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Diocesi di Tivoli Ufficio di Pastorale Giovanile Introduzione generale alla Sacra Scrittura 1

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Diocesi di TivoliUfficio di Pastorale Giovanile

Introduzione generale alla Sacra Scrittura

Tivoli – 2019

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INTRODUZIONE

La Bibbia è uno dei libri più antichi giunti fino a noi, uno dei libri più tradotti e diffusi al mondo. È senza dubbio il libro che ha lasciato le tracce più significative nel cammino dell'umanità. Arte, letteratura, musica, vita e costumi di molteplici popoli si sono ispirati alla Bibbia, da essa sono stati plasmati e hanno tratto nutrimento, al suo messaggio hanno ispirato la loro vita e su di essa hanno edificato le loro società

C'è da chiedersi allora quale sia il segreto della Bibbia, da che cosa essa tragga la capacità di segnare così profondamente la storia del mondo e delle persone.

Una prima, immediata risposta è che la Bibbia è il documento centrale della fede ebraica e di quella cristiana; e in un certo qual modo, seppur in maniera stravolta, del mondo islamico. È un'opera letteraria, anzi una vera e propria letteratura, che raccoglie la storia bimillenaria di Israele, di Gesù e dei primi cristiani. Questa storia porta con sé un messaggio straordinario: la rivelazione che Dio ha fatto di sé all'umanità e il disegno di salvezza che egli va costruendo nella storia.

Ascoltando il messaggio della Bibbia, si scopre poi che essa è qualcosa di più di un testo letterario e storico: è parola di Dio.

La Bibbia è la parola che Dio ha fatto risuonare nel tempo, nelle parole dei profeti, di Gesù e degli apostoli, e che mediante gli scrittori sacri (agiografi) ha consegnato prima al popolo d'Israele, poi, in modo definitivo, alla Chiesa e, tramite suo, a tutte le persone della terra.

Qui sta il segreto della Bibbia, la ragione della sua esistenza. La fede della Chiesa lo ha affermato da sempre: Dio ha donato agli uomini la sua stessa parola, perché possa risuonare in ogni tempo, anche oggi, come fosse la prima volta. È un mistero grande, in cui l'opera dello Spirito si unisce a quella dell'uomo. È parte del mistero dell'incarnazione, di quel cammino di Dio incontro all'uomo che ha il suo vertice nella Parola fatta carne.

Se nella Bibbia incontriamo la parola di Dio, anzi è essa stessa parola di Dio per noi, non possiamo allora fare a meno della Bibbia: è il nostro cibo. Alla mensa della vita i cristiani si nutrono della parola e del corpo di Cristo.

L'orizzonte si apre oltre il puro sapere che cosa sia la Bibbia, oltre la conoscenza della sua origine, della sua articolazione e dei suoi contenuti. Si tratta di entrare dentro la Bibbia, abitarvi, meditarla, pregarla; si tratta di lasciarsi ispirare da essa, con essa discernere i segni dei tempi, capire la volontà di Dio, metterla in pratica. È questa l'esperienza della Parola, che costituisce il fine proprio di ogni lettura credente della Bibbia.

La Bibbia è la prima irrinunciabile fonte educativa per il cristiano. Tra le finalità fondamentali di questi incontri c'è quella di abilitare ad accostarsi personalmente alla Bibbia nell'orizzonte della fede della Chiesa. Queste pagine vengono offerte per renderci capaci di leggere la Bibbia seguendo le sue indicazioni, così da dare piena attuazione a quella presenza diffusa della Sacra Scrittura tra noi, auspicata anche di recente (18 novembre 1995) da un documento dei nostri vescovi su La Bibbia nella vita della Chiesa, nel cui titolo risuona l'invito paolino: "La parola del Signore si diffonda e sia glorificata (2 Ts 3,1)".

L'auspicio che anima queste brevissime lezioni è che grazie a questi pochi appunti ciascuno possa ravvivare il desiderio dell'incontro con la parola di Dio scritta, che è «saldezza della fede, cibo dell'anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale» (Dei Verbum, 21).

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LA BIBLIOTECA DELL’ALLEANZA

Il termine Bibbia deriva dal greco biblìa, plurale di biblos, e vuol dire "libri", anzi "libretti". Già dal suo titolo comprendiamo perciò che la Bibbia non è un semplice libro come tutti gli altri, ma una vera e propria biblioteca in miniatura, è un insieme di composizioni letterarie, di solito brevi, scritte in diverse lingue: ebraico, aramaico o greco. Il più lungo di questi libri, ad esempio, (il libro di Isaia) ha sessantasei capitoli, ma è contenuto in un centinaio di pagine di una comune Bibbia. Questa piccola “biblioteca” è formata da 73 scritti: 46 libri per l'Antico Testamento e 27 per il Nuovo Testamento.

Anche se da un punto di vista propriamente letterario, la Bibbia è una raccolta di libri redatta nel corso di diversi secoli da vari autori (dal XIX secolo a. C. in cui è vissuto Abramo fino al II secolo d. C. con l'apostolo Giovanni), è altrettanto giusto considerarla un opera unitaria, poiché l'unico Autore è Dio.

Aprendo la Bibbia, ci rendiamo conto che essa è suddivisa in due parti, di ampiezza differente. La prima, più estesa, è detta Antico Testamento; la seconda Nuovo Testamento.

Il termine "testamento" non va preso nel senso più comune di volontà ultime di una persona. Dietro, infatti, c'è la parola ebraica berît, che significa promessa di un qualche dono da parte di Dio e, al tempo stesso, impegno di osservare la sua legge da parte dell'uomo. Dio e l'uomo s'impegnano reciprocamente e affermano di appartenersi l'un l'altro, divenendo perciò alleati. Ecco perché noi parliamo di antica e nuova "alleanza" come di antico e nuovo "testamento". I due termini in pratica si equivalgono. L'antica alleanza riguarda quel rapporto religioso che Dio stabilì con un popolo, Israele; la nuova invece è lo stesso rapporto esteso, in Gesù, a tutti i popoli, di cui la Chiesa è segno visibile. Si può quindi anche dire che l'unica alleanza è stata resa nuova in Gesù.

I cristiani vedono una profonda unità tra le due alleanze, in quanto la prima è annuncio, promessa e preparazione della seconda. Per questo conservano e venerano nella Bibbia sia i testi sacri del popolo ebraico sia i propri, come l'unico libro che contiene l'unica parola di Dio e l'unica salvezza in essa annunziata e attuata.

A usare per prima la denominazione di "antica" e "nuova" alleanza è la Bibbia stessa. Lo fa a riguardo di Noè e della nuova umanità che esce dal diluvio (cf. Gen 6,18; 9,8-17), e poi di Abramo e del popolo che da lui prende vita (cf. Gen 15,18; 17,1-9). L'alleanza tra Dio e Israele venne sancita al Sinai da Mosè con il rito del sangue, dopo aver letto "il libro [delle condizioni o leggi] dell'alleanza" (cf. Es 24,3-8). Ma Israele più volte disattese queste condizioni, venendo meno all'alleanza. Ed ecco che il profeta Geremia prevede un tempo in cui Dio sancirà un'alleanza "nuova" con Israele, un'alleanza di perdono, di responsabilità e di interiorità (cf. Ger 31,31-34).

A questa alleanza nuova fa esplicito riferimento Gesù nell'ultima cena, quando offre da bere ai suoi discepoli dicendo: «questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi» (Lc 22,20). Come Mosè aveva sancito l'alleanza tra Dio e Israele al Sinai versando il sangue delle vittime, così ora Gesù nel suo sangue, che sta per essere versato sulla croce, dà compimento all'alleanza annunziata da Geremia, quella che unisce Dio e la comunità dei discepoli che vengono a formare il definitivo popolo di Dio, l'«Israele di Dio», come dirà Paolo (Gal 6,16). Concetti analoghi troviamo nella Lettera agli Ebrei (cf. Eb 8,6-13).

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La Bibbia ebraica

Per un ebreo non esiste la parola "Bibbia" né, com'è ovvio, l'Antico Testamento, ma semplicemente la Tanâk. Questa parola è una sigla, composta dalla prima lettera di tre parole: Toràh, Neviìm, Ketuvìm.

La Toràh è ciò che noi chiamiamo Pentateuco e comprende i libri di Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio. La parola racchiude una grande ricchezza di significato per un ebreo. Toràh può essere tradotto da più termini: "legge", ma anche "ammaestramento", "indicazione", "istruzione", ecc. Nella Toràh l'ebreo trova tutto ciò che è chiamato a essere: la sua identità religiosa (popolo di JHWH), storica (popolo con una terra propria), sociale (comunità di fratelli). La Toràh è pertanto la carta d'identità e la carta costituzionale dell'ebreo religioso. Rimanervi fedeli è per lui ragione di vita o di morte. La Toràh tradotta nella vita è la sua "giustizia" o santità di vita: è titolo di riconoscimento, è il premio nel regno che l’Altissimo nel suo giorno darà a Israele. Per un ebreo la Toràh è la rivelazione definitiva di Dio. Non c'è per lui parola più alta e quindi autoritativa della Toràh. Da ciò si comprende quanto sia difficile per un ebreo accettare un'ulteriore e definitiva parola di Dio come quella che, per noi cristiani, viene all'umanità attraverso Gesù.

A fianco della Toràh, ma con un valore minore, gli Ebrei pongono i Neviìm. Noi traduciamo questa parola con "profeti", gli uomini dello Spirito e i portatori di una parola. La parola per un ebreo può essere una promessa che è portata a compimento, quindi un evento. In questo senso sono profeti coloro che hanno attuato le promesse di Dio: Giosuè, i giudici, Samuele e gli altri profeti dell'epoca della monarchia, le cui imprese troviamo rispettivamente in Giosuè, Giudici, 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re. La Tanàk li chiama "profeti anteriori".

"Profeti posteriori" sono invece quei libri che siamo soliti designare semplicemente come "libri profetici", i testi cioè che raccolgono la predicazione di quegli uomini che rivolgevano la parola di Dio al popolo, in vista della conversione dai peccati commessi contro la Toràh o della salvezza prossima ad attuarsi nella storia.

I restanti libri della Tanàk vengono chiamati dagli Ebrei Ketuvìm, cioè "scritti" e comprendono testi di diversa natura: poetici, sapienziali, storici, apocalittici, ecc.

Dalle tre collezioni sono esclusi sette libri: Tobia, Giuditta, 1 e 2 Maccabei, Sapienza, Siracide, Baruc. La tradizione ebraica, risalente al primo secolo d.C., non ritiene di poterli annoverare nella Tanàk. L'elenco riconosciuto dalla Chiesa cattolica si rifà invece ad una tradizione che li includeva, attestata nella versione greca dell'Antico Testamento detta dei Settanta (LXX), che fu approntata in ambiente ebraico ellenistico, ad Alessandria d'Egitto, a partire dal terzo secolo a.C. Da questo testo greco provengono anche alcune parti di Ester e Daniele, anch'esse non presenti nella Tanàk.

CHI HA DIVISO LA BIBBIA IN CAPITOLI E VERSETTI?

La Bibbia è un libro lettissimo e studiatissimo, per questo si è reso necessario – in fondo non diversamente da quanto capita con tutti i libri più studiati e letti, ad es. la Divina Commedia – suddividere il testo biblico in modo da rendere facile la ricerca di singole frasi e parole.Nei manoscritti più antichi, tutta la Bibbia – sia quella ebraica sia quella greca – si presenta in “scrittura continua”, cioè senza spaziature né suddivisioni in capitoli e versetti.La lettura liturgica della Torah (il Pentateuco) è andata codificandosi nella preghiera

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sinagogale del sabato (dal II secolo a.C.) fino ad assumere a partire dal Medioevo una suddivisione del testo in porzioni (in ebraico parashà), stabilita in un ciclo annuale.

Divisione in capitoliIn ambito cristiano la suddivisione in capitoli la si deve al vescovo inglese Stephen Langton, arcivescovo di Canterbury, che era stato gran cancelliere dell’Università di Parigi, eseguì la divisione dell’Antico e del Nuovo Testamento in capitoli sul testo latino della Vulgata di San Girolamo verso il 1226.Dalla Vulgata passò al testo della Bibbia ebraica, al testo greco del Nuovo Testamento e alla versione greca dell’Antico Testamento.Stabilì una divisione in capitoli, più o meno uguali, molto simile a quella che abbiamo nelle nostre Bibbie stampate.Verso il 1226 i librai di Parigi introdussero questa divisione in capitoli nel testo biblico, dando luogo a quella che si conosce come Bibbia Parigina. Da allora, questa divisione divenne universale.

Divisione in versetti

Sante Pagnini (1541), ebreo convertito e poi domenicano, originario di Lucca, dedicò 25 anni alla sua traduzione della Bibbia, pubblicata nel 1527, e fu il primo a dividere il testo in versetti numerati.La stampa avvenne a Lione. Era una versione molto letterale che costituì un punto di riferimento per gli umanisti dell’epoca e venne ristampata varie volte. Robert Estienne, prestigioso impressore, eseguì l’attuale divisione in versetti del Nuovo Testamento nel 1551. Nel 1555 realizzò l’edizione latina di tutta la Bibbia.Per i versetti dell’Antico Testamento ebraico prese la divisione effettuata da Santi Pagnini, mentre per gli altri libri dell’Antico Testamento ne elaborò una propria, e per il Nuovo Testamento impiegò quella che egli stesso aveva realizzato pochi anni prima.La decisione di dividere il testo biblico in capitoli e versetti numerati permette, da allora, di trovare immediatamente un passo. È uno strumento fondamentale per i ricercatori e per poter impiegare tutti uno stesso riferimento.

Bibbia stampata con capitoli e versetti

La prima Bibbia stampata che includeva totalmente la divisione in capitoli e versetti è stata la cosiddetta Bibbia di Ginevra, pubblicata nel 1560 in Svizzera.Gli editori della Bibbia di Ginevra optarono per i capitoli di Stephen Langton e i versetti di Robert Estienne, consapevoli della grande utilità che avevano per la memorizzazione, la localizzazione e la comparazione dei passi biblici.Nel 1592 papa Clemente VIII fece pubblicare una nuova versione della Bibbia in latino per l’uso ufficiale della Chiesa cattolica, e in essa si incluse la divisione attuale in capitoli e versetti.Alla fine del XVI secolo, quindi, gli ebrei, i protestanti e i cattolici avevano accettato la divisione in capitoli introdotta da Stephen Langton e la suddivisione in versetti introdotta da Robert Estienne.Da allora queste divisioni sono state accettate come la forma standard per individuare i versetti della Scrittura e sono state accolte a livello universale.

COME TROVARE UN BRANO NELLA BIBBIA?

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A questo punto è semplice indicare o cercare un singolo brano delle Scritture, considerando che la bibbia è divisa in vari libri, che ogni libro è diviso in vari capitoli, che ogni capitolo è stato diviso in vari versetti (gruppi di una o più frasi). Sarà sufficiente:

1- Guardare il nome del libro della Bibbia, esteso o abbreviato che sia :es. Gen   o Genesi  1,2

2- Leggere il primo numero che segue il nome del libro, esso indica il capitolo:Gen o Genesi 1, 2 (è sempre seguito dalla virgola)

3- leggere, dopo la virgola del numero del capitolo, il numero che indica il versetto:es. Gen o Genesi 1, 2

Quindi la VIRGOLA  separa i capitoli dai versetti.Posso anche indicare più versetti, successivi tra loro oppure intervallati, ecco come:Se i versetti dopo la virgola sono due o più, allora sono separati da un trattino o da un punto:es. Gen 1,2-5.16

il TRATTINO significa (DAL…AL): leggere dal versetto x al versetto y, inclusi i versetti tra x e y il PUNTO significa (E): leggere il versetto x e il versetto y, esclusi gli eventuali versetti tra x e yes. leggi dal libro della Genesi, al primo capitolo, i versetti dal 3 al cinque E il versetto 16, cioè i versetti 2, 3, 4, 5, 16.Se si trova la dicitura ss significa: leggere i versetti seguenti a quello indicato:es. Gen 1, 2 ss

Un caso particolare si ha quando voglio indicare insieme dei versetti appartenenti a capitoli differenties. Gen 1, 22-2, 1Significa: leggere dal versetto 22 del capitolo primo al versetto uno del capitolo secondo. E’ più semplice di quanto sembri, in fondo il numero seguito dalla virgola indica sempre e solo il numero di capitolo, i numeri seguiti dal punto o dal trattino indicano sempre e solo i numeri di versetti.

L’ISPIRAZIONE

«Le verità divinamente rivelate, che nei libri della Sacra Scrittura sono contenute ed espresse, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo. La Santa Madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo (cfr. Gv 20,31; 2Tm 3,16; 2Pt 1,19,21; 3,15-16), hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa. Per la composizione dei Libri Sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo Egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori tutte e soltanto quelle cose che Egli voleva fossero scritte» (DV 11)

Quando noi cristiani ci troviamo a leggere la Bibbia, veniamo avvolti dalla consapevolezza, più o meno profonda, che ci troviamo davanti ad un testo sacro, un testo degno di venerazione perché contenente la Parola di Dio espressa in parole umane, poiché Egli si trova a dover parlare per mezzo di uomini. In nessun luogo della Bibbia troviamo la parola di Dio rivolta a

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noi direttamente, ma sempre ci viene comunicata dagli uomini e sempre in un linguaggio umano. La Bibbia, a differenza del Corano, non è un libro caduto dal cielo, non è stata dettato da un angelo, ma "scritta" da diversi uomini che l'hanno redatta nel corso dei secoli.

Così si esprime la Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione (Dei Verbum), del Concilio Vaticano II, al n°2:

«Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2Pt 1,4). Con questa rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto».

Nella teologia biblica  l’ispirazione costituisce il fondamento della sacralità di un testo nel progetto di autorivelazione di Dio all'uomo, una rivelazione che avviene in una dinamica trinitaria, dal Padre per il Figlio nell'unità dello Spirito Santo e nell’intima connessione tra gesti e parole. I testi divinamente ispirati sono ritenuti sacri, poiché permettono di accedere alla Parola di Dio, fanno parte del canone della Bibbia e sono considerati normativi in particolare per questioni di fede e morale. Al contrario i testi non riconosciuti come ispirati sono detti apocrifi.

"Ispirazione" nell'Antico Testamento

L'idea della particolare autorevolezza divina di alcune azioni o insegnamenti è presente all'interno di alcuni loci dell'Antico Testamento. Nelle versioni italiane, in particolare quelle che seguono la Vulgata, viene talvolta usato il termine "ispirazione", ma il confronto col testo originale ebraico o aramaico evidenzia come in tali lingue mancasse un preciso termine con un significato tecnico come avviene per l'attuale 'ispirazione':

« Ma i profeti Aggeo e Zaccaria figlio di Iddo si rivolsero ai Giudei che erano in Giuda e a Gerusalemme, profetando in nome del Dio d'Israele, che li ispirava [lett. che era su loro]. »   (Esdra 5,1)

« Il mio Dio mi ispirò [lett. pose nel mio cuore] di radunare i notabili, i magistrati e il popolo, per farne il censimento. Trovai il registro genealogico di quelli che erano tornati dall'esilio la prima volta e vi trovai scritto quanto segue. »  (Neemia 7,5)

« Ma certo essa è un soffio nell'uomo; l'ispirazione [lett. neshamà, soffio] dell'Onnipotente lo fa intelligente. »  (Giobbe 32,8)

« Guai a voi, figli ribelli - oracolo del Signore - che fate progetti da me non suggeriti, vi legate con alleanze che io non ho ispirate [lett. che non sono da me] così da aggiungere peccato a peccato. »   (Isaia 30,1)

In moltissimi loci veterotestamentari si parla di "Parola di Dio" o vengono introdotti oracoli con la formula stereotipata "Così dice il Signore" (v. p.es. 1Re 12,22-24; 1Cr 17,3-4; Ger

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35,13; Ez 2,4; Zac 7,9). Anche in questi casi manca il termine 'ispirazione', ma è evidente che il testo presenta tali parole come 'ispirate', cioè provenienti da Dio.

Ispirazione nel Nuovo Testamento

È solamente nel Nuovo Testamento che compare il termine specifico e l'idea di 'ispirazione' riferito ad alcune opere precedenti. In particolare:

«Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio [lett. θεόπνευστος theopneustòs, "Dio-soffiata"] e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona. »   (2 Timoteo 3,14-16)

« Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio. »   (2 Pietro 1,20-21 )

L'esame di questi due passi mostra come già in età apostolica (I secolo) vi fosse all'interno della comunità cristiana la consapevolezza della origine soprannaturale delle Scritture bibliche, sebbene siano state concretamente redatte da autori umani.

Interpretazione teologica

Lo stesso Nuovo Testamento dunque evidenzia come i testi sacri siano stati redatti da uomini (in termine tecnico "agiografi", dal greco letteralmente "scrittori sacri") ispirati da Dio, ma non chiarisce come debba essere considerato questo rapporto. Lungo i secoli, in particolare dai Padri della Chiesa e dai teologi scolastici, sono state fornite diverse interpretazioni circa il modo di intendere questo rapporto Dio-agiografi e dunque circa la natura stessa dell'ispirazione della Bibbia e della sua verità storica.I vari modelli (espressioni, similitudini, spiegazioni concettuali) non devono essere visti necessariamente come esclusivi, cioè scegliendone uno e rigettando gli altri. Non è mancata, in particolare nella tradizione cattolica, una loro applicazione complementare, mettendo in risalto di volta in volta alcuni aspetti peculiari del processo ispirativo.

"Scritta da Dio"

In alcuni passi dell'Antico Testamento (Es 24,12; 31,18; 32,16; 34,28; Dt 5,22; 10,4) il decalogo viene detto "scritto da Dio", o addirittura "dal dito di Dio" (Es 31,18). Questa immagine, applicata ai soli dieci comandamenti dati a Mosè sul monte, stabilisce un legame diretto e immediato tra la Parola di Dio e il testo sacro, senza alcuna mediazione umana. Agli occhi del moderno metodo storico-critico questo può apparire come un modello eccessivamente semplicistico.

Dio autore e l’unità della Scrittura

Solitamente nella tradizione cristiana e in particolare nel magistero cattolico, per esprimere il rapporto di Dio con la scrittura ispirata, Dio viene definito 'autore' della Bibbia. L'immagine va contestualizzata all'interno delle eresie dualistiche, in particolare il Manicheismo, per le quali l'autore dell'Antico Testamento non è lo stesso del Nuovo Testamento.

Scrive Sant’Agostino:

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«Come l'unico vero Dio è il creatore dei beni temporali e dei beni eterni, così egli medesimo è l'autore di entrambi i Testamenti, poiché il Nuovo è figurato nel Vecchio, e il Vecchio è figurato nel Nuovo.»(Agostino, Contro l'avversario della Legge e dei Profeti (Contra adversarium Legis et Prophetarum) 1,17,35, PL 42,623)

L'immagine di Dio come autore della Bibbia è successivamente ripresa dai principali concili cattolici:

«La Chiesa confessa un solo e identico Dio come autore dell'Antico e del Nuovo Testamento.»(Concilio di Firenze, bolla Cantate Domino del 4 febbraio 1442, EB 47, DS 1334)

«Il sacrosanto concilio Tridentino [...] accoglie e venera tutti i libri sia dell'Antico che del Nuovo Testamento, essendo Dio autore di entrambi.»(Concilio di Trento, Decreti sulle sacre Scritture dell'8 aprile 1546, EB 57, DS 1501)

«Questi libri dell'Antico e del Nuovo Testamento [...] la Chiesa li considera sacri e canonici non perché, composti per opera dell'uomo, sono stati poi approvati dalla sua autorità, e neppure soltanto perché contengono senza errore la rivelazione, ma perché, scritti sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come tali sono stati trasmessi alla Chiesa.»(Concilio Vaticano I, costituzione Dei Filius del 24 aprile 1870, EB 77, DS 3006)

Il pericolo evidente di questo modello è quello di negare o minimizzare il ruolo dell'autore umano. Proprio per questo il documento cattolico più recente relativo alla Bibbia, la costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II, nell'affermare che autore della Bibbia è Dio, aggiunge che anche gli agiografi umani sono 'veri autori':

«I libri della sacra Scrittura, [...] scritti per ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa. Ma per comporre i libri sacri Dio scelse alcuni uomini e si servì di loro nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte.»(Concilio Vaticano II, costituzione Dei Verbum del 18 novembre 1965, n. 11, EB 686, DS 4215)

Una immagine per comprendere meglio

Fin dall’epoca patristica, per comprendere meglio il rapporto trai due veri autori della Bibbia, Dio e l’agiografo, fu sviluppata un’immagine estrapolata dall’ambiente musicale, l'organon, traslitterazione della parola greca significante 'strumento'. Secondo tale modello l'agiografo umano, con le proprie facoltà e conoscenze, è uno strumento nelle mani di Dio. Già nel II secolo (circa 176-180 d.C.) l'apologista cristiano Atenagora di Atene scrive nella sua Supplica intorno ai cristiani:

« e io penso che anche voi, amantissimi come siete del sapere e dottissimi, non siate ignari né di quelle di Mosè, né di quelle d’Isaia e di Geremia e degli altri profeti, i quali nell’estasi dei loro pensieri, quando lo Spirito divino li muoveva, proclamarono ciò che dentro li eccitava, di loro servendosi lo Spirito come un flautista soffierebbe nel flauto»(Legatio pro Christianis, Cap. 9.1, PG 6,908)

L'opera anonima Cohortatio ad Graecos (II-III secolo) recita:

«Lo Spirito Santo è come un plettro divino che si serve dei profeti come di uno strumento, quali una cetra o una lira» (Cap. 8, PG 6,256).

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Il modello godette di notevole fortuna nella teologia scolastica medievale che lo ha reinterpretato alla luce della metafisica Aristotelica: i testi biblici sono scritti da uomini, che ne rappresentano la causa efficiente (o strumentale), ma lo Spirito Santo rimane l'autore principale della Bibbia. Scrive Tommaso d'Aquino:

«L'autore principale della Sacra Scrittura è lo Spirito Santo, l'uomo invece ne è l'autore strumentale» (Quodlibetales 7,14,5)

Nella tradizione cattolica contemporanea il modello dell'organon è ripreso dall'enciclica Divino Afflante Spiritu di Pio XII (30 settembre 1943). L'enciclica però chiarisce il ruolo attivo e partecipe dell'autore "strumento" di Dio, del quale va tenuto conto in sede di ricerca:

«[I teologi cattolici] partendo nelle loro disquisizioni dal principio che l'agiografo nello scrivere il libro sacro è organo, ossia strumento dello Spirito Santo, ma strumento vivo e dotato di ragione, rettamente osservano che egli sotto l'azione divina talmente fa uso delle sue proprie facoltà e potenze, che dal libro per sua opera composto tutti possono facilmente raccogliere "l'indole propria di lui e come le sue personali fattezze e il suo carattere" (Cfr. Benedetto XV, Enc. "Spiritus Paraclitus"). Quindi l'interprete con ogni diligenza non trascurando i nuovi lumi apportati dalle moderne indagini, procuri discernere quale sia stata l'indole del sacro autore, quali le condizioni della sua vita, in qual tempo sia vissuto, quali fonti scritte ed orali abbia adoperate, di quali forme del dire si avvalga.» (Divino Afflante Spiritu, EB 556)

L’inerranza delle Scritture

L'infallibilità delle Scritture (anche inerranza biblica) è un principio dottrinale per il quale si intende che la Bibbia, in tutto ciò che afferma, sia da considerarsi priva di errori. Ma in che senso bisogna intendere che la Bibbia è assolutamente infallibile?Il Concilio Vaticano II afferma: la Bibbia «contiene senza errori la verità che si riferisce alla nostra salvezza». (Dei Verbum 11) Già Origene nel II-III sec affermava: «Noi sappiamo che la Scrittura non è stata redatta per raccontarci le storie antiche, ma per la nostra istruzione salvifica».Secondo il concilio Vaticano II, inoltre, la corretta interpretazione richiede di tenere in conto il genere letterario del testo biblico e il contesto storico culturale dell'agiografo (Sitz im Leben). Per questo motivo anche per quanto riguarda affermazioni con un implicito significato etico occorre comprendere con un difficile lavoro ermeneutico l’autentico significato della parola di Dio tenendo conto del panorama storico degli scrittori sacri «veri autori nel possesso delle loro facoltà e capacità».

La Chiesa cattolica afferma l’assoluta inerranza della Sacra Scrittura, poiché divinamente ispirata, ma questa inerranza deve essere intesa dal punto di vista della dottrina che la Bibbia ci trasmette per insegnarci le verità che sono via al cielo, cioè riguardanti la fede e la morale.

«Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, bisogna ritenere, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture.»(Concilio Vaticano II, costituzione Dei Verbum del 18 novembre 1965, n. 11, EB 686, DS 4215)

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I dettagli storici o scientifici, nel senso che noi intendiamo oggi, contenuti nella Bibbia possono dunque contenere errori sotto il punto di vista di questi profili, poiché rispecchiano le conoscenze scientifiche e storiche della cultura dell’epoca in cui sono stati redatti i testi sacri. Gli stessi Vangeli, redatti in un tempo relativamente più vicino a noi rispetto all’Antico Testamento, non furono composti con l'intenzione di scrivere una biografia di Gesù, bensì di annunciare il suo messaggio salvifico. Certamente essi non hanno alcuna pretesa di completezza come afferma Giovanni nel suo vangelo (21,25) e nella chiusa delle sue tre epistole.

Il caso GalileoNel XVII secolo Galileo Galilei fu sottoposto a processo a motivo della teoria eliocentrica che egli sosteneva. Secondo l'accusa questa teoria contraddiceva la Bibbia, con riferimento in particolare a un passo del Libro di Giosuè (10,12-14) nel quale si afferma che è il Sole a muoversi. Galileo, cattolico fervente, si difese affermando che le Sacre Scritture usano metafore e simboli e non pretendono di spiegare come la natura agisca, esprimendo lo stesso concetto della celebre frase del cardinale Cesare Baronio: "Le Scritture spiegano come si vada in cielo e non come va il cielo": cioè che esse hanno lo scopo di insegnare agli uomini la fede e la morale, e non l'astronomia e le altre scienze.

IL CANONE

Per canone si intende l'elenco dei testi contenuti nella Bibbia, riconosciuti come ispirati da Dio e dunque sacri, normativi in materia di fede e di morale.La parola 'canone' è la traduzione del greco κανὡν (kanon, letteralmente 'canna', 'bastone diritto'). Il termine in origine indicava lo strumento di misura per la lunghezza (solitamente appunto un bastone diritto), da qui il significato traslato di regola, prescrizione, forma, modello.I testi che non sono accolti in un determinato canone sono detti "apocrifi".

Il canone ebraico

Fino al I secolo d.C. il Sinedrio non avvertì particolare urgenza nel definire chiaramente un canone dei testi sacri poiché i testi maggiormente usati nella liturgia ufficiale erano i cinque testi della Torah e i Salmi. Per gli altri testi non erano necessarie particolari restrizioni o divieti ed il loro uso dipendeva dalla locale sinagoga. In seguito al progressivo diffondersi del cristianesimo, nel corso del I secolo, cominciarono a sorgere dei problemi soprattutto per le comunità ebraiche della diaspora. La nuova religione, che nei primi tempi non era un'alternativa all'ebraismo ma ne sembrava una emanazione, adottava la traduzione dei LXX1 piuttosto che gli originali testi ebraici. La nascente Chiesa inoltre stava componendo e diffondendo lentamente i Vangeli, nuovi testi affiancati nell'uso liturgico ai tradizionali libri di quello che cominciò a chiamare Antico Testamento, e le lettere di alcuni apostoli (soprattutto Paolo), anch'esse usate nella liturgia cristiana.Queste novità spinsero il Sinedrio a fissare con chiarezza il canone biblico ebraico. In passato gli studiosi ritenevano che ciò fosse avvenuto verso la fine del I secolo d.C. Circa le circostanze di tale fissazione, molti studiosi contemporanei concordavano con lo storico giudeo-tedesco Heinrich Graetz, il quale nel 1871 ha ipotizzato che verso la fine del I secolo d.C. si sia svolto nella località di Jamnia (Yavneh o Yabneh) un vero e proprio concilio di

1 Con il nome di LXX (Settanta) si fa riferimento ad una versione in lingua greca del Canone ebraico dell’AT. Circa l’esistenza di questa versione si hanno notizie a partire dal II sec. a.C per la testimonianza della Lettera dello Pseudo-Aristea, in cui si afferma che per il desiderio di Tolomeo II (283-246) di avere nella sua biblioteca di Alessandria d’Egitto una traduzione dei testi sacri dell’ebraismo, furono riuniti 72 uomini inviati da Gerusalemme per eseguire l’opera di traduzione.

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rabbini farisei, con lo scopo di riorganizzare la comunità ebraica rimasta orfana del tempio di Gerusalemme, distrutto dai romani nel 70, e della guida della corrente religiosa antagonista dei sadducei, legati ad esso.Contro la tesi di Graetz si sono espressi negli anni '60 gli studiosi Jack P. Lewis, Sidney Z. Leiman e molti altri, che hanno considerato quella del concilio come una mera ipotesi non documentabile con certezza dalle fonti. Giuseppe Flavio, circa 50 anni dopo la morte di Gesù e all'incirca al tempo del supposto concilio di Jamnia, scrive nel trattato Contra Apionem nel 95 d.C.:

"Presso di noi non si trovano miriadi di libri in contraddizione e in contrasto gli uni con gli altri ma solo 22 libri che descrivono tutto il corso del tempo; a buon diritto essi vengono considerati degni di fede. Ne fanno parte i cinque libri di Mosè [...] Dalla morte di Mosè ad Artaserse [...] i profeti post-mosaici hanno annotato gli eventi del loro tempo in 13 libri. Gli altri quattro libri contengono canti di lode a Dio [...] Anche per il tempo che va da Artaserse ad oggi ogni cosa è stata registrata, ma questa descrizione non gode della medesima credibilità di quello che precede, poiché è venuta meno la vera discendenza dei profeti."

Giuseppe Flavio aggiunge che fino alla sua epoca i libri degli ebrei sono 22 e nessuno ha osato aggiungerne altri o toglierne alcuni (CtAp 1,8), ma non elenca i singoli libri, il cui elenco non è determinabile con sicurezza considerata anche la problematica dei libri doppi (tipi I e II Cronache).Se le sue affermazioni sono vere si può affermare che al suo tempo il canone era già stato fissato e che comprendeva 22 libri (contro i 24 libri attualmente nella Bibbia ebraica). Interessante è il fatto che Giuseppe Flavio parla di un canone di tutti i giudei e non solo di una setta religiosa (per esempio i Farisei). I dati forniti da Giuseppe Flavio vengono confermati da 4 Esdra e dal filosofo giudeo Filone contemporaneo di Gesù (De vita contemplativa, 24).Concludendo, le informazioni in nostro possesso indicano che il canone biblico ebraico potesse essere già definito intorno al I secolo a.C. nel quale sono definitivamente considerati testi sacri i testi della Tanakh. Per qunnto riguarda i Ketuviim in particolare vennero considerati ispirati con maggiore difficoltà, dato che vi furono pareri discordanti tra le varie scuole rabbiniche (soprattutto per Cantico dei Cantici, Qoelet e Libro di Ester). A prescindere dalle varie ipotesi teologico-letterarie che si possono fare, un criterio empirico per l'accettazione dei testi come canonici fu la considerazione della lingua di composizione, cioè l'ebraico. Questo criterio però non dovette essere assolutamente risolutivo: il Siracide, ad esempio, sebbene pervenutoci in greco, era scritto originariamente in ebraico, come rinvenuto negli scavi archeologici nella fortezza di Masada, ma fu ugualmente considerato non canonico. Per questo testo evidentemente ha giocato un ruolo importante la paternità dell'autore, giudicato forse allora non sufficientemente autorevole.

1) Con la distruzione del Tempio nel 70 d.C. la religione giudaica divenne sempre più una religione «del Libro», con la conseguente e logica necessità di un Canone normativo definitivo; ma la strada per arrivarvi fu più lunga e complessa di quanto non si immagini.

2) Le dispute sorte all’intero del giudaismo, in particolare tra i Farisei e le sètte giudaiche di tendenza apocalittica, hanno indubbiamente costituito uno stimolo ulteriore alla fissazione di un Canone, che del resto la stessa concorrenza sollevata dai libri cristiano doveva affrettare.

3) Anche se nel I sec. d.C si poteva parlare dell’accettazione popolare di 22 0 24 libri come sacri, non ci fu un Canone ebraico rigidamente fissato fino verso la fine del II sec. o l’inizio del III sec.

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4) L’assunzione del Canone più ampio fatta dai cristiani tramite la versione greca dei LXX può essere stata il motivo ultimo e anche il criterio definitivo, in base al quale il giudaismo limitò il Canone dell’AT ai libri più antichi o soltanto a quelli che di fatto circolavano allora nella lingua originale ebraica o aramaica.

Elenco ebraico definitivo della Torah scritta: il Tanakh

Il canone dei libri sacri per gli ebrei è composto da 24 libri (il numero però diventa 39 contando separatamente i dodici profeti minori, i due Libri di Samuele, i due Libri dei Re, Esdra e Neemia, e i due Libri delle Cronache, ma il numero 24 è maggiormente legato alla tradizione quanto alla sapienza divina).

:Torah, Legge, insegnamento, guida תורהGenesi - (Bereshìt, in principio) בראשית .1Esodo - (Shemòt, nomi) שמות .2Levitico - (Wayqrà, e chiamò) ויקרא .3Numeri - (Bemidbàr, nel deserto) במדבר .4Deuteronomio - (Devarìm, parole) דברים .5

:Nevi'im (Profeti) נביאים o Libri storici (Neviìm rishonim, profeti anteriori) נביאים ראשונים

Giosuè - (Yehoshua) יהושע .6Giudici - (Shofetìm) שופטים .7Primo e Secondo libro di Samuele - (Samuèl) שמואל .8Primo e Secondo libro dei Re - (sèfer malchìm - Libro dei re) ספר מלכים .9

(Neviìm aharonim, profeti posteriori) נביאים אחרוניםIsaia - (Ysha'ihàu) ישעיהו.10Geremia - (Yermihàu) ירמיהו .11Ezechiele - (Yehzqè'l) יחזקאל .12 comprendente i libri che sono detti dodici profeti ,(Terè 'asàr, dodici in aramaico) תרי עשר .13minori (o 'dodici' o 'profeti minori'):

Osea - (Hoshè'a) הושע Gioele - (Yoèl) יואל Amos - (Amòs) עמוס Abdia - (Obadiàh) עובדיה Giona - (Yonàh) יונה Michea - (Mikà) מיכה Naum - (Nahùm) נחום Abacuc - (Habaqqùq) חבקוק Sofonia - (Zefanyàh) צפניה Aggeo - (Haggài) חגי Zaccaria - (Zekaryàh) זכריה Malachia - (Mal'aki) מלאכי :Ketuvim (Scritti) כתובים

Salmi - (Tehillìm) תהילים .14Proverbi - (Mishlè) משלי .15Giobbe - (Iòb) איוב .16

comprendente (Hamesh meghillot, cinque rotoli) חמש המגילותCantico dei cantici - (Shìr hasshirìm) שיר השירים .17Rut - (rut) רות .18Lamentazioni - (Ekàh, ahimè) איכה .19Qoelet detto anche Ecclesiaste - (Qohèlet, radunante) קהלת .20Ester - (Estèr) אסתר .21

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Daniele - (Dani'èl) דניאל .22Neemia - (Nehemyàh) נחמיה Esdra comprendente anche - (Ezrà) עזרא .23Primo e Secondo libro delle Cronache - (Debarè hayomim - Cose dei giorni) דברי הימים .24

Secondo la tradizione giudaica i libri sono raggruppati fino a formare appunto un totale di 24. Il numero corrisponde alle 22 lettere dell'alfabeto ebraico, a ognuna delle quali corrisponde un libro (א Genesi, ב Esodo...).

Il Canone dell’AT presso i cristiani

Quando tra il II e III sec. d.C iniziarono in seno al giudaismo le discussioni sul Canone che condussero poi alla definizione del Canone ristretto (detto Palestinese), tali discussioni si rifletterono altresì nelle diverse Chiese cristiane, che venivano in contatto con la sinagoga e soprattutto sui padri apologeti impegnati nelle controversie col giudaismo.I Padri Apostolici sono soliti citare la versione dei LXX e fanno perciò largo uso dei testi definiti deuterocanonici dall’ ebraismo. In molti scrittori si incontrano anche citazioni di libri apocrifi, segno dunque che un vero e definitivo Canone non era ancora fissato. Nelle dispute coi giudei, i padri apologeti preferiscono pertanto far riferimento ai testi protocanonici, ma Giustino (†165 d.C.) afferma che si deve ritenere parte della Scrittura tutto ciò che è contenuto nella versione dei LXX, anche quelle parti che i giudei arbitrariamente hanno tolto. Melitone di Sardi (†193 d.C.) ci fornisce la più antica lista dei libri dell’AT usati dai cristiani che praticamente coincide con il canone ristretto degli ebrei (la lista ci è conservata da Eusebio, Hist. Eccl., IV, 26, 12-14: PG 20, 396). Già verso la fine del IV sec. – come testimoniano i Concili provinciali di Ippona (393) e Cartagine (397) – la Chiesa occidentale accettava ampiamente nel Canone anche i libri deuterocanonici rifiutati dagli ebrei, nonostante molti Padri, sia dell’Oriente che dell’Occidente optassero ancora per il Canone ristretto. Tra questi ultimi ebbe grande influenza l’opera di San Girolamo che tuttavia, in appendice alla sua traduzione latina della Bibbia (detta Vulgata, 382) tradusse anche i libri di Tobia e Giuditta, insieme ad alcuni supplementi greci di Ester e Daniele, precisando che questi ultimi erano ritenuti apocrifi dagli ebrei, omettendo di tradurre gli altri deuterocanonici. Il prestigio di Girolamo non mancò di influire addirittura fino al Concilio di Trento (8 aprile 1546), benché il Concilio di Firenze (1441) avesse per la prima volta preso definitiva posizione optando per il Canone ampio.

Il Concilio di Trento offrì anche due criteri sui quali si fondava la solenne dichiarazione circa il Canone della Bibbia: 1) la lettura liturgica; 2) la presenza nell’antica versione latina della Volgata.

Il canone del Nuovo Testamento

La necessità di definire un canone dei libri biblici crebbe nelle Chiesa parallelamente al comparire di testi apocrifi, prodotti e usati prevalentemente in ambienti eretici (soprattutto gnostici)

San Giustino, verso la metà del II sec. testimonia che i Vangeli erano letti insieme con gli scritti dei Profeti nella liturgia eucaristica. Il primo ad usare l’attuale espressione di «Nuovo Testamento» fu Tertulliano verso la fine del 200 nella sua opera «Contro Marcione», ciò coincide con la comparsa di liste di libri del NT contenute nel Frammento Muratoriano 2 e in

2 Il Canone Muratoriano è uno dei più antichi testimoni di una lista dei libri del NT risalente all’VIII sec. rinvenuta da Ludovico Antonio Muratori e pubblicato nel 1740. Questa lista trova il suo confronto con la lista

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Origene (III sec.). Queste testimonianze sono segno che già in quel periodo stava nascendo una stabile raccolta di Scritture cristiane. La più antica lista corrispondente al Canone attuale si trova per la prima volta in una lettera di Atanasio di Alessandria del 367, conforme al successivo decreto di papa Damaso del 382. Questo Canone ha prevalso fino ad oggi tramite la mediazione della Vulgata, la traduzione della Bibbia in latino realizzata da san Girolamo dietro commissione di papa Damaso.La Costituzione dogmatica Dei Verbum del Concilio Vaticano II ci offre una importante ed esplicita affermazione sul Canone della Bibbia, una affermazione che diviene un criterio definitivo e dogmatico circa la fissazione del Canone della Bibbia come noi oggi l’abbiamo ricevuta. Al n° 8 dice: «E’ la stessa Tradizione che fa conoscere alla Chiesa l’intero Canone dei Libri Sacri». Qui si afferma un dato di fede.

Sebbene non dichiarati esplicitamente, i criteri usati dalla Chiesa antica per considerare un testo canonico nell'ambito del Nuovo Testamento sono stati:

Paternità apostolica: attribuibile all'insegnamento o alla diretta scrittura degli apostoli o dei loro più stretti collaboratori. Questo criterio ha favorito l'esclusione dal canone neotestamentario della autorevole letteratura sub-apostolica;

Ortodossia: testi che rispettino le verità dogmatiche di fede (Unità di Dio, poi manifestatosi in carne (Gesù Cristo) 1Tim 3:16). Questo criterio ha favorito l'esclusione delle opere eretiche e pseudoepigrafe;

Uso liturgico: testi letti pubblicamente nei riti liturgici delle prime comunità cristiane.

LA TERRA DELLA BIBBIA

Estratto da “Storia d’Israele dalle origini al periodo romano” di Luca Mazzinghi - Edizioni Dehoniane Bologna 2008

...paese fertile, paese di torrenti, di fonti e di acque sotterranee che scaturiscono nella pianura e sulla montagna; paese di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; paese di

damasiana, risalente al Concilio di Roma del 382. 15

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ulivi, di olio e di miele; paese dove non mangerai con scarsità il pane, dove non ti mancherà nulla; paese dove le pietre sono ferro e dai cui monti scaverai il rame...(Dt 8,7-9)

La storia di un popolo si svolge sempre in un determinato ambiente: conoscere la geografia nella quale si collocano gli eventi che si vogliono studiare non è imparare alcune nozioni più o meno erudite, ma è un mezzo vitale per comprendere più a fondo il popolo che in quei luoghi ha vissuto.La regione del Vicino Oriente antico che ci interessa fa parte di quella vasta zona chiamata comunemente «mezzaluna fertile», cioè quella fascia di terre coltivabili che si estende dalla Mesopotamia ad est, ai monti dell’Anatolia a nord, fino al mar Mediterraneo a ovest. A sud si estende una regione interamente desertica, il grande deserto arabico. Attualmente la mezzaluna fertile comprende gli stati dell’Iraq, della Siria, del Libano, della Giordania, di Israele. L’Israele biblico si trova al margine meridionale di tale vasta area geografica, ma in posizione chiave, un ponte con l’altra grande regione, l’Egitto.La terra che fu teatro degli avvenimenti biblici ha ricevuto vari nomi nel corso della storia: essa fu detta in origine «terra di Canaan», nome che ritroviamo in testi cuneiformi già verso la fine del III millennio a.C.; nel testo di Is 19,18 l’ebraico viene chiamato «lingua di Canaan». Il nome sembra essere in relazione con la lavorazione della porpora, uno dei prodotti tipici di questa terra. La stessa regione, definita dalla Bibbia semplicemente «la terra» o la terra d’Israele, fu poi chiamata dai romani Palestina, in seguito alla rivolta giudaica del 135 d.C. Il nome Palestina ricorda uno dei popoli che anticamente abitavano la regione, i filistei.* * *

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La terra della Bibbia si estende dai monti dell’Antilibano, a nord, sino al deserto del Neghev, a sud; dal mar Mediterraneo, a ovest, sino al deserto arabico a est. La caratteristica forse più sorprendente, per chi non ha mai visitato Israele e lo conosce solo per quanto ha letto nei testi biblici, è che si tratta di una regione relativamente piccola, dove le distanze non sono mai eccessive: appena 120 chilometri da Gerusalemme a Nazaret, mentre la larghezza - dal mare al Giordano - non supera mai gli 85 chilometri. La superficie totale dell’attuale Stato di Israele e dei territori palestinesi non è superiore a quella del Belgio.Uno sguardo alla carta geografica permette di distinguere quattro fasce ben delimitabili, da ovest verso est: la costa, la zona montuosa centrale, la fossa giordanica e l’altopiano della Transgiordania. La costa è completamente pianeggiante, a eccezione dello sperone del monte Carmelo, che forma l’unico porto naturale del paese: ciò può spiegare il fatto che gli israeliti non sono mai stati un popolo di marinai e che il mare, nella Bibbia, acquista spesso un valore simbolico negativo. Sulla costa passava la «via del mare» (cf. Mt 4,15), la grande arteria commerciale che collegava l’Egitto con Damasco che ancora nel medioevo sarà nota con il nome di via maris.La regione centrale comprende, da nord a sud, la zona montuosa della Galilea, che termina nella fertile pianura di Yizreel (o Esdrelon), poi le colline della Samaria, con al centro la città di Sichem (l’odierna Nablus) e infine la Giudea, che giunge oltre i 1000 metri di altitudine nella zona di Hebron. Al centro, tra Samaria e Giudea, si trova la città di Gerusalemme. Le montagne della Giudea terminano nel vasto deserto del Neghev, che costituisce la parte meridionale del paese.La terza zona è costituita dalla fossa giordanica, una faglia naturale percorsa dall’unico vero fiume del paese, il Giordano, che nasce alle pendici dell’Hermon (2814 metri) e scorre attraverso il lago di Tiberiade (il mare di Galilea di cui ci parlano i Vangeli) già a 120 metri sotto il livello del mare. Il fiume sfocia, dopo un percorso estremamente tortuoso, nel Mar Morto, che, com’è noto, è la massima depressione nella crosta terrestre (circa 400 metri sotto il livello del mare). Il Mar Morto è un grande lago dove la salinità, che è sei volte superiore a quella del Mediterraneo, non permette alcuna forma di vita.La quarta zona è costituita dall’altopiano transgiordanico, regione molto fertile nella parte settentrionale (le bibliche Galaad e Basan), sempre più brulla e desertica via via che si procede verso sud. La parte centrale, a sud del fiume Yabbok (il fiume della lotta di Giacobbe con Dio, cf. Gen 32), è la regione degli ammoniti, la cui antica capitale, Rabat Ammon, è la attuale città di Amman. Più a sud si trova la terra di Moab e, quasi ormai nel deserto, il territorio di Edom, ove si trova la celebre città nabatea di Petra.* * *Da un punto di vista climatico, la regione presenta due sole stagioni: un’estate calda e asciutta, praticamente senza pioggia, e un inverno freddo e piovoso, che va da fine ottobre a fine aprile: sono questi i periodi delle «prime» piogge e delle piogge «tardive» di cui parla la Bibbia, in assenza delle quali si rischia la perdita del raccolto. Sono anche questi i periodi in cui si fa sentire il vento caldo del deserto, il khamsin. Le zone ove la pioggia è più abbondante, e quindi più fertili, sono le montagne della Galilea e del nord della Transgiordania; l’abbondanza delle precipitazioni diminuisce andando verso sud e verso est. A titolo di esempio, Gerusalemme riceve annualmente la stessa media di precipitazioni di Roma, circa 600 millimetri di pioggia, mentre Gerico, a soli 35 chilometri a est, appena 120 millimetri. Là dove non esistevano sorgenti l’acqua veniva conservata in cisterne che per lo più non erano sufficienti a garantire, nelle zone più aride, un’agricoltura molto fiorente. Solo alla fine del II millennio a.C. la tecnica costruttiva permise di realizzare cisterne impermeabili e di poter così abitare quelle zone in cui le precipitazioni estive sono pressoché assenti.Si comprende bene l’estremo contrasto di questa terra: dal clima subtropicale della pianura costiera si passa a quello tipicamente mediterraneo della regione montuosa centrale, per poi scendere alle regioni semidesertiche della fossa giordanica e risalire, dopo poche decine di

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chilometri, al fertile altopiano della Giordania. Il problema dell’acqua era senz’altro quello più urgente per gli abitanti di Israele: la dipendenza quasi esclusiva dall’acqua piovana trasformava i non infrequenti periodi di siccità in veri disastri per l’agricoltura; gli studiosi ritengono tuttavia che il clima, durante il II millennio a.C., fosse meno torrido e più piovoso di quello attuale.La grande varietà delle zone geografiche, dal deserto alla montagna alla pianura fertile, unita alla grande varietà dei climi, costituisce un elemento importante per capire molte vicende politiche e sociali di Israele: ancora oggi la geografia della regione ha la sua parte nel determinare i problemi che affliggono questa parte di mondo, per esempio il problema vitale dell’acqua.

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