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ORIGINE ED EVOLUZIONE DELLE PIANTE TERRESTRI Franco Bruno L’evoluzione della vita sul nostro pianeta è estremamente affascinante e si può ricondurre con facilità ad alcuni avvenimenti basilari che hanno rivoluzionato le condizioni dell’ambiente o degli organismi colonizzatori. Per le piante in particolare imparare a sopravvivere in un ambiente ostile come quello delle terre emerse è stato un processo molto lungo che ha richiesto adattamenti sbalorditivi elaborati nel corso di un centinaio di milioni di anni circa e tuttora validi. Ma prima dobbiamo chiederci: chi sono e cosa sono le piante terrestri? Una definizione generale definisce un gruppo di organismi molto ampio (dai batteri

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ORIGINE ED EVOLUZIONE DELLE PIANTE TERRESTRI

Franco Bruno

L’evoluzione della vita sul nostro pianeta è estremamente affascinante e si può ricondurre con facilità ad alcuni avvenimenti basilari che hanno rivoluzionato le condizioni dell’ambiente o degli organismi colonizzatori. Per le piante in particolare imparare a sopravvivere in un ambiente ostile come quello delle terre emerse è stato un processo molto lungo che ha richiesto adattamenti sbalorditivi elaborati nel corso di un centinaio di milioni di anni circa e tuttora validi.

Ma prima dobbiamo chiederci: chi sono e cosa sono le piante terrestri? Una definizione generale definisce un gruppo di organismi molto ampio (dai batteri fotosintetici alle Angiosperme, passando per felci, conifere, licheni, alghe, ecc.), apparso circa 470 milioni di anni dal presente, che hanno in comune la fotosintesi e sono tutti discendenti di un eucariote ancestrale che è stato capace di acquisire il cloroplasto. Questa definizione comporta una serie di

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avvenimenti verificatesi molto prima, cioè più di un paio di miliardi di anni dal presente, della storia geologica della Terra, che iniziano con la cattura di un cianobatterio da parte di una cellula, che aveva già catturato almeno un altro batterio, e la loro trasformazione in cloroplasto il primo e in mitocondrio il secondo. Si tratta del primo e più importante processo simbiotico tra procarioti che ha condotto alla formazione della cellula eucariota, la quale, con le dovute differenze, ha dato origine a piante ed animali, compreso ovviamente l’uomo. Infatti per oltre due miliardi di anni la Terra è stata popolata esclusivamente da organismi unicellulari (procarioti) mentre dalla formazione delle prime cellule eucariote si è dato il via ad organismi pluricellulari, che con vari tentativi, sono giunti fino ai nostri giorni. La conversione del cianobatterio in cloroplasto ha comportato il trasferimento di oltre un migliaio di geni all’ospite mentre un paio di centinaia sono stati conservati (geni plastidiali), il resto è stato eliminato. Ciò significa che ancora oggi cloroplasti e mitocondri, organelli fondamentali delle cellule eucariote, posseggono un DNA proprio, indipendente da quello nucleare, e di conseguenza sono in grado di dirigere sintesi proteiche proprie. Questa è la dimostrazione migliore dell’origine simbiontica delle cellule eucariote.

Naturalmente l’evoluzione da cianobatterio a cloroplasto è avvenuta nel tempo attraverso una serie di mutazioni casuali fino all’acquisizione stabile della fotosintesi. È interessante osservare che questi tentativi si sono conservati anch’essi per miliardi di anni fino ad oggi, e sono rappresentati da un piccolo gruppo di microorganismi simili ad alghe: le Glaucofite, di cui si conoscono in natura solo 13 specie e i cui cloroplasti sono noti come cianelle.

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Come si può immaginare, diventare grandi sulla terra non deve essere stato tanto facile per le piante, soprattutto se si pensa alle difficoltà, cui si deve adattare un organismo acquatico, per vivere a contatto con l’aria con il rischio costante di disidratazione. Ricordiamo che il contenuto di acqua è fondamentale per la stabilità strutturale e funzionale delle cellule: tutte le reazioni si svolgono nell’acqua. Un organismo fotosintetico poi, che deve mantenere una ampia superficie di contatto con l’aria per assorbire CO2 e luce, ha un rischio di perdita di acqua ancora più grande. Per questo le prime piante terrestri vivevano in ambienti perennemente umidi (vedi Epatiche), ma poi hanno sviluppato accorgimenti sempre più efficienti per difendersi dalla disidratazione soprattutto nelle spore grazie alla sporopollenina [C90H129O12(OH)15], un rivestimento cellulare in grado di resistere a prolungate esposizioni solari e all’attacco di funghi e batteri fino a milioni di anni!! È’ stata la manna per il polline disperso dal vento e per gli zigoti quiescenti fino all’arrivo dell’acqua!!

Le piante terrestri quindi hanno dovuto escogitare diverse strategie di adattamento per sopravvivere in questo ambiente aereo così attraente perché ricco di CO2, come ad esempio un tenore idrico interno indipendente dalla disponibilità di acqua (Succulente, Cactacee), un rivestimento fogliare impermeabile (cuticola), gli stomi, aperture regolabili che gestiscono gli scambi gassosi tra interno ed esterno della foglia, a contatto con un tessuto ricco di ampi spazi intercellulari (tessuto lacunoso o spugnoso). La

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regolazione di apertura e chiusura degli stomi è un capolavoro di ingegneria biologica: la chiusura infatti non potrà mai essere totale e bloccare l’assunzione di CO2, le piante morirebbero di fame!!

Per la cronaca, il massimo di tolleranza al disseccamento viene raggiunto nelle cosiddette Resurrection Plants: Selaginella lepidophylla e Anastatica hierochuntica detta Rosa di Gerico, cui basta un po’ d’acqua dopo un periodo lungo di disseccamento per resuscitare e tornare verdi.

Potremmo ancora chiederci: perché diventare alte? Sicuramente una maggiore altezza comporta una migliore competizione per la luce e una migliore dispersione delle spore quindi una migliore capacità di colonizzazione. Ma diventare grandi ha comportato la costruzione di un corpo vegetativo tridimensionale che ha richiesto un meccanismo di controllo della geometria di divisione per la formazione dei tessuti. Le pareti cellulari stesse hanno dovuto adattarsi alle forze dell’ambiente aereo, cioè alla forza di gravità e al vento. La crescita verticale infatti avviene contro la forza di gravità e il turgore cellulare delle specie erbacee non basta più, bisogna quindi rinforzare le pareti con tessuti specializzati, sclerenchimatici quelli rigidi per poter restare eretti e collenchimatici per resistere alle intemperie e piegarsi senza

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spezzarsi. Trasportare inoltre notevoli quantità di soluzioni minerali dal basso verso l’alto (trachee e tracheidi) e dall’alto verso il basso dei prodotti della fotosintesi ha richiesto accorgimenti molto particolari.

La necessità di un nutrimento minerale che prima avveniva tranquillamente nell’acqua attraverso tutte le cellule dell’organismo, ora richiede lo sviluppo di un sistema organico capace di assorbire acqua e nutrienti dal suolo. Questo apparato però non è mai andato oltre allo sviluppo di rizoidi, di peli radicali unicellulari cioè, che ritroviamo pressoché inalterato anche nelle piante attuali in quanto la zona assorbente delle loro radici non supera qualche cm ricoperto di peli unicellulari (praticamente rizoidi unicellulari). Bisogna anche ricordare che gli ioni delle sostanze nutritive sono presenti nel suolo con concentrazioni basse, si muovono lentamente e tendono a legarsi con particelle del suolo diventando insolubili, quindi non assorbibili.

Come è stata possibile allora la transizione acqua-superficie terrestre? La risposta si trova nella associazione di funghi simbionti (le cui ife sono prive di setti, cenobi), con le cellule radicali per formare le cosiddette micorrize. In loro assenza o di altre soluzioni, le piante sarebbero rimaste piccole e avrebbero potuto crescere solo in habitat ricchi di nutrienti. La soluzione più ovvia è stata dunque quella di uno scambio di sostanze nutritive, per l’appunto una simbiosi funghi-pianta: la pianta autotrofa cede al fungo un po’ del suo fotosintetato sotto forma di zuccheri semplici, mentre il

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fungo cede alla pianta ioni minerali come azoto, fosforo, potassio, zolfo, zinco, rame, ecc. che esso assorbe da volumi di suolo enormi esplorati con le sue ife extraradicali. Questi funghi denominati glomeromiceti sono presenti in circa l’80% delle specie, mentre il 10% forma micorrize con basidiomiceti o ascomiceti. Il restante 10%, privo di funghi simbionti, si considera che abbia perso la simbiosi perché vivente in particolari habitat.

Le micorrize sono dunque molto antiche: in fossili del Devoniano sono presenti in piante prive di radici (Aglaophyton) il ché dimostra che l’associazione delle piante con glomeromiceti ha preceduto

l’evoluzione delle radici.

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Recenti analisi molecolari sulle sequenze di DNA di questi funghi hanno ipotizzato che nell’evoluzione siano comparsi prima delle piante terrestri, le quali sarebbero perciò state avvantaggiate nella terrestrializzazione. Infatti Geosyphon piriforme, ad esempio, è un glomeromicete che non forma simbiosi con piante ma con cianobatteri del genere Nostoc, quindi una associazione molto probabilmente antecedente a quella con le piante.

In conclusione possiamo dire: apparse da 470 Ma hanno colonizzato l’intera superficie delle terre emerse (con qualche eccezione), hanno generato centinaia di migliaia di specie, hanno modificato l’aspetto

Aglaophyton major del Devoniano.

La stele è una protostele, la più antica, nota solo allo stato fossile(in alto), mentre le cellule mostrano già gomitoli di micorrize arbuscolari (a sinistra)

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e la geochimica del pianeta degradando le rocce e generando suoli, hanno abbassato la concentrazione della CO2 nell’aria, insomma il mondo che conosciamo e che ci ha generato è stato costruito dalle piante e dalle piante dipende la sua conservazione. Ora però dipende anche dalla politica ambientale assennata dell’uomo.

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