglio

Taglio selettivo epiantumazionePotature e piantumazioni

Taglio selettivo

Nessuno

Basso

BassoBasso

Basso

Alto

Medio alto

Medio alto

Nullo

Province, Comuni,Comunità Montane,Amministrazioni dei Beni Separati,ATC, AFV

Finalità Tipo di intervento Impegno economico Eventuali partners

Tratta da: Trocchi e Riga (2005), modificata.

Tratta da: Trocchi e Riga (2005), modificata.

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17L A L E P R E

COLLINA E MONTAGNAIl costante abbandono delle attività

agricole in aree marginali e la progres-siva espansione delle aree boschivesono i due principali e contingenti fat-tori che, su vasta parte delle aree colli-nari e montane d’Italia, stanno progres-sivamente contraendo le aree idoneealla presenza della lepre europea.Sono quindi questi i territori che, ingenerale, richiedono maggior attenzio-ne da parte dei gestori per raggiungerel’obiettivo relativo alla presenza dellaspecie con densità accettabili (Perco,1996; Trocchi e Riga, 2005).

In linea generale gli interventi in areemontane possono essere riuniti in duegrandi raggruppamenti: quelli relativi aiboschi (tab. 4) e quelli relativi a coltivi epascoli (Simonetta, 2000) (tab. 5).

Un capitolo a sé meriterebbero leproblematiche relative al bracconaggio,alla predazione da volpe, corvidi e cani

vaganti (Romeo et al., 1999) per lequali si rimanda alla sezione dedicataal capriolo.

�5. LA STARNA

La starna (Perdix perdix L.) è un gal-liforme che in Europa, in un periodoestremamente breve, ha subìto una dra-stica diminuzione della sua consistenza.La situazione in Italia è particolarmentegrave (Adriani et al., 2005).

La vocazionalità del territorio per que-sta specie è, più che per le altre, fruttodelle complesse interazioni tra diversifattori abiotici e biotici (Serrani et al.,2005), comprendendo i sistemi agrico-li, forestali, ecc. Dal punto di vista ecolo-gico, la starna predilige gli ambientiaperti e coltivati, anche intensamente.La superficie coltivata (preferibilmente acereali invernali) è molto importante, edovrebbe occupare più del 40% del

Tab. 5 - INTERVENTI SU COLTIVI E PASCOLI

Conservazione ed incremento delle colture arativeRealizzazione di colture a perderePosticipazione dell’aratura delle stoppieConservazione di fasce di stoppie anche in invernoMiglioramento del valore pabulare dei pascoliConservazione e ripristino dei pascoliattraverso adeguati carichi di bestiameMiglioramento dei pascoli attraversoopportune tecniche agronomicheAdozione di misure preventive in fase di sfalcio e raccolta

Semine

SeminePosticipazione lavorazioniPosticipazione lavorazioni

Lavorazioni, semine

Revisione carichi di bestiameScarificazione del coticoerboso, letamazioni ecc.Uso delle barre d’involo.Tutela dei nidi e dei covi

Alto

Medio alto NulloNullo

Alto

Alto

Medio alto

Medio alto

Regioni, Province,Comuni, ComunitàMontane, Allevatori,ATC, Associazioni di categoria

Finalità Tipo di intervento Impegno economico Eventuali partners

Tratta da: Trocchi e Riga (2005), modificata.

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18 L A S T A R N A 12 Lupinella

totale; il restante territorio può essereoccupato da boschi di piccola estensio-ne (circa 5-10%) e da zone incolte.Particolare importanza, per il rifugio e lanidificazione, viene rivestita da marginierbosi estesi o cespugliati. Le areemigliori sono comunque quelle costitui-te da un mosaico di campi eterogenei,di piccola e media estensione, separatida strisce di vegetazione naturale(Byrkan et al.,1988; Meriggi et al.; 1998,Potts, 1980; Potts, 1986).

Le starne, nella scelta dell'habitat,sono fortemente condizionate dalla sta-gionalità del clima e, soprattutto, dallerotazioni agrarie come le raccolte, le ara-ture dei terreni e gli sfalci. Per tale moti-vo si distinguono due periodi stagionalidi habitat per la starna:

a) periodo estivo (agosto - 15 ottobre)b) periodo invernale (16 ottobre - 31

marzo)Il periodo estivo corrisponde ad una

fase favorevole per la specie in quantol'ambiente agrario è ricco di coperturevegetali e vario qualitativamente. Nonvi sono grossi turbamenti del panora-

ma agrario ad esclusione della raccoltadel mais nella seconda metà di set-tembre ed un paio di sfalci all'erbamedica. Temperature e piogge nonsono problematiche alla specie.

Viceversa, il periodo invernale èassai più critico per il fasianide in quan-to vengono ultimate le raccolte rimaste(soia e barbabietola) e rimangono adisposizione della specie solo colturedi cereali autunno-vernini (frumento) egli eventuali miglioramenti ambientali.Modeste sono pertanto le possibilità dicopertura sia nei confronti dei predato-ri sia per i rigori del clima invernale(Bottazzo et al., 2003).

FATTORI LIMITANTI LA CONSERVAZIONELe cause dell’estinzione della starna

sono state ampiamente dibattute e sicu-ramente risiedono nella riduzione dellabiodiversità degli agro-ecosistemi ed inparticolare di quelli cerealicoli. L’uso deglierbicidi e degli insetticidi, la meccanizza-zione e l’intensificazione delle pratichecolturali, la monocoltura, l’abbandonodell’agricoltura nelle aree collinari sonoconsiderati fra gli aspetti più negativi perquesta specie (Casanova et al., 1993;Potts, 1997). In particolare, l’abbandonodelle colture riduce la base alimentareper gli adulti, l’uso di pesticidi causa lascomparsa della microfauna necessariaal nutrimento dei pulcini. Un ulterioreaspetto da considerare è la competizio-ne con il fagiano (Potts, 1985) e, inoltre,fra le cause di estinzione locale, l’incon-trollata ed esasperata pressione venato-ria (Casanova & Cellini, 1986).

Uno studio condotto nell’ATC 15 - Pisa

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19L A S T A R N A13 Sottobosco con speciearboree ed arbustive,con muretto a secco

14 Loiessa

Orientale (Petrini et al., 1999), ha stabi-lito che le cause di mortalità, in assenzadi prelievo venatorio, dei soggetti di alle-vamento immessi in natura sono, inordine d’importanza, la predazione dimammiferi, il consumo da parte di rapa-ci, gli incidenti e le lavorazioni meccani-che. Le prime tre settimane dal momen-to del rilascio sono le più pericolose inquanto si ha la maggiore mortalità perpredazione; gli individui più colpiti sonoquelli con minor peso e minore lun-ghezza alare.

MIGLIORAMENTI AMBIENTALII miglioramenti ambientali sono deter-

minanti soprattutto per il periodo inver-nale, mentre agiscono assai meno d'e-state, quando sono disponibili maggioririsorse trofiche.

Particolarmente interessanti, in tutto ilperiodo, sono i set-aside sia come areedi nutrimento che di protezione.

Particolare cura gestionale occorredare anche alle aree marginali come lecapezzagne inerbite e le scoline che,facendo già parte delle tare aziendali,non portano, tra l'altro, ad ulteriori ridu-zioni della normale produzione agraria.

Siepi e boschetti sono interessanti perla starna soprattutto nelle prime fasi d'im-pianto, in quanto si presentano comedegli appezzamenti a prato, con piccolecoperture arbustive e, pertanto, più gradi-ti per una specie steppica come la starna.

Un esempio di miglioramentoambientale è il medicaio misto con sfal-cio tardivo costituito da erba medicaconsociata con loietto perenne, tagliatodopo la metà di luglio e non oltre il 1°di settembre; con esso si può offrire alla

specie un sito di nidificazione e di ali-mentazione delle covate (Scaravelli etal., 1992). L’erba medica, infatti, oltre adessere un sito preferenziale di nidifica-zione è anche ricca di piccoli artropodiindispensabili alla alimentazione dellecovate nelle prime tre settimane di vita.L’interruzione dei tagli al 1° di settem-bre permette alla medica di ricrescereprima dei rigori invernali. La presenzadel loietto perenne, graminacea resi-stente ai geli invernali, permette al pratodi fornire un alimento invernale costitui-

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20 L A L E P R E 15 Siepe spontaneaarricchita di speciefruttifere

16 Oliveto non specializzato con coltura erbacea nell'interfila

to da foglie verdi appetite dal fasianide.Una valida coltura a perdere è il mais,

non diserbato, e raccolto dopo il 15 dimarzo. Il non diserbo permette l’instau-rarsi nello spazio tra i filari di vegetazio-ne infestante appetita dalla specie, qualigiavone (Echinochloa crus-galli), poligo-no persicaria (Polygonum persicaria),sorghetta (Sorghum halepense) ecc.. Lagranella di mais infatti è scarsamentedisponibile, sia perché le pannocchiecadono al suolo solo in minima parte,sia per la pezzatura troppo grossa deisemi per la starna. Il mais a perdere,inoltre, costituisce un ottimo riparo

invernale, in quanto rappresenta uneccellente area di protezione termica edai predatori come l’Albanella reale,svernante nelle aree di reintroduzione epotenziale predatore della starna(Tocchetto, 2002).

Il mais a perdere è, quindi, molto fre-quentato nel periodo invernale poiché,al suo interno, i soggetti trovano siaun’adeguata copertura sia alimentazio-ne. La ricerca si sta sviluppando perabbattere i costi derivati dal mancatoreddito di questa coltura, con la speri-mentazione di mais tardivi che abbianocomunque un valore di raccolto anchedopo il 15 marzo (Bottazzo et al., 2003).

Il rilascio dei residui colturali consi-ste nella non aratura delle stoppie difrumento, lasciate alla libera colonizza-zione delle infestanti fino al 15 marzo.Questo consente, visto il periodo ditrebbiatura, una notevole colonizzazio-ne del terreno da parte della vegeta-zione spontanea e del frumento natodalle cariossidi rimaste dopo la raccol-ta, in grado di fornire cibo e una certacopertura nel periodo invernale.

Da ricordare, infine, altre tipologie dimiglioramento ambientale come la crea-zione di prati stabili e diverse cultivar disorgo a perdere che si stanno attualmen-te sperimentando (Bottazzo et al., 2003).

In conclusione, il medicaio misto asfalcio tardivo è un valido strumento perla conservazione e la riproduzione dellastarna. Questa coltura, infatti, è frequen-tata in tutto il periodo dell’anno, com-preso il periodo estivo, nel quale la cam-pagna è maggiormente ricca di risorsetrofiche e di rifugio. Esso quindi sembrarappresentare un intervento efficace per

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21I L F A G I A N O17 Sorgenti d’acqua permanenti sonoindispensabili per la fauna selvatica

la specie, soprattutto in ambienti inten-samente coltivati di pianura. Il mais aperdere è invece un ottimo rifugio nelperiodo invernale più avverso.

�6. IL FAGIANO

Le principali misure agro-faunistichee, più in generale, di miglioramentoambientale nel caso della specie fagia-no (Phasianus colchicus), sono abba-stanza simili a quelle proposti per la star-na. In questo capitolo si suggerisce unasuddivisione delle azioni in base alladurata prevedendo:

1) Interventi temporanei;2) Interventi permanenti.Lo scopo principale da perseguire

con i suddetti miglioramenti è quello didiversificare il più possibile l’habitat(Simonetta e Dessì-Fulgheri, 1998) efornire le risorse trofiche indispensabilialla sopravvivenza e al buon manteni-mento delle popolazioni di fagiano.

INTERVENTI TEMPORANEIQuesta tipologia di interventi, senz’al-

tro la più diffusa sul territorio nazionale,comprende vari modelli che, pur essen-do di breve durata, possono se reiteratiper più anni, offrire alle varie specie ani-mali, valide opportunità di sopravvivenzaed incremento numerico.

Nel caso del fagiano gli interventi agro-nomici sono quelli che meglio rispondo-no alle esigenze della specie; la seminaed il mantenimento a fini non produttividi colture erbacee a perdere in grado difornire rifugio ed alimentazione alla spe-cie, ad esempio, è molto utile se effettua-

ta con tecniche colturali ed essenze ingrado di fornire una buona coperturavegetale e semi nei periodi utili alla ripro-duzione (Genghini e Nardelli, 2005).

Date le caratteristiche ecologiche delfagiano, il quale nidifica nel periodo cheva da febbraio a giugno, sono da preferi-re essenze a semina autunno-vernina(graminacee: frumento, avena, segale,panico, orzo, segale; leguminose: medi-ca, trifoglio, veccia, favino, pisello e loromiscugli) e primaverile (mais, sorgo, gira-sole, miglio, panico, frumento, soia, vec-cia, orzo e avena) che, per le loro caratte-ristiche botaniche ed agronomiche, offro-

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22 I L F A G I A N O 18 Prato-pascolo consiepi polifunzionali

no in questo periodo rifugio e risorse ali-mentari, sia per la produzione diretta disemi sia per la ricchezza di entomofaunache in certe associazioni colturali si instau-rano (favino - avena, erba medica, ecc.).

La ottimale disposizione in campodegli appezzamenti a perdere deveessere “a macchia di leopardo” (RegionePiemonte, Assessorato Agricoltura) conmaggior frequenza ai margini dei campi,con estensioni minime di 1 ha e massi-me di 4 ha; in caso di fasce marginali aicampi coltivati questi non devono supe-rare i 10 m di larghezza.

Nel caso di semina di sole essenzeforaggere, essa deve prevedere specie asfalcio tardivo (loietto inglese - erbamedica con eventuale aggiunta di festu-ca, trifoglio, ginestrino, erba mazzolina epoa): il primo sfalcio deve essere effet-tuato solo dopo il 15 luglio e l’ultimo sfal-cio non oltre il 1° settembre, in modo daconsentire una buona ricrescita dellavegetazione in grado di fornire coperturae rifugio nella stagione invernale.

Anche una gestione “faunistica” del“set-aside”, previsto dai regolamenticomunitari ormai da decenni, può forni-

re un valido strumento di salvaguardia emantenimento delle popolazioni difagiano, ad esempio rimandando glisfalci in epoche non dannose né per ilfagiano né sotto il profilo agronomico,oppure seminando colture a perdere.

Nelle aree coltivate, poi, è opportunogestire adeguatamente i residui coltura-li, ad esempio posticipando ad inizioautunno le lavorazioni del terreno per lasemina dei cereali autunno-vernini e adinizio primavera per la semina delle col-ture primaverili-estive.

Negli impianti arborei è necessaria laposticipazione della ripulitura interfilarealmeno fino alla piena estate; ottima,sotto il profilo agronomico e per valoreecologico, la semina interfilare di trifo-glio sotterraneo che, oltre a garantire lacopertura durante la stagione autunna-le, invernale e primaverile, offre risorsetrofiche a molte specie.

Favorevole è anche il mantenimentodelle stoppie di cereali fino all’autunno edel mais fino alla primavera successiva,magari aumentandone le qualità pabu-lari con la semina di loietto perenne o difrumento i quali, dopo la germinazione,potranno costituire una importantefonte alimentare nella cattiva stagione.

Una delle principali cause di mortedegli individui, soprattutto dei giovani, èda imputare alle operazioni colturali, siaesse di tipo meccanico che chimico. Perquanto riguarda le operazioni di raccoltaè auspicabile l’utilizzo della barra d’invo-lo per lo sfalcio di erbai autunno-prima-verili, con l’accortezza di procedere nellaoperazione di taglio dall’interno verso l’e-sterno dell’appezzamento, in modo daconsentire la fuga dei fagianotti che non

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23I L F A G I A N O19 Oliveto non specializzato con coltura erbacea nell’interfila

sono ancora in grado di volare. Èopportuno inoltre individuare e segna-lare visibilmente i nidi al fine di evitarela raccolta entro un raggio di 5 metriintorno ad essi.

È senz’altro positiva la riduzione del-l’impiego di prodotti chimici in termini didosaggi, unitamente all’utilizzo di mole-cole a basso impatto ambientale e tos-sicità e macchinari per la distribuzioneche consentano dosaggi ridotti.

Nei nostri ambienti agrari, caratterizzatiin molti casi da una fitta rete di scoline esistemazioni idrauliche, è molto utilelasciare il terreno in vicinanza di questealla libera evoluzione della vegetazionespontanea, avendo insignificanti perdite diprodotto, per ottenere delle superfici utilialla alimentazione dei pulcini, ma anchedegli adulti. Se poi queste verranno tratta-te solo meccanicamente con dei tagli odelle triciature alla fine dell’estate, in essesi instaurerà un cotico erboso che offriràalimento sotto forma di semi e foglieanche nella stagione invernale. Ancor piùconsigliabile è la creazione di fasce inerbi-te seminate con essenze idonee all’inter-no dei seminativi, lungo i corsi d’acqua, ifossi e le scoline con la funzione, oltre chedi offrire rifugio ai fagiani ed all’avifauna ingenere, di trattenere i residui di fertilizzan-ti provenienti dagli appezzamenti coltivati(Genghini e Nardelli, 2005).

Ottime sotto il profilo ecologicoanche le cosiddette “unità biotiche poli-funzionali” (Genghini e Nardelli, 2005)ossia fasce di colture a perdere alterna-te, ad esempio, a prati a sfalcio tardivo,fasce arboreo-arbustive, zone di sabbiaper lo spollinamento, zone di alimenta-zione polifunzionale, ecc.

INTERVENTI PERMANENTIIn ambienti agrari dove è predominan-

te la presenza di aree coltivate, la creazio-ne di compagini ecologiche complessestabili è molto importante per la sosta, lariproduzione ed il rifugio dei fagiani.L’assenza e/o la cattiva conservazione dipiccole aree boscate o anche di semplicifilari di alberi o siepi a carattere arbustivoè un elemento che non sostiene le popo-lazioni di fagiano in una certa area, seppurper altre caratteristiche vocata.

La riqualificazione di queste aree ol’impianto ex-novo di siepi ed alberiautoctoni è senz’altro auspicabile in virtùdell’alto valore aggiunto sia per il fagianoche per tutte le altre specie di fauna sel-vatica nel lungo periodo; l’eliminazionedi specie infestanti, la messa a dimora dipiante arboree e arbustive, la conserva-zione di piante mature, il mantenimentodi una fascia inerbita ai lati della siepee/o del filare sono solo alcune delle pos-sibili opere realizzabili in questi contestidegradati (Provincia di Genova).

Nel caso del fagiano anche la creazio-ne di piccole aree boscate (fino ad 1 ha)ha sicuramente effetti benefici, soprattut-

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24 L A B E C C A C C I A 20 Il vischio rappresentaun’importante fonte alimentare per i turdidi

21 Insoglio artificiale

to perché favorisce la rimessa notturnavicino ai luoghi di alimentazione ed offreuna certa protezione dai predatori.

Nel periodo estivo, inoltre, è fonda-mentale il soddisfacimento dei fabbiso-gni idrici, per cui risulta necessario salva-guardare i corsi d’acqua esistenti, nelcaso in cui fossero in stato d’abbandono,e crearne ex-novo in aree in cui la dispo-nibilità idrica risulti scarsa.

È opportuno il mantenimento di unadeguato livello idrico durante tutto l’an-no evitando l’inquinamento con sostan-ze tossiche in grado di comprometterela salubrità dell’acqua stessa e quindidelle componenti biotiche presenti opotenziali, unitamente alla creazione edal mantenimento di una fascia di rispet-to circostante le sponde costituita daessenze erbacee, arbustive ed arboree.

�7. LA BECCACCIA

Negli ultimi decenni si è potuto osser-vare una tendenza al decremento dei car-nieri di beccacce (Scolopax rusticola). Latendenza alla diminuzione delle popola-

zioni svernanti nell’area del Mediterraneoè stata confermata anche da ricercatorispecializzati nel settore (Fadat, 1997)attraverso lo studio dell’indice cinegeti-co di abbondanza (ICA), un indice cherende paragonabili tra loro le diverseannate venatorie considerando oltre che icapi abbattuti anche le uscite effettuate eil grado di specializzazione del cacciatore.

Le motivazioni di tale decrementopossono essere ricercate sia nel prelievoincontrollato che si svolge all’estero, bastirilevare l’offerta di “paradisi per beccac-ciari” presente sulle riviste specializzate,sia nell’abbandono di tradizionali attivitàumane che favorivano lo svernamentodella beccaccia. La produzione di carbo-ne da legna o il pascolo dei bovini dirazze rustiche (maremmana) solo perfare alcuni esempi, rappresentavanoforme di attività produttive dalle quali lebeccacce ricevevano benefici sia trofici(larve di coleotteri nelle deiezioni bovine)sia ambientali (le cosiddette “carbona-re”). Migliorare le capacità ricettive per lebeccacce di un bosco deve essere unodegli obiettivi gestionali da perseguire, inquanto il mondo venatorio e soprattutto

20�

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25L A B E C C A C C I A22 Pascolamento

quello cinofilo, sempre più richiedonointerventi decisi e finalizzati per una spe-cie unica che merita un’attenzione tecni-co scientifica di massimo livello.

Le tipologie e le metodiche di miglio-ramento ambientale per la beccacciasono ormai patrimonio comune, ma gliinterventi sul territorio sono quasi sem-pre estemporanei e legati alla buonavolontà di pochi appassionati, che spes-so vedono vanificati i propri sforzi poi-ché non inseriti in un quadro più ampiodi gestione di un comprensorio, gestio-ne che deve necessariamente essere inarmonia con gli strumenti di assettoterritoriale (Piano faunistico venatorio,Piano di assestamento forestale, ecc.).Alle nostre latitudini gli interventi posso-no essere volti solamente a favorire losvernamento e la sosta durante lamigrazione. La specie durante lo sverna-mento frequenta due habitat moltodiversi: di giorno sosta e si rifugia nelbosco; di notte frequenta le aree apertealla ricerca delle sue prede preferite, ilombrichi. Gli interventi volti a migliorarel’idoneità per la beccaccia dovrannodunque essere relativi a due obiettiviprioritari: migliorare le capacità ricettivedel bosco e dall’altra aumentare le capa-cità trofiche delle aree aperte.

INTERVENTI TEMPORANEI- Coltivazioni

• CRUCIFERE (COLZA, C. FORAGGIO, C. CAPPUCCIO, CAVOLFIORE)La beccaccia non utilizza le coltivazionidi crucifere come fonte diretta di ali-mento ma si nutre delle specie di inver-tebrati (larve di insetti, anellidi, limaci-di) presenti e talvolta abbondanti nelle

colture appartenenti a questa famiglia(Millerac, 1981). I trattamenti chimiciche mirano ad una riduzione dellafauna invertebrata presente sono, quin-di, da evitare nel caso di coltivazionidestinate esclusivamente alla faunaselvatica, o da limitarsi nel caso di colti-vazioni che hanno come scopo la com-mercializzazione del prodotto. Nel casospecifico, si consiglia la coltivazione astrisce di 20-30 metri di una o più spe-cie di crucifere in prossimità di fossati discolo e/o di irrigazione contigui o inprossimità di aree boscate.

- Pascolamento• PRATERIE ADIACENTI ALLE AREE BOSCATE

Il pascolamento è essenziale affinchél’altezza dell’erba non impedisca allebeccacce di “pascolare” alla ricerca diprede (Granval e Muys, 1992). Inoltre lapresenza di deiezioni animali favoriscelo sviluppo degli anellidi e degli insettiaumentando fino al 50% la popolazio-ne di lombrichi (Granval et al., 1993).• BOSCO

Il pascolamento del bosco rappresen-ta un importante mezzo atto a favorirela presenza della beccaccia in quanto,

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26 L A B E C C A C C I A 23 Coltura di trifoglioincarnato

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da un lato favorisce la creazione disentieri e la pulizia delle vecchie car-bonaie abbandonate ormai cespuglia-te e, dall’altro, attraverso le deiezionidegli animali, arricchisce l’area dimicrofauna invertebrata particolar-mente gradita alla beccaccia. Il caricodi bovini, espresso come numero dicapi adulti per 100 ha, è molto varia-bile in quanto è fortemente influenza-to dalla tipologia e dalla produttività delbosco, oltre che dal tempo di perma-nenza degli animali, comunque a tito-lo d’esempio esso può oscillare tra 10e 20 capi per 100 ha (Ronchi,1988)

INTERVENTI PERMANENTI- Creazione e mantenimento

di praterie permanentiLa densità delle prede è un elementodeterminante per far sì che le beccac-ce svernino in un’area: le zone rego-larmente frequentate delle beccaccesono sei volte più ricche di lombrichidelle altre (Ferrand e Gossmann,1988). Le superfici inerbite artificialinon rappresentano un habitat ottimaleper le prede della beccaccia, in quantole lavorazioni e i trattamenti fitosanitaripossono ridurre o azzerare la loro pre-

senza. I prati stabili sono invece imigliori “produttori” di lombrichi. Lagestione di tale tipologia di foraggiodeve prevedere delle leggere erpicatu-re, volte a favorire l’aerazione del terre-no e l’interramento dei semi oltre cheil pascolamento.

- RimboschimentiAlcune essenze formano una lettierameno spessa e coriacea che favoriscela presenza di anellidi e larve di insetti;di conseguenza un rimboschimentoeffettuato con frassini, noccioli, casta-gni, tigli, ciliegi, può rappresentare unmiglioramento delle capacità ricettivedell’area (Muys et al., 1992).

- CeduazioneIn generale, gli interventi che favorisco-no la specie sono quelli volti ad un rin-giovanimento del bosco. La classe dietà di un ceduo ottimale per la bec-caccia è compresa tra 10 e 15 anni(Imbert, 1988). La beccaccia è unaspecie di ecotono, cioè preferisce learee di transizione tra due ambientidiversi e/o disetanei, di conseguenza itagli che favoriscono lo sviluppo difasce ecotonali migliorano le capacitàattrattive di un bosco.• A scacchiera• A strisce• A piazzole

Le sempre limitate risorse disponibili,economiche e umane, impongono chegli interventi siano mirati e soprattuttolocalizzati nelle aree più idonee allosvernamento. Tali esigenze implicanouno studio approfondito e puntualedella idoneità ambientale per la beccac-cia svernante, che preveda una fase ini-ziale di conoscenza delle peculiari carat-

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27UCCELLI MIGRATORI, PASSERIFORMI E COLUMBIFORMI24 Il pascolo rappresentauno degli interventimigliorativi per labeccaccia

teristiche dei territori tradizionali di sver-namento, conoscenza che potrà esserecompleta e funzionale solo con l’aiutodei cacciatori specializzati, i quali posso-no e devono essere i fautori, attori efruitori dei miglioramenti ambientaliper tutta la selvaggina, anche, e in que-sto caso soprattutto, per la beccaccia:“..quisque faber fortunae suae..” - ognu-no è artefice della propria fortuna.

�8. UCCELLI MIGRATORI, PASSERIFORMIE COLUMBIFORMI

Relativamente all’approccio ambienta-le, gli interventi a favore dell’avifaunamigratoria devono essere orientati al ripri-stino ed al mantenimento degli habitatpiù idonei alla riproduzione, alla migrazio-ne ed allo svernamento (Simonetta eDessì-Fulgheri, 1998); da questo punto

di vista le pratiche di miglioramentoambientale utilizzate per favorire lafauna stanziale conducono, nella mag-gior parte dei casi, anche ad un apprez-zabile miglioramento della recettività deiterritori per i migratori.

È da sottolineare che il problema piùrilevante nel management dei migratori èil mancato coordinamento e comple-mentarietà dei sistemi di gestione in tuttele aree in cui è distribuita spazialmente etemporalmente una certa specie.

Prendendo in considerazione i grup-pi migratori più importanti (del CentroItalia) è possibile elencare una serie diinterventi specifici per ogni specie:

Allodola (Alauda arvensis): è pre-sente in Italia sia come nidificante checome migratore ed ha come habitatpreferenziale le aree rurali di pianura edi bassa collina coltivate (Simonetta eDessì-Fulgheri, 1998). La conduzioneagronomica dei terreni ha quindi un

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forte impatto sulla qualità dell’habitat; lemisure volte alla riduzione dell’intensifi-cazione, sia in termini di stretta succes-sione delle colture che dell’impiego diprodotti fitosanitari che abbattono lepopolazioni di Insetti, hanno senz’altro ilpregio di migliorare la qualità dell’habitat.

Tordo bottaccio (Turdus philomelus):svernante alle nostre latitudini la specieha come habitat preferenziale i boschi dilatifoglie e le aree agricole con unabuona presenza di siepi, boschetti, vigne-ti, oliveti e frutteti in genere (Simonetta eDessì-Fulgheri, 1998). Ideale quindi l’im-pianto ed il mantenimento di siepi conessenze arbustive che forniscono fruttiappetiti (biancospino, prugnolo) insiemea piante arboree (sulle quali, ad esem-pio, si può arrampicare l’edera i cui fruttirisultano molto appetiti), nonché il recu-pero ed il mantenimento di vigneti ed oli-veti abbandonati. Data l’alimentazionebasata anche sulla componente animale,risulta essenziale la riduzione degli inputchimici dannosi per gli insetti e per gliinvertebrati in genere.

Tordo sassello (Turdus iliacus): la spe-cie frequenta boschi di latifoglie e conife-re, campagne alberate, margini dei boschie arbusteti, nutrendosi essenzialmente difrutta, bacche e semi (Simonetta e Dessì-Fulgheri, 1998). Le siepi hanno un ruolofondamentale nella produzione di risorsetrofiche (il vischio disponibile sulle vec-chie piante) e quindi risulta importante illoro impianto e/o mantenimento. Ancheper il sassello è auspicabile la riduzionedegli input chimici nell’attività agricola.

Cesena (Turdus pilaris): è un uccellotipicamente nomade ed abbondantenelle aree in cui siano presenti adeguate

risorse trofiche, sostando fino all’esauri-mento delle stesse (Simonetta e Dessì-Fulgheri, 1998). Frequenta, prevalente-mente, boschi aperti delle zone interne,in genere a dominanza di Roverella , conpresenza di Biancospino, Agrifoglio eTasso. Si nutre di Invertrebrati, frutti esemi, per cui valgono essenzialmente leindicazioni fornite per gli altri turdidi.

Storno (Sturnus vulgaris): è una spe-cie tendenzialmente gregaria, soprattuttodurante le migrazioni e lo svernamentoquando costituisce aggregazioni di parec-chie migliaia di individui; durante l’inver-no ha inoltre la tendenza a costituire deidormitori notturni che possono aggrega-re anche centinaia di migliaia di individui(Simonetta e Dessì-Fulgheri, 1998). Daquesto punto di vista è auspicabile l’im-pianto e/o il recupero di filari alberati e dicanneti in zone riparate dai rigori invernaliin cui lo storno possa trovare rifugio perla notte. La specie può essere considera-ta onnivora, anche se la componenteanimale predomina in primavera, ediventa quasi esclusiva per i nidiacei, equella vegetale in autunno ed in inverno;il mantenimento delle vecchie struttureproduttive (oliveti, vigneti) può avereun’influenza decisamente positiva per ladisponibilità trofica dello storno.

Passero d’Italia (Passer italiae): ilpassero è una specie che si giova più dimolte altre delle attività antropiche,adattandosi perfettamente alle areeurbane (Simonetta e Dessì-Fulgheri,1998). Tuttavia nelle aree rurali si giovadegli interventi di miglioramento giàdescritti per il fagiano e la starna, soprat-tutto per quanto riguarda il rilascio di col-ture a perdere, la riduzione dell’uso di

28 UCCELLI MIGRATORI, PASSERIFORMI E COLUMBIFORMI

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fitofarmaci e l’impianto di siepi le qualioffrono rifugio, alimentazione e sono unimportante sito di nidificazione.

Merlo (Turdus merula): questa specierisulta essere sia nidificante sia migratricein Italia. Nidifica in ambienti con buonacopertura boschiva ed arbustiva (boschi,zone cespugliate, parchi urbani, giardini)e possiede un habitat non riproduttivoeccezionalmente variabile, includendoboschi densi, diverse tipologie di coltivi,lande, zone umide, parchi urbani e giar-dini (Cramp, 1988; Clement & Hathway,2000). L’alimentazione è basata soprat-tutto sulla componente animale (Cramp,1988; Sorace, 1992; Fontaneto et al.,1999; Clement & Hathway, 2000) ma inautunno diventa anche vegetale. Date lesue caratteristiche ecologiche, i migliora-menti più opportuni consistono nellacreazione e mantenimento di siepi adat-te alla nidificazione ed all’alimentazione,strutturate nello stesso modo e con lestesse essenze descritte per il tordo.

Tortora (Streptopelia turtur): nidificain campagne coltivate e alberate disse-minate di siepi, boschi; predilige areecalde e soleggiate, soprattutto in vicinan-

za di punti di abbeverata, anche se nondisdegna la macchia arborea purché neipressi di fiumi o zone di abbeverate(Simonetta e Dessì-Fulgheri, 1998). Lacreazione ed il mantenimento di siepi,filari alberati abbinati alla creazione difasce di colture a perdere con girasole,grano tenero ed altre graminacee ai mar-gini delle aree coltivate aumentano lapossibilità di fruizione dell’ambiente perla vicinanza delle risorse trofiche e deiluoghi di sosta notturna e diurna.

Colombaccio (Columba palumbus):legato ai boschi di latifoglie e di conifere,alle nostra latitudini è presente sia comenidificante che come svernante. La moda-lità di diffusione a macchia di leopardodella popolazione nidificante, suggerisceuna stretta relazione con la qualità deiboschi e dell’estensione delle monocoltu-re (Simonetta e Dessì-Fulgheri, 1998),per cui la corretta gestione silvicolturalevolta a favorire la produzione di ghianda edi edera (estensione delle tagliate, rispet-to del turno, ecc.) legata alla diffusione suiterreni agricoli di pratiche meno intensivecon un corretta gestione delle rotazionifavoriscono senza dubbio questa specie.

29UCCELLI MIGRATORI, PASSERIFORMI E COLUMBIFORMI25 Siepi artificiali

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VOLUME REALIZZATO NELL’AMBITO DEL CORSO I.F.T.S.“TECNICO SUPERIORE ESPERTO NELLE TRASFORMAZIONI

AGRO-INDUSTRIALI”. IPSAA C. PARISANI STRAMPELLI - RIETI,UNIVERSITÀ DELLA TUSCIA - FACOLTÀ DI AGRARIA, FIDET

COOP LAZIO, 2005-2006.

PER LA CITAZIONE SI RACCOMANDA LA SEGUENTE DIZIONE:

Adriani S., Amici A., Bonanni M., Leonardi O.,Pelorosso R., Primi R., Serrani F., Viola P., 2006.Gestione integrata: ambiente, fauna e agricoltura.Collana di Gestione delle Risorse Faunistichen° 3. Rieti.

ISBN 88-902437-1-6

Della stessa collana fanno parte:

- MODELLO DI VALUTAZIONE DELLAIDONEITÀ AMBIENTALE PER LA COTURNICEAPPENNINICA (Alectoris graeca orlandoi) in Provincia di Rieti2004

- LA COTURNICE (Alectoris graeca orlandoi) nella Provincia di RietiSTATUS E CONSERVAZIONE2006